Il Sinodo dei Giovani: Enzo Bianchi e il peccato originale nel quadro di una dissoluzione
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Il peccato originale si è trasmesso agli altri uomini per SOLIDARIETA’. Proprio quella solidarietà che invece oggi viene banalmente usata come sinonimo di “datemi i vostri soldi”.
Scrive il Bianchi: “… sappiamo che prima dell’uomo il male regnava nella natura già prima: il lupo mangiava l’agnello.”
Come potrebbe però il Bianchi giudicare male che il lupo mangi l’agnello, se non avesse innata la “conoscenza del bene e del male”? Forse che i padroni dei cani o dei gatti definiscono male i bocconcini di agnello o di pollo che danno ai loro amati animali?
Padre Giovanni,
Lei dice: «Per Bianchi, come abbiamo già visto, la tendenza al peccato non è propria della natura umana decaduta da uno stato primitivo d’innocenza, ma è insita nella stessa natura umana. Ma se il male è naturalmente nell’uomo, allora il male è naturale e non è più male. Dunque, pensare che Cristo ci liberi dal male è un’illusione o una stortura.» E più avanti: «Bianchi riconosce che Dio non può volere il peccato, ossia il male di colpa; ma è carente laddove si tratta delle punizioni o dei castighi divini, nei quali Dio infligge un giusta pena. In nome della misericordia, Bianchi non vuole ammettere la giustizia punitiva, che gli sembra una crudeltà indegna del Dio Amore».
Infatti, perché ammettere la giustizia punitiva (e la giusta “infinita” misericordia: infinita, cioè, per chi non è così ingiusto da rifiutarla) se il male è naturalmente nell’uomo? E perché dovrei pentirmi se per natura faccio il male? No, Dio è assolutamente buono, e mi perdona proprio perché la mia natura inferiore non ha bisogno di essere perdonata. Anche se dobbiamo cercare di essere assolutamente buoni anche noi, come insegna il migliore degli uomini, Gesù. (Questo è un discorso sottilmente demoniaco perché nella sua falsa umiltà prepara una ribellione a Dio stesso).
Che si arrivi a questo genere di conclusioni (anche se camuffate dall’ambiguo stile “qui lo dico e qui lo nego” del nostro campione) lo dimostra per esempio questa prodigiosa mistificazione del significato della parabola del “Figliol prodigo” che traggo da un articolo dell’ottimo rotocalco Famiglia Cristiana: http://www.famigliacristiana.it/articolo/enzo-bianchi-la-misericordia-e-uno-scandalo-che-gli-uomini-religiosi-non-hanno-capito.aspx
«All’inizio, quando ritorna a casa, il figlio prodigo non lo fa perché era pentito ma perché stava male e non aveva da mangiare tanto che dice al padre, con tono perentorio, da comando: “trattami come uno dei tuoi salariati”. Il padre non cerca spiegazioni, gli dona subito la veste più bella, l’anello al dito e ammazza il vitello grasso per fare festa. Il perdono del padre precede il pentimento del figlio prodigo. Ecco lo scandalo».
E’ ben vero che il perdono, cioè la disponibilità al perdono da parte del padre precede il pentimento del figlio, ma perché il perdono si attui bisogna che maturi nel figlio la disponibilità ad essere perdonato, e questo avviene quando il figlio dice a se stesso: “Io mi alzerò e andrò da mio padre, e gli dirò: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te…”, cioè quando il figlio si pente, riconosce la verità, e con essa Dio nella figura del padre. Per Bianchi invece il perdono si attua, o diventa efficace, prima del pentimento del figlio e indipendentemente da esso, cioè quando ancora nell’animo del figlio vi è solo il calcolo di un uomo ridotto alla disperazione, anche se poi, par di capire, il figlio dovrebbe essersi in qualche modo “pentito”, perché sempre in qualche modo bisogna pure non far sparire imprudentemente il pentimento del tutto dal discorso …
Da non dimenticare inoltre le parole del padre al figlio maggiore: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo”;
il padre specifica quindi che, avendo il figlio minore bruciata tutta la sua parte di eredità, tutti i beni rimasti sarebbero stati ereditati dal figlio maggiore.