Dalle “scappatelle” di Gesù al Natale mutato da sacro mistero in sentimentalismo sociale

DALLE “SCAPPATELLE” DI GESÙ AL NATALE MUTATO DA SACRO MISTERO IN SENTIMENTALISMO SOCIALE

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Lungi dal fare una scappatella tipica degli adolescenti e chiedendo per essa, forse, persino scusa ai genitori, già a dodici anni Gesù manifesta uno stile di vita che richiede la nostra comprensione. Per comprendere è però necessario partire da un fondamentale dato di fede: Egli è il Verbo di Dio fatto uomo, non un ragazzino turbolento.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme [Lc 2, 41-52. Testo intero QUI]

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Presepe donato da papa Francesco a Lampedusa

Giuseppe e Maria raccolgono un profugo sulla barca. Presepe donato dal Sommo Pontefice Francesco a Lampedusa [vedere QUI, QUI]

Lungi dal fare una scappatella tipica degli adolescenti e chiedendo per essa, forse, persino scusa ai genitori [cf. QUI, min. 6,30], già a dodici anni Gesù manifesta uno stile di vita che richiede la nostra comprensione. Per comprendere è però necessario partire da un fondamentale dato di fede: Egli è il Verbo di Dio fatto uomo, non un ragazzino turbolento.

Nel mondo ebraico di cui Gesù è figlio devoto, all’inizio dell’adolescenza comincia l’età degli obblighi di Legge, il primo dei quali è quello di prestare ascolto al Signore, che ha la priorità assoluta su ogni altro ascolto; con buona pace degli uomini che, dopo avere ascoltato solo se stessi, scambiano infine la propria volontà per volontà di Dio, imponendola spesso come tale.

Come mai Gesù non dice nulla a Giuseppe e a Maria dell’obbedienza a Lui richiesta da parte del Padre? Forse perché essi devono sperimentare in questa circostanza un senso di angoscia, come se attraverso di essa Dio avesse voluto saggiare la loro fede. Ogni uomo sarà messo alla prova dal Signore, come recita il Salmista: «Il Signore mi ha provato duramente, ma non mi ha consegnato alla morte» [Sal 118].

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Una volta, sopra il Divino Infante, troneggiava nel presepe la scritta Gloria in excelsis Deo! Ma ecco che l’immancabile Don Vitaliano Della Sala l’ha sostituita così: “Ora sono profugo, perché non mi accogli?”[vedere QUI]

La domanda rivolta da Maria: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo», non va letta come un rimprovero, neppure tenero, ma come una domanda che richiede una luce come risposta. Maria, che circa tredici anni prima aveva ricevuto l’annuncio dell’Arcangelo Gabriele [Cf. Mt 1, 18-25. Lc 1,26-37] sa bene chi è suo Figlio, per questo domanda luce chiedendogli il motivo della sua scelta di rimanere in Gerusalemme. Gesù risponde alla tipica maniera dei Maestri della Legge, ossia con un domanda: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». E qui bisogna notare che nella cultura ebraica dell’epoca, solo coloro che erano rivestiti di autorità e autorevolezza, sapienza e scienza, potevano permettersi di rispondere con delle domande ad una domanda a loro posta, non certo un figlio adolescente a un quesito a lui rivolto da un genitore. E, comprendendo sia l’amore sia l’umana apprensione dei genitori, Gesù li invita a riflettere che il suo vivere e agire sarà sempre una espressione di compimento della «volontà del Padre mio» [Cf. mia meditazione sulla volontà del Padre, QUI]. Tra il Padre e Gesù Cristo non vi sono mediatori umani, c’è la consustanzialità, come recitiamo nella professione di fede, c’è il mistero del figlio generato non creato della stessa sostanza del Padre.

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… e una barca carica di profughi approda anche nel presepe del Seminario di San Miniato [vedere QUI]

Maria presta ascolto anche se sul momento non comprende la risposta del Figlio. Forse la Beata Vergine Maria, l’Immacolata Concezione, colei che dallo Spirito Santo fu toccata attraverso un dono di grazia unico nella storia del genere umano, acquisirà comprensione piena solo sotto la croce, dove la sua anima è trafitta da una lancia, mentre la lancia di metallo del centurione squarcia il petto di suo figlio. Sotto la croce Maria non domanderà più, ascolta e fa la volontà del Padre che Gesù le manifesta, divenendo Madre dell’umanità, ed appresso, nella Pentecoste dello Spirito Santo, Madre della Chiesa che fonda il proprio essere ed esistere sul mistero della risurrezione del vero Dio e vero uomo, che oggi è il bimbo di Betlemme, domani il giovane appena adolescente che discute con i dottori nel tempio [cf. Lc 2, 41-45], poi il Gesù alle rive del fiume Giordano dinanzi Giovanni il Battista [cf. Mc 1,9-11. Mt 3,13-17. Lc 3,21-22]. Poi il Gesù che compie il miracolo del vino a Cana [cf. Gv 2,1-11], che risuscita dalla morte l’amico Lazzaro [cf. Gv 11, 1-44], che scaccia con virile severità i mercanti dal tempio [cf. Mc 11,15-19. Mt 21,12-17. Lc 19, 54-48. Gv 2, 12-25], che perdona la peccatrice pentita che stava per essere lapidata [cf. Gv 8, 1-11], che istituisce nell’ultima cena il sacerdozio e il mistero del suo corpo e del suo sangue [cf. Mt 26,20-30. Mc 14,17-26. Lc 22,14-39. Gv 13, 1-20], che si offre come agnello immolato per lavare il peccato dal mondo [cf. Gv 1,29]. Questo Gesù è il Verbo di Dio fatto uomo, il Cristo glorioso che oggi siede alla destra del Padre e che un giorno tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti [cf. Simbolo di fede]. Un mistero che prende vita a Natale e che si manifesta attraverso la vita pubblica del Signore Gesù che rivela in modo corporeo e fisico il mistero della sua divinità nella risurrezione e ascensione al cielo. Questo è il Cristo Dio che avremmo dovuto annunciare come mistero della fede in questi giorni, se il Natale, fuori, ma purtroppo anche dentro la Chiesa, non fosse stato mutato in altro: in festa della pace, della solidarietà, dell’incontro tra i popoli, della fratellanza, del dialogo tra uomini di diverse religioni e via dicendo …

vignetta presepe

… e chi più ne ha, più ne metta.

… negli scorsi giorni al Natale sono stati dati i titoli più disparati, mentre persino dalle cattedre di certi nostri vescovi, oggi tanto sociali e tanto di “periferia”, in pochi hanno annunciato il sublime mistero della incarnazione del Verbo di Dio fatto uomo. Altro che la festa dei profughi, della legalità, della lotta contro le mafie!

Oggi, festa della Santa Famiglia, dovrei forse parlarvi della famiglia? Semmai della famiglia europea, o di quella della società occidentale in generale? Quale famiglia, dunque? Le famiglie delle convivenze di prova che costituiscono ormai l’ottavo “sacramento”, che è il “sacramento” del rifiuto delle assunzioni di responsabilità? Ma si, dai, proviamoci, così vediamo se và, in fondo, prima è bene provare a giocare al marito e alla moglie; come se il gioco alla irresponsabilità e alla mancata assunzione di responsabilità avesse mai maturato e fatto crescere qualcuno. O dovrei forse parlarvi della famiglia costituita a tal punto sull’amore e sulla fiducia che per prima cosa, gli sposi, firmano subito per la separazione dei beni? Ora, cerchiamo di capire: mica si sa come va a finire, perché un conto è giocare a fingere l’amore eterno, un conto dire sei la donna della mia vita, altra faccenda il correre invece certi rischi patrimoniali. E l’amore eterno verso la donna della propria vita per molti uomini finisce sempre dove comincia la pelle del loro portafoglio.

Poi ci sono le famiglie allungate, quelle allargate, quelle annacquate … ci sono persino le parodie luciferine della famiglia: le famiglie alternative, quelle gay-lesbo, quelle multisessuali-creativo-sessuali e via dicendo …

bara

ciò che resta della famiglia europea?

La famiglia occidentale pare un cadavere dentro la bara che marcia verso il cimitero, con i maschietti sui tacchi a spillo mascherati da fatine appresso al carro funebre assieme alle lesbiche incattivite vestite da maschiacci, tutti quanti radunati in un grande gay-pride a suonare la marcia funebre al funerale della famiglia. Un po’ come il funerale del Natale sulle parole del canto “Tu scendi dalle stelle”, mutato anch’esso in marcia funebre, visto che dalle stelle pare sia disceso di tutto: l’amico dei poveri, l’amico dei profughi, l’uomo della pace, della solidarietà, del dialogo tra le religioni, di un non meglio precisato amore da telenovela sentimentale … tutto è disceso da queste benedette stelle, proprio di tutto, meno che il Verbo di Dio fatto uomo che su questa terra ha fondato per mistero di grazia una sola Chiesa affidata a Pietro [cf. Mt 16,14-18] la cui unica fede noi professiamo attraverso un solo battesimo.

E che la grazia di Dio assista in modo particolare noi preti ed i nostri vescovi, nella fiduciosa speranza che un giorno possa avere pietà di noi, sempre più colpevoli di spegnere la luce per “accendere” le tenebre del nulla; le tenebre di quella banale e demagogica stupidità che da sola si parla, da sola si risponde, di se stessa si compiace, convinta di essere il Divino Verbo, mentre giorno dietro giorno dimentica l’annuncio del Mistero del Verbo di Dio Incarnato.

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Testo tratto in parte dall’omelia del 27 dicembre 2015

Festa della Santa Famiglia

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Cari Lettori.

Con l’articolo pubblicato il 5 gennaio [vedere QUI] abbiamo chiesto il vostro sostegno, nel quale confidiamo e di cui abbiamo purtroppo veramente bisogno.

Grazie!

 

Lo smarrimento del linguaggio teologico nell’arte sacra

– Arte&Fede –

LO SMARRIMENTO DEL LINGUAGGIO TEOLOGICO NELL’ARTE SACRA

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Quando la Chiesa cominciò a perdere nel XIX secolo la propria influenza sulle arti, l’artista fu inevitabilmente costretto a dedicarsi a forme artistiche più ristrette di natura effimera, quasi trascurando tutto ciò che per secoli era stato espressione del patrimonio della fede.

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Autore Licia Oddo *

Autore
Licia Oddo *

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Per troppi anni abbiamo dovuto subire le stravaganze e le pazzie di molte nullità nazionali e straniere; per troppi decenni abbiamo trasformato la vera arte in una moda effimera e vuota di ogni significato, tutto ciò solo per correre dietro a certe mode di oltre oceano, solo per apparire aggiornati, moderni di avanguardia.

Quirino De Ieso [Benevento 1926 – Noto 2006]

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Quirino De Ieso, il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio e della sua passione e morte, 2005

Le vicende artistiche del Novecento hanno inevitabilmente contrito il concetto di arte contribuendo spesso a infonderle un significato dissacrante della rappresentazione, perché scevro da ogni credibilità in quei valori umani e cristiani che un tempo ne decretarono il successo mediante il mecenatismo della Chiesa Cattolica ed il sensus fidei che animava gli artisti.

Quando la Chiesa cominciò a perdere nel XIX secolo la propria influenza sulle arti, l’artista fu inevitabilmente costretto a dedicarsi a forme artistiche più ristrette di natura effimera, quasi trascurando tutto ciò che per secoli era stato espressione del patrimonio della fede. Lo stile artistico del Novecento, pur essendo profondamente rivoluzionario è pur tuttavia detentore di quei cardini che hanno contrassegnato la storia dell’arte nei secoli, ne risentì molto. Del resto l’arte [1] ha sempre mostrato il medesimo processo evolutivo. Il nuovo è presto vecchio [2], l’innovazione diventa tradizione ed il presente diventa passato ma quest’ultimo è pur necessario a quello, che lo segue nel tempo per una prospettiva futura: muta la forma, alla base di ogni vicenda, come di ogni estetica.

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IL BATTESIMO DI GESU - CM. - 50 X 100

Quirino De Ieso, Battesimo di Gesù al fiume Giordano, 1995

A tutti noi è evidente che la nostra società, già da parecchi anni, si sta evolvendo verso la amoralità, non ultimo attraverso la distruzione delle proprie stesse radici cristiane, che sono anche patrimonio d’arte. Cosa è auspicabile dunque per provocare un’inversione di tendenza e frenare la caduta dei valori umani strappando al pericolo della superficialità la rappresentazione artistica che del sacro è la più fedele interprete? Per rispondere a questo quesito nel quale il pittorico diviene espressione di fede e l’arte una manifestazione del trascendente metafisico, è di gran lunga interessante lo studio, frutto della contemplazione dell’opera del pittore contemporaneo postumo Quirino De Ieso, nelle cui tele egli traduce il mistero dell’universale, ed il teologico in pittorico [3]. Secondo l’opinione di De Ieso, è pur evidente che l’arte presenta mille volti, dal sacro al profano, ma è pur vero che è il «concetto stesso di arte» che ha una derivazione squisitamente spirituale, divina, è una delle manifestazioni umane più devota dell’amore dell’uomo nei confronti del suo Creatore. Egli interpreta la Verità nell’aspetto spirituale e sacro, ma indagata all’interno del nostro animo, perché, come afferma il maestro: «il mistero dell’Arte è quello stesso dell’Universo, nell’una e nell’altro sono presenti la verità e l’amore cristiani». Nel momento in cui l’artista raggiunge la consapevolezza di tale Verità, solo allora il suo lavoro può elevarsi a dignità di opera d’arte, dando vita al capolavoro.

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Gesu pescatore di uomini particolare cappella funeraria Noto

Quirino De Ieso, Gesù che dice ai suoi discepoli «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini» [Mc 1, 14-20], particolare di una cappella funeraria di Noto, 1995-1996

De Ieso sostiene che solo una ricerca interiore è in grado di produrre un simile miracolo. Tale ricerca sta proprio nel mondo dell’Arte, la musica, la poesia, la pittura, la scultura. Arte dunque come ricerca interiore. Si pensi in tal senso al modo in cui Dante Alighieri traduce in rima poetica ed immagini, nel XXXIII Canto del Paradiso, i misteri della fede esposti da San Tommaso d’Aquino nella sua Summa Theologiae; immagini che in seguito, Sandro Botticelli, raffigurerà attraverso i suoi celebri disegni illustrativi della Divina Commedia [cf. QUI]. Ma è pur vero che molti valori determinanti per la nostra società sono stati svuotati del loro contenuto reale, contaminati da effimere grandezze, calpestati da una progressiva involuzione etica. E se l’Arte si riduce a tele vuote, bruciacchiate, tagliuzzate, a tele semplicemente imbrattate di colore, a pietre levigate solo dalle acque dei fiumi, a lamiere contorte e arrugginite, allora l’Arte è morta? No di certo. Per fortuna, ad ogni caduta segue sempre una risalita; pertanto, prima o poi, l’Arte autentica, intrisa di sentimento passionale, morale, sociale, cultuale, che morta non è, ritornerà a trionfare e, ancora una volta ci condurrà sulla via della bellezza, della purezza, della gioia e dell’amore.

Nelle opere di questo artista si percepisce quell’indagine spirituale che egli traduce in vere e proprie rappresentazioni mistiche, sia astratte, sia retinate (tecnica quest’ultima di sua mera invenzione) frutto delle sue meditazioni e che sfociano in una vera e propria dissertazione filosofica del significato della parola Arte, proferendo persino un attacco diretto nei confronti dell’arte contemporanea.

In questi anni gli interessi dei singoli e l’avidità dei traguardi economici hanno fatto dimenticare alla civiltà i suoi reali obiettivi per mostrarsi degna di essere definita tale. La fiducia nell’operato senza pregiudizi, la solidarietà del gruppo in funzione del raggiungimento di comuni traguardi, l’etica di una condotta scevra da ogni contaminazione egoistica sono stati sostituiti dal puro superficialismo della semplice apparenza, quale surrogato per rimpiazzare la realtà e condurre al risultato di distruzione di massa, addivenendo così ad una terra inquinata da non potere garantire la sopravvivenza dei suoi abitanti e negare la speranza del domani ai posteri. Commenta il maestro:

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«Per troppi anni abbiamo cercato la novità a tutti i costi, come se ciò fosse il fine principale dell’arte; e non abbiamo capito che la novità, l’originalità non sono conquiste che vengono dall’esterno ma dal nostro interiore, dal nostro cuore e dalla nostra mente; esse sono conquiste che si ottengono solo attraverso un lavoro serio, continuo, sofferto, lungamente meditato. Solo così si può arrivare a conquistare un linguaggio personalissimo ed efficace, sempre frutto, oltre che di talento, anche di lunghi anni di durissimo lavoro, durante i quali l’artista scava nel suo animo e si confronta col mondo esterno e con i problemi della società in cui egli vive».

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IL MISTERO DELLA CROCIFISSIONE DE IESO

Quirino De Ieso, Il mistero della crocifissione, 2001

Per rendere evidenti simili concetti non si può prescindere dai mezzi tecnici che della rappresentazione iconografica sono la più efficace espressione, quali la pittura o la scultura. In effetti secondo l’autorevole parere di questo grande maestro dell’epoca contemporanea, nella nozione di arte si dovrebbero distinguere due sensi o percezioni: uno generico o comune, ed uno puro o spirituale.

Fino a oggi nessun autore ha compiuto una netta distinzione delle due percezioni attribuendovi separatamente i dovuti significati specifici, ma ha mostrato l’arte come il frutto di questa combinazione, senza riflettere a ciò che vi sia dietro veramente. È risaputo infatti che tutti gli autori sono d’accordo nello stabilire che “Arte” significhi genericamente: lavoro dell’uomo risultante da studio, dalla pratica e dall’ingegno nel conseguire un determinato effetto; il complesso delle regole o precetti necessari a quello: astuzia; finezza; capacità di sapersi regolare per arrivare ad uno scopo, e tutto diventa quindi sinonimo di professione, mestiere, ufficio esaurendosi a tale definizione. Da queste prime interpretazioni si evince che mentre per il primo senso (generico) è abbastanza evidente per tutti un significato, non lo è così per il secondo (spirituale), o meglio quest’ultimo sembra non essere tanto comprensibile a tutti, ma solo a pochi, a coloro che appartengono a quella schiera di eletti capaci di leggere e di leggersi dentro. “Arte” intesa in senso puro e spirituale significa:

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«elevazione dell’anima a Dio, contemplazione della grandezza e della potenza di Dio chiaramente visibile nella meravigliosa Natura che ci circonda; ricerca della bellezza Divina nei suoi diversi aspetti trasfusi in tutto il creato; ricerca dell’armonia della perfezione del Signore nella sua opera; ricerca dell’Ordine della “Verità” universali; punto di contatto tra la materia e lo spirito, anello che congiunge gli uomini al Padre e alla Madre Celesti».

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Quirino De Ieso Il mistero della crocifissione, La Vergine Maria con Maddalena e l’Apostolo Giovanni sotto la croce, 2003

L’arte nasce col mistero della creazione dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio [cf. Gen 1,26]. Nell’uomo il Creatore infonde quel naturale spirito creativo che a poco a poco diverrà arte espressiva nelle sue varie forme. Da quel momento l’Arte nelle sue diverse manifestazioni è stata sempre la più intima compagna dell’uomo per se stesso ma anche per il suo rapporto con Dio, e lo sarà certamente fino all’eskaton, quando Dio darà vita a nuovi cieli e nuova terra.

L’uomo non si accontentò di cercare lo spirituale e mettersi in contatto con esso solo attraverso l’espressione figurativa ossia la rappresentazione iconografica del suo pensiero, cercò di arrivare ad esso anche con un mezzo più rapido: verbalmente, cioè con la preghiera intesa come strumento e mezzo di comunione con Dio, ed anch’essa arte, nelle sue varie forme espressive poetiche e musicali. Certo, la preghiera dei primi uomini non era comunque quella concepita da noi, poiché il loro modo di vedere e di pensare di uomini antichissimi era ben diverso dal nostro, ma non per questo dobbiamo pensare che la loro preghiera e il loro concetto di soprannaturale fossero sentiti con calore e sincerità minori di come li sentiamo oggi, perché lo spirito e il desiderio di elevazione e di slancio mistico verso una dimensione metafisica che alberga nell’animo umano è da sempre vivo, ma è certamente cambiato il modo di manifestarlo attraverso i secoli, rischiando talvolta di perdersi strada facendo.

È nota ai più, la lunga strada che l’arte ha percorso con le sue parabole ascendenti e discendenti. Ad ogni periodo di maggiore splendore è seguito sempre un periodo di declino. Ci si chiede: perché ci sono stati questi alti e bassi in campo artistico? Non si deve certo pensare ad una più o meno scarsa intelligenza dell’uomo come spesso la maggior parte dei critici di tutti i tempi ci ha voluto dimostrare con le loro più o meno profonde osservazioni. La vera ragione che secondo De Ieso ha sempre causato alti e bassi è di tutt’altra natura, è introspettiva. È risaputo infatti che in tutti i tempi gli artisti hanno sempre cercato un mezzo o una maniera efficacissima per astrarre la realtà delle cose e della natura, per far comprendere agli spettatori il contenuto delle loro opere, o meglio per mettere in rapido contatto lo spirito del contemplatore con lo stato d’animo contenuto nelle loro opere [4].

Crocifissione, 1954

Quirino De Ieso, il Cristo crocifisso in mezzo ai due ladroni, opera giovanile, 1954

Solo quando gli artisti riuscivano a trovare questo mezzo efficace di astrazione, l’arte si avviava per quella strada che l’avrebbe condotta alle più alte vette, ossia alle più sublimi realizzazioni artistiche. Solo dal dialogo interiore attraverso una netta introspezione dell’artista con se stesso elevando il suo spirito a Dio, poteva accadere questo. Quando questa maniera di astrarre fu sfruttata al massimo, gli artisti successivi per non ripetere la stessa strada dei loro predecessori furono costretti a cambiar via. Per fare ciò, dovevano trovare una nuova maniera di “astrarre” e che nello stesso tempo fosse altrettanto efficace quanto quella già universalmente accettata. Purtroppo, cercando al di fuori del loro essere, gli artisti sono riusciti a catturare quello che la realtà triste di questi ultimi scampoli di progresso tecnologico offre loro, restando mediocri e paralizzati nella rappresentazione, che non è scaturita dallo spirito di cui l’uomo è portavoce, ossia dalla consapevolezza dell’esistenza del divino, ma piuttosto dalla vuota esteriorità che prima di tutto è spesso vile apparenza senza sostanza.

Arte è prima di tutto esperienza di vita e come tale si sviluppa unitamente alle emozioni, al percorso sociale, culturale ma soprattutto spirituale che l’uomo-artista compie nella sua esistenza. Essa è indubbiamente fenomeno sociale ed espressione della vita stessa, cambia col mutare della società e delle esperienze dell’uomo. Ma in questo continuo “divenire” l’arte deve pur mantenere lo spirito essenziale della sua essenza, attraverso quella serie di interrogativi esistenziali che l’individuo si pone, e che non è il linguaggio dei segni che si modifica a seconda delle varie epoche, almeno non è solo quello, ma piuttosto è linguaggio universale, catechetico. Numerose sono infatti le pitture ― in particolare gli affreschi impressi in molte nelle chiese tra il XIII e XVI secolo ― che sono vere e proprie tavole illustrative del catechismo per il Popolo di Dio; basti citare, tra le numerose, quelle del Duomo di San Gimignano [vedere QUI].

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Quirino De Ieso, Il mistero della risurrezione del Cristo, 1996

La “Verità” pura nell’universo, nel suo duplice aspetto, materiale e spirituale, ma anche catechetico, si esprime attraverso l’arte, ancella della comunicazione universale e da secoli posta a servizio del divino, del sacro, attraverso un travagliato cammino per il raggiungimento di una catarsi dell’interiorità dal vizio, dal disordine morale per arrivare al recupero dei valori etici, obiettivi preposti e perduti a causa dell’esteriorità con cui oggi gli artisti si approcciano ad essa senza guardarsi dentro, secondo il monito evangelico: «Il regno di Dio è dentro di voi» [cf. Lc 17,21]. In questa interiorità alberga il seme di grazia della Verità, quindi lo spirito essenza della vera arte, quella capace di percepire il divino e manifestarlo attraverso i messaggi espressivi propri delle arti.

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Quirino De Ieso, La discesa dello Spirito Santo nel cenacolo sopra gli Apostoli e la Vergine Maria a Pentecoste. Affresco centrale, Chiesa del Sacro Cuore in Noto, 1999.

Particolarmente vicino alla teologia paolina, Quirino De Ieso soleva dire che senza la vittoria dell’uomo su se stesso (a causa della mancata analisi introspettiva) vi sarà la sconfitta universale, con l’infelice prospettiva di diventare l’uomo “dinosauro” del duemila, ossia specie destinata all’estinzione. Ma l’uomo, il solo granello pensante dell’universo, quali strade può percorrere per ritrovare se stesso? Solo dalla personale ricerca interiore può scaturire la nuova forza vitale capace di ricollocarlo al primo posto della scala degli esseri viventi. Chi prevale? La bestia o l’angelo, il compiacimento o il rimpianto, la concretezza o la fantasia, la dόxa o il logos, la fede o la scienza, la realtà o l’illusione, la vittoria o la sconfitta? Dove collochiamo il nostro io: in un turbine senza fine, oppure in un sereno romantico scorcio della nostra terra? Chi domina il nostro pensiero: incubi nati da antichi tormenti, o speranze di felici orizzonti? Ed è così che dall’intreccio di una rete intessuta con ardua impresa l’Altissimo scruta l’uomo in trepidante attesa nella risposta alla ricerca e scoperta della Verità.

Sia che ci scopriamo prosecutori di primordiali istinti, sia che ci valutiamo figli di una Creatura celestiale naufragata in un mondo dominato da discutibili passioni in seguito alla cacciata dell’uomo dal Paradiso terrestre [cf. Gen 3, 23-24], scopriremo comunque che la ricerca interiore che vivifica il mondo dell’Arte ci guida in una affascinante avventura nella Natura che ci circonda, e di cui facciamo parte integrante come il vento, i fiumi, le stelle, il sole, mirabili opere di Dio che, nonostante il rifiuto dell’uomo corrotto nella propria primordiale essenza dal peccato originale e abbandonato spesso alla grettezza prevaricante delle sue passioni, non ha mai cessato di venirci incontro e di amarci nel corso dell’intera storia della nostra esperienza umana, sino all’incarnazione del Verbo di Dio fatto uomo [cf. Gv. 1,1].

Il doppio interrogativo che De Ieso pone ed impone attraverso le sue opere ai suoi interlocutori sull’uomo e sulla Natura quale opera del Creato, non è dunque una fredda interrogazione filosofica, ma la domanda viva ed assillante di chi vuole additare i grandi problemi dell’oggi e collaborare nei rimedi per la salvezza dell’umanità e del suo naturale ambiente, mediante l’espressione più raffinata della produzione umana che è l’arte, testimonianza materiale ed immateriale avente valore storico di civiltà quale carta di identità di un popolo, procedente al recupero affannoso di quell’identità smarrita e forse perduta per sempre, dopo che l’uomo uscì dall’antico Giardino di Eden, verso il quale è stato nuovamente ricondotto dal Cristo Redentore, fattosi nuovo Adamo, perché «come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» [cf. I Cor 15,22].

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* storica dell’arte

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Per leggere la recensione tratta dalla rivista Le Sicilie cliccare sotto

Licia Oddo – Jorge A Facio Lince: «QUIRINO DE IESO TRA ARTE E KOINÉ»

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NOTE

[1] C.Vicari, Come l’800 fu la premessa all’arte contemporanea, in l’Arte italiana nella seconda metà del XX sec.: Tradizione e Avanguardia, Piacenza, 1980, p.5
[2] Ossani Silipo, Carattere Generale dell’Arte tra il nuovo e l’antico, in l’Arte italiana nella seconda metà del XX sec.: Tradizione e Avanguardia, Piacenza, 1980, p. 21
[3] Ariel S. Levi di Gualdo, Le Sicilie, pag. 96 [cf. QUI]
[4] Tale interpretazione è quella che nella comprensione dell’opera d’arte di Panofsky,corrisponde ad una terza ed ultima fase che fornisce il significato intrinseco dell’opera stessa: l’analisi iconologica. Coglie al di là dei motivi e al di là delle storie i valori simbolici, valutandone le tendenze politiche, religiose, filosofiche e sociali sia nella personalità dell’artista che nell’epoca in cui egli vive.

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Quirino Di Ieso

una delle ultime immagini del pittore Quirino De Ieso, 2006

 

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Delicata ma magistrale strigliata del Santo Padre alla Conferenza Episcopale Tedesca

DELICATA MA MAGISTRALE STRIGLIATA DEL SANTO PADRE ALLA CONFERENZA EPISCOPALE TEDESCA

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Il Santo Padre riserva molte belle sorprese, basterebbe solo ascoltare o leggere ciò che sovente afferma, in questo clima spesso schizofrenico nel quale non pochi giornalisti e blogger sempre più al di là del comune buon senso cattolico, hanno deciso di puntare come cecchini su ogni sospiro del Successore di Pietro. E questo fa male anzitutto a loro e alle loro anime, quindi alla Chiesa edificata da Cristo sulla roccia di Pietro.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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conferenza episcopale tedesca 2

Il Cardinale Reinhard Marx Arcivescovo Metropolita di München e Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca durante il saluto rivolto al Santo Padre nel corso della visita ad limina apostolorum [foto, l’Osservatore Romano]

Il 28 ottobre scrissi un articolo in cui commentavo lo standard delle nuove nomine episcopali, manifestando in esso inquietudine. Più che provocatorio il titolo era drammatico: «Stanno buggerando il Santo Padre: proteggiamo Pietro! I peggiori gattopardi trasformisti stanno giungendo in pauperistica gloria all’episcopato» [vedere QUI]. Già in precedenza ne avevo scritto un altro il 30 luglio intitolato: «Vescovi, mode e consigli per i nuovi carrieristi: siate poveri, sciatti e periferico esistenziali» [vedere QUI]. Prima ancora il 18 maggio un altro intitolato: «Cristo non ci vuole ruffiani e cortigiani, infatti non ci chiama “servi” ma “amici“» [vedere QUI].

Lamentando che in Italia si stavano eleggendo nelle diocesi, in modo spesso acritico attraverso scelte non sempre felici, vescovi provenienti da “periferie esistenziali” vere o presunte, Sul finire del lungo articolo del 28 ottobre sollevavo un preciso quesito:

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[…] Viene infine da domandarsi se i figli della Chiesa italiana sono, in quanto tali, figli di un dio minore. Per esempio rispetto ai tedeschi. Come mai, in Germania, contrariamente a quanto sta accadendo in Italia, non vengono imposti e moltiplicati certi tipi di vescovi corrispondenti a quei “criteri pastorali” amabilmente “imposti” dal Santo Padre Francesco? E se parliamo di spirito principesco o ancor più di spirito feudale, pur con tutto il loro romanofobo progressismo del caso, ben sappiamo quanto i tedeschi superino in ciò di gran lunga gli italiani; e non entriamo neppure nel discorso della sfacciata ricchezza della Chiesa tedesca, o del gettito fiscale di cui beneficia, a confronto del quale l’Otto per Mille italiano è poco più che un obolo.

Forse i tedeschi sono considerati dalla psicologia argentina dell’uomo Jorge Mario Bergoglio dei figli di un dio maggiore, perché a nessuno è ancora passato per la testa di imporre in una diocesi della Germania un parroco proveniente dalle “periferie esistenziali” che abbia trascorso il suo ministero, per davvero o per finta, a servire i pasti agli immigrati, od a fare pastorale di evangelizzazione tra le prostitute di Amburgo. E infatti, i vescovi tedeschi seguitano tutt’oggi ad avere biglietti da visita che si aprono in quattro facciate per poter contenere al loro interno tutti i titoli accademici specialistici, i dottorati, la lunga sequela di master post-dottorato, le loro pubblicazioni scientifiche e via dicendo […]  [articolo integrale QUI]

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conferenza episcopale tedesca

i membri della Conferenza Episcopale Tedesca con il Santo Padre durante la visita ad limina apostolorum [foto, L’Osservatore Romano]

Proprio in virtù di ciò che scrissi in questo articolo devo segnalare con estremo piacere che il Santo Padre Francesco, con un pugno di ferro rivestito da guanto di velluto, oggi si è rivolto in modo deciso e senza nulla lesinare ai membri della Conferenza Episcopale Tedesca in visita ad limina apostolorum.

Questo per ribadire che il Santo Padre riserva molte belle sorprese, basterebbe ascoltare o leggere ciò che sovente afferma, in questo clima spesso schizofrenico dove non pochi giornalisti e blogger sempre più al di là d’ogni comune buon senso cattolico, hanno deciso di puntare come cecchini su ogni sospiro del Successore di Pietro. E questo fa male anzitutto a loro e alle loro anime, quindi alla Chiesa edificata da Cristo sulla roccia di Pietro [cf. Mt 16, 13-20].

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cliccare sotto per aprire il testo del discorso

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA
IN VISITA “AD LIMINA APOSTOLORUM

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2. ARCHIVIO Ariel S. Levi di Gualdo – certificati della sacra ordinazione sacerdotale

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ARCHIVIO DOCUMENTI

(allegati alla biografia di Ariel S. Levi di Gualdo)

certificati della sacra ordinazione di Ariel S. Levi di Gualdo e mandato all’esercizio del sacro ministero 

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Vicariato di Roma, 4 maggio 2010 – Certificato di ordinazione sacerdotale di Ariel S. Levi di Gualdo, firmato dall’allora Arcivescovo vicegerente S.E. Mons. Luigi Moretti

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2 maggio 2010, documento noto come Celebret con il quale il Vescovo Diocesano conferisce al presbitero le facoltà che egli ritiene opportune e che fu all’epoca redatto in tre lingue avendo già concordato col Vescovo spostamenti e soggiorni in vari Paesi europei per motivi pastorali e di studio

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2 maggio 2010 – conferimento del ministero di esorcista

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IL RIFIUTO DISTRUTTIVO DELLE RADICI CRISTIANE DELL’EUROPA. IL FILOSOFO ROCCO BUTTIGLIONE INQUISITO DA UNA INTEGRALISTA OMOSESSUALISTA AL PARLAMENTO EUROPEO

IL RIFIUTO DISTRUTTIVO DELLE RADICI CRISTIANE DELL’EUROPA. IL FILOSOFO ROCCO BUTTIGLIONE INQUISITO DA UNA INTEGRALISTA OMOSESSUALISTA AL PARLAMENTO EUROPEO

 

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Oggi più che mai, in un mondo e in una Chiesa senza memoria, troppo presa a esaltare i “preti di strada” à la page, veri o presunti, si dimenticano, o peggio non si conoscono alcuni tra i più importanti documenti del magistero contemporaneo. Per andare alla radice del problema degli attentati terroristici a Parigi basterebbe prendere visione di un testo del Santo Pontefice Giovanni Paolo II, che se letto oggi apparirà come una tragica profezia, come una vera e propria cronaca di una morte annunciata. Si tratta dell’Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa del 2003, di cui consiglio vivamente la lettura, perchè si tratta di un testo scritto dodici anni fa nel quale è purtroppo racchiuso il nostro presente [cf. documento integrale, QUI].

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Asini in cattedra e accuse di eresia: uno spaccato di certi nostri censori

— Lettere dei lettori dell’Isola di Patmos

ASINI IN CATTEDRA E ACCUSE DI ERESIA: UNO SPACCATO DI CERTI NOSTRI CENSORI

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Più Vescovi di varie diocesi italiane, in camera caritatis mi hanno confidato di avere serie difficoltà a dare incarico agli insegnanti di religione, motivando le loro difficoltà con frasi di questo genere: «Abbiamo un tale campionario da non sapere dove pescare, in un mare nel quale i pesci risultano spesso uno peggio dell’altro».

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

 

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Padre Ariel.

Non entro nel merito di quanto lei e Padre Giovanni Cavalcoli avete scritto di errato in questi ultimi tempi sul matrimonio in occasione della chiusura del sinodo sulla famiglia. Prendo solo il suo ultimo articolo tra le cui righe [Ndr. QUI] lei nega che il Sacramento del Matrimonio amministrato dal sacerdote agli sposi imprime in essi (gli sposi) un nuovo carattere sacerdotale indelebile ed eterno, e per questo indissolubile, e questa, se mi consente, è eresia bella e buona. Mi stupisco di come lei venga lasciato libero di seminare simili pensieri, glielo dico con spirito di correzione fraterna, come laico e come modesto insegnante di religione nelle scuole in ruolo da 7 anni, e come catechista parrocchiale da 15 anni. Lei  è un sacerdote, e per questo può avere particolare credito, inducendo più di altri nell’errore i semplici.

Lettera Firmata

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Caro Lettore.

Da anni prego affinché lo Stato ci venga in soccorso abolendo l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole della Repubblica Italiana. Sia chiaro: non lo dico a lei in questa mia risposta e in questo particolare contesto, perché è un’idea che vado ripetendo da tempo e che ho espresso senza timore anche a più Vescovi, inclusi un paio di autorevoli membri della Conferenza Episcopale Italiana.

Non si tratta di generalizzare né di fare di tutta l’erba un fascio, perché ho toccato purtroppo con mano il livello desolante che serpeggia tra gli insegnanti di questa materia; e ciò non in particolari località o regioni del nostro Paese, ma in tutto il nostro territorio nazionale; fatti salvi docenti adeguatamente preparati che sono però pochi e purtroppo sempre di meno.

Più Vescovi di varie diocesi italiane, in camera caritatis mi hanno confidato di avere serie difficoltà a dare incarico agli insegnanti di religione, motivando le loro difficoltà con frasi di questo genere: «Abbiamo un tale campionario da non sapere dove pescare, in un mare nel quale i pesci risultano spesso uno peggio dell’altro».

Dopo questa premessa rispondo alla sua affermazione, che parte con una accusa di “eresia” e si conclude con una “correzione fraterna”.

Non so dove abbia studiato teologia e soprattutto come l’abbia studiata, perché lei dimostra di ignorare in modo drammatico i basilari fondamenti della disciplina dei Sacramenti, senza sfiorare neppure i settori complessi e articolati della dogmatica sacramentaria.

Il matrimonio dei cristiani è un’unione soprannaturale per la quale viene costituito un solo sacerdozio domestico attraverso due battezzati, un uomo e una donna, che attraverso il battesimo — il quale imprime un carattere — hanno ricevuto il sacerdozio regale di Cristo, detto anche sacerdozio comune dei battezzati.

L’unione matrimoniale non costituisce un “sacerdozio nuovo”, perché il Sacramento del matrimonio non imprime un carattere, meno che mai indelebile ed eterno, essendo l’unione di due sacerdozî in uno che dura solo quanto dura l’unione, vale a dire per quanto dura la vita dei coniugi, quindi non implica una inseparabilità perpetua.

Lei confonde la disciplina del Sacramento del matrimonio con quella del Sacro Ordine che imprime invece un carattere indelebile ed eterno, perché coloro che sono stati resi partecipi del Sacerdozio Ministeriale di Cristo, tali rimangono per sempre, avendo acquisito per mistero di grazia una dignità che rende i Sacerdoti superiori agli stessi Angeli di Dio, i quali Angeli si fanno da parte dinanzi ai Sacerdoti.

Gravissima è poi la sua affermazione riguardante il Sacramento del matrimonio amministrato dal Sacerdote agli sposi, perché questo Sacramento non è amministrato dal Sacerdote. Nella Chiesa Cattolica i ministri del Sacramento sono gli sposi, quindi sono loro che se lo amministrano. Se invece lei appartiene alla Chiesa Cristiana Ortodossa, in tal caso il ministro del matrimonio è il Vescovo, che conferisce potestà ai suoi Sacerdoti di amministrare questo Sacramento.

Che nella Chiesa Cattolica i celebranti del matrimonio siano gli sposi è considerata dalla Chiesa Cristiana Ortodossa cosa «derivante dal giuridismo teologico medioevale che giunse a considerare il matrimonio con le categorie giuridiche del contratto». Infatti, secondo i sacramentalisti ortodossi: «Da questo nacque la logica conclusione di considerare come figure centrali i “contraenti”, mentre l’Autorità che presiede — Vescovo, Presbitero o Diacono — si limita solo a ratificare la benedizione della Chiesa». Questo il motivo per il quale nella Chiesa Ortodossa, i Diaconi, non possono officiare le nozze, non avendo potestas sacerdotale. Al di là delle legittime opinioni dei fratelli ortodossi dobbiamo riconoscere che, al fine di evitare “confusione”, nelle Chiese Cattoliche di rito orientale è proibito ai nostri Diaconi di celebrare riti matrimoniali, cosa invece concessa a quelli di rito latino, in quanto semplici “assistenti” degli sposi-celebranti.

Se pensa che i miei pensieri conformi alla dottrina e alla disciplina dei Sacramenti siano ereticali, in tal caso si rivolga senza indugio alla Congregazione per la Dottrina della Fede e al Vescovo avente giurisdizione canonica su di me, mentre io, per quanto invece riguarda ciò che di grave lei ha affermato in sua veste di insegnante di religione in ruolo da 7 anni, non mi rivolgerò affatto al suo Ordinario Diocesano, sapendo quanto sia tempo perso rivolgersi ai Vescovi per questioni dinanzi alle quali, malgrado la loro oggettiva gravità, la risposta pronta e da essi spesso data è la seguente: «E che cosa ci posso fare?».

Il Signore la benedica.

Sui “divorziati risposati”. Nuova nota dei Padri dell’Isola di Patmos

SUI DIVORZIATI RISPOSATI. NUOVA NOTA DEI PADRI DELL’ISOLA DI PATMOS

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Il timore di alcuni, che se il Santo Padre dovesse concedere la Comunione ai divorziati risposati compirebbe un attentato all’indissolubilità del matrimonio, non ha alcun fondamento dogmatico; ed in questo modo viene confusa la legge civile con la legge ecclesiastica.

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Giovanni Cavalcoli, OP

Ariel S. Levi di Gualdo

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Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli [Mosè] scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto» [Mc. 10, 5-9]

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giovanni scrivania

Giovanni Cavalcoli, OP

Un punto che bisogna mettere in luce e sul quale forse non abbiamo insistito abbastanza nelle risposte e nei contradditori, è che l’espressione “divorziati risposati”, ormai entrata nell’uso, è un’espressione sbagliata dal punto di vista della morale cattolica, presa com’è dal linguaggio della legge civile, che ammette il divorzio, mentre sappiamo bene come il Vangelo lo proibisce.

Senza voler respingere questa espressione, cosa ormai impossibile, per illuminare tuttavia veramente alla luce della morale cattolica la questione, noi cattolici dovremmo dire, secondo il linguaggio tradizionale della Chiesa, che si tratta di adùlteri concubini. Se quindi essi hanno sciolto il precedente matrimonio dal punto di vista civile, e se questo matrimonio fu un Sacramento, è chiaro che tale matrimonio, se è valido, resta valido.

Il timore di alcuni, che se il Santo Padre dovesse concedere la Comunione ai divorziati risposati compirebbe quindi un attentato all’indissolubilità del matrimonio, non ha alcun fondamento dogmatico; ed in questo modo viene confusa la legge civile con la legge ecclesiastica.

L’eventuale concessione della Comunione, non supporrebbe affatto da parte della Chiesa che il precedente matrimonio religioso sia da considerarsi sciolto, anche se c’è stato il divorzio civile, mentre resta sempre validissimo per l’eternità, se è stato un autentico sacramento.

Ariel conferenza

Ariel S. Levi di Gualdo

È dunque questo il vero quadro nel quale, secondo la morale cattolica, va collocata in modo conveniente e fruttuoso questa grave questione dei divorziati risposati. Chi pertanto sostiene l’opportunità che sia loro concessa la Comunione, deve dimostrare che tale concessione non solo non comporta né suppone nessun vulnus, sacrilegio o pregiudizio nei confronti della validità del precedente matrimonio, ma che può armonizzarsi, nonostante tutto, con un conveniente rispetto di questo legame precedente, sì da trarre proprio da questo passato impegno, ormai non più praticabile, per quanto ciò possa apparire paradossale, forza per vivere in grazia la nuova convivenza.

Ciò che infatti può connettere e creare continuità tra l’unione di prima e quella attuale, per quanto oggettivamente in contrasto fra loro, è la coscienza, come si suppone, di essere vissuti in grazia nella precedente unione e di vivere in grazia in quella nuova, nonostante il passato peccato di adulterio, che però adesso si suppone perdonato da Dio.

La Chiesa potrebbe imporre ai conviventi l’obbligo di mantenere, se è possibile, buoni rapporti col coniuge precedente, di sostenerlo economicamente, se ha bisogno e, se è possibile, di prendersi cura di eventuali figli avuti nel precedente matrimonio.

Nel nuovo legame i risposati dovranno mantenere un ricordo oggettivo, sereno e amichevole del coniuge precedente, pronti a perdonare i torti ricevuti, anche se il coniuge conserva sentimenti ostili e non perdona.

Dunque nessuna damnatio memoriae; al contrario, anche se ciò può costare al loro orgoglio o al loro comprensibile risentimento, i due dovranno sempre ricordare a Dio il precedente coniuge e ringraziare Dio per tutto il bene e i doni da Dio ricevuti nel precedente matrimonio. Dovranno anche ricordare con gratitudine a Dio tutto il bene che si sono voluti, magari per lunghi anni, tutti gli eventi felici e tutte le esperienze positive.

Infatti, anche se gli uomini hanno tentato di dividere con vane e posticce “leggi civili” ciò che Dio aveva unito, il sacro vincolo liberamente contratto dalla coppia davanti a Dio al momento della celebrazione del sacramento, è assolutamente indissolubile, perchè nessuno può separare ciò che Dio ha voluto unire per l’eternità, tanto che i coniugi che si sono separati, per esser degni del premio celeste, devono sperare di riconciliarsi e ricongiungersi in cielo per sempre, rinnovando i sacri impegni calpestati in questo mondo.

Stoltissima, scandalosa, vergognosa, sapiens haeresim e indegna del nome cristiano è stata pertanto la proposta, in occasione del Sinodo, del teologo Giovanni Cereti, il quale ha osato fondare l’ammissione della coppia ai sacramenti su una da lui supposta facoltà della coppia di «annullare il segno sacramentale del matrimonio», una volta da lei constatata l’impossibilità di mantenere l’unione. Al contrario, è proprio in nome del rispetto della dignità dei sacramenti come mezzi ordinari di salvezza, che la Chiesa maternamente e provvidamente opera sempre tutto il possibile per assicurare la possibilità di salvezza anche nelle situazioni umane più degradate e disordinate, consapevole del fatto che Dio estende la sua misericordia ben al di là della limitata benchè preziosa prassi sacramentale della Chiesa.

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Dall’Isola di Patmos, 2 novembre 2015

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Stanno buggerando il Santo Padre: proteggiamo Pietro! I peggiori gattopardi trasformisti stanno giungendo in pauperistica gloria all’episcopato

STANNO BUGGERANDO IL SANTO PADRE: PROTEGGIAMO PIETRO! I PEGGIORI GATTOPARDI  TRASFORMISTI STANNO GIUNGENDO IN PAUPERISTICA GLORIA ALL’EPISCOPATO

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Il Santo Padre Francesco ha dato da subito delle precise e chiare direttive per la selezione dei nuovi vescovi ch’egli vuole corrispondenti a certi “schemi”, con tutto il rischio che questo può comportare, visto e considerato che un vescovo non deve essere conforme alla “moda” di uno schema, ma alla grazia di Dio ed alle azioni che da essa promanano. Ma c’è di più: il Prìncipe degli Apostoli non è mai stato incaricato da Cristo di creare dei duplicati a sua immagine e somiglianza, bensì ad esaltare in Cristo il mistero della nostra immagine e somiglianza con Dio. E per capire queste ovvietà, non occorre affatto essere un papa teologo, basta solo del semplice e basilare buon senso pastorale. Il problema, quindi, dovrebbe essere quello di dare buoni vescovi alla Chiesa; che siano buoni come li vuole Cristo, non come “li voglio io”. Che corrispondano a precisi schemi di grazia divina, non certo a quelle mode tanto ben raffigurate da Severino Boezio: «Le forme esteriori sono come i fiori di campo, che appassiscono e mutano col cambio di stagione».

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Può un presbìtero lanciare un severo monito ai vescovi che sono rivestiti della pienezza di quel sacerdozio apostolico che egli non ha? Si, per imperativo di coscienza può e deve farlo, se i vescovi si palesano codardi. Il Beato Apostolo Paolo protesse ad Antiochia il Beato Apostolo Pietro da quelle sue limitatezze e fragilità che stavano generardo seri rischi per l’intera Chiesa di Cristo [Gal 2, 11-14]. Ogni vescovo che pur percependo il pericolo non protegge Pietro, anche a danno e scapito di sé stesso, preferendo rifugiarsi nelle pavide omissioni e nel conformismo del quieto vivere, reca immane danno alla Chiesa e compromette la salute eterna della propria anima. Perché se tanto ci è stato dato da Dio, tanto dovremo in proporzione rispondere a Dio per ciò che Egli ci ha dato. E oggi noi ci ritrovamo ad essere nelle mani di vescovi ripiegati sempre più nella calcolata codardia.

Ariel S. Levi di Gualdo

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Un lettore mi ha chiesto se ero affetto da spirito borderline, ed a tal proposito ha affermato: «Tu passi dalla critica al Sommo Pontefice alla sua difesa a oltranza e viceversa». Gli ho spiegato che proprio questo elemento costituisce in sé negazione dello spirito borderline. Anche per questo i Padri dell’Isola di Patmos hanno spesso chiarito che quando il Romano Pontefice si esprime come dottore privato, quando parla in modo estemporaneo, o quando compie scelte puramente “amministrative”, può essere oggetto del nostro sindacato, purché la nostra legittima critica sia mossa – come più volte ha spiegato Giovanni Cavalcoli in diversi suoi articoli teologici [cf. QUI, QUI] – da profondo rispetto e venerazione verso la sua sacra persona. Quando invece egli agisce e si esprime come supremo custode del depositum fidei, o quando di propria autorità – motu proprio Summorum Pontificum – stabilisce nuove discipline o indirizzi pastorali, in tal caso non può essere soggetto a sindacato alcuno; e verso certi suoi provvedimenti non è contemplato e previsto nessun genere di appello [cf. CIC, can. 333 §3], ivi incluse le azione “referendarie” con tanto di raccolta di firme, come hanno fatto di recente certi cattolici di cui non ricordo il nome.

Il discorso della infallibilità del Romano Pontefice è chiarito in modo magistrale e magisteriale in un documento di San Giovanni Paolo II nel quale si specificano i tre diversi gradi della infallibilità [cf. Lettera apostolica Ad tuendam fidem, QUI].

Alzheimer cafe

il Padre Ariel frequenta l’Alzheimer Cafe e poi non ricorda le cose …

Che sulle colonne di questa nostra rivista telematica si sia sempre difesa la sacra persona, il magistero ed i provvedimenti del Sommo Pontefice, ciò non vuol dire che il tutto ci abbia indotti a smarrire la percezione degli oggettivi difetti umani dell’uomo Jorge Mario Bergoglio. Non siamo infatti come quei papisti più papisti dello stesso Papa, né come quei soggetti che come veri e propri cecchini appostati sui tetti sono pronti ad aprire il fuoco su ogni gesto e sospiro del legittimo Successore di Pietro e Capo supremo del Collegio Apostolico, sino a fraintendere volutamente ciò che di per sé non avrebbe motivo alcuno di essere frainteso; perché le forme di sprezzo che certi pseudo-cattolici facenti capo a circoli cosiddetti “tradizionalisti” manifestano pubblicamente verso il Santo Padre Francesco, non sono ad alcun titolo e sotto alcuna forma accettabili. Purtroppo, a causa di amnesia dovuta al morbo di Alzheimer che mi sta devastando, non ricordo il nome di questi circoli e dei loro patroni, ma nulla aggiunge e nulla toglie al senso di quanto vado sostenendo.

cardinale Bergoglio

l’Arcivescovo di Buenos Aires, prima della sua elezione al sacro soglio

Già in passato ho lamentato che a mio parere l’uomo Jorge Mario Bergoglio è sicuramente gravato da tutti i pregiudizi anti-romani tipici di certe psicologie ecclesiastiche che si sono formate nell’America Latina degli anni Settanta; e il mio parere rimane in tutto e per tutto sempre opinabile. Il problema è però di non lieve conto al momento in cui quest’uomo non è più l’Arcivescovo di Buenos Aires, ma il Romano Pontefice; chiamato “romano” non per una delimitazione locale, né per chissà quali “glorie” e “fasti imperiali” del passato, ma perché Roma è da sempre simbolo e paradigma della universalità cattolica, come sotto diversi ma simili aspetti lo è Gerusalemme. Il tutto con buona pace di certe psicologie argentine, convinte che il Paradiso terrestre era in Argentina e che lì, in verità, furono creati Adamo ed Eva. Molti sono infatti gli argentini convinti che il Verbo Incarnato nacque nell’antica Giudea solo per disguidi tecnici, tutti dovuti al fatto che il Creatore non colse l’espressione di gradimento del Figlio generato non creato della stessa sostanza del Padre, che avrebbe voluto venire alla luce a Buenos Aires, non a Betlemme.

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alfonso maria de liguori

immagine pittorica del Santo dottore della Chiesa Alfonso Maria de’ Liguori

Da diversi anni a questa parte sentiamo ripetere la frase: «Bisogna ripartire da …». E ciascuno indica un fondamentale punto dal quale ripartire: la cultura, la dottrina, la pastorale, il concilio … e via dicendo. Personalmente è dal 2008 che ― forse sbagliando? ― insisto scrivendo e affermando che è necessario ripartire dai Vescovi per poi ripartire dai preti. Per avere dei buoni preti è infatti indispensabile avere dei buoni vescovi; in caso contrario non si può ripartire da niente.

Nel XVII secolo Alfonso Maria de’ Liguori, Vescovo di Sant’Agata de’ Goti, futuro santo e dottore della Chiesa, espresse parole molto severe facendo delle dure analisi sulla disastrata situazione dell’episcopato del Regno borbonico, dove sovente le diocesi erano affidate a vescovi mediocri e arroganti che si comportavano come alti notabili, anziché come pastori in cura d’anime. Lamentele che diverse nella forma ma simili nella sostanza riaffiorano nel XIX secolo dalle labbra e dalla penna del Beato Antonio Rosmini, che indicò il modo in cui l’origine di alcune delle principali piaghe della Chiesa derivasse dall’episcopato e da una mancanza di adeguata formazione data dai vescovi ai loro futuri sacerdoti, od ai loro sacerdoti.

bruno bozzetto

per aprire il divertente video di Bruno Bozzetto, cliccare QUI

Per capire certe scelte e modi di agire del Santo Padre bisogna calarsi nella mentalità latinoamericana, facendo però una debita premessa: dicendo America Latina si corre il rischio di dire tutto e niente. Affermare poi: “i latinoamericani” e abbozzare delle analisi, è fuorviante. Sarebbe come dire: “gli europei”, o “gli africani”, confondendo in tal modo le caratteristiche psicologiche frammentate e complesse di certi contesti sociali. Esempio: l’Italia si trova in Europa come vi si trovano la Germania e l’Olanda, quindi sono europei gli italiani, i tedeschi e gli olandesi. Detto questo prendiamo due “europei”: il napoletano-tipo e un abitante della Città di Hannover, nel Nord della Germania. Mettiamoli tutti e due fermi al semaforo rosso di una strada, mentre dall’altra parte sembra non giunga nessuno; e vediamo quale diversa europeità dimostreranno il cittadino europeo di Napoli e il cittadino europeo di Hannover. Il primo, pur di passare col rosso e farla franca ― essendo in parte furbo e in parte anarcoide ―, sarebbe disposto anche a fare il ferro da stiro sopra sua madre; il secondo, col rosso, non passerebbe mai neppure se dall’altra parte della strada vi fosse sua madre presa a colpi di spranga da un gruppo di immigrati turchi; aspetterebbe il verde per poi precipitarsi su di loro.

bruno bozzetto italia vs europa

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A tutto questo vanno uniti quei meccanismi istintivi tipici radicati nella struttura antropologica di questi diversi soggetti: se nella Capitale della Baviera un pedone si avvicina alle strisce pedonali, le macchine si fermano all’istante, ed a nessun automobilista passerà mai per la mente di suonare il clacson dietro a colui che ha osato fermarsi per far attraversare le persone. A Roma, gli automobilisti, accelerano per non far passare i pedoni sulle strisce pedonali; e se un automobilista osa fermarsi, da dietro gli altri lo strombazzano col clacson.

Al di là di questi diversi comportamenti sociali vi sono però anche altri risvolti: se a Roma un pedone attraversa fuori dalle strisce pedonali, o se passa sulle strisce col semaforo rosso, istintivamente l’automobilista frena e lo evita, poi semmai tira fuori la testa dal finestrino e usando il rituale romano dei sacramentali gli benedice il padre, la madre, i fratelli, le sorelle e tutti quanti i suoi morti. Se a Monaco di Baviera un pedone fa una cosa del genere, istintivamente l’automobilista non frena e gli va’ diritto addosso; e dopo averlo steso sotto le ruote intenta causa per chiedere i danni, perché la persona investita è finita sotto le sue ruote perché aveva torto e colpendo col proprio corpo la carrozzeria della sua automobile gli ha recato un danno per il quale, il conducente, esige adesso il dovuto risarcimento.

papa squadra san lorenzo

vignetta sul Santo Padre Francesco, notorio tifoso della squadra di calcio argentina del San Lorenzo. Per vedere le foto delle vignette riportata dall’Avvenire, cliccare QUI

Questi esempi per cercare di chiarire che parole come Africa, America Latina, Europa, indicano di fatto solo delle estensioni geografiche, o degli interi continenti all’interno dei quali vi sono Paesi molto diversi gli uni dagli altri, abitati da popolazioni con caratteristiche opposte a quelle dei loro vicini e dei loro lontani. Questo per giungere a dire che il pessimo carattere degli argentini, la loro testardaggine congenita, il loro essere degli indomiti e stravaganti argentinocentrici, costituiscono da sempre degli elementi sociali-caratteriali che li rendono per questo oggetto delle ironie delle altre popolazioni dell’America Latina. E certe caratteristiche tipiche della psicologia del suo popolo, l’uomo Jorge Mario Bergoglio le sintetizza tutte; a partire dal fatto che non si può gestire una delicata dimensione di universalità rimanendo ancorati a schemi di provincialismo argentinocentrico; né ci si possono immaginare villas de las miserias o favelas laddove queste non ci sono, comportandosi però di conseguenza come se esistessero realmente, perché tutt’altre sono le miserie e le povertà dell’Italia o dei Paesi europei in generale.

passaporto papa

Il rinnovo del passaporto argentino da parte del Romano Pontefice, che peraltro e non ultimo è anche Capo di uno Stato sovrano, la Città del Vaticano.

Anche se qualcuno potrebbe obiettare che era altro mondo, storia e tempi, resta il fatto che quando il Venerabile Pontefice Pio XII, che pure incarnava la romanità; o quando l’italianissimo Beato Pontefice Paolo VI si rivolgevano in saluti o discorsi ufficiali ai cattolici italiani, usavano espressioni di questo genere: «Il Signore benedica il vostro amato Paese … in questa occasione rivolgiamo un particolare pensiero agli abitanti di questo vostro Paese». Fu solamente San Giovanni Paolo II, nato e cresciuto nella Polonia, che proprio perché “non italiano” si rivolgeva al nostro Paese dicendo «l’Italia», o usando un paio di volte, agli inizi del suo pontificato ― proprio perché “straniero” ―, l’espressione «la nostra Italia». Né al Servo di Dio Pio XII né a San Giovanni XXIII, né al Beato Paolo VI né a Giovanni Paolo I passò mai per la mente di rinnovare, da Sommi Pontefici, il passaporto italiano, né a San Giovanni Paolo II quello polacco, né a Benedetto XVI quello della Repubblica Federale Tedesca. Il rinnovo del passaporto della Repubblica Argentina da parte del Sommo Pontefice Francesco — che, inutile ricordarlo, è anche un Sovrano Capo di Stato —, è un gesto da analizzare entro gli schemi comportamentali delle cosiddette argentinate tipiche della psicologia degli argentinocentrici.

papa omelia santa marta

il Santo Padre durante una delle sue omelia presso la Domus Sactae Martae, nel corso delle quali ha rivolto numerosi profondi pensieri e preziose indicazioni pastorali, se la stampa laicista, con i suoi taglia&cuci, non avesse più volte messo sulla sua bocca cosa mai dette, o frasi estrapolate da ben più complessi pensieri

Sul Santo Padre si potrebbero narrare vari apologhi, a partire dalle sonore bastonate date all’episcopato e al clero. Bastonate che potrebbero essere espressione di autentica e preziosa carità, se fossero elargite con la chiarezza e la fermezza con le quali le elargì nel 1935 il Venerabile Pontefice Pio XI, di cui consiglio la lettura della splendida e attuale enciclica dedicata al ministero sacerdotale: Ad catholici sacerdotii [cf. QUI]. Ciò che invece notiamo nel Santo Padre Francesco è talvolta una tendenza a esprimersi e agire sugli impulsi della pasione argentina. Cito un esempio tra i tanti riguardante una questione sulla quale scrissi lo scorso anno [cf. mio precedente articolo, QUI], dopo che il Santo Padre ebbe data l’ennesima bastonata al clero con questa frase espressa durante una delle sue omelie mattutine a Santa Marta:

«Quante volte vediamo che entrando in una chiesa ancora oggi c’è lì la lista dei prezzi: per il battesimo, la benedizione, le intenzioni per la messa. E il popolo si scandalizza» [cf. Radio Vaticana, QUI].

pastori evangelici ricchi

Una «Chiesa povera per i poveri»? Ma chi la pensa a questo modo dovrebbe evitare di andare ad abbracciare i ricchi pastori evangelici che della ricchezza fanno il proprio status symbol. Per aprire il video cliccare QUI

Il Santo Padre, come dimostra il testo della sua omelia, applica all’Italia criteri che non sono nostri, anzi ci sono proprio estranei. E infatti, nella seconda parte, egli si rifà alla sua esperienza in Argentina. A parte questo: la cosa che molto ha colpito il clero al quale quella sberla era destinata, è stato il modo in cui il Santo Padre se ne andò poi a Caserta per visitare, abbracciare e domandare persino perdono ai pentecostali [cf. QUI], i cui pastori hanno sì dei veri e propri tariffari, oltre a riscuotere le decime dai propri fedeli. E siccome le decime sono pagate in proporzione al reddito, è presto detto quanto i “buoni pastori” corteggino i ricchi e quanta poca corte facciano invece ai poveri di quelle villas de las miserias che tanto piacciono al Santo Padre. E quando si presentano a predicare presso qualche loro comunità, lungi dall’arrivare rivestiti di un sacco col bastone del pellegrino in mano, sfoggiano automobili, abiti e accessori particolarmente lussuosi, indicando anche attraverso il loro aspetto esteriore che alla stregua delle stars di successo sono molto apprezzati, di conseguenza ben pagati per il loro talento oratorio; diversi di essi giungono persino con il proprio aereo privato. Molti i pastori pentecostali che, mescolando Dio e Mammona, affermano persino che «il portafoglio è l’apri scatola del cuore» [cf. QUI]. A maggior ragione è lecito domandarsi: era necessario prendere a sberle i preti e andare poi ad abbracciare i pastori-imprenditori pentecostali che giungono a predicare all’interno di teatri affittati per migliaia di euro, dopo avere parcheggiato all’ingresso la loro Mercedes e gesticolando sul palco davanti al pubblico coi Rolex d’oro al polso ed i vestiti di Giorgio Armani indosso? Qualcuno ha per caso informato il Santo Padre che certi pastori pentecostali, in Italia, per una predica a suon di grida “alleluja” e … “un applauso allo Spirito Santo! “, al termine dei loro sproloqui ereticali pneumatologici se ne escono dopo un’ora con un assegno di 5.000 euro in tasca?

soldati ebrei di mussolini

Il libro di Giovanni Cecini dedicato alla storiografia dei militari israeliti nel periodo fascista. Per leggere la recensione storica cliccare QUI

Era proprio necessario profondersi in scuse per delle responsabilità persecutorie che i cattolici italiani non hanno affatto verso i pentecostali, visto che tali responsabilità ce l’ha il regime fascista? Qualcuno potrebbe obiettare che alcuni dei persecutori erano stati battezzati nella Chiesa Cattolica; e questo basta forse a rendere la Chiesa ed i cattolici corresponsabili? Perché con la stessa logica dovremmo allora ricordare che il potestà fascista di Ferrara, Renzo Ravenna, era un ebreo, il quale come tale era stato circonciso da bambino, ed al tempo stesso era anche presidente della locale Comunità ebraica. Come era ebreo il vice capo generale della polizia di Stato sotto il regime fascista, Dante Almansi, già prefetto fascista, il quale era anche presidente delle Comunità Israelitiche d’Italia. Furono ben 250 gli ebrei italiani che parteciparono con Benito Mussolini alla Marcia su Roma e numerosi altri ebrei italiani erano fedeli fascisti della prima ora. Ciò malgrado non mi risulta che il Gran Rabbino di Roma abbia mai chiesto scusa agli ebrei per i diversi ebrei altamente compromessi a livello istituzionale col regime fascista; e ciò per un ovvio dato di fatto: l’Unione delle Comunità Ebraiche d’Italia e gli ebrei italiani, non hanno alcuna responsabilità storica per le infami persecuzioni subite dal 1938 in poi, proprio come non ne abbiamo noi cattolici per le azioni persecutorie dei fascisti verso i pentecostali. Questo per ribadire che non ci si può lanciare in certe “avventure emotive” stile pampero senza prima avere conosciuta e assimilata una profonda conoscenza della complessa storia d’Italia. Era quindi proprio necessario abbracciare e profondere scuse ai ricchi maggiorenti della sètta pentecostale, quando non pochi parroci italiani che si sono visti elargire quella sberla dal Santo Padre, hanno poi serie difficoltà a pagare la bolletta della luce della chiesa, spesso pagata dai loro anziani genitori coi soldi tirati fuori dalle loro modeste pensioni?

Erbe Amare - copertina

il libro di Ariel S, Levi di Gualdo: Erbe amare, il secolo del sionismo, edito nel 2006 ed a breve in ristampa con una nuova casa editrice

Per dei figli, dover riconoscere le limitatezze del proprio padre, non è mai cosa piacevole, ma a volte è cosa necessaria proprio per confermare a se stessi ed agli altri che comunque, malgrado tutto e al di là di tutto, egli è il nostro legittimo padre e che in quanto tale merita il nostro più profondo rispetto; e che comunque, per quanto gravato anche da limiti e da spirito imprudente — come del resto, ancora più di lui, lo era Pietro scelto personalmente dal Signore Gesù —, al momento opportuno, «una volta ravveduto», egli «confermerà» sempre e nel modo migliore «i fratelli nella fede» [cf Lc. 22, 31-34].

La Chiesa non può essere governata con schemi standard simili a quelli delle mode, ma soprattutto non può essere governata con le passioni nazional popolari tipiche dei caudillos. Nel mio precedente articolo già richiamato [cf. QUI] parlavo con tutta la preoccupazione del caso della nuova “moda” attraverso la quale oggi sono selezionati i vescovi, presupposto dei quali è quello di essere stati — davvero o per finzione — a servizio dei poveri e degli emarginati, di avere frequentato i centri per immigrati e visitato i campi Rom. Anche su questo ebbi a scrivere con un tocco di addolorata ironia [cf. QUI], perché leggere le “schede” di presentazione dei nuovi vescovi, se non fosse tragico indurrebbe al sorriso. Prendiamo come esempio una sola di queste “schede”, perché al suo interno sono contenuti quegli elementi chiave che si ripetono da due anni a questa parte nelle “schede” di tutti i nuovi vescovi, o perlomeno di nove su dieci:

«[…] Peculiare la sua attenzione ai poveri, sottolineata dal Cardinale Vallini, che ha ricordato le visite ad alcuni campi rom in cui don Lojudice l’ha accompagnato in questi anni: una realtà di “frontiera” che il vescovo eletto aveva scelto di seguire alcuni anni fa insieme ad un gruppo di alunni del Seminario Romano Maggiore, dove è stato padre spirituale dal 2005 al 2014. Un segno di riconoscimento di Papa Francesco “per l’impegno di carità della diocesi – ha detto il cardinale – portato avanti dalla Caritas, dalle parrocchie, dalle associazioni” » [cf. QUI].

Il Cardinale Crescenzo Sepe mostra dall'altare del Duomo di Nap

 … «Difficile, prendere in giro chi si prende in giro da solo» – Il Padre Ariel fotomontato sull’immagine del Cardinale Crescenzio Sepe che regge l’ampolla di San Gennaro; foto diffusa in occasione del memorabile “pesce d’aprile“, quando l’Isola di Pamos annunciò la sua nomina a Vescovo titolare di Laodicea Combusta [vedere QUI, QUI]

Una scheda di questo genere, che corrisponde ormai agli schemi di un copione standard, accompagna anche le recenti nomine dei vescovi di due sedi molto particolari: Bologna e Palermo. Evito di riassumere i vari testi di questo copione profusi su questi due nuovi neo-eletti, perché chiunque può mettersi a girare per Internet e leggere le presentazioni fatte non tanto dai giornali della stampa laicista, che lascia sempre il tempo che trova, ma dai comunicati ufficiali della Santa Sede, delle Diocesi, delle Associazioni cattoliche e via dicendo. I curriculum dei nuovi vescovi sono un tripudio di poveri, immigrati, Rom, disagiati di vario genere … ma soprattutto contengono delle autentiche esaltazioni della povertà sociale; come se la povertà fosse il supremo valore, anziché uno stato di disagio e una sofferenza dalla quale uscire e aiutare ad uscire chi davvero vi versa. Per non parlare dell’ovvio principio di senso comune: non tutti i poveri in quando tali sono buoni, perché la povertà non è un presupposto della bontà, tutt’altro. Spesso i poveri, a causa della loro situazione di povertà, sono resi da essa aggressivi e cattivi, a volte persino malvagi. Cosa questa che non affermo per sentito dire, ma per esperienza pastorale, perché pur non essendo nato e cresciuto nelle “periferie esistenziali”, ho avuto a che fare ― e non una volta per caso, tanto per dare di ciò notizia in un curriculum ― con situazioni nelle quali, bimbi di sei o sette anni appena, erano già stati resi dal loro ambiente di provenienza e di nascita dei delinquenti fatti, finiti e rifiniti, vittime di degradi umani e morali inenarrabili. E quanti di costoro, a diciotto anni e un giorno, sono andato poi a visitare nelle carceri! Ma su tutto questo preferisco non approfondire troppo il discorso, perché se al tutto aggiungessi pure la dichiarazione che sono stato “allievo” del Beato Pino Puglisi — semmai per averlo intravisto due volte, come in realtà lo hanno intravisto molti dei suoi sbandierati “allievi”, vescovi inclusi — o che sono un prete particolarmente stimato da quel demagogo populista di Don Luigi Ciotti … ecco, coi tempi di follia clerical-trasformistica che corrono oggi, si darebbero subito da fare a pensionare il Cardinale Crescenzio Sepe per eleggere me Arcivescovo di Napoli al posto suo.

pastorale di legno

gli attuali modelli francescaneggianti di bastoni pastorali dei nuovi vescovi-gattopardi della Chiesa povera per i poveri, prodotti ormai non più da abili artigiani e orafi di vecchio mestiere, ma direttamente dai falegnami

Mai come in questi ultimi tempi s’erano viste simile cadute di dignità umana e sacerdotale, il tutto riferito a quei preti che fino a ieri supplicavano i loro vescovi di sistemarli in un ufficio di curia, o di mandarli in una università pontificia per prendere un titolo di dottorato, per aggiungere così un tassello al lasciapassare verso l’episcopato. Oggi, questi stessi soggetti, supplicano i vescovi di mandarli in parrocchie “esistenziali” difficili, dove prodigarsi nell’apertura di centri di accoglienza per immigrati e mense per i poveri, perché la Chiesa di Cristo non è la Chiesa di tutti gli uomini di buona volontà, è «la Chiesa dei poveri per i poveri». E quando mai si erano visti preti che, dopo avere fatte carte false per avere una cattedra d’insegnamento in uno studio teologico, dopo avere trattato per anni i vecchi parroci con la puzza sotto il naso tipica di chi ti lascia intendere “io sono un intellettuale e tu un povero parroco ignorante”, mollano d’improvviso tutto per andare a fare i parroci in qualche «periferia esistenziale»?

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caronte

«Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo, gridando “Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder lo cielo» [Dante, Inferno, canto III].

Per questo motivo affermo che il Santo Padre, passionale e forse non poco ingenuo, pare non prestare alcuna attenzione al fatto che dei marpioni di un pelo molto più antico di quello che può essere il suo “furbo” pelo argentino, che a confronto del loro è però un “pelo da latte”, lo stanno letteralmente buggerando, fingendo di compiacerlo e di fare ciò che vuole lui, al solo scopo di ottenere ciò che invece vogliono loro. Tutti noi che viviamo nella Chiesa del reale, non del sentimentale o peggio dell’ideologico, siamo testimoni e spettatori del fatto che oggi, certi nuovi carrieristi, cambiato vento e indossata con disinvoltura una nuova gabbana, ostentano di provenire da famiglie contadine, mentre in verità provengono da famiglie di imprenditori agricoli che guadagnano abitualmente in un solo giorno quel che un impiegato di banca prende di stipendio in un mese. Deposti dentro gli armadi delle loro abitazioni private i dignitosi vestiari e rinchiusi a doppia mandata dentro quelli delle sacrestie i paramenti più belli di cui sono dotate le nostre chiese, vanno girando più sciatti che dimessi, ed i loro paramenti liturgici sono un trionfo di straccetti acrilici dozzinali. Le croci pettorali ed i nuovi bastoni pastorali dei nuovi vescovi della Chiesa povera per i poveri non sono più prodotti da bravi artigiani e orafi con decenni, a volte con secoli di tradizione nella manifattura degli articoli liturgici; sono prodotti direttamente dai falegnami, perché la nuova “moda ecclesiastica” — Cardinale di Lampedusa docet — impone oggi croci pettorali e bastoni pastorali di legno. E mentre i devoti fedeli soffrono veramente e profondamente nel vedere i propri vescovi ridotti alla sciatteria pauperistica spesso più ridicola, coloro che in chiesa non ci vanno neppure per Natale e per Pasqua e che manco conoscono le prime cinque parole del “Credo”, magnificano invece la semplicità e la povertà del vescovo alla mano, proseguendo ovviamente a non andare in chiesa neppure per Natale e per Pasqua, però … «Ah, è un vescovo umile e povero, proprio come Papa Francesco!».

il Santo Padre Francesco riceve l’imposizione delle ceneri nella basilica domenicana di Sant’Alessio all’Aventino

In una bella esortazione rivolta ai membri del Comitato di coordinamento del Celam, il Consiglio episcopale Latinoamericano, il Santo Padre affermò: «Il vescovo sia un pastore vicino alla gente, non spadroneggi né abbia la psicologia del prìncipe, ma ami la povertà esteriore e interiore» [cf. QUI]. La povertà, evangelicamente intesa, che sotto certi aspetti è parente stretta dello spirito di penitenza, non è però esteriore, ma tutta interiore, stando a quanto afferma Cristo Dio: «Quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» [cf. Mt 6, 17-18].

abito da cardinale

abito corale cardinalizio

La recente storia dell’episcopato italiano è ricca anche di figure straordinarie di vescovi che in pubblico, sino alla loro estrema vecchiaia, si sono sempre presentati con la sobria dignità dei prìncipi della Chiesa; hanno vestito sempre abiti di stoffe pregiate e usato i migliori paramenti nelle loro chiese cattedrali. Solamente dopo la loro morte s’è scoperto che ogni soldo che entrava dentro le loro tasche usciva poco dopo per entrare in quelle delle famiglie più disagiate. E alla loro morte, le loro salme, sono state rivestite coi loro migliori abiti e paramenti, ed essi erano tutto ciò che a loro restava, perché nella loro cassa completamente vuota non avevano lasciato neppure il danaro per le spese del proprio funerale. Potremo dire altrettanto, in un vicino futuro, di quella classe di nuovi vescovi che da una parte sono rivestiti di acrilici dozzinali, che gareggiano nello sfoggio della croce pettorale di legno più “umile”, ma che al tempo stesso si preparano il super attico o il pregiato rustico in campagna nel quale ritirarsi a quieta vita da vescovi emeriti? Conosco personalmente un vescovo che è un trionfo di paramenti sacri da mercatino dell’usato, che procede col pastorale di legno, la croce pettorale di legno al collo, che non vuole essere chiamato “Eccellenza” ma “Padre”, il quale di recente ha regalato 10.000 euro di paghetta al proprio sfaticato nipote che, alla tenera età di 32 anni, dopo otto anni di fuori-corso si è infine laureato. E qui è il caso di dire: … e detto ciò mi fermo senza procedere oltre con altri esempi penosi legati a quegli odierni vescovi corrispondenti esteriormente agli stili pastorali del Santo Padre Francesco.

mano vescovo

quando ci si inchinava con devozione a baciare la mano alla pienezza del sacerdozio apostolico dei nostri vescovi, anziché battergli le mani sulle spalle e accoglierli a suon di schitarrate al canto «sei uno di noi» …

Il Santo Padre Francesco ha dato da subito delle precise e chiare direttive per la selezione dei nuovi vescovi ch’egli vuole corrispondenti a certi “schemi”, con tutto il rischio che questo può comportare, visto e considerato che un vescovo non deve essere conforme alla “moda” di uno schema, ma alla grazia di Dio e alle azioni che da essa promanano. Ma c’è di più: il Prìncipe degli Apostoli non è mai stato incaricato da Cristo di creare dei duplicati a sua immagine e somiglianza, bensì ad esaltare in Cristo il mistero della nostra immagine e somiglianza con Dio. E per capire queste ovvietà, non occorre affatto essere un papa teologo, basta solo del semplice e basilare buon senso pastorale. Il problema, quindi, dovrebbe essere quello di dare buoni vescovi alla Chiesa; che siano buoni come li vuole Cristo, non come “li voglio io”. Che corrispondano a precisi schemi di grazia divina, non certo a quelle mode tanto ben raffigurate da Severino Boezio: «Le forme esteriori sono come i fiori di campo, che appassiscono e mutano al cambio di stagione».

croce tau

gli attuali modelli francescaneggianti di croci pettorali dei nuovi vescovi-gattopardi della Chiesa povera per i poveri, prodotti ormai non più da abili orafi di vecchio mestiere, ma direttamente dai falegnami

Attraverso questa nuova infornata di “Vescovi poveri per i poveri ”, il Santo Padre vuole indubbiamente lanciare un messaggio alla Chiesa italiana che a suo parere merita forse una lezione del tutto particolare. Ciò che al Santo Padre va’ riconosciuto è la sua ammirevole audacia e lo spirito del generale condottiero pronto a governare e all’occorrenza a imporsi, come poi del resto dovrebbe essere. Temo però che gli sfugga un elemento che un giorno potrebbe risultare anche fatale: gli italiani ― noti anche come gattopardi, non solo in Sicilia ma in tutta la nostra penisola ―, sono molto più antichi e smaliziati degli argentini; e la Chiesa italiana precede di secoli e secoli la nascita della stessa Compagnia di Gesù. O come dissi anni fa a un giovane sacerdote argentino convinto di poter imparare il tedesco in poche settimane: «Vedi, caro Confratello, il tedesco è una lingua che per la sua struttura e per la sua pronuncia, merita perlomeno un minimo di riverente timore». E ovviamente, da buon argentinocentrico, non imparò mai il tedesco, ma non per colpa sua, la colpa risultò poi esser tutta quanta della lingua tedesca.

chiesa tedesca soldi

nessuno ha ancora informato il Santo Padre che quella tedesca è da sempre considerata la Chiesa più ricca del mondo?

La psicologia ecclesiastica italiana merita forse anch’essa ― non dico “riverente timore” ― ma totale prudenza, perché sia come popolo, sia per costumi sociali, politici ed ecclesiastici, noi siamo i maestri indiscussi dei voltagabbana e dei trasformisti; siamo gli imbattibili specializzati a cantare sulle note della stessa banda i più disparati inni politici diversi, perché siamo anticamente e pericolosamente italiani. E forse, qualcuno, si è già messo in testa che a raggirare un “giovane” e appassionato argentino sia tutto sommato un gioco da ragazzi; un gioco, per l’appunto, all’italiana.

Viene infine da domandarsi se i figli della Chiesa italiana sono, in quanto tali, figli di un dio minore. Per esempio rispetto ai tedeschi. Come mai, in Germania, contrariamente a quanto sta accadendo in Italia, non vengono imposti e moltiplicati certi tipi di vescovi corrispondenti a quei “criteri pastorali” amabilmente “imposti” dal Santo Padre Francesco? E se parliamo di spirito principesco o ancor più di spirito feudale, pur con tutto il loro romanofobo progressismo del caso, ben sappiamo quanto i tedeschi superino in ciò di gran lunga gli italiani; e non entriamo neppure nel discorso della sfacciata ricchezza della Chiesa tedesca, o del gettito fiscale di cui beneficia, a confronto del quale l’Otto per Mille italiano è poco più che un obolo.

cardinali tedeschi

un gruppo di cardinali tedeschi, al centro l’Arcivescovo Metropolita di Monaco di Baviera

Forse i tedeschi sono considerati dalla psicologia argentina dell’uomo Jorge Mario Bergoglio dei figli di un dio maggiore, perché a nessuno è ancora passato per la testa di imporre in una diocesi della Germania un parroco proveniente dalle “periferie esistenziali” che abbia trascorso il suo ministero, per davvero o per finta, a servire i pasti agli immigrati, od a fare pastorale di evangelizzazione tra le prostitute di Amburgo. E infatti, i vescovi tedeschi seguitano tutt’oggi ad avere biglietti da visita che si aprono in quattro facciate per poter contenere al loro interno tutti i titoli accademici specialistici, i dottorati, la lunga sequela di master post-dottorato, le loro pubblicazioni scientifiche e via dicendo. Da questo ne dobbiamo dedurre che certi criteri del Santo Padre, come quello che segue riportato, siano applicabili solo ai figli del dio minore, là dove egli indica i criteri di selezione dei nuovi vescovi:

«È un gran teologo, una grande testa: che vada all’università, dove farà tanto bene! Pastori! Ne abbiamo bisogno! Che siano, padri e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; che amino la povertà, interiore come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di vita, che non abbiano una psicologia da prìncipi, che non siano ambiziosi, che non ricerchino l’episcopato» [cf. QUI].

bastone e carota

all’episcopato italiano il bastone a quello tedesco la carota …

Insomma, ai tedeschi la carota agli italiani il bastone, posto che è un errore sia l’una sia l’altro, ma soprattutto, l’errore di fondo, sta nella valutazione: i tedeschi, nel corso del tempo, hanno perso tutte le guerre, per questo stanno tentando di vincere la “guerra economica” sulla pelle dell’Europa, che alla fine non vinceranno, perché la perdita fa parte del loro antico desiderio incoscio collettivo di “espiazione”. Gli italiani, alla resa dei conti, le guerre le hanno vinte anche quando hanno apparentemente perso, saltando come atleti insuperabili da un carro all’altro, oggi con la croce d’oro al collo, domani con quella di legno, perché la pasión de fuego dei vari Bergoglio, arriva, brucia e passa, ma la romanità cattolica e papista e l’italianità cristiana rimane, con tutto il più sincero rispetto per … Don’t cry for me Argentina, non piangere per me Argentina [cf. video di Evita Peron, QUI].

Ecco che cosa vuol dire, ed ecco quale sostanziale differenza corre tra l’essere un vecchio italiano ed essere invece un giovane argentino, sicuro in buona fede e con le migliori intenzioni di poter inaugurare dalla sera alla mattina, sulla tomba del Principe degli Apostoli, custodita da due millenni dalla Chiesa italiana per la Chiesa universale, una Chiesa da telenovela sentimental-pauperista, dove per esigenze di regia, accettate da molti attori per puro tornaconto personale, persino i ricchi fingono di essere poveri per compiacere il nuovo regista. O per dirla in altri termini: persino per un Sommo Pontefice può essere molto rischioso giocare coi vecchi e pericolosi gattopardi italici. Che allora il Santo Padre Francesco impari perlomeno dalla storia più recente, quella del suo predecessore, il quale conosceva bene i pericolosi gattopardi, dato che dentro la curia romana c’è vissuto per quasi mezzo secolo; e pur malgrado, il doloroso epilogo è stato quel che è stato …

papa e ciotti

Il Santo Padre e Don Luigi Ciotti – Qualcuno dica al Santo Padre di tenersi lontano da questi soggetti. E se proprio ci tiene a dargli la mano, che gliela dia in faccia per sottrarli al proprio indomabile ego e richiamarli ai loro autentici doveri sacerdotali [cf. QUI]

Essere ascoltati o farsi ascoltare da una testa antropologicamente dura come quella dell’uomo Jorge Mario Bergoglio non è cosa facile e può comportare seri rischi. Se però il Sommo Pontefice viene buggerato a questo modo sotto i nostri occhi, forse sarebbe il caso di provare almeno ad avvertirlo. Per esempio mettendolo in guardia che le anime pie che gli hanno appena confezionato i vescovi per due importanti sedi italiane, Palermo e Bologna, da una parte lo hanno obnubilato con mirabili racconti su due candidati modello che incarnano l’idea di Chiesa povera per i poveri, conformi come tali al suo desiderio di rivoluzione, ma, al tempo stesso, gli hanno però fatto passare sotto il naso due elementi che si sono formati secondo gli schemi del “migliore” progressismo catto-comunista dei dossettiani, o dei radical-chic della Comunità di Sant’Egidio che giungono con la Porsche Cayenne a servire i pasti ai poveri. Due neo vescovi cresciuti da teologi di discutibile dottrina del calibro di Giuseppe Ruggieri, allevati a pane&Rahner e infarciti del meglio del peggio degli autori della Nouvelle théologie. E questi vescovi, domani, favoriranno la nomina di vescovi tali e quali a loro; dei soggetti che senza ritegno e pudore si sono già messi in lista e quindi lanciati nel loro sfrenato corteggiamento. Per questo affermo: coloro che sono vicini al Santo Padre e gli possono parlare ed esprimere opinioni, non avvertendolo di questi suoi pericolosi errori di valutazione e di scelta, non spiegandogli quali nomine i gattopardi lo stanno inducendo a fare dietro la lusinga del candidato ideale in quanto dedito anima e cuore ai poveri, finiscono col cadere nel grave peccato di omissione, recando grave danno alla Chiesa e un danno assai maggiore alla propria anima immortale, visto che di questi tempi, le strade dell’Inferno, rischiano d’esser lastricate di vescovi, di cardinali e di preti “poveri per i poveri” che si sono furbescamente lanciati nella carriera ecclesiastica in modo parecchio più spregiudicato di quanto accadeva in precedenza, essendo ancor più mediocri e ancor meno cattolici di quelli che li hanno preceduti.

Diceva uno dei personaggi de Il Gattopardo: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Detto questo aggiungo: si può essere Sommi Pontefici, si può essere argentini furbi veri o presunti, si può essere gesuiti col serpeggiante complesso dell’avere una marcia di scaltrezza in più rispetto agli altri, si può essere tutto ciò che si vuole, ma per difendersi dai pericolosi e antichi gattopardi, bisogna conoscerli e saperli combattere con le armi della santa prudenza e della santa sapienza attraverso l’apertura incessante ai doni della grazia di Dio, altrimenti un giorno, voltandosi attorno, si scopre d’improvviso d’essere stati rinchiusi a chiave dentro una gabbia, senza neppure sapere come sia stato possibile finirci dentro.

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gattopardi

Il gattopardo, opera del letterato italiano Giuseppe Tomasi di Lampedusa

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Sui divorziati risposati. Continua la discussione: replica di Giovanni Cavalcoli alla risposta di Corrado Gnerre

SUI DIVORZIATI RISPOSATI. CONTINUA LA DISCUSSIONE: REPLICA DI GIOVANNI CAVALCOLI ALLA RISPOSTA DI CORRADO GNERRE

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Viene oggi molto citato il n. 84 della Esortazione Apostolica Familiaris consortio di San Giovanni Paolo II, nel quale il Papa esprime la condizione della irregolarità dei divorziati risposati, in foro esterno o, come egli si e esprime, “oggettivamente”; ma il Santo Pontefice si guarda bene dal dire che essi sarebbero, soggettivamente o in foro interno, in un continuo stato di peccato mortale, perchè, questo, come ho già detto, sarebbe un giudizio temerario, che pretende scrutare l’intimo delle coscienze e le segrete operazioni della grazia. In secondo luogo, questo insegnamento del Santo Pontefice non va preso come fosse una dottrina di fede immutabile, ma solo come disposizione pastorale, come tale mutevole, per quanto di antichissima tradizione. Ma non si tratta di Sacra Tradizione, essa sola depositaria del dato rivelato, bensì solo di tradizione canonica. dagli anni nei quali questa Esortazione apostolica è stata scritta, la questione dei divorziati risposati si è alquanto estesa, complicata e aggravata, tanto che l’attuale Pontefice ha deciso di riprenderla in esame per vedere se mantenere l’attuale disciplina, oppure adottare soluzioni diverse dal passato.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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[Per leggere l’articolo del Prof. Corrado Gnerre, confutato negli otto punti che  seguono, cliccare QUI]

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l’accademico pontificio domenicano Giovanni Cavalcoli

Il prof. Riccardo Gnerre è nuovamente intervenuto contro di me sulla rivista telematica Riscossa Cristiana riguardo il tema della problematica morale e giuridica attinente ai divorziati risposati [cf. articolo,  QUI]. Credo che la nostra discussione possa offrire un modesto ma sincero contributo e forse un aiuto alle ben più autorevoli discussioni in atto dei Padri sinodali. Ma, trattandosi di gravi argomenti di comune interesse, credo che non sia male che noi due, comuni fedeli, esprimiamo il nostro parere in una dialettica costruttiva. Vediamo dunque le principali e più significative critiche ed obiezioni che mi fa il prof. Gnerre.

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1. Davvero ritenere che i divorziati risposati siano in uno stato di peccato grave è “giudizio temerario”?

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Rispondo: è un giudizio temerario, se si ritiene che essi siano necessariamente e continuamente in uno stato di colpa o di peccato, sì da essere permanentemente ed irrimediabilmente, ventiquattr’ore su ventiquattro privi della grazia, sicchè se dovessero morire dovrebbero precipitare nell’inferno.

Non è però questo il pensiero della Conferenza Episcopale Italiana la quale, già nel 1979, emanò un importante documento «Pastorale delle situazioni matrimoniali non regolari» [cf. QUI], nel quale si danno istruzioni, ancor oggi assai utili, sulla condotta cristiana, che queste coppie possono praticare. Dal che si deduce facilmente che esse possono essere in grazia e quindi non sono in uno stato continuo di peccato mortale. Infatti, si dice, per esempio, che i due possono fare la “Comunione spirituale”. Se avessero un peccato mortale sulla coscienza, potrebbero mai farla?

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2. Gnerre mi fa dire che io sosterrei che uno possa essere indotto suo malgrado a peccare. Infatti mi obietta dicendo che, se questo fosse vero, “Ognuno potrebbe addurre situazioni che lo avrebbero spinto, suo malgrado, a peccare: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato il frutto, e io ho mangiato!» [Gn, 3]. Adamo cerca di discolparsi inutilmente”.

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Ma io ho detto esattamente il contrario. Ho detto che il peccato è un atto libero e volontario, per cui non esiste un “peccare malgrado se stessi”. Certo, io posso fare un’azione oggettivamente cattiva, ma, se la compio involontariamente o perchè coatto o per inavvertenza o senza deliberato consenso, l’azione non mi può essere imputata a colpa, almeno davanti a Dio. Diverso è invece il caso di Adamo, paradigma di colui che ha peccato veramente e volontariamente e, in modo sleale, vuol scaricare la colpa sugli altri; benchè sia vero che Adamo è stato indotto in tentazione da Eva. Ma un conto è subire una tentazione e un conto è cedere volontariamente alla tentazione. Io invece mi riferivo al caso nel quale, come per esempio certi conviventi, in situazioni oggettive insormontabili, peccano certamente, ma hanno delle attenuanti, per il fatto che, per ipotesi, si trovano ogni giorno davanti all’occasione frequente, impellente ed inevitabile di cadere. Per questo, anche un peccato di per sè mortale per la sua materia, ma con attenuanti soggettive — mancanza di piena deliberazione a causa della violenza della passione —, può abbassarsi a livello di colpa veniale.

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3. I conviventi, dice Gnerre, hanno «l’obbligo di togliersi dalla condizione peccaminosa, altrimenti si corre il rischio di “mettere alla prova” Dio».

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L’obbligo c’è, ma se ci sono le possibilità effettive ed oggettive di interrompere il rapporto. Ma esistono casi complessi e complicati nei quali la separazione non è possibile — almeno momentaneamente — anche con tutta la buona volontà della coppia, che potrebbe anche essersi pentita della nuova unione, ma non sa come venirne fuori. In questi casi l’occasione di peccare è inevitabile ed ineliminabile, per cui, se è vero che l’occasione non è la causa propria, ma solo incentivo o stimolo esterno a peccare, e se è vero che la causa vera del peccato è solo la cattiva volontà, resta vero che valgono le attenuanti di cui al numero precedente. E se i due dovessero cadere nel peccato mortale, possono essere perdonati da Dio, anche senza il Sacramento della penitenza. È chiaro che però ogni volta che peccano, per rialzarsi, devono fare il proposito di non più peccare, nonostante il permanere supposto involontario o di forza maggiore della situazione, la quale spinge a peccare. Essa però non va mai detta «peccaminosa», bensì pericolosa. Ricordiamoci sempre che nessuna situazione è peccaminosa o colpevole in sé, ma che però può costituire occasione di peccato o tentazione al peccato. Se poi in certi casi la situazione può essere evitata, deve essere evitata.

La tentazione di Dio è un’altra cosa. Essa comporta il porsi volontario nell’occasione o il trascurare di fare il possibile per evitare il peccato, con la pretesa di godere della protezione divina o di scampare comunque al pericolo. Dio non ci può soccorrere se ci gettiamo volontariamente nel precipizio.

Il caso di certi conviventi è diverso. L’ipotesi è che non abbiano la possibilità di evitare l’occasione o la tentazione. Per questo, quando essa giunge, facilmente cadono nel peccato, ma la colpa diminuisce, in quanto si suppone che la volontà ceda alla violenza della passione. Se poi la colpa si abbassa al livello del peccato veniale, essi lo possono togliere con semplici pratiche penitenziali personali, ottenendo il perdono direttamente da Dio.

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4. “Due conviventi non mutando vita, dimostrano che la loro intenzione di non peccare è inesistente”.

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Si danno casi nei quali, almeno momentaneamente, è impossibile interrompere la convivenza, il che comporta l’esistenza di occasioni e tentazioni inevitabili e forse irresistibili di peccare. Ne conseguiranno peccati frequenti, più o meno gravi. Ma se la loro condizione di vita esternamente e giuridicamente è irregolare ed illegittima, ed è obbiettivamente riprovevole, che ne sappiamo poi noi di ciò che la grazia può operare nelle loro coscienze? È vero che la buona intenzione si dimostra coi fatti. Ma è anche vero che se ci si trova in una situazione come quella di certi conviventi, dalla quale sul momento è impossibile uscire, chi impedisce loro di rinnovare continuamente e sinceramente, con ogni sforzo, le buone intenzioni e i buoni propositi, nonostante le frequenti cadute?

Per verificare la bontà di un’intenzione non dobbiamo chiedere al prossimo azioni che sono al di sopra delle loro forze. Due conviventi obbligati a restare conviventi possono ugualmente compiere atti di buona volontà e quindi non essere affatto esclusi dalla divina misericordia, magari ancora di più di un coppia di sposi che vivono in una posizione regolare. Che ne sappiamo delle intenzioni dei cuori? Che ne sappiamo delle differenze e dei contrasti che possono sorgere tra le due coscienze? Che ne sappiamo della violenza con la quale certe spinte al male contrastano la buona intenzione e la buona volontà del soggetto? E se la buona intenzione non riesce ad esprimersi all’esterno, forse che Dio non la vede e non la premia? E che ne sappiamo di ciò che la grazia opera nelle anime?

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5. «Prendiamo la Confessione. Questa, perché sia valida ha bisogno di alcune condizioni, fra cui l’essere sinceramente pentiti e il proposito di non peccare più. Nel proposito entra in gioco anche il comportamento futuro. Se ho rubato e sono convinto che una determinata occasione mi ha spinto a farlo, ho l’obbligo morale di evitare quella occasione prossima di peccato. Lo stesso vale se convivo con una donna come se fosse mia moglie non essendo questa mia moglie Lo ripeto: da un punto di vista formale il ragionamento di padre Cavalcoli potrebbe anche avere valore, ma non da quello sostanziale e intenzionale. Ecco perché Gesù dice le parole che ho citato prima: “Se si guarda una donna desiderandola …”».

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Nessuno impedisce ai conviventi di rinnovare continuamente il proposito di non più peccare ogni volta che peccano. È vero che nell’ Atto di dolore in confessionale esprimiamo al confessore tale proposito. Ma ciò non impedisce che la settimana dopo ricadiamo nello stesso peccato, almeno veniale, senza che ciò comporti alcuna recidività o leggerezza o ipocrisia, ma solo per la debolezza della natura umana. Il che non vuol dire che non esistano e non debbano esistere processi di guarigione, ma essi richiedono il loro tempo e il confessore deve saper attendere. Inoltre, il proposito dev’essere proporzionato alle proprie forze e alle proprie possibilità, compatibilmente alla condizione di vita nella quale ci si trova e dalla quale non si può uscire.

Ora, la nostra ipotesi è appunto quella di una coppia che, per motivi oggettivi gravi, di forza maggiore ed anche in parte ragionevoli, non può interrompere il rapporto. Certo, questo richiede il rinnovo continuo dei buoni propositi. Ma non dobbiamo credere che i due, per il semplice fatto di trovarsi in quella situazione, non possano formare propositi sinceri, che li aprono alla grazia di Dio.

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6. «I divorziati risposati non possono accedere all’Eucaristia perché la loro condizione è oggettivamente negativa. La Familiaris Consortio (n.84) [Ndr.  QUI] parla per i divorziati di condizione di vita che contraddice “oggettivamente” la verità naturale e cristiana sul matrimonio: “Sono essi (i divorziati risposati) a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia”».

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Il Papa esprime qui la condizione della loro irregolarità, in foro esterno o, come egli si e esprime, “oggettivamente”; ma si guarda bene dal dire che essi sarebbero, soggettivamente o in foro interno, in un continuo stato di peccato mortale, perchè, questo, come ho già detto, sarebbe un giudizio temerario, che pretende scrutare l’intimo delle coscienze e le segrete operazioni della grazia. In secondo luogo, questo insegnamento del Santo Pontefice non va preso come fosse una dottrina di fede immutabile, ma solo come disposizione pastorale, come tale mutevole, per quanto di antichissima tradizione. Ma non si tratta di Sacra Tradizione, essa sola depositaria del dato rivelato, bensì solo di tradizione canonica. Infatti dagli anni nei quali questa Esortazione apostolica è stata scritta, la questione dei divorziati risposati si è alquanto estesa, complicata e aggravata, tanto che l’attuale Pontefice ha deciso di riprenderla in esame per vedere se mantenere l’attuale disciplina, oppure adottare soluzioni diverse dal passato. Per questo egli ha convocato il Sinodo. La questione mette un gioco due valori di fede, che sta alla Chiesa connettere con saggia pastoralità: da una parte, il rispetto ai sacramenti, mezzi immutabili di grazia e di salvezza, istituiti da Cristo; dall’altra, la cura delle anime, nutrite dalla grazia sacramentale, amministrata dalla Chiesa.

A seconda di dove pende, per così dire, la bilancia, la Chiesa può far prevalere il Sacramento; ed allora da qui scaturisce l’attuale disciplina; oppure può mettere in maggior rilievo la salus animarum; e allora l’attuale disciplina potrà essere mutata. Attendiamo le decisioni del Santo Padre, quali che siano, senza l’allarmismo di un gretto conservatorismo e senza la faciloneria dei modernisti.

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7. «Padre Cavalcoli cade nell’eresia di oggi: il peccato di per sé non esiste, va piuttosto considerato come un bene dimezzato. Padre Cavalcoli dovrebbe sapere che se esiste il bene assoluto, non esiste il male assoluto, ma non per questo il male non è e non resta male».

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Il prof. Gnerre mi attribuisce cose orribili che non ho mai detto, né si possono assolutamente ricavare dalle mie affermazioni. Come mai un simile accecamento? Che gli è successo? Egli crede di poter ricavare questo giudizio da queste mie parole: «Il peccare dei conviventi, per quanto pecchino, non è necessariamente coestensivo al loro convivere. Non è che tutto il loro vivere sia peccato. Possono benissimo possedere buone qualità per altri versi, qualità che essi possono e debbono valorizzare, senza per questo peccare nel merito».

Per quanto riguarda il «bene dimezzato», bisogna intendersi. Se io faccio solo la metà del mio dovere, certamente faccio peccato. Ma se io taglio a metà una mela, per mangiarla non faccio niente di male, Dimezzare un bene è peccato, se quel bene deve essere intero: se taglio a metà una persona umana, certamente faccio male, ossia peccato.

L’adulterio è un male, è un peccato, perché distrugge un matrimonio, sorgente della vita umana. Ma la nuova coppia che sorge dall’adulterio, una volta commesso questo peccato, non è detto che nel corso della vita seguente essa sia sempre in peccato, priva della grazia, anche se perdura uno stato di vita riprovevole. Infatti, i due possono pentirsi ad ogni peccato commesso e riacquistare ogni volta la grazia, anche se resta l’unione illegittima o riprovevole.

Forse il prof. Gnerre, col suo riferimento al buonismo, intendeva riferirsi alla teoria del peccato come “imperfezione”, escogitata dai modernisti da applicare ai conviventi sotto pretesto che i due posseggono delle qualità umane, per minimizzare le loro colpe. Invece l’imperfezione morale è ben distinta dal peccato, in quanto l’imperfezione è nella linea del bene, è un’azione sostanzialmente buona, anche se priva della sua pienezza, ma non per cattiva volontà dell’agente, bensì solo per i limiti della sua volontà. È quindi frutto della buona volontà. Il peccato, viceversa, è un atto malvagio, effetto della cattiva volontà. È un’imperfezione volontaria, è un dimezzamento volontario del bene dovuto.

Dunque, io direi che il peccato di per sé non esiste? Esiste il male assoluto? Dico semplicemente che i conviventi, come qualunque essere umano figlio di Adamo, mescolano le opere buone con le azioni cattive. Ho ricordato altresì che, se non si è in grazia, anche le opere buone non servono per la salvezza. Ho detto e ripetuto, inoltre, che il peccato è un atto cattivo volontario compiuto con avvertenza e deliberato consenso.

Dove trova qui il prof. Gnerre motivo delle sue accuse farneticanti contro di me? Lui piuttosto, con la sua teoria del peccato a tempo pieno — «situazione di peccato» — si avvicina orribilmente alla concezione manichea del male e manda inesorabilmente all’inferno i poveri peccatori ignorando l’opera della grazia; un serio problema, questo, indicato anche da Ariel S. Levi di Gualdo sin dal sottotitolo del suo ultimo tuonante articolo [cf. L’Isola di Patmos, QUI].

Per quanto poi concerne la questione del bene assoluto ed il male assoluto, quello che io ho sempre sostenuto è che esiste il bene assoluto e non esiste il male assoluto, perché, mentre il bene può essere totalmente libero dal male, il male non è altro che una carenza o una privazione di carattere accidentale, perché ha bisogno di una sostanza o un soggetto, al quale inerire. Il male totale, assoluto o sostanziale, quindi, non esiste, perchè, nel momento cui viene distrutta tutta la sostanza, il male annulla stesso.

Il peccato però non è un male che distrugge se stesso, come pensa Karl Rahner; infatti nel caso del peccato, il soggetto è l’anima, la quale, per quanto il peccato sia grave, non può essere distrutta da questo male, che resta nell’anima. Come si toglie questo male? È Dio stesso che lo toglie in Cristo, suscitando il pentimento o donando la grazia, e questo avviene anche nei divorziati risposati, anche se non hanno la possibilità di interrompere il loro rapporto.

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8. Dire che il Papa non può mai parlare contro la Tradizione, pur dovendone essere custode, significa di fatto ritenerlo infallibile su tutto. Graziano nel suo Decreto scrive del Papa: “A nemine est judicandus, nisi deprehenditur a fide devius”, che significa: “non deve essere giudicato da nessuno, a meno che non si allontani dalla fede.”

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Il Papa è infallibile come interprete della Tradizione, non in tutto? Chi lo ha mai sostenuto? Se il Papa parla della partita Milan-Inter, non è infallibile. Graziano fa un ragionamento ipotetico puramente formale e astratto, dove vale la conseguenza, non il conseguente. È come se io dicessi: se mi gettassi dal quinto piano, mi ucciderei. Ma non intendo affatto gettarmi dal quinto piano.

Il Papa, come Maestro della Fede, interprete supremo della verità salvifica immutabile, rivelataci da Cristo e contenuta nella Sacra Scrittura e nella Sacra Tradizione, come Vicario di Cristo nell’insegnarci la dottrina del Vangelo, i contenuti del dogma e della morale, le esigenze della legge divina e della legge naturale, anche se non pronuncia solennemente — cosa assai rara — una nuova definizione dogmatica, secondo le condizioni dell’infallibilità pontificia stabilite dal Concilio Vaticano I, nel suo insegnamento pubblico ordinario, orale o scritto, un’enciclica, un’esortazione o lettera apostolica, un motu proprio, un’udienza generale o un’omelia della Messa quotidiana o un discorso pubblico a chiunque o a qualunque livello o un’intervista a un giornalista o a personaggi di rilievo, fruisce del carisma di Pietro, al quale Cristo ha detto: «confirma fratres tuos» [«conferma i tuoi fratelli nella fede», cf. Lc 22,32] e quindi non si inganna e non ci inganna, non erra e non è fallibile, ma ci dice sempre con certezza il vero, che, se non è immediatamente verità di fede, è comunque connesso con la fede o discende dalla fede.

Il Papa invece non è infallibile ed anzi può sbagliare o ingannarsi o essere ingannato o peccare in tutto il resto, può essere ingiusto o imprudente nella sua condotta morale, nel prendere un provvedimento, nel governo della Chiesa, nell’emanare o abrogare o mutare una legge canonica o una norma liturgica, nell’esprimere un’opinione teologica, nei discorsi o comportamenti privati, nella scelta dei collaboratori, nella nomina o promozione o destituzione dei vescovi o dei prelati, nel trattare con le potenze politiche o nei giudizi politici. Può essere deposto o per indegnità o per incapacità o per gravissimi motivi che toccano il bene o la pace nella Chiesa, ma non può mai essere convinto di eresia, cosa che del resto non è mai successa. Egli stesso, come oggi ormai sappiamo bene, può fare atto di rinuncia al sacro ministero per gravi motivi, più o meno liberamente.

L’unica ipotesi valida del Papa eretico è il caso di manifesta demenza, cosa che peraltro non si è mai verificata, oppure di costrizione subìta, caso, quest’ultimo, che si è verificato; ma il Papa, tornato libero, ha annullato l’atto invalido, compiuto in stato di necessità.

È dunque un’idea vergognosissima ed inconcepibile quella di certi cattolici o sedicenti cattolici, i quali, falsi sostenitori della Tradizione, osano avanzare la possibilità del Papa “eretico”, con la trasparente intenzione di porre una base “giuridica”, per accusare l’attuale Pontefice, mentre alcuni arrivano all’audacia di accusarlo apertamente, prendendo occasione, un esempio tra i tanti, dalla sua decisione di permettere che al Sinodo si discuta la possibilità di ammettere alla Comunione i divorziati risposati, come se ciò costituisse un attentato alla “Tradizione” ed alla dignità dei Sacramenti.

Dall’altra parte abbiamo la più consistente e pericolosa fazione modernista, arrogante, scettica, liberale, soggettivista, storicista, evoluzionista e relativista, la quale, negatrice com’è di qualunque certezza o evidenza universale ed oggettiva – chiamata con disprezzo “astratta” – e quindi dell’immutabilità non solo del dogma, ma anche della verità di ragione, promuove, col pretesto del “progresso”, della “libertà”, della “misericordia” e della “modernità”, un mutamento della disciplina, non per adeguarla meglio al dogma o alla legge divina, onde attuarne una migliore applicazione, ma perchè non crede in nessun valore assoluto.

Spacciarsi per cattolici e non esserlo è una grave truffa o un’operazione puramente politica, molto peggio di chi pretende curare i malati, senza titolo adeguato. Il cattolico non è né uno che si incarica di vigilare sull’ortodossia del Papa, per controllare che sia fedele alla Tradizione, né uno che, credendo di avere il filo diretto con lo Spirito Santo o con la Bibbia, agisce secondo la sua coscienza soggettiva, in assoluta autonomia, come fosse il fichtiano “Io assoluto”, piaccia o non piaccia al Papa, che per lui è un credente alla pari di tutti gli altri, con le sue proprie discutibili ed anzi arretrate opinioni, come ebbe a dire il Cardinale Carlo Maria Martini, poco prima di morire, che «la Chiesa di Benedetto XVI è indietro di due secoli», e che per fortuna «oggi abbiamo grandi teologi come Rahner» [ Cf. sul Cardinale Carlo Maria Martini si rimanda ai nostri articoli passati: QUI, QUI].

Il cattolico si distingue tra tutti gli altri cristiani — e se ne vanta — proprio per la sua leale obbedienza al Papa, che non è l’obbedienza supina, ma quella di persone intelligenti e responsabili, che godono della libertà dei figli di Dio, e che quindi sanno quando il Papa dev’essere obbedito e quando può essere criticato, sulla base di criteri di discernimento che il Papa stesso fornisce, e non quelli che ci vengono da Mons. Marcel Lefebvre o da Hans Küng.

Anche se il Papa non fosse perfettamente imparziale tra i due partiti in lotta, non dobbiamo turbarci più di tanto: è una di quelle cose dove egli non è infallibile e può correggersi. Esprimiamo lealmente il nostro dissenso, laddove ci è consentito, ma guardiamo soprattutto in lui il Successore di Pietro. Siamogli vicini nella lotta e nella sofferenza, invochiamo per lui l’assistenza dello Spirito Santo e l’intercessione della Madonna, affinchè “si faccia un solo gregge con un solo pastore”.

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Varazze, 22 ottobre 2015

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Cattolici e sessuofobia: «La verginità degli eretici è più impura dell’adulterio»

CATTOLICI E SESSUOFOBIA: «LA VERGINITÀ DEGLI ERETICI È PIÙ IMPURA DELL’ADULTERIO»

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Certi cattolici cupi molto simili ai sadducei ed ai farisei, di fondo sono cresciuti con un’idea di Cristo morto ma non risorto, con un’idea della sessualità tutta quanta manichea; sono fissi su concetti di arido legalismo e intrisi di pelagianesimo, ed analogamente a Lutero hanno problemi seri sul concetto paolino della predestinazione, quindi sulla teologia della giustificazione che rischiano spesso di ridurre ad un’idea tutta quanta calvinista, seppure sotto forma di rigorismo morale cattolico.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Ariel S. Levi di Gualdo

Ariel S. Levi di Gualdo

Poco dopo l’uscita dell’intervista a Giovanni Cavalcoli fatta dal vaticanista de La Stampa Andrea Tornielli [cf. QUI] si è scatenata una ridda di polemiche seguite da pesanti accuse rivolte al teologo domenicano; accuse alle quali io non rispondo nello specifico, perché lo ha fatto in modo magistrale il diretto interessato, che non ha bisogno delle mie “difese d’ufficio” [cf. QUI].

Devo fare però un’amara constatazione e ribadire un concetto affermato negli ultimi mesi: prendendo a pretesto il Sinodo sulla famiglia un’armata di farisei seguita a mutare il Sesto comandamento nel peccato dei peccati, come se in esso risiedesse l’intero mistero del male. E pur di supportare le loro teorie peregrine, sono pronti “politicamente” a tutto, persino ad elevare i Vescovi africani come vessillo in difesa dell’ortodossia della famiglia [cf. QUI, QUI, ecc.]. Cosa questa che rende davvero patetici certi “politicanti” che estrapolano ciò che solo a loro interessa fingendo di non sapere che diversi di questi paladini della difesa dei valori non negoziabili, della famiglia e del sacro matrimonio; questi difensori della vera dottrina che hanno tuonato contro l’adulterio e il concubinato, sono più volte risultati padri di diversi figli sparsi per il mondo, cosa che la Santa Sede sa da sempre; e nello specifico lo sanno quelli della Congregazione de propaganda fide, il cui problema principale, quando si tratta di eleggere un nuovo vescovo in qualche diocesi del Continente Nero, è di riuscire a selezionare un candidato che non abbia concubine e figli sparsi in giro, impresa tutt’altro che facile.

O per chiarire meglio con un esempio concreto: a Roma, sul finire del 2009 trascorsi due giornate assieme all’arcivescovo di una grande diocesi dell’Africa che mi chiese aiuto per la lettura del messale latino del Beato Paolo VI. Pochi giorni dopo sarebbe infatti andato in udienza privata dal Santo Padre Benedetto XVI, avrebbe concelebrato con lui e si sarebbe poi intrattenuto a colloquio durante la colazione. L’arcivescovo aveva appreso che il Santo Padre usava nella propria cappella privata questo messale e voleva rinfrescare la sua lettura del latino. Prima di andare, a me e ad un altro sacerdote, disse: «Voglio rivelarvi perché ho chiesto udienza al Santo Padre. Vedete, la mia è una diocesi molto estesa ma povera, nella quale abbiamo un grande problema: siamo totalmente privi dei necessari mezzi per sostenere tutti i bambini che sono stati messi al mondo dai nostri preti in giro per i villaggi. E noi, verso queste creature, abbiamo come Chiesa degli obblighi morali e non possiamo lasciarli abbandonati per le strade. Per questo vado dal Santo Padre: a chiedergli un aiuto economico». E concluse dicendo: «E spero che il Santo Padre, visto che quelli della Congregazione de propaganda fide non mi hanno ascoltato, accetti la mia richiesta e rimuova il mio vescovo ausiliare, che ha tre concubine e non so neppure quanti figli nati in giro».

A incentivare la perversione del sesso inteso come peccato dei peccati, ch’è in sé cosa molto più peccaminosa dell’adulterio o delle convivenze dei divorziati risposati, sono dei laici senza umanità cristiana sostenuti da qualche teologo specializzato a tirare il sasso, ritirare la mano e istigare personaggi alquanto digiuni di teologia ― e per questo facilmente manipolabili ― ad “armarsi e partire”. E questo, nel mio linguaggio, si chiama viltà, tipica a volte dei presbìteri che hanno trascorso la propria vita a speculare sulle nuvole dei massimi sistemi dell’intelletto soggettivo, sino a sprofondare nella autentica madre di tutte le eresie: sostituire l’ “io” del proprio pensiero pensato a “Dio”, che non è più, attraverso il Mistero dell’Incarnazione del Verbo, l’inizio, il centro e il fine ultimo del nostro intero umanesimo, ma il pretesto sul quale edificare il proprio omocentrismo intellettuale. E fu proprio Giovanni Cavalcoli a donarci sulle colonne di questa rivista telematica uno straordinario articolo dedicato alla Apologia della superbia [Cf. QUI], quel peccato da me indicato più volte come regina e diabolica auriga dei Sette peccati capitali; un peccato — la superbia — che nella lista occupa non a caso il primo posto e che come tale è da temere più della lussuria, che non è affatto né la regina né l’auriga dei Sette peccati capitali, per questo è collocata al quarto posto nella cronologia del Catechismo della Chiesa Cattolica.

Certi cattolici cupi molto simili ai sadducei ed ai farisei, di fondo sono cresciuti con un’idea di Cristo morto ma non risorto, con un’idea della sessualità tutta quanta manichea; sono fissi su concetti di arido legalismo e intrisi di pelagianesimo, ed analogamente a Lutero hanno problemi seri sul concetto paolino della predestinazione, quindi sulla teologia della giustificazione che rischiano spesso di ridurre ad un’idea tutta quanta calvinista, seppure sotto forma di rigorismo morale cattolico.

Se dinanzi ad articolate tematiche pastorali con implicazioni teologiche e dottrinarie molto complesse certi personaggi dovrebbero tacere, non altro per quel pudore derivante da una mancanza oggettiva di profonda conoscenza; qualche teologo di riferimento che dietro le quinte li carica dovrebbe avere maggior pudore e non aprire proprio bocca, a meno che non sia in grado di dimostrare di avere fatto veramente il prete per tutta la vita. E per prete non s’intende essersi diviso tra aule accademiche, sale di conferenza e biblioteche, perché pastoralmente parlando fare il prete non vuol dire avere celebrato una Santa Messa al giorno, ma avere trascorso molto tempo dentro i confessionali, avere preso su di sé i dolori e i disagi di singoli e d’intere famiglie, avere frequentato i reparti di oncologia degli ospedali, essere entrati e usciti dalle carceri dove dei giovani appena ventenni, per una “bravata” o peggio per una “follia”, si sono presi una condanna a vent’anni per omicidio; e via dicendo. 

Io che vivo invece la dimensione pastorale, pur dedicandomi agli approfondimenti ed alle speculazioni teologiche, non accetto lezioni di pastorale ragionieristica da certi personaggi che sono, ripeto, delle figure eminentemente politiche; come non accetto certi teatrini inscenati dai presbìteri di pura accademia che al contrario di me non vanno a guardare in faccia una giovane ammalata di tumore in fase terminale, ad amministrarle l’unzione degli infermi, a celebrare la Santa Messa a casa sua perché non può uscire dalle mura domestiche al cui interno sta attendendo la morte da un giorno all’altro, ed alla quale non è possibile offrire come consolazione qualche lezioncina di buona epistemologia in alternativa agli anti-dolorifici a base di morfina solfato. Per non parlare poi del fatto che questa povera e giovane ammalata ha la “colpa immane” di essere sposata con un divorziato. Però, vista la gravità irreversibile della malattia, non potendo avere peccaminosissimi rapporti sessuali, lei ed il marito divorziato risposato, possono ritenersi più o meno a posto a livello morale? Ciò che infatti solo conta in modo imprescindibile e “assolutamente” inderogabile per certi legalisti è che non ci sia di mezzo il peccato dei peccati: il sesso. Anche se, a livello di morale epistemica non è stato ancora chiarito se il peccato è rappresentato dal membro che penetra nella vagina oppure se è da considerare peccato solo l’orgasmo, perché in questo secondo caso potremmo stabilire che la penetrazione genitale è concessa, a patto però che non vi sia eiaculazione, ma soprattutto che non vi sia da parte di entrambi alcun piacere, perché da certi moralisti resi immorali dalla loro insita disumanità, c’è da aspettarsi questo e molto altro ancora, capaci come sono a creare da una parte degli onirici manuali impossibili di etica sessuale, dall’altra di negare il mistero stesso della creazione dell’uomo, perché in fondo sono sempre loro, sempre gli stessi incorreggibili:

Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito! [cf. Lc. 11,46]

E proprio in queste settimane dell’anno liturgico abbiamo letto nella feria il Vangelo di San Luca, dove sono riportate le diatribe e le critiche di Gesù con i farisei; se leggiamo bene quelle righe sembra di ritrovarci di fronte alla disumanità di certi personaggi olezzanti legalismi, dinanzi alle motivazioni dei quali torna a mente la saggia massima di un grande Padre della Chiesa, San Gregorio di Nissa, il quale affermava che «La verginità degli eretici è più impura dell’adulterio», ed è un’impurità che tramite la via di rigurgiti pelagiani porta infine all’ateismo clericale, all’ateismo della bestia religiosa, un ateismo inteso come negazione del mistero del Verbo di Dio Incarnato distrutto nel peggiore dei modi: attraverso la sua riduzione ad un fenomeno meramente speculativo e legalistico.

Con uno zelo da fare invidia al codice della strada della Repubblica Federale Tedesca, chi ragiona in questi termini afferma che i divorziati risposati devono vivere come fratello e sorella, in perfetta castità; perché naturalmente – va da sé – l’intero mistero del male risiede, come sin qui spiegato, nella sessualità. Chi si lascia andare ad affermazioni così decise e così tragicamente leggere perde anzitutto di vista il fatto che la castità non è una stoica rinuncia sostenibile con le sole forze della volontà umana — e ciò penso proprio di poterlo dire per esperienza concreta diretta —, ma un dono di grazia. E chi ha studiato in modo approfondito il De natura et gratia di Sant’Agostino, che costituisce un grande dibattito contro quel Pelagio che potremmo a suo modo considerare il padre precursore dei volontaristi, sa di che cosa stiamo parlando. Pertanto, una coppia di sposi che fosse chiusa all’azione di grazia ma che applicasse con scrupolo e zelo tutte le regole morali, dai metodi naturali sino alla perfetta continenza, potrebbe risultare in tutto e per tutto peggiore di una coppia di concubini che, pur vivendo nel peccato, consapevoli anzitutto del proprio peccato, sono mossi però da un senso di apertura verso se stessi e verso il prossimo. È proprio di fronte a queste persone che il Signore Gesù ammonisce:

In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli [cf. Mt. 21, 31-32].

Se noi concentriamo invece tutto quanto sulla genitalità come molti stanno facendo in questo dibattito ed anche in modi rasenti l’ossessione, si rischia di scivolare nella impura verginità degli eretici. O come scrisse Blaise Pascal nei suoi pensieri riguardo certe monache: «Caste come angeli, superbe come demoni».

E io, come uomo e come prete, dovrei forse prendere lezioni da quel certo signore che tuona contro i divorziati risposati e contro l’adulterio sbraitando: la Santa Comunione ai divorziati risposati no, giammai, no, altrimenti sarà infine scisma? Il tutto con appresso il teologo di fiducia che dinanzi a certe evidenze di oggettiva immoralità sospende però per incanto ogni genere di giudizio e battendo anche i piedi a terra afferma che «queste sono altre questioni» e che «nostro compito è parlare di teologia e non di questioni socio-politiche»? Mi si faccia dunque capire: se si osa sfiorare la vita altamente immorale di certi danarosi e munifici potenti, quelle sono faccende «socio-politiche» che «non riguardano i teologi», il dovere dei quali, ed in specie sul piano del rigore morale, è forse quello di prendere invece a legnate solo i deboli che non possono profondere sulle nostre opere e fondazioni fiumi di danaro?

Piaccia o non piaccia, rimane un dato di fatto che certe istituzioni di moralisti duri e puri sono tenute in piedi con i soldi donati dalle estreme destre americane formate da soggetti che – i più morali in assoluto – sono sposati perlomeno un paio di volte e se la spassano appresso con ragazze di vent’anni più giovani di loro. O vogliamo davvero relegare nelle questioni prive di interesse teologico-pastorale, ma soprattutto d’interesse morale, il fatto che questi personaggi, tra una gozzoviglia e l’altra, si rechino poi con l’alabarda cavalleresca in mano e con la lacrima all’occhio alle Sante Messe in rito antico, per tuonare tra un oremus e l’altro contro l’adulterio, il concubinato e la Comunione ai divorziati risposati, come se tutto ciò fossero lussi che non possono essere concessi ai comuni mortali dal basso reddito, ma solo ai grandi dissoluti con i conti a nove zeri, dinanzi ai quali da una parte si prende, dall’altra non si vedono neppure quei peccati che gridano davvero vendetta al cospetto di Dio, sino ad affermare che «certe questioni non riguardano i teologi» e sentendosi ciò malgrado con la coscienza epistemica ed aletica in perfetto ordine?

Giovanni Cavalcoli, che come uomo, sacerdote, confessore e teologo ha la purezza di un angelo, dinanzi ai peccati legati al Sesto comandamento tratta da sempre i peccatori con grande umanità, senza mai lanciare verso di loro le brucianti saette dei giudizi morali impietosi. Io che provengo invece da un’altra esperienza e che nella vita precedente al sacerdozio ho percorso la dimensione affettiva e sessuale in lungo e in largo, dinanzi alla confessione di peccati molto più leggeri di quelli che a suo tempo commettevo io, rifletto sempre con gioia sulla grazia, trovandomi oggi per ineffabile mistero ad assolvere mediante il ministero della Chiesa i peccatori, sui quali profondo come devoto instrumentum Dei cristologica tenerezza e misericordia. 

Giunti alla grazia per vie diverse: il Padre Giovanni tramite la purezza angelica, io attraverso la conoscenza approfondita di certi peccati, viviamo entrambi il perenne incanto della grazia di Dio. Questo il motivo per il quale ogni giorno, in noi, non si rinnova certo il concetto del summum ius summa iniuria  [il sommo diritto è somma ingiustizia] ma l’incanto del mistero pasquale: «O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem» [O felice colpa che ci fece meritare un tale e così grande Redentore]. È in questo che risiede la differenza sostanziale e formale che corre tra i piccoli farisei resi spietati nel cuore per la loro chiusura omocentrica alla grazia, i pastori in cura d’anime e gli uomini di Dio resi puri di cuore nella misura in cui hanno accolto e fatto fruttare dentro di sé quei doni di grazia che li ha proiettati in un essere e divenire tutto incentrato in una dimensione cristocentrica, all’interno della quale albergano sentimenti come l’amore, la pietà e la misericordia.

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