Giovedì Santo 2024. Una omelia di saluto del Cardinale Giuseppe Betori

GIOVEDÌ SANTO 2024. UNA OMELIA DI SALUTO DEL CARDINALE GIUSEPPE BETORI

Affermare che oggi, dalle aquile e dai falchi che furono stiamo passando ai polli o, bene che vada, ai tacchini, non è una affermazione ingenerosa e irriverente ma un dato di fatto: negli ultimi anni abbiamo assistito a nomine episcopali di soggetti imbarazzanti, ma quel che è peggio tutti uguali, o come suol dirsi fatti a stampo, clonati per emulazione. Il tutto alla faccia della pluralità delle voci all’interno della Chiesa!

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Autore
Simone Pifizzi

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A ispirarmi questo articolo ― che tale non è, perché si tratta di riportare il testo di una omelia pronunciata dal Cardinale Giuseppe Betori Arcivescovo Metropolita di Firenze ― è stato il Padre Ariel, che poche settimane fa ha dedicato su queste nostre colonne un omaggio al suo Vescovo, S.E. Mons. Andrea Turazzi; omaggio fatto con un tocco di classe riassunto in questa frase:

«Un buon prete è tale se per lodare il proprio Vescovo attende la fine del suo mandato […] Solamente adesso che non ha più potere di governo pastorale sulla Diocesi e su di me, posso dire pubblicamente quanto abbia venerato, apprezzato e amato il mio Vescovo».

L’Arcivescovo di Firenze, pur avendo presentato al Sommo Pontefice la propria rinuncia al governo pastorale della nostra Diocesi non è ancora emerito, né è stato ancora ufficializzato il suo successore designato. La sua missione tra di noi, di fatto, è da considerarsi però terminata. Per quanto riguarda il suo successore, è pressoché certo che sia stato già scelto e nominato, dobbiamo solo attendere l’annuncio ufficiale.

Con il Cardinale Giuseppe Betori — e ormai pochissimi altri divenuti vescovi cinquantenni sotto il pontificato del Santo Pontefice Giovanni Paolo II — si chiude definitivamente una stagione ecclesiale ed ecclesiastica che ebbe anch’essa le sue non poche problematicità, ma comunque popolata anche di personalità di alto livello pastorale e spessore culturale. Affermare che oggi, dalle aquile e dai falchi che furono stiamo passando ai polli o, bene che vada, ai tacchini, non è una affermazione ingenerosa e irriverente ma un dato di fatto: negli ultimi anni abbiamo assistito a nomine episcopali di soggetti imbarazzanti, ma quel che è peggio tutti uguali, o come suol dirsi fatti a stampo, clonati per emulazione. Il tutto alla faccia della pluralità delle voci all’interno della Chiesa!

Facendo mie le parole rivolte da un confratello al proprio Vescovo oggi posso dire anch’io:

«Un buon prete è tale se per lodare il proprio Vescovo attende la fine del suo mandato […] Solamente adesso che non ha più potere di governo pastorale sulla Diocesi e su di me, posso dire pubblicamente quanto abbia venerato, apprezzato e amato il mio Vescovo».

Il Cardinale Giuseppe Betori si è rivelato una perla ormai incastonata nel diadema della genealogia degli ultimi Vescovi donati a questa nostra Chiesa fiorentina dalla Roma che ormai fu, come dimostra l’omelia che segue …

Firenze, 28 marzo 2024

 

Il Cardinale Giuseppe Betori Arcivescovo Metropolita di Firenze, Santa Messa del Crisma dell’anno 2024

La Messa crismale, che il Vescovo concelebra con i presbiteri delle diverse zone della diocesi e durante la quale benedice il santo crisma e gli altri oli, è considerata una delle principali manifestazioni della pienezza del sacerdozio del vescovo e un segno della stretta unione dei presbiteri con lui». Sono queste le parole del Pontificale Romano nelle Premesse al rito della Benedizione degli Oli. Con queste parole quindici anni fa mi rivolsi a voi nella mia prima presidenza della celebrazione della Messa Crismale nella Chiesa fiorentina. Ad esse faccio riferimento anche oggi, in questa celebrazione che si può presumere sia l’ultima mia presidenza della Messa Crismale in questa cattedrale, per rivolgermi in particolar modo a voi preti fiorentini, con cui ho condiviso il governo pastorale del popolo di Dio che mi è stato affidato in questi anni.

Le mie vogliono essere parole di ringraziamento, di riflessione, di consegna per il futuro. Vorrei però evitare di scivolare sul piano dei sentimenti, pur importanti e non assenti nel mio cuore in questo momento, per ricondurre tutto alla luce della parola di Dio. Gratitudine, consapevolezza, fiduciosa speranza vanno infatti misurate sulla fedeltà con cui siamo stati capaci di corrispondere al dono che Cristo ci ha fatto, di come ci sentiamo in dovere di approfondirne le forme in modo adeguato ai tempi, di come ci consegniamo ad esso nella certezza che la presenza del Signore e del suo Spirito tra noi, pur nelle incertezze del presente, non verrà mai meno.

In questo orizzonte accogliamo la rivelazione che oggi ci viene fatta dalla parola di Dio circa la missione di Cristo, delle dignità e responsabilità che sono consegnate ai suoi discepoli, del servizio della parola e della grazia che è affidato a noi suoi ministri a vantaggio di tutti. L’immagine che riassume questo mistero è quella dell’unzione, con cui il profeta esprime la consacrazione del Messia inviato a portare il lieto annunzio della salvezza, a porsi al servizio dei poveri e degli oppressi, a diffondere la consolazione della misericordia. Questa stessa unzione abbiamo udito Gesù proclamare come segno della missione per cui lo Spirito lo invia come liberatore dell’umanità da ogni sua fragilità per entrare nel tempo della grazia del Signore. Infine, questa unzione, ora definita regale e sacerdotale, è il segno di un popolo redento che vive per la gloria del Padre.

Annuncio, sacerdozio e regalità dalla persona di Cristo passano a quella dei credenti in lui e al servizio di questo passaggio è posto il nostro ministero di preti. Grazie dunque per il vostro ministero a servizio della Parola; viva sempre in voi il desiderio di conoscerla sempre più profondamente e di saperla ridire con parole che siano in grado di incrociare le domande espresse e inespresse dell’umanità contemporanea, guardiamo con fiducia al futuro, certi che nella inesauribile ricchezza della parola di Dio c’è un sicuro orientamento per le nuove sfide che incombono sull’umanità nei giorni a venire. Grazie per il vostro ministero di pontefici tra l’umanità e il suo Creatore, di generosi trasmettitori della grazia che viene dall’alto e di voce dell’umanità e delle sue attese verso il Padre di tutti; in un mondo che si edifica seguendo il mito dell’autosufficienza, sentite come particolare vostro impegno quello di risvegliare nella vostra gente il bisogno dell’invocazione e l’umiltà dell’accoglienza del dono di vita nuova opera dei sacramenti; alimentate sempre in voi la speranza, perché nessun ostacolo vi getti nello sconforto o anche solo nell’inerzia, perché tanto nulla cambia, avendo in noi la certezza che il Risorto ha il potere di fare nuove tutte le cose. Grazie per come nel vostro ministero animate le vostre comunità, vi consacrate ad esse, vi fate carico dei problemi in particolare dei più poveri; Siamo sì ministri della Chiesa, ma il nostro servizio è sempre per la venuta del Regno di Dio tra noi, nei segni di bene che aiutiamo a far sbocciare e nel contributo che come comunità cristiane siamo in grado di offrire per l’affermarsi della giustizia, della pace, del rispetto della dignità di ogni uomo, del bene comune; è in rapido mutamento il posto della Chiesa nella società e di conseguenza quello del prete, per cui siamo sollecitati a lasciare ogni nostalgia di centralità ma anche a ribadire che nessuno e nessun mondo può restare estraneo al dono di noi stessi nel Signore.

Nell’omelia di quindici anni fa vi richiamavo a una comunione che non fosse una massificante uniformità, ma un intrecciarsi di relazioni nella diversità delle esperienze e nella modulazione dell’unica verità. Vi chiedevo di rifuggire dallo stanco ripetersi di una melodia monocorde per cercare un’armonia polifonica in cui ciascuna voce cerca la sintonia con le altre, per una comunicazione che esprima intelligenza della realtà e bellezza dell’esperienza. Non so quanto siamo riusciti a vivere così in questi anni e sto qui anche a chiedervi perdono per quanto non ho fatto o per quanto posso aver fatto in senso contrario.

L’altro richiamo di quindici anni fa era alla radice sacramentale del nostro ministero, per non lasciarci ridurre ad agenti sociali, pur apprezzati e benvoluti, e neppure a funzionari di un sacro a cui ricorrere come rifugio delle angosce umane. Sacramentalità significa che ciò che è decisivo in noi è il dono della grazia, di cui siamo stati e siamo destinatari e di cui abbiamo la responsabilità di essere trasmettitori. Vi ricordavo e vi ripeto perciò che servire la dimensione sacramentale della Chiesa significa anzitutto impegno a mostrare come nel regime sacramentale possiamo cogliere il primato di Dio nella storia e come esso si manifesti a noi ed entri in contatto con la nostra vita grazie alla mediazione di Cristo, che dei sacramenti è il fondamento e il fondatore.

E questo richiamo a Cristo mi fa ripetere anche oggi che la misura del nostro essere prete è strettamente dipendente dal nostro legame a lui. Solo restando uniti a lui sia la nostra identità che il nostro servizio nella Chiesa e nel mondo potranno trovare verità ed efficacia. Non manchi mai nella nostra vita quotidiana questo guardare a Cristo, dialogare con lui, lasciarci da lui guidare e sostenere.

Abbiamo camminato insieme in questi anni. È stato un grande dono per me essere il vostro vescovo e poter contare sul vostro sostegno. Non sappiamo quando, ma in futuro sarà un altro vescovo a guidarvi, a cui vi consegnerò ma a cui chiedo anche a voi di consegnarvi con fiducia. I vescovi passano, il Signore resta ed è lui l’unico vero nostro Pastore, di cui noi siamo solo segni, consapevoli, per quanto mi riguarda di debolezza e insufficienza. Al Signore chiedo misericordia e a voi umana comprensione. Con affetto.

 

Firenze, 28 marzo 2024

Cattedrale Metropolitana di Santa Maria del Fiore

Santa Messa del Crisma

 

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