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Il sito di questa Rivista e le Edizioni prendono nome dall’isola dell’Egeo nella quale il Beato Apostolo Giovanni scrisse il Libro dell’Apocalisse, isola anche nota come «il luogo dell’ultima rivelazione»
«ALTIUS CÆTERIS DEI PATEFECIT ARCANA»
(in modo più alto degli altri, Giovanni ha trasmesso alla Chiesa, gli arcani misteri di Dio)
La lunetta usata come copertina della nostra home-page è un affresco del Correggio del XVI sec. conservato nella Chiesa di San Giovanni Evangelista a Parma
Creatrice e curatrice del sito di questa rivista:
MANUELA LUZZARDI
Caro don Ariel,
debbo mandarle un lungo messaggio che può anche non pubblicare: mi basta ragionare con lei su alcune cose.
Lei ha perfettamente ragione a polemizzare con l’elitismo spurio di, ad esempio, quelli che io chiamo ironicamente “pliniani” (lei mi ha capito). O dei sedevacantisti che sentenziano di eresia senza sapere nulla di teologia (o filosofia o latino).
Ormai siamo ridotti all’incomunicabilità massificata e, ancora peggio, al rifiuto di imparare.
Le citerò un esempio: a me, professore di liceo classico, è toccato correggere alunne del primo anno del triennio le quali credevano che i Vespri Siciliani fossero avvenuti “avanti Cristo” (e non comprendevano dove fosse l’errore), o alunni che ignoravano il significato di parole come artiglieria, intrinseco, fallace. E di essere preso per il naso da alunne ripetenti che facevano i compiti in classe copiando da Wikipedia (e ancora non so come abbiano fatto, dato che avevo sequestrato i telefonini). Si può immaginare in tale contesto che razza di lezioni di filosofia o storia potessi fare. Ed era un liceo classico romano, di un quartiere benestante. Figuriamoci altrove.
Detto questo, e dunque eliminati i plinianesimi e gli snobismi, osservo: non è forse vero che il degrado di massa è cominciato anche perché a degradarsi sono state le elites? Mi spiego: ateismo, edonismo, contraccezione, consumismo sono iniziati nei ceti benestanti, non nel popolo semplice (dove pure non mancavano i depravati e i mascalzoni, ma erano chiaramente etichettati). Ma soprattutto: vediamo che anche il popolino, lungi dall’essere portatore di chissà quale “cultura di classe”, segue i modelli di coloro che reputa vincenti: cantanti, calciatori, star della tv, i quali costituiscono ormai le attuali elites. Non pensa dunque che occorrerebbe ricominciare andando a evangelizzare proprio tali elites, anziché dare per scontato che siano così?
Inoltre: non è forse vero che “bisogna vivere come si pensa, altrimenti si finisce per pensare come si è vissuto”? E in ciò non è d’aiuto la chiarezza di pensiero e la fissazione di principi metafisici dell’essere, al di là delle mode e contingenze di attualità? Non sarebbe meglio evadere dalla camicia di Nesso dell’attualità?
Caro Iginio,
mi scuso per il ritardo con il quale le rispondo ma non sempre, purtroppo, mi è possibile farlo per tempo.
Il suo discorso è molto interessante, ma sarebbe anche molto lungo e complesso. Mi permetto allora di partire con un esempio: «piaccia o non piaccia» – mi spiegava una volta un famoso economista – «per salvare l’economia, ed anche e soprattutto i piccoli risparmiatori che hanno lavorato una vita per mettere assieme poche decine di migliaia di euro, è necessario all’occorrenza salvare le banche».
Credo che questo economista avesse ragione. Ovviamente a prescindere da tutto quello che di sbagliato hanno fatto spesso le banche in operazioni spericolate, agendo più volte senza il minimo senso etico. Cosa questa di cui non solo lui era consapevole, perché, com’ebbe a spiegarmi in più occasioni, ebbe pure a partecipare come specialista ad operazioni di salvataggio di queste stesse banche.
Prendiamo allora come esempio la vecchia Compagnia di Gesù ridotta oggi ad amena Compagnia delle Indie. Prima che i gesuiti prendessero la svolta auto-distruttiva che li ha portati a pericolose commistioni con il marxismo, la guerriglia, il filo-protestantesimo, il sincretismo religioso e l’animismo, il tutto condito con la sociologia – o il culto? – del povero e della povertà, gli stessi gesuiti della cosiddetta “vecchia scuola”, per alcuni secoli hanno formato quelle che nel linguaggio odierno siamo soliti chiamare “classi dirigenti”. Questi erano infatti i gesuiti: didatti, pedagoghi, formatori e anche uomini di scienza. I problemi nascono quando nella seconda metà dell’Ottocento si mettono a fare i teologi.
In questo senso, l’opera della vecchia Compagnia di Gesù, è stata lungimirante e soprattutto molto preziosa.
Nel 2013, quando improvvisamente cambiò vento ed i poveri od i presunti tali divennero il centro del mistero stesso della Chiesa, ricordo che affermai più volte: “Se prima noi non convertiamo ed aiutiamo i ricchi, non avremo nessuna possibilità di aiutare i poveri, perché saremmo privi di tutti i mezzi necessari per farlo. Certo, potremmo compiere un gesto eclatante e svuotare le casse di Santa Madre Chiesa, ma una volta che le casse saranno rimaste vuote, come potremo svolgere le nostre opere di carità”.
E siccome andava di gran moda affermare che la Chiesa doveva spogliarsi … vendere … rinunciare … e via dicendo, io portai l’esempio della vacca dicendo: «Se noi uccidiamo la vacca e organizziamo un bel pranzo per i poveri a base di carni arrostite, quando poi dopo, i poveri, verranno a chiederci il latte, che cosa risponderemo? Dovremo rispondere che la vacca se la sono mangiata e che quindi il latte non c‘è più». Però, il gesto di privarsi della vacca per un bel pranzo con i poveri, avrà sicuramente mandato in brodo di giuggiole quelli de La Repubblica ed affini che frattanto avranno magnificato … «La Chiesa si spoglia delle proprie ricchezze!».
Senza i ricchi non abbiamo possibilità di aiutare i poveri, come senza banche non sarà possibile aiutare e all’occorrenza proteggere i piccoli risparmiatori.
Ogni tanto, anni fa, mi recavo saltuariamente presso una elegante clinica romana a prestare servizio pastorale. Una clinica che pare un hotel a cinque stelle, di proprietà di una congregazione di suore e dalle stesse gestita. Le suore, in generale, ma soprattutto quando avevano certi particolari pazienti, avevano bisogno che a visitarli fosse un prete che possibilmente non ruttasse, non scoreggiasse, non si grattasse i pantaloni sul culo tra una parola e l’altra, non sbagliasse verbi e congiuntivi, non giungesse con il bianco della forfora dei capelli sulla camicia nera con il francobollino bianco slacciato sotto il collo, che fosse in grado di intrattenere un colloquio con persone di una certa levatura cosiddetta sociale e culturale. E io, che pure – come vede – dico e scrivo parolacce, certi generi di pessime figure al sacro ordine sacerdotale non le faccio fare, persino quando dico parolacce.
Più volte ho udito persone affermare che quella clinica, per il suo lusso ed i suoi costi era «uno scandalo» e che il «mitico Papa Francesco avrebbe dovuto finirla con certe strutture e istituzioni». A quel punto ho spiegato a certi “romantici” che solo grazie ai proventi in attivo di quella clinica, le suore di quella congregazione, negli ultimi dieci anni, avevano aperto tre ospedali e finanziata la costruzione di ben dieci grandi poliambulatori in Africa, più due centri per l’assistenza e la cura degli ammalati di AIDS.
Per aiutare i poveri, abbiamo bisogno dei ricchi, ed affinché i ricchi aiutino i poveri, bisogna dedicarsi a loro e convertirli dopo avere curato, spesso, le loro grandi povertà interiori.
Purtroppo però, oggi, questi ovvi principi fondamentali non sono riconosciuti ed accettati da quell’esercito sempre più fitto di preti che ruttano, scoreggiano, si grattano i pantaloni sul culo tra una parola e l’altra, sbagliano verbi e congiuntivi, giungono con il bianco della forfora dei capelli sulla camicia nera con francobollino bianco slacciato sotto il collo, non sono in grado di intrattenere un colloquio con persone di una certa levatura cosiddetta sociale e culturale.
Grazie a questi preti che oggi, come scrivevo in altre pagine, stiamo vedendo diventare vescovi, finiamo col perdere i poveri e col perdere i ricchi, per rimanere vittime del devastante romanticismo di una povertà ideologica che non aiuta e che non salva nessuno. Ma c’è di peggio: la Chiesa è sempre stata attenta a evitare la diffusione delle divisioni generate dall’invidia sociale, oggi invece, l’invidia sociale, pare proprio legittimarla, assieme alle divisioni.
E per tutto questo abbiamo già cominciato a pagare un elevato prezzo.
Grazie per la lunga risposta. Io non ho mescolato i nomi che Lei dice; di don Milani ho fatto solo una citazione, perché mi faceva comodo farla, non ho parlato della sua “teologia”. Della sua pedagogia, io pedagogista e non teologo, potrei parlare più a lungo, ma non è questa la sede e il tema. Di tutti gli altri nomi da me citati in positivo o in negativo, dirò che sono stati soltanto esempi sommarissimi per evocare i fronti contrapposti, senza analisi particolari. Dei Kung e dei Rahner, carichi di glorie accademiche, ricchi di imponenti bibliografie, basterà dire μèγα βìβλος, μèγα κακòν; non sarà buffoncelli il termine più adatto, ma il mio càveat si intende elevato contro il loro sistema di seminare falsi dubbi (sui dogmi della fede) e ancor peggio false certezze (sui dogmi del loro pregiudizio), Quanto alla speranza, come disse fra’ Cristoforo di don Rodrigo: “Non c’è nulla da sperare dall’uomo. Tanto più bisogna fidarsi in Dio” , frase tinta di giansenismo, ma di nuovo io piglio le citazioni dove so e dove mi fa comodo. Quanto al fisico, Fabro non bucava le copertine, ma io non scorderò mai le mie epiche partite a calcetto con lui sul campetto di Santa Croce…
don Ariel specialista in provocazioni; ma crede che le sue cronache caricaturali siano, alle orecchie dei suoi stessi personaggi, più accessibili di una quaestio tomista ? Dove la consapevolezza è zero, i livelli argomentativi 0,1 oppure 1000, si equivalgono.
Don Milani partiva dall’assunto che è la lingua che fa uguali, e quindi formava i suoi ragazzi piccoli montanari a una conoscenza arricchita consapevole e critica della lingua italiana, come prodromo necessario per una conoscenza catechistica della fede cristiana (cattolica). Bene, ma oggi sarebbe sufficiente ? L’imbarbarimento generale rende futile qualsiasi sforzo e qualsiasi strategia pastorale.
E tuttavia ancor più oggi i Fabro, i Gherardini, i Livi, gli Elvio Fontana, i Danilo Castellano, sono assolutamente necessari, affinché il cattolico che li ascolta, anche se fa difficoltà a seguire in tutto i loro discorsi, abbia la serena e orgogliosa consapevolezza di non avere nulla da imparare dai tromboni sedicenti scientifici alla Hack, alla Odifreddi, alla Hawking, alla Halder Hey Hospital, e neanche dai buffoncelli alla Kung, alla Rahner, alla Enzo Bianchi (agriturista), e taciamo del resto e del peggio.
Caro Lettore,
posso dirle che avendo conosciuto quel sant’uomo di Brunero Gherardini che oggi voglio immaginarmi in Paradiso, quindi conoscendo anche Antonio Livi, che spero in Paradiso ci vada il più tardi possibile, perché abbiamo ancora bisogno di lui, che l’uno e l’altro non gioiranno ad essere frammischiati a Lorenzo Milani, i problemi del quale partono di lontano, malgrado i tentativi di beatificazione, ossia da una formazione al sacerdozio che faceva acqua; e più si esponeva, più faceva acqua.
Se Gherardini è stato un eccellente maestro e Livi lo è tutt’oggi, lo sono stati l’uno e lo è tutt’oggi l’altro soprattutto per la impeccabile correttezza del loro linguaggio teologico e anche catechetico, mentre il buon Milani, prima di “unire nel linguaggio” i “piccoli montanari” e trasmettere con il linguaggio la dottrina, avrebbe dovuto conoscerla molto meglio, la dottrina cattolica. Oltre al fatto che, in un vero pedagogo, non può mai prevalere né l’emotività né tanto meno l’ideologia.
Questo per dirle che lei mescola assieme un cattivo maestro – tale io reputo liberamente il Milani -, con due che invece sono stati due autentici maestri, a prescindere dalle opinioni divergenti che si possono avere tra di noi su certe speculazioni o sfumature teologiche, perché poi, nei concreti fatti, se lei mette assieme il compianto Brunero Gherardini, Antonio Livi, Giovanni Cavalcoli e me come fanalino di coda, potrà appurare che tutti e quattro parliamo la lingua della stessa identica dottrina e che siamo fedeli allo stesso deposito della fede. Poi, semmai, ci prendiamo “a legnate” su delle disputazioni teologiche ed ecclesiologiche, ma questo rientra da sempre nella sfera dei dibattiti teologici.
Lungi pertanto dal rivolgere certe parole ai Confratelli defunti e viventi di cui sopra, quando io ho parlato dei “metafisici estetici” e quant’altro, mi riferivo a ben altre situazioni e persone, o per meglio intendersi: mi riferivo ai “praticoni” della “teologia fai-da-te”, non a dei maestri della teologia e della filosofia metafisica come Brunero Gherardini e Antonio Livi.
Antonio Livi in particolare, che è un epistemologo ed un maestro della filosofia del senso comune, sarebbe il primo a concordare sul fatto che in assenza di un linguaggio dottrinale appropriato e soprattutto preciso, ossia rigorosamente scientifico, non è neppure pensabile di poter fare teologia, quindi catechesi. E infatti, oggi, si confonde l’emotività con la dottrina e la poesia con la teologia.
Insomma: il celibato e la castità mi hanno “liberamente privato” dall’avere una prole mia per essere padre del Popolo di Dio, ma le garantisco che se avessi figli, avrei serie difficoltà a mandarli a fare catechismo in certe parrocchie con certi catechisti, ma purtroppo anche con non pochi parroci, visto e considerato che la catechesi si riduce sempre più spesso a pura poetesi ed emozionesi.
Ecco perché – e il mio scritto in tal senso parla – io mi auspico che sia ricostruito anzitutto un corretto linguaggio per poi poter ripartire per davvero dalla vera metafisica e dal vero San Tommaso d’Aquino.
Affermare poi, come lei fa, che «L’imbarbarimento generale rende futile qualsiasi sforzo e qualsiasi strategia pastorale», è una aperta negazione della virtù teologale della speranza, della grazia e dell’assistenza dello Spirito Santo; anche perché, con la stessa logica, si potrebbe giungere a dire che il Verbo di Dio si è incarnato ed è morte inutilmente come agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo, visto che gli uomini hanno seguitato sia a peccare sia a rifiutarlo.
E per concludere: se Rahner e Kueng fossero stati dei semplici “buffoncelli”, anzitutto non avrebbero prodotto i danni che hanno prodotto né mai – come nel caso di Rahner – avrebbero influenzato una gran fetta dell’episcopato mondiale a partire dalla primissima stagione del post-concilio.
Del “nemico” bisogna riconoscere anzitutto il talento, altrimenti non si può essere in grado di combatterlo, si può finire solo sconfitti partendo dalla errata presunzione della sua incapacità o scarsa capacità.
Rahner, come il suo allievo Kueng, sono due menti molto brillanti. A livello intellettivo e di capacità speculative, Kueng era più dotato ancora dello stesso Rahner, oltre a possedere capacità comunicative più elevate del suo primo grande maestro, era anche favorito da una bella presenza fisica che lo rendeva molto gradevole alla vista e molto piacevole all’ascolto. Altrettanto non si può dire invece di quell’autentico uomo di Dio di Cornelio Fabro, che pur essendo una mente straordinaria, non aveva però particolari capacità comunicative né tanto meno era favorito da una bella presenza come il Kueng. Per questo il Fabro, che ci ha lasciato degli autentici capolavori, non è mai stato oggetto di ampi servizi corredati di foto come il Kueng sul Times, posto che il Kueng cinquantenne pareva un attore di Hollywood e che in cammino verso gli ottant’anni era un uomo fascinoso e bello anche da anziano.
Non dimentichiamo che Lucifero era bellissimo, non era affatto un mostro ripugnante, ed è anche molto intelligente, anzi: è intelligenza allo stato puro. Altro che “buffoncello”.
Se certe persone molto nocive e dannose fossero arginabili con un semplice e veloce “buffoncello”, posso garantirle che molti teologi, compresi Brunero Gherardini, Antonio Livi, Giovanni Cavalcoli ed io, seguiti da non pochi altri, li avremmo tolti dalla scena già da decenni. Invece, questi soggetti, a partire dal pontificato di San Giovanni XXIII seguito da quello di un beato quasi santo (Paolo VI), di un quasi beato (Giovanni Paolo I) e di un santo (Giovanni Paolo II), sono passati illesi e indenni nel corso di ben quattro pontificati. Per non parlare del Venerabile Benedetto XVI, che la pericolosità sia del Rahner sia del Kueng, per sua stretta e antica conoscenza diretta la conosceva meglio ancora di tutti e quattro i suoi Predecessori messi assieme.
“… Non dimentichiamo che Lucifero era bellissimo, non era affatto un mostro ripugnante, ed è anche molto intelligente, anzi: è intelligenza allo stato puro. Altro che ‘buffoncello’…”
Ma se era intelligenza allo stato puro come poteva essere bellissimo?
Caro don Ariel,
curiosamente un paio d’ore fa, in auto, pensavo sostanzialmente alle stesse cose. Ero appena stato alla “Messa di sempre” e, nel momento di uscire, stava entrando una compagnia di ragazzini, con chitarre al seguito, e prete che richiedeva un certo esercizio d’osservazione per essere distinto dai ragazzini. Da lì è partita una riflessione sui linguaggi. Non solo: siccome frequento quella messa ormai stabilmente da mesi, e vedo pian piano sempre più persone, vedo certi che arrivano e rimangono, altri che si vedono una volta e poi non si vedono più (d’altronde, dalla mia prima messa VO alla decisione di andare alla messa VO sono passati tre anni).
Io ho concluso questo: certamente, quei ragazzini schitarranti, se fossero arrivati un’ora prima, avrebbero potuto (*) avere grandi difficoltà a capire il VO. Capiscono più facilmente un prete che sembra uno di loro. Ma d’altro canto, quel prete, poi, dove li porta? Se anche la sostanza si abbassa alla loro forma, non li porta da nessuna parte. E infatti voi Padri di Patmos, capite di Greco e di Latino, di Tomistica, e scrivete in italiano corretto, mica in gergo essemmessiano.