Il Sinodo dei giovani. La Chiesa, dopo la Shoah del mondo cattolico, sarà giudicata al nuovo Processo di Norimberga, dove i cardinali ed i vescovi risponderanno: « Ma io ho solo obbedito a degli ordini superiori ! »

— attualità ecclesiale —

IL SINODO DEI GIOVANI. LA CHIESA, DOPO LA SHOAH DEL MONDO CATTOLICO, SARÀ GIUDICATA AL NUOVO PROCESSO DI NORIMBERGA, DOVE I CARDINALI ED I VESCOVI RISPONDERANNO AI GIUDICI: «MA IO HO SOLO OBBEDITO A DEGLI ORDINI SUPERIORI !»

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Nel momento storico-ecclesiale più inappropriato è stato indetto un Sinodo dei giovani mentre la Chiesa visibile, dopo la Shoah del Cattolicesimo, si accinge a finire su banco degli imputati al processo di Norimberga, che su di lei emanerà una sentenza che rimarrà scritta nella storia. Nel corso di questo processo saranno giudicati uno appresso all’altro tutti coloro che sul banco degli imputati hanno portato la Chiesa visibile sotto gli occhi del mondo, dopo la perpetrazione di gravi crimini consumati in danno della Chiesa Corpo Mistico di Cristo [cf. Col 1, 12-20]. E come accaduto settant’anni fa, noi sentiremo cardinali e vescovi rispondere: «Ho solo ubbidito a degli ordini superiori!»

.Versione inglese – English version

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Senza fare processo alcuno alle intenzioni, la sensazione che si ha è che i sinodi rischiano di essere impostati come lo era l’Assemblea dei Deputati del Popolo dell’Unione Sovietica, o come adesso lo è il Parlamento della Corea del Nord. Ammettiamo che all’interno dei sinodi si possa anche discutere, com’è avvenuto nel corso del Sinodo sulla famiglia. Certo, che si discute, i sinodi servono apposta per questo. A cosa servono però le discussioni, quando poi nel documento finale si è visto approvare ciò che i Padri Sinodali avevano respinto in modo anche deciso ed a grande maggioranza? Se infatti la Corte dei Miracoli, come la chiamo io, oppure il Cerchio Magico, come invece lo chiama il Cardinale Gerhard Ludwig Müller, ha già un’agenda pronta con tutta una serie di questioni già stabilite, ma soprattutto di fatto già approvare, perché convocare dei sinodi? Forse per dare la parvenza di collegialità allo stesso modo in cui il giovane dittatore della Corea del Nord, Kim Jong, vuol dare una parvenza di democrazia parlamentare? E che fine hanno fatto i dissidenti coreani, sono forse finiti legati sulle testate dei missili poi lanciati appresso per le prove sperimentali?

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Veniamo all’agenda della Corte dei Miracoli o Cerchio Magico : il Sinodo dei giovani dovrà servire, come già ampiamente dimostrato, a sdoganare la lobby LBGT. E benché i rappresentanti dei giovani non abbiano mai usato né fatto riferimento a questo acronimo nei loro documenti programmatici, vi ha però provveduto il Cardinale Lorenzo Baldisserri, non omettendo di esprimersi in modo impreciso e contraddittorio, che sotto certi aspetti pare equivalga a mentire [si rimanda alla cronaca, QUI].

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La menzione dell’acronimo LGBT, che come sappiamo indica lesbiche, gay, bisessuali e transessuali, è anzitutto una questione di forma e di diritto, che successivamente avrà poi implicazioni non indifferenti sul piano della dottrina e del magistero. Cerchiamo di capire: se nell’opera Gai Institutionum Commentarii — che per inciso non ha niente a che vedere con i gay, bensì col celebre giurista Gaio che compilò i propri commentarî nel 180 circa d.C. — fosse stato inserito il problema dei coito orale secondo la giurisprudenza del tardo principato Augusteo, risalente all’anno 30 circa a.C, è presto detto che questa amena pratica erotica avrebbe avuto anzitutto rango e dignità giuridica nel sistema del diritto romano. Mentre invece, il problema del coito orale, non esiste di diritto e di fatto nella giurisprudenza; dubito altresì vi si possa giungere, anche applicando nella forma più estensiva altre leggi. E non esiste perché, sempre di diritto e di fatto, non esiste appunto l’istituto giuridico del coito orale. La giurisprudenza non può infatti trattare né regolamentare ciò che per la Legge non esiste. Ecco perché in qualsiasi genere di sistema giuridico, sia in quelli di impianto romano sia in quelli fondati sulla common law, l’uso di parole e di termini è sempre molto delicato, perché la Legge, molto prima di punire — la punizione è infatti solo l’atto finale estremo conclusivo —, mira a riconoscere, stabilire, quindi a regolamentare.

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A questo si aggiunga, sempre a titolo di esempio, un fatto che pochi all’interno della odierna Chiesa visibile possono smentire: in molti istituti teologici cattolici, trattando per esempio della Santissima Eucaristia, sono sempre più usate teologie e terminologie tratte dal lessico luterano, a partire da consustanziazione. Se in certe università pontificie romane uno osa fare riferimento alla scolastica ed al tomismo, quindi al termine di transustanziazione, corre il rischio di essere sbeffeggiato o indicato come pre-conciliare (!?). E, gli sbeffeggiatori, prerogativa dei quali è la più crassa ignoranza, seguiteranno a ignorare che uno dei due Sommi Pontefici del Concilio Vaticano II, proprio colui che lo ha gestito, portato avanti e poi chiuso, il Beato Pontefice Paolo VI, che a giorni sarà anche canonizzato, ha definito come opportuno e non sostituibile questo termine teologico [Enciclica Mysterium Fidei, n. 47, testo QUI]. E da ciò dobbiamo forse dedurre che il Beato Pontefice Paolo VI era nei concreti fatti un pre-conciliare? Come però ho scritto più volte, nella Chiesa visibile odierna si firmano con una mano i decreti di beatificazione e canonizzazione dei Romani Pontefici, con l’altra mano si firmano invece documenti che colpiscono, od in alcuni casi azzerano, il loro sommo magistero.

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Il fatto che oggi si viva in una Chiesa visibile nella quale si può definire come scolastico-archeologico il termine di transustanziazione, quindi rigettarlo o contestarlo nelle aule delle università pontificie, ma al tempo stesso si inseriscano però nel lessico ecclesiastico termini come LBGT, con il rischio che questo acronimo luciferino entri poi nel vocabolario del Magistero della Chiesa, può non toccare e non sconcertare solo il Cardinale Lorenzo Baldisseri, con appresso tutto il corifeo dei giornalisti della Pravda Pontificia per i quali mai, come «nei tempi di questa epocale rivoluzione», le cose erano andate così bene. E che le cose, in piena Rivoluzione Russa Pontificia vadano bene come mai prima erano andate, lo provano le chiese sempre più vuote, i fedeli smarriti e delusi, il clero allo sbando, la caduta delle vocazioni, gli abbandoni del sacerdozio mai numerosi come nel corso degli ultimi cinque anni, ma sui quali tace però a livello statistico la Congregazione per il Clero, presieduta da un altro amico della Corte dei Miracoli, o Cerchio Magico.

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S.E. Mons. Charles Joseph Chaput, Arcivescovo Metropolita di Philadelphia

Così, tra L’Assemblea dei Deputati del Popolo della Pontificia Unione Sovietica si è levata, grazie a Dio, la voce di S.E. Mons. Charles Chaput, Arcivescovo Metropolita di Philadelphia, che ha richiamato all’uso delle corrette parole [cf. cronaca QUI, QUI], perché sul piano della dottrina cattolica, alle parole è poi legata la sostanza: le parole ed i segni esterni servono per esprimere la sostanza. Cosa questa che dovrebbe essere nota a chiunque abbia studiato, anche in modo non approfondito, i primi grandi concili dogmatici della Chiesa, nei quali per definire anzitutto la natura di Cristo Dio si fece ricorso a precisi termini modulati dal lessico filosofico greco, come il concetto di ὑπόστασις [ipostasi, o natura ipostatica].

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Dell’Arcivescovo di Philadelphia invitiamo a leggere il suo articolo: «Carità, chiarezza ed il loro contrario» [articolo QUI].

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Qualcuno, per definire oggi — quindi sdoganare — le varie forme di esercizio delle sessualità umana, posto che Dio «maschio e femmina li creò» [Gen 1, 26-27], vuole forse inserire nel lessico ecclesiale termini come LGBT, dando semmai vita ad una nuova natura umana quatripostatica, vale a dire la natura lesbica, gay, bisessuale e transessuale?

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Il Sinodo sulla famiglia ha lasciato una Chiesa divisa e disorientata, oltre a diversi morti per infarti repentini tra i filari della Vigna del Signore. E dopo che si è tentato di sdoganare l’adulterio, è seguito il Sinodo dei giovani nel quale pare si stia da sùbito tentando di sdoganare le varie pratiche di espressione sessuale, senza porsi il problema — come lamenta santamente l’Arcivescovo Charles Chaput — che i cattolici LGBT non possono esistere, meno che mai la Chiesa può legittimarne l’esistenza. O, detta con un altro esempio, tutt’altro che paradossale: può un soggetto definirsi cattolico-ateo e rivendicare in quanto tale, ossia come ateo, la sua piena appartenenza al Cattolicesimo? Sì, può farlo esattamente nella stessa misura in cui, un transessuale orgoglioso del proprio transessualismo, può definirsi un cattolico-transessuale e pretendere pieno diritto di cittadinanza nel Corpo della Chiesa Cattolica ed esigere la piena legittimazione di tutte le sue istanze. Perché, qualora i laudatori della Rivoluzione Russa Pontificia non se ne fossero accorti, in forme diverse, proprio a questo stiamo andando incontro, ad una figura del tutto nuova di Cattolicesimo e di Cattolici: il Cattolicesimo dei Cattolici atei, muniti sia come ecclesiastici sia come laici, dell’esercizio di una diabolica prerogativa, che è quella di angariare e di perseguitare i credenti.

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Vedremo come andrà a finire anche questo Sinodo, ma soprattutto vedremo se, come nel precedente, quello che sarà rigettato dai Padri Sinodali finirà nel documento finale, nascosto semmai, anche questa volta, in qualche espressione ambigua o in qualche nota marginale messa a fondo di pagina, della serie … “io furbo, voi scemi!”. Però, quel che solo importa, è di ascoltare tutti, dando così l’impressione di essere sinodali, collegiali e soprattutto democratici, proprio come lo è il dittatore coreano Kim Jong, che prima convoca il parlamento fantoccio della Corea del Nord, poi fa rigorosamente quel che gli pare.

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Terminato questo Sinodo che si è aperto con l’inserimento dell’acronimo dogmatico quatripostatico LBGT, non richiesto da nessuno nello instrumentum laboris, poco dopo se ne aprirà un altro, il Sinodo Pan Amazzonico, nel quale è da tempo in agenda lo sdoganamento del sacerdozio conferito agli uomini sposati. Ma si presti attenzione, il tutto solo … ad experimentum. Intanto, nella Diocesi di Roma, sebbene il fatto non abbia richiamata attenzione e prodotta notizia, sono già in corso le prove generali, se consideriamo che pochi giorni fa è stato nominato “parroco” di una parrocchia metropolitana — beninteso sia: ad experimentum un diacono permanente, giunto in canonica con moglie e quattro figli. E questo nucleo familiare, dalla pagina ufficiale dei Diaconi di Roma, che peraltro sono una vera e propria succursale del Movimento Neocatecumenale, è stato indicato come … «famiglia diaconale» (!?) [cf. servizio QUI]. Detto questo vorrei sapere: i membri della mia famiglia, avendo un loro congiunto presbìtero, possono essere indicati come “famiglia presbiteràle”? E mia madre e mio fratello, possono essere indicati come “madre presbiteràle” e come “fratello presbiteràle”, ovviamente estendendo il titolo alla mia “cognata presbiteràle” ed al mio “nipote presbiteràle”? E vogliamo forse dimenticare la mia “gatta presbiteràle”? Inutile dire che il discorso sarebbe davvero lungo, dato però che quanti non conoscono la storia sono condannati a ripeterla in forma peggiorativa, val la pena ricordare, seppure sommariamente e velocemente, che quel diaconato detto oggi permanente, cadde in disuso come ordine e divenne solo una tappa di passaggio per l’ordinazione presbiteràle, dopo che proprio a Roma, tra i secoli VIII e X, i diaconi avevano acquisito un ruolo preminente. I diaconi erano ormai a capo delle principali chiese e non volevano essere neppure ordinati presbìteri, perché poi, da queste prestigiose chiese, accedevano direttamente all’episcopato. Il diaconato permanente sarà così ripristinato solo dopo mille anni, dal Concilio Vaticano II. E si noti che non in tutte le diocesi del mondo i vescovi hanno ordinato dei diaconi permanenti, che sono assenti, per esempio, in gran parte dei Paesi africani, per non ingenerare nelle popolazioni cattoliche confusione; ed in specie laddove, per motivi antropologici e culturali, le regole legate alla castità del celibato da parte dei presbiteri non sempre sono applicate. Nel cuore stesso dell’Europa, in Polonia, i primi due diaconi permanenti sono stati ordinati solo quattro decenni dopo il Concilio Vaticano II, nel 2009.

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Nel clero cattolico di rito orientale sono sempre esistiti i preti sposati, ma il loro ministero potevano esercitarlo solo nelle diocesi appartenenti al loro rito; un rito regolamentato, tra l’altro, anche dall’apposito Codice di Diritto Canonico delle Chiese Orientali. Siccome però sono in corso le grandi prove generali, ecco che diversi di questi preti e loro famiglie sono stati accolti in diverse nostre diocesi italiane, a partire dall’Arcidiocesi di Perugia, di cui è Arcivescovo Metropolita non un vescovo tra i tanti, ma il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Soprassiedo su due diversi fatti di ordine giuridico e mi limito a domandare: in caso di eventuali controversie che coinvolgano un prete sposato, quale diritto sarà applicato, quello latino o quello delle Chiese Orientali? Ovviamente lo so bene, che il Diritto Canonico è stato da tempo sostituito dal più selvaggio libero arbitrio che poi si muta in quella vera e propria prepotenza che prende vita dalla mancanza di qualsiasi regola, però la domanda retorica suona bene, ed anche se inutile la rivolgo ugualmente. Per quanto poi riguarda la eventuale incardinazione nelle diocesi di rito latino, come può avvenire l’incardinazione di preti sposati di rito orientale appositamente latinizzati per le prove generali in corso, scopo delle quali è quello di compiacere il Capo del Soviet Pontificio e la cerchia dei suoi più fidati Consiglieri? Ecco, questo potrebbe spiegarcelo il Cardinale Gualtiero Bassetti in persona, che è Arcivescovo Metropolita di Perugia e Presidente dei Vescovi Italiani e che ospita nella sua diocesi due preti sposati, per anticipare così le decisioni del Sinodo dell’Amazzonia, che ricordiamo: sono già state prese prima della sua apertura [intervista, QUI].

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Detto questo sorge una domanda: in Amazzonia, si chiedono ad experimentum i preti sposati, perché la carenza di clero è molto elevata. A Roma, invece, per affidare una parrocchia ad un diacono permanente, quale drammatica carenza di clero c’è? Perché dando uno sguardo all’annuario diocesano scopriamo che le parrocchie metropolitane sono 332. Il presbitèrio romano conta 1.256 presbìteri, ai quali si aggiungono 2.929 presbìteri di altre diocesi residenti a Roma. A questi presbìteri secolari si aggiungono poi 5.317 membri del clero regolare, che sono i presbìteri religiosi, ed altri 87 presbìteri appartenenti a varie prelature personali [vedere annuario, QUI].  A Roma risiedono quindi un totale di circa 9.580 presbìteri tra presbìteri romani, presbìteri residenti in diocesi e presbìteri delle varie famiglie religiose. La Diocesi di Roma conta circa 2.350.000 battezzati, che divisi tra il numero di presbiteri che vivono nel territorio canonico diocesano, danno come statistica quella di un sacerdote ogni 250 fedeli circa, il tutto in una Roma con le chiese sempre più vuote.  È bene poi precisare che il territorio della Diocesi di Roma, è limitato solo alla Capitale d’Italia, perché fuori città, nel Comune di Roma, sorgono le varie diocesi suburbicarie. Domanda: era quindi necessario, ad esotico experimentum, affidare una parrocchia a un diacono permanente nella Chiesa Madre e Madre di tutte le Chiese della Orbe Catholica? Prendiamo quindi atto che mentre si celebra il Sinodo dei giovani, sono già in corso le prove generali per quello amazzonico che ci donerà i preti sposati, è già stato stabilito. Ribadisco, il tutto solo ad experimentum e previa convocazione del Pontificio Parlamento della Corea del Nord, dove i dissidenti finiscono presumibilmente legati sulle testate dei missili sparati durante le esercitazioni, ma non illudetevi, perché nella Roma della misericordia, ai misericordiati, accade anche parecchio di peggio.

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Se il Cardinale Gerhard Müller, in una lunga intervista rilasciata a Raymond Arroyo — che merita essere ascoltata da tutti coloro che comprendono l’inglese —, è tornato su vari argomenti. Sull’argomento dai cattivi amici che circondano il Romano Pontefice, il quale se li è cercati con la lanterna di Diogene; sull’argomento che S.E. Mons. Carlo Maria Viganò ha detto null’altro che la verità [cf. QUI, QUI], ciò è avvenuto perché l’ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede è un autentico uomo di Dio. A questo si aggiunga che il Cardinale Gerhard Ludwig Müller, a livello antropologico, racchiude in sé la forza del barbaro teutonico, nel senso bellico più nobile del termine. Ricordiamo infatti che quando i barbari discesero dal Nord dell’Europa mentre l’Impero Romano era agonizzante, trovarono i detentori del potere ubriachi e truccati da donne impegnati a giocare nelle alcove con i giovanotti [cf. mio precedente articolo, QUI]. O, detta in altri termini: i romani erano presi a vivere lo stile di vita LBGT che aveva ormai da tempo assorbito lo stile di vita S.P.Q.R, acronimo che anticamente riassumeva il concetto e fondamento di Senatus Populus Quirites Romani, ed in seguito Senatus PopulusQue Romanus. La differenza, come varie volte ho ricordato, fu che i barbari, colpiti dalla virile tempra dei grandi Padri della Chiesa, in quel clima di totale decadenza si convertirono in massa al Cristianesimo. Nella Roma di oggi, da chi dovrebbero essere conquistati i nuovi barbari, forse da quattro finocchi impazziti avvinghiati come polipi al trono, al quale tutto sommato sono di grandissima utilità, essendo costoro i più devoti ruffiani, i servitori più interessati, i delatori e le spie più efficienti, nonché facilmente gestibili e manipolabili dal sovrano, che conosce a uno a uno tutti i cadaveri in putrefazione che essi tengono chiusi dentro i loro sepolcri, neppure bene imbiancati, come invece lo erano i sepolcri richiamati nei Santi Vangeli? [cf. Mt 23, 27-32].

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Temo che nessuno abbia poi analizzato il rapporto storico che lega la psicologia del Cardinale Gerhard Ludwig Müller alla storia del suo Paese natio, che è la Germania. Se ci pensiamo bene, oggi la situazione della Chiesa visibile è paragonabile alla disfatta della Germania nel 1945, con Adolf Hitler rinchiuso nel bunker di Berlino con la ristretta corte dei suoi fedelissimi, mentre dinanzi alla sconfitta si seguitava a combattere, sino ad arruolare adolescenti di sedici anni. Al tempo stesso si seguitava ad illudere il Popolo che a breve sarebbe stata completata e usata la Grande Arma Segreta. Esattamente come oggi tentano di fare dinanzi alla disfatta i giornalisti mainstream della Pravda Pontificia, non tanto difendendo l’indifendibile, che può essere anche comprensibile e persino giustificabile sul piano umano e psicologico, ma negando, pur sapendolo bene e pur conoscendone persino tutti i dettagli, quante vite di buoni e santi sacerdoti sono state rovinate per non essersi costoro piegati alla complicità con il male. E questo rende certi giornalisti mainstream della Pravda Pontificia degli autentici criminali senza scrupoli umani, oltre che privi dei basilari sentimenti cristiani. Sappiano comunque, costoro, che il ponte sul fiume trabocca ormai di pazienti spettatori che attendono il passaggio dei loro corpi trascinati dalla corrente, quando con una disinvoltura che scandalizzerebbe persino le mignotte di più basso livello, dopo il prossimo conclave tenteranno immediatamente di riciclarsi e di cambiare colore come i camaleonti, ma soprattutto come se nulla fosse stato. Se ne facciano però una ragione sin da adesso: non dovranno cambiare colore di pelle, ma dovranno proprio cambiare mestiere, perché ad ogni loro minimo sospiro, gli saranno sbattuti pubblicamente sulla faccia tutti gli scritti con i quali hanno sostenuto l’insostenibile e difeso l’indifendibile. Non hanno neppure esitato a falsare fatti e notizie, con una terribile aggravante sulla quale nessuna coscienza cattolica potrà mai soprassedere: il tutto, lo hanno fatto e portato avanti a danno delle vittime e dei sofferenti, verso i quali hanno mostrato una indifferenza che non è semplicemente disumana, perché è proprio satanica. Ma quel che è peggio è che hanno leccato il culo dei carnefici, mostrando totale indifferenza verso le vittime colpite e perseguitate all’interno della Chiesa, di cui conoscevano molto bene, ed anche in tutti i minimi particolari, sia le storie sia le grandi sofferenze. E al Demonio non si permette mai di rientrare dalla finestra sotto mentite spoglie, dopo averlo cacciato fuori dalla porta; e se per caso egli chiede perdono fingendo di essere pentito, non bisogna assolutamente credergli, perché è il Supremo Prìncipe della menzogna e dell’inganno.

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Dopo la morte di Adolf Hitler, la Germania fu percorsa da un’ondata di suicidi; famiglie intere, si suicidarono. La frase più ricorrente che correva tra i buoni tedeschi — che ricordiamo erano molti — suonava più o meno così: «Mi vergogno di essere tedesco». Frase che ho già udito più volte in privato da vescovi e presbìteri: «Dinanzi a questa situazione c’è da vergognarsi ad appartenere a questa Chiesa», sottintendendo con questa espressione che la vergogna è tutta legata alla struttura ecclesiale ed ecclesiastica di questa povera Chiesa visibile, non certo al mistero della Chiesa Corpo Mistico di Cristo.

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Come sappiamo, dal bunker di Berlino si è poi passati al Processo di Norimberga, dove sul cadavere carbonizzato di colui che fu il führer, ma soprattutto sulle rovine della Germania, furono giudicati e condannati i principali capi nazisti, molti dei quali condannati poi a morte, non vigendo all’epoca la Nuova Chiesa della Misericordia che settantatré anni dopo toglierà dal Catechismo anche l’ipotesi più remota ed eccezionale della pena di morte. Pertanto, se domani dovesse ripetersi qualche cosa di simile, misericordieremo i responsabili-simbolo della morte di milioni e milioni di persone e li affideremo ai servizi sociali [cf. nostri precedenti articoli QUI, QUI, QUI].

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Nella Chiesa sta per ripetersi il Processo di Norimberga. Domani, presto o tardi, sulle disastrose macerie della distruzione, mentre vescovi e preti diranno dinanzi al mondo «mi vergogno di appartenere a questa Chiesa», vedremo sfilare dinanzi ai giudici un esercito di cardinali e di vescovi che tenteranno di giustificarsi dicendo: «Ho solo ubbidito a degli ordini superiori!». Con i giornalisti della ex Pravda Pontificia che, non potendosi più riciclare, affermeranno da parte loro: «Noi abbiamo solo scritto quel che ci è stato ordinato di scrivere!». Alla domanda dei giudici: «Eccellenza … Eminenza … Monsignore … ma lei si rende conto che ubbidendo ad “ordini superiori” ha coperto i colpevoli di gravi crimini ed ha duramente colpito degli innocenti, che erano sottoposti ad ogni genere di sofferenza ed angheria sotto i vostri occhi impotenti?». E quando nel giorno del loro giudizio, Dio domanderà «Perché non hai difeso la Chiesa e il Popolo di Dio che io ti ho affidato», essi risponderanno: «Ma io ero vincolato dal segreto pontificio!».

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La morte di Cristo Signore si rinnova e nel tempo si ripropone in modi diversi, ma rinnovando nella sostanza il suo sacrificio; non a caso, il suo Corpo Glorioso, dopo la risurrezione vive portando tutt’oggi impressi i segni della passione. Pertanto oggi, Cristo Signore, è morto in croce perché vescovi e cardinali hanno «ubbidito a ordini superiori» e nel farlo erano per di più «vincolati al segreto pontificio».

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È solo questione di poco tempo, lasciamo che questo mostro dia gli ultimi pericolosi e mortiferi colpi di coda, perché a breve saremo nella grande aula di Norimberga, per sentir ripetere dai diretti responsabili della Shoah della Chiesa Cattolica: «Ho solo ubbidito a degli ordini superiori!». E noi, con buona pace del misericordismo, proprio per profonda e autentica misericordia, concederemo loro la grazia espiatoria del patibolo. Perché loro sono la morte, noi che oggi siamo sofferenti, angariati e perseguitati in casa nostra, siamo invece la salvezza ed il futuro della Chiesa di Cristo pellegrina sulla terra. E nessuno, ci impedirà mai di compiere la nostra missione Per Cristo, con Cristo e in Cristo. Perché la Chiesa è di Cristo, non è proprietà privata di Pietro, che di Cristo è il Vicario, non il Successore, meno che mai il correttore della sua parola. E il potere dato a Pietro non è affatto totale e assoluto come alcuni vorrebbero far credere, anzi: è un potere molto vincolato. Il potere di Pietro è strettamente vincolato al deposito della fede cattolica, della Tradizione e della dottrina. Pietro non è il padrone assoluto della Chiesa, al contrario: è il suo primo e fedele servitore, chiamato a custodire la verità ed a confermare i suoi fratelli nella fede [cf. Lc 22, 31-34]. La missione di Pietro, non è quella di convocare il Parlamento “democratico” della Corea del Nord. La missione di Pietro non è di confondere il Popolo di Dio, usando parole ambigue e poco chiare, perché Cristo ci insegna: « Sia invece il vostro parlare “sì, sì; no, no”; il di più viene dal maligno» [cf. Mt 5, 37].

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Insomma: nei Santi Vangeli, tutto è molto chiaro e nessun “furbo”, in duemila anni di storia, ha mai inserito piccole note ambigue a piè di pagina. Detto questo, è infine necessario chiarire: è vero, nessun presbìtero, vescovo o cardinale è obbligato a essere un eroe. Ma per un presbìtero, un vescovo o un cardinale, non è certo un grande onore umano e cristiano essere un coniglio che di fronte al giudizio della storia, risponde: « Ma io ho solo obbedito agli ordini superiori ! ».

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dall’Isola di Patmos, 7 ottobre 2018

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Dalla decadenza alla farsa grottesca: Enzo Bianchi, un laico eretico che con il plauso dei vescovi predica gli esercizi spirituali ai preti sulla tomba del Patrono universale dei sacerdoti

— attualità ecclesiale —

DALLA DECADENZA ALLA FARSA GROTTESCA: ENZO BIANCHI, UN LAICO ERETICO CHE CON IL PLAUSO DEI VESCOVI PREDICA GLI ESERCIZI SPIRITUALI AI PRETI SULLA TOMBA DEL PATRONO UNIVERSALE DEI SACERDOTI

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Chi oggi rimane scandalizzato che Enzo Bianchi possa predicare gli esercizi spirituali mondiali per i sacerdoti, non ha motivo di prendersela né col Pontefice regnante né col Prefetto della congregazione per il clero che sarà presente a questo cosiddetto evento mondiale come un notaio può essere presente in una casa dove in una stanza c’è il cadavere del morto, nell’altra gli eredi che assistono all’apertura di un testamento attraverso il quale, con immane stupore, scopriranno a breve, dalla sua pubblica lettura, che non hanno ereditato un centesimo, ma solo una caterva di debiti da pagare. Esattamente quei debiti presentati infine al Sommo Pontefice Francesco I da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, Enzo Bianchi incluso.

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Autori
Ariel S. Levi di Gualdo
Jorge Facio Lince

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Enzo Bianchi, un eretico conclamato in cattedra a predicare gli esercizi spirituali mondiali al clero sulla tomba del Patrono dei Sacerdoti della Chiesa universale, il Santo Curato d’Ars

Quando analizziamo nascita e sviluppo di certi mostri intra-ecclesiali, bisogna sempre cercare di andare all’origine del problema. Spesso, la natura del problema, è costituita proprio dal problema stesso che non è stato preso, analizzato, isolato e risolto per tempo. Sicché, a quanti dinanzi all’eretico indomito e impenitente Enzo Bianchi, falso profeta, cattivo maestro, pernicioso avvelenatore del deposito della fede cattolica, oggi puntano il dito verso il Sommo Pontefice Francesco I, è doveroso ricordare, anzitutto per onestà intellettuale, poi per storico dato di fatto, che i veri responsabili dello sviluppo del cancro bianchiano all’interno della Chiesa sono stati il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, il Cardinale Joseph Ratzinger Prefetto per un ventennio della Congregazione per la dottrina della fede, in seguito il Sommo Pontefice Benedetto XVI, sotto il cui pontificato Enzo Bianchi, pubblico diffusore di eresie cristologiche, pneumatologiche, ecclesiologiche ed esegetiche, fu invitato al Sinodo sulla nuova evangelizzazione.

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Ci risulta che alla Congregazione per la Dottrina della Fede presieduta dal Cardinale Joseph Ratzinger, nel corso degli anni giunsero molte denunce, assieme a numerose richieste da parte di diversi vescovi che in modo diplomatico chiedevano pareri al competente dicastero sulla ortodossia dottrinale di libri e pubbliche conferenze tenute da Enzo Bianchi; e ciò sin da fine anni Ottanta inizi anni Novanta del Novecento. A qualcuno, risulta per caso che il Cardinale Joseph Ratzinger abbia preso qualche provvedimento?

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Se la vicenda di Enzo Bianchi — il nome del quale oggi figura tra i Padri del prossimo sinodo sui giovani —, non fosse, come lo è, collocabile nella nostra triste tragedia ecclesiale ed ecclesiastica contemporanea, potrebbe essere elemento per una vera e propria commedia grottesca, perché invitare un eretico al Sinodo per la nuova evangelizzazione sotto il pontificato del Papa Teologo, è paradossale quanto lo sarebbe invitare una celebre porno star a parlare alla Confederazione delle Superiore delle Monache Clarisse, riunite per stabilire il modo migliore per proporre alle giovani aspiranti religiose la virtù della castità nel Terzo Millennio. Eppure, Benedetto XVI, lo ha fatto. E, non potendo egli non sapere chi fosse Enzo Bianchi, possiamo solo concludere dicendo: mentre Francesco I, le proprie contraddizioni le manifesta e, come suol dirsi, te le sbatte in faccia, Benedetto XVI, nel corso del tempo, da buon figlio del romanticismo tedesco ha cercato invece di unire armonicamente acqua e fuoco, opposti e contrarî, come se tutti avessero diritto ad avere voce, incluso Enzo Bianchi. Quindi inclusa l’eresia, chiamata a convivere armonicamente ed in modo pluralistico e conciliante con l’ortodossia teologica.

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Per doloroso dovere di onestà intellettuale bisogna poi aggiungere: se Enzo Bianchi, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, avesse toccato due argomenti chiave, tali erano i preservativi e la famiglia, sarebbe stato fatto fuori all’istante, proprio come furono giustamente frenati e sconfessati i fautori della marxisteggiante Teologia della Liberazione. Purtroppo però, durante questo pontificato così attento e sensibile ai preservativi, alla famiglia e alle derive marxiste, al tempo stesso non si vedeva e non ci si curava che nello stesso Brasile, grande serbatoio della Teologia della Liberazione incubata in quel Paese con il pensiero e soprattutto con i soldi dei tedeschi, stavano prendendo vita sacerdoti che oggi si presentano all’altare vestiti e truccati come fossero delle Drag Queens che salgono sul palcoscenico di una discoteca gay. Il Bianchi ha quindi avuto la scaltrezza, sotto quel lungo pontificato, di dare avvio a tutta la sua semina di eresie, coprendosi però dietro al grande meaculpismo inaugurato da Giovanni Paolo II, senza mai toccare il filo spinato ad alta tensione dei preservativi e della famiglia.

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Con identica scaltrezza agirono pure Kiko Arguello e Carmen Hernandez, fondatori del Cammino Neocatecumenale, che hanno scempiato la liturgia e la Santissima Eucaristia sino a forme di vero e proprio sacrilegio, però, a Giovanni Paolo II, presentavano un movimento composto da coppie regolari che avevano sette otto figli ciascuno e che consideravano la contraccezione uno tra i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio. E, sotto quel pontificato, chi aveva numerosa prole ed era contrario alla contraccezione, poteva anche scrivere catechismi paralleli al Catechismo della Chiesa Cattolica, poteva anche decidere quando i propri adepti potevano recitare il simbolo di fede Niceno-Costantinopolitano, ma soprattutto potevano ridurre il Sacrificio Eucaristico ad una via di mezzo tra un Seder di Pesach [la cena della Pasqua ebraica] celebrato il sabato sera alle ore 21, ed una Cena Calvinista in ricordo di Gesù Cristo. Purché non si toccasse, però, il filo spinato ad alta tensione dei preservativi e della bioetica. Il tutto per ribadire quanto Enzo Bianchi non sia né colpa né responsabilità del Sommo Pontefice Francesco I.

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Chi oggi rimane scandalizzato che Enzo Bianchi possa predicare gli esercizi spirituali mondiali per i sacerdoti ad Ars, dove sono conservate le spoglie del Santo patrono universale dei sacerdoti, non ha motivo di prendersela né col Pontefice regnante né col Prefetto della congregazione per il clero, Sua Eminenza il Cardinale Beniamino Stella, che sarà presente a questo cosiddetto evento mondiale come un notaio può essere presente in una casa dove in una stanza c’è il cadavere del morto, nell’altra gli eredi che assistono all’apertura di un testamento attraverso il quale, con immane stupore, scopriranno a breve, dalla sua pubblica lettura, che non hanno ereditato un centesimo, ma solo una caterva di debiti da pagare. Esattamente quei debiti presentati infine al Sommo Pontefice Francesco I da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, Enzo Bianchi incluso.

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Enzo Bianchi chiamato a predicare ai presbìteri, è forse cosa da prendere sul serio? A questa amara realtà si può solo reagire con la presa di giro, proprio come col grottesco esempio calzante di poc’anzi riguardo l’immagine della porno star e delle monache di clausura che cercano di apprendere da lei il linguaggio giusto per annunciare il valore della verginità alle aspiranti monache del Terzo Millennio. 

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Tra dei Satanisti ed Enzo Bianchi c’è questa tremenda differenza: i Satanisti, proprio in quanto tali, sono degli autentici credenti; pochi come loro credono infatti profondamente — per fare un solo esempio —, alla presenza reale di Cristo Dio vivo e vero, in anima corpo e divinità nelle Sacre Specie Eucaristiche. Enzo Bianchi è invece un ateo, uno che in modo deciso ha ateizzato l’intero Mistero della Rivelazione. Parole indubbiamente pesanti queste nostre, ma testimoniate da ore e ore di pubblici discorsi ufficiali tenuti da questo personaggio, di fatto ateo ed ateizzante.

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Veniamo al nostro lavoro, basato solo e rigorosamente sulle prove; un lavoro portato avanti per oltre un anno dal giovane filosofo e teologo Jorge Facio Lince, collaboratore del Padre Ariel S. Levi di Gualdo. Il lavoro è stato condotto dal solerte ricercatore a questo modo: sono stati raccolti e archiviati un numero davvero elevato di filmati nei quali Enzo Bianchi, ripreso e registrato, teneva i propri sproloqui ereticali, principalmente presso strutture ecclesiali, se non, addirittura, dai pulpiti di numerose chiese cattedrali italiane, con altrettanti numerosi vescovi diocesani seduti in prima fila sorridenti ad abbeverarsi, loro per primi, alle sue immani eresie. E quando un vescovo invita un eretico di tal fatta a proferire pensieri eterodossi dal pulpito della sua chiesa cattedrale colma di fedeli, è presto detto che ci troviamo dinanzi ad un indegno pastore che anziché custodire la porzione di Popolo di Dio ad esso affidato [cf. Gv 21, 15-19], invita direttamente il lupo dentro l’ovile. Il pastore che invita il lupo dentro l’ovile è parecchio peggiore del pastore che dinanzi al lupo fugge per paura, mentre il lupo rapisce e disperde le pecore [cf. Gv 10, 12]. Infatti, la paura è un sentimento umano, inoltre bisogna ricordare anche che nessuno è obbligato a essere eroe. Certo, chi per natura non è dotato di coraggio, dovrebbe evitare di accettare, anche se si tentasse di imporgliela, la nomina episcopale.

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Ci sono stati vescovi diocesani che hanno inviato generazioni di seminaristi presso l’esotico Monastero di Bose a fare i ritiri spirituali prima delle loro sacre ordinazioni. Ci sono stati vescovi diocesani che si sono assicurati la presenza di Enzo Bianchi presso i propri seminari, affinch’egli potesse donare con le sue lezioni perle di saggezza ai futuri preti. E, detto questo, dovrebbe essere inutile, perlomeno in tempi normali, affermare che ad un vescovo che avvelena in tal modo i propri futuri preti, o che invita questo Signor Laico a predicare i ritiri spirituali ai membri del proprio presbiterio, non dovrebbe essere permesso di fare il vescovo. Bisogna infatti chiarire che un vescovo il quale convivesse dentro il palazzo episcopale con un harem di concubine, ma che nell’esercizio del suo sacro ministero fosse — al di là della sua vita privata immorale e di peccato —, un difensore della fede e della integrità dottrinale dei propri presbiteri, commetterebbe un peccato molto meno grave, non altro perché quel genere di peccato di lussuria sarebbe veleno solo per la sua anima. Invece, un vescovo che favorisce la diffusione dell’eresia tra i suoi presbìteri ed i propri fedeli sudditi diocesani, compie il peccato più grave che possa compiere un sommo sacerdote il cui compito è quello di reggere, nella sacramentale pienezza del suo sacerdozio apostolico, tutte le membra vive del Corpo di Cristo che è la Chiesa.

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Il lungo lavoro di ricerca di Jorge Facio Lince ha comportato infine l’accumulo di oltre trecento pagine di materiali, i quali altro non sono che le testuali parole pronunciate nelle più disparate occasioni pubbliche da Enzo Bianchi in lezioni e conferenze, il tutto documentato senza possibile pena di smentita, perché — è bene ripeterlo ancora —, non si tratta di deduzioni, o di interpretazioni, si tratta di questo eretico, di questo ateo che ateizza chi lo ascolta, filmato e registrato mentre parla dinanzi alle platee nel corso di diverse centinaia di ore di registrazioni, non di rado alla presenza di vari vescovi italiani.

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Dunque, delle due cose una esclude l’altra: o i vescovi che lo invitano, che lo ospitano e che lo fanno parlare direttamente dentro le loro chiese cattedrali, sono tali e quali a lui, oppure dobbiamo prendere atto che una consistente fetta dell’episcopato ha proceduto nei concreti fatti a fare pubblica apostasia dalla fede cattolica.

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Sia nell’uno che nell’altro caso — ed entrambi sono casi gravissimi —, questo genere di vescovi hanno ipso facto svincolato i propri presbiteri ed i propri fedeli sudditi diocesani da ogni dovere di filiale rispetto e obbedienza nei riguardi del vescovo. Infatti, a sola eccezione delle persone affette da ignoranza inevitabile e invincibile, quindi non in grado di giungere a simili analisi e conclusioni, il negare la legittima autorità, ma soprattutto l’obbedienza ad un vescovo che presenta un eretico come modello nella propria chiesa cattedrale ai propri presbiteri ed ai propri fedeli sudditi diocesani, è un dovere, perché ad un vescovo del genere non si deve proprio mai obbedire. E non si deve obbedire per imperativo di coscienza, oltre che per dovere di fede cattolica. Diversamente invece, ad un vescovo che mantiene a servizio nel proprio palazzo vescovile una squadra di concubine, ma che malgrado la propria vita privata immorale, difende pubblicamente e tutela il deposito della fides catholica, malgrado certe sue gravi fragilità umane si deve rispetto e obbedienza, anche se potrebbe seriamente rischiare di andare all’Inferno a bruciare in eterno in quello che Dante indica come il girone dei lussuriosi.

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Dalle circa seicento ore di registrazioni filmate in cui Enzo Bianchi offre il meglio del peggio del proprio pensiero ereticale, abbiamo scelto a titolo di esempio alcuni passi nei quali egli nega apertamente alcuni dei principali fondamenti della fede. Per esempio: la corretta figura di Dio Padre ridotta ad analisi improntata su schemi di matrice freudiana; la negazione della processione della Seconda Persona della Santissima Trinità, ossia il fatto che per articolo di fede lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio; per seguire con una cristologia che racchiude in sé i veri e propri connotati della blasfemia, seguita dal più selvaggio relativismo teologico e religioso presentati come ecumenismo e come dialogo interreligioso. Tutte cose che il Bianchi proferisce e semina da decenni, soprattutto nelle chiese cattedrali e nei seminari; tutte cose di cui, il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, il Prefetto della congregazione per la dottrina della fede Cardinale Joseph Ratzinger, il Sommo Pontefice Benedetto XVI, pare, almeno alla prova dei fatti, che non si siano mai accorti.

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Domanda: ma è mai possibile che da mezzo secolo a questa parte si viva in una Chiesa nella quale diversi poveri e ignari Sommi Pontefici sono stati tutti quanti traditi e ingannati, quindi beatificati e canonizzati? Proprio così. Perché poi, quando certe evidenze non sono più in alcun modo negabili, ed in specie quando appunto si tratta di Beati e di Santi Pontefici, a quel punto è invalso ormai l’uso di annunciare: «Il Sommo Pontefice è stato tradito e ingannato!».

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Qualcuno potrebbe chiederci: perché, tutti questi materiali non li presentate alla Congregazione per la Dottrina della Fede? Semplice la risposta: anzitutto, per sapere che il Bianchi è eretico, non dovevano certo aspettare noi, in questa Chiesa dove l’eresia non è più tale ma è solo considerata una “libera opinione diversa”. E poi, a qual scopo farlo, se quel dicastero, oggi, sarebbe capace solo a condannare come grave eresia il fatto che qualcuno osi mettere in dubbio che il compito ecclesiale ed ecclesiastico di un Cardinale di Santa Romana Chiesa non dovrebbe essere quello, ed in specie di questi tempi, di portare il caffè caldo la sera ai barboni sotto il colonnato di San Pietro? [cronaca: QUI, QUI]. E se anche lo facesse, non sarebbe opportuno farlo senza tirarsi dietro un esercito di giornalisti, fotografi e cameraman? Oggi, compito di un Cardinale, con le fondamenta dottrinali della casa che tremano sotto le scosse sismiche ad alta magnitudo, è quello di portare i gelati agli immigrati a Rocca di Papa, semmai rincorrendoli col gelato in mano mentre questi, appena giunti nel centro di accoglienza messo a loro disposizione per ripicca politica col governo italiano in carica dalla Conferenza Episcopale Italiana, si erano già dati alla fuga? [cronaca, QUI]. E dietro a loro il Cardinale, che li rincorreva col gelato in mano …

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… ecco, affermare queste cose sì, che è vera e propria eresia, mica negare, come fa il Bianchi, l’articolo di fede che recita «Lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio»? Oppure che il peccato originale è una invenzione della quale a suo dire «Non c’è traccia sul Libro della Genesi» [citazione e filmato seguono più avanti]. In fondo, queste del Bianchi, sono solo “opinioni diverse”. Invece, per cadere in eresia, oggi bisogna negare l’elemosina ad uno zingaro, non fare la raccolta differenziata dei rifiuti, od inquinare l’ambiente con i condizionatori. Tutte cose che tra poco saranno racchiuse dalla nuova teologia nel peccato di bestemmia contro lo Spirito Santo, per il quale non c’è remissione e perdono [cf. Mc 3, 29].

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Enzo Bianchi, laico non nel senso di Christi fidele ma nel senso di laicista, ha centrato il suo dire e scrivere sull’importanza del dialogo come la miglior via per una «umanizzazione» per l’uomo. Dunque questa raccolta di testi è stata fatta prendendo da una parte il messaggio racchiuso nelle parole dette o scritte in questi ultimi anni da Enzo Bianchi in giro per tutta l’Italia; e il Messaggio di Gesù Cristo, quello affidato alla Chiesa Cattolica, somma mater et magistra. Il messaggio di Enzo Bianchi è impossibile da essere mal interpretato perché sono tutte affermazioni fatte o scritte da lui; mentre dall’altra parte del dialogo, cioè dalla parte del messaggio di Gesù, della Chiesa e della stessa storia, sarà messo in forma semplice e sintetica, cosi che ogni lettore possa trarre le proprie conclusioni.

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DALLA SOCIOLOGIA POLITICA ALLA “SOCIO-TEOLOGIA”: IL RACCONTO  SU DIO

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Partiamo allora dall’inizio, chiarendo anzitutto cosa pensa e che cosa trasmette Enzo Bianchi sul mistero della creazione. Se infatti la Chiesa Cattolica sostiene che:

«La santa Chiesa, nostra madre, sostiene e insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale della ragione umana partendo dalle cose create” [Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm., 3004; cf 3026; Conc. Ecum. Vat. II, Dei]. Senza questa capacità, l’uomo non potrebbe accogliere la Rivelazione di Dio. L’uomo ha questa capacità perché è creato “a immagine di Dio” [Cf Gen 1,27]» [1].

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Enzo Bianchi, prendendo spunto dagli scrittori critici verso la religione e la figura di Dio come Padre, nonché palesemente influenzato dal pensiero di Sigmund Freud, ci presenta la figura del Creatore come uno schema o sovrastruttura storico-politico-sociale:

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«[…] noi dobbiamo confessare che Paul Ricœur [2] aveva ragione quando diceva che soprattutto le istituzioni religiose avevano creato il fantasma del padre, modellando Dio Padre sovente sulla esperienza della paternità umana che gli uomini avevano fatto. Guardate, se c’è un errore terribile che ha ripercorso la storia della Chiesa è l’aver pensato di poter dire che Dio è padre a partire della paternità umana. Mentre in realtà avrebbe dovuto essere quella paternità divina narrata da Gesù che doveva ispirare, che doveva plasmare la paternità dei nostri genitori. È avvenuto esattamente il contrario. Ma questo ha fatto si che Dio assumesse davvero quel volto di padre-padrone. Quel volto, permettetemi di dire, di dio perverso […] quell’immagine di Dio che soprattutto negli ultimi secoli, sono stati più causa loro di ateismo di quanto lo siano stati movimenti e ideologie; che noi abbiamo accusato di essere forieri di ateismo. Io ne son convinto e lo dico sovente: ha creato più atei l’immagine paterna regnante nella Chiesa nel secolo scorso e nella prima metà di questo secolo, di quanto abbiano fatto l’ideologia marxista, la società industriale o la secolarizzazione. E noi dobbiamo aver il coraggio di dire questo. Perché veramente l’immagine paterna consegnata di Dio era quella di un padre-patrone, a volte di un padre perverso. Soprattutto nel suo rapporto con Gesù. Quel Padre che aveva voluto il sacrificio del figlio per soddisfare la sua collera e la sua ira perché in nome di una giustizia punitiva, qualcuno doveva scontare il peccato che segnava la storia. Per grazia noi oggi usciamo da questa stagione con molta difficoltà […] anche noi facciamo difficoltà a riconoscere Dio come padre. A un certo punto della nostra vita, noi sentiamo Dio come presenza esigente. Sentiamo la sua volontà come qualcosa che urta contro la nostra. Sentiamo la presenza di Dio come Colui che ci dice: c’è un limite per te, perché ci sono gli altri i tuoi fratelli. Ecco dove Dio si rivela Padre. E poi, attraverso i comandamenti, ci dice anche c’è una legge perché tu possa vivere l’amore con gli altri. E quando Dio ci mostra i limiti e la legge, noi sentiamo che il rapporto con Lui è come una prigione. Tentati dal male, sentiamo Dio come un nemico. Sentiamo la vita cristiana come una prigione. Ascoltare la sua voce è come una oppressione. Ecco il nostro bisogno di allontanamento. Vorrei dire che se ognuno di noi fosse davvero onesto dovrebbe dire che qualche volta ha sentito il bisogno di uccidere Dio. Anche di dimenticare Dio di fare a meno di Lui […] poi, soprattutto, guardate: c’è un pensiero che cresce in noi. soprattutto dall’adolescenza in poi. Noi pensiamo che Dio si Dio è buono, Dio è amore. Ma che questo Dio ci ama se siamo buoni; altrimenti ci castiga, non ci ama più. Preti, suore, mamme devote; tutte pronte a dirci un giorno a fin di bene: “guarda, che se stai buono Gesù ti vuol bene, Dio ti vuol bene. Ma se fai il cattivo non ti ama più”. Quante volte abbiam sentito questa parola. E l’unica, quando sentiamo questa parola, è dire nel cuore: Dio, perdona loro, non sanno quel che dicono. È così che poco a poco deformiamo il suo volto. È cosi che sentiamo Dio come padre-patrone […] ecco la simultaneità: da parte nostra peccato, inimicizia e empietà; da parte di Dio amore riconciliazione, perdono […] amore viscerale in cui non c’è traccia di giustizia retributiva. Dio la giustizia retributiva non la conosce. Questa è venuta dalla filosofia del diritto romano e si è insinuata nella Chiesa, nelle sue istituzioni e nella sua teologia. Ma non è il Dio della Bibbia […]. Quale volto tu riveli di Dio agli uomini, agli altri. Dimmi il volto di Dio che hai e ti dirò che tipo di uomo sei. Diceva Teofilo di Antiochia. Mostrami il tuo Dio e ti dirò che uomo sei; ma vale anche il contrario mostrami che umanità hai e ti dirò il Dio che tu hai»[cf. video QUI[3].

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È presto detto: questo Dio, nella figura del Padre, per Enzo Bianchi è la manifestazione psicoanalitica e socio-linguistica delle prime paure che l’uomo ha vissuto e che ancora oggi ha dentro di se a livello antropologico in quanto manifestazioni dei suoi istinti animali. Per quanto invece riguarda il corretto concetto di «giustizia retributiva», il bosiano non dovrebbe far altro che leggere le principali encicliche sulla dottrina sociale della Chiesa, a partire dalla Rerum Novarum del Sommo Pontefice Leone XIII [testo QUI], sino alla Centesimus Annus del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II [testo, QUI], per trovare adeguati chiarimenti ai propri stati di confusione, come quelli che sotto seguono:

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«La paura di Dio, quella che secondo la Bibbia è stata la prima paura che l’uomo ha esperimentato vi ricordate nel racconto della Genesi? Alla domanda di Dio: uomo dove sei? L’uomo ha risposto confessando ho udito la tua voce nel giardino Dio e ho avuto paura Genesi [3, 10]. Paura di un Dio che abbiamo chiamato nell’antichità; ma non pensate che ciò che abbiam vissuto nell’antichità non sian vissuto sotto altre forme oggi. L’abbiamo chiamato nell’antichità fatto, destino, necessità. La ananké dei greci. Padre padrone, giudice severo, legislatore onnipotente. Tutte proiezioni umane forgiate dal pensare Dio come necessità o come caso. Come destino o incomprensibile gioco di un mondo senza ragione. Disse bene Jacques Monod [4] per la mia generazione quando nel 1969 intitolò il suo libretto Il caso e la necessità. Da biologo, da osservatore aveva posto il problema su cui si gioca davvero la nostra libertà e la nostra capacità d’amore. Paolo VI diceva che la presenza di atei, di non credenti, di quelli che negano Dio in modo militante, dovrebbe innanzitutto non scandalizzare. Non diventare dunque un obiettivo avversario ma dovrebbe interrogare noi cristiani. Dovrebbe spingerci a domandarci: ma quale immagini di Dio abbiamo costruito e trasmettiamo agli altri? Perché la maggior parte degli uomini che dicono di non credere in Dio, non negano Dio, negano il Dio che noi cristiani mostriamo loro, che noi raccontiamo loro. Noi pervertiamo il volto di Dio. Noi stessi siamo presi della paura di Dio e trasmettiamo questa paura agli altri. Faccio solo un piccolo esempio: basta che un cristiano dica, sentite affermazione comune e normale, nello spazio cristiano. Basta che un uomo dica che l’amore di Dio va meritato ed ecco l’immagine di Dio perversa, che non lascia nessuna speranza. Noi cristiani con molta umiltà, ma anche con fierezza dovremmo semplicemente ritornare ad ascoltare le scritture e al cuore il Vangelo che è Gesù Cristo, e Gesù Cristo che è il Vangelo. Il Vangelo, spero comprenderete questa mia affermazione. Testimonia che Gesù ha evangelizzato Dio. Non nel senso che Gesù è andato a predicare a Dio la buona novella. Ma nel senso che Gesù ha saputo rendere Dio evangelo, buon notizia. Perché sovente il Dio che è stato predicato anche delle pagine dell’Antico Testamento può essere recepito dagli uomini come cattiva notizia, non come fonte di speranza e di pienezza di vita. Il Prologo di Giovanni si conclude: Dio nessuno lo ha mai visto, nessuno, ma il figlio Gesù, Exeghésato, parola greca che indica [che Gesù] c’è ne ha fatto l’esegesi la narrazione il racconto autentico. Ecco allora che alla speranza cristiana risuona con quelle parole del grido Pasquale: Non abbiate paura. Non abbiate paura. Perché Gesù di Nazareth il Crocifisso è risorto. È questo l’esito di tutti i vangeli che ci vogliono raccontare Gesù […] e come la si può declinare ai non cristiani fino a intrigarli? Basta dir loro che quando noi cristiani diciamo Risurrezione, vogliamo soprattutto dire in termini non teologici ma umanissimi che ogni uomo può capire, che sia credente o no che l’amore vince la morte. Perché proprio la scrittura che ci annuncia un duello con la morte, che non è duello della vita contra la more; ma duello dell’amore vissuto, non un amore astratto, non una idea; ma un amore vissuto fatto carne e ossa in una persona che è degno di combattere contro la morte e di vincerla. La fede in Gesù uomo come noi ma figlio di Dio ci fa dunque credere e separare con la speranza della speranza. E se l’amore vissuto da Gesù che ha vinto la morte, allora comprendiamo perché al termine del Nuovo Testamento vi sia l’affermazione mai fatta prima in tutte le scritture, affermazione ultima e definitiva dopo la quale non c’è ne sarà un’altra, quando, nella Prima Lettera di Giovanni: Dio è amore. Non il destino ma la libertà. Non il caso ma l’amore possono illuminare la nostra vita darle senso facendo cessare ogni paura del fatto, della necessità, della morte. Paura che ci schiavizzano e ci alienano. Si tratta cogliere Gesù Cristo come l’uomo che ha narrato Dio e come il Dio che da senso alla nostra povera vita umana. Questa vita quotidiana che è un mestiere. Che facciamo tanta fatica a vivere tutti. Ma che se illuminata dalla speranza, la quale nasce sempre dallo sperare insieme, dalla solidarietà, dalla comunione. Può dare ai nostri giorni effettivamente un senso»[cf. video QUI[5].

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Dopo questa esposizione, vediamo cosa insegna la Chiesa attraverso il Catechismo:

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«In molte religioni Dio viene invocato come “Padre”. Spesso la divinità è considerata come “padre degli dèi e degli uomini”. Presso Israele, Dio è chiamato Padre in quanto Creatore del mondo [Dt 32,6; Ml 2,10]. Ancor più Dio è Padre in forza dell’Alleanza e del dono della Legge fatto a Israele, suo “figlio primogenito” [Es 4,22]. È anche chiamato Padre del re d’Israele [2Sam 7,14]. In modo particolarissimo Egli è “il Padre dei poveri”, dell’orfano, della vedova, che sono sotto la sua protezione amorosa [Sal 68,6]. Chiamando Dio con il nome di “Padre”, il linguaggio della fede mette in luce soprattutto due aspetti: che Dio è origine primaria di tutto e autorità trascendente, e che, al tempo stesso, è bontà e sollecitudine d’amore per tutti i suoi figli. Questa tenerezza paterna di Dio può anche essere espressa con l’immagine della maternità, [Is 66,13; 239; Sal 131,2] che indica ancor meglio l’immanenza di Dio, l’intimità tra Dio e la sua creatura. Il linguaggio della fede si rifà così all’esperienza umana dei genitori che, in certo qual modo, sono per l’uomo i primi rappresentanti di Dio. Tale esperienza, però, mostra anche che i genitori umani possono sbagliare e sfigurare il volto della paternità e della maternità. Conviene perciò ricordare che Dio trascende la distinzione umana dei sessi. Egli non è né uomo né donna, egli è Dio. Trascende pertanto la paternità e la maternità umane, [Sal 27,10] pur essendone l’origine e il modello: [Ef 3,14;  Is 49,15] nessuno è padre quanto Dio» [6].

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La figura di Dio-Padre è quindi ridotta nella narrazione di Enzo Bianchi a un prodotto della soggettività, ciò sia nella animalità, sia nella sfera delle paure sia come sovrastruttura storico-sociale. Per un altro verso la narrazione di Enzo Bianchi trasmette in forma chiara e inequivoca che solo nella narrazione di un altro uomo, chiamato questa volta Gesù, si svela il volto, il significato e la fonte di ciò che alla fine potrebbe essere invece definito il Dio “amore”. Discorso bello ma comunque non immune alla critica di una edulcorata forma di agnosticismo o di immanentismo storicista e ateo [7]. Queste enunciazioni risentono inoltre dell’eresia marcionita, ma nel senso più peggiorativo del termine, perché non solo il Bianchi distingue il Dio padre-padrone severo e punitore dell’Antico Testamento dal Dio buono essenza d’amore del Nuovo Testamento, perché contrariamente al vescovo eretico Marcione [Sinope 80 – Roma 160], nel bosiano l’amore e la bontà sono riferite non a Cristo Dio, in modo trascendentale o metafisico, ma solo a Gesù uomo. Pertanto, il Bianchi, accentua e amplia la stessa eresia di Marcione dimostrando con parole documentate, pubblicamente espresse e filmate, quanto il suo pensiero ereticale sia un autentico e pericoloso ammasso di vecchie eresie di ritorno, simili nella sostanza, ma molto peggiorate nella loro forma.

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Prosegue Enzo Bianchi …

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«Dio per avere qualcosa che non fosse divino si è ritirato per lasciare posto al mondo, il mondo nella sua profondità. Il mondo non è divino, il mondo è creatura, il mondo è alterità, il mondo è davvero un partner di fronte a Dio che può dire a Dio no, non è obbligato a dire si. Ecco la grandezza che ci vogliono dire questi racconti di Dio. Dio ha creato un mondo autonomo da Lui. Noi uomini possiamo dire a Dio “tu non ci hai creato, noi non crediamo in te”. Tu per noi sei niente. Noi ti neghiamo. E lui che ci ha creati non può far altro che accettare il nostro rifiuto dell’alterità questo è lo straordinario» [8].

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Enzo Bianchi, con queste affermazioni che definire confuse sarebbe solo eufemismo, confonde in modo pericoloso la libertà ed il libero arbitrio dell’uomo con l’indifferentismo di Dio, sostenendo di fatto le principali tesi degli esponenti della “teologia della morte di Dio”, nascoste però dietro le sue parole. Quasi come se Dio si fosse ritirato indifferente dinanzi al peccato originale, come se nel corso dell’esperienza vetero testamentaria non avesse più volte ristabilita la propria alleanza con il Popolo d’Israele. E dinanzi all’immagine di questo Dio indifferente che si ritira da un «mondo non divino», il Bianchi come intende leggere l’incarnazione del Verbo Divino che diviene l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo [cf. Gv 1, 29-36]? La verità, di fatto, è che Enzo Bianchi, adottando criteri puramente socio-politici post-illuministici, ci presenta la figura di una sorta di dio laico che pare uscito proprio dalla penna di Voltaire.

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UN SAGGIO DI CHI È L’ERETICO BIANCHI “BIBLISTA”, CHE OFFRENDO UNA LETTURA ATEO-MARXISTA-FREUDIANA AFFERMA: «NELLA BIBBIA NON C’È  NESSUN PECCATO ORIGINALE»

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Questo afferma Enzo Bianchi …

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«La Bibbia può interessare tutti. Perché vorrei quasi capovolgere quello che normalmente si pensa: tutti pensano che la Bibbia sia un libro su Dio. No. La Bibbia invece è un libro sull’uomo. ci dice ciò che Dio pensa dell’uomo. Non è tanto un libro su Dio, ma ci vuol dire la visione il pensiero di Dio sull’Uomo e quando uno fa il cammino di cercare Dio quaererae Deum in realtà cerca l’uomo questo deve essere detto con chiarezza perché e in questo senso che la Bibbia serve al credente come una via come un cammino da seguire […] il cammino è quello di una umanizzazione. C’è la sapienza all’interno della Bibbia, una sapienza distillata di mille anni. Pochi se ne rendono conto, ma la Bibbia, soprattutto per noi cristiani, è una biblioteca, perché contiene settantadue libri scritti sull’arco del tempo di mille anni almeno. se non mille cento. E comunque le vicende, i racconti che racconta, sono più di un millennio. È stata scritta in tre lingue: ebraico, aramaico greco. È stata scritta in una zona, in una regione che va da Babilonia, l’attuale Iraq, fino a Roma. Dunque è veramente un crocevia di esperienze di ricerche di genti e questo fa dire che la Bibbia contiene una sapienza umana, queste sono tutte le ragioni per cui vale la pena, secondo me, di leggerla, di scrutarla, di pensarla, di meditarla, perché ne va di mezzo la nostra qualità della vita e la nostra umanizzazione, soprattutto per noi in occidente» [cf. video QUI[9].

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Per lo schema di valutazione di Enzo Bianchi riguardo ciò che è vero e falso, buono e cattivo, giusto e non giusto, si impone la supremazia della cultura o della produzione scritta e parlata dell’uomo, quindi la Bibbia non possiede e non può possedere in sé nessun altro valore che quello della testimonianza di secoli e secoli di tradizioni liturgiche e morali di diverse civiltà vissute nel Medio Oriente. In queste parole del Bianchi risuona il divertente ma pericoloso giro di parole di una storiella della cultura yddish dell’Ottocento: «L’uomo ha creato Dio che ha creato l’uomo, affinché poi, entrambi, fossero felici». Espressione che richiama l’asserto di uno dei diversi autori molto citati dal Bianchi, il tedesco Ludwig Feuerbach, discepolo di Friedrich Hegel, il quale afferma: «non è Dio che ha creato l’uomo, ma l’uomo che ha creato Dio» [10]. In fondo, se ci pensiamo bene, la satanicità del Bianchi consiste proprio in questo: seminare dietro le parole apparentemente paludate e sempre di prassi intrise di amorosità, i pensieri più venefici di questi autori. E questi sono fatti, non sono processi alle intenzioni dell’eretico Enzo Bianchi.

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«La Bibbia contiene, come uno specchio in cui noi possiamo avere dei barlumi di verità ma la verità è oltre lo scritto, è oltre il testo non può mai essere ridotto ne ad una formula ne ad un concetto che per quanto dica la verità è un concetto culturale espresso in parole umane, espresso in linguaggio umano espresso in immagini umane. La verità trascende sempre questo»[cf. video QUI[11].

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… e prosegue:

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«Attenzione nella bibbia non c’è nessun peccato originale. Lo sapete, questo fa parte della teologia, nella Bibbia non c’è nessun peccato originale. Ci sono differenti peccati tra il capitolo terzo e il capitolo decimo. Diversi peccati. Che vogliono risposte a delle domande che gli uomini si facevano e che gli uomini si fanno. La prima domanda voi sapete che ci facciamo quando noi cominciamo ad avere una certa consapevolezza di stare al mondo la prima cosa che vediamo e che i nostri genitori litigano tra di loro, che il padre e la madre litigano tra loro. E cominciamo a capire che c’è un urto che c’è una difficoltà tra uomo e donna e ci chiediamo perché? […] e come è possibile che la vita di un fratello venga fuori attraverso dei dolori e delle urla così della madre? Perché il parto nel dolore? E poi il padre che va a lavorare torna stanco, qualunque lavoro stanca e perché il lavoro è cosi alienante degradante? Ecco erano le prime domande. E per rispondere a le prime domande si comincia a dire che, insomma, gli uomini quando hanno cercato di entrare in relazione con le cose han finito subito per fare delle scelte sbagliate. Tutto è un linguaggio mitico. Attenzione lo capite bene, siamo sui testi di quattro millenni fa forse con delle radice ancora più antiche certamente non c’erano le scienze storiche non c’era neanche le scienze umane tanto meno la possibilità di fare una lettura psicologica delle cose. Anche i greci più tardi non sapevano farla, il problema che ogni ragazzo ha con suo padre e sua madre non sapeva mica dirlo, come dirà Freud; ma anche Freud ha dovuto dire che il complesso di Edipo era ancora eventualmente un mito dei greci, un racconto con cui i greci dicevano quello che non erano capaci a dire a livello scientifico. E allora, vedete, noi abbiamo questo racconto Dio che da tutti gli alberi di questo luogo all’uomo, tutti, tutti da mangiare, pensate milioni di alberi, e gli dice però: guarda. uno no. Cioè pone un limite. Pensateci bene. È una cosa molto semplice: quello che vien chiamato peccato originale, non andate a cercare tante storie come quelli che non vogliono leggere nella sua verità, e che non lo leggono […]. Perché a te Adamo il limite che c’è  vi ci metto una donna. E per te donna il limite è che c’è vicino a te un uomo. E dal giorno che siete due il mondo non è più totalmente vostro. Se Adamo era solo, se la donna era sola tutto il mondo era suo […] Ma l’uomo dentro di sé nella sua ansia di vivere, sopravvivere ad ogni costo vuole tutto e subito. E allora sente questo limite di un albero su milioni come frustrazione e, mettendosi in rapporto semplicemente con il cibo; quel cibo, non andate a pensare che quella mela fosse chi sa cosa. Ci si son divertiti tutti a pensare cosa era quella mela … Semplicemente il rapporto con il cibo, c’è da mangiare, ma se c’è un altro, io non posso mangiar tutto. E invece ecco che a quel momento c’è il turbamento del rapporto tra l’uomo e la donna […] E hanno cominciato a litigare. E da quel momento ecco che poi, sotto forma di decreti di Dio, si dice che Dio ha detto alla donna: ecco tu cercherai di lottare contro tuo marito. ma tuo marito ti sottometterà. perché il risultato d’allora era il patriarcato. Se in quell’epoca ci fosse stato il matriarcato. si sarebbe detto ad Adamo: il tuo istinto è verso tua moglie. ma lei ti sottometterà. Sono i frutti del tempo questi qui, né più né meno. Poi si dice che Dio ha maledetto la terra con sudore […] insomma, tutto male, è la prima risposta. Altro problema al capitolo quattro: ma come è possibile che tra fratelli si arrivi al suicidio? Vedete, il primo rapporto che ognuno di noi ha con i genitore è il primo rapporto che scopriamo. Ma poi, man mano, scopriamo se abbiamo dei fratelli subito e vediamo che litighiamo con loro. Il problema di Abele e Caino. A un certo punto Caino uccide Abele. Si arriva a odiarci tra fratelli […] è chiaro che tutto questo vien letto anche a livello sociale: c’è un Caino che è agricoltore e un Abele ch’è pastore; con ogni probabilità siamo in un momento in cui la classe dei pastori è soppiantata dalla classe degli agricoltori. Voi sapete, poi, gli agricoltori saranno assolutamente soppiantati dagli operai e gli operai sono attualmente soppiantati da quanti sono nel terziario … la cosa continua. nessuna novità: le classi sono sempre l’una declassata dall’altra […]. Dopo di che viene narrato un tentativo anche nei confronti di Dio. Con linguaggio mitico strano si dice che i figli di Dio e i figli degli uomini si sono accoppiati, cioè un tentativo di mettere Dio in mano all’uomo. questi esseri divini, questi riti, con ogni probabilità sessuali, che avvivano nelle antichità, come voi sapete, a forme di prostituzione sacra che abbondava in tutto Medio Oriente e che erano ancora praticate a Roma; erano ancora praticate durante l’impero. Insomma, c’erano degli accoppiamenti all’interno del tempio tra uomini  e donne coi sacerdoti e si dicevano che erano accoppiamenti con Dio […]. Arriva il diluvio. cioè l’uomo ha prodotto il male ha prodotto una condizione mortifera. insomma si vuol dire. certo sotto categorie di un tempo di castigo divino. ma semplicemente che se l’uomo invoca la strada della morte la trova. Chi fabbrica la morte se la trova addosso non si vuol dire altro. Cercate di decodificare questo linguaggio antico un po’ neif un po’ ingenuo. ma che rispecchiava quello che avveniva esistenzialmente nelle famiglia […] E poi ecco a un certo punto quasi un nuovo inizio una nuova umanità. Con noi, dopo il diluvio. E da quel momento allora il dividersi di questa umanità in tante terre, un tentativo di questo umanità di ergersi contro il cielo a Babele, fare una torre che sia una sfida a Dio, darsi un nome, creare un potere totalitario. Una umanità, una sola nazione, un solo potere, un solo re, una sola capitale. Dio, certamente, dice il testo, disperde, perché Dio non vuole il totalitarismo, vuole la differenza. Anche questo mi permetto da dire è difficile capirlo perché noi, invece, soprattutto noi cattolici, abbiamo sempre pensato che quando tutto è uguale, tutto è molto meglio … èh no!  All’interno della Bibbia non c’è unità, se non attraverso la pluralità. L’unità, per essere buona, deve essere plurale, Dio vuole una umanità diversa, con lingue diverse, con culture diverse, con uomini diremmo, di etnie e di razze diverse. Questo è quel che vuol dire, non vuole il sogno totalitario di una unità uniforme perché questo impoverisce l’umanità. »[cf. video QUI[12].

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Proprio così: «Nella Bibbia non c’è nessun peccato originale». In pratica c’è solo un racconto, per così dire: mitico. Un racconto che narra come l’uomo, creato più perfetto degli angeli, si ribella a Dio, usando la propria libertà ed il proprio libero arbitrio, rompendo così l’intera armonia del creato e facendo entrare nel mondo il dolore e la morte. Però, si presti bene attenzione … «Nella Bibbia non c’è nessun peccato originale» (!?). Perché questo peccato originale prenderà vita non da quanto di chiaro narra il Libro della Genesi, ma nascerà, secondo l’eretico Enzo Bianchi, da pure categorie teologiche.

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Sorprende veramente che da quella platea di ascoltatori nessuno si sia levato in piedi per domandare: “E la teologia, da dove tira fuori il peccato originale, posto che «Nella Bibbia non c’è nessun peccato originale»?”. Che cosa fa, la teologia, se lo inventa, lo desume, oppure prende semplicemente atto di ciò che il Libro della Genesi veramente narra?

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E prosegue …

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«Diciamo che il canone del Nuovo testamento, sembra impossibile, ma non ha avuto un sinodo come il sinodo di Javne attorno al novanta fatto dai rabbini dopo la distruzione di Roma da parte dai Romani, i quali hanno fatto una lista. Noi, per dire il vero, per avere una vera lista dei libri del Nuovo Testamento a livello diciamo così magisteriale, dobbiamo addirittura arrivare al Concilio di Trento. Per noi cattolici,  in realtà, noi abbiamo a metà del secondo secolo il canone Muratori che è un documento trovato appunto dal Muratore il quale da una lista che è quella del Nuovo Testamento che noi possediamo, ma non è una lista con autorità, diciamo così, la tradizione l’ha accolta, ma anche con tempi diversi. L’apocalisse di Giovanni, nella Chiesa Cattolica, la grande chiesa di oriente si è dovuta attendere al quarto secolo prima che venisse letta nella liturgia e davvero ritenuta parte del Nuovo Testamento. Quindi c’è stata una certa oscillazione e proprio anche per questo, a un certo punto, la riforma fatta da Lutero non ha messo in discussione il canone, ma quasi è stata tentata di fare un canone nel canone tradizionale, ed è li che il Concilio di Trento ha risposto alla Riforma Protestante facendo la lista dei ventisette libri che noi abbiamo tutt’ora e che oggi tutte le Chiese accettano come Nuovo Testamento»[cf. video QUI[13].

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Benediciamo pertanto Lutero e quella che Enzo Bianchi — e non solo — non chiamano “eresia” e “scisma”, ma “Riforma”. Infatti, senza la grande riforma dell’altrettanto grande riformatore Lutero, la Chiesa Cattolica, che per secoli la Bibbia l’ha tenuta nascosta e che anzi ne ha persino proibita la lettura ai fedeli — come insegnano e affermano Bianchi e affini —, non avrebbe fatto neppure  «la lista dei ventisette libri che noi abbiamo tutt’ora e che oggi tutte le Chiese accettano come Nuovo Testamento». Perché tra l’altro, secondo il lessico del bosiano, anche l’ultima delle sètte eretiche nate negli Stati Uniti d’America sul finire dell’Ottocento dalla scissione della scissione della scissione dall’originario nucleo ereticale luterano, merita a pieno diritto il titolo di “Chiesa”. Oggi infatti, il termine “Chiesa”, non è più collegato alla teologia paolina [cf. Col 1, 12-20] né al giovanneo princìpio unitario [cf. Gv 17, 20-26], è solo è null’altro che un termine puramente tecnico per indicare vie diverse per sentire e per vivere lo stesso messaggio o testo. Da sempre infatti, la decostruzione della fede, parte dallo svuotamento delle parole dal loro vero significato filosofico, teologico ed ecclesiologico. E di questo, il Bianchi, è un diabolico maestro [si rimanda all’articolo di Ariel S. Levi di Gualdo: Babele e la neolingua, testo QUI; ed alla sua conferenza: Il problema del linguaggio dottrinale e la neolinga dei nuovi teologi, QUI].

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LA SOCIO-IDEA DI CRISTIANESIMO IN ENZO BIANCHI

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Nelle sue conferenze e scritti Enzo Bianchi — come “figlio del suo tempo”, ossia come anziano che ha vissuto la sua giovinezza tra le guerre e dopo di esse nella maturità — narra e rivela la malvagità alla quale arrivarono gli stessi uomini; frutto più di una memoria addolorata che urla senza mai stancarsi sulla domanda senza risposta di com’è possibile Dio, se esiste il male? [14].

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«Tutto cambia nel cristianesimo, voi capite che lì, davvero, noi apriamo qualcosa che non appartiene al mondo delle religioni. Io ho grande rispetto per le religioni, ma vi devo dire mi fanno  paura tutti quelli che temono le religioni, che temono la concorrenza del Libro. Sono persone che non hanno fede, se avessero un po’ di fede, non si può temer la concorrenza tra l’unica fede che ci parla dell’uomo e tutte le altre, che se va bene ci parla di un dio trascendente che sta nei cieli e che dobbiamo far degli sforzi per renderlo buona notizia. Non è possibile, non è possibile. Se uno ha fede e c’è l’ha, la fede cristiana, Gesù Cristo è exeghésato, come dico sempre io che amo. È Lui che ci ha narrato Dio, Quel che possiamo sapere di Dio lo sappiamo solo attraverso il Gesù Cristo e ciò che Gesù Cristo non ha vissuto come uomo di Dio noi non lo sappiamo, e se qualcuno dice qualcosa che Gesù non ha detto e non ha fatto, io non son tenuto assolutamente a credere. Questo è il cristianesimo, altrimenti noi siamo in questo mare delle religioni in cui la religione prevale sulla fede» [cf. video QUI[15].

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Per Enzo Bianchi il messaggio del cristianesimo deve perdere la sua forma di tragedia con la sempiterna presenza dominatrice e negativa di qualcosa o qualcuno che era nominato con i concetti o di  dio o di Padre; per trasformarsi in una commedia romantica, o più sinceramente in un monologo che potrebbe recitare anche lo stesso Narciso innamorato di se stesso …

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DIXIT BIANCHI: IL CRISTIANESIMO «NON È UN MONOTEISMO IN PROFONDITÀ, È L’ESPERIENZA DI GESÙ CRISTO CHE HA NARRATO DIO»

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Afferma Enzo Bianchi …

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«La mia convinzione è che un vero cristiano deve parlare meno, molto meno di Dio, è capire che questa parola di Dio è una parola terribilmente ambigua. Nel primo e nel secondo secolo dopo Cristo, quando il cristianesimo si dilatava e non era ancora cristianità, quelli che non erano ancora i Padri della Chiesa ma erano quelli che cercavano di far capire il cristianesimo al mondo pagano greco romano; dicevano e avevano il coraggio di dire queste parole. Attenzione, sono dei Padri, sono Sant’Ippolito per intenderci, i quali dicevano: Dio è una parola ambigua, oppure Dio è una parola che è vuota perché ognuno in Dio fa una proiezione di quello che lui desidera, di quello che lui vuole. Ecco, voi pensate come nel cristianesimo invece, per secoli, con la cristianità il primo posto era dovuto a Dio e anche l’insegnamento la trasmissione della fede era su Dio. Ho il coraggio di dire che ancora io da piccolo ho ricevuto come eredità una fede in Dio assolutamente, non in Gesù Cristo. Il Vangelo non era assolutamente insegnano a qualcuno: gli si permetteva forse di leggere il vangelo? […] Ora, il cristianesimo si è costruito fino a diventare deismo e Pascal … voi lo sapete, ma Pascal non ha mai goduto di buona fama nel cattolicesimo. E Pascal diceva con maggiore probabilità migliori gli atei che non i teisti, cioè quelli che parlano sempre di Dio e pregano in Dio. Ecco, io son convinto che la parola Dio è una parola ambigua, una parola vuota, una parola oggi usata per significare la concorrenza tra i tre monoteismi. Mentre invece il cristianesimo non è un monoteismo, alla fin fine in profondità. E non ha bisogno di nessuna concorrenza, né con l’Ebraismo né con l’Islam. Perché il cristianesimo è nient’altro che Gesù Cristo che ha narrato Dio. Basta exegézaton Giovanni 1, 18. Dio resta come lo abbiamo mai visto. Cristo. Nessuno meglio del Torah. E ognuno di noi, quando pensa a Dio, pensateci bene: fa delle proiezione. Per cui ogni tanto sentiamo dire ma il Dio dell’Islam è mica il Dio Cristiano. Si, nominalmente dice si; perché Maometto si riferiva al Dio di Abramo di Isacco e di Giacobbe. Al Dio di Gesù Cristo. Ma la parola è talmente vuota. Per cui in Dio si può mettere qualunque contenuto e io credo che anche la grande attenzione, la grande battaglia all’ateismo è stata molto sbagliata. I primi cristiani avevano il coraggio, voi lo sapete, di non temere, di non vergognarsi se venivano chiamati atei. I pagani i chiamavano atei. Abbiamo tutta la testimonianza dei padri apologetici e dicevano si. Perché noi siamo senza Dio, siamo senza Ara, l’altare non c’è l’abbiamo e senza tempio. Questo ha una sua verità. Dio è una parola ambigua meno ne parliamo meglio è. E per noi cristiani, credo a livello di fede profonda, dovrebbe valere di più la parola di Gesù: nessuno può andare a Dio se non attraverso di me. Che non è la pretesa folle di un uomo ma è dire: io con la mia umanità, la mia umanità niente altro che la mia umanità. Vi ho dato delle tracce per muovervi sulle tracce di Dio. Non chiedetevi tanto l’identità di Dio non chiedetevi tanto il volto di Dio guardate come ho vissuto. Nel mio vivere che è amore; infatti perché si è arrivato a dire che Dio è agape e lo si è detto solo dopo Gesù Cristo ha avuto il coraggio di dirlo quell’apostolo che non sappiamo se è Giovanni, ma poco importa; ma che è arrivato a questa espressione Dio è agape, ciò che mai nella Bibbia lo trovate prima, ma perché Gesù ha raccontato l’amore fino alla fine, niente altro quello, e ha detto quella è la faccia del divino. Per cui, nel commentare queste quattro parabole effettivamente è un raccontare l’amore di uomini e di donne, è raccontare l’amore di un uomo, Gesù di Nazareth, però per me sono le uniche tracce per andare a Dio. A tal punto che io dico: dopo il comandamento di Gesù che lui ha chiamato nuovo, ma vuoi sapete tutti che in greco nuovo significa ultimo e definito, non significa nuovo rispetto a qualcosa che c’era prima. Il comandamento che riassume tutto è amatevi tra di voi gli uni agli altri […] Gesù invece dice: come io ho amato voi, non dice voi amate. Questo lo fa dire ai suoi ministri. Ma come io ho amato voi, voi amatevi gli uni gli altri. Il comandamento risulta davvero rivolto non all’amante che deve essere riamato, ma tutti ben amati dagli altri. Questo secondo me è davvero una rivoluzione […] tutto questo nasce sì dall’ascolto del Vangelo ma da tutto quello che io ho ascoltato da uomini e donne che mi han detto soltanto quanto è duro il mestiere di vivere, niente altro […] Questa è l’eclissi di Dio che io opero ma non per negarlo, non per dire che è morto, ma per dire che c’è un’altra strada per andare a lui che è la nostra umanità piena, concreta. I nostri sensi, perché tutto quello che viviamo spiritualmente deve passare attraverso i nostri sensi. Toccare, vedere, sentire, gustare, odorare. Se non passano attraverso questi sensi non c’è nessuna spiritualità, non c’è nessuna ricerca di Dio c’è un immaginario fantasioso e alienante» [cf. video QUI[16].

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Enzo Bianchi, appoggiandosi in una lettura contorta dei testi dei Padri della Chiesa, incapace di accettare tutto quello che sia relazionato direttamente o indirettamente con Dio, confondendo la critica del pensatore Blaise Pascal verso la razionalizzazione fatta a Dio dal  teismo e della religione naturale sviluppata nell’Europa post-rinascimentale, vuol trasmettere — e forse far divenire — chi lo legge e lo ascolta, un seguace rivoluzionario di un movimento nato sulla testimonianza di Gesù, un semplice uomo che trascorse la sua vita facendo del bene per gli altri.  Quindi, il cristiano, deve smettere di depositare la sua fiducia ed il suo credere in concetti “vuoti” o non tangibilmente dimostrabili come lo sono Dio, religione, dogmi … per configurare la sua fiducia, il proprio credere, il proprio senso morale e la sua spiritualità, nella narrazione dell’amore fraterno, che è il vero senso della vita, morte e testimonianza lasciata da Gesù.

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L’amore e l’uomo diventano quindi gli elementi fondanti del racconto di Enzo Bianchi. Due concetti che hanno svelato e rivelato la vera essenza dell’enigma che veniva pronunciato e descritto nella figura eminente di Dio. Adesso, nel nostro tempo presente, questa narrazione si fa, si crea e si vive, ed è una “via” — come piace dire a Enzo Bianchi — nella ricerca e nel vissuto della comprensione dell’uomo con se stesso in quella che sarà l’umanizzazione …

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… per alleggerire quindi la tragica e grave pesantezza di questi testi, potremmo citare il film Amici Miei, ormai inserito nella storia del cinema italiano, quando il Conte Mascetti parla della «supercazzola prematurata con scappellamento a destra» [cf. QUI].

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DIALOGARE SULLO SPIRITO SANTO CHE ANZITUTTO NON PROCEDE DAL PADRE E DAL FIGLIO, COME RECITA L’ARTICOLO DI FEDE

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Da un evento passato, tal è stata la vita di uno uomo singolo, esiste un altro evento determinante per comprendere la narrazione fatta da Enzo Bianchi: il Concilio Vaticano II. Il primo evento fu da un uomo solo, Gesù Cristo, questo secondo evento è dell’uomo in comune. In questo evento comunitario sono rinnovati e ripresi concetti e aspetti che prima erano stati dimenticati, come nel caso dello Spirito Santo, sul quale il Bianchi ci dona queste autentiche perle, che necessitano però di una doverosa premessa. Prima di dare voce alla pneumatologia del bosiano, vediamo cosa insegna la Chiesa sullo Spirito Santo:

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«La fede apostolica riguardante lo Spirito è stata confessata dal secondo Concilio Ecumenico nel 381 a Costantinopoli: “Crediamo nello Spirito Santo, che è Signore e dà vita; che procede dal Padre” [Denz.-Schönm., 150]. Così la Chiesa riconosce il Padre come “la fonte e l’origine di tutta la divinità” [Concilio di Toledo VI (638): Denz.-Schönm., 490]. L’origine eterna dello Spirito Santo non è tuttavia senza legame con quella del Figlio: “Lo Spirito Santo, che è la Terza Persona della Trinità, è Dio, uno e uguale al Padre e al Figlio, della stessa sostanza e anche della stessa natura… Tuttavia, non si dice che Egli è soltanto lo Spirito del Padre, ma che è, ad un tempo, lo Spirito del Padre e del Figlio” [Concilio di Toledo XI (675): Denz. -Schönm., 527]. Il Credo del Concilio di Costantinopoli della Chiesa confessa: “Con il Padre e con il Figlio è adorato e glorificato” [Denz.-Schönm., 150] La tradizione latina del Credo confessa che lo Spirito “procede dal Padre e dal Figlio [Filioque] ”. Il Concilio di Firenze, nel 1439, esplicita: “Lo Spirito Santo ha la sua essenza e il suo essere sussistente ad un tempo dal Padre e dal Figlio e procede eternamente dall’Uno e dall’Altro come da un solo Principio e per una sola spirazione. E poiché tutto quello che è del Padre, lo stesso Padre lo ha donato al suo unico Figlio generandolo, ad eccezione del suo essere Padre, anche questo procedere dello Spirito Santo a partire dal Figlio lo riceve dall’eternità dal suo Padre che ha generato il Figlio stesso” [Concilio di Firenze: Denz.-Schönm., 1300-1301]» [17].

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Ciò premesso vediamo adesso come Enzo Bianchi, al di là e al di sopra del Catechismo della Chiesa Cattolica, parla della pneumatologia:

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« … ma dopo il Concilio [Vaticano II] non si può dire che lo Spirito Santo è l’assente o lo sconosciuto nella Chiesa Cattolica. Perché in realtà, credo che la nostra fede abbia preso un’apertura a questo tema grande, che certamente non ha conosciuto nel passato. A livello oserei dire di predicazione di catechesi ormai lo Spirito Santo è una presenza. Nella vita spirituale cristiana, ho l’impressione invece che non ci sia sufficientemente una attenzione a questa operazione che avviene in noi e che è l’essenziale sia nel nostro sforzo di conformità a Cristo, sia nello nostro sforzo di andata verso Dio Padre. È lo Spirito Santo il grande protagonista di tutto questo. E noi non ne siamo sovente molto cosciente. Certamente è per me una grazia non è una critica, il cristianesimo occidentale pone al centro Cristo, con una centralità che per me è davvero straordinaria e vi dico subito perché: perché nella misura in cui pone al centro Cristo, questo Cristo significa il Vangelo. E con una formula che dico e ridico ossessivamente ultimamente. Per me Gesù Cristo è il Vangelo e il Vangelo è Gesù Cristo. Non c’è un altro Cristo […] noi dobbiamo mai disgiungere lo Spirito della Parola. Guardate tutte le patologie della storia della Chiesa, sono avvenute a chi ha separato o ha tolto questo equilibrio di Spirito e la Parola. Che soprattutto l’oriente ha conservato […] Sono una realtà inseparabile. Se voi disgiungete Cristo e lo Spirito voi avete due risultati: solo Cristo è l’integralismo, è veramente a un certo punto il prevalere alla fin fine delle istituzioni, di nient’altro. Se voi mettete l’accento solo sullo Spirito avete la deriva illuminata. Attenzione, non c’entra nulla con l’illuminismo. Sto pensando a tutta la deriva nell’ambito protestante degli illuminati [Ndr. sono citati due nomi incomprensibili nella registrazione video] … e gli altri. Se volete una deriva già accennata in occidente ohimè con Gioacchino da Fiore. Se si finisce per dire ad esempio che lo Spirito è quello che ormai prevale e che questa è l’ora dello Spirito togliendo che l’ora dello Spirito è dello Spirito di Cristo. Non un altro Spirito […] Lo Spirito è lo Spirito di Cristo e in questo senso la Chiesa Cattolica secondo me, ha delle ragioni quando parla che lo Spirito il quale procede dal Padre e dal Figlio. Attenzione quando la Chiesa fece questo nel mille, lo fece senza un concilio. Lo fece sotto pressione degli imperatori tedeschi. E fu una sciagura. Perché non si può cambiare il Credo senza un concilio con la Chiesa di Oriente. E la Chiesa di Oriente anche per questo si distaccò. Certo le ragioni sono sempre politiche, storiche, culturali. Si è separata da noi. Però al di là della processione che poi oggi è distinta, tra quella che è la processione ontologica dalla processione invece economica nella storia. La Chiesa Cattolica comunque aveva una preoccupazione: dicendo che lo Spirito Santo procede anche dal Figlio. Che era quella da dire: è comunque anche del Figlio. Non è autonoma dal Figlio. È lo Spirito di Cristo. Anche se indubbiamente dobbiamo dire: procede dal Padre. E non è vero che procede dal Figlio. Il Figlio per inviarlo nella storia lo ha chiesto al Padre: Io chiederò al Padre il consolatore il quale verrà. Il Cristo ha fatto epiclesi. Ma era il suo Spirito che dava alla Chiesa. Non uno Spirito autonomo da lui […] lo Spirito Santo ci dice il non rappresentabile di Dio. Noi possiamo immaginarci una figura del Padre e del Figlio come è avvenuto. Dello Spirito Santo, no. Perché lo Spirito Santo non lo si può né trattenere, né afferrare. Non ce l’ha una icona definita»[cf. video QUI] [18].

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In questo sproloquio torrenziale, Enzo Bianchi dimostra di essere, oltre a un non-biblista e a un non-teologo, un soggetto intriso di crassa ignoranza nella storia della Chiesa e della ecclesiologia. Ma soprattutto, ancora una volta, fornisce delle spiegazioni socio-politiche che non sono semplicemente opinabili, ma del tutto false e falsanti.

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Capiamo l’amicizia del Bianchi con alcune Chiese autocefale ortodosse, ma soprattutto capiamo che con tutto lo spirito mistificatore che è suo proprio — come lo è di Andrea Riccardi fondatore della Comunità di Sant’Egidio —, costoro incontrano periodicamente vescovi di Chiese autocefale ortodosse, dopodiché annunciano, o per meglio dire millantano in tutta la Orbe Catholica di portare avanti un proficuo dialogo con gli ortodossi. E da quando, gli ortodossi sono un fenomeno unitario che risponde ad una comune autorità e ad una struttura centrale, posto che sono mille anni che i vescovi ortodossi sono impegnati nell’antico sport di scomunicarsi in continuazione gli uni con gli altri?  [cf. QUI] Dunque, con quali gli dialogano questi mistificatori e millantatori, considerando che i Vescovi della Chiesa Ortodossa sono la quintessenza della litigiosità, a tal punto che in mille anni non sono riusciti a celebrare un concilio pan ortodosso? Infatti, non avendo gli ortodossi una autorità centrale dotata delle prerogative del Romano Pontefice, nulla può deliberare un sacro concilio che sia vincolante in materia di dottrina e di morale per tutta l’ortodossia se manca la totale unanimità [cronaca, QUI].

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Sorvoliamo quindi sul fatto, ovvio e penoso, dei Bianchi e dei Riccardi che alla resa dei conti finiscono per dialogare solo con se stessi facendo poi credere di dialogare con gli ortodossi. Non possiamo invece sorvolare sul fatto che Bianchi nega implicitamente e apertamente che, mentre Roma voleva a tutti i costi l’unità, la Chiesa d’Oriente cercava ogni pretesto di divisione. La storia, al contrario, dimostra che mentre la Chiesa di Roma cercava in ogni modo di non essere assoggettata agli umori e soprattutto alle prepotenti ingerenze dei poteri politici, la Chiesa d’Oriente, presentata in varie forme dal Bianchi come casta vergine illibata, dal potere politico, ed anche dai peggiori poteri politici, voleva invece essere totalmente dipendente. O forse dimentica, il Bianchi, che tutti i primi grandi concili della Chiesa, seppure solo formalmente, furono convocati e presieduti dagli Imperatori d’Oriente, l’ultimo in ordine di tempo dalla imperatrice Irene? O per caso, per il suo monacale amor d’ortodossia e del suo tanto decantato «ritorno alle origini», il Bianchi sarebbe capace ad invocare un nuovo concilio ecumenico convocato, seppur solo formalmente, poi presieduto, seppur solo formalmente, dal Presidente dell’Unione Europea? Perché il «ritorno alle vere origini» ha dei prezzi da pagare, seppure Bianchi, ignorante in storia della Chiesa a livelli di vero e proprio imbarazzo, preferisca ignorarlo e crearsi al passato le fantasiose origini che più lo aggradano, ma che non sono però mai esistite. Perché non tutto ciò che era alle antiche origini era di necessità buono, altrimenti la Chiesa oggi sarebbe solo uno stagno raffermo, non sarebbe certo pellegrina sulla terra.

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Questo discorso che in sé e di per sé sarebbe molto complesso, potrebbe essere chiuso con l’affermazione di negazione fatta pubblicamente dal Bianchi il quale appunto nega il cosiddetto Filioque inserito nella versione latina del simbolo di fede Niceno-Costantinopolitano laddove recita: «Καὶ εἰς τὸ Πνεῦμα τὸ Ἅγιον, τὸ κύριον καὶ τὸ ζῳοποιόν, τὸ ἐκ τοῦ Πατρὸς ἐκπορευόμενον» [Et in Spíritum Sanctum, Dominum et vivificantem:qui ex Patre Filioque procedit].

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Il Bianchi afferma in modo ereticale: «E non è vero che procede dal Figlio. Il Figlio per inviarlo nella storia lo ha chiesto al Padre: ”Io chiederò al Padre il consolatore il quale verrà”». Quindi cita a conferma del proprio sproloquio ereticale la frase di Cristo Signore tratta dal Vangelo di Giovanni [cf. 13, 16]. E qui, Bianchi, non si pone una domanda fondamentale: chi sta parlando, a chi e dove? Ebbene, a parlare è il Divino Maestro che si rivolge ai propri discepoli, mentre si trova con loro su questa terra. E con ciò è dimostrato che Bianchi ha serie difficoltà a distinguere, ovviamente nella stessa persona ipostatica, il Gesù pre-pasquale ed il Cristo post-pasquale risorto e asceso al cielo; a meno che per lui, risurrezione e ascensione, non siano solo due splendide metafore da interpretare con le categorie della teologia.

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Quindi non solo Bianchi è un eretico pericoloso, ma anche un eretico molto ignorante, perché la dottrina che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio non è affatto un colpo di mano politico, come lui afferma, giocato da forze secolari per il gusto di dividere la Chiesa di Occidente da quella di Oriente, fa parte della tradizione latina dagli inizi del III secolo. A tal proposito basterebbe che l’ignorantissimo bosiano leggesse i commenti di Tertulliano [Cartagine 160 – Cartagine 220], Novaziano [Frigia 200 – Roma 258] Ilario di Poitiers [Poitiers 315 – Poitiers 465], Sant’Ambrogio [Treviri 338 – Mediolanum 397], San Girolamo [Stridom 347 – Betlemme 420], Sant’Agostino [Tagaste 354 – Ippona 430]. Perché tutti costoro, ben prima dell’anno 1054, sostengono la processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio. Per tutti loro, che sono autori di varie opere o interventi sul mistero trinitario e sulla processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio, usiamo l’esauriente commento di Sant’Agostino:

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«colui che può comprendere la generazione intemporale del Figlio dal Padre, intenda la processione intemporale dello Spirito Santo da ambedue. E chi può comprendere da queste parole del Figlio: Come il Padre ha in sé la vita, così ha dato al Figlio di avere la vita in sé che il Padre ha dato la vita al Figlio non come a un essere che esistesse già senza avere la vita, ma che lo ha generato al di fuori del tempo in modo che la vita che il Padre ha dato al Figlio generandolo sia coeterna alla vita del Padre che gliel’ha data; questi comprenda, dico, che come il Padre ha in se stesso anche la proprietà di essere principio della processione dello Spirito Santo, ha dato ugualmente al Figlio di essere principio della processione del medesimo Spirito Santo, processione fuori del tempo nell’uno e nell’altro caso, e comprenda che è stato detto che lo Spirito Santo procede dal Padre perché si intenda che l’essere anche il Figlio principio della processione dello Spirito Santo, proviene al Figlio dal Padre. Se infatti tutto ciò che il Figlio ha, lo riceve dal Padre, riceve anche dal Padre di essere  anch’egli principio da cui procede lo Spirito Santo» [cf. De Trinitate, XV, 26,47].

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Per inciso: il Filioque fu inserito a “macchia di leopardo” ben prima dell’anno 1054, per l’esattezza quasi cinquecento anni prima, dal Concilio di Toledo del 587. Ribadiamo quindi che Bianchi è un pericoloso venditore di fumo e di consequenziali pensieri fumosi, una persona che gioca con le parole, celando dietro di esse la sua profonda e crassa ignoranza sulla patrologia, la storia della Chiesa e la dogmatica trinitaria. E pur malgrado, questo crasso ignorante, ha fatto il giro di molte chiese cattedrali d’Italia, dove invitato da numerosi membri della Conferenza Episcopale Italiana ha offerto queste perle di saggezza ai Christi fideles. E dinanzi a tutto questo, viene da domandarsi se siano più dannosi per il Popolo di Dio certi vescovi contemporanei, oppure gli antichi vescovi che seguivano l’eresia di Ario.

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ENZO BIANCHI: LA MADONNA È VERGINE, SI, MA PERÒ …

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Ipazia gatta romana, particolarmente devota alla Beata Vergine Maria Gattara (anche detta Madonna dei Gatti), ha suggerito di riflettere seriamente se praticare l’esorcismo maggiore a Enzo Bianchi

Concludiamo questo estratto di perle, che come abbiamo spiegato costituisce un materiale di conferenze filmate e trascritte in oltre trecento pagine, per vedere non tanto, cosa Enzo Bianchi pensa della Immacolata Concezione, ma il modo subdolo nel quale sul giornale della sinistra radical chic egli presenta la Beata Vergine Maria:

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«[…] il tema della «Madre Vergine» non è presente solo in ambito cristiano: ha echeggiato in tutto il Mediterraneo a tal punto che molti si sono chiesti se la venerazione di Maria, Madre e Vergine, non abbia assorbito il culto di dee pagane madri e vergini. Si pensi ad Astarte, dea assiro-babilonese venerata a Canaan, dea dell’amore e della fecondità che conobbe l’ostilità dei profeti biblici; ad Artemide, la dea eternamente vergine che a Efeso aveva il suo grande santuario, stigmatizzato da Paolo; a Cibele-Rea, Magna Mater, venerata in Frigia e in Grecia; ancora alla fine del IV secolo Agostino testimonia di un culto in onore della Vergine celeste e Madre degli dèi a Cartagine. E vero che l’archetipo del femminile ha nutrito il mondo simbolico delle religioni pagane così come del cristianesimo; si può però affermare con Philippe Borgeaud che, al di là delle analogie e delle reciproche influenze, le figure delle dee vergini e madri e quella della Vergine Maria «restano assolutamente distinte». Nello stesso tempo, non va dimenticato che gli apologisti cristiani del II secolo ebbero la tendenza ad assumere senza complessi l’eco di concezioni mitologiche […]» [testo integrale QUI].

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In che cosa consiste, l’elemento luciferino del bosiano? Attenzione: egli, dissertando dottamente, non mette in dubbio il dogma della Immacolata Concezione. Bisogna infatti capire che in quel caso si andrebbe a toccare, non tanto la teologia dogmatica, faccenda che alla resa dei conti riguarda dei gruppi molto ristretti di teologi; in questo caso si andrebbe a toccare le corde più suscettibili della devozione e della fede popolare. E Bianchi, che il Popolo Cristiano lo deve conquistare al fine di poterlo traviare, non è uno sprovveduto, perché proprio del plauso del popolo, egli ha bisogno. Ecco allora che il Bianchi, senza discutere sul dogma della Immacolata Concezione, offre in ordine storico, cronologico e metaforico, tutte le credenze pre-cristiane legate alle figure delle varie dee vergini o delle varie vergini madri.

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Enzo Bianchi non dice che i bambini devono sparare con le armi da fuoco, si limita solo a spiegargli, a livello puramente tecnico, come funzionano e come si usano le armi da fuoco. E così, quando i bambini si metteranno poi a sparare, Enzo Bianchi ne uscirà fuori, per così dire, del tutto pulito.

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Domani Enzo Bianchi predicherà ad Ars, sulla tomba dell’universale patrono dei sacerdoti, San Giovanni Maria Vianney, venerato come il Santo Curato d’Ars, gli esercizi spirituali mondiali al clero. Ribadiamo che questo eretico in cattedra non ce l’ha messo il Sommo Pontefice Francesco I, ce l’hanno messo e poi mantenuto il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, il Cardinale Joseph Ratzinger e il Sommo Pontefice Benedetto XVI. E tra tutti costoro, il Sommo Pontefice Francesco I, è stato in verità il più onesto di tutti, perché si è sempre manifestato per ciò che egli è realmente. Infatti, alla provata prova dei fatti, non risulta che mai, il Sommo Pontefice Francesco I, da una parte abbia combattuta le Teologia della Liberazione ed i preservativi, dall’altra abbia permesso a soggetti come Enzo Bianchi di giungere sino a salire in cattedra dinanzi ai sacerdoti presso il santuario nel quale sono conservate le spoglie del Santo Patrono dei Sacerdoti della Orbe Catholica; questo lo hanno permesso i suoi Sommi Predecessori Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

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Per quanto superfluo, ricordiamo comunque che gli errori, talvolta anche grossolani, non pregiudicano la eroicità delle virtù, come nel caso del Santo Pontefice Giovanni Paolo II, né possono portare a un giudizio negativo sulla splendida teologia e sul prezioso pontificato del Venerabile Pontefice Benedetto XVI. Chi poi volesse a tal proposito saperne di più, basta che legga l’ultimo articolo dedicato alla santità da Ariel S. Levi di Gualdo: Dal Bello al Moro: la santità non è il decaduto Premio Nobel, le canonizzazioni sono atti del magistero infallibile dalle quali poi, indietro, non si torna [cf. QUI].

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L’apologia delle eresie di Enzo Bianchi, sarà pubblicata quanto prima in un libro ricco di documentazioni. Questo articolo vuole essere solo una piccola anticipazione fatta in occasione della sua predicazione degli esercizi spirituali mondiali al clero tenuta ad Ars, che suonano appunto, come dicevamo all’inizio, come l’invito di una porno star presso l’assemblea delle superiore delle Monache Clarisse desiderose di sapere con quale miglior linguaggio proporre la virtù della castità alle giovani aspiranti monache del Terzo Millennio.

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dall’Isola di Patmos, 22 settembre 2018

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NOTE

[1] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 36.

[2] Paul Ricœu Filosofo francese (Valence 1913 – Châtenay-Malabry 2005). Tra i maggiori testimoni e protagonisti della coscienza filosofica del Novecento. L’alto valore della sua opera originale e multiforme, frutto di un percorso filosofico che dalla fenomenologia e l’esistenzialismo, si volse verso l’ermeneutica e la psicanalisi è testimoniato dai numerosi premi e riconoscimenti internazionali conferitigli nel corso della sua carriera […] Dall’originario interesse per la fenomenologia e l’esistenzialismo, a cui dedicò i primi studi, i suoi interessi si orientarono poi verso una prospettiva ermeneutica connessa alla riflessione sul concetto di simbolo, impegnandosi in indagini sul linguaggio del mito, della religione e della poesia, in cui ritiene si rivelino le categorie (il sacro, la colpa, la fallibilità) che definiscono la situazione dell’uomo nel mondo e il suo modo di comprendersi ed essere. In questa prospettiva ermeneutica si colloca anche l’interesse di R. per la psicanalisi, che egli vede come uno dei maggiori tentativi di problematizzare la nozione cartesiana di soggetto a favore di un’immagine dell’uomo che si rivela e si comprende soltanto attraverso i simboli. Da ricordare inoltre le sue riflessioni sulla metafora e sulla narrazione, che, pur nella loro dimensione intrinsecamente creativa, rappresentano per R. autentiche forme di comprensione e conoscenza [cf. QUI].

[3] “Enzo Bianchi – Quanto ci manca un padre,” YouTube video 58:30, posted by Alzo gli Occhi 2 maggio 2015. Web, 3 Settembre 2018, [03:24 – 06:25; 22:06 – 25:29; 43:08 – 43:56; 56:38 –  57:10].  Tratto da:

https://www.youtube.com/watch?v=Y983sxcSQ2Q 

[4] Jacques Monod:  Biologo francese (Parigi 1910 – Cannes 1976). Assistente nel laboratorio di zoologia della Sorbona, Si recò nel 1936 con B. Ephrussi al California Institute of Technology, ove entrò in contatto con il gruppo del genetista T. H. Morgan. Nel 1941 ricevette il dottorato in scienze alla Sorbona con una tesi sulla crescita delle colture batteriche in cui mostrava che la crescita batterica obbediva a semplici leggi quantitative. Dopo la guerra, durante la quale aveva svolto un’importante funzione nella Resistenza, entrò all’Institut Pasteur (1945), in qualità di capo laboratorio nel servizio diretto da A. Lwoff e nel 1953 fu nominato direttore del nuovo servizio di biochimica cellulare. Pur continuando a svolgere le sue ricerche all’Institut Pasteur, tenne la cattedra di biochimica nella facoltà di scienze (dal 1957) per passare, nel 1967, alla cattedra di biologia molecolare al Collège de France. La lezione inaugurale al Collège fu l’occasione per presentare la sua concezione della scienza e della vita, sviluppata poi nel libro Le hasard et la nécessité: essai sur la philosophie naturelle de la biologie moderne (1970; trad. it. 1970), che ebbe notevole eco suscitando vivaci polemiche e discussioni. Nel 1965, intanto, gli era stato attribuito, insieme a F. Jacob e A. Lwoff, il premio Nobel per la medicina o la fisiologia. Il problema scientifico che interessava M. era la sintesi di enzimi, controllata da geni e indotta da un substrato, come sistema modello per lo studio della sintesi delle proteine e delle relazioni fra genetica e fisiologia cellulare. Nel 1957 M. iniziò la collaborazione con F. Jacob che lavorava sul fenomeno della lisogenia/lisogenia, cioè l’induzione di un virus batterico. La messa in comune dei risultati e delle tecniche di questi due settori di ricerca portò sia alla chiarificazione dei meccanismi riguardanti la regolazione genetica della sintesi proteica, sia alla definizione (1961) del concetto di RNA messaggero e delle nozioni di operone (come unità di espressione coordinata di più geni) e di interazione tra siti distinti di una macromolecola (allosteria). Nel 1971 M. divenne direttore generale dell’Institut Pasteur, carica che tenne sino alla morte.

Cf. http://www.treccani.it/enciclopedia/jacques-monod/.

[5] “120524 Serata inaugurale – La speranza nelle Scritture,” YouTube video 02:01:19, posted by “Telechiara Produzioni” 29 maggio 2012. Web, 3 Settembre 2018, [51:38 – 01:00:45]. Tratto da

https://www.youtube.com/watch?v=12Fv15Lysmg.

[6] Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 238-239.

[7] «Non sono l’etica che scuote il mondo di oggi. Non è una dottrina. È qualcosa di esistenziale che deve avvenire nella carne […] nel corpo umano, nella mano. Occhio contro occhio. Volto contro volto. Non nell’astrattismo delle idee. Non solo sono finite le ideologie, è finite ogni architettura che non si verifica nello spessore della vita umana del nostro corpo e della nostra carne». Cf. “PADRE ENZO BIANCHI A NAPOLI,” YouTube video 01:26:42, posted by “AlzogliOcchi” 11 maggio 2013. Web, 3 Settembre 2018, [28:10 – 30:04]. Tratto da:

[8] “Enzo Bianchi ˝La creazione e le origini del mondo˝” YouTube video 01:18: 54, posted by “AlzogliOcchi” 5 giugno 2013. Web, 3 Settembre 2018, [55:00 – 59:25]. Tratto da:

 https://www.youtube.com/watch?v=EBBZynXukfk.

[9]  “Enzo Bianchi – Leggere la Bibbia ˝Introduzione˝,” YouTube video 01:14:40, posted by “AlzogliOcchi” 5 giugno 2014. Web, 3 Settembre 2018, [16:10 – 18:30]. Tratto da:

https://www.youtube.com/watch?v=pDcZCRk1vc0.

[10] In L’essenza del Cristianesimo, 1841.

[11] “Enzo Leggere la Bibbia ˝il conflitto delle interpretazioni˝,” YouTube video 44:00, posted by “AlzogliOcchi” 5 giugno 2014. Web, 3 Settembre 2018, [22:50 – 24:50]. Tratto da:

 https://www.youtube.com/watch?v=P4WpIaXId28.

[12] “Enzo Bianchi – Incontri con Dio: Abramo, Giacobbe, Mosè, Elia, Isaia,” YouTube video 01:03:50, posted by “AlzogliOcchi” 3 luglio 2013. Web, 3 Settembre 2018, [22:40 – 33:37]. Tratto da:

https://www.youtube.com/watch?v=-XrfSAxWOwE.

[13] “Enzo Bianchi – Leggere la Bibbia ˝Dall’Antico al Nuovo: i due Testamenti,” YouTube video 43:24, posted by “AlzogliOcchi” 5 giugno 2014. Web, 3 Settembre 2018, [23:30 – 25:26]. Tratto da :

https://www.youtube.com/watch?v=Tmz9pVeWVvU.

[14] «allora dobbiamo affermare che nella creazione che Dio ha fatto era presente il male, questa è la realtà. La Bibbia ci dice non la ha voluto Dio, non la ha creato Dio ma c’era. E ha indotto l’umanità al male come induce ciascuno di noi».cf. “Enzo Bianchi Mistero e scandalo della sofferenza,” YouTube video 01:29:31, posted by “AlzogliOcchi” 30 ottobre 206. Web, 3 Settembre 2018, [53:15 – 57:15]. Tratto da:

https://www.youtube.com/watch?v=kJlnEeXJ90w.

[15] “Enzo Bianchi la risurrezione di Cristo e la nostra,” YouTube video 59:52, posted by “AlzogliOcchi” 11 marzo 2016. Web, 3 Settembre 2018, [01:13:42 – 01:14:55]. Tratto da:

https://www.youtube.com/watch?v=opwrLaDnqF4.

[16] “Gesù racconta l’amore˝ Enzo Bianchi in dialogo con Umberto Galimberti,” YouTube video 39:00, posted by  “AlzogliOcchi” 23 maggio 2015. Web, 3 Settembre 2018, [11:20 – 20:06]. Tratto da:

https://www.youtube.com/watch?v=OLqkQkWh3B4&feature=youtu.be&t=679.

[17] Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 245-246.

[18] “Enzo Bianchi – Lo Spirito santo Nella rivelazione biblica,” YouTube video 58:50, posted by “AlzogliOcchi” 15 agosto 2017. Web, 3 Settembre 2018, [2:32 – 4:10; 32:26 – 34:00; 36:34 – 38:00; 50:04 – 50:32]. Tratto da:

https://www.youtube.com/watch?v=4yOfOdrzzBI.

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Gli scandali della potente lobby gay ecclesiastica e il dramma della formazione del clero

attualità ecclesiale 

GLI SCANDALI DELLA POTENTE LOBBY GAY ECCLESIASTICA E IL DRAMMA DELLA FORMAZIONE DEL CLERO

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Sulla base delle analisi ed osservazioni che i Padri de L’Isola di Patmos stanno facendo ormai da alcuni anni sia della condotta che delle idee del clero e dei vescovi almeno italiani, davanti a tutti questi fatti sorge inevitabilmente un atroce sospetto, non privo di fondamento, anche se non sempre corredato da precise prove: in molti casi le ordinazioni di questi preti e di questi vescovi, fondate sulla falsa concezione del sacerdozio, potrebbero essere invalide.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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… caro Mario Bonfanti [cf. QUI] e sodali affini vari, nessuno vi impedisce di essere gay e di praticare la sodomia con tutte le relative tutele che la Legge civile stessa vi riconosce, però non potete fare i preti, perché diventare prete non è invece un diritto.

I fatti scandalosi in crescita di numero in vari Paesi del mondo, dei quali sempre più si ha notizia, concernenti i peccati di sodomia commessi da preti con ragazzi o giovani, o peggio l’abominio della pedofilia, ci spingono a interrogarci su quali possono essere le cause di un fenomeno tanto aberrante e contro natura. L’esistenza, infatti, del concubinato nel clero è un fenomeno che percorre tutta la storia della Chiesa. Essa ha conosciuto persino il caso di un Papa concubinario, Alessandro VI. Ma in fin dei conti, qui c’è in gioco quello che è il rapporto sessuale fisiologicamente normale, seppur peccaminoso. Quello di cui si stenta a capire come possa accadere è un peccato così grave contro quel celibato ecclesiastico o voto di castità, che si suppone esser stato desiderato, voluto, deciso e promesso solennemente e pubblicamente di osservare usque ad mortem, liberamente e consapevolmente, da persone psicologicamente normali, dopo aver ricevuto una normale e regolare formazione sacerdotale e religiosa, ed esser stati prudentemente vagliati e provati dai superiori responsabili della formazione. Ma quello che c’è da aggiungere a questo quadro sconfortante è la domanda che sorge spontanea, ancora più drammatica, sulla qualità dei formatori, docenti ed educatori di queste persone e in primis dei vescovi, supremi moderatori e vigilanti circa la buona formazione dei loro sacerdoti, nonché la competenza e virtù dei docenti e degli educatori preposti alla loro formazione.

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Le domande non sono ancora finite. Si deve infatti constatare, come Padre Ariel ha già più volte rilevato in sue precedenti pubblicazioni editoriali e su L’Isola di Patmos, che le radici profonde di questi peccati sessuali non possono non essere che l’aver ricevuto una cattiva per non dire pessima formazione, non basata sulle direttive del Magistero della Chiesa e sui veri maestri, ma su idee eretiche o condannate dalla Chiesa, le quali propongono tra l’altro un falso concetto di Dio, dell’uomo, della fede, della grazia, della legge, del peccato, della Redenzione, della Chiesa, dei sacramenti, del sacerdozio e dell’episcopato, come avviene per esempio nella teologia di Karl Rahner.

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Un altro fatto preoccupante in questa vicenda è l’atteggiamento inadeguato o imprudente dei vescovi, i quali: o sono reticenti o minimizzano o coprono i misfatti o prendono provvedimenti inefficaci. Al riguardo, paiono plateali e dettate da grave leggerezza le dimissioni collettive avvenute nel maggio del 2018 dei membri dell’intero episcopato cileno a seguito dell’ennesimo scandalo in Cile. Buona è stata la lettera con la quale i vescovi hanno espressero pentimento, volontà di rimediare e ringraziamento al Santo Padre per la paterna attenzione che egli ha riservato alla vicenda [cf. QUI]. Occorre osservare tuttavia che un vescovo può certo dimettersi perché conscio di colpe gravissime o perché avverte con certezza la propria indegnità o incapacità a continuare a svolgere convenientemente il suo ufficio, lo stesso Sommo Pontefice Benedetto XVI in quest’ottica ha fatto il proprio solenne atto di rinuncia. Ma che un intero episcopato di 34 vescovi, per quanto abbia avvertito il proprio coinvolgimento nello scandalo diffuso e protrattosi per molti anni, giunga all’inaudita gravissima decisione di dare le dimissioni in blocco, con una compattezza che sa di cosa forzata, come potrebbe avvenire nelle proteste sindacali o in un comitato di fabbrica, sembra testimoniare non di un atto di pentimento, ma di un atto lesivo della dignità episcopale, per attirare su di sé l’attenzione del mondo. Ben altro da simili gesti spettacolari ci vuole per risolvere il problema. I veri e più gravi responsabili avrebbero dovuto farsi avanti e non nascondersi nel mucchio.

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La vera soluzione educativa è che il vescovo si decida una buona volta a impartire sul serio una formazione seminaristica ed a svolgere una diligente vigilanza sul clero, affinché sia protetto e difeso dalle idee malsane e coltivi la sana dottrina, chiarisca bene il valore altissimo della vocazione sacerdotale ed episcopale e se ne innamori con tutto il cuore, con ardente desiderio di perfezione e di santità e di essere totalmente al servizio delle anime e della Chiesa. Il sacerdote veramente convinto e innamorato della propria vocazione e missione è tutto e soltanto preso dalle cose di lassù e non da quelle di questa terra. È mosso dallo Spirito e non ha tempo per soddisfare i desideri della carne. La vera soluzione pastorale comporta l’educazione della volontà e delle emozioni, nonché il rafforzamento dell’attaccamento al bene, la stimolazione dell’odio per il peccato, la volontà di emendarsi e di correggersi. Se San Paolo dice che la carità «tutto copre», egli intende riferirsi a quella delicatezza del padre che non vuol gettare il figlio in pasto al ludibrio, non lo vuole umiliare. Eppure lo vuol correggere. È un padre, quindi, che sa all’occorrenza richiamare, rimproverare, minacciare, castigare. Anche questa è carità. Ma essa è altresì pronta a coprire là dove è possibile, utile, lecito e doveroso, laddove c’è da scusare o pazientare; non certo nel senso di coprire o nascondere il peccato affinché non venga punito. Qui non deve coprire, ma svelare a chi di dovere e al peccatore stesso. Dio non copre i peccati lasciandoli tali, come credeva Lutero, ma li copre per misericordia in attesa di toglierli.

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La misericordia non suppone la riduzione della colpa a pena. Non c’è solo l’anima ferita, ma c’è anche quella feritrice. Si deve aver pietà per chi non ce la fa, non per chi non vuole impegnarsi. Questo va incitato. Altrimenti la misericordia diventa connivenza e complicità. E detto questo bisogna aggiungere nelle nostre considerazioni su questo tema scabroso che, sulla base delle analisi ed osservazioni che io e Padre Ariel stiamo facendo ormai da alcuni anni sia della condotta che delle idee del clero e dei vescovi almeno italiani, davanti a tutti questi fatti, è sorto inevitabilmente in noi un atroce sospetto, non privo di fondamento, anche se non sempre corredato da precise prove, per cui siamo giunti alla conclusione che in molti casi le ordinazioni di questi preti e di questi vescovi, fondate sulla falsa concezione del sacerdozio [1], siano invalide [vedere nostri articoli su Theologica, QUI e QUI].

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Occorre dire inoltre con franchezza che lo smarrimento morale, che è all’origine del fenomeno della omosessualità diffusa tra i sacerdoti, è a sua volta causato dal concetto rahneriano dell’agire umano, che non si basa sull’accettazione dei fini essenziali della natura umana, perché egli non accetta neppure l’idea di una natura umana fissa e oggettiva, la cui felicità dipende dall’obbedienza a una legge naturale immutabile ed inviolabile, stabilita dal Creatore; ma secondo lui l’uomo e ciascuno di noi è libero di determinare come gli pare e piace i contorni concreti e quindi l’agire della propria natura.  Da qui la conseguenza che in campo sessuale il soggetto singolo è libero di scegliere il proprio orientamento sessuale non in base a una finalità dell’attività sessuale insita nella natura, indipendentemente dal soggetto, ma in base alla ricerca del piacere sessuale, ottenuto con mezzi creati dal soggetto stesso, diversi da soggetto a soggetto e tutti leciti, purché piacciano al soggetto. In tal modo non esiste più una regola universale per distinguere la buona azione  dal peccato. Quindi non posso più dire che il tale commette un peccato di sodomia o di pedofilia, ma che il suo atto è semplicemente diverso dal mio, un atto che non devo condannare, ma rispettare. È chiaro che quando si dà spazio ad una morale del genere, le geremiadi  per la pedofilia dei preti  sono lacrime di coccodrillo e gli scandali sono ipocrisie.

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Quanto dunque ancora dovremo andare avanti nel raccogliere i frutti amari del rahnerismo? Che cosa deve accadere ancora perchè il Papa si decida ad una riforma della formazione sacerdotale secondo le direttive del Concilio? Esse non prevedono affatto il rahnerismo, ma bensì un saggio ritorno a San Tommaso, come dice lo stesso Decreto conciliare sulla formazione sacerdotale Optatam totius:

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«Per illustrare integralmente quanto più possibile i misteri della salvezza, gli alunni imparino ad approfondirli per mezzo della speculazione, avendo San Tommaso per maestro» [n.16]. 

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E la Dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum educationis:

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«Indagando molto accuratamente le nuove questioni e ricerche poste dall’età che si evolve, si colga più chiaramente come fede e ragione s’incontrino nell’unica verità seguendo le orme dei dottori della Chiesa, specialmente San Tommaso d’Aquino» [n.10].

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Occorre che l’educatore metta abbondantemente a disposizione dell’educando i mezzi della grazia, proponga l’esempio dei Santi, dia egli stesso esempio di virtù,  lo educhi allo studio della Scrittura, alla preghiera, all’intima unione con Cristo sommo Sacerdote, alla comunione con la Chiesa e col Papa, alle opere della carità fraterna e della misericordia.

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Dobbiamo riconoscere onestamente che in questi cinquant’anni nei quali si sarebbero dovute mettere in atto queste sagge direttive, il Concilio è stato semplicemente beffato proprio da coloro — i rahneriani —, che se ne considerano i continuatori. Così è successo che invece della riforma conciliare, è risorto un Modernismo che è peggiore di quello dei tempi di San Pio X. Bisogna rifare tutto daccapo e tornare a queste direttive del Concilio, altrimenti le cose andranno di male in peggio, in una situazione nella quale si è partiti con gli scandali dei preti gay, ma in breve tempo si è giunti al coinvolgimento in questi scandali dei loro vescovi e cardinali protettori, ad alcuni dei quali si è giunti persino a togliere la dignità cardinalizia. Faccio dunque mia la domanda posta da Padre Ariel nel suo articolo: «Tutto questo, non poteva forse essere evitato?» [cf. QUI].

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Varazze, 21 agosto 2018

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[1] Cf. Il concetto di sacerdozio in Rahner, in Il sacerdozio ministeriale. «L’amore del Cuore di Gesù», a cura di S.M.Manelli e S.Lanzetta, Atti del Convegno Teologico organizzato dai Francescani dell’Immacolata nel dicembre 2009, Cantagalli, Siena 2010, pp. 183-230.

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La pena di morte e quel sant’uomo di Mastro Titta, er misercordioso boia der Papa

— un tocco de leggerezza estiva: er graffietto romano de Gatta Ipazia —

LA PENA DI MORTE E QUEL SANT’UOMO DI MASTRO TITTA, ER MISERICORDIOSO BOIA DER PAPA

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Giovanni Battista Bugatti, detto Mastro Titta, er misericordioso boia der Papa in carica fino al 1869, era un autentico uomo di Dio, oltre che un gran professionista. Con un colpo deciso e preciso te mozzava la capoccia senza fatte pe’ gnente soffrì. Invece, gli odierni e misericordiosi boia di Sua Santità, da una parte ti inneggiano peace and love con le bandierine arcobaleno, dall’altra ti fanno pentire di non essere morto. Li mortacci loro: quanto so’ misericordiosi !

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Autore
Ipazia Gatta Romana

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Onanismo e teologia: il rapporto tra metafisica e gravidanza extra uterina, mentre le nostre ostetriche estetiche abortiscono il poco che resta del sensus fidei

— Theologica —

ONANISMO E TEOLOGIA: IL RAPPORTO TRA METAFISICA E GRAVIDANZA EXTRA UTERINA, MENTRE LE OSTETRICHE ESTETICHE ABORTISCONO IL POCO CHE RESTA DEL SENSUS FIDEI

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Disseminati nella giungla della rete telematica vi sono siti e blog di “veri cattolici” e di “autentici difensori” della purezza della tradizione che citano il Jota Unum di Romano Amerio come se fosse verbum Dei, mentre i suoi allievi, veri o presunti, si beano in pindarici giri di parole dai quali emerge il sapore inconfondibile del … «Oh, cielo! Quanto mi piaccio, quanto sono estetico, quanto sono metafisico!».

 

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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le rovine della cattedrale metropolitana di Messina dopo il terremoto del 1908

Samantha con la “h” finale sospirata è una ragazza di vent’anni che due anni fa festeggiò i diciott’anni raggiungendo quota quindici fidanzati. Durante il volger della sua vita sentimentale cominciata all’età di tredici anni, ha avuto qualche piccolo incidente di percorso, cose di poco conto ma soprattutto risolvibili, che fanno parte del normale corso dell’età evolutiva. Come quando a quindici anni rimase incinta, inducendo la madre, Jessika, con la “k”, quarantadue anni, a farsi una severa auto-critica col suo terzo compagno della serie, un ragazzo di ventotto anni, detto anche toy-boy, al quale ella confida: «Michael» ― così chiamato da sua madre in onore del cantante pop Michael Jackson ― «Ammetto di avere sbagliato io, perché non mi sono preoccupata di far prendere la pillola anticoncezionale a Samy» ― diminutivo affettuoso di Samantha con la “h” finale sospirata ―. «Certo, se lei non mi avesse tenuta la cosa nascosta per giorni, le avrei fatto prescrivere subito la pillola abortiva». Il toy-boy Michael la rincuora: «Jessy» ― affettuoso diminutivo di Jessika con la “k” ― «non penso che tu abbia sbagliato. Sai, tua figlia Samy ha un fisico mozzafiato, con la pillola poteva correre il rischio che le venisse la cellulite. In fondo la cosa è stata risolta: una raschiatina, un grumo di sangue tolto, ed il problema è sparito al consultorio in un battibaleno». A quel punto Jessy si sente rincuorata e sospira al toy-boy: «Hai ragione, Miky» ― diminutivo di Michael ―, anche Sylvester mi ha dato ragione, ma non solo lui, anche Christian, il suo precedente compagno inglese, fu d’accordo  e solidale.

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terremoto di Messina del 1908

E qui per capire è necessario un inciso: Sylvester, padre di Samantha con la “h” finale sospirata, è stato il primo marito di Jessika, così chiamato da suo padre che era un culturista gonfiato di anabolizzanti e grande fan di Rocky Balboa, la celebre serie filmica interpretata da Sylvester Stallone a partire dal 1976. Dopo il matrimonio Sylvester scoprì la propria vera identità e, dopo un coming-out fatto a un famoso talk-show dinanzi a milioni di telespettatori, presente nello studio televisivo anche la moglie Jessika con la”k”, dichiarò il proprio gaysmo. Dopodiché — colpo di scena! — in quello stesso momento si alzò in piedi dal pubblico il suo primo uomo, all’epoca Christian, che egli presentò pubblicamente alla moglie come il proprio compagno. Commossa, la moglie li abbracciò tutti e due dichiarandosi contenta e augurando loro di essere tanto felici. La scena fu accompagnata da una struggente melodia di un famoso cantante morto di Aids ed icona del mondo gay, Freddie Mercury: «We are the champions […] of the world» [noi siamo i campioni del mondo].  

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terremoto di Messina del 1908

Adesso, Samantha con la”h” finale sospirata, sta facendo i propri studi universitari, ha scelto psico-pedagogia, desidera infatti divenire una paladina della teoria del gender. Suo padre, ricco architetto di grido in cammino verso i cinquant’anni d’età, nel mentre ha cambiato compagno ed oggi convive con un giovane fotomodello brasiliano nullafacente di ventidue anni, certo Ricky, così chiamato dai suoi genitori in onore di Ricky Martin, un altro gaio cantante, padre di due bimbi comprati da un utero in affitto e convolato recentemente a nozze a Puerto Rico col suo giovane compagno [cf. QUI]. Il gaio papà Sylvester è molto fiero della figlia, che sta vivendo anche una felice relazione con un nuovo compagno, certo John, originario di Bari, ma così chiamato perché suo padre e sua madre sono due fans di John Lennon, ed al figlio, attraverso questo ex dei Beatles, hanno trasmesso i loro più profondi valori di vita attraverso la canzone Imagine :

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Immagina non ci sia il Paradiso

prova, è facile

Nessun inferno sotto i piedi

Sopra di noi solo il Cielo

Immagina che la gente

viva al presente …

Immagina non ci siano paesi

non è difficile

Niente per cui uccidere e morire

e nessuna religione

Immagina che tutti

vivano la loro vita in pace …[testo originale inglese, QUI]

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I messaggi d’amore di Samantha con la “h” finale sospirata diretti al suo John, costituiscono una vera e propria apoteosi della poesia contemporanea, eccone uno per offrire a tutti la percezione di questa vena poetico-amorosa:

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da quando msidt [1], la mia vita è cambiata

xché [2] xme [3] tu6 qlc [4].

Per questo tvb tipe [5], xché 6Sxme [6].

MMT+ [7] xché tu 6 il + [8].

T tel + trd [9], mi raccomando risp al cel [10]

Vng dp [11] e cmq Cvd [12].

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Dinanzi a questa espressione così intensa di poesia amorosa, che cosa mai può essere a confronto una quartina dantesca del tipo:

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Tanto gentile e tanto onesta pare

la donna mia, quand’ella altrui saluta,

ch’ogne lingua devèn, tremando, muta,

e li occhi no l’ardiscon di guardare  [13]

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terremoto del Friuli del 1976

Si tenga conto che Samantha con la “h” sospirata finale, è una ragazza considerata oggi di cultura elevata che supera un esame dietro l’altro all’università e tra pochi anni sarà una professionista della psico-pedagogia, impegnata nel sociale e nel politico. Ovviamente, il livello delle università, degli studi universitari e degli insegnanti presso le stesse, corrisponde ed in un certo senso si è dovuto adattare a queste nuove generazioni di studenti.

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Questa è la realtà, ed in questo genere di realtà, a noi spetta il non facile compito di annunciare il Santo Vangelo a dei giovani che hanno sentito nominare in modo molto vago uno strano concetto di Chiesa e di Cristianesimo dalle parole di un famoso intellettuale italiano, Lorenzo Cherubini, in arte Jovannotti, che nella sua canzone Penso positivo, esprime il meglio della dottrina cattolica e della teologia metafisica in questo modo:

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Io credo che a questo mondo

Esista solo una grande Chiesa

Che passa da Che Guevara

E arriva fino a Madre Teresa

Passando da Malcolm X attraverso

Gandhi e San Patrignano

Arriva da un prete in periferia

Che va avanti nonostante il Vaticano

[testo intero, QUI]

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terremoto del Friuli del 1976

Questa è la società reale con la quale dobbiamo fare i conti, sebbene ciò non sembri sfiorare neppure quei quattro soloni estetici ed estetizzanti che tra codicilli, rubriche e quattro formule magiche non della grande scolastica, ma perlopiù della neo-scolastica decadente, non cessano mai di annunciare che bisogna ripartire dalla metafisica. E quando nominano la parola “metafisica”, si sentono ripieni sino al settimo cielo, perché la parola stessa li eccita a tratti in modo davvero perverso.

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Disseminati nella giungla della rete telematica vi sono siti e blog di veri cattolici e di autentici difensori della purezza della tradizione che citano il Jota Unum di Romano Amerio come se fosse verbum Dei, mentre i suoi allievi, veri o presunti, si beano in pindarici giri di parole dai quali emerge il sapore inconfondibile del … «Oh, cielo! Quanto mi piaccio, quanto sono estetico, quanto sono metafisico!».

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terremoto del Friuli del 1976

Bene, ma a Samantha con la “h” sospirata, studentessa di psico-pedagogia e domani professionista e formatrice psico-pedagogica, figlia di Jessika con la “k” felicemente accompagnata col suo nuovo boy-toy, ex moglie di Sylvester ricco architetto di grido attualmente convivente col suo nuovo ragazzo brasiliano nullafacente, chi le porta e chi le offre l’annuncio di redenzione e di salvezza del Verbo di Dio incarnato «morto e risorto, asceso al cielo e oggi assiso alla destra del Padre, che un giorno tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, ed il suo regno non avrà fine?» [cf. Simbolo di fede].

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Ma per meglio eccitare gli estetici estetizzanti della vera e pura tradizione, inseriamo anche il testo originale del Credo, visto che il greco, come il latino liturgico, piace da morire soprattutto a quei gruppuscoli di laici che non lo conoscono e che proprio per questo ne rivendicano il magico uso arcano, perché quando non si è capaci a penetrare e vivere l’essenza dei sacri misteri nella sostanza, allora si finisce con l’idolatrare gli accidenti esterni, a partire dalla stessa lingua:

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Σταυρωθέντα τε ὑπὲρ ἡμῶν ἐπὶ Ποντίου Πιλάτου,
καὶ παθόντα
καὶ ταφέντα.

 Καὶ ἀναστάντα τῇ τρίτῃ ἡμέρᾳ
κατὰ τὰς Γραφάς.

Καὶ ἀνελθόντα εἰς τοὺς οὐρανοὺς
καὶ καθεζόμενον ἐv δεξιᾷ τοῦ Πατρός.

Καὶ πάλιν ἐρχόμενον μετὰ δόξης
κρῖναι ζῶντας καὶ νεκρούς,
οὗ τῆς βασιλείας οὐκ ἔσται τέλος 

terremoto del Friuli del 1976

Questo annuncio di salvezza, a Samantha con la “h” sospirata ed a John, glielo porteranno forse i soloni dei codicilli e delle rubriche, semmai con un paio di lectiones magistrales sulla ipotesi che Sant’Agostino aveva un’impronta filosofica platonica? Ma Samantha con la “h” finale sospirata, seppur diplomata a pieni voti e oggi studentessa universitaria di psico-pedagogia, è convinta che il Krizia platonico sia solo il profumo lanciato dalla casa di moda di Maria Mandelli, nota con lo pseudonimo di Krizia [cf. QUI]. Samantha con la “h” finale sospirata non immagina neppure che il Κριτίας [Krizia] è tratto dall’ultimo dialogo incompiuto di Platone, tutto improntato sulla vanità femminile. E ciò mentre il suo nuovo ragazzo, John, anch’esso studente universitario alla facoltà di farmacia, quando pochi anni prima fu interrogato in letteratura all’esame di maturità, alla domanda su chi fosse il Tasso [cf. QUI], dopo un attimo di riflessione rispose: «l’inventore della cedrata Tassoni» [cf. QUI]. E alla facoltà di farmacia, dove anch’egli supera un esame dietro l’altro, per i docenti è un vero simpaticone, lo ricordano sempre tutti, questo barese di nome John, quando ad un esame rispose alla domanda del professore esaminatore che gli chiese «mi spieghi da dove si origina una gravidanza extra uterina», replicando dopo breve riflessione: «si origina da un rapporto anale».

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terremoto dell’Irpinia del 1980

A questi due soggetti, si può toccare il cuore e convertirli spiegando quale rapporto corre tra l’etica nicomachea di Aristotele e le speculazioni metafisiche di San Tommaso d’Aquino? Ma soprattutto, sia per convertirli sia per portarli sulla retta via della fede, dobbiamo forse renderli partecipi delle diatribe contro il teologo gesuita tedesco Karl Rahner, spiegando loro come costui riduce l’essere tomista, che è atto e perfezione, all’essere della conoscenza, identificando l’essere nell’uomo, il conoscere e l’essere conosciuto, mettendo così in piedi una riduzione antropologica della metafisica? E possiamo quindi seguitare a spiegare, a Samantha con la “h” finale sospirata ed al suo ultimo fidanzato barese chiamato John in onore del Lennon, che Karl Rahner capovolge i principi fondamentali del realismo tomistico per dare vita al principio moderno di immanenza?

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terremoto dell’Irpinia del 1980

A Samantha con la “h” finale sospirata, tra poco psico-pedagoga, convinta che il Krizia sia un profumo, ed al suo ultimo fidanzato barese, chiamato John in onore del Lennon, tra poco farmacista, convinto che una gravidanza extra uterina sia originata da un rapporto anale, per stimolarli verso un cammino di fede, che cosa dobbiamo offrire? Forse gli dobbiamo offrire gli atti del convegno contro Karl Rahner promossi anni fa dai Francescani dell’Immacolata? Dobbiamo consigliar loro la lettura dei testi del compianto Brunero Gherardini, di Serafino Lanzetta e di Roberto de Mattei, che portano avanti la tesi del Concilio Vaticano II quale concilio solo pastorale e non dogmatico? Dobbiamo forse convincerli a leggere la preziosa e ottima opera Vera e falsa teologia di Antonio Livi [cf. QUI], impegnativa da leggere persino per gli studiosi di scienze filosofiche e teologiche? O dobbiamo forse trascinarli nei dibattiti fanta-liturgici di certe menti schizofreniche, convinte che quel rozzo e semplice pescatore galileo del Beato Apostolo Pietro giungeva ad un solenne altare basilicale scortato da quattro diaconi in splendenti dalmatiche barocche, coadiuvato da vari presbiteri assistenti rivestiti di solenni piviali, acclamando sotto i gradini dell’altare «Introibo ad altare Dei», quindi aprendo il Messale dato da San Pio V nel XVI secolo e iniziando a celebrare quella che questi poveri schizofrenici della liturgia estetica ed il loro codazzo di cultori della fanta-liturgia chiamano «La Messa di sempre»?

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terremoto del friuli del 1976, funerali delle vittime

Insomma, al povero John, così chiamato in onore del Lennon, cresciuto dai genitori sul modello guida delle parole della canzone Imagine, possiamo anche perdonare di non sapere neppure come si sviluppa una gravidanza extra uterina, ma certi Signori e Signore della vera e pura traditio catholica, nei cui circoli abbondano onirici teologi e sedicenti liturgisti, non possono essere anch’essi convinti come John che una gravidanza extra uterina «si sviluppa da un rapporto anale», perché ciò vorrebbe dire, tra l’altro, non conoscere Aristotele anche nella sua qualità di biologo, sugli schemi e sulla logica del quale San Tommaso d’Aquino sviluppa il proprio metodo, da qui il suo titolo di Doctor Communis, ossia dottore universale della Chiesa. E questo titolo precisa ed indica che quella dell’Aquinate non è semplicemente una “scuola teologica” particolare, ma un patrimonio comune di tutta la Chiesa universale, ed al tempo stesso un metodo che, pur con qualche difetto e lacuna, resta tutt’oggi valido e soprattutto insuperato.

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E si noti bene che Samantha con la “h” sospirata, con tutti i suoi poetici «msidt [14], xché tu 6 il + [15]» … e via dicendo, non è neppure la peggiore. Si provi a immaginare coloro che non arrivano neppure al genere di evoluzione alla quale è giunta comunque Samantha con la “h” sospirata, che tra poco sarà dottore in psico-pedagogia e promotrice della teoria del gender.

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terremoto dell’Irpinia del 1980, le salme predisposte per la sepoltura

Io non disprezzo la scolastica e la metafisica, di cui sono cultore e studioso e che stanno entrambe alla base della mia formazione filosofica e teologica, ma siccome sono anzitutto un pastore in cura d’anime per la grazia di stato sacerdotale ricevuta, sono consapevole che il mio compito primario e fondamentale è l’annuncio del Santo Vangelo in una Europa scristianizzata e decadente nella quale le nuove generazioni non conoscono più neppure i fondamenti del Cristianesimo. E in questa situazione di sfacelo, affermare con spirito da salotto chiuso ed esclusivo che bisogna ripartire dalla metafisica e da San Tommaso d’Aquino, spiegando in modo ostinato la sola pastoralità del Concilio Vaticano II, o sostenendo il concetto aberrante di «Messa di sempre» — ciò nel senso filosofico di aberatio intellectus —, il tutto riferito ad un Messale Romano dato da un Santo Pontefice nel XVI secolo, equivale a voler usare il XXXIII Canto del Paradiso per insegnare a leggere ed a scrivere a degli adulti giunti alla maggiore età in stato di totale analfabetismo, convinti che bisogna ripartire dall’Opera di Dante Alighieri per sconfiggere la piaga dell’analfabetismo. Il tutto nella cieca noncuranza che la struttura teologica del Canto conclusivo dei tre libri della Divina Commedia non è oggi compreso neppure da coloro che insegnano e che spiegano agli studenti l’Opera del Sommo Poeta, basti solo leggere certe spiegazioni al testo stampate sui libri ad uso scolastico, od entrare in un qualsiasi liceo mentre un insegnante offre assurde spiegazioni agli studenti che durante la lezione mandano SMS, inviano foto su Istagram o whatsapp con i telefoni cellulari sotto i banchi.

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terremoto dell’Irpinia del 1980, il trasporto delle salme da parte dei Vigili del Fuoco

Affermare con compiaciuto narcisismo che bisogna ripartire dalla metafisica e da San Tommaso d’Aquino, è come pretendere di dare ad un bimbo di un anno con gravi problemi di denutrizione una bistecca alla fiorentina come pasto. Da quale San Tommaso d’Aquino dobbiamo ripartire, dovendoci oggi confrontare con un numero elevato di presbiteri e di vescovi che mostrano di non conoscere più i fondamenti del Catechismo della Chiesa Cattolica, ed il cui parlare è tutto un brulicare di sociologismi mondani? Ma ci vogliamo rendere conto, che cosa esce dalle bocche dei preti e dei vescovi, quando oggi parlano di carità, di misericordia, di poveri in spirito? Nell’ipotesi migliore esce fuori del melenso e smidollato buonismo, ed a loro insaputa ― perché ormai bisogna parlare di ignoranza del tutto inconsapevole ―, dalle loro bocche escono delle terminologie che sono proprie del linguaggio illuministico e massonico, a partire dal concetto ambivalente e del tutto distorto di “solidarietà”, che per i frammassoni è puro ed esclusivo impegno filantropico nel sociale, esattamente ciò a cui oggi la Chiesa visibile ha ridotto il senso di carità svuotato della sua trascendenza cristologica e riempito di mondanità uomocentrica.

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In questione ― ed è bene puntualizzarlo a scanso di potenziali equivoci ―, non sono certo la scolastica e l’Aquinate, che ricordo sono due metodi, che come tali richiedono una solida base, una cultura di grado elevato, ma soprattutto un linguaggio ed un allenamento mentale e di concentrazione che oggi alla gran parte degli ecclesiastici stessi non è proponibile, perché non hanno né la formazione né i mezzi per affrontare il tutto. Quando infatti mancano purtroppo basi, cultura e linguaggio, come si può affermare in modo logico e ragionevole che bisogna volare in alto nel cielo? O si può forse chiedere ad un pollo di volare come se fosse un’aquila?

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terremoto dell’Aquila del 2009, i funerali delle vittime

La scolastica ed il tomismo, nel corso dell’ultimo mezzo secolo sono stati rasi al suolo da terremoti teologici di alta magnitudo innescati prima dal para-concilio dei teologi e poi dal post-concilio Vaticano II dei falsi interpreti. Ora, tutti noi dovremmo sapere che le violenti scosse sismiche di un terremoto ad alta magnitudo, in pochi minuti possono far crollare intere città. Una volta che questo è accaduto, per poi ricostruire quelle città non basteranno certo altrettanti pochi minuti, occorreranno decenni, perché sarà necessario ripartire pressoché da zero. Quando poi si tratta di città antiche completamente distrutte, come più volte avvenuto in Italia nel corso dei secoli, non sarà neppure possibile ricostruirle più o meno tal quali, perché certe antiche opere architettoniche non sono riproducibili, salvo dar vita a un falso antico od a maldestre riproduzioni, come per esempio la neo-scolastica decadente e lo pseudo tomismo. Sicché, affermare in certi salotti-ghetto che bisogna ripartire dalla metafisica e da San Tommaso d’Aquino, forse a certi soggetti onirici dà più eccitazione di quanta ne possa dare una conturbante immagine erotica ad un adolescente in preda a tempeste ormonali, ma per altro verso denota in qual misura costoro siano mossi da uno spirito irrazionale tale da renderli incompatibili con qualsiasi vera speculazione di tipo filosofico e teologico, certi e sicuri come sono di poter ricostruire nel tempo di un balletto città intere dopo un terremoto ad alta magnitudo che le ha rase al suolo; riedificandole semmai con quattro formulette ristagnanti della neo-scolastica decadente, che nulla hanno da spartire né con la scolastica né col tomismo. Detto questo si noti anche una cosa, i vari laici cattolici che si lanciano in diatribe internetiche sul rilancio della metafisica e di San Tommaso d’Aquino, se presi e tolti dal loro mondo onorico-telematico e posti dinanzi ad una platea, alla domanda a loro rivolta: «ci chiarisca il concetto di “ente” e di “essere”, di “sostanze” e di “accidenti”», farebbero scena muta. E questo lo affermo non perché lo immagino, ma perché l’ho più volte e ripetutamente sperimentato. Non è infatti un caso che questi leoni dietro gli schermi dei computer, fuggano ad ogni genere di confronto e di dibattito pubblico, non avendo mai studiato né la metafisica né il tomismo, seppure perversamente eccitati da queste due parole magiche, di cui non conoscono però la complessa essenza strutturale, che richiede prima la costruzione di solide basi, poi anni e anni di studio.

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Ascoli Piceno, terremoto del 2016, funerali delle vittime

Tutto questo ai grandi soloni non interessa, perché in essi prevale il narcisistico senso del piacere e dell’auto-compiacimento, certi e sicuri che peccaminosa e grave è solo la masturbazione fisica di un adolescente, non la pericolosa masturbazione mentale di certi adulti, incapaci di comprendere che anche a costo di umiliare il nostro essere intellettuale e conoscitivo, o le nostre capacità speculative filosofiche e teologiche acquisite e sviluppate in molti anni di studio e di lavoro, bisogna ripartire con l’annuncio degli elementi più basilari del Catechismo della Chiesa Cattolica, ed il tutto anche con esiti molto incerti, in una società che ormai ha sviluppata avversione sociale e politica verso il Cristianesimo. Il tutto mossi dalla dolorosa consapevolezza che nella società contemporanea, il sentire e gli stessi concetti di uomo e di natura, di vita umana e di etica, di famiglia e di rapporti umani, di legge e di diritto, sono del tutto antitetici ad ogni cristiano sentire e vivere. E se qualcuno, dinanzi a questa realtà, pensa davvero di ripartire dalla metafisica e da San Tommaso d’Aquino, in tal caso sarebbe bene far correre al più presto una autoambulanza e farlo trasportare legato dentro una camicia di forza presso il più vicino centro di igiene mentale. In caso contrario, il Cristianesimo sarà mutato in una speculazione intellettuale, estetica ed estetizzante, portata avanti per il piacere masturbatorio del proprio  egoistico “io” da persone che molto più e molto peggio dei modernisti e dei rahneriani da loro tanto criticati, hanno da tempo dimenticato di essere dei pastori in cura d’anime, non degli intellettuali da salotto che se le cantano e che se la suonano tra di loro in un mondo che non solo non li vuole ascoltare, ma che volendo anche compiere lo sforzo volenteroso di ascoltarli, non ha proprio più i mezzi intellettivi per comprendere questo genere di linguaggio.

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O sempre per dirla con un altro esempio concreto: sarebbe come se io, andando a far spesa al mercato della frutta in Campo dei Fiori a Roma, mi rivolgessi al venditore con questo linguaggio: «Buondì messer mio, niuno v’ha detto ch’eziandio tenete robe novelle d’alta bontade? Ordunque, pria largitemi queste leggiadre erbette, poscia questi frutti ubertosi». Sono pressoché certo che il fruttivendolo mi risponderebbe: «Caro Padre, io vendo erbe, ma se come sembra lei usa erbe da fumo di quelle che danno alla testa, allora deve andare a comprarle da un’altra parte». A quel punto potrei forse replicare dicendo … «Mio caro, lei ha frainteso e non ha capito: bisogna ripartire dalla lingua di Dante!». Ecco, questo è esattamente ciò che fanno gli abitanti del ghetto-estetico quando affermano che bisogna ripartire dalla metafisica e da San Tommaso d’Aquino e che per salvare il depositum ed il sensus fidei bisogna celebrare la «Messa di sempre» usando la magia del latino, posto che il latino è uno strumento di salvezza molto più efficace della assoluzione dei peccati attraverso il Sacramento della confessione o del Sacramento dell’unzione degli infermi dato alle persone che stanno per morire assieme alla prevista assoluzione plenaria. Detto questo aggiungo: chi pensasse che la fede unita alle opere salva, commette un grave errore: a salvare le anime sono il latino ed il Messale della cosiddetta «Messa di Sempre» di San Pio V.

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Sempre per spiegare che cosa accade quando si perde una lingua offro anche quest’altro esempio: quei grandi padri della democrazia e di quella non meglio precisata civiltà, tali tutt’oggi si credono i britannici, dopo avere depredato certi Paesi di tutto, di che cosa infine li privarono? Li privarono della loro lingua. E tutt’oggi, in India, per comunicare tra di loro gli indiani delle varie regioni sono costretti a parlare in lingua inglese. Naturalmente, il meglio di loro stessi, gli inglesi lo hanno dato con l’apartheid in Sud Africa al canto di God Save the Queen [Dio salvi la Regina]. E oggi, nella morente società inglese — nella cui capitale si rischia di essere accoltellati per strada da due bimbi di dieci anni —, gli stessi che sino a ieri tenevano in piedi il regime dell’apartheid in Sud Africa, sono capaci a spedirti nelle galere di Sua Maestà Britannica con accuse di razzismo o della sua variante tal è la cosiddetta omofobia, se osi esprimere che la loro icona pop Elton John, sposato con un uomo e con due bimbi comprati da degli uteri in affitto, farebbe gridare allo scandalo anche gli abitanti di Sodoma e Gomorra. Ma d’altronde, paradigma della società britannica sono i gabinetti dei loro locali pubblici, dove capita di trovare un cesso alla turca sul pavimento senza neppure un piccolo lavello per lavarsi le mani. Cosa questa che denota quanto certe persone siano sporche fuori e sporche dentro, ma pur malgrado convinte di essere i padri della civiltà, forse anche dell’igiene. Il tutto sebbene agli inizi del 2000, un gruppo di studenti italiani in soggiorno a Londra col progetto Erasmus, prelevò delle arachidi e delle patatine dai contenitori portati assieme alle birre ai tavoli di uno dei tanti pub di Londra, ed appena rientrati nella “sporca” ed “incivile” Italia le fecero esaminare da un laboratorio di analisi dell’Università di Bologna, con questo sorprendente risultato: quegli alimenti contenevano tracce di ben quattordici tipi di orine diverse … God Save the Queen !

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terremoto di Amatrice del 2016, funerali delle vittime

Questa è la nefasta opera portata a compimento nel corso dell’ultimo mezzo secolo: la distruzione del linguaggio ed il radicale sovvertimento del concetto stesso di umanità. Bisogna quindi insegnare di nuovo la lingua per comunicare, per dare all’uomo «un cuore nuovo» [cf. Ez 36,26-27. 26] e trasmettere i misteri della fede, consapevoli di quanto tempo occorra per ricostruire una città rasa al suolo da un violento terremoto. Solo dopo un lungo lavoro che impegnerà diverse generazioni, il quale richiederà anzitutto santi pastori in cura d’anime e autentici servitori della teologia, potremo tentare di dire: … e adesso proviamo a ripartire dalla metafisica e da San Tommaso d’Aquino. Qualsiasi autentico pastore in cura d’anime e qualsiasi autentico teologo che non sia un vanesio onanista narcisista raffermo nello stagno della propria ego-teologia, dovrebbe capire quanto sia urgente ripartire dalle basi più fondamentali, con buona pace del Jota Unum di Romano Amerio, delle rubriche e dei codicilli dei salottieri esclusivisti che tanto si piacciono quando nei loro circoli-ghetto parlano della purezza della vera dottrina o delle più alte speculazioni metafisiche, ma che nulla annunciano del mistero della Rivelazione e della Redenzione alla società neo-pagana di un mondo ormai in stato avanzato di decadenza. E con questa società e con questo mondo, gli esclusivisti salottieri della metafisica onirica condividono un grande elemento comune: il loro amore ed il loro compiacente annegamento nell’estetica decadente.

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A chi ancora avesse dubbi circa quanto ho sin qui affermato, procedendo su delle basi logiche che chiunque può smentire attraverso altrettanta e migliore logica, potrebbe bastare semplicemente mettere a confronto questo testo:

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da quando msidt, la mia vita è cambiata

xché xme tu6 qlc.

Per questo tvb tipe, xché 6Sxme.

MMT+ xché tu 6 il +.

T tel + trd, mi raccomando risp al cel 

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con quest’altro testo:

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Dicamus ergo resumentes et cetera. Praemisso prooemio, hic Aristotiles accedit ad tractatum huius scientiae. Et dividitur in partes tres. In prima determinat de felicitate, quae est summum inter humana bona perducens ad hoc considerationem felicitatis quod est operatio secundum virtutem. In secunda parte determinat de virtutibus, ibi, si autem est felicitas operatio quaedam secundum virtutem et cetera. In tertia complet suum tractatum de felicitate, ostendens qualis et quae virtutis operatio sit felicitas […] [16]

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la cattedrale di Messina ricostruita nel 1929 dopo il terremoto del 1908 che l’aveva rasa al suolo

… e messi a confronto questi due testi, vedremo e stabiliremo da dov’è più opportuno ripartire per riportare l’annuncio del Santo Vangelo agli uomini di un mondo sempre più cieco, sordo ed avverso a tutto ciò che è racchiuso nel Mistero della Rivelazione …

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Ecco perché noi Padri de L’Isola di Patmos anche a costo di “mortificare” il nostro cosiddetto “spirito intellettuale” e speculativo ―, abbiamo deciso di ripartire da quelle basi fondamentali che comportano un attento lavoro pedagogico che richiede anzitutto estrema chiarezza e una accurata spiegazione del senso delle parole. Non bisogna infatti dare mai nulla per scontato, con i tempi che corrono oggi. Quindi non si può menzionare, per esempio la parola transustanziazione, od i termini filosofici e teologici di sostanze e accidenti, senza spiegare in modo chiaro e semplice il preciso significato di questi termini [a titolo di esempio si rimanda a Giovanni Cavalcoli, O.P. QUI]. Tutto questo sempre nella triste consapevolezza che certi termini trasposti dal lessico filosofico classico al linguaggio teologico, oggi non sono compresi persino da un elevato numero di vescovi e di sacerdoti, per non parlare di certi laici messi a insegnare il catechismo ai nostri bimbi, od agli insegnati di religione nelle scuole.

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Ovviamente, di tanto in tanto, proseguiremo a scrivere articoli più lunghi e di taglio specialistico per la nostra pagina di Theologica, ma non certo limitandoci solo a questi scritti quasi sempre complessi, per quanto chiari, diretti perlopiù ad un pubblico più specialistico.

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Solo dopo che avremo ricostruito il linguaggio potrà infatti accadere che tra alcune generazioni i nostri posteri — quando noi saremo ormai corpi dissolti dentro le tombe e le nostre anime in soggiorno nel Purgatorio —, potranno provare a dire: adesso tentiamo di ripartire dalla metafisica e da San Tommaso d’Aquino.

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dall’Isola di Patmos, 29 aprile 2018  ―  Santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa 

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NOTE

[1] Mi sono innamorata di te

[2] Perché

[3] Per me

[4] Tu sei qualcuno

[5] Ti voglio bene ti penso

[6] Sei speciale per me

[7] Mi manchi tantissimo

[8] Tu sei il migliore

[9] Ti telefono più tardi.

[10] Rispondi al cellulare.

[11] Vengo dopo

[12] Ci vediamo.

[13] Tanto nobile d’animo e tanto piena di decoro è
la donna mia, quando rivolge ad altri il saluto,
che ogni lingua diviene, tremando, muta,
e gli occhi non hanno il coraggio di guardarla [Dante, La vita nova, XXI]

[14] Mi sono innamorata di te

[15] Tu sei il migliore

[17] San Tommaso d’Aquino, Liber I lectio IV.

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il problema non è Eugenio Scalfari ma l’uomo Jorge Mario Bergoglio carente di prudenza ed equilibrio mentale, che però potrà essere ugualmente un prezioso strumento della grazia di Dio

Le imprudenze dell’uomo Jorge Mario Bergoglio e il nostro servizio vigili del fuoco

IL PROBLEMA NON È EUGENIO SCALFARI MA L’UOMO JORGE MARIO BERGOGLIO CARENTE DI PRUDENZA ED EQUILIBRIO MENTALE, CHE PERÒ POTRÀ ESSERE UGUALMENTE UN PREZIOSO STRUMENTO DELLA GRAZIA DI DIO

 

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Tra le varie manifestazioni di grave imprudenza del Sommo Pontefice Francesco I v’è anche l’ostinazione senile a perseverare testardamente ad interloquire con un soggetto pericoloso come Eugenio Scalfari, costringendo poi gli organi ufficiali della Santa Sede a fare la pubblica figura degli utili idioti quando non potendo essi affermare che la Chiesa oggi è in mano ad un imprudente, si arrampicano sugli specchi per spiegare che l’interlocutore non ha ben compreso, o che quell’incontro era solo un colloquio privato e non un’intervista. Ebbene domando, Signori degli organi ufficiali della Santa Sede: ritenete — beninteso è solo un esempio accademico! —, che dinanzi ad un monarca più pazzo di Re Giorgio III di Hannover, la cosa migliore da farsi sia forse quella di prendere in giro il popolo spiegando ad esso che sono gli altri ad avere equivocato, mentre questi si presentava saltellando vestito della sola camicia da notte bianca nella sala del trono a ricevere i più alti dignitari della Camera dei Lords in visita ufficiale?

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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amicizie pericolose …

Liutprando vescovo di Cremona, agli inizi del X secolo, nel suo De rebus gestis Ottonis Magnis Imperatori, riporta una frase attribuita a questo famoso monarca che sul giovane Pontefice Giovanni XII [Roma 937 – Roma 964], eletto al sacro soglio nell’anno 955 all’età di appena diciotto anni, ebbe a dire:

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«Puer inquid, est, facile bonorum immutabitur exemplo virorum, che tradotto significa: «Il Papa è ancora un ragazzo e si modererà solo con l’esempio di uomini nobili» [testo originale leggibile QUI]

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Da allora ad oggi sono trascorsi più di mille anni, ma ogni tanto la storia riserva delle strane sorprese, ed in modi diversi nella forma, simili però nella sostanza delle diverse persone, purtroppo si ripete. E, come ci insegna la sapienza greca, se l’epico inizio è stato segnato dalla nobile tragedia, la fine — o come nel nostro caso ecclesiale ed ecclesiastico la decadenza irreversibile — è segnata invece da quella satira che tutto quanto annega nel ridicolo. Detto questo preciso: chiunque intenda dissentire da questo comprovato dato di fatto storico-sociale, non se le prenda con me, ma con la storia greca, i greci e la loro letteratura. Io mi sono limitato soltanto a riportare un dato di fatto che nessuno studioso che sia veramente competente e serio può in alcun modo negare e smentire: la decadenza giunge sempre al proprio apice sprofondando nella satira. Basti solo pensare ai periodici scandali del clero, ed in specie quelli a sfondo sessuale, con gli immancabili teatrini dei preti gay pizzicati in situazioni così incredibili nella loro grottesca assurdità, che non destano neppure più indignazione, ma solo risate, proprio come se il tutto fosse una vera e propria commedia comica sulla quale ridere, ma non certo prendere sul serio.

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Così, nella satira in cui ormai siamo sprofondati, siamo stati scossi proprio all’inizio del Triduo Pasquale  dalle parole pubblicate dal fondatore del quotidiano La Repubblica, che ha attribuito al Sommo Pontefice Francesco I delle espressioni che toccano il cuore stesso del mistero della salvezza:

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«Santità» ― domanda Eugenio Scalfari ― «nel nostro precedente incontro lei mi disse che la nostra specie ad un certo punto scomparirà e Dio sempre dal suo seme creativo creerà altre specie. Lei non mi ha mai parlato di anime che sono morte nel peccato e vanno all’inferno per scontarlo in eterno. Lei mi ha parlato invece di anime buone e ammesse alla contemplazione di Dio. Ma le anime cattive? Dove vengono punite?». A questa domanda il Sommo Pontefice avrebbe risposto: «Non vengono punite, quelle che si pentono ottengono il perdono di Dio e vanno tra le fila delle anime che lo contemplano, ma quelle che non si pentono e non possono quindi essere perdonate scompaiono. Non esiste un inferno, esiste la scomparsa delle anime peccatrici» [vedere testo, QUI, QUI].

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Pure il più superficiale conoscitore del Catechismo della Chiesa Cattolica capisce che in questa risposta sono racchiuse gravi eresie non formali ma sostanziali. Poco dopo la diffusione del testo — con tutto ciò che questa notizia ha comportato e scatenato nella giornata del Giovedì Santo — giunge la smentita della Santa Sede:

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«Il Santo Padre Francesco ha ricevuto recentemente il fondatore del quotidiano La Repubblica in un incontro privato in occasione della Pasqua, senza però rilasciargli alcuna intervista. Quanto riferito dall’autore nell’articolo odierno è frutto della sua ricostruzione, in cui non vengono citate le parole testuali pronunciate dal Papa. Nessun virgolettato del succitato articolo deve essere considerato quindi come una fedele trascrizione delle parole del Santo Padre» [ testo ufficiale QUI].

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Caravaggio: flagellazione di Cristo alla colonna nel pretorio di Pilato

Pacifico il fatto che la toppa è peggio dello strappo, dato che l’ennesima sberla è giunta comunque sulla faccia dei Christi fideles all’inizio del Triduo Pasquale, mentre il Sommo Pontefice è impegnato in quello che ― e lo dico senza irriverenza ― potremmo definire come il teatrino ideologico bergogliano meglio noto come la sciacquata dei piedi in carcere, fatta indistintamente a uomini e donne, cristiani e non cristiani. Su questo teatrino non intendo ripetermi, ne ho già scritto in passato ed in toni tutt’altro che ironici [vedere articolo QUI]. Basti infatti ricordare che in questo giorno santo, noi presbiteri, festeggiamo la istituzione del Sacerdozio e della Santissima Eucaristia; anche se questo giorno è stato ormai mutato dal Pontefice regnante nel tripudio bergogliano della pedicure al carcerato.

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Reputo purtroppo inutile ricordare al Sommo Pontefice ― che come scrissi di recente non è neppure una psicologia provinciale, poiché appartenente a quella sotto-categoria del provincialismo che è il quartieralismo [vedere articolo QUI] ― che questo gesto contenuto nel Vangelo del Beato Apostolo Giovanni acclamato proprio nella Missa in Coena Domini [cf. Gv 13, 1-15], dal Cristo Signore è compiuto sugli Apostoli scelti come Sacerdoti della Nuova Alleanza e come ministri dispensatori e custodi della Santissima Eucaristia.

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Caravaggio: Cristo coronato di spine

E mentre pel gaudio dei membri del Partito Radicale, nella logica dei quali non sussiste il concetto “povere vittime dei reati”, bensì “poveri carcerati che i reati li hanno commessi” — il tutto secondo la stessa diabolica logica del “povere donne che hanno abortito”, mai invece “poveri bambini uccisi dalle loro madri con l’aborto” —, il Sommo Pontefice ha di nuovo ignorato che nella sua stessa Diocesi di Roma vi sono Vescovi e Presbìteri anziani, infermi e gravemente ammalati, che hanno trascorso le loro esistenze a servire la Chiesa di Cristo e ad essere fedeli dispensatori dei Sacramenti di grazia. Alcuni sono ricoverati in ospedale, altri vivono in strutture clinico-geriatriche perché non più autosufficienti e per questo bisognosi di essere assistiti anche per recarsi semplicemente ai servizi igienici, ammesso vi si possano recare e che non debbano invece espletare i propri bisogni corporali a letto, con l’assistenza che ciò richiede e con tutto il senso di disagio e di umiliazione che questo comporta per qualsiasi essere umano. In ogni caso, ciò che solo importa è che il Sommo Pontefice — che da subito s’è dichiarato proveniente dall’altra parte del mondo e che dopo questo annuncio non ha tardato a cominciare a far cose dell’altro mondo —, vada a sciacquare i piedi a dei giovanottoni in perfetta salute fisica che in carcere non si trovano per ingiustizia, ma perché hanno commesso crimini di vario genere; perché hanno usato violenza verso altri esseri umani, hanno derubato persone dedite all’onesto lavoro, comprese persone che stentano a far giungere le proprie famiglie alla fine del mese, hanno spacciato droga, hanno sfruttato la prostituzione, hanno commesso stupri e via dicendo, ed il tutto, beninteso, con buona pace dei membri del Partito Radicale che inneggiano al ”povero carcerato” ed altrettanta buona pace del Pontefice regnante che va a sciacquare i piedi a questi angeli di Dio.

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A tutti noi il Sommo Pontefice dovrebbe insegnare che Cristo Signore ci esorta dicendo: «ero carcerato e mi avete visitato» [cf. Mt 25, 36]. Cristo Signore non afferma affatto: «ero carcerato e mi avete lavato i piedi», perché i piedi, Cristo Dio, li ha lavati solo agli Apostoli da Lui scelti e da Lui consacrati Sacerdoti della Nuova Alleanza, tutto il resto è da considerare solo una sorta di moderno Vangelo apocrifo che potremmo ragionevolmente titolare “Il Vangelo secondo Jorge Mario Bergoglio”.

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Caravaggio: particolare dei piedi nell’opera Madonna dei pellegrini

È per ciò legittimo chiedersi come mai, il Giovedì Santo, il Pontefice giunto dall’altra parte del mondo che pare anelare a far cose dell’altro mondo, per dare esempio di umiltà e di quello spirito di servizio al quale ci esorta Cristo Signore lavando Egli per primo i piedi ai suoi discepoli ― e si noti, ai suoi discepoli, non ai carcerati né alle puttane di Gerusalemme ―, non si rechi invece presso qualche centro di geriatria a porgere il pappagallo per le orine o la padella per defecare a qualche santo Vescovo e Sacerdote infermo che ha trascorso tutta la propria vita a servire Cristo e la sua Chiesa, non certo a rubare, a stuprare, a lucrare sulla prostituzione ed a spacciare droga come gli angeli di Dio resi oggetto della liturgia bergogliana dello sciacquo annuale dei piedi. Detto questo aggiungo: l’uomo Jorge Mario Bergoglio, giunto dall’altra parte del mondo e di fatto cimentato da cinque anni a far cose dell’altro mondo, alla propria coscienza di uomo e di Successore del Principe degli Apostoli dovrebbe rivolge questa domanda: mentre lui trovava tempo e forse anche diletto a ricevere Eugenio Scalfari, dispensando ad esso un tempo prezioso che da Dio è stato concesso alla Santità di Nostro Signore Gesù Cristo il Sommo Pontefice Francesco I per ben altri scopi e alte missioni, quante volte è stato informato che Vescovi e Sacerdoti, inclusi diversi di sua diretta e stretta conoscenza, erano ricoverati in ospedale, erano stati sottoposti a grandi ed invasivi interventi chirurgici, o che si trovavano in degenza presso i vari centri di riabilitazione e via dicendo a seguire? E quante volte, la Santità di Nostro Signore Gesù Cristo il Sommo Pontefice Francesco I, sebbene informato, si è ben guardato dal prendere il telefono ― del quale da sempre fa ampio uso e abuso ― per rivolgere a costoro un augurio ed un segno di apostolica vicinanza, proprio come fece chiamando persino due figli di Lucifero del calibro di Marco Pannella ed Emma Bonino, invitandoli diversamente a «tenere duro», sebbene non si sappia su che cosa il padre e la madre dell’aborto, dell’eutanasia, delle sperimentazioni genetiche, dell’omosessualismo, del matrimonio tra coppie delle stesso sesso e dei bambini dati ad esse in adozione o dalle stesse acquistati da uteri in affitto, avrebbero dovuto e dovrebbero seguitare a «tenere duro»? [cf. QUI, QUI].

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Caravaggio: il bacio di Giuda

Il tutto a riprova che per la prima volta nella storia ci troviamo a fare i conti con un legittimo Successore di Pietro che rischia di entusiasmare tutti i peggiori nemici di sempre della Chiesa e del Cattolicesimo, salvo creare sconcerto e smarrimento nei Christi fideles, mentre Eugenio Scalfari ― e non solo lui ―, inneggia al Papa rivoluzionario, in coro con quell’altra brutta persona di Antonio Spadaro, che fa da controcanto inneggiando al «leader rivoluzionario» [cf. QUI], entrambi ignari che il concetto di «rivoluzione» e «rivoluzionario» non è applicabile alla Chiesa ed al papato, presi come sono dalla loro drammatica e distruttiva deriva utopista e secolarista [cf. Giovanni Cavalcoli, O.P, QUI]. Farlo comporterebbe infatti confinare la Chiesa per un verso, il papato per altro verso, entro schemi e riduttive logiche socio-politiche tutte quante mondane, legate ad un presente fondato sul tutto e subito e non teso verso alcuna prospettiva escatologica. E fu proprio questo duemila anni fa l’errore di certi giudei, che nel Cristo intendevano vedere quel “rivoluzionario” che li avrebbe liberati dal dominio romano, mentre ben più alta era la sua missione: liberarli dal peccato, sino a divenire l’Agnello di Dio che lava il peccato dal mondo [cf. Gv 1, 29-34]. Tra questi, uno che nel Cristo vedeva un leader di tal fatta, un rivoluzionario, un capo popolo liberatore, ma rimanendo molto deluso nel capire quanto Egli non fosse né intendesse esser tale, era un personaggio noto come Giuda Iscariota, una sorta di socio-politologo alla Antonio Spadaro di venti secoli fa, il quale perlomeno, dopo avere tradito il Divino Maestro, non si mise a lanciare tweet sconclusionati e interviste che sovvertono i principi basilari della ecclesiologia. Infatti, Giuda Iscariota, con un gesto per così dire “coerente” e drammatico s’impiccò, cosa che avvenne perché egli era un giudeo a suo modo “coerente” con la propria totale chiusura alle azioni di grazia del Cristo, non era un gesuita trasformista sulla cresta dell’onda del momento, convinto che questo momento non passerà mai, perché la cosiddetta «rivoluzione» si baserebbe a dire di costoro su dei «mutamenti epocali irreversibili». Ricordiamo infatti al povero Spadaro — ma di passaggio anche al Preposito generale della Compagnia di Gesù Padre Arturo Sosa, dichiaratosi più volte amenamente affetto da orticaria dinanzi alle rigidezze della dottrina [cf. QUI] — che irreversibili, nella Chiesa di Cristo, sono solo quei dogmi della fede che oggi taluni Giuda vorrebbero reversibili per meglio imporre i propri dogmi umani, talvolta anche apertamente diabolici. Tutto questo in nome della loro celebrata e sfacciatamente dichiarata irreversibilità, costruita su un momento presente che non deve passare, perché è il tutto e subito che a loro interessa, non le cose ultime ed eterne. E queste, a ben pensarci, sono le forme e le espressioni dell’ateismo peggiore: l’ateismo ecclesiastico.

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Della personalità del Sommo Pontefice Francesco I, ad inquietarmi è quella sua grave mancanza di prudenza che solo i ciechi ed acritici sostenitori della giustezza e della opportunità di ogni suo pur minimo sospiro, non vogliono proprio e in alcun modo vedere; così come, per altri motivi più gravi assai, non vogliono vederla i cortigiani ruffiani anelanti all’agognato scatto di carriera, per giungere al quale oggi si sono ammantati di poveri, di povertà, di profughi e di periferie esistenziali. E, tra le varie manifestazioni di grave imprudenza del Sommo Pontefice Francesco I v’è anche l’ostinazione senile a perseverare testardamente ad interloquire con un soggetto pericoloso come Eugenio Scalfari, costringendo poi gli organi ufficiali della Santa Sede a fare la pubblica figura degli utili idioti quando non potendo essi affermare che la Chiesa oggi è in mano ad un imprudente, si arrampicano sugli specchi per spiegare che l’interlocutore non ha ben compreso, o che quell’incontro era solo un colloquio privato e non un’intervista. Ebbene domando ai Signori degli organi ufficiali della Santa Sede: ritenete — beninteso è solo un esempio accademico! —, che dinanzi ad un monarca più pazzo di Re Giorgio III di Hannover [cf. QUI], la cosa migliore da farsi sia forse quella di prendere in giro il popolo e di trattarlo come un insieme di perfetti cretini ai quali spiegare che sono solo gli altri ad avere equivocato, mentre Sua Maestà si presentava saltellando vestito della sola camicia da notte bianca nella sala del trono a ricevere i più alti dignitari della Camera dei Lords giunti in visita ufficiale? Voi lo capite, Signori degli organi ufficiali della Santa Sede, che siffatta corsa di Giorgio III nella sala del trono in camicia da notte, è cosa meno folle e soprattutto meno imprudente rispetto alla testarda ostinazione da parte del Pontefice regnante a voler in tutti i modi interloquire con un soggetto come Eugenio Scalfari?

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Caravaggio: il rinnegamento di Pietro

Partiamo allora da San Tommaso d’Aquino, tramite il quale possiamo apprendere quanto la prudenza abbia una sua precisa collocazione che procede attraverso una definizione altrettanto precisa: «Prudentia est auriga virtutum» [Summa Th. I-II, q.58 a.5]. La prudenza è il carro che traina tutte le altre virtù cardinali [cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1806], è la genitrix virtutum, la guida e la madre di tutte quante le virtù morali, in assenza della quale nessuna di queste virtù possono giungere a quel loro atto formale e sostanziale che è il retto comportamento virtuoso. Non è affatto sufficiente il desiderio di voler essere giusti e temperanti, perché occorre cogliere e poi seguire quella linea di condotta mediante la quale  si realizzano e si concretano la giustizia o la temperanza. Senza questa azione, che è propria della prudenza intesa come auriga virtutum e genitrix virtutum, le altre virtù rimarrebbero solamente lettera morta, perché non potrebbero esprimersi, non avrebbero proprio come esprimersi, quindi non giungerebbero mai a consolidarsi nella persona rendendola veramente e autenticamente virtuosa, meno che mai giusta.

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Alla scuola dell’Aquinate apprendiamo così che la prudenza non è soltanto la prima tra le virtù cardinali, perché essa, le altre virtù, le guida tutte, in quanto «ratio connectionis virtutum moralium». Dunque la virtù della prudenza possiede questa autonomia dell’ordine morale naturale. In entrambi gli ordini vi è una virtù connettente, cioè una virtù che connette tutte le altre, dà la forma — per così dire — alle altre virtù. E l’Aquinate dice ancora che nelle vicende che riguardano l’operare, in operationibus, o l’agire, in agilibibus, la forma si prende o si desume dal fine. Perciò quella virtù che più da vicino dispone al fine ultimo dell’esistenza umana, è la virtù che dà la forma alle altre virtù e le connette tra loro [su prudenza e connessione, cf. Tomas Tyn, O.P. Lezioni sulla Prudenza, Bologna, 1988].

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Caravaggio: Ecce Homo

L’uomo privo di ragionevolezza si comporta pertanto in modo eccessivo, indugiando alla umoralità ed alla irrazionalità. E, indugiando in questi eccessi, l’uomo privo di ragionevolezza non riesce a moderarsi e ad adeguarsi alla misura ed al reale, sino a cadere per inevitabile e logica conseguenza nello squilibrio e nel surreale, perché l’uomo irragionevole è sempre e di per sé un uomo privo di misura, scisso dalla realtà e quindi povero o privo di equilibrio. Sinceramente, analizzando la personalità ed i fatti, temo che l’uomo Jorge Mario Bergoglio sia carente di equilibrio e che — come ebbi a scrivere oltre un anno fa — «i veri “dubia” sono quelli circa la sua lucidità mentale, però nessuno lo dice» [cf. QUI]. E nessuno lo dice, tra l’esercito di pavidi clericali che imperversa oggi nella Chiesa, pur se i fatti dimostrano che egli crea divisioni spesso anche gravi e drammatiche, non offre al Popolo di Dio certezze ma dubbi, alla chiarezza richiesta dal linguaggio dottrinale preferisce anteporre espressioni ambigue interpretabili a doppio senso, generando in tal modo sbandamento nei Vescovi, nei Presbiteri e nel corpo dei Christi fideles. Accarezza i lupi rapaci, solidarizza e mostra grandi aperture verso le pecore disperse nelle praterie delle eresie luterane, salvo prender poi a bastonate le pecore fedeli rimaste dentro il cattolico ovile. È capace a dire in modo deciso e chiaro “si” o “no”, solo quando si tratta di quegli elementi che vanno ormai letti nell’ambito delle sue nevrosi ossessive: profughi, migranti, poveri ideologici ed ecologia, mentre su tutto l’altro resto, incluse delle norme basate su verità di fede, impera il “forse” e alla fine il peggiore e più devastante “fate voi”. Ha mostrato verso il mondo islamico un ossequio a dir poco improvvido, ha ripetutamente definito l’Islam come religione di pace e di amore, ignorando totalmente, in modo pericolosamente acritico, ch’esso nasce e prende vita da un complesso assembramento di messaggi mescolati assieme da un falso profeta, ed ignora altresì che proprio in virtù dei non pochi figli violenti e assassini che prendono le mosse da questa religione di pace e di amore, tutti i dintorni della Città del Vaticano sono blindati per evitare attacchi terroristici. Ignora altresì che la storica Via della Conciliazione, ininterrottamente aperta dal 1929 sino ai giorni recenti, è stata chiusa al traffico con colonnine di cemento e ringhiere di ferro poste al suo inizio per evitare che qualche fondamentalista islamico, in nome della pace e dell’amore, s’intende, si lanciasse con un mezzo imbottito di cariche esplosive in direzione della Piazza San Pietro in mezzo alla gente, o meglio tra gli infedeli. Ora, siccome i fatti non passibili di facile smentita sono questi, mi domando: come possiamo parlare di costui come di un uomo prudente ed equilibrato? Non parliamo poi dell’uomo di governo che mostra ormai da anni di essere capace a scegliere una appresso all’altra delle figure molto dannose alla Chiesa, imponendo soggetti che però fanno parte del suo cosiddetto «cerchio magico», o che sono riusciti a godere delle sue simpatie prive di prudenza e soprattutto di quel senso del governo illuminato dalla grazia dello Spirito Santo in virtù del quale, ormai da anni, l’uomo Jorge Mario Bergoglio avrebbe dovuto cessare di essere tale per essere solo ed unicamente il Sommo Pontefice Francesco I, fedele servum servorum Dei.

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Vogliamo usare in tal senso un paradigma anch’esso non passibile di facile smentita, per chiarire in qual misura questo Pietro non abbia mai abbandonato il proprio essere stato in precedenza Simone? Presto detto: il Pontefice regnante, ignorando o forse fingendo d’ignorare che egli è, tra le varie cose, anche Sovrano Capo di uno Stato che col proprio chilometro quadrato di territorio garantisce la preziosa indipendenza del Romano Pontefice da qualsiasi potere politico secolare, nel 2014 ci dona una delle sue splendide perle rinnovando — ovviamente sotto i riflettori e con tanto di foto pubblicate e diffuse [cf. QUI] — il passaporto della Repubblica Argentina (!?) [cf. vedere QUI]. Benediciamo quindi Dio se alle ultime elezioni, il cittadino Jorge Mario Bergoglio, all’anagrafe Sommo Pontefice e Vescovo di Roma di professione, non si sia recato nel proprio Paese di origine a votare per le elezioni presidenziali. E, detto questo, credo sia detto più o meno tutto, a partire dal mio inciso iniziale di apertura: dall’epica tragedia, quando si scivola nella decadenza, si finisce sempre nella farsa della satira grottesca. E, sinceramente, noi ecclesiastici abbiamo ormai superato le pagine più esilaranti degli antichi satiri romani. Ma, come tutti i buffoni, siamo tali e ce ne vantiamo. E, più tentiamo di prenderci sul serio, più il pubblico ride di noi, perché da sempre, a partire dall’antico teatro, nulla è più comico e grottesco del buffone che si prende parecchio sul serio. Il problema però è che se il pubblico esterno ride divertito, i figli del buffone invece piangono; e piangono di dolore, nel vedere il proprio amato e venerato padre cimentarsi in siffatte e imprudenti buffonate, attraverso le quali sarà infine affidato al severo giudizio della storia, oltre a quello forse ancòr più severo di Dio. Ecco perché l’uomo Jorge Mario Bergoglio suscita imbarazzo nei fedeli ma è esaltato dal mondo non cattolico e da tutti i peggiori nemici di sempre della Chiesa: perché ci sta facendo sprofondare nella satira. Non è vero che egli ha spogliata la Chiesa dei suoi cosiddetti «orpelli principeschi rinascimentali», l’ha spogliata giorno dietro giorno di divina dignità.

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Caravaggio: deposizione di Cristo dalla Croce

Io che sono privo di ogni velleità di carriera ecclesiastica e che al contrario del fitto esercito degli ecclesiastici vigliacchi che tacciono “prudenti” in attesa di tempi migliori ― al sorgere dei quali verranno alla luce per tentare poi il gran salto sul carro del nuovo condottiero, nella speranza di poter lucrare da lui ogni miglior beneficio e prebenda ―, mai cesserò di dolermi di costoro che, con raro cinismo, dando ormai per finito questo pontificato e attendendo pazienti la morte del Sommo Pontefice, non si rendono conto, sia quanti aspirano al futuro episcopato sia quanti aspirano al futuro cardinalato, che giorno dietro giorno, i danni recati alla Chiesa, sono sempre più gravi. E, se tutto andrà bene, più andremo avanti in questo stato degenerativo, più occorrerà tempo per riparare solo parzialmente questi danni, con un rapporto di proporzione più o meno di questo genere: a fronte di cinque anni di pontificato rovinoso che sono però il risultato di cinquant’anni a monte di devastante rovina sul piano dottrinale, liturgico ed ecclesiale, occorreranno cinquecento anni per porre rimedio a questi danni di cui l’uomo Jorge Mario Bergoglio non è affatto la causa, ma solo la conseguenza ultima. Purtroppo, gli irriducibili aspiranti alle luci della ribalta, di tutto questo non tengono conto, perché sono seriamente e stoltamente convinti che basterà il prossimo conclave per chiudere quello che loro definiscono con raro cinismo come un semplice “incidente di percorso”, quindi voltare immediatamente pagina come se nulla fosse, ed in grande stile. Questi sono i veri e diabolici distruttori della Chiesa, non certo quel povero uomo imprudente di Jorge Mario Bergoglio, che di tutti i decenni di pregressi danni compiuti, è soltanto la prima vittima, o come ebbi a scrivere in un recente passato usando un’immagine allegorica: egli è solo l’ultimo dei clienti giunto nel ristorante e che appena varcata la soglia è stato aggredito dai camerieri che hanno preteso da lui il pagamento dei conti di tutti coloro che prima di lui avevano pranzato e cenato senza però pagare, ma lasciando fior di conti sospesi. 

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Caravaggio: Maria Maddalena addolorata

Dalle Quattro Virtù Cardinali è necessario passare alle tre virtù teologali, delle quali spesso ho avuto modo di parlare nel corso di questi ultimi cinque anni, ricordando che sebbene la più importante di esse è la carità, come ci insegna il Beato Apostolo Paolo [cf. I Cor, 13], al centro di esse, tra la fede e la carità, c’è la speranza, compito della quale, a mio parere, è di unire e amalgamare le altre due grandi virtù. È quindi nell’ottica della speranza che bisogna leggere questo pontificato, attraverso il quale sembra che la Chiesa di Cristo viva paralizzata in un sempiterno Venerdì Santo. Questo Pontefice e questo pontificato hanno una loro grande utilità nella economia della salvezza, non sappiamo ancora quale, Però sono certo che un giorno, forse neppure lontano, capiremo che persino attraverso la umoralità e la palese imprudenza di questo Sommo Pontefice che si palesa privo di equilibrio, Dio ha colmata la sua Chiesa di grazie, l’ha purificata e messa nella condizione di rinnovarsi per davvero.

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Nulla di questo possono però capire coloro che vivono alla giornata, paralizzati nel presente, privi di quella grande prospettiva escatologica futura che è la speranza, quella teologale virtù che lega assieme la fede e la carità; e che infine ci salva, persino dopo essere sprofondati nella satira, tra scimmie che giocano a fare le regine e buffoni di corte che si credono degli autentici dottori della Chiesa, o meglio … della “nuova Chiesa” nata da “rivoluzioni irreversibili”.

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dall’Isola di Patmos, 30 marzo 2018 – Venerdì Santo

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Rimandata di due anni la nomina del Padre Ariel S. Levi di Gualdo alla sede arcivescovile di Napoli

— rinunce e nuove nomine —

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RIMANDATA DI DUE ANNI LA NOMINA DEL PADRE ARIEL S. LEVI di GUALDO ALLA SEDE ARCIVESCOVILE DI NAPOLI

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Il Sommo Pontefice, facendo uso di una sapienza tanto profonda quanto antica, ha deciso di placare gli animi dei numerosi pretendenti in lizza tra loro, dando al Cardinale Crescenzio Sepe, al compimento del suo 75° anno di età, altri due anni di governo della Diocesi, affidandogli al tempo stesso un incarico ben preciso: mantenere il posto per il Padre Ariel, già prescelto da tempo come suo successore. 

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Sua Eminenza il Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo Metropolita di Napoli, 75 anni compiuti, mostra l’ampolla col sangue di San Gennaro

Prima che il Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo Metropolita di Napoli, compisse 75 anni, come di prassi s’erano scatenati i conti a babbo morto [cf. Accademia della Crusca, QUI]. Così, il Pontefice Regnante, si è ritrovato dinanzi ad una fitta fila di pretendenti in lizza tra loro nel presentare le proprie propensioni per i poveri, i profughi, le periferie esistenziali; per non parlare di quelli pronti a inserire la legge sullo Jus soli tra gli articoli della fede cattolica. Perché da quando il Santo Padre ha imposto che i nuovi vescovi fossero degli autentici pastori con l’odore delle pecore, è accaduto che presso i magazzini vaticani hanno cessato di vendere le sigarette — indubbia fonte di danni per la salute e di inquinamento per l’ambiente —, però hanno cominciato a vendere presso il negozio di profumeria del Vaticano, per preti e vescovi in scalpitante carriera, un profumo che da alcuni anni va a ruba: Eau de mouton parfum pour homme [Acqua di pecora profumo per uomo], firmato e prodotto dalla Christian Dior. Personalmente, tra i profumi distribuiti dalla Dior io seguito ad essere affezionato ad Eau de sauvage parfum pour homme [Acqua del selvaggio profumo per uomo].

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Alcuni mesi fa venne quindi ufficializzata la mia nomina come successore del Cardinale Crescenzio Sepe, dopo che durante un incontro privato feci commuovere il Pontefice Regnante col racconto della mia vita, illustrando che ero nato in una famiglia poverissima da due genitori poveri, con una esistenza fatta di disagi sociali ed economici. Tutte quante preziose esperienze esistenziali che mi avevano poi portato a diffondere uno studio teologico sui poveri e la povertà: «I poveri e la povertà sono il volto del Corpo Mistico di Cristo».

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il Padre Ariel S. Levi di Gualdo, 54 anni compiuti, prossimo successore alla Sede di Napoli, si allena a mostrare l’ampolla con il sangue di San Gennaro

Scrivo queste righe di ritorno dalle Filippine, dove ho tenuto giorni fa una lectio magistralis col patrocinio della Scuola di Bologna alla presenza del Cardinale Luis Antonio Tagle, Arcivescovo Metropolita di Manila, uno dei diversi sostenitori della mia candidatura, sostenuta pure da altri Cardinali, tra i quali il Cardinale Edoardo Menichelli che, assieme al Cardinale Renato Corti, possono essere considerati due tra i più grandi teologi del Novecento, ma soprattutto due modelli episcopali di pastori in cura d’anime, come prova lo stato in cui entrambi hanno lasciato le loro rispettive Diocesi di Ancona e di Novara, ma soprattutto il loro clero.

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Tra i candidati poveri per i poveri, io ero e sono il più quotato, ma il Pontefice Regnante non poteva lasciare con l’amaro in bocca, non tanto i pretendenti, ma gli attuali grandi piazzatori di vescovi, da Andrea Riccardi ad Alberto Melloni. Così, facendo uso di una sapienza profonda e antica, ha deciso di far placare gli animi, dando al Cardinale Crescenzio Sepe altri due anni di governo della Diocesi [cf. QUI], affidandogli al tempo stesso un incarico ben preciso: conservare il posto per me, già prescelto da tempo come suo successore.

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In occasione di questo evento, riproponiamo alla lettura dei nostri Lettori il precedente articolo con allegato lo studio che mi ha giovata la nomina alla Sede di Napoli, al momento solo posticipata di due anni. 

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dall’Isola di Patmos, 28 gennaio 2018 – San Tommaso d’Aquino

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PADRE ARIEL S. LEVI di GUALDO NOMINATO ALLA SEDE ARCIVESCOVILE DI NAPOLI. IL SOMMO PONTEFICE FRANCESCO È RIMASTO COMMOSSO DALLA SUA MEDITAZIONE: «I POVERI E LA POVERTÀ SONO IL VOLTO DEL CORPO MISTICO DI CRISTO»

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Cari Lettori de L’Isola di Patmos, è con trepidazione e gioia che vi do questo lieto annuncio: sono stato scelto come Arcivescovo Metropolita di Napoli, ed allo scoccare del 75° anno di età di Sua Eminenza il Cardinale Crescenzio Sepe, prenderò io il suo posto sulla cattedra episcopale di San Gennaro. Dato questo annuncio, intendo adesso rendere pubblico il mio scritto attraverso il quale, il Romano Pontefice, per gli amici “Padre Francesco”, ha visto in me il candidato ideale ed ha deciso: «Tu sarai il Vescovo delle periferie esistenziali di Napoli».

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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lo stemma episcopale del Padre Ariel S. Levi di Gualdo, spiegato più avanti nella seconda parte di questo saggio breve nel quale è riportata la sua meditazione teologico-pastorale sui poveri e sulla povertà che gli è valsa la nomina episcopale

Questo mio saggio breve si apre e si chiude con una esortazione fatta dal Beato Apostolo Paolo in una epistola indirizzata al suo discepolo Timoteo:

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«Se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro. Ma bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro […]» [I Tm 1, 2-3].

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In un altro passo, il Beato Apostolo esorta:

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« Aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte […]» [I Cor 12, 31].

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Ma soprattutto, il Verbo di Dio fatto Uomo è molto chiaro quando in una apposita parabola parla dei talenti che a ciascuno di noi sono stati dati [cf. Mt 25, 14-30]. Anzitutto, ciascuno di noi, deve essere consapevole dei talenti ricevuti, perché se non lo fosse non potrebbe mai farli fruttare. Va da sé che i più talentati in modo particolare, non devono cadere mai nelle diaboliche insidie della superbia, temibile regina e locomotrice di tutti gli altri peccati capitali, perché la consapevolezza delle proprie oggettive capacità deve essere sempre unita a un’altra consapevolezza: i talenti non sono merito nostro, ma dono misterioso della grazia di Dio; non ci sono dati per il nostro onore, ma per la gloria di Dio, per servire attraverso di essi Cristo Dio e la sua Chiesa. Per quanto mi riguarda non dubito che mi farò un po’ di meritato Purgatorio per la purificazione della mia anima, ma è altrettanto vero che se dovessi presentarmi tra poco dinanzi al giudizio immediato di Dio, su una cosa andrei sicuro al cospetto del Creatore: la certezza oggettiva di avere amata, venerata e ubbidita la Chiesa, ed avere servito in ogni modo il Popolo di Dio, trascorrendo la mia vita sacerdotale a supplire le mille pigrizie di non pochi miei confratelli, a partire da quelli che trincerandosi dietro non meglio precisati “impegni pastorali”, non hanno mai tempo per confessare, per visitare gli ammalati, per portar loro la Santa Comunione, per amministrare la sacra unzione agli infermi ed ai morenti, per stare vicini alle persone in difficoltà e via dicendo a seguire, perché per questo siamo diventati preti, non per mandare le “pie donne”, o come qualsivoglia le invadenti “pretesse”, a visitare gli ammalati ed a portare loro la Santissima Comunione.

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A me piace fare il teologo e attraverso la teologia credo di rendere un prezioso servizio alla Santa Chiesa di Dio, specie in questi tempi di selvaggia eterodossia diffusa, ma non esiterei ad abbandonare qualsiasi speculazione teologica se ciò comportasse il trascurare la dimensione pastorale ed apostolica, perché sono diventato prete per celebrare il Sacrificio Eucaristico, per assolvere dai peccati, per amministrare i Sacramenti secondo le potestà del mio grado sacramentale, per assistere i Christi fideles. Questa è la priorità, ed a questa priorità si sacrifica tutto, anche la speculazione teologica. O per dirla con un esempio: se dei fedeli, come più volte è capitato, vengono a chiamarmi a casa perché non trovano un prete in tutte le parrocchie della Città che vada a dare l’unzione ad un infermo ― essendo i giovani parroci impegnati in estenuanti e imprecisate “attività pastorali” ―, ed io sto uscendo in quel momento per andare a tenere una lectio magistralis sul mistero dell’Incarnazione del Verbo di Dio, ebbene: prima vado ad amministrare la sacra unzione all’infermo, poi vado a tenere la lectio magistralis, perché, se non facessi così, dimostrerei di non aver capito come mai, il Verbo di Dio si è fatto Uomo. Cosa che tra i preti, a non averlo capito, sono purtroppo davvero in molti, ahimè sempre di più.

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Volete poi sapere dov’è che si trovano, sempre e di rigore, il genere di preti pigri e assenteisti poc’anzi menzionati? Presto detto: piazzati dai loro Vescovi nelle più grandi e ricche parrocchie delle diocesi, protetti e resi intoccabili da autentiche cosche mafiose formate perlopiù da sacerdoti pigri e mediocri tanto e quanto loro, che vivono col terrore che chicchessia possa in qualsiasi modo alterare lo stato di morte cerebrale da essi generato nelle Chiese particolari, offrendo esempi di vita sacerdotale del tutto diversi dai loro. E, se tutto va bene, spesso questi preti li troviamo a fare i figli non cresciuti a casa di mammà e papà, ripeto: se tutto va bene. Oppure li troviamo circondati dai loro amati nipoti, pieni di mille bisogni e di altrettanti vizi, i quali attendono che lo zio prete tiri prima o poi le cuoia, per avere in legittima eredità tutto ciò che in una vita di pigrizia e di avarizia hanno rubato dalle casse della Chiesa, dalla quale tutto hanno avuto, ed alla quale tutto dovrebbero dare ‒ o perlomeno restituire ‒ alla loro morte.

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Malgrado i miei peccati sono sereno riguardo il giudizio di Dio, perché esso non si basa sulla “emotività divina”, perché Dio non è emotivo, è giusto. E la sua giustizia si sorregge sulla pura aequitas, che all’occorrenza è aequitas compensativa. Quanti erano i santi e le sante che avevano veramente un brutto carattere, o che quando aprivano bocca erano capaci ― come suol dirsi ― a lasciare all’occorrenza vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose letteralmente “in pasto ai maiali”? Eppure tutti loro sono stati giudicati sulla carità, per questo si sono santificati; così come ciascuno di noi, sarà giudicato sulla carità. E la carità, dinanzi agli occhi ed al giudizio di Dio, produce un grande effetto compensativo. O come spesso mi capita di dire in confessionale ai penitenti: «La carità è come un battesimo che ci rinnova alla grazia e che cancella la colpa, a volte, chissà, agli occhi di Dio può cancellare persino la pena da scontare per il peccato perdonato, ma questo Lui solo può saperlo, perché solo Lui, malgrado i nostri difetti e peccati commessi, può decidere di ammetterci, per meriti di carità compensativa, direttamente nel Paradiso tra le anime beate».

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SE PER DONO DELLA GRAZIA DI DIO CREDO DI ESSERE UN PRETE DI TALENTO, NON È PERCHÉ ME LO DICONO GLI AMICI, MA PERCHÉ LO AFFERMANO I MIEI PEGGIORI NEMICI

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Se credo d’essere un uomo dotato di talenti, non è che lo creda perché me lo dicono gli amici, od i cosiddetti ammiratori, perché quelli non fanno proprio testo. Lo credo perché da sempre lo affermano i miei peggiori nemici. Infatti, nessuno tra quegli ecclesiastici che se potessero mi avrebbero tolto non solo il Sacramento dell’Ordine, ma persino il Sacramento del Battesimo e poi bruciato vivo, ha mai affermato che sono un mediocre teologo, od un prete immorale, perché proprio i miei peggiori nemici, ben guardandosi da qualsiasi genere di confronto con me in materie di dottrina e di fede, sono soliti affermare da sempre: «È dotato di brillante intelligenza e profonda preparazione teologica». Aggiungendo appresso: «E ciò lo rende molto pericoloso». Per seguire con affermazioni del tipo: «Ha una cultura enciclopedica», «ha una intelligenza diabolica», «Non è un emotivo sentimentale che può essere fatto cadere in trappola nei suoi sentimentalismi, perché quando rivolge dure critiche costruisce sempre le sue tesi sul dato oggettivo e con criteri basati sulla pura logica, ed in tal caso è bene non smentirlo, perché si corre il rischio di essere fatti più neri ancora dalla sua maledetta lingua e dalla sua penna ancor più maledetta della sua lingua stessa». Ma soprattutto, loro malgrado, sono costretti ad ammettere: «Conduce una vita sacerdotale moralmente impeccabile». Se infatti non ammettessero questo, si farebbero ridere dietro dalla gente, visto che la mia vita si svolge alla pubblica luce del sole, sotto gli occhi delle persone che sanno sempre dove sono, con chi sono e che cosa faccio, ma soprattutto sanno bene cosa non faccio e con chi non sono. E, questi cari nemici, perlopiù caratterizzati da una mediocrità desolante, da sempre mi hanno tenuto lontano da tutti gli àmbiti accademici, senza che nessuna autorità ecclesiastica abbia mai avuti gli urologici attributi virili per dire: «Insomma, se Dio manda alla sua Chiesa uomini di capacità e di talento, possiamo forse emarginarli per non irritare l’esercito di soggetti altamente scadenti che stanno facendo affondare giorno dietro giorno la Chiesa universale nel ridicolo, proferendo eresie a raffica dalle cattedre delle nostre istituzioni accademiche e dai pulpiti delle più grandi chiese storiche?».

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Detto questo possiamo poi aggiungere che nessuno dei Vescovi alla cui autorità apostolica sono stato sottoposto nel corso degli anni, ha mai sollevato mezzo sospiro sulla mia condotta di vita, perché, sempre alla prova dei fatti non passibili di facile smentita, io sono un sacerdote che non ha mai dato alcun problema di natura morale, dottrinale e patrimoniale. Pur malgrado, proprio i Vescovi che si trovano con un clero improponibile sotto i più gravi aspetti morali, dottrinali e patrimoniali, a me non hanno mai dato alcun incarico pastorale ufficiale, perché se lo avessero fatto vi sarebbe stato un violento sollevamento contro di loro da parte di preti le cui condotte morali, dottrinali e patrimoniali, costituiscono pubblici scandali alla luce del sole, rigorosamente tollerati, a volte persino nascosti e protetti, da quegli stessi vescovi pronti poi a trincerarsi dietro discorsi patetici quali ad esempio: «Ah, la situazione è delicata, io devo gestire fragili equilibri». Per giungere poi alla vergognosa frase conclusiva: «Che cosa ci posso fare?». E dinanzi a questo quesito, qualcuno si è sentito rispondere da me in questi termini: «Quando le fu prospettata la nomina episcopale, ed assieme ad essa le fu illustrato in modo chiaro e realistico l’effettivo grave stato in cui versava la diocesi che intendevano affidarle, per quale motivo ella ha accettato? Forse per poi dire … “Che cosa ci posso fare?”».

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Purtroppo si tratta del mistero umano ― non certo del mistero della fede ―, dei poveri omuncoli che scalpitano per avere certi onori, ma che per nessun verso e per alcuna ragione vogliono però assumersi i ben più gravosi oneri derivanti dal loro alto ufficio.

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I VESCOVI ELETTI NEGLI ULTIMI ANNI SOMIGLIANO AGLI ADOLESCENTI SPOCCHIOSI CHE SI DANNO ARIE DA AUTENTICI SCIUPA FEMMINE

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Non pochi, tra i vescovi eletti negli ultimi anni, somigliano a certi piccoli e spocchiosi adolescenti che, allo spuntar del primo fragile pelo sul pube, se ne vanno in giro a narrare, come degli autentici sciupa femmine, d’aver fatto mirabolanti scorribande con delle donne trentenni ultra navigate, oltre che impossibili pressoché da raggiungere in virtù della loro bellezza e posizione sociale. Questo genere di adolescenti, da sempre, nella società civile fanno tenerezza, perché, con i loro racconti assurdo-fantasiosi, inducono al morir dal ridere chiunque li ascolti. Purtroppo, nel corpo ecclesiastico di oggi, questo genere di adolescenti vengono invece eletti sciupa femmine ufficiali dalla Santa Sede, quindi dichiarati sposi di qualche grande ed antica Chiesa particolare che, per loro, dovrebbe essere in tutto equiparabile ad una donna impossibile pressoché da raggiungere per la sua bellezza e la sua posizione sociale. E, una volta divenuti vescovi, non fanno tenerezza né fanno morir dal ridere, ma fanno piangere, perché col loro agire incompetente produrranno tanti e tali danni che solo per essere riparati parzialmente richiederanno decenni di lavoro da parte di vescovi santi, ammesso che domani se ne trovino sempre, di vescovi santi, dopo la immane devastazione della Gerusalemme terrena operata da questa nuova generazione di Vescovi che al primo fragile pelo spuntato sul loro pube presbiterale affetto da patologia da micropene congenito, si sono però creduti più dotati di uno stallone di razza e più belli di Rodolfo Valentino.

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Essendo ormai un uomo di 54 anni, ecco che nella maturità, o per meglio dire ormai in cammino verso la vecchiaia, mi sono messo ad aspirare ai «carismi più grandi». E, come ben capite, dinanzi ad una fetta sempre più ampia di episcopato che mostra d’aver seri problemi sulla conoscenza del Catechismo della Chiesa Cattolica, seguendo il monito del Beato Apostolo Paolo «se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro», mi sono messo ad aspirare all’episcopato. E vi ho aspirato animato dalla serena e cosciente consapevolezza che di questi tempi sarei anche un ottimo vescovo, rispetto a certi adolescenti che allo spuntar del primo pelo sul pube sono stati dichiarati dalla Santa Sede stalloni di razza e quindi sposi di qualche grande ed antica Chiesa particolare.

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CHIESA ED ECONOMIA BANCARIA. COME FARMI STRADA VERSO L’EPISCOPATO, NON POTENDO IO ESSERE BENEFICIATO CON UNO DI QUEGLI ASSEGNI IN BIANCO FATTI FIRMARE AL ROMANO PONTEFICE DA UNA “CORTE DEI MIRACOLI” FORMATA DA DEGLI AUTENTICI BANCAROTTIERI POST SESSANTOTTINI AL POTERE ?

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Come tutti gli uomini di fede dotati al tempo stesso di talenti a me elargiti per mistero di grazia da Dio, ho dovuto anzitutto fare i conti con quelli che al tempo stesso sono i miei grandi limiti; perché un uomo non capace a confrontarsi con i propri limiti umani, non può essere né un uomo dotato di autentica intelligenza, né un uomo di fede. E il mio primo insormontabile limite era costituito dal fatto di non avere da parte mia contatti con la “corte dei miracoli” che da tempo circuisce il Romano Pontefice, portando a Sua Santità i pizzini con i nomi dei vescovi selezionati secondo tutti i migliori crismi del modernismo, ma incensati col fumo del gran turibolo dei poveri e della povertà. Insomma, tanto per essere chiari: tutti sappiamo che il Pontefice regnante ha dato chiare disposizioni sulla scelta dei nuovi Vescovi, precisando che li vuole «pastori con l’odore delle pecore» e con una «particolare predilezione per i poveri». Or bene, capisco che la storia sarebbe davvero lunga, ma forse, il Pontefice regnante, non è sufficientemente illuminato su che cosa è stato, in un Paese come l’Italia, il Sessantotto. Allora, casomai la Santità di Nostro Signore Gesù Cristo mi leggesse, provo a narrarglielo in breve io, che cosa è stato il nostro patetico Sessantotto …

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… il Sessantotto italiano è stato un movimento di contestazione formato e portato avanti dai più ricchi figli di papà che parlavano di proletariato, di classe operaia e di lotta di classe, per poi rientrare nelle loro case dove erano serviti dalle governanti e dai domestici in livrea. I contestatori con l’odor di proletariato addosso, erano i rampolli delle famiglie di industriali e d’imprenditori presi a lottare contro la classe politica borghese e le vecchie baronìe accademiche. Erano anche e soprattutto dei grandi ignoranti, perché mentre i vecchi e meritoriamente contestati vecchi baroni accademici, alle spalle avevano una grande tradizione, ma soprattutto una grande cultura, i contestatori finto-proletari, alle spalle avevano invece una ignoranza abissale, ed uno appresso all’altro si sono laureati nei collettivi politici discutendo sulla immaginazione al potere, sul vietato vietare, o dissertando sui sigari cubani fumati da Ernesto Guevara detto El Che. E così, nel post Sessantotto, ci siamo ritrovati nelle scuole e nelle strutture accademiche un esercito di ignoranti patentati, altrettanto è accaduto nella classe politica. Degli ignoranti caratterizzati da una impostazione ben precisa: erano aggressivi e coercitivi come pochi ‒ o sotto certi aspetti come mai s’era visto prima ‒, con coloro che non la pensavano come loro. E, a partire dagli anni Settanta, questi post sessantottini in cattedra hanno devastate generazioni intere di studenti, prendendo di mira con raro spirito distruttivo tutti coloro che non erano disposti ad omologarsi al loro indiscutibile pensiero. E di questo, chi scrive, ne è stato sia vittima sia testimone.

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Ecco, non sapendo e non immaginando con quali falsi opportunisti e trasformisti avrebbe finito col giocare, il Pontefice regnante, al grido di «Odor di pecore», «poveri e povertà», ad un cinquantennio di distanza dal Sessantotto ha creato nell’episcopato la stessa identica situazione rovinosa. Una situazione che, con tutto il più devoto e sacro rispetto, poteva essere creata solo da un argentino ingenuo che non ascolta nessuno e che non vive nel mondo, ma nella sua idea di mondo. E, detto questo, per quanto riguarda queste mie parole, concludo dicendo che sarà il tempo, a darmi torto o ragione nel giorno di domani, mentre l’episcopato post sessantottino affonda sempre di più, tra l’ignoranza delle pecore e la più desolante povertà della dottrina e dello spirito. 

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I membri di questa “corte dei miracoli” stile Sessantotto clericale, formata come più volte ho scritto e ripetuto da degli autentici delinquenti, che con la proposta di certe nomine episcopali inducono il Romano Pontefice a firmare degli assegni in bianco senza che sopra di essi sia neppure indicata la cifra per la messa all’incasso, un soggetto come me lo giudicano come fumo agli occhi, anzi peggio: mi considerano più pericoloso delle radiazioni del reattore nucleare di Cernobyl.

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Per quanto riguarda il giro di assegni in bianco, sia anzitutto chiaro che certi rapporti sono unilaterali e non bilaterali. Infatti, quando al Vescovo che in piena e perfetta comunione col Vescovo di Roma mi ha consacrato sacerdote, io ho promesso obbedienza e filiale rispetto a lui ed a tutti i suoi successori, in un certo senso ho firmato un assegno in bianco con il carnet di assegni tratto dalla Banca della Fede, presso la quale non esistono limiti di spesa, perché alla Banca della Fede la copertura è illimitata. Attenzione però, perché il Vescovo in piena e perfetta comunione col Vescovo di Roma, dal canto suo non ha firmato, né mai ha messo nelle mie mani un assegno in bianco senza cifra e data per l’incasso, perché sono io che ho promesso solennemente a lui, non lui ad aver promesso solennemente a me. Purtroppo oggi, quel che sta accadendo, è una pericolosa alterazione e inversione di tutti i criteri economico-commerciali: basta infatti che al Sommo Pontefice si presentino i delinquenti della “corte dei miracoli” che lo lusingano e lo circuiscono, dicendogli che quel tal prete ha scritto un libello sui poveri e sulla povertà secondo i migliori crismi socio-politici della Scuola di Bologna, o che quell’altro s’è occupato dei poveri migrantes e che considera lo jus soli più importante di quanto invece non lo siano le cupe dottrine sui grandi dogmi cristologici, che questi si mette a firmare a raffica i pericolosi assegni in bianco delle nomine episcopali, senza indicare in essi né la cifra né la data. Inutile dire che, siccome presso la Banca della Fede, per questo genere di assegni non c’è né liquidità né copertura, non avendo lasciato il Fondatore della Chiesa alcun genere di fondo a garanzia per simili spese scellerate, presto accadrà che uno dietro l’altro, questi assegni, finiranno protestati. Perché a questo i delinquenti della “corte dei miracoli” ci stanno conducendo: alla bancarotta. Infine, all’improvvido firmatario, il Divino Direttore della banca ritirerà il blocchetto degli assegni, ed a poco varrà che costui si metta a scalpitare dicendo di essere l’unico, valido, lecito e legittimo titolare del conto corrente, perché a quel punto, il Divino Direttore, gli ricorderà che la ricchezza a lui affidata avrebbe dovuto gestirla e farla fruttare secondo i migliori criteri dell’economia cristologica che sono tutti riassunti nella celebre Parabola dell’amministratore fedele e saggio [cf. Lc 12, 39-48]. Coloro che poi avranno sofferti e subìti danni a causa di questo gran smercio di  assegni a vuoto, al Divino Giudice del Supremo Tribunale ‒ il quale è misericordioso perché anzitutto è giusto ‒, chiederanno che sia aperta la procedura di fallimento dell’Azienda Chiesa Cattolica e che si proceda immediatamente con i sequestri per cercare di recuperare anche e solo in parte i crediti. E forse, il primo bene immobile che sarà posto sotto sequestro, sia per la tutela del credito sia per evitare ulteriori danni futuri, sarà proprio la Cappella Sistina …

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… in questo clima di amministrazione controllata che fa da preludio alla procedura di fallimento, per raggiungere il mio scopo ho preso alla lettera il monito di Cristo Dio che ci esorta: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» [Mt 10, 16], memore del fatto che «I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» [Lc 16, 8].

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HO PROVATO A IMPARARE DAI SERVI FALSI E IPOCRITI, CHE IN QUANTO TALI SONO RUFFIANI E INFEDELI VERSO IL PADRONE, ED AGENDO COME LORO HO AVUTO ANCH’IO IL MIO ASSEGNO IN BIANCO SENZA COPERTURA …

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Adesso vi rivelo pubblicamente quel che ho fatto per raggiungere il mio scopo: anzitutto mi sono tolto la talare romana di dosso, ho bruciato il saturno di castorino che ogni tanto indosso durante l’inverno quanto tira vento, sono andato in un negozio di abbigliamento ecclesiastico ed ho acquistato una di quelle orrende camicie sintetiche col francobollino bianco estraibile sotto il collo, che naturalmente ho lasciato mezzo slacciato; mi sono messo un paio di jeans sotto la camicia, badando bene di arrotolarmi su le maniche fino al gomito, ho indossato un paio di scarpe da ginnastica e mi sono lasciato la barba per tre giorni. Ho poi corretto la mia camminata cercando di incurvare la schiena, casomai apparisse troppo diritta; ho prudentemente evitato di procedere con una andatura elegante ed ho preso a camminare in modo ciondolante. Infine mi sono presentato in Vaticano alla Domus Sanctae Marthae dicendo in portineria che stavo prodigandomi per la tutela di uno zingaro di etnia sinti, il quale era sottoposto a gravi discriminazioni solo perché si era difeso in modo legittimo dalle domande di un giornalista fastidioso e insistente spaccandogli il setto nasale e massacrando di botte il suo cameraman [cf. filmati  QUI, QUI, QUI]. E così hanno riferito al Sommo Pontefice che nella hall dell’albergo c’era un prete molto pecoreccio che reclamava di parlare col Sommo Pontefice per una questione legata a dei poveri zingari discriminati. Ebbene, forse non ci crederete, ma è venuto lui di persona nella hall a ricevermi.

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Quando ho visto spuntare a distanza e poi venir verso di me il Romano Pontefice, con l’ausilio della grazia di Dio ho corretto il mio istinto incorreggibile impresso nel mio DNA di prete, seguendo il quale avrei piegata la testa, mi sarei messo in ginocchio per il bacio della mano e, rialzandomi, non avrei aperta bocca se non per rispondere, perché dinanzi al Romano Pontefice non si inizia alcun discorso, si attende a testa bassa che lui dia inizio ad un discorso; non si chiede, si risponde solo se lui ti interroga, sebbene oggi sia uso che il Romano Pontefice si faccia intervistare anche da giornalisti che hanno trascorse le loro esistenze a sprezzare i fondamenti più basilari del deposito della fede cattolica. Ripeto, con l’ausilio della grazia di Dio non sono caduto in questa serie di errori che sarebbero stati letali, ed appena l’ho visto a distanza mi sono messo a sbracciare come un perfetto zoticone dicendo ad alta voce: «Padre Francesco!». E mi sono precipitato verso di lui, senza piegare il ginocchio destro dinanzi alla sua Augusta Persona e men che mai baciandogli la mano, ma abbracciandolo stretto. Poi, battendogli una mano sulla spalla, gli ho detto: «Padre, ti ringrazio per avermi ricevuto, perché solo tu, in questa società sempre più discriminatoria, puoi aiutarmi a render giustizia a un gruppo di zingari discriminati appartenenti alla famiglia Spada. Si tratta infatti di un clan familiare veramente molto per bene, grazie al quale è salvaguardata e tutelata la grande cultura di questi zingari, che sono tutte persone che vivono di onesto lavoro [cf. QUI]. E io, caro Francesco, ti posso testimoniare la bontà, l’onestà e il grande spirito di lavoro di questa gente, perché quando in Via Merulana mi cadde di tasca il portafogli, due zingare, una delle quali gravemente infortunata, invalida permanente e con gravi problemi di deambulazione ‒ entrambe per inciso appartenenti al giro degli accattoni organizzato nel centro di Roma dal Clan dei Casamonica [cf. vedere filmato QUI] ‒, si alzò in piedi da terra dall’angolo nel quale chiedeva l’elemosina, rincorrendomi con la stampella assieme all’altra, anch’essa invalida perché con un braccio mutilato, gridandomi entrambe alle spalle: «Signore, il portafogli, il portafogli! Signore, le è caduto di tasca il portafogli!». E, narrato il tutto, preciso al Romano Pontefice: «Sai, Padre Francesco, mi chiamarono in modo gentile “Signore” perché non sapevano che ero un prete. Perché io, essendo un prete per il popolo, con il popolo e in il Popolo ― perché questo significa veramente a livello mistagogico per Cristo, con Cristo e in Cristo ―, viaggio sempre in abiti civili. O vogliamo forse tornare a spaventare la gente con le nostre lunghe vesti nere da corvi tristi e semmai pure mettendoci in testa quel ridicolo saturno che alcuni irriducibili considerano elegante?».

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Gli occhi del Sommo Pontefice sono diventati luminosi e, ve lo confesso, in quel momento si è realizzata la scrittura: «Allora Gesù, fissatolo, lo amò» [Mc 10. 21].

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LA MIA POVERA MAMMA CHE PULIVA LE SCALE DEI PALAZZI ALLE LUCI DELL’ALBA E MIO PADRE CHE RACCOGLIEVA I PEZZI BUONI GETTATI PER ERRORE TRA GLI SCARTI DELLA FRUTTA E VERDURA

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Se il cuore del Pontefice regnante è una cassaforte colma di grandi tesori spirituali, per aprirla io ho usata la combinazione giusta: “poveri & povertà”. Quindi non sono andato da lui a mani vuote, ma come fanno da quattro anni tutti i peggiori scassinatori mi sono portato dietro la “combinazione di apertura”, o per meglio dire un mio studio intitolato «I poveri e la povertà sono il volto del Corpo Mistico di Cristo». E quando il Sommo Pontefice mi ha chiesto quale rapporto avessi avuto con i poveri e la povertà a livello familiare e sociale, anzitutto ho risposto narrandogli che la mia famiglia era così povera, ma così povera, che quando i topi entravano nella dispensa della nostra cucina, non trovandovi niente dentro ne uscivano fuori con le lacrime agli occhi. Né mi sono sentito umiliato a narrargli che la nostra casa era così povera che non avevamo neppure il bagno, come gabinetto usavamo la lettiera del gatto. Poi gli ho parlato degli immani sacrifici di mia madre, all’epoca già vedova in giovane età, avendo perduto il marito ad appena 48 anni. E sebbene straziata dal dolore, alle cinque del mattino già lavorava ricurva a pulire le scale dei palazzi prima ancòra del sorger del sole, per pagare al figlio dei corsi di studio negli Stati Uniti d’America, costo dei quali erano all’epoca 18.000 U.S. $. Quindi spiegai in dettaglio che questa donna povera, tra le mie spese di viaggio, il costo degli studi ed il soggiorno, dovette pulire le scale dei palazzi per la bellezza di circa 25.000 U.S. $, il tutto in anni nei quali un dollaro equivaleva nel nostro vecchio conio a 1.500/1.600 Lire italiane, all’incirca trentotto milioni delle vecchie Lire. Tanto che mia madre incominciò ad anticipare i lavori di pulizia delle scale, ed anziché cominciare alle cinque del mattino, cominciava alle quattro. Il Sommo Pontefice si è molto commosso dicendomi: «Ah, che cosa sono capaci a fare, le madri povere, per i loro figli. Tu sei veramente figlio di una santa!».

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Poi gli ho narrato le incomprensioni patite dai miei genitori poveri da parte della vecchia Chiesa, quella gestita dai vescovi-principi senza amore e misericordia; una vecchia Chiesa nella quale un prete-fariseo minacciò i miei nonni che non avrebbe battezzato loro figlio, ossia mio padre, solo perché volevano chiamarlo Palmiro, in onore del capo dei comunisti italiani Palmiro Togliatti. Durissima sin dalla prima infanzia fu la vita del mio genitore, che a causa di denutrizione si ammalò da bimbo di tubercolosi, perché i suoi genitori non potevano curarlo e nutrirlo, motivo per il quale crebbe rachitico, ed essendo brutto ebbe in seguito grossi problemi a sposarsi. Lo sposò comunque mia madre, in parte per carità, in parte perché, essendo anch’ella brutta a causa dei postumi di una poliomelite infantile e poi per una varicella avuta in età adulta che le lasciò la pelle tutta quanta butterata, finì per formare con mio padre una coppia affine e solidale.

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Per tutta la vita mio padre lavorò a raccogliere la verdura scartata dai fruttivendoli al mercato generale della frutta e verdura, per poi rivendere a pochi soldi i pezzi buoni che riusciva a ricuperare tra gli scarti. Malgrado però tutto questo dolore e queste umiliazioni sofferte dalla mia famiglia povera, esistono persino delle malelingue farisaiche e dei cristiani tristi che osano smentire queste verità rendendomi oggetto di infami calunnie, pur di tagliarmi le gambe per la nomina episcopale, per esempio narrando in giro che io provengo da una famiglia benestante e che mio padre era bello come un attore di Hollywood. Ma si tratta di menzogne, di pure e vergognose calunnie messe in giro falsamente su di me per impedirmi di poter essere promosso all’episcopato. Basti dire che mio fratello, che è paraplegico e che riesce ad articolare solo la parte destra del corpo, mentre nella bassa Maremma, tra la Toscana ed il Lazio, si guadagna da vivere come guardiano di un branco di cinghiali d’allevamento, nel tempo libero, con l’uso di una mano sola, mi sta intagliando un pastorale fatto con del legno di ulivo, che vuole essere simbolo di pace, amore e povertà.

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Terminato quest’ultimo racconto ho dovuto allungare al Romano Pontefice una salvietta per detergersi le lacrime dagli occhi, perché ormai era profondamente commosso. Ripresosi poi dalla commozione dopo quegli struggenti racconti, egli ha sospirato, mi ha battuto una mano sulla spalla e mi ha detto: «Non te la prendere, perché a dire certe falsità sul tuo conto possono esser solo coloro che io chiamo i “cristiani pipistrelli”, quelli che cercano il male ovunque».

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Quando in seguito il Romano Pontefice mi ha detto che vedeva in me un prete dal profilo episcopale, in virtù della mia sensibilità verso i poveri, io mi sono affrettato a rispondere: «Padre Francesco, io posso anche accettare la nomina episcopale, purché mi venga però affidata una diocesi piena di periferie esistenziali e mi sia concesso di mettere, sullo scudo del mio stemma episcopale, l’immagine della piccola fiammiferaia» [Vecchia fiaba di H.C. Andersen, testo leggibile QUI]. Il Romano Pontefice mi ha chiesto quale, tra le tante, tra le troppe diocesi italiane potesse essere quella a me più adatta per portare il mio lieto annuncio ai poveri, ed io, senza esitare, ho risposto: «Padre Francesco, io credo di essere nato per fare il Vescovo di Napoli». E ho precisato: «Nota bene, Padre Francesco, ho detto solo: Vescovo. Mica ho detto Arcivescovo Metropolita di Napoli, antica e grande sede arcivescovile, con dodici diocesi suffraganee, tradizionalmente sede cardinalizia, con un clero di oltre mille sacerdoti e via dicendo a seguire. No, nulla di tutto questo, perché io desidero essere solo il vescovo dei poveri; e se la cosa ai ricchi non dovesse andar bene, che vadano pure a cercarsi un vescovo-prìncipe modello vetero-feudale o borbonico. E ti dirò di più, Padre Francesco: prendendo possesso della cattedra, non dirò cose banali e scontate, tipo che mi propongo di portare di nuovo il Vangelo e la sana dottrina cattolica in una terra ormai più pagana che cristiana, tal è tutta l’Italia, ma in particolar modo il nostro Meridione ridotto ormai a una fede pagano-folcloristica. Nulla di tutto questo, io annuncerò in modo chiaro che lo scopo del mio episcopato sarà quello di sconfiggere la Camorra ed i camorristi e, come bussola di orientamento del mio episcopato, prenderò a modello i documenti della Commissione Nazionale dell’Antimafia. Perché là dove non sono riusciti i governi sia monarchici che repubblicani degli ultimi centocinquant’anni, vi riuscirò io con la potenza di una scomunica episcopale. E tutte le migliaia e migliaia di poveri ai quali la Camorra paga le case, gli stipendi, le pensioni e le assicurazioni, mantenendo intere famiglie di condannati al carcere per reati di mafia ― perché la Camorra è un vero e proprio Stato nello Stato, con una propria “legge” e soprattutto con una propria ricca economia ―, saranno tutti quanti e di rigore dalla parte mia, pronti a sollevarsi in massa contro il potere camorristico, perché io sarà il loro vescovo sociale, il loro vescovo rivoluzionario».

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Cari Lettori de L’Isola di Patmos, è con trepidazione e gioia che vi do quindi il lieto annuncio: sono stato scelto come Arcivescovo Metropolita di Napoli, ed allo scoccare del 75° anno di età di Sua Eminenza Rev.ma il Cardinale Crescenzio Sepe, prenderò io il suo posto sulla cattedra episcopale di San Gennaro. Dato questo annuncio, intendo adesso rendere pubblica la mia meditazione attraverso la quale, il Romano Pontefice, per gli amici “Padre Francesco”, ha visto in me il candidato ideale ed ha deciso: «Tu sarai il Vescovo delle periferie esistenziali di Napoli». Si tratta di una meditazione che sarà la bussola di orientamento pastorale e dottrinale del mio episcopato.

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ECCO IL TESTO DELLA MEDITAZIONE TEOLOGICO PASTORALE PREMIATA CON L’EPISCOPATO

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IN VIRTÙ DI QUESTA MEDITAZIONE PASTORALE-TEOLOGICA: «I POVERI E LA POVERTÀ SONO IL VOLTO DEL CORPO MISTICO DI CRISTO» PADRE ARIEL S. LEVI DI GUALDO È STATO NOMINATO ARCIVESCOVO METROPOLITA DI NAPOLI, NEL SUO STEMMA ARCIVESCOVILE L’IMMAGINE DELLA PICCOLA FIAMMIFERAIA CON IL MOTTO «ECCO LA FIAMMA DEI POVERI»

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Quando il Romano Pontefice ha riconosciuto in me un sacerdote dal profilo episcopale e mi ha chiesto in quale eventuale diocesi avrei gradito svolgere il sacro ministero apostolico, ho risposto che in mia qualità di membro di questa nostra grande multinazionale di esperienze religiose umanizzanti, nota da secoli come Chiesa Cattolica Apostolica Romana, mi reputavo adatto a coordinare le attività sociali della vecchia e gloriosa città di Napoli e che ritenevo di poter essere un degno rappresentante e diffusore della verità di fede della «Chiesa povera per i poveri». Specie poi se rivestito di rosso, ma sia chiaro: non il rosso inteso secondo gli stereotipi della vecchia Chiesa che in esso ravvisava la fedeltà sino al martirio di sangue, bensì un rosso inteso come sangue che dovrà essere versato per ottenere finalmente la rivoluzione proletaria della misericordia.

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Era infatti necessaria ― come ho spiegato in privato al Sommo Pontefice ― una persona carismatica, che al tempo stesso fosse come me anche un uomo di spettacolo, per organizzare e poi gestire i due eventi di massa che a mio parere possono servire a una maggiore unione della popolazione partenopea: la tradizionale devozione al sangue di San Gennaro e le partite di calcio del Napoli. Per questo uno dei miei primi doveri pastorali, dopo avere adempiuto al principale, ossia la mia solenne dichiarazione di scomunica contro la Camorra ed i camorristi, sarà quella di dare vita al gemellaggio inter-calcistico tra le squadre di calcio e le rispettive tifoserie del Napoli con le squadre argentine di San Lorenzo e Boca Juniors. Non possiamo infatti dimenticare che proprio a Napoli dimorò oltre un trentennio fa quell’uomo di Dio di Diego Armando Maradona, che da buon argentino, nonché appartenente alla specie dei piojos resusitados [1], ha lasciato un ricordo indelebile soprattutto tra i poveri ed i bisognosi dell’antica Partenope, che tutt’oggi narrano ancora di lui quando, a bordo della sua Ferrari, accompagnato da un esercito di soubrettes, si recava a servire i pasti caldi ai senzatetto.

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La mia missione pastorale, nella mia veste di maestro e custode della fede, sarà incentrata sulla riformulazione del concetto paolino di Corpo Mistico [cf. Col 1,18], il cui vero significato è la testimonianza di Dio tra di noi attraverso il povero che è il suo viso e il profugo che è il suo corpo secondo gli scritti degli Atti degli apostoli e delle lettere Paoline, sino all’ apocalisse del Beato Apostolo Giovanni, dove si narra di come i compagni di Gesù portarono nelle zone più abbandonate dal potere romano di dominazione, come l’Africa e l’Asia, sino alla penisola iberica, il manifesto di questa nuova classe unificata e unitaria sotto il concetto di “regno”, dove non è né la nascita, né la razza, né la pelle e tanto meno il capitale a determinare il soggetto, bensì questa dignità paritaria, superiore ed in conflitto con lo spirito oppressivo e schiavista dell’aristocrazia regale e imperiale di Roma. Le stesse testimonianze scritte dal Beato Apostolo Pietro a Roma [cf. Pt Iᵃ e IIᵃ] ci parlano di come questo compagno di avanguardia rivoluzionaria egualitaria, Gesù il Nazareno, povero tra i poveri, condusse la propria missione solo tra le classi più umili e tra gli emarginati, tali erano gli schiavi, le prostitute ed i profughi. Mai, Gesù frequentò le case dei ricchi, mai prese con loro i pasti, mai fu da essi unto con preziosi olî, tanto meno si lasciò rivestire con pregiate vesti. La moderna archeologia ha inoltre dimostrato che Egli, alla sua morte, non fu sepolto in un sepolcro di pregio fornito dal ricco Giuseppe di Arimatea [cf. Mc 15, 42-46; Mt 27, 57-60; Lc 23, 50-53; Gv 19, 38-42], perché il suo corpo finì assieme a quello di tutti i poveri in una fossa comune dalla quale, come narrerò avanti, prenderà poi vita la grande metafora spirituale della risurrezione. Tutta questa serie di racconti, finiti perlopiù nei Vangeli sinottici, sono solo delle errate trascrizioni che i redattori dei Vangeli canonici hanno prese dai testi non attendibili dei Vangeli apocrifi, intrisi di molti racconti romantici e surreali. Notizie dunque false e sovrapposte all’immagine del Gesù povero che molto presto saranno epurate, grazie alla migliore esegesi scientifica che da quattro anni è ormai all’opera attraverso una apposita commissione di studio finanziata da un gruppo di teologi tedeschi, in grado di pagare questi studi lunghi e costosi, dato che la Chiesa della Germania, grande sostenitrice del concetto del Gesù povero per i poveri, può beneficiare da parte della Repubblica Federale Tedesca di un contributo annuo di circa dieci miliardi di euro derivanti dal gettito fiscale. E siccome, tra non molto, i Vescovi tedeschi avranno più Euro stipati nelle casse delle loro diocesi che non invece fedeli seduti tra le panche ormai deserte delle loro chiese, possono ben impiegare il cospicuo capitale a loro disposizione per finire di distruggere ciò che di vetusto resta della vecchia Chiesa pre-misericordiosa, o per finanziare l’ultima grande trovata ideologica in corso: i preti sposati nella regione delle Amazzoni del Brasile.

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Attraverso la loro vita i compagni dell’uomo Gesù di Nazareth furono i primi grandi propagandisti di questo epocale cambio rivoluzionario. Infatti, gran parte di loro, dopo la distruzione di Gerusalemme furono dei profughi [Mt 24:4-28], soffrendo come tali la non accoglienza e, come si legge nei vari racconti racchiusi negli Atti degli Apostoli: le prime comunità cristiane erano al servizio di tutti, ed all’interno di esse vigeva il primitivo santo comunismo, giacché non esisteva in esse quell’immane furto tale era la proprietà privata, perché i beni erano in comune ed il possesso personale era bandito.

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STORIA DELLA PRIMA RIVOLUZIONE EVANGELICO-PROLETARIA: LA VECCHIA CHIESA SI LIMITAVA SOLO AD ACCOGLIERE IL PECCATORE, SENZA CAPIRE CHE LA VERA MISERICORDIA DI DIO, CI SPINGE AD ACCOGLIERE, ASSIEME AL PECCATORE, ANCHE LA RICCHEZZA DEL PECCATO

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Dopo la prima rivoluzione operata dall’uomo Gesù di Nazareth, per il quale era necessario vivere al di fuori della schiavitù delle ideologie umane diffuse dalle religioni rette su caste sacerdotali ― ricordiamo infatti che Gesù non era un appartenente alla casta dei Sacerdoti e dei Leviti, ma alla tribù di Beniamino e di Davide, che fu un guerriero che portò alla liberazione del popolo dal potere dei dominatori esterni ―, per ovvia conseguenza, secoli e secoli dopo, doveva giungere inevitabilmente la Rivoluzione Francese, seguita dal liberalismo e appresso ancora dal comunismo, che assieme alla grande riforma di Martin Lutero costituiscono i più grandi doni di grazia elargiti dallo Spirito Santo all’umanità.

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L’uomo Gesù di Nazareth non aveva dei precisi progetti politici, egli ha lanciato quei semi che nei secoli avvenire sarebbero poi germogliati grazie alla sua idea iniziale che mirava a trasformare l’etica individuale e sociale sorretta sulla  esaltazione dei più alti valori dell’umanità, in elementi strutturali mirati a sorreggere le società sui princìpi della generosità, della compassione e della accoglienza. E si badi bene: non solo e non tanto sull’accoglienza del peccatore, come a lungo tempo, sbagliando gravemente, si è creduto e insegnato, ma sull’accoglienza del peccato stesso, che costituisce una grande ricchezza umana singola e collettiva. In questo consiste la vera grande rivoluzione della nuova Chiesa, contrariamente a quanto ha invece fatto la cupa vecchia Chiesa, che per secoli si è ostinata ad accogliere il peccatore, semmai facendolo sentire persino in colpa per il suo peccato e spingendolo quindi al pentimento, ma mostrandosi al tempo stesso incapace ad accogliere col peccatore anche il peccato, perché è in questo che consiste quella grande rivoluzione ecclesiale ed ecclesiastica dei giorni nostri sorretta sul concetto di misericordia di Dio: accogliere, assieme al peccatore, anche la grande ed inestimabile ricchezza del peccato.

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Nel corso degli ultimi anni, all’interno della Chiesa ha cominciato a soffiare forte più che mai un nuovo vento, soprattutto negli ambiti della teologia e della esegesi. Questo vento ha portato alla riscoperta del vero messaggio di Gesù di Nazareth che per tanti secoli è stato oscurato dalla classe dominante di quella ideologia cristiana che, a partire dai meccanismi fallimentari che furono propri dei dominatori dell’Impero Romano, avevano trasformata la libera Chiesa post gesuana in una struttura piramidale di caste, basata sulla burocrazia ed il legalismo giuridico, lontana dal popolo e per ciò aliena dall’insegnamento dell’amore universale. Questa forma piramidale di caste ecclesiastiche che per secoli si è sorretta sulla burocrazia e sul legalismo, giunse persino a esprimere, sul modello dell’antico Diritto Romano, quella autentica aberrazione anti-evangelica e anti-libertaria tale è il Codice di Diritto Canonico, limitando così in modo terribile la creatività umana e spirituale, perché una sola è la vera legge per il cristiano: è legge vera e autentica ciò che io penso, ciò che io sento, quindi ciò che io voglio.

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La più chiara dichiarazione dell’uomo Gesù di Nazareth contro il potere totalitario è racchiusa nella sua espressione «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che e di Dio» [Mt 22,21; Mc 12,17; Lc 20,12]. Espressione che contiene un messaggio ben preciso, anche se per tanti secoli mai correttamente interpretato, vale a dire: il potere non può accumulare tutta l’autorità, sia essa effettiva o anche e solo simbolica, su un solo essere umano, perché chi esercita il potere deve essere limitato e sottomesso alla stessa voce e volontà del popolo sovrano, perché la sovranità appartiene al popolo che la esercita tramite il democratico meccanismo sinodale dei Vescovi, che a breve torneranno a essere eletti anch’essi dal popolo.

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GESÙ DI NAZARETH, IL GRANDE RIVOLUZIONARIO DE EL PUEBLO UNIDO IN UNA CHIESA DI “CRISTIANI ANONIMI”

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Gesù di Nazareth era, anzitutto, un grande rivoluzionario, molto sensibile a quella lotta di classe di cui egli getta i primi fondamentali pilastri. Per capire veramente la portata rivoluzionaria del suo messaggio, basti comprendere il vero senso delle sue parole quando afferma di non essere venuto a portare la pace ma la guerra e che, anche tra fratelli o all’interno della stessa famiglia si sarebbero messi uno contro l’altro, se una delle parti non avesse accettato questo cambiamento necessario [Mt 10, 34-36], perché chi non è con Lui è contro di Lui [Mt 12,30].

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La storia dell’umanità è piena di “cristiani anonimi”, come ci insegna il più grande teologo di tutti i tempi, il gesuita tedesco Karl Rahner, che spero sia presto proclamato dottore della Chiesa e voce profetica. Tra i tanti “cristiani anonimi” della storia, basti pensare ad esempio al cinese Mao Zedong, che proprio ispirandosi a questo passo del Vangelo ― pur senza saperlo, essendo egli un “cristiano anonimo” ―, durante la sua gloriosa rivoluzione improntata sul già sperimentato modello sovietico, invitava anche i bambini, adeguatamente formati, a denunciare i loro stessi genitori; oppure i fratelli a denunciare all’occorrenza i loro fratelli e sorelle che mostrassero anche un vago segno di dissenso verso questo grande sorgere del Sol dell’Avvenire. E nel fare questo, nel mettersi all’occorrenza uno contro l’altro, erano giustamente convinti che alla fine la rivoluzione proletaria sarebbe stata portata a termine, perché come sta scritto: non tutti, ma solo alcuni di quelli che avranno fatto parte della rivoluzione, non conosceranno la morte prima di aver visto il suo regno, perché questo è il vero significato di questo celebre passo del Vangelo [cf. Mt 16,28]. Ormai, il cambiamento radicale operato dagli ultimi passi compiuti da questa rivoluzione che ha dato vita alla nuova e vera Chiesa della pace, dell’amore e della misericordia, in grado finalmente di accogliere assieme al peccatore anche il peccato, è giunto al suo apice, perché questo è il vero significato dell’avvertimento dato dall’uomo Gesù di Nazareth quando afferma: «Non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga». [Mt 24,34].

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La predicazione del Nazareno era centrata sull’uguaglianza, come quando egli afferma che non esistono i padroni, palesandosi così contro il capitalismo borghese rappresentato in quel tempo dai mercanti del tempio, oppure dagli antichi speculatori di Wall Street, che erano invece i cambiavalute [cf. Mc 11, 7-19; Mt 21, 8-19; Lc 19, 35-48; Gv 2, 12-25]

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L’unica volta che l’uomo Gesù di Nazareth guardò in faccia ― «e guardandolo lo amo», come è scritto nel Vangelo ― fu quando indicò al giovane ricco l’unica cosa che a lui mancava di fare: «Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri» [cf. Mc 10,21]. Egli è infatti molto chiaro nel dire che la perfezione si può raggiungere solo quando si vendono tutti i nostri averi per darne il ricavato ai poveri [Mt 19, 21]. Gesù di Nazareth, più volte se la prende con i ricchi, in particolare quando afferma: guai a voi ricchi perché avete già ricevuto la vostra consolazione [Lc 6,24]. Purtroppo, per molti secoli, i teologi della vecchia Chiesa hanno spiegato ― ovviamente sbagliando gravemente ― che il termine “ricchezza” è usato dall’uomo Gesù di Nazareth come sinonimo di egoismo, di mancanza di altruismo, di attaccamento alla dimensione puramente materiale della vita e dell’essere. Comprensibile il motivo per il quale la vecchia Chiesa abbia sostenuto questo, perché purtroppo ella ― e di ciò non dobbiamo mai finire di chiedere perdono al mondo del proletariato ―, era in combutta con i ricchi, con gli sfruttatori del popolo. Mentre in verità la ricchezza, per l’uomo Gesù di Nazareth, era solo un mezzo disonesto per guadagnarsi dei protettori nei momenti difficili [cf. Lc 16, 9]. Egli infatti afferma: «Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano». Ed era tanto il suo astio verso la ricchezza, che più avanti seguitò a lanciare invettive contro i farisei che, essendo attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffa di lui. Finché Gesù disse loro: «Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole» [LC 16, 14.15].

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L’ALLEGORIA DEL PECCATO ORIGINALE: IL VERO PECCATO ORIGINALE NASCE PER LA MANCANZA DI CURA DEI POVERI

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Per secoli noi abbiamo creduto e insegnato che l’allegoria del peccato originale ― perché ormai è assodato che il peccato originale non è un fatto, ma solo una allegoria dalla quale nasce il tradizionale battesimo altrettanto allegorico-simbolico ―, fosse dovuto ad un atto di ribellione a Dio Creatore attraverso la superbia dell’uomo. Ebbene, a parte il fatto che un altro grande “cristiano anonimo”, Sigmund Freud, ci spiega che il brano biblico di Genesi non è altro che l’allegoria del figlio che in età evolutiva si ribella legittimamente al dominio del padre, se veramente vogliamo parlare di peccato originale, questi non è da ravvisare nella sana e legittima ribellione verso il dominio del padre, che fa appunto parte della dimensione evolutiva umana, ma va ravvisato nella mancata cura dei poveri e nell’attaccamento al danaro. Questo il motivo per il quale, dal metaforico Paradiso Terrestre, l’uomo è caduto nel metaforico peccato originale.

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La missione dell’uomo Gesù di Nazareth non fu quella di fondare una religione o una casta, o un potere parallelo per dominare con ritualismi, cerimonie e lavaggio del cervello i poveri e gli oppressi, ma di portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e a rimettere in libertà gli oppressi [cf. Lc 4, 18], dando come vincolo unico quello dell’amicizia, perché la prospettiva della salvezza e santità che Egli ci offre, è di diventare suoi «amici» [Gv 15,15]. Inoltre, Egli non solo è un grande rivoluzionario, ma è un vero e proprio rivoluzionario radicale, lo chiarisce gli stesso: «Chi non è con me, è contro  di me» [cf. Mt 12,30]. E nella lunga schiera dei numerosi “cristiani anonimi”, molti hanno seguito questo suo insegnamento di radicalismo, senza neppure sapere quanto fossero veramente e radicalmente cristiani nell’agire in un dato modo. Per esempio, tra i diversi contemporanei, limitandosi al solo Novecento, basti rammentare quel grande uomo di “fede anonima” tale fu Stalin, che questo radicalismo evangelico lo portò al massimo compimento, tanto che grazie alla sua opera, circa venti milioni di russi poterono raggiungere il Paradiso nel giro di pochi anni.  

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L’uomo Gesù di Nazareth chiamò quindi presso di sé quelli che volle, ed essi si avvicinarono a lui. Quindi ne costituì dodici perché stessero con lui e potesse mandarli a predicare, ed avessero il potere di guarire le infermità e di scacciare i Demoni [cf. Mc 3, 13-15]. Inutile precisare che i Demoni, sono l’allegoria delle tentazioni borghesi capital-imperialiste che cercano di corrompere il popolo. Pertanto, il cacciare i Demoni, è da intendere come un cacciare le corruzioni dell’ideologia capitalista che tende a possedere il popolo. Purtroppo, la vecchia Chiesa intrisa di atteggiamenti regali a lei derivanti da quel grande alteratore del Cristianesimo tale fu l’imperatore romano Costantino, non ha mai capito che quei Dodici costituivano un collettivo basato sui concetti della democrazia proletaria, perché l’uomo Gesù di Nazareth chiamò a sé dei Compagni dai campi e dalle officine [cf. QUI] per rivoluzionare il mondo; una rivoluzione che passa attraverso la trasformazione dell’individuo.

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Quando l’uomo Gesù di Nazareth, a Ponzio Pilato, che rappresenta la massima carica rappresentativa del regime romano, dice: «Il mio regno non è di questo mondo», si riferisce a se stesso posto come uomo in prima fila come vittima oppressa, chiamato a essere il simbolo della dissociazione da quel regno di schiavitù e di dominazione, di oppressione e di autoritarismo, di povertà e di guerra, di vedove e di orfani, di profughi e di poveri per le alte tasse e le continue appropriazioni di terre e di capitali. Egli si fece così proclama e propaganda vivente dell’imminente cambio sociale cominciato con la sua condanna ed esecuzione in quanto caudillo rivoluzionario che, non riuscendo a sconfiggere le idee contrarie con la discussione, ha lasciato che esse si esprimessero, perché sapeva che non si possono sconfiggere le idee sbagliate con la forza, perché ciò arresterebbe il libero sviluppo dell’intelligenza, infatti, le idee sbagliate, devono essere lasciate sempre libere di svilupparsi al massimo.

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Quando l’uomo Gesù di Nazareth disse ai suoi compagni di non salutare i familiari e non seppellire i morti, quel che intende trasmettere è l’invito a non tornare mai indietro neanche per prendere la rincorsa, costasse anche cadere nel precipizio che si trova tra una sponda e l’altra.

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Quando nel Vangelo si fa riferimento a Simone detto lo zelota [cf. Lc 6 14-16], che vuol dire guerrigliero o partigiano, ciò che s’intende dire è che la caratteristica positiva della guerriglia consiste nel fatto che ogni individuo è disposto a morire non per difendere astrattamente un ideale, ma per farlo diventare realtà, affinché l’immaginazione possa andare al potere, perché è dalla immaginazione che nasce il reale, anche se questo non è mai stato compreso dalla vecchia Chiesa che per secoli si è ostinata a sorreggere il proprio pensiero teologico sui criteri superati e improponibili della logica di Aristotele, portata avanti in modo anacronistico da San Tommaso d’Aquino, sul quale grava la grande responsabilità di avere limitato le grandi speculazioni teologiche fino a quando ‒ vivaddio! ‒, agli inizi del XX° secolo prese vita quel Modernismo che oggi è il punto di riferimento e di azione dottrinale e pastorale di gran parte dell’episcopato contemporaneo.

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In Matteo leggiamo che l’uomo Gesù di Nazareth disse ai suoi compagni: «In verità vi dico, difficilmente un ricco entrerà nel regno» [cf. Mt 19, 23-30]. Basta questo per capire che egli ha voluto diventare povero e proporsi come pietra angolare di quella grande rivoluzione epocale contro il capitalismo borghese, unica e vera grande rovina dell’umanità. Purtroppo sono occorsi molti secoli per giungere a capire che Dio non può essere cattolico, ma è di tutti, perché conosce tutti e perché è per tutti, soprattutto di coloro che lo negano e lo rifiutano. Questo il motivo per il quale il Nazareno, in arte Figlio di Dio, ha predicato nel corso della propria esistenza terrena la netta distinzione tra oppressi e oppressori, gettando così il grande ponte sul fiume di quella che poi sarà la Chiesa povera per i poveri.

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LE ALLEGORIE DEI MIRACOLI, IL VERO SENSO DELL’EUCARISTIA, LA MORTE DI GESÙ IL LIBERATORE E LA SUA RISURREZIONE

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I più grandi miracoli dell’uomo Gesù di Nazareth non sono stati quelli del risveglio di Lazzaro da un evidente stato di morte apparente, non diagnosticata in quel tempo per la mancanza di conoscenze scientifiche; ne tanto meno i segni da lui operati sui malati. Il vero grande miracolo è stato quello di sfamare delle masse proletarie in diversi occasioni [cf. Mt 14, 13-21. 15, 32-39; Mc 6, 30-44. 8,1-10; Lc 9,10-17]. E qui si percepisce quanto profonda fosse la preoccupazione di Gesù di Nazareth per il problema della fame delle grandi masse del sottoproletariato, tanto che nell’ultima cena, prima di essere condannato a morte dal potere imperial-capitalista di quel tempo, Gesù dette l’incarico ai suoi compagni di sfamare il popolo proletario con il pane della liberazione [Mt 26, 20-30; Mc 14, 17-26; Lc 22,14-39; Gv 13, 1-20], ed a tale scopo usò una grande metafora allegorica: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» [Gv 6, 56].

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L’uomo Gesù di Nazareth si incamminò infine verso Gerusalemme con i suoi compagni perché sapeva che il tempo era pronto per la rivoluzione, giacché la rivoluzione non è una mela che cade quando è matura, ma va’ fatta cadere. Da questo momento in poi segue il cosiddetto Vangelo della Passione, incentrato per secoli, nelle interpretazioni date dalla vecchia Chiesa, nella dimensione cruenta del sacrificio, attraverso il quale l’uomo Gesù di Nazareth, equiparato all’Agnello di Dio, laverebbe il peccato. Si tratta però, anche in questo caso, di una lettura errata, molto tridentina e pre-conciliare, di due frasi evangeliche: «Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!» [Gv 1,29], ed ancora «fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”». Il grande equivoco da cui nasce la mala interpretazione, è legato al concetto stesso di peccato, con il quale per lungo tempo la vecchia Chiesa ha terrorizzato i suoi fedeli. I Vangeli sono infatti degli scritti meramente allegorici, da interpretare con le categorie della moderna teologia. E il termine “peccato” è una metafora che va interpretata non in senso cruento e sacrificale, ma in senso sociale: l’uomo Gesù di Nazareth, con tutta la mitezza di quella non violenza che secoli dopo ritroveremo in una figura come Ghandi ― da qui la metafora dell’agnello ―, lava dal mondo il grande peccato della ingiustizia sociale e della oppressione dei poveri. A questo, come dicevo poc’anzi, si ricollega quell’altra grande metafora che è l’Eucaristia, il cui vero e autentico significato non è certo quello sacrificale, bensì l’essere pane della giustizia sociale, la festa dei compagni che si riuniscono attorno alla mensa per il banchetto della gioia, della pace, dell’amore e della misericordia, danzando attorno all’altare al ritmo dei bonghi.

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La nostra fede si regge sul grande evento allegorico della risurrezione del Nazareno, per secoli considerata dalla vecchia Chiesa come un fatto storico, oltre che un fatto fisico, mentre sappiamo che si tratta di un evento spirituale, di una allegoria da interpretare come conclusione dell’esperienza terrena dell’uomo Gesù di Nazareth, in arte Figlio di Dio. Quando infatti nelle Lettere Apostoliche si afferma: «Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede» [cf. I Cor 15.14], s’intende dire che nel simbolo allegorico della risurrezione c’è il riscatto dei poveri e del popolo oppresso, lo prova il fatto che in un altro passo si afferma che siamo già risuscitati con Cristo [cf. Col 3,1]. E chi è, che è risuscitato con l’uomo Gesù di Nazareth, forse i ricchi, forse i borghesi, o forse peggio i capitalisti? Certo che no, con l’uomo Gesù di Nazareth, alla grande allegoria della sua risurrezione sono partecipi i poveri, gli emarginati, i profughi; per risorgere davvero con questo grande rivoluzionario, bisogna affrettarsi affinché sia approvata la legge sullo jus soli. L’allegoria dell’uomo Gesù di Nazareth che risorge dalla fossa comune nella quale il suo corpo fu gettato assieme a quello dei sottoproletari condannati dal potere imperial-capitalista, è l’immagine del Sol dell’Avvenire che sorge. Non a caso, diversi celebri “cristiani anonimi” della storia, come i già richiamati Stalin e Mao Zedong, seppure inconsapevoli di manifestare in tal modo la loro fede nella risurrezione dell’uomo Gesù di Nazareth, fecero uso proprio della iconografia allegorica del Sol dell’Avvenire, mostrandosi in tal modo degli straordinari “cristiani anonimi”.

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Gli altri due eventi della nostra fede sono le allegorie della ascensione al cielo dell’uomo Gesù di Nazareth e la Pentecoste dello Spirito Santo. Il fatto che dopo la risurrezione, Egli abbia continuato ad apparire ed a rendersi presente tra il collettivo democratico-proletario dei discepoli, come narra uno dei più celebre racconti allegorici ‒ quello dei due compagni in cammino lungo la Via di Emmaus [cf. Lc 20, 30-31] ‒, sta ad indicare il fatto che nessun vero padre della rivoluzione ha mai lasciato il popolo, prima che il popolo fosse maturo. Ecco perché a questa allegoria si unisce la seconda allegoria, la Pentecoste dello Spirito Santo. Con questo secondo evento, i compagni di lotta dell’uomo Gesù di Nazareth divengono dei veri cristiani adulti; dunque la Pentecoste racchiude quella sublime metafora che il grande “cristiano anonimo” Sigmund Freud definisce come la emancipazione del figlio dalla dipendenza del padre. Con la Pentecoste, abbiamo quindi il superamento definitivo del complesso edipico.

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AFFINCHÉ IL DIALOGO POSSA PORTARE ALLA SINCRETISTICA UNIONE È NECESSARIO METTERE DA PARTE LA FIGURA INGOMBRANTE DELLA BEATA VERGINE MARIA

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Tra queste righe, ho volutamente evitato di parlare della figura materna, che è quella di Maria madre dell’uomo Gesù di Nazareth. Si tratta infatti di una figura che può costituire ostacolo al dialogo con i fratelli delle diverse Chiese cristiane, anche se tutt’oggi, nella Professione di Fede scritta a Nicea e poi perfezionata a Costantinopoli, si risente purtroppo dello spirito esclusivo ed escludente che i Padri di questi due concilî acquisirono all’epoca dall’imperatore romano Costantino. In questo testo si recita infatti: «Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica». Questa santità e apostolicità, non può essere però patrimonio esclusivo della Chiesa Cattolica, perché appartiene a tutte le diverse Chiese cristiane. Anche se nel corso dei secoli, il concetto di unità, che ha rasentato una vera e propria ossessione limitante, ci ha impedito di accogliere la grande ricchezza della diversità, per non dire di peggio: la vecchia Chiesa è giunta persino a chiamare eresia la rottura dell’unità, incapace di vedere e di cogliere quale enorme ricchezza potesse nascere da quella diversità che implica spesso la rottura di questo gran feticcio dell’unità, affinché possa darsi spazio alla grande preziosità della diversità. Tra i tanti esempi in tal senso, si pensi alla straordinaria figura di Martin Lutero.

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Ebbene, la figura di Maria è di ostacolo all’accoglienza delle varie diversità e delle grandi ricchezze dei fratelli delle altre Chiese cristiane, anch’esse apostoliche e sante, che più volte hanno accusato i cattolici di vere e proprie forme di mariolatria, facendo capire che questa donna, a suo modo troppo ingombrante, era di serio ostacolo al dialogo. Pertanto, per amore del dialogo e per realizzare la comune vicinanza, se è necessario deve essere sacrificata la figura di questa madre ingombrante. Sia pertanto benedetta l’opera di quei santi uomini di Dio dei pastori pentecostali che negli ultimi tempi, nel Messico, in Ecuador, in Perù e via dicendo, si sono cimentati in uno sport tanto istruttivo: frantumare e poi spazzare via da terra, in pubblico, le statue della Beata Vergine di Guadalupe [vedere QUI, QUI, etc …]. Anche perché, se i pentecostali che da sempre godono della particolare simpatia del Pontefice regnante, fanno questo, lo fanno perché indubbiamente ispirati dallo Spirito Santo.

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È in questo che consiste la vera ricchezza di Maria: la capacità di farsi da parte, di lasciarsi mettere da parte e di far si che i pentecostali alla conquista dell’America Latina facciano in pezzi la sua effigie. Di tutto questo, Maria è felice, pur di non ostacolare il cammino di dialogo e di vicinanza con i fratelli delle altre numerose ed autentiche Chiese cristiane. È questo che rende Maria veramente santa, ed è in questa nuova ottica che andrebbe studiata la mariologia, evitando d’esser giustamente rimproverati dai fratelli delle altre vere ed autentiche Chiese cristiane di mariolatria.

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Come però capite, questo è un discorso a parte che potremo affrontare in seguito. Anche perché, quanto sin qui ho scritto ed espresso, mi è stato sufficiente per la mia promozione all’episcopato, esattamente come a Nunzio Galantino, che di recente ha definito Martin Lutero e la sua grande riforma come un dono dello Spirito Santo [cf. QUI], questa sua felice dichiarazione è stata sufficiente per mantenerlo nella carica di Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana. In caso contrario, rapportandosi invece alla fede con gli schemi della vecchia Chiesa, tutta strutturata su cupe dottrine e dogmi oppressivi, attraverso i quali taluni vorrebbero ostacolare il trionfo della misericordia e dell’amore, non solo, non si diventa vescovi, ma si rischia di essere spinti e relegati a suon di bastonate negli estremi più dimenticati e desertici delle periferie esistenziali. Ma sono tutte quante bastonate ‒ sia ben chiaro ‒, frutto della più grande misericordia, di quella misericordia che nasce dall’amore più profondo di un santo pastore che porta impresso su di sé l’odore delle pecore.

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C O N C L U S I O N E

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quel breve e indimenticabile colloquio del 2013 col Cardinale Francis George, Arcivescovo Metropolita di Chicago [1937-2015]

Questo scritto, costruito sull’ironico e apparente gioco dei paradossi, ma privo di qualsiasi forma di irriverenza verso chicchessia, parla da sé. E parla perché è uno scritto drammaticamente serio, oserei dire, in modo umile e sommesso, che è uno scritto a suo modo profetico. D’altronde, la linea che ho scelto di prendere da un po’ di tempo a questa parte, fu spiegata in un apposito articolo nel quale ho chiarito per dove vanno presi certi soggetti e situazioni … [vedere articolo QUI].

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Pochi giorni dopo il conclave del 2013, prima che facesse rientro negli Stati Uniti d’America, ebbi modo di conoscere presso il Collegio Nord Americano di Roma quell’uomo di Dio del Cardinale Francis George, Arcivescovo Metropolita di Chicago [1937-2015], col quale parlai in privato per poco più di mezz’ora, un tempo sufficiente per cogliere ciò che dovevo cogliere. Anzitutto mi dichiarai colpito da una sua affermazione risalente a circa un anno prima, quando egli dichiarò la propria comprensibile contrarierà di vescovo alla legge sulle unioni civili, per poi seguitare ad affermare che la potente e sempre più aggressiva lobby gay, si stava trasformando attraverso il Gay Pride in un «Ku Klux Klan che manifesta nelle strade contro il Cattolicesimo». La dichiarazione che mi colpì, non fu però quella rivolta al sempre più evidente spirito aggressivo dei sodomiti orgogliosi verso tutto ciò che ricorda anche vagamente la Chiesa Cattolica, perché a colpirmi da parte di quest’uomo già gravemente ammalato di cancro, fu la frase: «Io morirò nel mio letto, il mio successore morirà in prigione, il suo successore morirà martire». Meditando su questa frase, ebbi la sensazione che forse, un giorno, vescovo lo sarei divenuto per davvero. E potrei veramente diventarlo nella mia vecchiaia, assieme a pochi altri sacerdoti cattolici sopravvissuti a ciò che di peggio deve ancòra venire, perché in un futuro non affatto lontano, la Chiesa Cattolica sarà ridotta ad un ammasso di rovine informi.

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Da tre anni a questa parte, l’accademico pontificio domenicano Giovanni Cavalcoli ed io, ormai noti al pubblico come i Padri de L’Isola di Patmos, ribattiamo senza mai stancarci che la Chiesa di Cristo non è un corpo statico da mummificare nell’acqua ferma ristagnante, ma è un corpo in evoluzione, perché di per sé, un corpo, è sempre in crescita, persino nella fase della vecchiaia. Se infatti la vecchiaia segna da una parte il decadimento fisico, dall’altra segna spesso l’apice della maturità spirituale e intellettuale. Se così non fosse stato, tutto quanto si sarebbe risolto nell’anno 325 con il primo grande concilio celebrato a Nicea. Ma se la Chiesa, di concilî, in due millenni di vita ne ha celebrati in totale ventuno, ci sarà pure un motivo, o no? Da qui il concetto di Ecclesia semper reformanda, purché questa necessità della Chiesa di essere sempre riformata, non finisca con l’essere confuso col fatto che la Chiesa debba finire invece trasformata in altro, anziché riformata, ossia purificata. E questo, purtroppo, è quello che sta accadendo oggi: un gruppo potente e agguerrito di delinquenti, cercano di portare a compimento proprio questo nefasto e diabolico progetto: trasformare la Chiesa in altro. E la trasformazione in altro, non ha nulla da spartire con le grandi riforme di alcuni grandi concilî, da Trento al Vaticano II.

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Ecco perché da altrettanti anni vado scrivendo ed affermando che tutto questo porterà la Chiesa ad essere totalmente svuotata di Cristo, per essere poi riempita di altro. In siffatta situazione non lontana dal realizzarsi, essere vescovi vorrà dire correre il rischio di vivere una vita da martiri. Per questo il Beato Apostolo Paolo, richiamato non a caso all’inizio di questo mio scritto, affermava che «se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro» [I Cor 12, 31]. Affermava ciò perché all’epoca, divenire vescovi, comportava quasi sempre morire martiri, come ci dimostra il martirologio romano ed il sinassario bizantino dei primi secoli di vita del Cristianesimo.

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Naturalmente, quando si parla di martirio, tutti abbiamo presente il cosiddetto martirio di sangue. Ma non sarà questo, il lento e doloroso martirio che ci attende domani, perché il nostro futuro non sarà segnato da un martirio di sangue, ma da un lungo martirio bianco che si protrarrà per generazioni e generazioni.

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Quel poco che rimarrà del Cattolicesimo e dei cattolici, finirà con l’essere totalmente incompatibile con le società civili, ma soprattutto con le leggi che le regoleranno; perché saranno delle leggi radicalmente anti-cristiane. Nessuno, metterà in carcere gli appartenenti allo sparuto gruppo di cattolici sopravvissuti sparsi in giro a piccoli gruppi, né alcuno li condannerà a morte. O, come dissi in quel colloquio al Cardinale Francis George: «Lo credo anch’io che il successore del successore di Vostra Eminenza morirà martire, ma attraverso una nuova forma di martirio che oggi, noi, non possiamo forse neppure immaginare, perché questa nuova forma di martirio sarà la totale indifferenza. Pertanto, il potere che regolerà la vita degli Stati e delle società civili, userà verso di noi la stessa identica indifferenza che oggi, gli uomini di potere della nostra Chiesa decadente, stanno usando verso tutte le voci profetiche che continuano a vivere ed a parlare al suo interno». E detto questo precisai: «Il Demonio, essendo intelligenza allo stato puro, non è uno sprovveduto. Nel corso degli ultimi venti secoli di storia ha imparata molto bene la lezione, quindi sa benissimo che il sangue dei martiri ha sempre purificata, rivitalizzata e di conseguenza santificata la Chiesa. E lui non può certo permettere che la Chiesa di Cristo sia purificata, rivitalizzata e soprattutto santificata. Sicché cos’ha fatto, questa autentica essenza di intelligenza tal è il Demonio? Prima, ha seminato e favorito lo sviluppo della massima indifferenza tra le nostre sempre più miserevoli autorità ecclesiastiche, dopodiché le ha ridotte a vivere e ad agire in uno spirito di totale accidia omissiva, affinché questa indifferenza distruttiva potesse colpirci prima dall’interno, poi dall’esterno».

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Forse, per meglio illustrare il tutto, può essere utile il ricorso ad altri esempi chiarificatori: andando a leggere certi miei scritti, capita di trovare in diversi di essi delle vere e proprie denunce costruite su accuse circostanziate, basate su gravi fatti non passibili di smentita. Parole dure e severe che ho vergato nero su bianco non certo ispirandomi agli umori di me stesso, ma allo stile degli antichi profeti ed allo stile del precursore San Giovanni Battista. Numerosi gli scritti nei quali più volte ho ad esempio indicato che persone altamente problematiche, poiché gravate di problemi morali e dottrinali molto seri ed imbarazzanti per la società ecclesiale ed ecclesiastica, sono stati pur malgrado posti ‒ grazie alla protezione di soggetti in autorità a loro volta gravati da problemi di natura morale e dottrinale ‒ in ruoli di pericoloso rilievo, con tutto ciò che può derivarne a livelli di mala gestione delle strutture ecclesiastiche e pastorali, ed a livello di scandali pubblici. Ebbene, dinanzi a scritti così severi, il minimo che avrebbe dovuto capitare sarebbe stata una mia pronta convocazione da parte della competente Autorità Ecclesiastica. Io non sono infatti né un giornalista né un opinion-maker, sono un presbitero ed un teologo soggetto in tutto e per tutto all’Autorità Ecclesiastica. E a questa Autorità non sono soggetto per “contratto di lavoro a tempo indeterminato”, ma per Sacramento di grazia, oltre che per obbedienza. E un presbìtero che in un suo pubblico scritto spiega che l’attuale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede è stato promotore e protettore di quel giovane monsignore che giunto ai vertici di quel delicato dicastero si è poi dichiarato gay ed oggi vive gioiosamente sposato in Spagna col suo amato compagno, come minimo lo si chiama e, in tono semmai anche severo, gli si chiede: «Come ti sei permesso di lanciare una simile accusa al Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede?» [vedere articolo QUI]. E, una volta fatto questo, semmai lo si chiama di nuovo chiedendogli: «Come ti sei permesso, di scrivere in un altro tuo articolo di fuoco, che l’attuale Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, ha piazzato in una delle parrocchie storiche del centro un prete che in una antica e prestigiosa basilica romana era già noto a tutte le Autorità Ecclesiastiche perché foraggiava a botte di soldi un giro di giovani marchettari romeni? [vedere articolo QUI]. Insomma, se le Autorità ecclesiastiche, pur di fronte ad un fatto noto e acclarato, hanno deciso di far finta di niente, vuoi sollevare questioni propri tu, che non sei niente e nessuno?». E se in quelle mie affermazioni, indubbiamente gravi, anzi gravissime, vi fosse stata anche una sola e minima alterazione della realtà dei fatti, ecco che in quel caso, l’Autorità Ecclesiastica, avrebbe dovuto farmi veramente pentire di tutti i miei peccati attraverso le più severe sanzioni canoniche.

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Qualche ecclesiastico cosiddetto esperto, a questi miei quesiti retorici ha risposto dicendomi più volte: «Scordati, che facciano mai nulla di simile, perché sarebbe dare importanza a ciò che scrivi, cosa che non faranno mai, perché per loro, tanto più griderai “al disastro” e tanto più li accuserai di distruggere la Chiesa, tanto più ti ignoreranno, perché per loro non meriti alcuna attenzione».

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Ebbene, premesso che nella Chiesa della misericordia ossessivo-compulsiva non voglio alcuna attenzione e neppure desidero che chicchessia mi conceda considerazione, forse a questo punto è bene chiarire anzitutto che io non sono affatto un prete incattivito che scrive su un blog letto dal sacrestano, dalle due o tre signore che la sera recitano il Santo Rosario in Chiesa e dal barista del bar che si trova nella piazza di fronte alla casa canonica. Perché i soloni della Santa Sede che si occupano di comunicazioni sociali, possono appurare in qualsiasi momento che la rivista telematica L’Isola di Patmos è molto più seguita, ed ha un numero di visite di gran lunga molto superiore di quante invece non ne abbia l’edizione italiana de L’Osservatore Romano, il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana Avvenire, il settimanale Famiglia Cristiana e via dicendo a seguire. Pertanto, il principio clerical-accidioso del «Non diamogli importanza», non regge proprio. E non parliamo di quante e quante volte, non solo in Italia ma anche e soprattutto il giro per il mondo, insigni teologi e prelati hanno fatte proprie ed elaborate certe analisi fatte dai Padri de L’Isola di Patmos, che lungi dall’aver costituito un blog casalingo ‒ posto che la nostra è una rivista ‒, godono nei concreti fatti di tutta quella autorevolezza di cui invece non godono, agli occhi dei Christi fideles, certi cardinaloni e vescovoni all’avanguardia; il tutto, ovviamente, sempre stando ai dati di fatto, rigorosamente provabili e documentabili. Pertanto, la realtà e la verità, è tutt’altra: poniamo che qualcuno mi rimproveri dicendo per esempio che la mia forma di esprimermi, per la sua durezza ed il suo spirito di denuncia, non è accettabile. A quel punto, l’Autorità Ecclesiastica, si sentirebbe rispondere da me: «Premesso che chiedo perdono seduta stante per la forma, per lo spirito duro, per lo spirito di denuncia; e premesso altresì che nei modi e nelle forme che voi mi indicherete, provvederò a estendere questa richiesta di perdono in pubblico, affinché sia letta da decine di migliaia di lettori in un solo giorno, una volta chiarita però la forma, per quanto invece riguarda la sostanza, che cosa mi dite? O per meglio intendersi: è vero che l’attuale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ha portato avanti nella carriera ed ha protetto un soggetto che ha finito col dare nella Chiesa uno dei più clamorosi scandali dell’ultimo secolo? Perché questo fatto, io non lo ipotizzo, ve lo documento. E, detto questo, proseguirei dicendo: a parte la forma, per la quale posso chiedere scusa non una ma mille volte, ma del Vicario Generale di Sua Santità, che piazza in una delle più prestigiose parrocchie del centro di Roma un prete psicologicamente instabile che fotografava a pagamento i ragazzi nudi sotto la doccia presso la domus presbyterorum di una antica basilica romana, collezionando poi questi servizi fotografici “artistici” … ebbene, a parte la forma, per quanto invece riguarda la concreta sostanza, che cosa mi dite? Perché a parte la mia recriminata forma, resta il fatto che l’attuale Vicario Generale di Sua Santità, delle bravate di questo prete, era perfettamente al corrente, come lo erano e come lo sono tutti i monsignorini omertosi che tutt’oggi lavorano al Vicariato di Roma e che con la loro pura e semplice vigliaccheria, consentono il perpetrarsi di certi abominî, perché nessun topolino entrato dentro la forma del formaggio, gradisce esser sbattuto fuori da essa».

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La verità, non è che mi ignorano, ma che hanno semplicemente paura, perché un qualsiasi eventuale richiamo, comporterebbe prima il confronto privato, poi, qualora fossi assoggettato a qualsiasi genere di arbitraria ingiustizia ‒ all’interno di questa Chiesa all’apice della misericordia staliniana nella quale per logica conseguenza il diritto non esiste più ‒, il confronto privato dal quale fosse eventualmente nata una arbitraria ingiustizia verrebbe reso rigorosamente pubblico, sempre premesso che a leggermi non sono il sacrestano, le tre vecchiette che recitano il Santo Rosario in chiesa ed il barista del bar di fronte alla casa canonica.

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Mentre scrivevo questo lungo testo, ho ripercorso la storia di uno dei dittatori tra i più sanguinari dell’epoca moderna, che non è Adolf Hitler, come tutti pensano, ma Stalin. I morti, si misurano infatti in numeri, posto che i numeri dei morti assassinati sono sempre tanti, sono sempre troppi. Quindi non esistono numeri che pesano di più, come per esempio gli ebrei trucidati dal regime nazista, i quali ammontano a circa oltre cinque milioni, rispetto agli oltre venti milioni di russi trucidati da Stalin, che sulla bilancia degli storici orrori non possono certo pesare di meno per il semplice fatto che non erano ebrei. I morti trucidati pesano infatti tutti allo stesso modo, ed il loro sangue sparso grida ugualmente “vendetta al cospetto di Dio”, per usare questa antica espressione biblica, che siano essi israeliti o che siano ex sudditi del Grande Zar di Russia finiti sotto le fauci del Grande Macellaio Stalin.

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Scrivendo questo articolo ho ripensato a Stalin perché mai e poi mai, un ventennio fa, avrei immaginato che le sorti della Chiesa sarebbero finite col risultar simili a quelle del vecchio regime sovietico. Se infatti analizziamo bene i dati di fatto storici, scopriremo che l’inesorabile decadimento dell’Unione Sovietica comincia a prendere vita attorno al 1954/1955, uno due anni dopo la morte del grande e sanguinario dittatore. È sbagliato dire che il Comunismo Sovietico è caduto improvvisamente nel 1989, perché la sua caduta era in verità cominciata un trentennio prima. Proprio come la Chiesa Cattolica, che non sta cadendo oggi, all’improvviso, perché la gestazione di questa cronaca di una morte annunciata, è cominciata quarant’anni fa, nella stagione del post-concilio, seguendo tutti gli schemi tipici di quelle rivoluzioni passionali e romantiche dalle quali sono sempre nate le dittature peggiori, a partire dalla Rivoluzione Francese col suo periodo del terrore dal quale nasce poi la stagione inaugurata da quel grande guerrafondaio di Napoleone Bonaparte. E così come i giovani contestatori del Sessantotto gridavano «Pace e Amore» con le spranghe di ferro in mano, lanciando sassi alla polizia e bombe molotov tra un grido d’amore e l’altro, oggi nella Chiesa, i dittatori nati nella stagione del post-concilio, menano sprangate sulle ginocchia e spezzano le gambe a chiunque dissenta dinanzi alla grande Rivoluzione della Misericordia.

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Il fatto poi che il termine «rivoluzione» e «rivoluzionario» sia del tutto incompatibile con l’essenza stessa del Cristianesimo, o che definire il Verbo di Dio, Cristo Signore, come «rivoluzionario», rasenti invero la blasfemia, questo lo spiegherò in dettaglio in un alto scritto successivo, perché non posso aprire adesso un tema nel tema, tanto più in una conclusione finale.

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In questo mio scritto ho fatto riferimento anche ai delinquenti, ovviamente in senso puramente figurato, non in senso criminale e penalistico, riferendomi più volte ai grandi delinquenti che stanno massacrando il poco che ormai resta della Chiesa Cattolica. Non posso per ciò concludere senza aver fatto perlomeno il nome di uno tra i più illustri delinquenti figurati, sempre ribadendo che il lemma “delinquente” e “delinquenza” va inteso solo ed esclusivamente come sinonimo di disonestà intellettuale. Il delinquente intellettuale in questione è il sempre più onnipotente Alberto Melloni, grande leader della Scuola di Bologna e grande piazzatore diretto o indiretto di vescovi disastrosi. Per capire la delinquenzialità intellettuale di siffatto soggetto, a parte i suoi simposi presso le Logge Massoniche e amenità di vario genere [cf. QUI, pag. 6-9], basti solo leggere, dalle colonne del Corriere della Sera, in quale modo sprezzante e aggressivo egli commenta la profezia, oserei dire quasi ovvia, fatta dal Cardinale Francis George nel 2012 [articolo leggibile QUI], sino ad accusarlo di omofobia. E la omofobia, diversamente dalla mia recriminata delinquenza intellettuale, che è una pura figura retorica, è invece considerata un vero e proprio reato dalle leggi penali di diversi Paesi del mondo.

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Ecco, Alberto Melloni, tra i delinquenti intellettuali che si librano attorno al Romano Pontefice come degli avvoltoi sulla carcassa della Chiesa, è uno tra i più quotati. E con questo, ho detto e concluso tutto, sia riguardo agli avvoltoi, sia riguardo a chi, imperterrito, se li tiene attorno, in questa Chiesa auto-distruttiva della misericordia ossessivo-compulsiva, ridotta ormai ad una pantomima del paradiso del proletariato di Stalin.

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Forse un giorno, quando sarò vicino agli ottant’anni, vestito in modesti abiti civili, perché tutto ciò che ricorda vecchi simboli religiosi, anche nel vestiario stesso, non sarà consentito nelle strade di una società ormai completamente multi etnica, multi razziale, ma soprattutto liberata dall’immagine e dal ricordo di Dio, accompagnato da un paio di eroici candidati agli ordini sacri, che seguirò personalmente, perché non esisteranno più certe strutture ecclesiastiche, inclusi i seminari, passeggiando per Roma indicherò loro grandi e prestigiose strutture alberghiere, sedi di grandi società, musei, centri di esposizione d’arte, sale da concerto, teatri e via dicendo a seguire, che una volta erano le nostre grandi strutture religiose. E narrerò a loro che, nella mia età giovanile, io ho anche conosciuto e frequentato molti di quegli ambienti. E passando davanti agli stabili di quelle che furono le grandi università pontificie, nelle quali si troveranno le sedi di strutture accademiche dove si studierà l’ermeneutica delle vecchie religioni, patrocinate dal grande centro della cultura religiosa mondiale finanziato e dipendente da un apposito dipartimento delle Nazioni Unite, narrerò loro che in quegli stabili, una volta, insegnavano i nostri più “grandi” teologi, quelli ai quali si deve questa grande «caduta dell’impero» [vedere precedente articolo, QUI]. E se i due eroici candidati si rivolgeranno a me, loro vecchio vescovo, dicendomi: «Paternità, devono essere stati, quelli, dei tempi veramente belli». Io risponderò loro: «No, figlioli cari, erano tempi non solo brutti, ma terribili, nei quali una gerarchia ecclesiastica decadente si era ridotta a vivere di potere per il potere, avulsa dal reale, paralizzata nel tutto e subito, incapace di ogni prospettiva escatologica futura». E dirò loro: «Questi che stiamo vivendo adesso, sono i tempi veramente belli, perché sono i tempi di una lenta, dolorosa e lunga rinascita».

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È in questa situazione, che si potrà realizzare ciò al quale ci esorta il Beato Apostolo Paolo: «[…] se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro» [I Tm 1, 2-3]. E sarà un «nobile lavoro» quando l’episcopato, svuotato di ogni potere e prestigio mondano, potrà essere vissuto solo ed esclusivamente a lode e gloria di Dio. E sarà in questa futura piccola, emarginata e dispersa Chiesa che forse, nella mia vecchiaia, diventerò vescovo per davvero, affinché al drammatico interrogativo «Ma quando il Figlio dell’uomo tornerà troverà ancora fede sulla terra?» [Lc 18, 1-8], un piccolo gruppo di cristiani possa rispondere: sì, nostro Signore e nostro Dio, abbiamo mantenuta accesa la lampada della fede sino al Tuo ritorno, senza mai avere perduto la consapevole speranza che a Te è sufficiente anche una piccola fiammella. E sulla base di questa consapevolezza, sono rimaste sempre accese in noi la fede e la carità.

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Dall’Isola di Patmos, 15 novembre 2017

Sant’Alberto Magno, vescovo e dottore della Chiesa

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CARI LETTORI, VI PREGHIAMO DI PRENDERE VISIONE DI QUESTO NOSTRO ARTICOLO, QUI

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Amoris Laetitia: pensavamo fosse amore, invece è una drammatica spaccatura all’interno della Chiesa. I forti dubbi del canonista newyorkese Gerald Murray

AMORIS LAETITIA : PENSAVAMO FOSSE AMORE, INVECE È UNA DRAMMATICA SPACCATURA ALL’INTERNO DELLA CHIESA. I FORTI DUBBI DEL CANONISTA NEWYORKESE GERALD MURRAY

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« La Amoris Laetitia era già stata formulata dal Cardinale Jorge Mario Bergoglio all’epoca che era  arcivescovo di Buenos Aires. Se all’epoca egli l’avesse inviata a Roma, la Congregazione per la Dottrina della Fede, dopo averla esaminata, avrebbe risposto: “Questo testo non è conforme al magistero autentico insegnato dal Diritto Canonico, da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI” »

Autore
Redazione dell’Isola di Patmos

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«Pensavo fosse amore, invece era un calesse»

Massimo Troisi [Napoli 1953 – Roma 1994] 

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il compianto Massimo Troisi

Dopo le dichiarazione del Padre Thomas G. Weinandy, insigne teologo cappuccino di Washington [vedere precedente articolo QUI], in questi giorni altre precise e dettagliate dichiarazioni sono state rilasciate ad un seguito programma televisivo americano da un nostro confratello americano, il canonista Gerald Murray, presbìtero dell’Arcidiocesi di New York ed insigne studioso.

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A segnalarci il video è stato un presbìtero dell’Arcidiocesi di New York che per alcuni anni ha vissuto a contatto a Roma col Padre Ariel S. Levi di Gualdo, all’epoca in cui questo sacerdote statunitense risiedeva presso il Collegio Nord Americano durante i suoi studi specialistici svolti in una università pontificia romana. 

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Coloro che vivono nella loro realtà soggettiva, che in quanto tale pare davvero sempre più avulsa dal reale ecclesiale e pastorale, con uno spirito ormai in bilico tra accidia e indifferenza omissiva, possono anche fingere che tutto vada bene, mentre dovremmo prendere atto che l’ambiguità del Pontefice regnante non ha nulla da spartire con le riforme. Né nulla ha da spartire col fatto che nel corso della storia della Chiesa, molte importanti riforme hanno generato nei secoli discussioni e malumori a non finire, prima di essere accettate.

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La evidente rottura oggi drammatica all’interno della Chiesa, è dovuta al fatto che a dei problemi nati da espressioni ambigue, ambivalenti ed a doppio senso interpretativo, come risposte sono state fornire parole ancor più ambigue e confuse. E questo, a coloro ai quali non fosse ancora evidente, ricordiamo che sta generando il caos intra ed extra ecclesiale.

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Non abbiamo potuto tradurre dall’inglese il video segnalato dal presbìtero newyorkese ma possiamo sintetizzare che in esso, l’insigne canonista intervistato, precisa e ricorda:  

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«La Amoris Laetitia era già stata formulata dal Cardinale Jorge Mario Bergoglio all’epoca che era  Arcivescovo di Buenos Aires. Se all’epoca egli l’avesse inviata a Roma, la Congregazione per la Dottrina della Fede, dopo averla esaminata, avrebbe risposto: “Questo testo non è conforme al magistero autentico insegnato dal Diritto Canonico, da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI” […] Oggi ci troviamo invece di fronte  ad un qualche cosa definito dal Papa come suo magistero autentico, ma che mai sarebbe stato riconosciuto come tale  in armonia con l’insegnamento cattolico, nel caso in cui egli lo avesse diffuso come Arcivescovo di Buenos Aires […] Dottrina e disciplina procedono assieme in modo inscindibile, ecco perché questa situazione è preoccupante […] Credo quindi che i Cardinali che presentarono i loro dubia abbiano ragione. Se l’insegnamento morale della Chiesa non è proposto e presentato in modo deciso e preciso, allora cadiamo nel caos».

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Rimandiamo alla visione del video nel quale Padre Gerald Murray espone e spiega il grande e pericoloso problema che oggi stiamo vivendo.

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Alcune addolorate obiezioni a Padre Timothy Radcliffe, che dovrebbe esprimersi come l’ex Maestro Generale dell’Ordine Domenicano, non come il maestro di una loggia massonica

ALCUNE ADDOLORATE OBIEZIONI A PADRE TIMOTHY RADCLIFFE, CHE DOVREBBE ESPRIMERSI  COME L’EX MAESTRO GENERALE DELL’ORDINE DOMENICANO, NON COME IL MAESTRO DI UNA LOGGIA MASSONICA

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Mi meraviglia in un Domenicano questa imprecisione di linguaggio, che fa pensare ad una visione relativistica ed indifferentista della religione. Egli sembra confondere la fede con l’opinione. Le opinioni possono essere molte, anche in contrasto di loro, e questo è normale. Ma la fede in Dio è una sola, così come la verità è una sola, perché è verità oggettiva, certa, assoluta ed universale.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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   PDF  articolo formato stampa

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l’ex Maestro Generale dell’Ordine dei Frati Predicatori Padre Timothy Radcliff, O.P.

Essendo rimasto perplesso per varie risposte, un Lettore mi ha inviato il testo di una intervista fatta da Alain Elkann al Padre Timothy Radcliffe, ex Maestro Generale dell’Ordine dei Frati Predicatori, al quale io appartengo, chiedendomi un parere in tal senso  [cf. intervista su La Stampa, QUI].

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Mi sono piaciute alcune cose che egli ha detto, come l’importanza dell’amore per la verità e per il silenzio, la bellezza della  fede nel suo rapporto con la ragione, la vita fraterna domenicana, che ogni uomo è fatto per raggiungere Dio e quindi chiamato alla salvezza e la convivenza pacifica dei fedeli delle varie religioni. Non mi sento invece di condividere alcune sue affermazioni, che riporto qui con le mie relative osservazioni. Do un numero alle parole del Padre Timothy Radcliffe, e di seguito metto le mie osservazioni.

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  1. Alla domanda dell’intervistatore: «Lei pensa che tutte le religioni siano mezzi per raggiungere lo stesso luogo?» Padre Timothy Radcliffe risponde: «Sarei lieto di dirlo, ma è oltre la nostra capacità di comprensione».

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Io avrei risposto precisando che tutte le religioni sono mezzi umani più o meno imperfetti per raggiungere Dio. Ma solo la religione cristiana cattolica tra tutte è la più elevata, perché fondata dallo stesso Figlio di Dio, Gesù Cristo, Mediatore Unico e perfetto, Che ci fa sapere che Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo.

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  1. «Le guerre fanno parte della storia dell’umanità e in guerra si usa ogni mezzo per vincere, tanto il nazionalismo quanto la religione. Non è corretto dire che c’è la religione all’origine della guerra. Direi piuttosto che gli esseri umani hanno coltivato la violenza usando la religione per imporla o per giustificarla».

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Faccio osservare che Padre Timothy Radcliffe fa una falsa generalizzazione. La guerra può avere un fine giusto: per esempio, la difesa della patria, la liberazione di un popolo oppresso, l’abbattimento di un regime tirannico, la riconquista di un territorio occupato dal nemico, la liberazione dei cristiani dall’oppressione degli islamici o dei comunisti.

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Non bisogna confondere la violenza col giusto uso della forza. La violenza è ingiustizia e viene punita dal codice civile e militare; il giusto uso della forza è atto di fortezza che può giungere all’eroismo ed è il principio del valor militare, degno del massimo onore. Il disprezzo o la condanna indiscriminata della guerra come tale, senza distinguere quella giusta da quella ingiusta, è segno di animo meschino, pavido e falsamente pacifico, che finisce per tollerare che i prepotenti opprimano i deboli e li lascino indifesi. La difesa della religione può giustificare una guerra, come avvenne per esempio nella battaglia di Lepanto o nelle guerre di Israele narrate dall’Antico Testamento, anche se è vero che la religione può essere un pretesto che nasconde avidità di potere o volontà di dominio, come fu la guerra dei prìncipi luterani contro la Chiesa per impossessarsi dei beni della Chiesa.

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Non è vero, pertanto, come pensava Karl Marx, che le guerre avvengono sempre per interessi materiali, e che quelli ideali servono solo a coprire i primi. Anche questa idea è segno di animo gretto e barbaro, che non capisce che l’uomo non è una bestia, ma tiene all’onore, alla giustizia e al diritto.

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Si nota nelle idee pacifiste di Padre Timothy Radcliffe l’utopismo razionalista ed ingenuo e alla fine, al di là delle intenzioni, pericoloso e guerrafondaio, tipico di Rousseau e dell’illuminismo massonico, che considera una “natura umana” elaborata a tavolino, astrattamente presa ed originariamente “buona”, a prescindere dalla sua drammatica condizione storica, conseguente al peccato originale, natura che invece ha bisogno di essere disciplinata e frenata, all’occorrenza, anche con severità. Infatti, come insegna l’esperienza, l’umanità con le sole forze della ragione e della volontà non è in grado di correggere le deviazioni e di realizzare perfettamente, attraverso opportune trattative ed azioni politiche, la giustizia e la pace, peraltro in una prospettiva meramente terrena, ma necessita dell’aiuto della grazia, come dimostra la storia della civiltà cristiana e della Chiesa.

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  1. «Sono un grande fan di Papa Francesco, sta compiendo meraviglie facendo progredire la Chiesa in modo più rilassato e meno centralizzato. Certo, incontra resistenza, ma ci sta guidando verso la libertà e la spontaneità, riuscendo a entrare in contatto con ogni comunità».

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Dal modo col quale Padre Timothy Radcliffe qualifica se stesso nei confronti del Romano Pontefice, ‒ «fan di Papa Francesco» ‒ come se si trattasse un divo del cinema o di un campione dello sport, si comprende all’evidenza che la visuale sotto la quale egli si pone per considerare e valutare l’operato del Papa, è del tutto insufficiente e fuorviante, è di una grossolana superficialità e meraviglia moltissimo in un Domenicano che è stato capo dell’Ordine per quasi dieci anni.

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Per questo il giudizio di Padre Timothy Radcliffe sul Papa è completamente falsato e denota chiaramente la sua provenienza da quel deleterio ambiente modernista-liberal-massonico, che con somma astuzia e ingentissimi mezzi economici e mediatici, da tempo ormai esercita, nei confronti del Successore di Pietro, una raffinata quanto sporca e smaccata opera di adulazione e finta devozione, che purtroppo non manca di produrre un certo effetto sulle grandi masse di fedeli sprovveduti e secolarizzati, nonché sul Papa stesso, la cui guida della Chiesa gli è estremamente difficile sia per l’oggettiva drammatica esistenza di aspri conflitti intra-ecclesiali e sia per la difficoltà che egli ha a metter pace e concordia, sia per una sua certa mancanza di imparzialità e sia ancor più a causa di collaboratori inefficienti e finti amici, che lo circuiscono e lo condizionano.

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Padre Timothy Radcliffe, con le sue dichiarazioni, dà mostra di errare nell’interpretare l’azione del Papa e di non comprenderne affatto ‒ cosa grave in un Domenicano ‒ né la vera personalità e missione apostolica e neppure di comprendere la vera, drammatica situazione attuale della Chiesa, più volte denunciata da Benedetto XVI, ma anche la Chiesa nelle sue vere prospettive e speranze.

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Padre Timothy Radcliffe, da come si esprime, sembra vivere in un’atmosfera ovattata e sognante, fatta di ingenui entusiasmi giovanili, senza percepire assolutamente ‒ oggi che si parla tanto di ”discernimento” ‒  né la profondità della crisi, né quella dei valori che stanno emergendo, che sono quelli di un’autentica attuazione del Concilio Vaticano II, non nell’interpretazione modernista schillebexiana e rahneriana, ma secondo gli insegnamenti autentici dei Papi del post-concilio, dal Beato Paolo VI al presente, non senza essere in continuità con la Tradizione nell’ascolto supremo della Parola di Dio e di quello che lo «Spirito dice alle Chiese» [Ap 2,7]. E quando dico “tradizione” non intendo riferirmi al Vetus Ordo Missae, ma alla Sacra Tradizione, ossia alla custodia, conservazione e trasmissione apostolica orale infallibile del dato rivelato: in sostanza, alla predicazione del Vangelo.

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Oggi il Papa non ha bisogno di «fans » – questi lasciamoli alle partite di calcio, la fede è una cosa seria –, neppure di acri accusatori farisei, non ha bisogno di essere lisciato e coccolato, non ha bisogno di essere “corretto” nella retta fede, anzi chiede a noi di ascoltarlo come maestro della fede e interprete infallibile della Tradizione e della Scrittura, nonché ha bisogno di essere aiutato e consigliato da collaboratori leali, saggi ed efficienti, che non diano scandalo al popolo di Dio. Ha bisogno di essere illuminato, confortato, consolato, incoraggiato e liberato dai Giuda, dagli intrallazzatori e dagli arrivisti, che l’attorniano come api attorno al miele. Sull’esempio di una Santa Caterina da Siena il Papa ha bisogno di essere insistentemente esortato con franchezza, carità e rispetto a compiere il suo dovere per l’onore di Cristo e il bene della Chiesa.

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Padre Timothy Radcliffe si immagina un Papa promotore di una Chiesa “rilassata” come il tale che, comodamente rilassato in poltrona, si gode uno spettacolo televisivo. La sua Chiesa ”decentralizzata” è un eufemismo pietoso ma non troppo, per celare o ignorare  lo stato confusionale nel quale oggi la Chiesa si trova in un bellum omnium contra omnes tra cardinali, vescovi, teologi, preti e religiosi in temi di fede e di morale.

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Secondo Padre Timothy Radcliffe Papa Francesco ci sta guidando verso una Chiesa «libera e spontanea». Ma per raggiungere tal fine,  non c’è bisogno del Successore di Pietro: basta un buon trattato di psicologia. Il Papa guida la Chiesa ben più in alto:  all’ascolto della Parola di Dio, all’imitazione di Cristo, alla liberazione dal peccato, alla vita di grazia, alla vittoria sul mondo e su Satana, alla comunione dei santi, all’esercizio della carità, alla perfezione evangelica, alla disponibilità alle sollecitazioni dello Spirito Santo, alla conquista del Regno di Dio, all’eterna beatitudine.

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«Il Papa riesce ad entrare in contatto con ogni comunità»? Certo, egli è il Padre comune di tutti figli di Dio, è mandato da Cristo ad annunciare il Vangelo a tutto il mondo, deve comprendere i bisogni più profondi di tutti, deve saper apprezzare i valori di tutte le religioni, deve inviare a Cristo coloro che sono «affaticati ed oppressi» [Mt 11,28].

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Il Papa dimostra certo una straordinaria energia ed attitudine nel contatto con le folle. Ma esse, fuorviate da una interpretazione secolaristica dell’azione del Papa ad opera dei grandi mass-media, interpretazione che il Papa stesso non pare sufficientemente smentire, che cosa poi vedono nel Papa? Il simpatico propagandista di una morale ”rilassata” o l’uomo di Dio che ci sollecita a guardare in alto? Se il Papa «incontra resistenze», dovrebbe chiedersi che cosa esse significano. Certo ci sono i soliti lefebvriani e farisei; ma c’è anche chi gli vuole bene ed è sincero amico e desidera vederlo tendere alla santità.

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  1. Dobbiamo pregare per la fratellanza fra le fedi, non fomentare le divisioni.

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Mi meraviglia in un Domenicano questa imprecisione di linguaggio, che fa pensare ad una visione relativistica ed indifferentista della religione. Egli sembra confondere la fede con l’opinione. Le opinioni possono essere molte, anche in contrasto di loro, e questo è normale. Ma la fede in Dio è una sola, così come la verità è una sola, perché è verità oggettiva, certa, assoluta ed universale.

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Bisogna dunque favorire la fratellanza tra i fedeli delle diverse religioni. Non ha senso invece parlare di «fratellanza fra le fedi», come non ha senso la fratellanza tra il vero e il falso. Non si deve dividere ciò che dev’essere unito, ma si deve dividere ciò che va separato. Lo spirito di pace non è fare il doppio gioco o servire due padroni. In tal senso Cristo dice di essere venuto a portare una «spada» [Mt 10,34].

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«Chi non è con me» – dice il Signore [Mt 12,30] – «è contro di me». Se il Corano nega ciò che insegna Cristo, non possono contemporaneamente aver ragione Cristo e il Corano. Per conseguenza, le religioni non sono come i partiti in un parlamento o la pluralità degli istituti religiosi all’interno della Chiesa Cattolica. In questi casi le varie formazioni si integrano e si completano a vicenda per rappresentare la totalità: o l’intera cittadinanza di una nazione o l’intero corpo ecclesiale.

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Invece la questione del rapporto fra le religioni non è di ordine semplicemente sociale; non è semplicemente di competenza dello Stato, in applicazione del diritto di libertà religiosa, per cui lo Stato deve curare la pacifica convivenza dei gruppi in esso esistenti; non si tratta solo di rispettare le diversità tra le religioni, ma più profondamente la questione tocca il problema della verità delle dottrine delle religioni. E su questo punto il Domenicano dovrebbe essere particolarmente sensibile. Al riguardo, dobbiamo dire che la Chiesa Cattolica riconosce la presenza di valori salvifici anche nelle altre religioni, misti tuttavia ad errori. Infatti, la pienezza della verità salvifica è patrimonio esclusivo della dottrina cattolica, come afferma ancora il Concilio Vaticano II nel decreto Unitatis redintegratio II.

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Per questo la Chiesa ha anche il compito di respingere o correggere gli errori contenuti nelle altre religioni, perché tutti gli uomini sono chiamati a convertirsi a Cristo per il tramite della Chiesa, come ha precisato il Concilio di Firenze nel 1442, anche se è possibile, come ha insegnato il Concilio Vaticano II, appartenere alla Chiesa in modo inconscio.

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Il Padre Timothy Radcliffe sembra dunque condividere la teoria di Edward Schillebeeckx, secondo il quale la vera religione risulta dalla somma di tutte le religioni, per cui ognuna di esse darebbe il suo contributo alla edificazione del tutto, un po’ come un’enciclopedia risulta dai contributi dei collaboratori. Infatti, secondo Schillebeeckx, “nessuna religione particolare esaurisce il problema della verità”[1]. “Di conseguenza, possiamo e dobbiamo dire che c’è più verità religiosa in tutte le religioni messe assieme che in ogni singola religione”[2]. Questo che vuol dire? Che il Corano aggiunge verità salvifiche che non sono contenute nel Vangelo? Che il Vangelo non può permettersi di correggere il Corano? Schillebeeckx non si rende conto che le verità salvifiche sono state rivelate da Dio per il tramite di Cristo e della Chiesa in un certo numero e raccolte nel Simbolo Apostolico. Le altre religioni non aggiungono nuove verità, che non siano già contenute nel Credo cristiano, ma semmai ne mancano di qualcuna. Per questo, la posizione di Padre Timothy Radcliffe, in quanto riflesso delle idee di Schillebeeckx, non è per nulla conforme alla dottrina della fede, purtroppo!

 

Varazze, 24 novembre 2017

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[1] Umanità, la storia di Dio, Queriniana 1992, p.215.

[2] Ibid., p.220.

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La grande Chiesa di Siracusa e la piccola Massoneria locale: storia di una fake news

LA GRANDE CHIESA DI SIRACUSA E LA PICCOLA MASSONERIA LOCALE: STORIA DI UNA FAKE NEWS

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Per noi cattolici, la memorabile condanna lanciata dal Sommo Pontefice Leone XIII nella sua Enciclica Humanum genus del 1884, nella quale condanna il relativismo filosofico e morale della Massoneria, rimane, oggi più che mai, di grande attualità.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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PDF  articolo formato stampa

 

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La scritta sopra le navate della cattedrale di Siracusa: Ecclesia Syracusana prima Divi Petri filia et prima post Antiochenam Christo dicata [la Chiesa di Siracusa è prima figlia del Beato Apostolo Pietro e seconda dopo la Chiesa di Antiochia]

Entro in una questione non attinente i temi della nostra rivista, che non si occupa di attualità, ma solo di teologia ecclesiale e aggiornamento pastorale, anche se il fatto sul quale spenderò dei commenti riguarda un fatto di carattere ecclesiastico.

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Partiamo da un dato: il titolo dato non rende l’idea, perché quella di Siracusa non è solo una grande Chiesa resa tale dal suo essere antica, è una Chiesa gloriosa. Chi entra nella sua cattedrale metropolitana rimane colpito dalle colonne che reggono le due file di navate, si tratta delle colonne dell’antico tempio dorico dedicato ad Atena, risalente al VII secolo a.C. Sopra le colonne di queste navate troneggia la scritta: «Ecclesia Syracusana prima Divi Petri filia et prima post Antiochenam Christo dicata».

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La scritta sopra le navate della cattedrale di Siracusa

Chiesa di fondazione apostolica, Siracusa è «la prima figlia del Beato Apostolo Pietro e seconda dopo la Chiesa di Antiochia», come indica quella vetusta scritta latina sopra le navate. Il Beato Apostolo vi mandò infatti il Vescovo Marziano ad erigerla e, pochi anni dopo, fu visitata dal Beato Apostolo Paolo durante un viaggio apostolico documentato in Atti degli Apostoli: «Approdammo a Siracusa, dove rimanemmo tre giorni» [At 28,13]. Con la locale comunità cristiana il Beato Apostolo si intrattenne presso le catacombe dedicate in seguito a San Giovanni Evangelista, che per inciso sono più antiche delle catacombe di Roma.

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Siracusa, basilica paleocristiana di San Pietro, risalente agli inizi del IV secolo [vedere galleria, QUI]

Siracusa ha donato alla Chiesa una figura di particolare rilievo, se consideriamo che la Beata martire siracusana Lucia, assieme ad Agata, Agnese, Cecilia e Anastasia, sono le grandi martiri menzionate nel Canone Romano della Santa Messa. E mentre molte delle attuali grandi diocesi del centro e del nord del nostro Paese erano ancora lontane di secoli dall’essere erette, durante i primi concili e sinodi della Chiesa la firma del Vescovo di Siracusa compare nei documenti poco dopo quella del Vescovo di Roma. Tutt’oggi, nel cuore dell’antica città greca di Siracusa, che è l’isola di Ortigia [cf. QUI], è visitabile la basilica paleocristiana dedicata a San Pietro, una delle chiese più antiche d’Europa, edificata prima del Concilio celebrato a Nicea nell’anno 325 [vedere immagini e guida, QUI].

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Siracusa, basilica paleocristiana di San Pietro, risalente agli inizi del IV secolo [vedere galleria, QUI]

Ricordo con tenera commozione quando nell’ottobre del 2010, mentre si trovavano in soggiorno a Roma per vari incontri presso la Santa Sede, accompagnai due vescovi americani a visitare Siracusa, uno dei quali oggi cardinale. Negli sguardi di questi due uomini posti alla guida di due rispettive grandi diocesi, colsi più volte un senso di tremore e timore, o come mi disse uno dei due: «Negli Stati Uniti d’America noi consideriamo antica la mia arcidiocesi fondata nel lontano 1790, ma dinanzi a queste antiche pietre io mi sento veramente poco più che un vescovo-bambino ».

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Siracusa, Catacombe di San Giovanni, la cripta del protovescovo Marziano [ Antiochia, I sec. – Siracusa, inizi II secolo]

Su Siracusa ebbi a scrivere sulle pagine di un libro commemorativo della Nunziatura Apostolica in Italia, al quale collaborai per la parte storico-teologica; libro poi edito nel 2016 dalla Libreria Editrice Vaticana. E partendo proprio dall’antica Siracusa trattai la figura degli antichi apocrisari ― gli antenati degli attuali nunzi apostolici ― che si muovevano tra Oriente e Occidente. Ma soprattutto trattai storie risalenti alle remote epoche del V° e VIII° secolo legate ad un particolare istituto ecclesiastico: la Legazia di Sicilia, risalente all’anno 1098. Mi sono permessa questa menzione tra le righe solo perché un libro è un atto pubblico, ed in esso si trova riportato anche il mio nome di contributore, se invece si fosse trattato di “lavori d’ufficio”, me ne sarei ben guardato dal fare qualsiasi genere di menzione.

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locandina della conferenza promossa dal Grande Oriente d’Italia a Siracusa

Molto vi sarebbe da narrare, questa introduzione può però bastare per dare una meritata lezioncina ai diffusori di cosiddette fake news, od a coloro che su due righe od un solo titolo scrivono e diffondono per la rete notizie con lo stomaco anziché col cervello, se non peggio dando sentenze inappellabili.

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È infatti accaduto che a partire da questa mattina sono giunte alla redazione de L’Isola di Patmos numerose email dall’Italia e dall’estero scritte da persone che, gridando più o meno allo scandalo, domandano come sia possibile che a Siracusa venga promossa la Massoneria dalla Chiesa locale.

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S.E. Mons. Salvatore Pappalardo, Arcivescovo Metropolita di Siracusa, in una breve intervista nell’occasione della festa di Santa Lucia [cliccare sull’immagine per aprire il video]

La Chiesa di Siracusa è governata da S.E. Mons. Salvatore Pappalardo, 72 anni, uomo tutt’altro che sprovveduto, con alle spalle tutta l’esperienza del caso. Dopo avere lavorato da giovane sacerdote in una parrocchia di Catania, sua diocesi di origine, fu scelto come vicario generale diocesano. Nove anni dopo fu promosso alla sede vescovile di Nicosia, una piccola diocesi nella quale tutt’oggi è sempre vivo nella gente il suo ricordo di uomo amabile dotato di solarità mediterranea. Su di lui penso di potermi esprimere per diretta conoscenza, perché lo conosco da molti anni, apprezzandone quei tratti di cristiana umiltà spesso sconosciuti ad alcuni suoi pretini trendy, che dopo essere andati a Roma ed aver presa una cartina di tornasole detta dottorato, cominciano a pavoneggiarsi col flûte di Martini con l’oliva, tra un colloquio notturno e l’altro a Gerusalemme, guardandosi bene dall’imparare dal proprio vescovo la virtù dei veri pastori in cura d’anime, che è appunto quella dell’umiltà. Come però sappiamo, a mancar d’umiltà sono da sempre i mediocri che non accettano confronti e che fuori dal circondario del campanile attorno al quale si trova il loro fan club sono degli emeriti sconosciuti nell’ambito canonico, teologico e biblico, con buona pace delle loro cartine di tornasole imbevute di quantità d’acido direttamente proporzionato alla loro effettiva mancanza di scienza e sapienza.

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S.E. Mons. Salvatore Pappalardo, Arcivescovo Metropolita di Siracusa

Un uomo di esperienza pastorale, prudente e anche umile come l’attuale Arcivescovo Metropolita di Siracusa, non cadrebbe mai in un simile tranello, ed infatti non c’è caduto. Ciò che è realmente accaduto è semplicemente questo: quei quattro liberi professionisti e clinici più o meno tromboni che compongono una delle locali logge massoniche, hanno chiesto un confronto durante un convegno promosso dal Grande Oriente d’Italia. Poi, che i picciotti della Libera Muratoria abbiano stampato nella locandina dell’evento un Cristo col compasso, è una mancanza di buon gusto non imputabile certo all’Arcidiocesi, perché sul manifesto non c’è né lo stemma dell’Arcivescovo Metropolita né la dicitura “Col patrocinio dell’Arcidiocesi di Siracusa”. Pertanto, a chi chiede un confronto, la Chiesa offre da sempre confronto. E questo confronto sarà tenuto da un vescovo e da un presbìtero, entrambi teologi. A confrontarsi con gli esoteristi massoni saranno infatti S.E. Mons. Antonio Staglianò, Vescovo della diocesi suffraganea di Noto, che per l’occorrenza non si presenterà con la sua chitarra cantando un riadattamento di Edoardo Bennato: “Meno male, che adesso non c’è il massone” [cf. originale QUI], ed il Reverendo Prof. Maurizio Aliotta, presbitero siracusano e vicario generale emerito dell’arcidiocesi.

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un gruppo di cavalieri dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, uno dei vari ordini cavallereschi cattolici che gode di ampie infiltrazioni da parte di aderenti alle logge massoniche

L’uno e l’altro metteranno sicuramente in luce perché, tra la Chiesa e la Massoneria, può esserci un confronto o uno scambio di opinioni divergenti, ma che l’appartenenza alla Massoneria rimane cosa incompatibile con l’appartenenza alla Chiesa Cattolica. E di questo, sia il vescovo sia il presbìtero, nella loro qualità di teologi ne spiegheranno di certo i motivi. E sarà una cosa molto utile e istruttiva, ribadire  questo. Sarà utile e istruttivo quando alle successive festività religiose, i Cavalieri di Malta ed i Cavalieri del Santo Sepolcro — non pochi dei quali dividono le loro serate tra le riunioni presso le Logge Massoniche e quelle presso le sedi di questi antichi Ordini Equestri Cattolici —, si presenteranno parati con i loro mantelli alle processioni di quei Santi e di quelle Sante sui quali gli esoteristi frammassoni ridono da sempre sopra con ironico spirito alla Voltaire.

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un gruppo di cavalieri dell’Ordine di Malta, uno degli ordini cavallereschi cattolici tra i più infiltrata da aderenti a logge massoniche

Spetterà poi al Vescovo di Noto, in sua qualità di teologo e soprattutto di membro del Collegio Episcopale, spiegare ai frammassoni che cercare di usare e abusare la figura del Sommo Pontefice Francesco I — come in recente passato è stato fatto a Roma dinanzi allo storico Alberto Melloni ed alla civettuola teologa femminista Marinella Perroni [cf. QUI, pag. 6-9] —, non è cosa possibile né fattibile, perché nel suo approccio verso la Massoneria, il Pontefice regnante non la pensa in modo diverso da come la pensavano il Beato Pontefice Pio IX ed il Sommo Pontefice Leone XIII, basti prendere atto di che cosa egli afferma riguardo ad essa [cf. QUI]. Non a caso, il Sommo Pontefice Francesco I, al Cardinale Raymond Leo Burke chiese con chiarezza di ripulire l’Ordine dei Cavalieri di Malta dalle infiltrazioni massoniche e dalla doppia appartenenza di certi sui membri all’Ordine ed alle Logge, ribadendo implicitamente che l’appartenenza alle Logge Massoniche è cosa incompatibile con l’appartenenza alla Chiesa Cattolica.

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il Beato Pontefice Pio IX [Senigallia 1792-Roma 1878]

Il richiamo fatto al Beato Pontefice Pio IX non è casuale, perché i massoni ed i liberali, molto prima di tentare di strumentalizzare il Sommo Pontefice Francesco I, tentarono di strumentalizzare questo suo predecessore al grido di: «Viva il Papa liberale!». Esattamente come oggi pensano di poterci gabbare gridando «Viva il Francesco “il rivoluzionario”».

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Dinanzi a quest’incontro non c’è da rimanere turbati, basta sapere le cose come stanno, senza fermarsi a due righe scritte su una locandina. In fondo, questa ennesima trovata massonica, si svolge nella terra dei gattopardi nella quale i preti, con i loro duemila anni di storia, tra tutti i gattopardi sono i più raffinati, ben più di quei ragazzini col grembiulino che giocano con le squadre ed i compassi, nati appena tre secoli fa e noti come Frammassoni. Ma alla prova dei fatti gli stessi di sempre, quelli che gridarono al Romano Pontefice Pio IX «Viva il Papa liberale», quelli che oggi vorrebbero gridare «Viva Francesco “il rivoluzionario”», parlando con prosopopea di una storia della Chiesa che non conoscono, di una teologia che ignorano, di un Concilio Vaticano II del quale hanno letto solo qualche articolo sui giornali radical chic, ma di cui ignorano la conoscenza dei fondamentali documenti. Questo è ciò che io stesso ho potuto appurare più volte parlando con dei massoni non di provincia, come nel caso in questione, ma con massoni ai più alti vertici della Massoneria internazionale. Una cosa è certa, per noi cattolici la memorabile condanna lanciata dal Sommo Pontefice Leone XIII nella sua Enciclica Humanum genus del 1884, contro il relativismo filosofico e morale della Massoneria, rimane oggi più che mai di grande attualità [vedere testo, QUI]. 

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il testo della Enciclica Humanum genus del Sommo Pontefice Leone XIII è leggibile QUI

Se c’è una pagina di storia che i giovani massoni di provincia non hanno capito riguardo la vecchia Chiesa Cattolica, è questa: quando Napoleone Bonaparte nel 1806 portava via prigioniero verso la Francia il Sommo Pontefice Pio VII, con la sua tipica arroganza disse al Cardinale Ercole Consalvi Segretario di Stato di Sua Santità: «In pochi anni, io avrò distrutto la Chiesa!». Ma il Cardinale, in modo molto sereno gli rispose: «No, Maestà! non ci siamo riusciti noi preti in diciassette secoli a distruggerla, non ci riuscirà neppure lei». E pochi anni dopo, il Bonaparte, era imprigionato a Sant’Elena, dove finì la propria vita, mentre il Sommo Pontefice Pio VII rientrò a Roma il 24 maggio del 1814 accolto dal popolo romano in festa al grido di «Viva Maria viva Pio VII !»

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Sono troppo esoterici, questi quattro giovani ragazzini in carriera aspiranti alla carica di primario ospedaliero, allo studio professionale più in vista della Città, alla corsa in politica … altro che “alti ideali massonici”! Sappiamo bene, quale lobby di affaristi sia da sempre la Massoneria e quali giri clientelari gestisca. Anche per questo ripeto: sono troppo esoterici, questi quattro giovani ragazzini, per imparare dallo storia della Chiesa che è antica di duemila anni, ma con la quale pensano ogni tanto di poter giocare, senza neppure sapere se il suo santo utero racchiuso nel proprio Corpo Mistico ha l’apertura orizzontale o verticale … 

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dall’Isola di Patmos, 29 ottobre 2017

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Le Catacombe di San Giovanni Evangelista a Siracusa

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