Il Sacramento del Matrimonio di Padre Gabriele Giordano M. Scardocci a Santa Maria Novella in Firenze. Siete invitati: vi aspettiamo!

IL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO DI PADRE GABRIELE GIORDANO M. SCARDOCCI A SANTA MARIA NOVELLA IN FIRENZE. SIETE INVITATI: VI ASPETTIAMO!

Invitiamo i nostri Lettori che si trovano a Firenze e dintorni a partecipare all’appuntamento per festeggiare il Sacramento del Matrimonio di Padre Gabriele Giordano M. Scardocci il 17 maggio alle ore 18:00 presso il Convento di Santa Maria Novella in Firenze.

— Novità editoriali —

Autore:
Jorge Facio Lince
Presidente delle Edizioni L’Isola di Patmos

.

Questa pubblicazione del Padre Gabriele Giordano M. Scardocci centrata sugli aspetti del matrimonio nelle Summe dell’Aquinate ha il pregio di dimostrare come oggi il pensiero di questo Santo Dottore della Chiesa è stato perfezionato e migliorato, ma non superato, perlomeno al momento.

In questo nostro presente storico bisognerebbe accettare che avremmo più che mai bisogno di ascoltare coloro che sono venuti prima di noi e che ci hanno lasciato il meglio di se stessi per costruire il presente in divenire e per il nostro futuro in fieri, a partire da due grandi giganti come Sant’Agostino e San Tommaso d’Aquino.

Il valore principale di questo testo possiamo coglierlo “tra” e “nelle” righe, ed è anzitutto quello della testimonianza familiare del Padre Gabriele: il libro si apre con i ringraziamenti alla famiglia perché è solo dopo aver ricevuto, osservato e partecipato che si può meditare qualcosa d’importante come il dono del matrimonio sul quale fare poi una indagine speculativa. Questo è il filo conduttore di tutto il libro dove ai quesiti sulle tematiche così attuali e allo stesso tempo così aride e spinte a generare divisione e incomprensione nella società attuale ― come per esempio la indissolubilità del matrimonio ― l’Autore risponde anzitutto in quanto figlio, poi come teologo, infine attraverso il dono della grazia sacramentale del sacerdozio che ha ricevuto.

La caratteristica principale che risalta in questo lavoro è l’uso che il Padre Gabriele fa del consolidato metodo dell’Aquinate: fondare le speculazioni su ciò che hanno detto i Santi Padri e dottori della Chiesa cogliendo il meglio di ognuno di loro prima di rispondere con le proprie parole. Non si può costruire niente dal nulla o dall’immaginazione, si costruisce attraverso il patrimonio di sapienza a noi lasciato da questa grandi Autorità Morali della Chiesa facendo tesoro di ciò che ci hanno lasciato.

L’Autore parte riprendendo la Summa contra gentiles, l’opera dell’Aquinate più filosofica che presenta una possibilità non solo di riscoprire o conoscere oggi l’opera del Doctor Angelicus, ma dimostra come le tematiche del matrimonio si possono riscontrare per mezzo dell’esercizio della ragione in qualsiasi uomo, società o cultura, anche in forma primitiva o molto elementare. 

L’Autore spiega in che modo quello sessuale non è solo un atto di procreazione ma un atto nel quale l’uomo, come altri animali, deve essere presente da lì in avanti per soddisfare tutte le necessità della vita umana sia della femmina (donna) che dei figli, quindi l’emissione dello sperma non è un atto egoistico, non è finalizzato al piacere e basta, o solo per la riproduzione, ma un primo atto che si perpetua e si aggiorna nel divenire come coppia e come genitore, successivamente come padri. Questo al contrario delle tante coppie che si riproducono senza aver mai pensato a fare i genitori e quindi a essere padre e madre.

La nozione di parità tra uomo e donna non è stata una lotta degli ultimi decenni, uno slogan elevato a pilastro sociale contemporaneo. Padre Gabriele spiega e dimostra che la femmina non è solo un oggetto e un mezzo di riproduzione o di abbellimento della propria vita alla maniera di un trofeo, ma deve essere compagna, dunque rispettata anche quando comincia a passare il tempo e l’incanto giovanile estetico deve lasciare spazio ad altre bellezze più genuine e delicate che nascono dell’interiorità umana e dal correre della vita stessa.

In conclusione finisce per risaltare nell’opera l’argomentazione sul bisogno di stabilità e di sicurezza nei rapporti umani che non sono solo certezza e veridicità di un sentimento, ma anche un valore antropologico necessario per l’uomo chiamato a vivere un senso e una pienezza profonda del suo essere singolo e sociale.

Invitiamo i nostri Lettori che si trovano a Firenze e dintorni a partecipare all’appuntamento per festeggiare il Sacramento del Matrimonio di Padre Gabriele Giordano M. Scardocci il 17 maggio alle ore 18:00 presso il Convento di Santa Maria Novella in Firenze.

dall’Isola di Patmos, 13 maggio 2023

Beata Vergine Maria di Fatima

.

.

.

______________________

Cari Lettori,
questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:

O se preferite potete usare il nostro
Conto corrente bancario intestato a:
Edizioni L’Isola di Patmos

Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT:
BAPPIT21D21

Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento:
isoladipatmos@gmail.com

Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.

I Padri dell’Isola di Patmos

.

.

«Bergoglio, eretico e apostata, bestemmia la Madonna». Parola di un eretico solare con l’ossessione di Maria corredentrice che chiederebbe la proclamazione del quinto dogma mariano

—  Attualità ecclesiale —

«BERGOGLIO, ERETICO E APOSTATA, BESTEMMIA LA MADONNA!». PAROLA DI UN ERETICO SOLARE CON L’OSSESSIONE DI MARIA CORREDENTRICE CHE CHIEDEREBBE LA PROCLAMAZIONE DEL QUINTO DOGMA MARIANO

Persino Ario e Pelagio impallidirebbero dinanzi a simili parole: «Fatima può essere considerata per la sua ricaduta profetica, ecclesiale, mistica, storica … possiamo chiamare Fatima “rivelazione privata”? Credo di no. Allora sarebbe bene parlare di “rivelazione primaria”, che è la parola di Dio, la Sacra Scrittura, la tradizione, e “rivelazione secondaria” […]»

 

.

PDF  articolo formato stampa

 

.

Lo youtuber più eretico del sistema solare, certo Alessandro Minutella, già presbitero dell’Arcidiocesi di Palermo, incorso in scomunica per delitto di eresia e scisma e infine colpito dal provvedimento tanto estremo quanto raro della dimissione dallo stato clericale, ha dato vita dal 2017 a un culto mariolatrico intriso di esoterismo e millenarismo; culto che non ha niente da spartire con la devozione da sempre tributata alla Beata Vergine Maria dalla Chiesa universale, ma neppure con la fede popolare dei semplici animati spesso da quella santa ignoranza che porterà eserciti di persone a guadagnarsi la salvezza dell’anima con una mezza Ave Maria recitata male «nell’ora della morte». Mentre invece a noi, che siamo stati dotati di intelletto, scienza e conoscenza, per meritare la salvezza eterna delle nostre anime sarà chiesto molto di più (cfr. Lc 12, 48). Tuona il nostro in una delle sue dirette giornaliere:

«I modernisti sono furbi, Fatima può essere considerata per la sua ricaduta profetica, ecclesiale, mistica, storica … possiamo chiamare Fatima “rivelazione privata”? Credo di no. Allora sarebbe bene parlare di “rivelazione primaria”, che è la parola di Dio, la Sacra Scrittura, la tradizione, e “rivelazione secondaria” […]» [cfr. video, QUI].

Dopo questa affermazione eretica che tocca l’essenza stessa della Rivelazione ― che è una ed è legata unicamente a Cristo Dio ― il prossimo passo quale sarà, forse l’inserimento della Madonna nella Santissima Trinità? Eppure, se prendessimo il diretto interessato e di fronte a questa sua affermazione teologicamente delirante gliene chiedessimo conto, per tutta risposta saremo investiti da una mitragliata di sofismi. Oppure, se messo dinanzi al documento video dove c’è lui che parla facendo queste affermazioni, non esiterebbe a rispondere che le persone hanno capito male, che non intendeva dire quello ma altro.

Ossessionato dall’idea di “Maria corredentrice” [cfr. video QUI] da anni seguita a lanciare accuse violente al Sommo Pontefice Francesco, manipolando e falsando i dati storici, gli scritti e i discorsi. Così fa da anni, duole profondamente che certi suoi seguaci accecati dai suoi discorsi affabulatori non vogliano proprio rendersi conto del suo castello di contraddizioni e falsità.

Sul piano teologico e alla luce del Mistero della Rivelazione, è indubbio che la Beata Vergine abbia contribuito col suo Divino Figlio alla redenzione dell’umanità, ma crocifisso come vittima sacrificale per la redenzione degli uomini è morto il Redentore, non la Madonna, che stava ai piedi della croce, sulla quale non fu inchiodato lei, ma Gesù Cristo. Poi, se vogliamo andare alla più profonda e intima sostanza, basterebbe ricordare che Gesù Cristo non era una creatura, era Dio «generato non creato della stessa sostanza del Padre» [Cfr. Simbolo di Fede Niceno-Costantinopolitano]. Mentre Maria, per quanto immacolata e preservata dal peccato originale, è una creatura creata, non è Dio, tanto meno generata non creata della stessa sostanza del Padre. E per inciso ricordiamo che il Dio Trinitario si adora in tutte e Tre le sue Santissime Persone, mentre Maria si venera. Nel lessico teologico siamo soliti parlare di latria, dulia e iperdulia. Col termine latria si intende il culto di adorazione riservato solo a Dio. Col termine dulia si intende il culto riservato ai Santi, che è culto di venerazione e non di adorazione. Col termine iperdulia s’intende il culto di alta venerazione riservato e dovuto alla Immacolata Concezione, la Beata Vergine Maria, la Mater Dei, che rimane comunque culto di venerazione rivolto alla più perfetta delle creature create, che rimane creatura creata.

La mariologia non è qualche cosa di a sé stante, quasi come se vivesse di vita autonoma: «La mariologia non è altro che una appendice della Cristologia ed è inserita in una precisa dimensione teologica di cristocentrismo. Se la mariologia è in qualche modo distaccata da questa centralità cristocentrica, si può correre il serio rischio di cadere nel mariocentrismo. Se poi il tutto è filtrato attraverso emotività di stampo fideistico, in quel caso si può cadere nella vera e propria mariolatria, che equivale a dire: paganesimo allo stato puro. A quel punto, Maria, potrebbe assumere tranquillamente il nome di qualsiasi dea dell’Olimpo greco o del Pantheon romano».

Lo youtuber più eretico del sistema solare imputa così al Sommo Pontefice Francesco di avere sprezzato e irriso la “corredenzione” di Maria e di avere definito — udite, udite! — i dogmi mariani delle sciocchezze. E proprio a tal proposito afferma:

«[…] Bergoglio considera la Madonna una donna qualunque, una come tutte le altre […] Bergoglio non crede ai dogmi mariani e li ha definiti come delle tonterias (sciocchezze)».

Lungi dal negare i dogmi mariani come gli attribuisce lo youtuber più eretico del sistema solare, in verità il Santo Padre ha detto queste esatte parole:

«Quando vengono da noi con storie che si dovrebbe dichiararla [Maria] questo, o fare quest’altro dogma oppure questo, dico: non perdiamoci in sciocchezze» [cfr. omelia del 12 dicembre 2019, testo integrale, QUI].

E di nuovo:

«Cristo è il Mediatore, il ponte che attraversiamo per rivolgerci al Padre. È l’unico Redentore: non ci sono co-redentori con Cristo, [Maria] come Madre alla quale Gesù ci ha affidati, avvolge tutti noi; ma come Madre, non come dea, non come corredentrice: come Madre […] È vero che la pietà cristiana sempre le dà dei titoli belli, come un figlio alla mamma: quante cose belle dice un figlio alla mamma alla quale vuole bene! Ma stiamo attenti: le cose belle che la Chiesa e i Santi dicono di Maria nulla tolgono all’unicità redentrice di Cristo. Lui è l’unico Redentore. Sono espressioni d’amore come un figlio alla mamma, alcune volte esagerate. Ma l’amore, noi sappiamo, ci fa fare cose esagerate, ma con amore» [Udienza generale del 24 marzo 2021, testo integrale QUI].

Stravolgendo totalmente come suo uso e stile i discorsi, dal 2019 accusa il Sommo Pontefice Francesco di essere un miscredente che nega i dogmi mariani, che ha una visione luterana della mariologia e che disprezza il titolo di corredentrice che la Madonna stessa avrebbe richiesto insistentemente fosse proclamato affidando questo messaggio alla veggente Ida Peerdeman, alla quale la Beata Vergine avrebbe chiesto tra il 1945 e il 1959 la proclamazione di un quinto dogma mariano per Maria corredentrice e mediatrice di ogni grazia [cfr. video QUI].

«La falsa Chiesa del falso Papa Bergoglio ha fatto smentire le apparizioni di Amsterdam […]. Questa Signora di tutti i popoli che si presenta “mi chiameranno Signora” e che annuncia, anticipa la proclamazione del quinto dogma mariano [di Maria corredentrice] gli sta sullo stomaco, non la sopporta. Lui non sopporta le apparizioni mariane, beninteso. Fatima: è andato a Fatima e ha detto “a questa Madonna che appare e minaccia castighi preferisco la Maria dei Vangeli”. E la gente che purtroppo è tenuta nell’ignoranza dai preti non ha capito che stava bestemmiando […] Bergoglio è un ottimo allievo della Massoneria, ai livelli più alti. Bergoglio ha questa capacità che gli viene da Satana: distrugge i suoi avversari» [cfr. video QUI].

La psichiatria e le scienze sociali ci insegnano e dimostrano che il fanatico violento deve trovare anzitutto un oggetto sul quale indirizzare l’odio delle masse, servendosi di notizie false e di dati totalmente manipolati. La storia della geopolitica ha ripetutamente dimostrato, dopo la caduta di certi regimi, in che modo questi avessero degli efficienti e appositi uffici, gestiti da eccellenti specialisti, il cui scopo era quello di manipolare dati e informazioni sino a creare una realtà del tutto diversa da quella oggettiva.

Ovviamente lo youtuber più eretico dell’intero sistema solare dimentica che il tema circa la proclamazione del quinto dogma mariano di Maria corredentrice non è stato accolto, per questioni teologico-prudenziali, da tutti i Sommi Pontefici della storia, persino da quelli particolarmente devoti alla Beata Vergine, da Pio XII sino a San Giovanni Paolo II che l’emblema mariano lo volle nel suo stemma pontificio e sotto la sua protezione mise il suo pontificato sin dall’omelia pronunciata nel 1978 per l’inizio del ministero petrino.

Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, che questo imbonitore ha definito per anni come uno dei più grandi teologi del Novecento, già da Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede spiegò più volte che il termine stesso “corredentrice” creava sul piano teologico dei problemi oggettivi con la cristologia.

I fideisti mariolatri passionari replicano che alcuni Sommi Pontefici, per esempio Pio XI e San Giovanni Paolo II, in alcuni loro discorsi usarono questo termine. È vero, ma questo termine lo usarono per indicare nel preciso contesto del discorso che Maria aveva collaborato per la nostra redenzione, cosa diversa dalla definizione di un dogma. Né si obbietti, come fanno i digiuni totali di teologia, ma che proprio per questo presumono di poter dissertare nelle più delicate sfere della dogmatica:

«… ma San Luigi Maria Grignion de Montfort nel suo Trattato sulla vera devozione a Maria ha scritto che … ma la Madonna di Amsterdam in una rivelazione privata ha chiesto che … la tal mistica, la tal veggente hanno detto che in una rivelazione privata la Madonna gli ha chiesto che …».

Veramente qualcuno è disposto a credere che la Beata Vergine Maria avrebbe chiesto di essere proclamata corredentrice con un quinto dogma mariano? Sorridiamo per non piangere su quelle che a giusta ragione il Santo Padre Francesco ha definito tonterias (sciocchezze) che rendono taluni soggetti parecchio arroganti e difficilmente gestibili, proprio perché la loro arroganza va di pari passo con la loro ignoranza.

Si provi a ragionare: è pensabile che la Beata Vergine che si è definita umile serva, la donna dell’amore donato, del silenzio e della riservatezza, colei che come finalità ha quella di guidare a Cristo, possa veramente domandare a dei veggenti o a dei visionari di essere proclamata corredentrice e messa quasi al pari del Divino Redentore?

Il termine stesso di corredentrice è in sé e di per sé in conflitto con l’essenza della cristologia e il mistero della redenzione operata unicamente da Dio Verbo incarnato, che non necessita di co-redentori e co-redentrici. Il mistero della redenzione è un tutt’uno con il mistero della croce sulla quale, come già detto poc’anzi, è morto come agnello immolato Dio fatto uomo, non la Beata Vergine Maria, che alla fine della sua vita si è addormentata ed è stata assunta in cielo, non è morta e risorta il terzo giorno sconfiggendo la morte. La Beata Vergine, prima creatura dell’intero creato al di sopra di tutti i Santi per sua immacolata purezza, non perdona i nostri peccati e non ci redime, intercede per la remissione dei nostri peccati e per la nostra redenzione. Quando ci rivolgiamo a lei attraverso la preghiera, sia nella Ave Maria che nel Salve Regina, da sempre, nell’intera storia e tradizione della Chiesa, la invochiamo dicendo «prega per noi peccatori», non le chiediamo di rimettere i nostri peccati né di salvarci. È al Dio Trinitario che chiediamo «rimetti a noi i nostri debiti», ossia perdona i nostri peccati, non lo chiediamo alla Madonna, che può intercedere per la remissione dei nostri peccati, ma non perdonarli. Quando recitiamo le Litanie Lauretane, nella prima parte dove si invocano il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, a ogni invocazione rispondiamo: «Abbi pietà di noi», alle invocazioni alla Beata Vergine rispondiamo: «Prega per noi». Già questo dovrebbe bastare a chiudere un discorso improponibile sul piano teologico come quello di Maria corredentrice.

Detto questo bisogna precisare che molte persone sanamente e santamente devote alla Beata Vergine, ciò che vogliono dire col termine corredentrice è qualche cosa di esatto, ma espresso con una parola sbagliata, cosa che compresi discutendo con una mia amica molto cara che considero un vero modello di devozione mariana. Di fatto intendono dire che Maria ha cooperato alla nostra redenzione. Un dato al quale possiamo aggiungere: e lo ha fatto in modo particolare e come nessun Santo avrebbe mai potuto fare, perché lei sola è la Mater Dei. Il tutto con buona pace dello youtuber più eretico del sistema solare il quale potrebbe persino indurci a ridere, con le sue follie pseudo-teologiche e mariologiche. Ma purtroppo, dietro c’è il disastro delle anime che trascina nell’errore, cosa sulla quale c’è poco da ridere e molto invece da piangere.

dall’Isola di Patmos, 11 maggio 2023

.

È appena uscito ed è in distribuzione il nuovo libro di Padre Ariel, potete acquistarlo cliccando direttamente sull’immagine di copertina o entrando nel nostro negozio librario QUI

.

______________________

Cari Lettori,
questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:

O se preferite potete usare il nostro
Conto corrente bancario intestato a:
Edizioni L’Isola di Patmos

Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT:
BAPPIT21D21

Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento:
isoladipatmos@gmail.com

Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.

I Padri dell’Isola di Patmos

.

.

Quando la scuola italiana non rivendica la propria laicità: porno-attore in cattedra in un liceo torinese

—  attualità —

QUANDO LA SCUOLA ITALIANA NON RIVENDICA LA PROPRIA LAICITÀ: PORNO-ATTORE IN CATTEDRA IN UN LICEO TORINESE

Il 22 aprile è stato invitato Max Felicitas presso il liceo Alfieri di Torino, il tutto durante la settimana di autogestione, donando agli adolescenti della nostra scuola veramente laica delle preziose perle di saggezza su porno e revenge porn …

 

.

Cari Lettori,

sono un ragazzo semplice, un ragazzo di campagna, basti pensare che firmo con la croce. Beninteso, ciò non perché sono un vescovo — i vescovi quando firmano mettono una croce davanti al loro nome —, ma perché sono analfabeta. Infatti non sono io che scrivo, ma un altro che scrive per me sotto dettatura.

La mia semplicità e la mia ignoranza mi impongono quindi di chiedere lumi ai sapienti. E oggi, la sedes sapientiae, sono i social media. Non è necessario neppure un computer, basta un telefonino, dinanzi al quale serve a ben poco la grande Biblioteca Nazionale con tutto ciò che di inutile essa contiene. Anzi, non capisco come mai non vi abbiano fatto ancora un centro commerciale o un grande fast-food.

Cominciando ad avere pure una certa età, quindi sicuramente esposto ai primi colpi di demenza senile, se non ricordo male mi sovvengono alla mente avvenimenti di questo genere accaduti proprio nelle varie scuole italiane:

1. periodo natalizio: proibiti presepi e canti di Natale nelle scuole, i maomettani potrebbero rimanerne disturbati;

2. impedita la visita alla scuola al vescovo della diocesi mentre si trovava in visita pastorale in quella zona, perché la scuola è laica;

3. impedito l’ingresso alla scuola al parroco durante la benedizione pasquale delle famiglie, perché la scuola è di tutti, soprattutto dei figli dei non credenti che potrebbero rimanere traumatizzati a vita da due gocce di acquasanta;

4. cardinale italiano noto come insigne studioso nonché ex accademico invitato dal comitato di studenti cattolici per una lectio magistralis all’università, impedita e annullata perché i collettivi della sinistra hanno minacciato proteste al grido “laicità, laicità!”;

ecc … ecc …

Se la demenza senile che incombe non confonde i miei ricordi, mi pare di ricordare che all’Università La Sapienza di Roma fu impedito l’ingresso al Sommo Pontefice Benedetto XVI che con un saluto avrebbe turbato, ma che dico: profanato in modo sacrilego il dogma della laicità. A poco è valso ricordare che quella università fu fondata e sovvenzionata dai Romani Pontefici e che il suo nome — La Sapienza — deriva da una antifona liturgica del periodo di Avvento che recita:

O Sapientia,
quae ex ore Altissimi prodisti,
attingens a fine usque ad finem, fortiter
suaviter disponensque omnia:
veni ad docendum nos viam prudentiae

O Sapienza,
che uscisti dalla bocca dell’Altissimo,
arrivando da confine a confine, e con forza
dolcemente tutto disponendo:
vieni ad insegnarci la via della prudenza. 

Accadde anche a me nel 2011, quando con Franco Cardini tenni una conferenza presso la Facoltà di Lettere e Filosofia de La Sapienza di Roma. Mentre salivo lo scalone d’entrata quattro mocciosi dissero: «L’università è laica». Risposi: «Certo, allora venite a sentire la mia conferenza, perché parlerò proprio del valore della laicità e dell’importanza della separazione tra Stato e Chiesa».

Il 22 aprile è stato invitato Max Felicitas presso il liceo Alfieri di Torino, il tutto durante la settimana di autogestione, donando agli adolescenti della nostra scuola veramente laica delle preziose perle di saggezza su porno e revenge porn. Assieme a lui la sessuologa Nada Loffredi e l’avvocato Lorenzo Puglisi in un’aula gremita, ovviamente molto laica, anzi laicissima, perché il porno è quanto di più laico si possa offrire ai nostri ragazzi [vedere QUI, QUI, QUI]

Sono certo che se adesso affermerò che questo è una autentica laicità del cazzo nel senso più realistico e deleterio del termine, qualche anima pia “cattolica” rimarrà scossa e turbata a tal punto da inviare di corsa la sua email di rito al mio Vescovo, lamentando che sono un prete volgare, o peggio «una vergogna di prete». Spero che quel sant’uomo del mio Vescovo, che non ha mai detto una parolaccia nel corso della sua vita intera, valutata la gravità del fatto testé esposto e di quanto da me trattato, risponda a certi bigotti più molesti delle zanzare delle paludi del vecchio Agro Pontino … «E basta, con le vostre scemenze mi avete letteralmente rotto il cazzo!».

Evviva la scuola laica!

dall’Isola di Patmos, 26 aprile 2023

 .

.

______________________

Cari Lettori,
questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:

O se preferite potete usare il nostro
Conto corrente bancario intestato a:
Edizioni L’Isola di Patmos

Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT:
BAPPIT21D21

Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento:
isoladipatmos@gmail.com

Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.

I Padri dell’Isola di Patmos

.

.

«Digressioni di un prete liberale». Il nuovo libro di Ariel S. Levi di Gualdo all’insegna del politicamente scorretto, ma soprattutto del conoscere la verità che ci farà liberi

«DIGRESSIONI DI UN PRETE LIBERALE». IL NUOVO LIBRO DI ARIEL S. LEVI di GUALDO ALL’INSEGNA DEL POLITICAMENTE SCORRETTO, MA SOPRATTUTTO DEL CONOSCERE LA VERITÀ CHE CI FARÀ LIBERI

 

Meglio che certi fatti ed errori siano messi in luce da chi ama e venera la Chiesa di Cristo, anziché tacere e attendere che a porli in risalto siano i suoi peggiori nemici, abituati a trattare la verità con tutt’altro stile e per ben altri scopi, altrimenti nascono poi quei disastri spesso irreparabili che finiscono impressi sulle pagine di storia a nostra perenne vergogna.

— Novità editoriali delle Edizioni L’Isola di Patmos —

Autore:
Jorge Facio Lince
Presidente delle Edizioni L’Isola di Patmos

.

Dio è per definizione liberale perché la libertà l’ha creata e donata all’uomo assieme al libero arbitrio. Liberamente ha donato il Suo unigenito figlio Gesù Cristo, che ha invitato ogni uomo a praticare la propria libertà, improntando le proprie relazioni nel rispetto dei principi di fraternità e di uguaglianza. Il Verbo di Dio ci ha anche impartito un comando: «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» operando una netta separazione tra sfera politica e religiosa molti secoli prima che nascessero l’Illuminismo, il Liberalismo e la Rivoluzione Francese con la tragica entrata in azione delle sue ghigliottine dopo sommari processi celebrati farsescamente in nome della libertè, fraternitè, egalitè.

 

per accedere al negozio librario cliccare sull’immagine del libro

 

Questo libro può essere letto anche come un costruttivo sberleffo rivolto a quei clericali ― molto più numerosi tra i laici cattolici di quanto non lo siano tra ecclesiastici e teologi ― incapaci a comprendere cosa sia la fede, pur convinti di possedere la vera fede e poterla insegnare e trasmettere agli altri. La fede è un dono che può essere accolto e pienamente sviluppato solo da degli autentici liberali, capaci a esercitare con fides et ratio la libertà dei figli di un Dio che è il più grande liberale della storia dell’umanità da Lui generata, prima dei tempi e al di là dei tempi.

Con un lavoro storico condotto in modo rigoroso e interamente sorretto sulle fonti, l’Autore ha fatto anche una analisi critica sui pontificati dei Santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, entrambi vissuti in contesti socio-culturali e geopolitici di estrema e delicata complessità. Ben chiarendo che i Santi, ai quali per essere proclamati tali è richiesta la eroicità delle virtù e non la perfezione, non sono stati esenti da errori. Per questo le loro figure storiche possono essere tutelate solo attraverso la verità dei fatti, non con quelle manipolazioni clericali attraverso le quali si pensa che la polvere possa essere nascosta sotto i tappeti. Anzi, proprio per la loro somma tutela è meglio che certi fatti ed errori siano messi in luce da chi ama e venera la Chiesa di Cristo, anziché tacere e attendere che a porli in risalto siano i suoi peggiori nemici, abituati a trattare la verità con tutt’altro stile e per ben altri scopi, mentre i clericali pavidi preparano il lauto pasto ai lupi affermando col cinismo che li caratterizza: «Chi me lo fa fare di andare a cercarmi problemi con simili analisi pericolose? A risolverli ci penseranno poi quelli che verranno dopo, io preferisco vivere una vita quieta e godermi la bella carriera ecclesiastica che mi sono costruito». Sì, la devastante carriera delle tre leggendarie scimmiette: non vedo, non sento, non parlo. E nel mentre la Casa di Dio brucia e i nostri nemici confezionano le peggiori leggende nere su brandelli di verità. Però ci penseranno quelli che verranno dopo.

Proprio da questo modo di pensare e agire che racchiude in sé del perverso, nascono poi quei disastri spesso irreparabili che finiscono impressi sulle pagine di storia a nostra perenne vergogna.

dall’Isola di Patmos, 20 aprile 2023

.

.

Per visitare il nostro negozio librario cliccare QUI

.

______________________

Cari Lettori,
questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:

O se preferite potete usare il nostro
Conto corrente bancario intestato a:
Edizioni L’Isola di Patmos

Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT:
BAPPIT21D21

Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento:
isoladipatmos@gmail.com

Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.

I Padri dell’Isola di Patmos

.

.

Venerabili Fratelli Sacerdoti, la Chiesa sta vivendo una crisi senza precedenti e noi stiamo vivendo la più difficile delle prove: la grande prova della fede

—  Theologica – Meditazione per il Giovedì Santo —

VENERABILI FRATELLI SACERDOTI, LA CHIESA STA VIVENDO UNA CRISI SENZA PRECEDENTI E NOI STIAMO VIVENDO LA PIÙ DIFFICILE DELLE PROVE: LA GRANDE PROVA DELLA FEDE  

Oggi, se la malattia è presa in tempo, si può guarire da molte forme di cancro, ma il clericalismo, in particolare quello dei falsi e degli ipocriti viscidi, è una malattia che rischia di essere incurabile, oltre a essere da sempre la peggiore metastasi che può diffondersi nel corpo della Chiesa compromettendo qualsiasi ricerca a cammino di fede nei presbiteri e nei fedeli.

 

 

PDF  articolo formato stampa

 

.

La severità che spesso uso, unita all’occorrenza a un’ironia affatto casuale ma voluta e soprattutto scientifica, mi porta a ipotizzare che forse non si abbia tempo di pensare ai preti. È probabile che presto giungeremo ad affiggere sulle porte delle nostre chiese l’avviso «saldi di fine stagione», oppure «svendita fallimentare». Nel Nord dell’Europa accade da tempo, quando nel 2010 mi recai a svolgere studi di approfondimento in Germania ho potuto vedere stabili di antiche chiese, sino a pochi decenni prima comunità parrocchiali, vendute e convertite in eleganti negozi, ristoranti, saloni per parrucchieri, alcune persino in night club. Nel mio libro E Satana si fece trino pubblicato a fine 2010 scrissi: «[…] un fiume in piena sta scendendo dal Nord dell’Europa e presto travolgerà anche noi».

Salvador Dali, Ultima cena

La situazione di molte diocesi italiane è drammatica, la penuria di clero sempre più alta e l’età media di certi presbitèri ha superato in molte i 70 anni. Le statistiche delle grandi diocesi sembrano bollettini di guerra, la media è pari ormai a 10 presbiteri defunti a fronte di uno o due nuovi ordinati. In alcune diocesi non si ordinano presbiteri da anni mentre nel corso degli stessi anni ne sono morti diversi. È inevitabile che nel giro di vent’anni, ma anche prima, le attuali 225 diocesi italiane saranno ridotte a 70 o 80 e che nei territori di quelle diocesi finite soppresse, composte oggi da 50 o 60 presbiteri avanti con l’età, ci saranno solo tre o quattro preti a prestare servizio girando per tutto l’intero territorio.

Sotto il pontificato di Benedetto XVI, tra il 2005 e il 2013 ci fu una leggera ripresa delle vocazioni, sotto quello del Sommo Pontefice Francesco, tra il 2014 e il 2022 c’è stato un calo vertiginoso dell’ingresso nei seminari e nei noviziati religiosi. L’anno 2022 ha registrato 1.045 presbiteri del clero secolare e regolare defunti e 392 nuove ordinazioni di presbiteri del clero secolare e regolare. I presbiteri defunti superano del 65% quello dei nuovi ordinati.

Nella stessa Roma sono stati venduti molti stabili ecclesiastici di vari ordini e congregazioni religiose e numerosi altri sono in stato di agonia. Stabili faraonici abitati ormai da quattro o cinque anziani religiosi e religiose che a breve faranno la stessa fine. E se a Roma accade questo, vi lascio immaginare quale grande vendita del patrimonio ecclesiastico è ormai in corso in tutta Italia.

Dinanzi a questo inesorabile e irreversibile declino, stiamo forse seriamente pensando a una adeguata formazione dei sacerdoti, a ripensare i seminari oggi strutturati in modo a dir poco inadeguato e per certi versi anacronistico, o a puntare tutto su una attenta pastorale vocazionale che comporterebbe anzitutto presentare come modelli di vita dei veri sacerdoti di Cristo, non dei preti secolarizzati simili a liberi professionisti del religioso o ad assistenti sociali, ridotti spesso a celebratori compulsivi di Sante Messe in corsa da una parrocchia all’altra, senza che alcun vescovo si domandi quando pregano, quando studiano, quando curano la loro vita sacerdotale? Se non ci sono più sacerdoti per coprire le parrocchie del circondario, in tal caso si dovrebbe procedere con la soppressione canonica lasciando una sola parrocchia e dicendo a chiare note ai fedeli che devono smetterla di pretendere la chiesa sotto casa e fare quattro o cinque chilometri per andare alla Santa Messa, proprio come riescono a farne 40 o 50, anziani in testa a tutti, quando si tratta invece di andare ai grandi centri commerciali. Se le famiglie che compongono la comunità cristiana non sono più in grado di esprimere vocazioni, sarà bene che i Christi fideles si assumano anch’essi le loro responsabilità, anziché pretendere di spremere i preti sino al loro esaurimento. Come però sappiamo viviamo nella Chiesa della mancanza di assunzione di responsabilità, da parte del clero per un verso, dei fedeli spesso egoisti e pigri per altro verso.

Per risolvere questi problemi ormai irreversibili, anziché ricorrere a quelle scelte radicali purtroppo necessarie, si tende invece a escogitare i peggiori espedienti evitando di fare i conti con quei nostri fallimenti che sovente gridano al cielo. Tanti sarebbero gli esempi, prendiamone uno solo: diversi vescovi, con tanto di solenni cerimonie, hanno già provveduto in giro per l’Italia ad affidare delle comunità parrocchiali a delle “accolitesse” istituite, o nella migliore delle ipotesi a dei diaconi permanenti tramite i quali è stata riesumata la antica Missa sicca[1], molto in voga tra il tardo Medioevo e il Rinascimento, finché dopo la riforma liturgica del Santo Pontefice Pio V scomparve[2]. Però, come capita quando si pensa di fare grandi passi in avanti, non si fa altro che tornare indietro per dare tragica ripetizione alla storia passata, specie a quella più fallimentare. Perché di solito la storia si ripete sempre due volte: prima come tragedia e poi come farsa grottesca[3].

IL SACERDOTE È SUPERIORE AGLI ANGELI DI DIO MA RIMANE UN FRAGILE PECCATORE

Se il Verbo di Dio fatto uomo avesse voluto una Chiesa formata da entità angeliche non l’avrebbe fondata sulla terra, ma in quella Gerusalemme Celeste di cui ci parla il Beato Apostolo Giovanni nel capitolo XXI dell’Apocalisse. Invece l’ha fondata sulla terra, usando uomini corrotti dal peccato originale (cfr. Gn 2,17) ed esposti alla corruzione del peccato.

Durante l’Ultima Cena, istituendo la Santissima Eucaristia come mistero vivo della sua presenza e consacrando gli Apostoli sacerdoti della Nuova Alleanza, li rese partecipi del sacerdozio ministeriale del Cristo Sommo Sacerdote (cfr. Eb 2,17; 4,14). Consacrandoli sacerdoti li elevò così in dignità al di sopra degli stessi Angeli di Dio[4]. Questa dignità non impedisce all’uomo-sacerdote di cadere nel peccato o di essere in certe occasioni un vero e proprio diffusore del peccato, nei casi più gravi e rari può persino accadere che il sacerdote giunga a mutarsi in un corruttore in grado di creare strutture di peccato all’interno della Chiesa. Basti pensare cosa fu capace di fare Giuda Iscariota, anche lui aveva ricevuto come tutti gli Apostoli prescelti la prima Eucaristia e la consacrazione sacerdotale.

Ci sono vari passi del Santo Vangelo che mettono in luce tutte le fragilità umane degli Apostoli, a partire da Pietro scelto da Cristo come Capo del Collegio Apostolico, che poco dopo avere ricevuto la sua investitura (cfr. Mt 16, 30-20) si dette alla fuga per primo dinanzi al pericolo, rinnegando il Divino Maestro per tre volte, come riportano i racconti dei tre Vangeli sinottici e il Vangelo di Giovanni. Nel racconto degli Evangelisti Marco e Matteo si precisa che Pietro, alla terza volta che gli veniva chiesto se conoscesse quell’uomo «cominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco quell’uomo!”». Nella cultura giudaica dell’epoca, giurare il falso o tirare in ballo il nome di Dio con un giuramento era considerato un delitto gravissimo che poteva essere punito persino con la morte. Eppure Pietro, il primo Capo del Collegio degli Apostoli, fece questo: imprecò e giurò il falso dicendo di non conoscere il Cristo.

Nel periodo successivo alla risurrezione di Cristo e dopo avere ricevuto i doni di grazia dello Spirito Santo a Pentecoste (cfr. At 2, 1-41), Pietro fu duramente rimproverato ad Antiochia dall’Apostolo Paolo che lo accusò di ambiguità e ipocrisia (cfr. Gal 2, 11-14). Per inciso: non mi risulta che nessuno abbia mai tacciato il Beato Apostolo di essere arrogante o più semplicemente inopportuno nelle sue espressioni critiche, anzi mi risulta che si debba tributargli tutt’oggi grande merito, perché se fosse stato per la “ipocrisia” e la “ambiguità” di Pietro o per un certo “integralismo” di Giacomo il Maggiore, oggi non saremmo ciò che siamo, ma solo una sètta giudaico-cristiana. Come tali non saremmo sopravvissuti, come non è sopravvissuto l’Ebraismo come religione dopo il 70 d.C. con la caduta del Tempio. Infatti, l’Ebraismo di oggi, è solo una pantomima di quella che fu l’antica religione ebraica, basti solo dire che sono scomparse le caste sacerdotali e i rituali di consacrazione che erano tutti quanti strettamente legati al Tempio. Elementi questi di cui scrissi in un mio corposo saggio del 2006: Erbe amare, il secolo del Sionismo.

C’è un passo drammatico del Vangelo della Passione di Cristo dove si narra l’arresto del Signore, dinanzi al quale risuonano queste parole: «Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono» (Mt 26, 56). Se ci pensiamo bene quello fu l’unico concilio della Chiesa dove tutti i Padri furono unanimi nella decisione. Per costituire la propria Chiesa, immagine visibile del corpo di cui Egli è capo e noi membra come illustra il Beato Apostolo Paolo (cfr. Col 1, 18), Cristo scelse degli uomini gravati da tutti i loro limiti, debolezze e inadeguatezze, che dinanzi all’arresto del Divino Maestro fuggirono.

I fedeli cattolici, ma anche le persone distanti dalla Chiesa o persino i non credenti, spesso pretendono che il sacerdote abbia quella purezza di vita che loro non hanno e che semmai non vogliono nemmeno avere. Talvolta i fedeli cattolici tendono ad avere del sacerdote un’idea surreale completamente scissa da quella che è la realtà del sacro ministero, rifiutandosi di capire che esercitarlo oggi è molto più difficile di quanto non lo fosse 100 anni fa, ma anche e solo 50 anni fa.

Il sacerdote, per il Sacramento di grazia col quale è stato segnato e per il sacro ministero a cui è chiamato, può finire con l’essere soggetto molto più di altri alle tentazioni del Demonio, perché è dispensatore della grazia attraverso i sacri misteri, per questo si accanirà con i consacrati in modo particolare. E questa fu una delle prime lezioni che imparai quando feci i corsi di formazione per gli esorcisti.

SENZA L’USO DELL’ELEMENTO STORICO NON SI PUÒ FARE TEOLOGIA NÉ SI POSSONO CAPIRE A FONDO CERTE SITUAZIONI RADICATE NEL CLERO, SE PERÒ LO FAI PRESENTE, PRONTA LA RISPOSTA DEL CLERICALE CHE MANIPOLA IL SANTO VANGELO: «CHI SEI TU PER GIUDICARE?» 

 Uno dei miei principali formatori fu il gesuita Peter Gumpel (1923-2022), eminente storico del dogma, che mi trasmise l’importanza fondamentale della storia nello studio della dogmatica, tutt’oggi materia di mio interesse e ricerca. Un teologo dogmatico privo di solidi fondamenti dati da adeguate conoscenze storiche, può seriamente rischiare di non avere una reale percezione dei fondamenti della fede finendo col perdersi nell’iperuranio della metafisica onirica. Dietro ai grandi concili dogmatici, a partire dal Primo niceno per seguire col Primo costantinopolitano che definiscono le verità fondamentali e che elaborano il nostro Simbolo di Fede, c’è una storia complessa e articolata intrecciata con articolate vicende politiche e difficili rapporti che correvano già all’epoca tra la Chiesa di Oriente e quella di Occidente.

I chierici hanno sempre vissuto momenti ciclici di decadenza dottrinale e morale particolarmente gravi. Se qualcuno non conosce la storia, è inutile se la prenda con me che in scritti o interventi pongo spesso in luce certe odierne derive ecclesiali ed ecclesiastiche. Non posso che sorridere su certe “anime delicate” che giudicano le mie parole come una sorta di attentato di lesa maestà clericale, posto che la Chiesa è il Corpo Mistico di Cristo (cfr. Col 1, 18), non un circolo chiuso trasformato in una «struttura di peccato» piena di «sporcizia»[5], da coprire e proteggere in ogni modo con atteggiamenti distruttivi verso chiunque osi esercitare il prezioso dono critico dato dalla libertà dei figli di Dio. Chi agisce con atteggiamenti omertosi clericali dimostra anzitutto in modo inquietante di non conoscere le opere di molti Santi Padri e dottori della Chiesa che usarono forme di severità e durezze di linguaggio ben superiori alle mie. Può essere però che non abbiano mai letto gli scritti in cui San Pier Damiani condanna con toni di fuoco la pratica della sodomia diffusa tra il clero[6], o il testo indirizzato da San Bernardo di Chiaravalle al Sommo Pontefice Eugenio III nel quale gli illustra in che modo sia circondato da prelati ruffiani e simoniaci che guardavano solo ai loro sporchi interessi[7], o Santa Caterina da Siena che invitata ad Avignone rispose al Sommo Pontefice di non avere bisogno di visitare la sua corte perché il fetore che emanava si sentiva sin dalla sua Città[8], sino alle più recenti critiche alla mediocrità e immoralità dell’episcopato e del clero di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori[9] o alle analisi critiche del Beato Antonio Rosmini che lamentava l’ignoranza del clero[10]. Tutto sommato le stesse cose che lamento io a coloro che attaccandosi a forme stilistiche o al fatidico «chi sei tu per giudicare?» ― con il quale vorrebbero tappare la bocca a qualsiasi pensiero critico ― dimostrano di non conoscere ciò che di molto peggio e in tono ben più severo hanno detto e scritto molti Santi Padri e dottori della Chiesa. Basterebbe poi conoscere i canoni disciplinari di certi concili, per esempio il IV Lateranense del 1215, dove si indicano a uno a uno i pessimi costumi del clero disponendone la correzione col ricorso a severe pene. E come mai, il Concilio di Trento, riguardo gli ecclesiastici, vescovi e presbiteri, dispose certe precise e rigide regole? Per comprenderlo basterebbe conoscere ciò che accadeva nel clero all’epoca rinascimentale e la risposta sarebbe presto data. Poi, se vogliamo toccare con mano lo stato di degrado in cui versava il nostro clero negli anni Trenta del Novecento, in tal caso basterebbe leggere l’Enciclica Ad Catholici Sacerdotii scritta nel 1935 dal Sommo Pontefice Pio XI, attraverso le righe della quale il quadro è presto fatto e fornito. Domanda: non è che quei soggetti che si stracciano le vesti accusando me di usare toni duri e severi, o attaccandosi alla forma espressiva non potendo smentire la sostanza, sono semplicemente e palesemente degli ottusi ignoranti sul piano storico ed ecclesiologico che pretendono di trattare e gestire la Chiesa come se fosse una cosca mafiosa retta su principi di omertà?

Anche in questo caso la risposta del clericale ottuso è presto data: «Vuoi forse paragonare te stesso a certi Santi Padri e dottori della Chiesa? Ah, che superbia, che arroganza!». Accusa questa tipica di chi reagisce stravolgendo e manipolando sia la realtà sia ciò che hai detto, posto che mai ho paragonato me stesso a certi Santi, ho solo cercato di prendere esempio da loro, per il semplice fatto che anch’io sono chiamato alla santità come tutti i battezzati, posto che la santità non è affatto una meta irraggiungibile, ma una meta che tutti siamo chiamati a raggiungere. Anche Gesù Cristo fu schiaffeggiato nel Sinedrio e rimproverato «Come osi rispondere così al Sommo Sacerdote?» (Gv 18, 22). Ovviamente il clericale manipolatore ha già pronta la risposta: «Vuoi forse paragonare te stesso a Gesù Cristo?». Certo che no, però sono in tutto e per tutto un alter Christus e come tale devo imitarlo e conformarmi a lui, perlomeno fu questo che mi disse il Vescovo consacrandomi presbitero. Per questo rispondo come Gesù Cristo: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?» (Gv 18, 23). Pronta la replica del clericale manipolatore: «Il problema non è la sostanza ma la forma, il modo in cui dici le cose». Questo perché per il clericale ottuso e manipolatore a farci liberi non è affatto la verità (cfr. Gv 8,32), ma la forma in cui la verità si dice, perché la forma è sempre e di gran lunga superiore alla sostanza della verità. Non era forse questo che insegnavano Sant’Anselmo d’Aosta, San Tommaso d’Aquino e gli altri Padri della scolastica classica, ossia che gli accidenti sono superiori alle sostanze? Ma che arrogante che fu Tommaso da Kempis che scrisse la celebre opera Imitazione di Cristo. Come si può pensare di essere superbi al punto da presumere di poter imitare Cristo? Ecco perché affermo e non mi stanco di ribadire che il clericalismo è peggiore dell’ateismo. Perché l’ateo nega Dio, il clericale ottuso manipola e falsifica Dio e la sua Parola per imporre come suprema legge le proprie peggiori miserie umane.

Tutto questo si chiama mysterium iniquitatis, ne parla chiaramente il Beato Apostolo Paolo dicendo che «il mistero dell’iniquità è già in atto» (2 Ts 2, 1). Elemento teologico ben preciso dinanzi al quale, il peggio che si possa fare, è di irritarsi dinanzi a chi questo mistero lo affronta, lo analizza e all’occorrenza lo pone in luce per scuotere anche le coscienze sempre più narcotizzate di certi ecclesiastici, sempre pronti a irritarsi se qualcuno osa indicare il male per ciò che è: male.

Un ventennio fa il Santo Pontefice Giovanni Paolo II lanciò l’ennesimo allarme parlando di una «apostasia silenziosa» e scrivendo a tal proposito che «La cultura europea dà l’impressione di una “apostasia silenziosa” da parte dell’uomo sazio che vive come se Dio non esistesse»[11].

In questa decadenza e in questo rifiuto del sacro e del trascendentale ci siamo immersi anche noi preti, c’è poco da gridare allo scandalo se affermo che oggi, la forma di ateismo peggiore è quella dell’ateismo clericale. Basta solo osservare come certi preti celebrano la Santa Messa, per poi domandarsi in modo a dir poco ragionevole se credono veramente in quel che fanno, oppure se hanno dimenticato del tutto quando il Vescovo gli disse: «Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore»[12].

IL PRETE DI IERI ERA PROTETTO ALL’INTERNO E ALL’ESTERNO, OGGI È PRIVO DI PROTEZIONE SIA ESTERNA CHE INTERNA

Sino a mezzo secolo fa il prete viveva in contesti sociali nei quali era protetto come uomo e come figura sacra dalla società e dalle sue stesse strutture. Preti indegni e peccatori che hanno infranto le regole sono sempre esistiti, ma sino a non molti decenni fa vivevano in contesti socio-culturali in cui erano protetti. Pertanto, il prete che aveva comportamenti non adeguati al proprio status sacerdotale violava le regole e commetteva i propri peccati in un clima di totale nascondimento, evitando di dare pubblico scandalo, perché aveva molto chiaro in sé che cosa fosse il bene e cosa fosse il male. Questo perché anche ai membri della società dei tiepidi verso la fede o anche agli stessi non credenti era chiaro cosa fosse il bene e cosa fosse il male. Se quindi il prete sbagliava, o se commetteva peccati, era consapevole di sbagliare e di peccare e faceva tutto il possibile affinché il suo peccato non desse pubblico scandalo. A questo si aggiunga che in epoche passate, anche recenti, non c’erano i mezzi di comunicazione e di controllo che ci sono oggi, dove nell’era dei social viviamo tutti quanti esposti in vista su una pubblica piazza, mentre le notizie giungono da una parte all’altra del mondo in pochi secondi. Oggi il prete vive inserito all’interno di una società che oltre a non proteggerlo cerca di convincerlo che il male è bene e il bene male, inducendo i deboli a cadere nei peggiori vizi e perversioni.

Una volta il prete era considerato socialmente una autorità morale persino da coloro che rigettavano la dottrina e la morale cattolica, ma che per quanto ostili al Cattolicesimo riconoscevano nel prete una figura ben precisa. Oggi la Chiesa Cattolica, il Romano Pontefice, i vescovi e i preti sono usati per fare non comicità o satira, cosa sempre esistita sin dai tempi del grande Giovanni Boccaccio e di Pietro l’Aretino. Con la scusa delle comicità e della satira che in realtà non sono però tali, si cerca di destituire la Chiesa e il suo clero di qualsiasi autorità, autorevolezza e fondamento spirituale e soprannaturale, in modo spesso subdolo, violento e distruttivo. A questo si aggiungano quei preti che sviliscono i sacri misteri trasformando il Sacrificio Eucaristico che si rinnova durante la celebrazione della Santa Messa in show stravaganti quasi sempre frutto del narcisismo egocentrico del prete e del suo pressoché assente senso del sacro.

Per questo e vari altri motivi dico spesso ai confratelli di cui sono confessore e direttore spirituale che il Demonio è un concentrato di intelligenza allo stato puro che nel corso dei secoli ha capito che le persecuzioni e il sangue dei martiri hanno sempre purificato e rafforzato la Chiesa, dandole forza e linfa vitale. La nuova tecnica che ha adottato ai nostri giorni è invece terribile: farci morire nel ridicolo. E a morire martiri per la fede i preti possono anche essere preparati, ben sapendo che potrebbe essere una possibilità del tutto eventuale, a suo modo scritta nel nostro carattere sacerdotale indelebile ed eterno. Mentre a morire sommersi nel ridicolo nessuno era preparato. Purtroppo è questa la morte che si tenta di riservare alla Chiesa e al suo clero: il ridicolo. E di fronte al rifiuto sociale e alla totale indifferenza che spesso vanifica qualsiasi tentativo di attività pastorale, non pochi sono i preti che finiscono per andare in crisi. Alcuni in modo serio, in particolare quelli con trenta o quarant’anni di sacro ministero che finiscono spesso per domandarsi quale sia la loro utilità, se sono utili a qualche cosa e che cosa? Quelli che si pongono questi quesiti quasi sempre dolorosi e drammatici, per quanto vivano in stato di crisi, sono i buoni preti che hanno sempre creduto e che credono nella loro missione. Poi ci sono gli altri, che vanno a braccetto con il mondo e che fanno di tutto per piacere al mondo e per compiacerlo. Questi secondi sono quasi sempre pessimi preti difficili da aiutare e recuperare, anche perché sono totalmente ripiegati nelle forme peggiori di secolarizzazione e a essere aiutati o recuperati non ci pensano proprio.

LA CRISI DELLA DOTTRINA DELLA FEDE E DELLA MORALE, OLTRE AL PROBLEMA DELL’IGNORANZA DEI PRETI MALFORMATI E DEFORMATI

In diversi miei libri e articoli scritti nel corso degli ultimi 15 anni ho spiegato ― e credo anche dimostrato ― in che modo, animati da ingenue buone intenzioni, dalla metà degli anni Sessanta del Novecento a seguire abbiamo cercato di andare incontro al mondo e di piacere a tutti i costi alla società contemporanea che si era messa in marcia verso la decadenza dei valori umani e morali. Nel fare questo ci siamo dimenticati che lo scopo della Chiesa non è quello di piacere al mondo ma di combattere le sue gravi malattie. E anche questo ci era stato detto:

«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia» (Gv 15, 18-19).

Un male inteso spirito del Concilio fomentato da parte di coloro che i documenti del Concilio Vaticano II non li hanno mai studiati né bene né a fondo e che si sono creati per questo un concilio personale tutto loro, mai scritto dai Padri della Chiesa, ha finito col generare una crisi della dottrina che ha dato vita a sua volta a una crisi della fede sfociata infine in una devastante crisi morale del clero, buona parte del quale, specie in certi angoli del mondo, versa in condizioni di secolarizzazione che da tempo hanno superato tutti i livelli di guardia.

Il Santo Pontefice Paolo VI, che del Concilio Vaticano II indetto dal Santo Pontefice Giovanni XXIII fu il traghettatore, oltre a colui che ne portò la croce, dinanzi alla innegabile evidenza di certe derive sia dottrinali che secolariste disse:

«Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, d’incertezza»[13].

In quegli anni, uno dei maestri della Scuola Romana, Antonio Piolanti, che al concilio fu perito, dinanzi a certe stravaganze che presero a diffondersi agli inizi degli anni Settanta del Novecento soleva ripetere dalla sua cattedra della Lateranense:

«Questo non è il Concilio, nulla di tutto ciò è stato scritto dal Concilio, mai! Questo è solo il para-concilio dei preti e dei teologi eccentrici, che con il Concilio Vaticano II e i suoi documenti non ha niente da spartire!»

Tutti i giorni tocco con mano delle situazioni di grave immoralità diffuse nel clero, ma in scienza e coscienza posso dire e altrettanto facilmente dimostrare che spesso non è colpa dei sacerdoti ma del modo inadeguato e superficiale con il quale sono stati formati e portati al sacerdozio. Spesso, la colpa, è dei vescovi che hanno dimenticato persino il significato etimologico della parola ἐπίσκοπος e che hanno gravemente omesso di vigilare e accudire il loro clero, evitando di consacrare presbiteri soggetti immaturi privi di requisiti umani, morali e spirituali.

In molte università ecclesiastiche e istituti teologici si insegnano più sociologia e scienze politiche anziché i fondamenti della solida dottrina e della teologia cattolica di base che sono i soli in grado di dare ai preti un fondamento e soprattutto delle forti motivazioni pastorali che non si basano sulle effimere emozioni, ma sulla trascendenza. A quel punto il danno è presto fatto: molti preti oggi non conoscono neppure più il significato di certe parole e per questo le equivocano in modo gravemente sbagliato. Per esempio mi è capitato spesso di udire preti affermare, persino durante le omelie: «Basta con questi assolutismi … oggi non siamo più la Chiesa dell’assoluto che pensa di avere la sola verità in tasca» (!?). Non è però questo che troviamo scritto nel documento del Concilio Vaticano II Gaudium et spes che affronta il delicato tema del rapporto tra Chiesa e mondo contemporaneo. Per seguire con preti che usano termini come «dogmatico» o «tridentino» in accezione negativa se non addirittura offensiva, manifestando a questo modo una spaventosa ignoranza che unita all’arroganza si compiace di sé stessa. Signori Vescovi, ma a questi soggetti chi li ha formati, soprattutto: chi li ha fatti preti? E dico ignoranza perché anche il più umile dei preti divenuto tale solo dopo una semplice ma buona formazione di base, dovrebbe sapere che grazie al Concilio di Trento la Chiesa fu anzitutto purificata da molte corruzioni e soprattutto aprì le porte alla grande evangelizzazione, cessando nei successivi 100 anni di essere un fenomeno principalmente europeo per diffondersi in tutti i continenti del mondo. Il Concilio di Trento segnò anche una gloriosa stagione di grandi Santi e Sante della carità, dei grandi pedagoghi e dottori che crearono straordinari istituti e strutture di formazione, assistenza, educazione della povera infanzia ed evangelizzazione. Questo fu il Concilio di Trento usato oggi in accezione negativa da certi ignoranti che si compiacciono della propria ignoranza sentenziando: «Ah, questi vecchi dogmatismi che puzzano di naftalina … Ah, che spirito tridentino!». Quello di Trento fu un concilio grandioso che i Padri del futuro Concilio Vaticano II apprezzarono e richiamarono in modo sapiente in tutti i loro fondamentali documenti, a partire dalle Costituzioni Lumen gentium e Dei verbum.

Affermazioni del genere sono delle autentiche scempiaggini, ma vediamo come mai alcuni le pronunciano con disinvolta convinzione. Anzitutto perché confondono il termine “assoluto” ― che in tutte le religioni giudeo-cristiane, nella filosofia metafisica, nella teologia dogmatica e nella teologia fondamentale ha un significato ben preciso legato alla assolutezza della fede rivelata[14] ― con quello che invece è “l’assolutismo” di tipo politico. Il Santo Vangelo è pieno di espressioni categoriche e assolute pronunciate da Gesù Cristo, per esempio: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). Cristo non fornisce altre opzioni, ma ne offre una sola e assoluta, perché Lui, il Verbo di Dio incarnato è l’Assoluto generato non creato dall’Assoluto, allo stesso modo in cui lo Spirito Santo è l’Assoluto che procede da Dio Padre e da Dio Figlio, essendo a sua volta Dio Spirito Santo. E quando nel Simbolo di Fede noi professiamo di credere la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, enunciamo un assoluto, come in varie altre parti del Credo ne enunciamo altri, posto che Cristo sulla Terra ha fondato una sola Chiesa, non una molteplicità di chiese.

Se la formazione del sacerdote è fatta in modo superficiale senza che siano a lui fornite delle basi molto solide, appena si troverà inserito come prete nel mondo, rischia di fare la fine della canna spezzata dal vento, se non peggio: divenire un vero e proprio corruttore del Popolo di Dio.

CHI NON È IN GRADO DI REGGERE LA SOLITUDINE NON DOVREBBE DIVENTARE PRETE

La solitudine è quella compagna sgradita che spesso segue il prete nel corso della sua esistenza, a meno che non si muti in cristologica solitudine, per questo non si pentirà di averla scelta. Anche Cristo, nelle ore più tragiche della sua vita, restò solo, abbandonato da quegli stessi che Egli aveva scelti a testimoni e compagni della sua esistenza e che aveva amati fino alla fine (cfr. Gv 13, 1), ma dichiarò: «Io non sono solo, perché il Padre è con me» (Gv 16, 32). Se certi preti, anziché inventarsi un egocentrico concilio mai celebrato dai Padri della Chiesa, studiassero veramente i documenti del Concilio Vaticano II e certi documenti del successivo magistero del Santo Pontefice Paolo VI, molti dei nostri drammatici problemi sarebbero risolti con la sola lettura dell’Enciclica Sacerdotalis Coelibatus pubblicata il 24 giugno 1967.

Per questo i momenti di solitudine sono sempre degli spazi preziosi di vita, che è bene anzi ritagliarsi e vivere, perché favoriscono la preghiera profonda, la riflessione e la meditazione spirituale sul mistero della vita e della morte. Spesso, durante le direzioni spirituali, mi capita di chiedere ai sacerdoti: … ma tu, mediti mai sulla morte? Se a questa domanda il prete mi risponde in modo scherzoso dicendo «Ah, ma per pensare alla morte c’è tempo!», o se peggio mi viene risposto «sono talmente impegnato in tante attività che alla morte non ci penso proprio» … ecco, in quel caso capisco subito che c’è molto da lavorare sulla spiritualità del prete, o forse sulla sua debole o a volte persino assente spiritualità. Troppi sono i preti che purtroppo non si distinguono per niente da quelli che possono essere i liberi volontari di associazioni non governative, troppi e sempre di più. Con alcuni è possibile lavorare, ottenendo anche buoni risultati, con altri purtroppo no, perché è mancata proprio la basilare formazione del prete.

Esiste però anche un altro genere di solitudine, quella che nasce da forme di abbandono o di isolamento. Non pochi sono i sacerdoti lasciati a sé stessi dai loro vescovi impegnati in tutt’altre faccende a loro dire sempre e di rigore più importanti, per potersi occupare dei propri preti. A quel punto nasce per prima cosa la disaffezione tra il prete e il proprio vescovo. Cosa grave e pericolosa, perché il sacerdozio del presbitero è intimamente e inscindibilmente legato alla pienezza del sacerdozio apostolico del vescovo[15]. Appena il prete incomincia a sentirsi abbandonato dal vescovo e dai propri confratelli, anch’essi affaccendati in molte cose sempre e di rigore più importanti della fraternità sacerdotale, a poco a poco incomincia a isolarsi. E da questi due elementi pericolosi che sono “isolamento” e “solitudine” può nascere veramente di tutto e di più.

Vorrei evitare di scendere in certi dettagli, quindi proverò a dare in modo delicato almeno un’idea del mio ministero con i sacerdoti, spiegando a che cosa possa portare quella solitudine che genera abbandono e conseguente senso di isolamento. Ecco allora casi di sacerdoti che cadono in forme più o meno gravi di depressione, che cadono nell’alcolismo, alcuni nell’uso delle droghe, altri nella dipendenza molto dannosa da internet con tutto ciò che questo strumento può comportare e offrire, o in frequentazioni di persone e ambienti per così dire … molto poco raccomandabili. Sacerdoti che si sentono inutili perché vorrebbero dare ma che ritengono di versare o di essere stati messi nella condizione e nella impossibilità di poter dare …

I PRETI SONO QUANTO DI PIÙ DELICATO CON IL QUALE UN PRETE PUÒ RITROVARSI A TRATTARE

Con certi vescovi ho cessato di discutere sin da quando ho capito che se il dono della paternità non l’hai ricevuto, o più semplicemente non lo hai mai sostanzialmente acquisito e sviluppato, non ti viene certo infuso al momento in cui ti mettono un anello alla mano, una mitria sulla testa e incominciano a chiamarti “Eccellenza Reverendissima”.

Come hanno risolto certi problemi alcuni vescovi molto lungimiranti? Presto detto: mettendo a disposizione dei preti degli psicologi, preferibilmente donne, alcune delle quali provenienti persino dalla scuola freudiana e lacaniana. A quel punto perché non dare direttamente cattedra ai corsi filosofici presso gli studi teologici dove si formano i nostri futuri preti a degli ideologi marxisti? Chiariamo: che un prete possa avere bisogno di un bravo medico specialista in psichiatria è cosa del tutto possibile. Io stesso sono in stretto contatto con due bravi ed esperti psichiatri cattolici ai quali varie volte ho indirizzato miei confratelli che avevano evidente bisogno di supporti clinico-psichiatrici, o perché versavano in stati depressivi, o perché affetti da nevrosi ossessive, o perché sofferenti per vari altri disturbi. Ma un direttore spirituale non può, né mai potrà essere sostituito con una “psicologa diocesana”, perché per aiutare un prete e sanare le ferite della sua anima occorre sempre e di necessità un altro prete, nessun altro lo può fare. E su questa moderna mania tutta quanta tedesca di distribuire “quote rosa” dentro la Chiesa in modo puramente politico e ideologico, preferisco veramente soprassedere, tanto sono infastidito da certe invadenti cattoliche impegnate e militanti che se potessero ci caccerebbero fuori per celebrare al posto nostro anche la Santa Messa.

Per i preti, trovare un bravo confessore è sempre più difficile, anche perché confessare un prete è cosa molto delicata. Trovare un bravo direttore spirituale è più difficile che trovare un bravo confessore. Se infatti il confessore è colui che ti assolve dai peccati, il direttore spirituale è colui che dirige i tuoi passi sul cammino della fede e della vita sacerdotale, che ti aiuta nella tua formazione permanente al sacerdozio e a ravvivare il dono che è in te[16]. Colui che all’occorrenza, con quella prudenza e lungimiranza frutto dei doni di grazia dello Spirito Santo, ti dice cosa fare o, in caso di necessità, ti impone proprio quel che è opportuno fare o non fare.

Tra un sociologismo e l’altro ci siamo inventati un nuovo termine che alcuni hanno ritenuto più allettante di “direzione spirituale”, quello di … “accompagnamento spirituale” (!?).  Anche in questo caso è necessario chiarire: dirigere e accompagnare sono due cose totalmente diverse. Purtroppo certi ecclesiastici non hanno imparato niente dai clamorosi fallimenti sociali ed educativi che si sono consumati pochi decenni fa, quando nei poco gloriosi anni Settanta del Novecento la psicologia selvaggia lanciò la moda dei “genitori amici”, in un fiorire di pensierini e di temi scolastici in cui i bimbi spiegavano: “… il mio papà è il mio migliore amico”, mentre le bambine scrivevano che “la mia mamma è la mia migliore amica”. E una volta divenute adolescenti si sono ritrovate con madri diseducative che pretendevano di fare le teenager andando a ballare con le figlie, se non peggio rubando alle figlie i fidanzati.

Il genitore, padre e madre, sono tutt’altra cosa. Non sono degli amici del cuore che accompagnano, sono gli educatori che dirigono i figli, il punto fermo e fondamentale della loro crescita, coloro che all’occorrenza gli alzano la voce e dicono di no, o che se necessario proibiscono di fare una cosa sbagliata e dannosa.

Curare l’anima di un prete è difficile come lo è per un medico curare un altro medico, o come per un chirurgo portare in sala operatoria un altro chirurgo.

NEPPURE IO TI CONDANNO. E ADESSO VAI E NON PECCARE PIÙ!

Quando infine molti sacerdoti hanno preso coraggio e vuotato il sacco narrandomi le peggiori cose e le loro peggiori gesta, a volte a testa basta, spesso e volentieri piangendo, mi hanno chiesto: «Ma tu, non provi disgusto per me?». Con molto affetto ho ricordato loro il brano del Santo Vangelo del Beato Evangelista Giovanni in cui si narra della prostituta che stava per essere lapidata. Prima però, i farisei, posero un quesito provocatorio a Gesù «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Rispose loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». Poi disse alla donna: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 7, 53-8,11).

Quella pubblica peccatrice è una persona reale, ma al tempo stesso un paradigma, perché tutti siamo prostitute e nessuno di noi potrebbe lanciare la prima pietra vantando di non avere peccato. Per questo ho sempre risposto al quesito di certi sofferenti dicendo che non provavo disgusto ma senso di amorevolezza per il peccatore pentito cui potevo solo dire in sacerdotale coscienza … neppure io ti condanno, adesso vai in pace con Dio e d’ora in poi non peccare più.

Che un peccatore possa assolvere dal peccato un altro peccatore, o che un peccatore possa guidare un altro peccatore sul giusto cammino, non è cosa illogica, ma costituisce da sempre una delle principali ratio del grande mistero della fede. Il Beato Apostolo Paolo scrive «Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5, 20) e nella notte di Pasqua, quando si benedice il cero simbolo della luce del Cristo risorto, sulle parole dell’Aquinate si canta nel Preconio: «O felice colpa, che ha meritato un tale e così grande Redentore!»[17].

La cosa peggiore che si può fare con un sofferente afflitto, umiliato e pentito per il proprio peccato, è quella di investirlo con rimproveri e giudizi morali. In pratica come se il medico di un pronto soccorso, anziché chiudere una ferita aperta che sanguina, ci mettesse del sale sopra.

PER FARE LO STUDIOSO NON È NECESSARIO DIVENTARE PRETE

La teologia non può essere una semplice speculazione intellettuale fine a sé stessa, ma una orante e incessante ricerca della verità, cosa questa che si realizza soltanto pregando e studiando, ma soprattutto tenendo sempre fisso all’orizzonte il monito: «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 31), vale a dire quella verità di cui siamo servitori e non certo padroni. O come diceva San Tommaso d’Aquino: «Non sei tu che possiedi la verità, ma la verità che possiede te». Ritengo inaccettabile, anzi aberrante che siano tutt’oggi tollerati preti-teologi che non hanno alcun concreto rapporto con la reale vita pastorale, che da anni non entrano in un confessionale, che tengono lezioni accademiche ma che non predicano nelle chiese o che non saprebbero neppure da che parte incominciare nel dare il Sacramento dell’unzione degli infermi. È inaccettabile che l’attività di questi soggetti si limiti alla celebrazione della Santa Messa al mattino in una cappella di anziane religiose per poi dedicarsi a tutt’altre faccende. Questo genere di preti non sono teologi, ma veri e propri mostri. Personalmente non sono mai riuscito a concepire la teologia scissa dalla concreta vita ecclesiale, pastorale e sacramentale. Il sacerdote, quello che svolge il ministero di parroco in modo particolare, ha delle precise responsabilità verso il Popolo di Dio, basate sul principio di priorità. Esempio: non si spediscono le pie donne a portare la Santa Comunione agli ammalati perché a loro dire impegnati in inderogabili … attività pastorali (!?) Fossi il vescovo di certi preti non esiterei a richiamarli severamente precisando che se da una parte c’è il consiglio parrocchiale o una serata con i giovani e dall’altra un infermo da visitare, il prete lascia il consiglio e i giovani e si reca dall’infermo, anziché spedirvi la pia donna. Sorvoliamo poi su quei parroci che a tutti danno la chiave del tabernacolo ma a nessuno darebbero mai la chiave della cassa dove tengono i soldi o della loro automobile personale. Sorvoliamo, posto che noi siamo i custodi della Santissima Eucaristia e non certo dei quattrini, oltre al fatto che se i vescovi devono richiamare i preti, spesso lo fanno per cose talmente risibili e ridicole che riportano alla mente il moscerino filtrato e il cammello ingoiato (cfr. Mt 23, 24).

NON INTERESSANO LE TUE OPERE, CONTA LA FORMA. QUEL SOGGETTO VOLGARE E INOPPORTUNO DI GESÙ CRISTO CHE NELLA FORMA DIFETTAVA GRAVEMENTE

È necessario fare ricorso a un esempio personale che se potessi eviterei, ma purtroppo è utile per rendere chiaramente l’idea. Uno dei vari preti che ho assistito e che dopo alcuni anni è uscito da una brutta depressione, a vari suoi intimi e confratelli ha affermato: «Se quella sera, dopo un lungo colloquio telefonico, Ariel non fosse partito alle 17 del pomeriggio da dove si trovava, per fare 500 chilometri e giungere da me poco prima di mezzanotte, forse, al mattino, mi avrebbero trovato a penzolare con una corda attaccata al collo». Pur malgrado, a fronte di questo mio lavoro pastorale, è accaduto che ci si sia rivolti a me più volte con delle lettere unicamente per sollevare rimproveri basati sul «… mi hanno detto che … alcuni si sono lamentati per certi tuoi scritti … per i toni che usi…». I miei scritti contengono forse elementi o espressioni in contrasto con la dottrina della fede e la morale cattolica? Ovvio che no, la dottrina della fede e la morale cattolica le difendo e le diffondo. Dunque? Presto detto: la forma. Evidentemente, chi si attacca alla forma, non ha mai letto le invettive di Gesù Cristo contro gli scribi e i farisei, o se le ha lette, forse non ne ha proprio colto sia la forma che la sostanza (cfr. Mt 23, 1-39). Per comprenderne la portata e la gravità offensiva basterebbe accantonare il surreale Vangelo fatto di danze al ritmo dei bonghi di certi Neocatecumenali, o quello delle stelline e dei cuoricini palpitanti e degli svenimenti emozionali di certi carismatici e focolarini per imparare un po’ di esegesi novo testamentaria. Per esempio, vediamo che cosa voleva dire rivolgersi in questi toni a degli alti notabili e a dei membri della casta sacerdotale:

«sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume».

Chiariamo: la Legge, ossia la הלכה e il תַּלְמוּד consideravano il cadavere la quintessenza della impurità. Ai כּוהנים membri della casta sacerdotale in particolare era proibito non solo avere contatti con i cadaveri, ma non potevano avvicinarsi neppure a distanza ai luoghi di sepoltura, perché sarebbero caduti in stato di impurità (טָמְאָה). Per tornare puri (טָהוֹר) avrebbero dovuto sottoporsi a lunghi e meticolosi rituali di purificazione per la durata di 30 giorni.  Presto detto: se Gesù Cristo si fosse rivolto a loro dicendo וזה חרא טוטאלי (siete dei pezzi di merda), per la cultura giudaica dell’epoca e dinanzi alla Legge sarebbe stato molto meno offensivo. Per non parlare dell’epiteto «razza di vipere», una offesa di una gravità inaudita, non solo perché il serpente era l’animale più impuro (טָמְאָה), ma perché era il simbolo biblico per antonomasia del male. Non solo Gesù Cristo paragona questi “ecclesiastici” a dei serpenti, perché fa molto di peggio: li chiama «razza». Cosa terribile, perché non solo offende loro, ma addirittura l’intera ascendenza dei loro antenati. Presto detto: la nota espressione romanesca «li mortacci tua» a confronto è davvero niente. Ecco, avrei gradito che coloro che una tantum mi hanno mandato la letterina di rito per informarmi «mi hanno detto che … hanno protestato perché …», avessero invitato certi clericali suscettibili a studiare il vero significato di certe espressioni del Nuovo Testamento, perché delle due cose l’una esclude l’altra: o sono ignoranti loro, oppure leggiamo e predichiamo proprio due Vangeli diversi. Il Vangelo che mi fu messo in mano e consegnato prima quando fui ordinato diacono e poi quando fui consacrato sacerdote è il Vangelo di Gesù Cristo, non quello prodotto dalla industria Perugina che dentro i suoi baci al cioccolato mette delle cartine con dei teneri pensierini struggenti. A me il Vescovo disse «conformati alla croce di Cristo», in ossequio al comando del Divino Maestro che ci invita a prendere la nostra croce e seguirlo (Lc 9, 23). Nessuno mi ha mai detto di conformarmi alla Perugina e di lanciare manciate di bacetti al cioccolato ai Christi fideles, o di annunciare un Vangelo annacquato quanto basta per non irritare e offendere nessun cuoricino emozionale. E la croce è molto “brutta” sia nella forma che nella sostanza, è uno strumento di tortura a tal punto infame che i cittadini romani non potevano essere condannati a questo supplicium more maiorum, neppure i peggiori criminali[18]. Per questo Pietro, giudeo, fu condannato alla crocifissione, Paolo, civis romanus, fu invece decapitato, perché in quanto cittadino romano non poteva essere crocifisso.

Ovviamente su certe proteste rido, perché non ritengo meritino lacrime, se infatti si deve proprio soffrire, è bene farlo per delle cose serie, non per dei permali clericali che umiliano chi li esprime e non certo chi ne è reso oggetto, sempre sulla base del principio di quanto taluni sono in parte bravi e in parte irrazionali quando decidono di scansare il moscerino e ingoiare poi un intero cammello (cfr. Mt 23, 24).

 «TU HAI CRITICATO IL SOMMO PONTEFICE»

Desidero chiarire questa falsa accusa che più volte mi è stata rivolta: chi estrapola da miei scritti o libri una frase, la manipola e poi mi accusa di avere criticato il Sommo Pontefice, mente e dice il falso. Nella mia vita sacerdotale ho sempre applicato il principio del Santo Padre e Dottore della Chiesa Ambrogio Vescovo di Milano che disse:

«Dite al Papa che dopo Gesù Cristo per noi viene solo lui e che lo amiamo e veneriamo, ma ditegli anche che la testa che Dio ci ha dato non intendiamo solo usarla per metterci un cappello sopra».

È vero che ho criticato nel corso degli anni certi discorsi e scelte pastorali del Sommo Pontefice Francesco; è vero che mi sono sentito profondamente ferito vedendo il Sommo Pontefice lavare i piedi alla Missa in Coena Domini a carcerati e prostitute nel giorno in cui si festeggia la istituzione della Santissima Eucaristia e del Sacerdozio; è vero che sono rimasto imbarazzato nel vederlo a Lund accanto a una “arcivescova” dichiaratamente lesbica e convivente con la sua compagna rivestita delle insegne episcopali; è vero che ho pubblicato un libro nel quale esprimo le mie perplessità sullo stile espressivo sociologico e la mancanza di chiarezza che serpeggia in alcune pagine di Amoris Laetitia, ma non ho mai criticato i suoi contenuti magisteriali. Ci sono decine di miei articoli che testimoniano con quale fedeltà, all’occorrenza con quale durezza ho richiamato certi sacerdoti e fedeli all’obbedienza che siamo tenuti a prestare al Romano Pontefice, che può essere oggetto di critiche, anzi deve esserlo, per il bene suo e del suo ministero petrino. Sempre chiarendo che un conto è avanzare critiche a discorsi fatti a braccio in modo colloquiale, oppure durante le fasi di studio di certi problemi, quando si può e si deve disputare di tutto, però, se il Sommo Pontefice pubblica un atto di magistero o dà una disposizione in forma di motu proprio, in quel caso si ubbidisce, si esegue e si ricorda a certi fedeli che sono capaci a porsi come giudici al di sopra della Cattedra di Pietro, che se il Successore del Beato Apostolo Pietro stabilisce e dispone, ogni discorso è chiuso, si deve solo prestargli ossequio nell’obbedienza della fede.

Qualcuno vuol forse negare che nel corso degli anni ho sollevato questioni e proposto soluzioni che tempo dopo sono divenute atti del magistero dati in forma di motu proprio? Ne cito uno tra i tanti: Traditionis Custodes. Due anni prima dell’uscita di questo documento pubblicai un articolo critico dove spiegai che sarebbe stato opportuno revocare, o perlomeno correggere il motu proprio del Sommo Pontefice Benedetto XVI, che nel 2007 concesse l’uso del Messale di San Pio V, presto trasformato in pretesto da molti circoli di cosiddetti “tradizionalisti” che lo hanno usato come una mazza ferrata per attaccare il Concilio Vaticano II e la riforma liturgica del Santo Pontefice Paolo VI. Nella Chiesa possono esistere e convivere assieme opinioni diverse, che sono sempre di importante e prezioso stimolo, non però due partiti in lotta su una materia delicata come la sacra liturgia, perché l’Eucaristia è il cuore dell’unità della Chiesa e nessuno può usarla per creare divisioni ideologiche.

Ho sempre detto e affermato che il Sommo Pontefice Francesco è un uomo gravato come tutti noi dai propri limiti e difetti, ma ho sempre aggiunto e ripetuto: il Beato Apostolo Pietro rinnegò il Divino Maestro per tre volte, imprecando, giurando il falso e dandosi alla fuga. Nulla di questo ha mai fatto il Santo Padre Francesco eletto da un Conclave di Cardinali, al contrario di Pietro che fu scelto invece da Cristo in persona, chissà, forse proprio perché incarnava tutte le nostre fragilità umane?

Permettetemi comunque di sorridere all’idea che queste critiche mi siano rivolte da certi clericali velenosi, quelli che non esitano a rifiutare ― per dirne solo una ― la nuova versione del Pater Noster. A chi mi ha domandato se la nuova versione mi piaceva non ho esitato a rispondere di no, ma ho subito chiarito: che a me piaccia o no è cosa irrilevante, perché come pregare e insegnare a pregare al Popolo di Dio me lo dice e me lo comanda la Chiesa, mio obbligo e dovere è seguire gli insegnamenti della Chiesa mater et magistra. E quante volte, durante i colloqui e le direzioni spirituali ho ripetuto a molti sacerdoti: «Meglio fare la cosa sbagliata in obbedienza al Sommo Pontefice e al proprio Vescovo, piuttosto che fare la cosa giusta in disobbedienza a quanto il Sommo Pontefice o il Vescovo hanno stabilito e richiesto».

Detto questo torno a ribadire: oggi, se la malattia è presa in tempo, si può guarire da molte forme di cancro, ma il clericalismo, in particolare quello dei falsi e degli ipocriti viscidi, è una malattia che rischia di essere incurabile, oltre a essere da sempre la peggiore metastasi che può diffondersi nel corpo della Chiesa.

QUEI VESCOVI CHE NON ESITANO A SACRIFICARE I PROPRI PRETI PUR DI PIACERE A TUTTI I COSTI A UN ESERCITO DI LAICI INSOLENTI E ARROGANTI

 Quei vescovi che per loro quieto vivere non esiterebbero a sacrificare i propri preti sono dei pastori indegni e pericolosi. I presbiteri devono costituire il primario interesse del vescovo, perché è grazie ad essi che può esercitare la pienezza del proprio sacerdozio apostolico, allo stesso modo in cui i presbiteri esercitano il proprio sacerdozio in virtù del sacerdozio apostolico del vescovo. Il buon vescovo non è colui che dinanzi a un prete afflitto e smarrito lo mette subito in guardia dicendogli «non voglio problemi!», ma colui che lo accoglie dicendogli l’esatto contrario: «Il mio compito primario di padre e pastore è quello di aiutarti a risolvere i tuoi problemi e restituirti serenità». Il buon vescovo non è quello che passa sopra a tutto, a partire dai peggiori capricci dei fedeli, nel tentativo di piacere a tutti e di non scontentare nessuno, ma colui che all’occorrenza cerca proprio di non piacere, perché chi piace a tutti rischia alla fine di non piacere a Dio.

Due le figure degli Apostoli che venero particolarmente, ai quali mi ispiro e coi quali in un certo senso mi identifico caratterialmente: Giovanni e Paolo. Spesso mi chiedo: in quanti conoscono veramente il Beato Apostolo Paolo? Se analizziamo in profondità le Lettere Apostoliche e gli Atti degli Apostoli non emerge un carattere facile, bensì un soggetto che non ne lasciava passare una. Lo provano i suoi disaccordi con il Beato Evangelista Marco (cfr. At 13,13; At 15,37-38), verso il quale in seguito si tranquillizza (cfr. Col 4,10). Ebbe accesi disaccordi con il suo discepolo Barnaba (At 15,39-40; Gal 2,13). Per non parlare dell’accesa disputa con il Beato Apostolo Pietro (Gal 2,11-16), con il Beato Apostolo Giacomo che capeggiava la corrente giudaico-cristiana (cfr. At 15; Gal 2). Quando si afferma che alla partenza di Paolo «la Chiesa era in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria» (cfr. At 9,30-31) temo proprio che molti non riescano a cogliere quanto questa frase suoni ironica, perché tradotta in altri termini equivale a dire … «Meno male che si è tolto di torno!». Come però già detto in precedenza, queste sfumature sfuggono agli ideatori e diffusori del Vangelo surreale e sentimentale dei pensierini impressi sulle carte dei Baci Perugina.

Il Beato Apostolo Paolo scrive al proprio discepolo Timoteo: «Se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro» (I Tm 3,1). Non ho mai aspirato all’episcopato e non intendo aspirarci, ma nei termini paolini e in un contesto storico analogo vi aspirerei anch’io. Ma vediamo cosa intende il Beato Apostolo con questa frase scritta in un’epoca nella quale i vescovi e i presbiteri rischiavano seriamente la vita, perché durante le prime grandi persecuzioni erano considerati i principali sobillatori di un gruppo di fuorilegge noto come cristiani o come seguaci del Nazareno. Non a caso gli Apostoli, primi vescovi creati da Cristo Signore, fecero questa fine: Giacomo ucciso con la spada per ordine di Erode Agrippa in Giudea. Pietro crocifisso a Roma durante le persecuzioni di Nerone. Matteo ucciso a colpi di ascia. Bartolomeo detto Natanaele ucciso in Armenia a colpi di frusta. Andrea crocifisso in Grecia su una croce a forma di “X”. Mattia, che sostituì Giuda nel Collegio Apostolico, si presume sia morto martire. Tommaso ucciso a colpi di frecce nell’attuale Kerala. Luca impiccato a un albero dai sacerdoti greci. Giuda Taddeo ucciso a Odessa. Simone lo Zelota crocifisso in Britannia. Giacomo il Minore lapidato nella Giudea. Filippo morì nella Frigia inchiodato a un albero. Giovanni, morto secondo la tradizione quasi centenario, fu l’unico degli apostoli a non essere martirizzato. Questo ciò che comportava all’epoca in rischi l’episcopato indicato come meritevole aspirazione dall’Apostolo Paolo, anch’esso martirizzato alle Acque Salvie in Roma. Il giorno in cui torneremo a situazione diverse, ma comunque analoghe, vedrete bene con quale fretta ci libereremo all’istante dalla piaga dei carrieristi!

Il Santo Vangelo che da sempre lascia un segno indelebile nella storia non è tanto quello predicato, ma quello praticato, per quant’è vero che siamo chiamati a essere testimoni viventi del Cristo verbo di Dio incarnato, morto, risorto e asceso al cielo (cfr. Lc 24,48). Come infatti sta scritto: «Mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede» (Gc 2, 18). E oggi, la nostra fede, quella di noi sacerdoti avanti a tutti, è messa seriamente alla prova, perché non siamo più protetti e tutelati all’esterno dalla società, ma soprattutto all’interno della Chiesa, ridotta oggi a una struttura che cade a pezzi in stato di decadenza avanzata. Non ci resta dunque che cercare di passare dalla porta stretta, perché, come sta scritto: «[…] molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno» (Lc 13, 24). E riuscirci oggi è meno facile di quanto lo fosse ieri. Ecco, la nostra grande prova da superare: la prova della fede.

 

dall’Isola di Patmos, 7 aprile 2023 

Giovedì Santo – Istituzione della SS. Eucaristia e del Sacerdozio Ministeriale

 

NOTE

[1] Cfr. Guillaume Durand, Rationale, IV, i, 23.

La cd. Missa Sicca era solitamente celebrata nel pomeriggio, in occasione di funerali o matrimoni, dopo che il sacerdote aveva già celebrato nel corso della mattina e non poteva celebrare altre Sante Messe dopo le ore 12. Consisteva nella celebrazione di una Santa Messa in cui erano omessi i riti di offertorio, la Preghiera Eucaristica (consacrazione delle sacre specie) e la Santa Comunione.

[2] Cfr. Giovanni Bona, Rerum liturgicarum, libr. duo, I, xv.

[3] Cfr. Karl Marx nell’opera Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, edito nel 1869. La frase completa è: «Hegel fa notare che tutti i grandi personaggi e i grandi fatti della storia tendono a ripetersi due volte. Si è solo dimenticato di precisare: la prima volta come tragedia la seconda come farsa».

[4] Cfr. Sant’Ambrogio, De dignitate Sacerdotis; Sant’Agostino, in Ps. 37; San Bernardo di Chiaravalle, Sermo ad Pastor. In Syn; San Gregorio Nazanzieno, Sermo 26 de Sanct. Petr.; San Girolamo, Sermo de Corpore Christi; San Pier Damiani, Sermo 28; S.S. Innocenzo III, Nova quaedam de Poen. Rem.; San Bernardino da Siena, om. I, Sermo 20, art. 2, c.7; San Bernardino da Siena, Tom.I, Sermo 20, art. 2, c. 7.

[5] Cfr. Joseph Ratzinger, meditazione alla IX stazione della Via Crucis del Venerdì Santo 2005: «Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il Sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute! Tutto ciò è presente nella sua passione. Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che gli trafigge il cuore».

[6] Cfr. San Pier Damiani, Liber Gomorrhianus.

[7] Cfr. Bernardo di Chiaravalle, Trattato buono per ogni Papa, adattato a Eugenio III, anno 1145.

[8] Cfr. Caterina Benincasa, Lettera al Sommo Pontefice Urbano VI ad Avignone (1378-1389).

[9] Cfr. Alfonso Maria de’ Liguori, Homo apostolicus, anno 1759.

[10] Cfr. Antonio Rosmini, Sulle cinque piaghe della Chiesa, trattato dedicato al clero cattolico, anno 1848.

[11] S.S. Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, 2003.

[12] Cfr. Messale Romano, Sacro rito della ordinazione dei presbiteri.

[13] Cfr. S.S. Paolo VI, omelia pronunciata il 29 giugno 1972 per la festa dei Santi Pietro e Paolo.

[14] Dichiarazione Dominus Jesus, circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, 6 agosto 2000.

[15] S.S. Paolo VI, Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum Ordinis, 7 dicembre 1965.

[16] S.S. Giovanni paolo II, esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis, circa la formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali, 25 marzo 1992.

[17] San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, III, q. 1, a. 3, ad 3.

[18] Leges Regiae, maximae poenae, in pars Supplicium more maiorum: crucifixio.

.

.

______________________

Cari Lettori,
questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:

O se preferite potete usare il nostro
Conto corrente bancario intestato a:
Edizioni L’Isola di Patmos

Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT:
BAPPIT21D21

Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento:
isoladipatmos@gmail.com

Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.

I Padri dell’Isola di Patmos

.

.

Una società sempre più aggressiva popolata di giovani smarriti e disorientati

Scuola, società, politica

UNA SOCIETÀ SEMPRE PIÙ AGGRESSIVA POPOLATA DI GIOVANI SMARRITI E DISORIENTATI

I giovani hanno oggi bisogno di adulti responsabili, soprattutto se questi ultimi sono personaggi pubblici. Lo sfregio al Presidente del PD, Elly Schlein, a Viterbo con una svastica, le immagini a testa in giù del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del Ministro Giuseppe Valditara, sono episodi molto gravi che non possono e non devono lasciare indifferenti.

Autore
Anna Monia Alfieri, I.M. 
Cavaliere della Repubblica Italiana

             

.

 

 

 

 

 

 

 

.

PDF  articolo formato stampa

 

.

Una rinnovata preoccupazione, un altro episodio, l’ennesimo, di offesa, questa volta ai danni della segretaria del PD, Elly Schlein, a Viterbo. Certamente positiva la solidarietà giunta da parte di tutte le forze politiche. Anch’io esprimo la mia solidarietà a questa giovane donna che oggi rappresenta i tanti che hanno visto in lei la persona cui dare fiducia. Da tempo vivo con una certa preoccupazione i toni violenti della contesa politica che sfociano nei tanti episodi di violenza ai danni delle diverse personalità della politica. Episodi, quelli ai quali mi riferisco, che sembrano riportare alla ribalta le nefaste ideologie che hanno seminato morte e distruzione per tutto l’arco del Novecento. E non solo. Come non poter pensare ai campi di concentramento e al loro orrore: gli ebrei sopravvissuti ci hanno aiutato a comprendere gli orrori del nazismo e del fascismo. Come dimenticare, sull’altro fronte, il periodo buio delle foibe, gli italiani uccisi dai soldati titini per il solo fatto di essere italiani e quindi, agli occhi di Tito, fascisti. O come non pensare ai gulag della Siberia. Pagine aberranti della storia dell’uomo, forse le peggiori. E ancora l’anarchia con la violenza con la quale si è manifestata. Si tratta di ideologie dalle quali tutte le nostre forze politiche, in modo chiaro e determinato, hanno preso le distanze.

 

 

Dobbiamo, allora, tutti, oggi, fare un passo in avanti nella responsabilità. Conosco i giovani e i nostri giovani sono quelli del post covid che hanno vissuto un periodo difficile che ha seminato in loro paura, smarrimento, con il conseguente abuso di psicofarmaci diffuso per gestire l’ansia, per non pensare, per dormire, per estraniarsi dalla realtà, abuso di psicofarmaci e alcool che fanno perdere la vita ai nostri ragazzi. Proprio pochi giorni fa è morta una ragazza a Monza. Ugualmente preoccupante è il fenomeno di quei giovani che premono il piede sull’acceleratore e perdono la vita schiantandosi contro un albero: non sono solo bravate ma un bisogno disperato di superare i limiti per sentirsi vivi. Dove sono gli adulti in tutto questo? Dov’erano prima del covid? Dove sono adesso?

Ecco questi giovani hanno oggi bisogno di adulti responsabili, soprattutto se questi ultimi sono personaggi pubblici. Gli eventi di Firenze, di Bologna, di Torino sono campanelli di allarme che i politici tutti, come chi si occupa di comunicazione, non possono ignorare. Allo stesso modo lo sfregio al Presidente del PD, Elly Schlein, a Viterbo con una svastica, il fantoccio del Presidente del Consiglio, le immagini a testa in giù del Presidente Giorgia Meloni e del Ministro Giuseppe Valditara, con la croce sugli occhi, a Milano, sono episodi molto gravi che non possono e non devono lasciare indifferenti.

Mi appello, dunque, nuovamente e in modo accorato alla classe politica: proteggiamo i nostri giovani dalle piazze, non trascuriamo queste manifestazioni, il rischio di perdere il controllo di questi fenomeni è veramente alto. Ricordiamo che la politica è «la più alta forma della carità», come la definiva San Paolo VI, l’altro è un avversario, non un nemico. I politici devono e sanno confrontarsi sulle idee e le idee non hanno bisogno della violenza per affermarsi. Da anni ho l’onore di conoscere molti politici, appartenenti a tutte le forze politiche, e ne ho sempre apprezzato la capacità di dialogo e di confronto costruttivo in Parlamento. Quasi mai ho assistito a discussioni violente, anzi ne ho apprezzato il confronto franco e leale. Abbiamo tutti sofferto, in un recente passato, per le piazze del “vaffa” che hanno usato e abusato del malessere di molti cittadini, cavalcando ed esasperando il malcontento. Oggi il rischio delle piazze fisiche e virtuali, con il richiamo continuo e lacerante ai fantasmi del passato, può produrre danni ben peggiori. Fermiamoci prima.

Nonostante questi segnali preoccupanti, nutro una grandissima fiducia che la situazione possa evolvere con un deciso cambiamento verso il senso di responsabilità e della lealtà istituzionale. Abbiamo ancora tanti, giovani e meno giovani, uomini della politica, delle associazioni, della cultura che fanno sentire la loro voce pacata, rispettosa e responsabile. Abbiamo bisogno di loro, oggi più che mai, abbiamo bisogno della mitezza, quella virtù che sa difendere le proprie idee in modo fermo ma rispettoso. Invito allora i miti ad emergere, a fare la differenza, a proseguire a fare la storia bella del nostro Paese. «Beati i miti, perché erediteranno la terra» [Mt 5, 5].

 

Milano, 12 marzo 2023

.

.

.

______________________

Cari Lettori,
questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:

 

O se preferite potete usare il nostro
Conto corrente bancario intestato a:
Edizioni L’Isola di Patmos

Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT:
BAPPIT21D21

Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento:
isoladipatmos@gmail.com

Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.

I Padri dell’Isola di Patmos

 

 

.

.

 

.

.

.

.

.

Marcello Stanzione, prete degli Angeli, mercoledì 8 marzo a Firenze in compagnia di Santa Ildegarda di Bingen

MARCELLO STANZIONE, PRETE DEGLI ANGELI, MERCOLEDÌ 8 MARZO A FIRENZE ASSIEME A SANTA ILDEGARDA DI BINGEN

Tutto può accadere a Firenze, compreso che il nostro stimato confratello Marcello Stanzione, esperto angelologo di fama europea, giunga da noi assieme a Santa Ildegarda di Bingen.

— Eventi —

Autore
Simone Pifizzi

.

Dai fiorentini aspettatevi di tutto e in tutti i sensi, lo prova il fatto che ogni nativo nel Capoluogo della Toscana riceve il Santo Battesimo tre volte, perché come noto siamo nati con tre peccati originali. Motivo questo per il quale è applicata una teologia sacramentaria del tutto specifica e particolare rispetto a quella in uso nell’intera Chiesa universale. Dunque tutto può accadere a Firenze, compreso che il nostro stimato confratello Marcello Stanzione, esperto angelologo di fama europea, giunga da noi assieme a Santa Ildegarda di Bingen.

 

 

Quella di Santa Ildegarda è una figura femminile straordinaria, personalità poliedrica dotata di molteplici qualità, dalle doti taumaturgiche alla scoperta di tecniche mediche e farmacologiche, dalla mistica al dono della profezia. Celebre per le sue profezie, di cui oggi molto si discute, non di rado purtroppo anche a sproposito, motivo questo per il quale il nostro studioso avrà modo di chiarire anche certi aspetti. 

Si rivolsero a lei per chiedere consiglio le personalità più diverse, da Federico Barbarossa a Filippo d’Alsazia, dal Sommo Pontefice Eugenio III a San Bernardo di Chiaravalle. Fu canonizzata dal Sommo Pontefice Benedetto XVI nel 2012 e dallo stesso proclamata poco dopo dottore della Chiesa. 

Invitiamo i nostri Lettori che si trovano tra Firenze e dintorni a partecipare presso la Parrocchia del Sacro Cuore in via Capo di Mondo 60 alle ore 19.00 l’8 marzo. Saremo presenti anche io e il nostro redattore domenicano Gabriele Giordano M. Scardocci per fare gli onori di casa al Padre Marcello Stanzione e ai partecipanti.

Firenze, 5 marzo 2023

 

.

 

.

.

______________________

Cari Lettori,
questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:

O se preferite potete usare il nostro
Conto corrente bancario intestato a:
Edizioni L’Isola di Patmos

Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT:
BAPPIT21D21

Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento:
isoladipatmos@gmail.com

Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.

I Padri dell’Isola di Patmos

.

.

Sono un teologo custode della tradizione in linea con il pensiero del teologo Andrea Grillo, me lo impone l’onestà intellettuale

—  Pastorale liturgica —

SONO UN TEOLOGO CUSTODE DELLA TRADIZIONE IN LINEA CON IL PENSIERO DEL TEOLOGO ANDREA GRILLO, ME LO IMPONE L’ONESTÀ INTELLETTUALE

I tradizionalisti onirico-estetici sono di fondo malati patologici dinanzi ai quali si potrebbe prendere un neonato e sgozzarlo nel fonte battesimale durante il santo rito della iniziazione alla vita cristiana, però, se il Santo Battesimo è celebrato in lingua latina con l’antico rito, potete stare certi che ci passeranno sopra, o comunque troveranno in ogni caso sempre delle giustificazioni, per quanto assurde e irrazionali, sempre.  

 

 

PDF   articolo formato stampa

 

.

Un anno e mezzo fa ha creato malumore e sconcerto la Lettera Apostolica Traditionis custodes data in forma di motu proprio dal Sommo Pontefice Francesco il 16 luglio 2021 circa l’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970, che di fatto crea delle comprensibili e opportune restrizioni al Motu Proprio dato il 7 luglio 2007 dal Sommo Pontefice Benedetto XVI sull’uso del Messale Romano di San Pio V prima della riforma delineata dalla Sacrosanctum Concilium il 4 dicembre 1963.

Su questo tema è intervenuto il teologo sacramentario Andrea Grillo con un suo articolo del 24 febbraio 2022 nel quale si domanda: È legittimo creare stabili riserve indiane dell’anti-concilio? Articolo che per quanto mi riguarda ho accolto e giudicato equilibrato e anche lungimirante.

 

il teologo sacramentario Andrea Grillo

 

Sui cosiddetti e impropriamente detti tradizionalisti preferirei sorvolare, è però necessario rendere l’idea del loro status psicologico con alcuni esempi mirati a chiarire di che cosa si parla, ma soprattutto quanto irrazionale ed emotivo sia il loro approccio con la sacra liturgia. Proviamo quindi a formulare delle precise domande: i membri dei Francescani dell’Immacolata non avevano forse generato, all’interno di quella loro giovane e confusa congregazione religiosa, delle forme di vero e proprio caos giuridico? Non sono forse risultati tutt’altro che sporadici, bensì purtroppo numerosi, i casi registrati di giovani religiosi che dai loro austeri conventi sono usciti per finire sotto cure psichiatriche, dopo essere stati non tanto mal formati, ma proprio deformati sul piano umano e spirituale? Alla prova dei fatti, non hanno forse dimostrato, con inaudita arroganza, di essere una congregazione nata ieri, riconosciuta dalla Santa Sede appena nel 1990, che pur non avendo fatto in tempo a formare nemmeno una generazione di teologi, per non dire una scuola teologica, si sono messi a promuovere convegni internazionali contro i massimi esponenti della Nouvelle Théologie, che possono essere sì criticati, ma dai Domenicani o dai Francescani, che nel corso di otto secoli hanno dato vita a importanti correnti di pensiero teologico e donato alla Chiesa scuole teologiche e diversi grandi Santi e dottori della Chiesa? Con il loro alquanto confuso Padre Serafino Lanzetta, all’epoca poco più che un ragazzino, non si misero forse a battere il chiodo del Vaticano II concilio solo pastorale, quindi di fatto un concilio non dogmatico e come tale una sorta di concilietto di seconda classe? Con il loro arrogantissimo mariologo Padre Alessandro Apollonio, non si misero forse a dare per già dichiarato il dogma mariano di Maria corredentrice, chiamando la Beata Vergine con questo titolo e istituendone persino il culto e la devozione, ignari di quanto il concetto stesso di “corredentrice” crei da sempre problemi enormi nell’ambito della dogmatica e soprattutto della cristologia? Non hanno forse avuto, dulcis in fundo, problemi legati a gestioni finanziarie e patrimoniali? Come non detto, perché potremmo prendere a uno a uno questi dati di fatto e altri ancora a seguire, tutti provati e documentati, senza però riuscire a smuovere minimamente i tradizionalisti onirico-estetici convinti che i poveri Francescani dell’Immacolata siano stati perseguitati perché celebravano la Messa con il vetus ordo e perché muovevano critiche al teologo tedesco Karl Rahner.

I tradizionalisti onirico-estetici sono di fondo malati patologici dinanzi ai quali si potrebbe prendere un neonato e sgozzarlo nel fonte battesimale durante il santo rito della iniziazione alla vita cristiana, però, se il Santo Battesimo è celebrato in lingua latina con l’antico rito, potete stare certi che ci passeranno sopra, o comunque troveranno in ogni caso sempre delle giustificazioni, per quanto assurde e irrazionali, sempre. 

Andrea Grillo appartiene a quella che taluni sono soliti definire “area progressista” o “molto progressista”. Si tratta di definizioni che non mi sono mai piaciute, perché per me esistono solo teologi che discutono e che come unica e sola “etichetta” hanno quella di cattolici. Ho conosciuto Andrea Grillo in anni passati, è un uomo di profonda cultura giuridica, teologica e sacramentaria. Alla domanda se condivido certe sue tesi e posizioni risponderei di no, ma che sia uno studioso di altissimo livello, questo è indubitabile. A questo si aggiunga che è anche amabile come persona e molto talentato come didatta, sempre disponibile e premuroso con gli studenti delle scuole di specializzazione. Se certi tradizionalisti onirico-estetici la cui arroganza è da sempre pari alla loro ignoranza, si mettessero a discutere sulla struttura teologica e pastorale del Messale di San Pio V, per non parlare della sua storia ed evoluzione attraverso i secoli, con un liturgista del genere ― di cui ripeto bisogna riconoscere anzitutto la levatura e la cultura enciclopedica ― penso che dopo tre minuti scarsi non rimarrebbe di loro neppure una piuma.

Ho cercato sempre di essere uno studioso intellettualmente onesto, pertanto non ho mai avuto alcuna difficoltà ad affermare che Hans Küng aveva doti naturali e capacità speculative di gran lunga superiori a quelle di Joseph Ratzinger, perché lo provano i fatti storici e la originalità dei suoi scritti. Diversamente, quelli di Joseph Ratzinger, sono scritti di un teologo molto colto nonché eccellente didatta in grado di esporre in modo magistrale, ma l’originalità del pensiero è però tutt’altra cosa. Il mio confratello e amico Brunero Gherardini (1925-2017), che era la quintessenza dell’ortodossia più ligia e anche rigorosa, non aveva alcuna difficoltà ad ammettere in toni di stima che Leonard Boff era uno tra i più dotati e talentati ecclesiologi degli ultimi 50 anni, o che il commento e l’esegesi più bella alla Lettera ai Romani rimane quella del protestante Karl Barth, al momento insuperabile. Ma c’è di più: forse, se noi possedessimo le opere e gli scritti ― che purtroppo non ci sono invece pervenuti ― potremmo persino scoprire che l’eresiarca Pelagio era più dotato, a livello teologico e speculativo, di quanto lo fosse Agostino vescovo d’Ippona, in seguito Santo e dottore della Chiesa. Purtroppo di Pelagio non abbiamo le opere e di lui conosciamo solo le risposte e le confutazioni di Agostino. Ma se contro Pelagio si mosse un titano come Agostino, già questo dimostra che dall’altra parte, eretico quanto vogliamo, c’era un altro titano e un osso a dir poco duro contro il quale combattere. E vogliamo parlare dell’eresiarca Ario, che con le sue teorie sulla Incarnazione del Verbo riuscì a convincere quasi tutta la cattolicità che il Cristo era una creatura divina creata da Dio? Le sue teorie, molto ben strutturate e avvincenti, costrinsero i Padri della Chiesa a radunarsi nel Concilio Ecumenico di Nicea, nell’anno 325, per definire dogmaticamente che il Cristo non era una creatura bensì «generato non creato della stessa sostanza del Padre» (γεννηθέντα οὐ ποιηθέντα ὁμοούσιον τῷ Πατρί). Lungi dall’essere debellata, l’eresia ariana proseguì a diffondersi per i secoli successivi in intere regioni dell’Europa. I popoli germanici e non solo, furono evangelizzati da vescovi e presbiteri ariani agli inizi del IV secolo. Solo nel VI secolo i popoli germanici furono ri-convertiti dai missionari, dopo due secoli di arianesimo, che seguitò a lasciare comunque il proprio segno.

Questo genere di teologia e di storia della teologia certi poveri tradizionalisti onirico-estetici rinchiusi in quattro formule rancide della neo-scolastica decadente ― che della scolastica classica non è manco lontana parente ― non sanno neppure dove abita, perché come tutti i mediocri devono inventarsi nemici, sguazzare tra millenarismi e profezie catastrofiche, imminenti trionfi magici del Cuore Immacolato di Maria, dando a credere di saperla più lunga di tutti, ma soprattutto tentando di distruggere coloro che decidono di elevare a rango di supremi nemici, perché l’immagine del nemico è un presupposto fondante del loro stesso essere ed esistere. Tipica caratteristica di queste persone è quella di non combattere le idee ma le persone nel tentativo di distruggerle in ogni modo e con qualsiasi mezzo, secondo lo stile consolidato dei peggiori integralismi di matrice pseudo-religiosa.

Sulle colonne di questa nostra rivista il Padre Ivano Liguori e io siamo stati più e più volte severi con certi preti showman, ma non solo: sempre e di prassi abbiamo richiamato alla responsabilità i loro vescovi accusandoli senza mezzi termini di scarsa vigilanza. Non possiamo però dire che la Chiesa sia stata indifferente e silente da questo punto di vista, perché contro gli abusi liturgici hanno parlato e scritto sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI, nel 2004 fu promulgata l’istruzione Redemptionis Sacramentum che è un documento molto chiaro e preciso del quale molti si sono bellamente fregati, in testa a tutti Neocatecumenali e vari gruppi Carismatici.

Ben prima di Traditionis custodes invocai in modo provocatorio che sarebbe stato bene revocare quel motu proprio di Benedetto XVI sulla Missa vetus ordo [vedere mia video-conferenza] visti certi esiti tutt’altro che minoritari o isolati. E per anni, non per giorni o mesi, ma per anni ho ripetuto inutilmente a certi gruppi e fedeli di smetterla con le loro amenità del tipo: «Ah, questa sì che è la sola Messa, la Messa valida, la Messa di sempre, mica quella Messa protestantica di Paolo VI inventata da quel massone di Annibale Bugnini!». E quante volte gli ho ripetuto che non potevano né dovevano usare il Missale vetus ordo per attaccare un intero concilio della Chiesa, o una necessaria riforma liturgica avviata già prima del concilio dal Sommo Pontefice Pio XII e via dicendo a seguire. Altrettanto inutilmente ho ripetuto per anni che se avessero continuato a quel modo, prima o poi quel motu proprio sarebbe stato revocato. Come non detto, questa la risposta: «No, non è possibile, perché la Messa di sempre è irrevocabile, intoccabile!». E ancora, inutilmente, per anni e anni ho ripetuto loro che quel motu proprio non era una definizione dogmatica irrevocabile e che da sempre a Roma si dice che «un Papa bolla e un Papa sbolla».

Tempo perso, parole sprecate, teste ottuse che si sono sempre rifiutate di capire, andando avanti per anni, in modo ostinato e pertinace, a fare uso di un messale per creare due partiti all’interno della Chiesa, usando come elemento di divisione ciò che costituisce il cuore dell’unità: l’Eucaristia.

A mio modesto parere, con tutto il dispiacere per quelli che invece non hanno avuto questi atteggiamenti, ritengo che il Sommo Pontefice abbia fatto bene a promulgare quel motu proprio restrittivo che di fatto è Traditionis custodes, a cui riguardo possiamo dire in legittimo tono critico, ma soprattutto alla luce dei principi di prudenza, equilibrio e soprattutto aequitas, che il suo è stato un agire indubbiamente giusto, ma altrettanto indubbiamente parziale. Per quanto mi riguarda può starmi bene che si stringa la cinghia sull’uso del Messale di San Pio V, visto il modo in cui non alcuni, ma molti lo hanno usato, visti certi esiti infelici e conclamati, però, essendo intellettualmente onesto, non posso omettere di chiedermi e di chiedere: e i gruppi Neocatecumenali che hanno invaso e che hanno in mano quasi la metà delle parrocchie della Diocesi di Roma, che in modo impudente, insolente e arrogante affittano saloni negli alberghi della Capitale o nelle case religiose dell’Urbe, per fare della sacra liturgia ciò che vogliono e come vogliono direttamente sotto le finestre del Santo Padre, qualcuno gli ha forse detto qualche cosa, o intende semmai a breve dirgli qualche cosa? È stato per caso emanato un documento nel quale si proibisce di celebrare le Messe senza autorizzazione dell’Autorità Ecclesiastica fuori dagli spazi consacrati, che né a Roma né in tutto il resto dell’Italia mancano, permettendogli di seguitare a radunarsi in saloni di hotel o di compiacenti case religiose, con il prete “preso a noleggio” che esegue gli ordini dei laici genuflessi alle peggiori direttive bizzarre di Kiko Argüello? Il Sommo Pontefice, che di recente ha messo mano alla propria Diocesi con una riforma radicale, si è mai accorto che il Vicariato è da alcuni decenni in mano ai Neocatecumenali, grazie all’infausta protezione a loro accordata prima dal Cardinale Camillo Ruini e a seguire dal Cardinale Agostino Vallini? Il Sommo Pontefice, è al corrente di che cosa i Neocatecumenali hanno fatto in ostracismi e cattiverie, a quei preti da loro reputati ostili alle loro eccentricità dottrinali e liturgiche, usando il braccio armato dei loro fedeli sodali come l’inamovibile cancelliere del Vicariato di Roma Giuseppe Tonello, in grado di fare il bello e cattivo tempo, o di decidere come e in che modo tagliare le teste di certi preti ostili alla “Chiesa” del Signor Kiko Argüello? Siccome nulla di questo per adesso è stato fatto, ciò mi induce a leggere Traditionis custodes come un provvedimento reso necessario dalla situazione che si è creata, ma che al tempo stesso manifesta ancora una volta la parzialità e gli squilibri di questo Augusto Pontificato, nel quale ci si cura a giusta ragione di coloro che hanno avuto l’aperta indecenza di usare il Missale vetus ordo per attaccare un intero Concilio della Chiesa e una riforma liturgica, senza però curarsi minimamente di coloro che in modo non meno insolente e arrogante fanno della liturgia ciò che vogliono e come vogliono direttamente nella Diocesi di Roma sotto le finestre del Sommo Pontefice.

Ribadisco: le analisi del Prof. Andrea Grillo, insigne, colto e qualificato teologo sacramentario, sul piano della dottrina, della liturgia, della ecclesiologia e della pastorale non fanno assolutamente una piega. Tesi che per quanto mi riguarda approvo e condivido, mosso da quella onestà intellettuale che anima e sorregge la fede, al contrario di chi cerca di mutare la fede, vuoi col Messale di San Pio V vuoi con le stravaganze liturgiche dei Neocatecumenali e di certe frange dei Carismatici, nel mondo delle soggettive emozioni. E un Sommo Pontefice, per essere veramente giusto quando fa cose giuste, deve essere anzitutto al di sopra delle emozioni e dei partiti in lotta tra di loro. E se il caso gli impone la necessità di bastonare, in quel caso sarebbe bene bastonare in modo equo sia a destra che a sinistra.

Non credo di dovermi giustificare di alcunché, in ogni caso è bene precisare che sono un grande estimatore del Venerabile Messale di San Pio V, di cui credo di conoscere a fondo quella struttura teologica e quell’impianto pastorale del tutto sconosciuto a quegli esotici pretini trentenni che si sono alzati una mattina e improvvisati cosiddetti “tridentini”, ignari anzitutto che un “rito tridentino” non è proprio mai esistito, è solo un modo di dire del tutto improprio. Soprattutto ignari che in quel Messale persino gesti e silenzi hanno un profondo significato mistagogico e spirituale, da loro completamente ignorato per lasciare spazio a forme di estetismi esotici quasi sempre tragicamente fini a se stessi. I tradizionalisti onirico-estetici che citano a sproposito la bolla Quo primum tempore con la quale il Santo Pontefice Pio V promulgò nel 1570 quel Messale definendolo irriformabile con tanto di anathema sit, dimostrano di non conoscere lo stile col quale erano usualmente composti certi documenti pontifici che avevano un loro preciso stile retorico, ma soprattutto ignorano che quel Messale fu revisionano e riformato per un totale di diciotto volte a partire dal 1614, quanto il Sommo Pontefice Urbano VIII ne pubblicò una prima edizione aggiornata e migliorata ad appena 44 anni dalla sua promulgazione, con sostanziali e radicali correzioni. Le ultime importanti riforme furono fatte nel Novecento dal Santo Pontefice Pio X, dal Venerabile Pontefice Pio XII e dal Santo Pontefice Giovanni XXIII nello spazio di neppure cinquant’anni. Aborro gli abusi liturgici, ma proprio per questo, in mia modesta qualità di povero teologo dogmatico e storico del dogma, sono perfettamente consapevole che con quel Venerabile Messale avvenivano abusi liturgici molto peggiori di quelli ai quali assistiamo oggi con il Messale promulgato nel 1969 ed entrato in vigore nel 1970. Sono un cultore della lingua latina e quando posso uso sempre la editio typica latina del Messale di Paolo VI, quello in lingua italiana sempre e di rigore quando celebro per le assemblee dei fedeli. Mal tollero certi ciechi e ottusi anacronismi tipici delle persone che invocano di fatto la riesumazione di un cadavere, per quanto santo, vale a dire il Messale di San Pio V, non più proponibile oggi sia a livello pastorale che a livello di evangelizzazione. Il problema di fondo di queste persone è che prendendo come oggetto di disputa e lotta un Messale tendono a sfogare i disagi di una cristianità immatura o mal vissuta, rigettando l’elemento teologico ed escatologico che la Chiesa inizia il proprio incessante cammino con i discepoli lungo la Via di Emmaus assieme al Signore [cfr. Lc 24, 13-35], mentre alcuni avrebbero voluto paralizzarla, come Pietro, in modo statico sul Monte Tabor, dinanzi alla trasfigurazione del Cristo [cfr. Mc 9, 2-10]. La Chiesa è per propria natura costitutiva Popolorum progressio, chiunque tenti di mutarla in Populorum regressio rivendica il diritto insolito, ma soprattutto inaccettabile, a tradire la missione che il Cristo le ha affidato, in un cammino incessante, sempre proteso in avanti, sino al suo ritorno alla fine dei tempi.

dall’Isola di Patmos, 27 febbraio 2023

 

Il problema della aequitas e l’antico gioco dei punibili e degli impunibili, dei bastonabili e degli accarezzabili …

.

.

______________________

Cari Lettori,
questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:

O se preferite potete usare il nostro
Conto corrente bancario intestato a:
Edizioni L’Isola di Patmos

Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT:
BAPPIT21D21

Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento:
isoladipatmos@gmail.com

Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.

I Padri dell’Isola di Patmos

.

.

Una Suora Cavaliere della Repubblica Italiana al merito dell’istruzione scrive alla Preside del Liceo Scientifico Leonardo da Vinci di Firenze

Scuola, società, politica

UNA SUORA CAVALIERE DELLA REPUBBLICA ITALIANA AL MERITO DELL’ISTRUZIONE SCRIVE ALLA PRESIDE DEL LICEO SCIENTIFICO LEONARDO DA VINCI DI FIRENZE 

Quando lei ha deciso di scrivere ai suoi studenti, immagino e spero che intendesse rivolgersi loro senza muovere alcun attacco allo Stato Italiano, al Governo legittimamente eletto, alle persone dei Ministri. Probabilmente il suo scritto è stato frainteso sia da chi si è sentito dare del fascista sia da chi si è sentito assolto in quanto comunista.

.

Autore
Anna Monia Alfieri, I.M.
Cavaliere della Repubblica Italiana

.

 

.

.

 

 

 

 

 

 

.

PDF   articolo formato stampa

 

.

 Il riassunto della vicenda potete trovarlo in questo servizio offerto da   La Nazione di Firenze  

.

Carissima Preside,

innanzitutto un saluto cordiale, sperando che questa mia la trovi bene. Mi permetto di scriverle, perché sono preoccupata da quanto sta accadendo ultimamente in Italia. Sono una religiosa, appartengo ad una Congregazione il cui Fondatore, circa a metà Ottocento, ha pensato di rinnovare la società attraverso l’educazione della donna. Intuizione straordinaria che si concretizza ancora oggi, attraverso scuole e altre realtà educative presenti su tutto il territorio nazionale e non solo.  La mia scelta di vita consacrata mi ha portato, conseguentemente, a dedicarmi ai giovani, agli studenti, ai loro genitori, ai docenti, alla scuola. Ecco perché ho deciso di scriverle, con umiltà e con garbo, proprio come avrei scritto ad uno dei Presidi delle scuole gestite dall’Ente di cui sono la Legale Rappresentante.

 

Come dicevo, scrivo perché mossa da una preoccupazione: le polemiche, la violenza fisica, i tafferugli suscitano in me echi tristi e drammatici di un passato nel quale tanti giovani hanno perso la vita in nome dell’ideologia, anarchica, comunista o fascista.

Quando lei ha deciso di scrivere ai suoi studenti, immagino e spero che intendesse rivolgersi loro senza muovere alcun attacco allo Stato Italiano, al Governo legittimamente eletto, alle persone dei Ministri. Probabilmente il suo scritto è stato frainteso sia da chi si è sentito dare del fascista sia da chi si è sentito assolto in quanto comunista.

Non ho intravisto nel suo scritto una lettura ideologica né tanto meno un invito ai ragazzi che hanno picchiato i loro compagni dei collettivi di destra a fare peggio per scongiurare il pericolo fascista che nessuno di noi intravede. Lei, da Preside esperta, credo intendesse sedare gli animi degli studenti, tutti, insegnando che le idee non si affermano con la violenza, tutt’altro. Ogni forma di ideologia ha procurato morte, distruzione materiale e spirituale. Superfluo ricordare che tutti i nostri politici di destra hanno preso le distanze dal fascismo, come i nostri politici di sinistra hanno preso le distanze dal comunismo. Stesse colpe, stessi torti che occorre riconoscere, deprecare, denunciare. Sono certa che l’intenzione del suo scritto fosse proprio questa, anche se devo riconoscere che non è stato facile comprenderla pienamente e non leggere la lettera come un’accusa al Governo di essere fascista. Non sarebbe un comportamento degno di un Dirigente Scolastico, peraltro un Pubblico ufficiale.

Carissima Preside, davanti a certe immagini di violenza, si radica sempre più in me il sogno di una scuola che sia davvero libera e liberata dalla politica partitica, dall’imposizione di un’ideologia, dai docenti che presentano visioni parziali ai loro allievi. La politica, diceva San Paolo VI, figlio di un deputato antifascista, è la più alta forma della carità: quanto sarebbe bello se i nostri giovani fossero portati a conoscere quei fulgidi esempi di uomini e di donne che si sono dati alla politica per voler dare libertà ai loro concittadini: Aldo Moro, Enrico Berlinguer, Giuseppe Dossetti, Tina Anselmi, Nilde Iotti. Spesso, Preside carissima, converrà con me che a scuola si parla di politica come contrapposizione, destra e sinistra allo scontro, si compiono azioni di proselitismo, indottrinamento e, chissà, forse si discriminano gli studenti che la pensano in modo diverso. Viene, cosi, svilita la figura del docente che si fa forza del proprio ruolo.

Invito lei e tutti i suoi colleghi Presidi a verificare che la libertà di espressione dei docenti non si tramuti in indirizzi di pensiero imposti agli studenti bensì sia strumento dato loro per aiutarli ad orientarsi. Non so se nella scuola italiana tutto ciò avviene. Mi auguro di sì. Forse i tempi sono cambiati rispetto a quando ero una studentessa. Ricordo le lezioni meravigliose del docente di Lettere, tanto che portai Italiano alla Maturità (allora si chiamava così) ma ricordo anche le sue considerazioni politiche personali di sinistra. E purtroppo, se nei temi, esprimevo considerazioni personali lontane dalla sua visione, ahimè, il voto era gravemente insufficiente. Decisi allora di scegliere tracce meno pericolose: una bella analisi del testo poetico era certamente la via più sicura. Sull’onda di tutto questo, si è radicata in me la convinzione che la scuola italiana deve essere libera, che non può esserci solo la scuola pubblica statale ma anche la scuola pubblica paritaria. Non a caso la Legge 62/2000 che ha istituito il sistema pubblico dell’Istruzione, fatto dalla scuola pubblica statale e dalla scuola pubblica paritaria, porta la firma di Berlinguer, Luigi, non Enrico, certo, ma sempre un comunista, un comunista vero, aggiungo. Il rischio è, infatti, il monopolio educativo anticamera sempre del regime. Mi sono sempre chiesta come possa un docente imporre la propria idea su giovani studenti, ricorrendo ad un vero abuso del proprio potere. Sicuramente Lei, Preside, non avrà mai compiuto simili atti e li avrà prevenuti nel suo corpo docenti. Allo stesso modo curerà che nelle programmazioni di Letteratura italiana autori come Dante, Tasso e Manzoni godano del posto che meritano e non siano considerati dei reietti per far posto a visioni più moderne, al passo con i tempi.

Sono convinta che i fatti accaduti nella sua città possono essere un’occasione d’oro per liberare le nostre Scuole, le nostre Università da letture distorte, ideologiche e del tutto personali. Le chiedo: possiamo noi educatori avvallare l’ideologia, avvallare la visione parziale e non veritiera? Possiamo avallare la violenza e giustificarla? Possiamo fomentarla? La risposta è “no”: non debemus, non possumus, non volumus. Sogno un Paese libero, cittadini capaci di rispettare le Istituzioni, di non servirsi del proprio ruolo, della realtà che dovrebbero servire per alimentare le guerriglie a suono di like o di firme raccolte.

Carissima Preside, abbiamo bisogno di educatori, abbiamo bisogno di docenti in possesso di cultura, quella vera, quella che presenta un periodo storico, il pensiero di un filosofo, un argomento di etica in modo obiettivo, avendo il coraggio di dire la propria opinione senza imporla, senza discriminare, senza dileggiare. Questa è la scuola di cui l’Italia ha bisogno. Diversamente continuerà l’imposizione che genera desiderio di rivalsa, odio, sopraffazione.

Collaboriamo perché la scuola torni ad essere laboratorio e fucina di idee, nel rispetto delle visioni di ciascuno. Questo è il compito della scuola, da sempre. Chi l’ha fatta diventare mezzo di diffusione dell’idea dominante l’ha corrotta e resa meschinamente supina. Evitiamo di ricadere negli stessi errori del passato.

 

Milano, 26 febbraio 2023

.

.

.

______________________

Cari Lettori,
questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:

 

O se preferite potete usare il nostro
Conto corrente bancario intestato a:
Edizioni L’Isola di Patmos

Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT:
BAPPIT21D21

Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento:
isoladipatmos@gmail.com

Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.

I Padri dell’Isola di Patmos

 

 

.

.

 

.

.

.

.

.

Basta la cultura per salvare i preti spaesati? forse no, se manca il senso di paternità dei vescovi e una riscoperta della propria identità sacerdotale

BASTA LA CULTURA PER SALVARE I PRETI SPAESATI?  FORSE NO, SE MANCA IL SENSO DI PATERNITÀ DEI VESCOVI E UNA RISCOPERTA DELLA PROPRIA IDENTITÀ SACERDOTALE

La maggior parte delle volte che mi trovo ad incontrare dei sacerdoti, le più comuni sofferenze che si sentono di condividere sono date dall’abbandono e dalla solitudine che sperimentano da parte dei propri pastori, per non parlare poi di alcuni che sperimentano delle vere e proprie derisioni. Questa modalità anaffettiva di relazione tra vescovo e sacerdote dovrebbe farci riflettere molto, perché davanti a un prete incapace di amore pastorale verso i fedeli, a volte, si nasconde un vescovo incapace di amore verso il proprio prete.

— Attualità ecclesiale —

                   Autore
        Ivano Liguori, Ofm. Capp..

 

PDF  articolo formato stampa

 

.

Quando ero un giovane chierico del biennio di filosofia, ho avuto la grazia di conoscere e di essere allievo di un santo gesuita il Padre Giuseppe Pirola, uno dei pochi gesuiti che ho conosciuto in vita mia e di cui si può dire con franchezza evangelica che non c’è falsità, così come Cristo disse del Beato Apostolo Natanaele [cfr. Gv 1, 47-51].

 

 

Il buon Padre teneva il corso di fenomenologia della religione e di metafisica ogni giovedì presso il nostro studentato. Già dal mercoledì sera si stabiliva presso il nostro convento di Cremona e normalmente presiedeva la celebrazione della messa vespertina per poi prestarsi ad ascoltare le confessioni di noi giovani frati studenti.

Mi ricordo, durante una di quelle celebrazioni, forse nella memoria liturgica di Sant’Alberto Magno o di qualche altro Dottore della Chiesa, che la sua omelia toccò profondamente il cuore e le menti di noi giovani chierici con queste parole:

«ragazzi lo sapete perché Sant’Alberto, San Tommaso e gli altri che noi oggi riconosciamo come Dottori della Chiesa sono santi? Non pensate che siano santi solo per la loro cultura accademica, perché hanno tanto studiato. Queste persone sono sante perché anzitutto con la loro fede hanno cercato Gesù e hanno desiderato stare con lui. Da questo desiderio è poi scaturito l’approfondimento teologico illuminato dallo Spirito Santo che li ha resi quelli che sono»

e poi concludeva:

«voi non state studiando per la sola cultura, voi state studiando per proseguire un cammino di fede che vi porterà a stare con Gesù e a conoscerlo intimamente».

Ancora oggi queste parole per me rappresentano la bussola del mio ministero sacerdotale, affinché io rammenti che la cultura teologica può divenire facilmente vanità o vuota erudizione se non è accompagnata dal servizio reso alla verità e la carità di Cristo. Ma del resto per che cosa siamo diventati sacerdoti?

Il Beato evangelista Marco è chiaro in proposito quando riporta l’istituzione dei Dodici, egli dice: «Li scelse perché stessero con lui» [Cfr. Mc 3,13-19]. Gesù ci chiama a stare con lui, chiede ai suoi sacerdoti un legame esclusivo di vita, non un rapporto clientelare o meramente intellettuale tra docente e discente, tra rabbi e discepolo.

Stiamo conoscendo tempi in cui un dottorato alla Pontificia Università Gregoriana o alla Lateranense non si nega più a nessuno. Anzi tali traguardi sono finalizzati all’unico scopo del curriculum in vista della scalata carrieristica. Non sono così rari coloro che già dal seminario sono identificati come episcopabili e che durante il loro perfezionamento accademico a Roma sono soliti frequentare gli ambienti giusti come l’Almo Collegio Capranica e altri cerchi magici dove poter conoscere qualche buon diavolo che li porti così da promuovere la caduta di qualche mitria che indegnamente e con sofferenza ricevono sulla testa con tutta l’umiltà del caso.

Siamo di fronte a quel fenomeno dei pretini trendy di cui scrissi tempo addietro [vedi qui] le cui ben note attitudini da arrampicatori si protendono verso l’infinito e oltre, salvo poi cadere rovinosamente da un momento all’altro e concludere il loro successo con un disorientamento che è l’anticamera della crisi. Con tutta onestà, pur riconoscendo in talune menti indubbie qualità, spesso si sperimenta una certa fragilità di fede unita a quella difficoltà a stare con il Signore che è la sola prerogativa essenziale per ogni discepolo ma soprattutto per ogni teologo.

E tutto questo sia detto senza giudizio alcuno ma basandosi esclusivamente su uno stile sacerdotale ampiamente documentato ed esibito via social da coloro che si evidenziano sempre di più come dei veri e propri professionisti del sacro. Se ci soffermiamo poi sulle loro pubblicazioni, che fanno la gioia di una certa editoria cattolica, possiamo notare che la travagliata gestazione editoriale a null’altro serve che a fare bella mostra sugli scaffali delle più rinomate librerie romane di Via della Conciliazione e di Borgo Pio, piazzandosi come sicure opere avanguardiste del pensiero progressista cattolico. Ma quanto di queste opere è espressione di conoscenza intima del Signore Risorto e di quella fatica di permanere con il Maestro? Dobbiamo dirlo con franchezza che anche la cultura religiosa e teologica «deve essere preceduta da un’intensa vita di preghiera, di contemplazione, di ricerca e di ascolto della volontà di Dio» [Cfr. R. Sarah, La forza del silenzio. Contro la dittatura del rumore, Siena, 2017, ed. Cantagalli, p. 35].

Non è esagerato considerare certi lavori intellettuali opera di eretici formali e sostanziali se non proprio di atei dichiarati. Spesso leggendo questi libri notiamo una similitudine di pensiero e di intenti presente già in alcuni esponenti della sociologia, dell’antropologia e della psicologia laica che parlano del mondo religioso dal loro osservatorio privilegiato e pretendono di suggerire alla Chiesa il cammino da perseguire per un rinnovamento religioso da una fede considerata obsoleta e che si deve svecchiare scendendo a compromesso con il mondo e le sue logiche.

Tra i tanti dotti di oggi si sente l’esigenza di avere nella Chiesa e nelle fila del clero degli uomini che abbiano una fede forte, che si intrattengano con Dio e che desiderino imparare quella sapientia crucis che non può essere appresa solamente sui libri.

Questa lettura della situazione del clero non è mia, già il Cardinal Robert Sarah esprime questo concetto nel suo ultimo libro quando dice che: «abbiamo già fin troppi eminenti specialisti e dottori in scienze religiose. Ciò che manca oggi alla Chiesa sono uomini di Dio, uomini di fede e sacerdoti che siano adoratori in spirito e verità» [Cfr. R. Sarah, Catechismo della vita spirituale, Siena, 2022, ed. Cantagalli, p. 12]. Affermare questo non significa certamente essere contro la cultura ma collocarla nella giusta prospettiva.

Oggi lo status di adoratore di Dio è una merce rara tra i sacerdoti, già fin dai primi anni del seminario. Esso implica quell’esigenza spirituale a lasciarsi leggere dentro dal Signore così come vediamo fare nel rapporto con la Samaritana [Cfr. Gv 4,1-30], la cui relazione con i diversi mariti non è ascrivibile a una condizione di disordine coniugale o sessuale ma da un rapporto di fedeltà con Dio che è venuto meno a favore della convenienza e che purtroppo costituisce anche la causa di quella sete che non è possibile soddisfare se non tornando al vero Dio. Ecco, cari lettori, quando noi sacerdoti soddisfiamo la nostra sete ad altre fontane che non derivano da Dio e a lui conducono, cadiamo spesso nel rischio di essere spaesati e di essere facili prede di una crisi di senso e di identità.

Perché dico questo? Perché mi è capitato tra le mani un interessante articolo a firma di Ida Bozzi sull’inserto domenicale La Lettura de Il Corriere della Sera dal titolo «Una Rivista esplora il mondo nel tempo dei preti spaesati». In questo articolo leggiamo il punto di vista del direttore della “Rivista del Clero Italiano” il teologo Giuliano Zanchi che affronta il tema della condizione di confusione e di spaesamento dei preti nell’attuale situazione ecclesiale.      

Sono particolarmente sensibile a questo argomento perché più di una volta nel mio ministero di confessore ho toccato con mano il disagio dei confratelli sacerdoti e lo spaesamento intimo che in essi si dibatte. Il disagio oggi è tangibile e si accompagna alle immancabili fragilità umane che conducono alla secolarizzazione e dell’ibridazione del sacerdozio cattolico in quella che sempre più è diventata una libera professione, dove il prete diventa l’assistente sociale di quartiere o il presidente di una ONG [vedi un esempio qui e qui].

Se facciamo attenzione ai casi di sacerdoti in crisi o che abbandonano il sacerdozio, spesso ci troviamo di fronte a soggetti di provata cultura che dovrebbero in qualche modo essere preservati da questo tipo di derive. Eppure, non sempre accade questo e ci rendiamo conto che la sola cultura spesso non basta, se questa cultura non viene subordinata e indirizzata alla familiarità con Cristo. Se il libro non mi conduce al tabernacolo e il tabernacolo al libro avrò sprecato il mio tempo.

Giuliano Zanchi, presbitero e teologo, nella sua analisi, riferisce che oggi il clero subisce un certo disconoscimento sociale del proprio status e una demolizione della propria autorevolezza. Resto perplesso quando si parla solo di autorevolezza e non di autorità perché presentare al clero il modello di autorità sacerdotale di Gesù sulla scorta della pericope di Mc 1,21-28 potrebbe sembrare oggi un po’ troppo di destra, allora bisogna essere prudenti e da bravi accademici differenziare l’autorevolezza dall’autorità.

Così, prosegue l’articolo, a fronte di un comune senso del sacro che non è certo scomparso ma che sicuramente si è degradato, si assiste a una transizione della barca della Chiesa verso altri lidi, verso differenti indirizzi teologici ed ecclesiali rispetto a quelle forme tradizionali e istituzionali che siamo abituati a conoscere.  

La soluzione proposta dal direttore della Rivista del Clero Italiano – che mi sento di condividere fino a un certo punto – consiste nell’investire in cultura, strumento privilegiato con cui il clero può rispondere alle sfide teologiche che i tempi nuovi richiedono e antidoto alla confusione dilagante tra i sacerdoti. Questa proposta culturale si presenta anche portando illustri modelli come i teologi Tomáš Halík e Pierangelo Sequeri.

Sarò franco, parlare di cultura in senso generale serve a poco se poi non si delimitano bene i confini e gli ambiti di intervento e le finalità. Di quale cultura abbiamo bisogno? Quella cultura suggerita dalla sapienza umana o quella insegnata dallo Spirito Santo? [Cfr. Cor 2, 1-16] Che al clero oggi serva una buona formazione è indubbio, per accorgersene basta vedere lo scempio liturgico e canonico che quasi giornalmente si compie a detrimento dei sacramenti della Chiesa [vedi qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui]. Per questo mi chiedo, a una buona cultura corrisponde sempre e automaticamente una buona formazione? Avrei qualche dubbio. I percorsi di formazione teologica per i futuri sacerdoti si sono moltiplicati con l’integrazione di infiniti esami accademici ma mai come in questi tempi la qualità della formazione del clero appare imbarazzante.

Da sacerdote un po’ ingenuo e vintage sono persuaso che la cultura da sola non basti a dare una formazione e una conoscenza di Dio, anzi spesso si corre il rischio di cadere nel compiacimento personale e nel convincersi di essere il solo detentore della verità e di una visione corretta del mondo (la propria!).

Il sacerdote si forma non solo con la mera cultura accademica ma restando in compagnia costante del Maestro che insegna dalla cattedra della croce, è un apprendimento mistico faticoso, che consta di ore davanti al tabernacolo, di ginocchia sbucciate e di martirio. Così è stato per gli Apostoli e così sarà per l’avvenire.

L’articolo prosegue poi dando una punzecchiatura a un certo tipo di stile sacerdotale rigido, verso quella devozione bigotta unita a quella tendenza apologetica intransigente e oscurantista che secondo Giuliano Zanchi è «oggi molto forte». Insomma, tanto per capirci, se il prete insegna ai fedeli a recitare il rosario e a meditarne i misteri con quella stessa purità di intenzione di Santa Bernardetta a Lourdes o dei pastorelli a Fatima si deve considerare forse un bigotto? O quando vuole mantenere la barra diritta con una certa fermezza paterna su posizioni apologetiche in difesa della fede, della dottrina o della morale davanti alle sfide aperturistiche della modernità a cui alcune frange della Chiesa strizzano l’occhio, si deve considerare un rigido oscurantista? Mi piacerebbe conoscere la risposta, ma soprattutto vorrei conoscere i modelli di riferimento che non siano i soliti Maggi, Bianchi, Mancuso e Melloni o coloro che sebbene pastori in cura d’anime sono pressoché introvabili perché troppo impegnati a tenere conferenze e a consumare le predelle della facoltà teologiche.

È quindi la cultura la sola e unica panacea possibile per i mali dei sacerdoti spaesati?  Non sempre. Se per cultura si intende quella che dialoga e fraternizza con l’uomo d’oggi senza pretendere obiettivi audaci e faticosi, senza chiedere la conversione, sicuramente no. Ci chiediamo allora ― prendendo in prestito un pensiero di Benedetto XVI ―, se il dialogo unito alla fraternizzazione culturale possa sostituire veramente la missione, con il reale rischio di oscurarne la verità e corrompere la fede. Perché questo è il punto focale su cui è doveroso insistere, è la fede dei sacerdoti che deve essere tutelata affinché le Verità che essi trasmettono a nome della Chiesa dirigano il dialogo con il mondo e non viceversa. Uomini di Dio che, attraverso una fede illuminata e vissuta, sappiano rendere Dio credibile in questo mondo. Anzitutto uomini di Dio, e solo in seguito dotti cultori di una disciplina teologica.

Il Beato Apostolo Paolo munito della sola sapientia crucis presso l’Areòpago di Atene, tempio della cultura e del dialogo del mondo antico, non ha lesinato ad affermare la verità della Resurrezione a costo di essere compatito e deriso da coloro che detenevano le chiavi della cultura greca. La rinuncia alla Verità oggi sembra quanto mai realistica e forse opportuna, anche davanti a un possibile dialogo pacificatore con la cultura moderna o con le altre fedi religiose ma può essere letale per la fede che rischia di perdere il suo carattere vincolante e la sua serietà [Cfr. Benedetto XVI, Che cosa è il cristianesimo, Milano, 2023, ed. Mondadori, pp. 9-11].

Per questo motivo davanti ai sacerdoti spaesati è importante riproporre una terapia spirituale di ritorno a Cristo, a quello spirito di orazione e di devozione che il Serafico Padre Francesco raccomandò al sapiente dottore Antonio di Padova in una sua lettera:

«A frate Antonio, mio vescovo, frate Francesco augura salute. Ho piacere che tu insegni la sacra teologia ai frati, purché in questa occupazione, non estingua lo spirito dell’orazione e della devozione, come sta scritto nella Regola» [Cfr. Fonti Francescane nn. 251-252].

Perciò insieme alla cultura è necessario ripartire dall’orazione e dalla devozione, elementi che favoriscono l’adorazione di Dio in Spirito e Verità e che a mio modesto parere formano gli anticorpi per una sana e sapiente cultura. La vita reale ci pone innanzi un’evidenza: quando un sacerdote entra in crisi o è spaesato le motivazioni sono quasi sempre da ricercare nel fatto che si sente solo e che ha smarrito i punti di riferimento che un tempo aveva chiari. La crisi negli uomini di Dio non è mai primariamente culturale ma di senso e di identità. Fondamentale, in questi casi, è saper contare sul cuore paterno del proprio vescovo o del proprio Ordinario il cui primo dovere è l’accompagnamento e la tutela del proprio sacerdote. Nella Presbiterorum Ordinis di Paolo VI, il Pontefice spiega che un sacerdote è intimamente e inscindibilmente legato al proprio vescovo e alla sua Chiesa particolare in comunione con la Chiesa universale. Questo legame non è soltanto un carattere giuridico ma anzitutto spirituale e umano. Il vescovo è colui che possiede la pienezza del sacerdozio di Cristo, e come tale esprime Cristo nel suo stesso essere e operare. Egli, come Cristo, è chiamato a esprimere quella premura verso i Dodici e i discepoli non facendo mai mancare loro la sua presenza nei momenti di prova e di smarrimento.  La maggior parte delle volte che mi trovo ad incontrare dei sacerdoti, le più comuni sofferenze che si sentono di condividere sono date dall’abbandono e dalla solitudine che sperimentano da parte dei propri pastori, per non parlare poi di alcuni che sperimentano delle vere e proprie derisioni. Questa modalità anaffettiva di relazione tra vescovo e sacerdote dovrebbe farci riflettere molto, perché davanti a un prete incapace di amore pastorale verso i fedeli, a volte, si nasconde un vescovo incapace di amore verso il proprio prete. Ma non era l’amore il segno che avrebbe dovuto contraddistinguere la vita degli Apostoli e dei discepoli di Cristo? [Cfr. Gv 13,1-15; 13, 34-35].  

Tutti conosciamo vescovi ligi nell’organizzare puntualmente i ritiri e la formazione permanente del proprio clero, anche con invidiabili profili culturali ma che poi sono terribilmente distanti da coloro su cui dovrebbero esercitare quella custodia paterna da cui deriva il termine episkopos che anticamente faceva riferimento a un patronato divino di custodia.

Vescovi che non trovano il tempo da dedicare ai propri sacerdoti anziani, ammalati o in difficoltà e che attingono informazioni da altre fonti: «Mi hanno detto che…», anziché esporsi in prima persona con una telefonata e dire: «Sono preoccupato per te, come stai? Posso fare qualche cosa? Voglio venire a pranzo da te». Se il prete va in crisi, e ne ha ben donde, è perché sperimenta tutto questo e molto altro ancora, non solo perché è carente culturalmente.

La solitudine del clero oggi sta diventando sempre di più la prima emergenza patologica da risanare che si unisce alla seconda emergenza patologica più marcatamente spirituale che è data dalla mancata familiarità con Cristo. Mi chiedo, che cosa è possibile fare davanti a queste emergenze? Può bastare il suggerimento ad ampliare la propria cultura? Ironia della sorte, i sacerdoti che vanno più spesso in crisi sono quelli più titolati e culturalmente più preparati, che sembrano bastare a sé stessi. Dove risiede l’identità di questi fratelli sacerdoti? Non certo nella sola cultura, ma in un rapporto mistico con Cristo che è venuto meno. Il proprium sacerdotale, spiega Benedetto XVI, non consiste in altro se non nell’essere sacerdos nel senso definito da Gesù Cristo sulla croce. Questo significa che la crisi sacerdotale non è essenzialmente una crisi culturale ma l’incapacità a stare ― nel senso di prendere dimora ― insieme con il Signore sulla croce.

Questo discorso ci porta a constatare impietosamente che stiamo assistendo, molto più oggi che nel passato, a una crisi che riguarda l’identità sacerdotale che non viene più radicata e compresa in coloro che scelgono di rispondere alla vocazione. Allora cerchiamo di capire anzitutto che il sacerdote non vive di luce propria e che il suo essere sacerdote è vero solo in relazione all’unico ed eterno sacerdozio di Cristo che chiama l’uomo a essere unito con lui nel ministero di mediatore.

In questa dinamica di unione mistica e sacramentale all’unico ed eterno sacerdozio di Cristo l’uomo è chiamato a una progressiva spogliazione di sé ― non solo dai beni ma anzitutto dal proprio io ― che richiama quella necessaria ricerca di perfezione che è stata proposta al Giovane Ricco e che gli Apostoli hanno intrapreso nella sequela del Maestro, abbandonando ogni cosa [Cfr. Mc 10,17-22; 28-31]. Per i sacerdoti questa spogliazione rappresenta l’unico fondamento valido che informa la «necessità del celibato, come anche della preghiera liturgica, della meditazione della Parola di Dio e della rinuncia ai beni materiali» [Cfr. R. Sarah con Benedetto XVI, Dal profondo del nostro cuore, Siena, 2020, ed. Cantagalli, p.26]. Più sappiamo spogliarci e decentrarci e più Cristo, la sua Parola, la sua preghiera e la sua essenzialità di vita andranno a rivestire la nostra identità sacerdotale e umana.  

Questi elementi essenziali ci aiutano a comprendere in che cosa consista la crisi dell’identità sacerdotale e dove è necessario intervenire per un risanamento. Un sacerdote spaesato è quello che non considera più il suo ministero come opera esclusiva di Cristo ma anzitutto opera personale. Questa sostituzione del proprium sacerdotale è molto subdola e si rivela nella smania dell’attivismo e del narcisismo. Nel momento in cui il sacerdote presume di essere indispensabile, assecondando la smania di apparire sempre e in ogni circostanza, rifuggendo quel salutare nascondimento che permette a Cristo di agire in lui, si cade in quella tentazione diabolica che elimina l’opera di Dio privilegiando l’opera dell’uomo così come vediamo accadere in coloro che desiderarono farsi un nome durante la costruzione della Torre di Babele [Cfr. Gn 11,4].  

Allo stesso modo l’attivismo manageriale, diventa la nuova Liturgia delle Ore che è necessario celebrare, rifuggendo la staticità della contemplazione ai piedi del Maestro ― considerata ormai una perdita di tempo ― per preferire l’impegno in diversi ambiti, anche in quelli che propriamente non attengono al ministero sacerdotale. Oggi non è raro vedere sacerdoti nei panni di politici, di influencer, di TikToker, di assistenti sociali, di psicologi, di opinionisti televisivi, di manager di imprese commerciali o assistenziali, di insegnanti e via dicendo a seguire. Con la presunzione che l’operare bene e per il bene equivalga ad essere ugualmente un buon sacerdote, finendo per eliminare lo specifico della vocazione sacerdotale così come Cristo l’ha pensata e intesa per la Chiesa.

Nella smania di farsi un nome ed esercitare un potere con il fare, il sacerdote si spersonalizza, la sua giornata non è più scandita dalla preghiera, diventa sempre più difficile assolvere a tutte le ore del breviario, e la Santa Messa è solo una parentesi da celebrarsi in fretta, preferendo il II Canone del messale e in non più di quindici minuti. La sosta al confessionale è sempre più rara perché una non meglio definita teologia della misericordia ha portato a intendere ― sia nei laici che nel clero ― che non esiste più la realtà del peccato e se esiste c’è il perdono d’ufficio senza bisogno di pentimento e di conversione di vita.

La visita ai malati e la comunione nel primo venerdì del mese sono cose sempre più rare, così come la pastorale dei sofferenti che è lasciata a pochi specialisti del settore così come quella delle famiglie e dei fidanzati.

Altri esempi si potrebbero fare ma già questi sono più che sufficienti a tracciare un profilo aggiornato di quello che il sacerdote oggi sperimenta. Vogliamo investire in cultura? Una posizione lodevole ma primariamente cerchiamo di rafforzarne l’identità sacerdotale. Richiamiamo il sacerdote alla preghiera fervorosa e costante, alla valorizzazione e al risanamento di quella fraternità con il proprio vescovo e con i propri confratelli, aiutiamolo a non scendere dalla croce di Cristo. Soprattutto, instilliamo nel cuore dei giovani chierici il dovere di carità unito a quell’amore vicendevole che arriva al perdono e che non rivaleggia e non si dibatte nel narcisismo egocentrico del freddo carrierista del sacro.  

Voler bene ai sacerdoti è un compito grande e impegnativo, una responsabilità di tutta la Chiesa che non è più possibile procrastinare senza indebolire la santificazione del popolo di Dio e tradire quell’istituzione del sacro ministero che il Signore ha voluto nel suo Giovedì Santo.

Laconi, 24 febbraio 2023

 

.

.

______________________

Cari Lettori,
questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:

O se preferite potete usare il nostro
Conto corrente bancario intestato a:
Edizioni L’Isola di Patmos

Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT:
BAPPIT21D21

Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento:
isoladipatmos@gmail.com

Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.

I Padri dell’Isola di Patmos

.

.