Meglio muoia un solo uomo che perisca una nazione intera
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MEGLIO MUOIA UN SOLO UOMO CHE PERISCA LA NAZIONE INTERA
Per Gesù la vera morte non è quella fisica che gli uomini possono dare, ma sta nel rifiuto di dare la vita per gli altri, la chiusura sterile su se stessi; al contrario, la vera vita è il culmine di un processo di donazione di sé.
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Fraintendere, ovvero prendere una cosa per un’altra. Questa attività che si è diffusa ai giorni nostri contrassegnati dall’uso consistente dei social, per l’autore del Quarto Vangelo diventa un espediente letterario per mezzo del quale, utilizzando la momentanea incomprensione, il lettore è guidato verso una conoscenza ulteriore, spesso più profonda, della realtà, del mistero che vive in Gesù. Lo abbiamo visto nell’incontro fra Lui e la samaritana e prima ancora con Nicodemo, nel Vangelo di domenica scorsa. Lo ritroviamo ancora qui, nel brano evangelico di questa quinta Domenica di Quaresima. Cosa c’è di più semplice e naturale del desiderio di vedere Gesù? Non sarebbe una richiesta che anche noi porremmo ogni giorno? Eppure l’Evangelista ci dice che Egli sembra, apparentemente, non prenderla in considerazione; distratto o, per meglio dire, concentrato su una prova imminente, su ciò che potrebbe distoglierlo e dunque su una presentazione di sé che la semplice curiosità di vederlo potrebbe non capire. Che cosa o chi dobbiamo guardare quando desideriamo vedere Gesù?
«In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: “Signore, vogliamo vedere Gesù”. Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome”. Venne allora una voce dal cielo: “L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!”. La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: “Un angelo gli ha parlato”. Disse Gesù: “Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”. Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire» (Gv 12, 20-33).
Per comprendere la pericope appena letta occorre far riferimento alla montante ostilità verso Gesù segnalata dalle seguenti parole che precedono il brano appena riportato:
«”Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione”. Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: “Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!”. Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo» (Gv 11, 48-53).
Nelle parole delle oppositori vi è anche la constatazione che: «Il mondo (ho kósmos) gli è andato dietro» (Gv 12,19). In questo contesto, nel quale le decisioni degli avversari sono già prese, alcuni greci vogliono vedere Gesù. È un primo passo, non ancora quel vedere perfetto che fa contemplare con lo sguardo trasformato dallo Spirito il senso delle cose, tutta la profondità della realtà che farà proferire a Gesù: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,9). Questo desiderio però è positivo, di tutt’altro tenore dell’aspirazione omicida degli avversari di Gesù. Ma i greci, presenti per la Pasqua a Gerusalemme, forse simpatizzanti del monoteismo ebraico o addirittura già circoncisi, non possono entrare nella parte più interna del tempio dove probabilmente Gesù si trovava: il recinto riservato agli ebrei. A segnare questo spazio vi era infatti una balaustra di cui ci parla anche lo storico Giuseppe Flavio che riportava delle scritte, ancora oggi conservate a Gerusalemme e Istanbul, le quali recitavano in lingua greca, per essere comprese dai non ebrei:
«Nessun straniero penetri al di là della balaustra e della cinta che circonda lo hierón (la zona del Tempio riservata, n.d.r.); chi venisse preso in flagrante sarà causa a se stesso della morte che ne seguirà».
Questi che vogliono vedere Gesù si rivolgono al discepolo che porta un nome greco, Filippo, che era di una città abitata anche da molti greci e forse lui stesso parlava la loro lingua. La richiesta doveva essere singolare se lo stesso Filippo si fa aiutare ed accompagnare da uno dei primi due discepoli di Gesù, anch’egli con un nome greco: Andrea.
Ricevuta la notizia Gesù coglie il momento come un altro segnale che la sua «ora» è venuta (Venit hora), quella della sua glorificazione nella sua Pasqua (Gv 17,1). A Cana di Galilea, quando si era nella fase iniziale, Gesù ne fa menzione a sua Madre, adesso qui, invece, si dice espressamente che l’ora: «È giunta». E come allora gli sposi delle nozze di Cana spariscono dalla scena, anche qui i greci paiono scortesemente messi da parte, affinché emerga una rivelazione su Gesù. Stavolta non un segno, ma le sue stesse parole la palesano. La sua morte sarà feconda come accade al chicco di grano che per moltiplicarsi e dare frutto deve cadere a terra e quindi marcire, morire, altrimenti resta sterile e solo. Accettando di marcire e morire, il chicco moltiplica la sua vita e dunque attraversa la morte e giunge alla resurrezione.
Ritorna il paradosso delle parabole che Gesù sente il bisogno di chiarire:
«Chi ama la propria vita, la perde, e chi odia la propria vita in questo mondo, la custodisce per la vita eterna».
Per Gesù la vera morte non è quella fisica che gli uomini possono dare, ma sta nel rifiuto di dare la vita per gli altri, la chiusura sterile su se stessi; al contrario, la vera vita è il culmine di un processo di donazione di sé. La vicenda del chicco di grano è la vicenda di Gesù ma anche quella di ogni suo servo, il quale, seguendo Gesù, conoscerà la passione e la morte come il suo Signore, ma anche la resurrezione e la vita per sempre. Non sarà solo Gesù a essere glorificato dal Padre ma anche il discepolo, il servitore che, seguendo il suo Signore, diventa suo amico (Gv 15,15).
Che cosa, dunque, Gesù promette di vedere? La sua passione, morte e resurrezione, la sua glorificazione, la croce come rivelazione dell’amore vissuto fino alla fine (cfr. Gv 13,1). A ogni discepolo, proveniente da Israele o dalle genti, è dato di contemplare nella sua morte ignominiosa la gloria di chi dà la vita per amore. L’Evangelista ci permette anche di gettare uno sguardo sui sentimenti più intimi vissuti da Gesù e sulla sua coscienza filiale. Come i sinottici racconteranno l’angoscia di Gesù al Getsemani (cfr. Mc 14,32-42 e par.), nel momento che precede la sua cattura, Giovanni riporta la sua confessione: «Ora l’anima mia è turbata». Egli è turbato per quel che sta per accadere, come già si era turbato e aveva pianto alla morte dell’amico Lazzaro (cfr. Gv 11,33-35). Ma questa angoscia umanissima non diventa un inciampo posto sul suo cammino: Gesù è si tentato, ma vince radicalmente la tentazione con l’adesione alla volontà del Padre. In modo diverso dai sinottici, ma concorde con loro, per Giovanni Gesù non ha voluto salvarsi da quell’ora, né esserne esentato, ma rimane fedele alla sua missione compiendo la volontà del Padre, in unione profonda con Lui, tanto che la gloria è fra loro condivisa: «Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora». Ritornano alla mente le parole della Lettera agli Ebrei:
«Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui (sua reverentia), venne esaudito» (Eb 5,7).
Ma l’ora di Gesù corrisponde anche al giudizio sul mondo che non conosce l’amore del Cristo e vi si oppone:
«Ora avviene il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo è gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me»
un rimando a quel serpente innalzato da Mosè (cfr. Nm 21,4-9; Gv 3,14) che salvava gli israeliti. L’«ora» messianica di Gesù espelle il principe del mondo che preferisce le tenebre del male e lascerà spazio all’autentico Re che, anche se governa da una croce, attrae tutti per amore e verso il quale bisogna rivolgere uno sguardo di fede. Ecco la vera risposta a quanti volevano, e ancora oggi vogliono, «vedere Gesù».
La pagina odierna del Vangelo è la buona notizia soprattutto per tutti quei discepoli che conoscono la dinamica del cadere a terra, del «marcire» nella sofferenza, nella solitudine e nel nascondimento. In alcune ore della vita sembra che tutta la sequela si riduca solo alla passione e alla desolazione, all’abbandono e al rinnegamento da parte degli altri, ma allora più che mai occorre guardare all’immagine del chicco di grano consegnataci da Gesù; più che mai occorre rinnovare lo sguardo della fede: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37).
Secondo un’antica tradizione il Vescovo Ignazio di Antiochia (35 circa – Roma, 107 circa) conobbe l’apostolo San Giovanni. Non sorprende perciò ritrovare in una sua lettera indirizzata ai cristiani di Roma, dove troverà il martirio, una concordanza di termini e di vedute con il Vangelo che oggi abbiamo letto:
«Sono frumento di Dio e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo… È meglio per me morire per Gesù Cristo che estendere il mio impero fino ai confini della terra… Il principe di questo mondo vuole portarmi via e soffocare la mia aspirazione verso Dio. Ogni mio desiderio terreno é crocifisso e non c’é più in me nessuna aspirazione per le realtà materiali, ma un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: “Vieni al Padre”».
Dall’Eremo, 17 marzo 2024
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