A PROPOSITO DEL MINISTRO DELLA CULTURA. LA MANCANZA DI LAUREE È FORSE SEGNO DI GRANDE GENIALITÀ A SINISTRA E MOTIVO DI GRANDE SFOTTÒ A DESTRA?
I “comici di partito” mandati all’assalto a sfottere il “povero” Ministro della Cultura perché non laureato, poi a seguire perché laureato a quasi cinquant’anni, intendono per caso ironizzare anche su certi autori-bandiera celebrati come indiscusse icone della Sinistra, alcuni dei quali non finirono neppure i licei e le scuole superiori?
– Le brevi dei Padri de L’Isola di Patmos –
Autore Teodoro Beccia
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L’attuale ministro della cultura Alessandro Giuliè stato oggetto di critiche e lazzi perché non era laureato, poi perché solo di recente ha conseguito la laurea alle soglie dei 50 anni.
Alberto Pincherle, in arte Alberto Moravia (1907 – 1990)
Sul versante della Sinistra si sono sbizzarriti a dare il meglio di sé stessi. Personalmente penso che il Ministro meriti critiche, volendo anche severe, ma per altro, non per la mancanza di una laurea, che non ha mai costituito per alcuno garanzia di intelligenza, sapienza, preparazione e competenza.
Prendiamo solo alcuni di quegli autori considerati intellettuali intoccabili nonché bandiere della Sinistra di ieri e di oggi:
Italo Calvino (Santiago de Las Vegas 1923 – Siena 1985) che fu studente pigro e mediocre sin dall’adolescenza, iscritto alla facoltà di agraria dove dette solo alcuni esami ritirandosi poi dagli studi, oggi è considerato uno tra i narratori più significativi del Novecento (cfr. QUI).
Elio Vittorini (Siracusa, 1908 – Milano, 1966) che lungi dall’essersi mai laureato non riuscì neppure a conseguire il diploma all’istituto di ragioneria, oggi è inserito nell’Olimpo dei letterati italiani del Novecento (cfr. QUI).
Alberto Moravia (Roma, 1907 – Roma, 1990) che non finì neppure il liceo classico interrompendo gli studi dopo i primi due anni di ginnasio, è autore di un romanzo (Gli indifferenti, 1929) considerato “opera capitale” della letteratura del Novecento (cfr. QUI).
Questi autori ebbero in comune tra loro che furono più volte editorialisti de L’Unità, organo ufficiale del Partito Comunista Italiano, e per anni, la Terza Pagina del quotidiano comunista Il Manifesto, dedicò loro ogni genere di sperticata critica celebrativa.
I “comici di partito” mandati all’assalto a sfottere il “povero” Ministro della Cultura perché non laureato, poi a seguire perché laureato a quasi cinquant’anni, intendono per caso ironizzare anche su certi autori-bandiera celebrati come indiscusse icone della Sinistra, alcuni dei quali non finirono neppure i licei e le scuole superiori?
Velletri di Roma, 30 ottobre 2024
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I Padri dell’Isola di Patmos
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https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2023/09/padre-Teodoro-foto-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Teodorohttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Teodoro2024-10-30 00:36:092024-10-30 00:40:19A proposito del Ministro della Cultura. La mancanza di lauree è forse segno di grande genialità a Sinistra e motivo di grande sfottò a Destra?
GRATIS ET AMOR DEI ? È FUORI DISCUSSIONE L’AMOR DEI, MENTRE SUL GRATIS È BENE VALUTARE E SE IL CASO EVITARE. UNA NUOVA VESTE DE L’ISOLA DI PATMOS
A molti basta un telefonino tra le mani e un collegamento a Internet per credere che la cultura e la conoscenza debbano essere gratuite, se non peggio: che siano dovute. A questo modo, tutto ciò che non ha un costo rischia di diventare intrattenimento, se non peggio motivo di lite e aggressione da parte degli odiatori seriali e degli attaccabrighe internetici.
il 20 ottobre questa rivistaha compiuto 10 anni di attività pubblicistica. I Padri redattori avrebbero voluto ritrovarsi tutti assieme per festeggiare, ma impegni di vario genere in diverse parti d’Italia non l’hanno consentito. Sono stati dieci anni molto belli, di continua crescita e incremento, senza mai conoscere flessione. Dal 1° gennaio 2024 a oggi abbiamo già superato i 30 milioni di visite.
«Ti ringrazio e leggerò il tuo libro, però ti do un consiglio: non regalare le tue opere a destra e a sinistra, ciò che viene regalato spesso non è apprezzato. Scrivere certi libri costa impegno, studio e sacrifici di vario genere. Certi libri possono richiedere anni di lavoro, se qualcuno li vuole leggere, se li compri».
Feci tesoro di quel saggio insegnamento pensando anche ad altri risvolti, forse ignorati da quell’anziano, come il modo in cui certi scritti e lavori sono disprezzati e criticati a botte d’insulti da parte di soggetti più o meno anonimi che impazzano per i social media e che di certi articoli hanno letto solo il titolo, al massimo il sottotitolo.
Oggi la Pietà di Michelangelo si trova posta al riparo dietro un vetro, ond’evitare così che qualche altro folle possa vandalizzarla a martellate come accadde nel 1972.
Per evitare che le nostre cattedrali monumentali seguitassero a essere prese d’assalto da orde barbariche interessate solo a farsi selfies, non di rado anche danni, visto che entrare e uscire non costava niente, fu imposto il biglietto d’ingresso per ovviare problemi del genere.
A molti basta un telefonino tra le mani e un collegamento a Internet per credere che la cultura e la conoscenza debbano essere gratuite, se non peggio: che siano dovute. A questo modo, tutto ciò che non ha un costo rischia di diventare intrattenimento, se non peggio motivo di lite e aggressione da parte degli odiatori seriali e degli attaccabrighe internetici.
I Padri de L’Isola di Patmos hanno così deciso di mettere un “biglietto” in forma di abbonamento annuale per accedere a tutti quegli articoli teologici e di attualità che richiedono particolare lavoro, tempo e dedizione. Il costo dell’abbonamento è di 5 euro al mese, per un totale di 60 euro all’anno. I proventi saranno usati per il pagamento delle spese vive di questa nostra rivista che ammontano annualmente a 5.200 euro.
Si è soliti dire gratis et amor Dei. Fuori discussione è L’amor Dei, mentre sul gratis è bene valutare e se il caso evitare, specie quando non è opportuno, meno che mai dovuto. Sulla riconoscenza, invece, è meglio sorvolare …
Siamo riconoscenti ai Lettori che ci hanno sostenuti nel tempo e ringraziamo anticipatamente coloro che avendo compreso il significato, il valore e la qualità che viene offerta, vorranno contribuire sostenendo la rivista.
dall’Isola di Patmos, 27 ottobre 2024
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https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2019/01/padre-Aiel-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Arielhttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Ariel2024-10-27 17:09:212024-10-30 18:29:37“Gratis et amor Dei”? Fuori discussione l’ “amor Dei”, mentre sul “gratis” è bene valutare e se il caso evitare. Una nuova veste de L’Isola di Patmos
QUELLA LUCE DELLA FEDE CHE RESTITUISCE LA VISTA AI CIECHI
I discepoli devono finalmente aprire gli occhi, soprattutto quelli del cuore e della fede, per vedere bene ciò che sta per accadere, e cioè lo scandalo del Messia sconfitto, cogliendone tutto il suo significato e valore salvifico.
Vi sono molti racconti nei Vangeli, in cui si mette in evidenza la sollecitudine e la premura con cui Gesù si prende cura dei malati: egli li cura nel corpo e nello spirito e raccomanda ai suoi discepoli di fare altrettanto.
il chirurgo Grazia Pertile (a destra) durante un intervento alla retina nell’Ospedale di Negrar (Verona)
Quando Giovanni Battista manda due suoi discepoli a chiedere un contrassegno del Messia, Gesù afferma la propria identità con le parole: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito; i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti resuscitano» (Lc 7, 22). In questa Domenica, trentesima del tempo ordinario, ascoltiamo proprio della guarigione di un cieco.
«In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada» (Mc 10,46-52).
Il Vangelo odierno ci racconta l’ultimo miracolo compiuto da Gesù durante la sua vita terrena, se non prendiamo in considerazione la menzione di Matteo: «Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì» (Mt 21,14); e l’episodio, narrato da Luca nel racconto della passione, quando Gesù risana l’orecchio del servo del sommo sacerdote colpito da uno dei suoi (Lc 22, 51).
Questa guarigione del cieco Bartimeo è emblematica, poiché nel piano narrativo del secondo Vangelo, subito dopo aver detto: «la tua fede ti ha salvato», Gesù riprende velocemente il cammino. Il verso iniziale completo che recita: «E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla» (v. 46) esprime infatti tutta la fretta di Gesù di portare a termine il suo viaggio che lo porterà a Gerusalemme dove si compirà il suo destino umano e la sua missione. Manca ancora un breve tratto in salita (cfr Lc 10,30) e il cieco ormai guarito: «prese a seguirlo per strada» (v. 52).
Tenendo così presenti questi accenni e, in particolare, che la guarigione avviene a questo punto del ministero di Gesù, in prossimità della sua passione, comprendiamo che per Marco essa possa avere un valore simbolico rilevante. Come a voler dire che i discepoli devono finalmente aprire gli occhi, soprattutto quelli del cuore e della fede, per vedere bene ciò che sta per accadere, e cioè lo scandalo del Messia sconfitto, cogliendone tutto il suo significato e valore salvifico. Il racconto marciano del viaggio di Gesù ha avuto come intento principale quello di mostrare chi èColui di cui si sta parlando. Non a caso lo scritto del secondo Vangelo è intimamente orientato verso il momento in cui il centurione romano, di fronte alla morte in croce di Gesù Cristo, dice: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39). È presso la Croce che si svela il mistero di Gesù Cristo. Secondo le intenzioni narrative di Marco l’identità di quel «Nascosto» che era Gesù (cfr il «segreto messianico) e che solo in momenti particolari, come la Trasfigurazione, si era rivelata agli occhi di pochi discepoli, adesso, al momento della crocifissione, è palesata attraverso le parole di un pagano.
Chi ha letto il Vangelo di Marco fin qui si ricorda che all’inizio del suo viaggio verso Gerusalemme Gesù aveva guarito un altro cieco. Un episodio che è stato più volte riprodotto dai pittori nel corso dei secoli, insieme a quello del cieco nato di Gv 9. Quella volta la guarigione fu alquanto macchinosa e per ben due volte il Signore dovette imporre le mani sugli occhi del cieco che iniziava a vedere pian piano. Infatti invece di vedere persone vedeva «alberi che camminano» (Mc 8,24). Ora, quasi alle porte della città santa, per guarire Bartimeo non serve più il gesto dell’imposizione delle mani, ma soltanto la fede è necessaria.
Si capisce così che Marco non ha solo voglia di narrare un consueto atto di potenza da parte di Gesù, ma, soprattutto in questo momento, fare di esso una catechesi sulla vera fede, nascosta fra le pieghe del testo e valida per i credenti d’ogni generazione. Bartimeo che grida verso Gesù, che lo invoca forte: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!», mentre gli altri gli intimavano di star zitto, è l’esempio del discepolo che cerca insistentemente da Gesù la salvezza, mostrando in Lui fiducia. Questa fede di Bartimeo costringe Gesù a fermarsi, «Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!», ed è tanto forte, come la sua voce, che Gesù non ha bisogno di toccarlo, ma questa sola basta perché il miracolo avvenga: «E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». Lungo il viaggio descritto in Mc 8,22-10,52 Gesù ha insegnato ai suoi discepoli chi Egli sia, ciò che lo aspetta a Gerusalemme e cosa significhi seguire lui. Ma i più vicini a Gesù non lo hanno capito, hanno cercato piuttosto onori e primazie. Questo cieco che chiama Gesù col titolo messianico di Figlio di Davide e che interpellato si rivolge a Lui con quella variante aramaica, Rabbuni maestro mio, conservata solo qui da Marco e poi da Giovanni quando Maddalena riconosce Gesù Risorto (Gv 20, 16), esprime in questo modo il desiderio di ogni credente di alzare lo sguardo da terra, di vedere di nuovo, di sollevare la vista; la vista a questo punto della fede. Così possiamo interpretare quel verbo (ἀναβλέψω, anablepso) utilizzato da Marco per esprimere la volontà del cieco: «Rabbunì, che io veda di nuovo!».
Bartimeo ricevuto il dono della vista e della fede si incammina sulla strada di Gesù, quella che porta a Gerusalemme. Diviene l’emblema del discepolo che ha riconosciuto chi è Gesù e non si scandalizza se la sua strada lo porterà alla sofferenza e alla morte per mano delle autorità giudaiche e romane, perché grazie alla fede intravede il mistero salvifico nascosto in esse.
E da ultimo un’annotazione ormai riconosciuta da diversi esegeti. Questo cieco porta un nome curioso che non ritroviamo in alcun elenco di nomi del tempo di Gesù. Un nome per metà aramaico (bar) e per metà greco: il figlio di Timèo. Se il Vangelo di Marco, come riporta un’antica tradizione, fu scritto a Roma, diversi lettori istruiti e colti di allora non potevano non pensare al Timeo, uno dei più importanti dialoghi di Platone. È possibile che anche questo, nell’intento di Marco, sia un velato accenno. Non a caso Bartimeo si chiama così, come un greco, travestito da mendicante cieco attraverso il quale la cultura greca cerca un contatto con Gesù.
Scopriamo così che nascosta fra le pieghe di quello che inizialmente poteva apparire come l’ennesimo racconto di un miracolo, è celata la testimonianza di un’autentica fede e la ricerca sincera di un contatto fra culture. Del resto Marco ci aveva già abituato all’incontro del cristianesimo con mondi diversi. Pensiamo all’indemoniato Legione nella terra dei geraseni (Mc 5, 1) e alla donna di lingua greca che domanda a Gesù la guarigione per la figlia (Mc 7, 24-30).
L’opera di Marco, come si evince dai dati interni al testo, quali la conoscenza di diverse parole latine, è tradizionalmente ritenuta il Vangelo portato nel cuore del paganesimo, Roma, ed emanazione della predicazione di Pietro in quella città. Nella figura di quel povero cieco al bordo della strada tra Gerico e Gerusalemme vi è forse racchiusa la speranza di uomini e donne di ogni parte che desiderano vedere e credere in Gesù per seguirlo.
Dall’Eremo, 27 ottobre 2024
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Grotta Sant’Angelo in Ripe (Civitella del Tronto)
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Comunque a noi piace un sacco il parlare colloquiale, come fra amici di vecchia data, fa molto Un sacco bello. Anche perché dietro quell’italiano un po’ così, che si ritrova nei documenti ufficiali, percepiamo sempre quelle cadenze sudamericane che fanno subito «fiesta», o come cantava la compianta Raffaella Carrà: «Qué fantastica esta fiesta»
Non ti dispiace, vero, se mi rivolgo a te così? È che avete sdoganato voi ― tu e il Grande Capo ― lo stile colloquiale fuori dagli schemi e dalla precisione a cui ci aveva abituato quell’altro. Quello, come si chiamava? Quello che se ne è andato prima del tempo dovuto. Comunque a noi piace un sacco il parlare colloquiale, come fra amici di vecchia data, anche perché fa molto Un sacco bello. Anche perché dietro quell’italiano un po’ così, che si ritrova nei documenti ufficiali, percepiamo sempre quelle cadenze sudamericane che fanno subito «fiesta», o come cantava la compianta Raffaella Carrà: Qué fantastica esta fiesta.
È che abbiamo letto la tua lettera inviata al Sinodo sul lasciar perdere quella questione dell’ordinazione delle donne diacono. È il Gran Capo che ha detto che la cosa non è matura. Come le pere insomma o i kiwi. Va bene. Se lo dice lui si obbedisce.
Però che bella scusa hai messo all’inizio. Mi ricorda quando mi chiamavano all’interrogazione e non ero preparato. Credo di aver fatto morire mia nonna non so quante volte, povera donna! Però le ha portato bene, perché se ne è andata a una bella età. Come si fa a scrivere in un documento ufficiale diretto proprio a quel “Gruppo 5” che doveva dibattere la questione, che il coordinatore del gruppo, Il Segretario dottrinale del Dicastero per la Dottrina della Fede, era assente perché doveva andare dal medico? E siccome quelli si aspettavano te, allora avete mandato altre due persone ad appuntarsi le proposte. Suvvia. Non era meglio dire, come fai ora: Lasciate perdere. Avvisarli casomai il giorno prima: «Día libre mañana», come disse Ancelotti ai calciatori del Real Madrid il giorno che vinsero la Champion.
Comunque molto fighe anche le motivazioni del perché la cosa non si può fare. La prima. Siccome il ministero delle catechiste, proposto dal Gran Capo, i vescovi non l’hanno recepito, salvo pochissimi, allora le diaconesse non vanno bene. Una logica stringente. Come a dire: Siccome l’aspirina non cura il cancro, allora lasciamo perdere quei farmaci che guariscono questo male. Ottimo. Dici: Ma neanche i vescovi dell’Amazzonia lo han fatto, che si ritrovano donne e catechiste alla guida di comunità senza prete. Grazia al cavolo. Quelli chiedevano l’ordinazione degli sposati, che se ne fanno dell’aspirina, per tornare all’esempio.
La seconda pure è forte. L’accolitato per le donne è stato accolto in piccola misura nelle diocesi e spesso i preti sono i primi a non proporre nessuno. Altra logica che ti mette all’angolo. Quindi siccome un prodotto non si vende, o viene ostacolato da qualcuno, chiudiamo la fabbrica o mandiamo a quel paese un’altra filiera che invece potrebbe portare bei soldoni. Straordinario.
Però il clou si tocca nell’ultima motivazione che è veramente da Brivido felino. Soprattutto se si pensa che viene da uno che presiede un Dicastero della Santa Sede:
«Il diaconato per i maschi: in quante diocesi del mondo è stato accolto. E dove sono stati accolti, quante volte sono solo chierichetti ordinati?».
Ora, se fossi diacono permanente mi sentirei offeso, ma parecchio eh, che venga dal posto che occupi tu una caricatura così becera del diaconato. Allora, senti, posso dire che tutti i preti sono pedofili? Che voi in Vaticano fate la bella vita e che state nello Stato più ricco del mondo, come dicono i diffusori delle leggende nere? Certo che lo posso dire, perché questa è la logica che usi tu, Tucho, analogamente ai diffusori delle leggende nere.
Scusa eh, se te l’ho detta così diretta. Se te la prendi mi dispiace, ritiro tutto. Perché ne avrei anche sul Gran Capo. Eh sì. Tu dici che Lui avrebbe scelto che sulla questione deve continuare a lavorare la Commissione istituita nell’anno 2020. Quattro anni che «trabajan», cavolo. Quanto ci mettono? E sono in dodici, come gli Apostoli. Vabbè, si sa come vanno le cose là da voi. Quarant’anni per dire qualcosa su Medjugorje. A proposito, non è che quella Signora logorroica potrebbe dirci qualcosa di preciso su queste questioni, anche origliando alla porta del Principale? Invece che tutti ‘sti segreti da rivelare?
Comunque, quello che volevo darti è un suggerimento. La prossima volta invece di prenderci per scemi, diteci: «Si fa, oppure, non si fa». Casomai aggiungendo: «Perché è una cosa dura da far digerire a tutti». È meglio. Che non abbiamo tempo da perdere, neanche per illuderci.
Sempre tuo devotissimo, un caro saluto da un eremita preoccupato.
Dall’Eremo, 24 ottobre 2024
P.S.
Per coloro che leggeranno: lo scritto non è a favore delle donne diacono, né dei preti sposati. Sono tesi dibattute, no? Si interessa soltanto al modo di comunicare attualmente in vigore da quelle parti, in Vaticano. Vi prego: non fate i Tucho pure voi.
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ALTRO CHE LEGGENDE NERE SUL MEDIOEVO, BISOGNEREBBE ISTITUIRE LA GIORNATA DEL RINGRAZIAMENTO PER LE CROCIATE E I CROCIATI
La biondissima maja desnuda che dalle reti televisive Rai parla con sprezzo arrogante quanto ignorante di certi eventi storici usando il termine Medioevo in accezione negativa, oggi indosserebbe l’abaya sul corpo e sulla testa il chador, nella migliore e più liberale delle ipotesi l’hiyab nero, se le crociate fossero fallite e i crociati avessero perduto alcune delicate battaglie.
– Le brevi dei Padri de L’Isola di Patmos –
Autore Teodoro Beccia
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Tra le leggende nere sul Medioevo vanno per la maggiore le crociate e i crociati, segue la caccia alle streghe di cui parleremo in un’altra Breve.
In Egitto dove i “cattivi” crociati non vinsero furono poi queste le conseguenze
A coloro che siacculturano tra social media e talk show andrebbe spiegato che i maomettani distrussero nel VII secolo tutte le più antiche comunità cristiane nel Nord dell’Africa, terra madre dei più grandi padri e dottori della Chiesa. Per citarne solo uno: Aurelio, che diverrà poi Agostino, era originario di Tagaste, la attuale Souk Ahras, in seguito fu Vescovo di Ippona, la attuale Annaba, entrambe città dell’odierna Algeria.
Se non fosse stato per le crociate e i crociati oggi l’Arcibasilica Papale di San Giovanni in Laterano sarebbe una grande moschea come l’ex cattedrale bizantina di Santa Sofia a Istanbul. Se a Lepanto la “Lega Santa” non avesse sconfitto i maomettani nel 1571, con due salti sarebbero giunti a Roma, e oggi, molte nostre donne che girano per le strade scosciate, scollacciate e con le pance scoperte, vestirebbero abiti sino alle caviglie e camminerebbero a testa bassa.
La biondissima maja desnuda che dalle reti televisive Rai parla con sprezzo arrogante quanto ignorante di certi eventi storici usando il termine Medioevo in accezione negativa, oggi indosserebbe l’abayasul corpo e sulla testa il chador, nella migliore e più liberale delle ipotesi l’hiyab nero, se le crociate fossero fallite e i crociati avessero perduto alcune delicate battaglie.
Velletri di Roma, 24 ottobre 2024
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NESSUNA CRITICA FINE A SÉ STESSA SUI BALLETTI DENTRO LE BASILICHE ROMANE, SOLO QUATTRO BREVI QUESITI TEOLOGICI AI VESCOVI
Deve essere la locale particolarità etnica a sottomettersi alla universalità cattolica o piuttosto l’universalità cattolica a sottomettersi invece alla locale particolarità etnica?
— Le brevi dei Padri de L’Isola di Patmos —
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Autore Simone Pifizzi
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Primo quesito: era necessario inscenare queste danze etniche nella Arcibasilica Papale di San Paolo Fuori le Mura in occasione della canonizzazione del santo sacerdote missionario Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari della Consolata?
Secondo quesito: questi balletti etnici fanno parte della nostra cultura e tradizione liturgica latina?
Terzo quesito: deve essere la locale particolarità etnica a sottomettersi alla universalità cattolica o piuttosto l’universalità cattolica a sottomettersi invece alla locale particolarità etnica?
Si tratta di tre quesiti puramente teologici, nessuna critica astiosa, nessun malanimo verso le danze etniche del Continente Nero, che da sempre piacciono molto a me e a tutti gli altri confratelli di questa nostra Isola di Patmos, ma che troviamo fuori luogo dentro le antiche basiliche romane.
Rivolgiamo questi tre quesiti ai nostri Vescovi non per noi Presbìteri che forse conosciamo anche la risposta, ma per i nostri fedeli cattolici, sempre più disorientati e smarriti.
Firenze, 23 ottobre 2024
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ALCUNI “FIDANZATI DEI SOGNI” DELLE NOSTRE COETANEE E UNA LEGITTIMA DOMANDA POSTUMA
«L’indimenticabile Mia Martini, nella sua canzone “Gli uomini” cantava: “La pazienza delle donne incomincia a quell’età”. Con il senno di poi oggi devo dirti che mi viene da parafrasare: “L’irrazionalità di noi donne incomincia a quell’età”»
Ormai sono anziano e alla mia mente tornano ricordi lontani, a partire da quelli dell’adolescenza.
Vi presento alcuni dei numerosi sciupafemmine, scelti a caso, idolatrati dalle nostre compagne, all’epoca che avevamo tra i 16 e i 20 anni, uomini dei sogni e loro modelli maschili ed erotici indiscussi. E quando qualcuno di noi, forse un po’ più intuitivo e introspettivo, diceva di sentir odore di un certo ortaggio — oggi innominabile, salvo essere accusati di cosiddetta omofobia — le folli innamorate insorgevano e, bene che andasse, ci davano degli invidiosi, perché con alcune si rischiava veramente il linciaggio, specie se erano in gruppo.
Recentemente, a una mia amica di giovinezza, ripercorrendo assieme certi ricordi domandai: «Se tu avessi sposato uno di questi sciupafemmine nonché modelli maschili ed erotici indiscussi, avresti avuto una vita sentimentale soddisfacente, una vita sessuale appagante, dei figli …?».
Mi ha sorriso e risposto: «L’indimenticabile Mia Martini, nella sua canzone Gli uomini cantava: “La pazienza delle donne incomincia a quell’età”. Con il senno di poi oggi devo dirti che mi viene da parafrasare: “L’irrazionalità di noi donne incomincia a quell’età”».
dall’Isola di Patmos, 21 ottobre 2024
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https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2019/01/padre-Aiel-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Arielhttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Ariel2024-10-21 12:18:372024-10-23 23:21:04Alcuni “Fidanzati dei sogni” delle nostre coetanee e una legittima domanda postuma
LA RICHIESTA DAVVERO PICCOLA DI GIACOMO E GIOVANNI: «SIGNORE, CONCEDICI DI SEDERE, NELLA TUA GLORIA, UNO ALLA TUA DESTRA E UNO ALLA TUA SINISTRA»
Della pagina evangelica di questa domenica si potrebbero sottolineare molte cose, anche importanti, che vanno dalla menzione della morte salvifica come bere un calice o ricevere un Battesimo, alla risposta di Gesù: «Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti».
Dal Vangelo secondo Marco: «In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: “Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo”. Egli disse loro: “Che cosa volete che io faccia per voi?”. Gli risposero: “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Gesù disse loro: “Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?”. Gli risposero: “Lo possiamo”. E Gesù disse loro: “Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato”». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «”Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”» (Mc 10,35-45).
Andrea Mantegna, Crocifissione (1457-1459), Musée du Louvre, Parigi
Per comprendere la conosciuta scena che il Vangelo odierno ci presenta dovremo fare un passo indietro e rileggere i tre versetti che la precedono: «Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgomenti; coloro che lo seguivano erano impauriti. Presi di nuovo in disparte i Dodici, si mise a dire loro quello che stava per accadergli: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà”» (Mc 10, 32-34).
Si tratta della terza predizione della sua Passione da parte di Gesù mentre procede camminando verso Gerusalemme e queste parole, premesse al testo odierno, evidenziano uno schema narrativo: a) annuncio della Passione; b) incomprensione da parte dei discepoli; c) ulteriore insegnamento di Gesù sull’essere suoi discepoli. Ci permettono anche di capire il valore teologico delle parole di Gesù ricordate nel passo evangelico. In esso risalta quanto i discepoli siano totalmente allineati con ciò che il mondo, perfino oggi, predilige e cioè l’onore, il rispetto ed una posizione sociale elevata. Le due risposte di Gesù (Mc 9, 33-37 e 10, 41-45) mettono in evidenza da un lato quanto questi discepoli fossero lontani dal modo di intendere la missione per cui Egli era stato inviato e come grossolanamente l’avessero fraintesa. D’altro canto, in un senso positivo, la cantonata dei discepoli ha favorito il ricordo e la trasmissione di un detto di Gesù molto significativo sul modo di intendere il potere nella Chiesa, valido per tutti i tempi.
In particolare viene messo in evidenza dal Signore il suo esempio che diventa paradigmatico per la comunità dei credenti, uno speciale modo di servire che va a beneficio di tanti (anti pollôn, ἀντὶ πολλῶν) descritto come un «dare la propria vita in riscatto per molti» (v. 45). Questo termine usato da Gesù, «riscatto» (in greco: lytron), è singolare e va un po’ spiegato per evitare fraintendimenti col modo attuale di interpretarlo e cioè come un pagamento in denaro allo scopo di liberare una persona rapita per farla uscire dalla prigione nella quale è detenuta. Sulla bocca di Gesù ha un significato teologico. Esso si trova pure nel passo parallelo di Matteo: «E chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mt 20,27-28).
«Riscatto», sfondo scritturale e teologico di questa parola, è la figura del «Servo sofferente» di cui parla il profeta Isaia. Nella Prima Lettura di questa domenica si legge: «Il giusto mio servo giustificherà molti (rabbimin ebraico), egli si addosserà le loro iniquità» (Is 53,11). Un concetto che sarà ripreso anche dalla Prima lettera di Pietro: «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia» (2,24). Così pure scriveva Isaia: «Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,4-5). Quando i cristiani, dopo la morte di Gesù, hanno tentato in vari modi di interpretare in senso salvifico quel fatto tragico, hanno utilizzato diversi linguaggi. Tra gli svariati tipi, quello del sacrificio, dell’espiazione, della soddisfazione o del merito, vi è anche quello del «riscatto». Ciò «Significa che l’opera della liberazione è stata onerosa per Cristo; non che egli abbia pagato il prezzo a Dio come a un creditore esoso. Anzi l’iniziativa parte proprio dall’amore di Dio ed è assolutamente gratuita, come la liberazione dall’Egitto» (Catechismo degli adulti, CEI, nr. 254). Quel linguaggio, che Gesù ha usato paragonandosi al Servo sofferente, esprime infatti un grande amore, quello per il quale il Padre ha mandato il Figlio, fino al punto da permettere che morisse per noi: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).
Della pagina evangelica di questa domenica si potrebbero sottolineare molte cose, anche importanti, che vanno dalla menzione della morte salvifica come bere un calice o ricevere un Battesimo, alla risposta di Gesù: «Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti». Vorrei però concludere facendo risaltare un dettaglio significativo che diventa esemplare per noi, poiché ci dimostra come da una posizione sbagliata si possa invece passare ad una giusta. A differenza di Marco, Matteo fa porre la domanda incriminata a Gesù dalla madre dei figli di Zebedeo (Mt 20,20), una donna rimasta anonima. Diversi interpreti si sono dilungati su questa inclusione per parlare dello statussociale delle donne in quel tempo o per dire che il primo evangelista forse ha voluto evitare di mettere in cattiva luce i due importanti apostoli. Ma quando si tratterà di descrivere la scena della passione, il momento in cui quasi tutti hanno abbandonato Gesù, perfino i suoi discepoli, per Matteo ella invece è presente: «… C’erano Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo» (Mt 27,56). Marco, invece, mostra di non conoscerla, perché nella sua posizione colloca una certa Salome: «Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome» (Mc 15,40). Nella sinfonia dei Vangeli questa donna svolge per noi una funzione fondamentale. Se Matteo infatti è a conoscenza della frase di Mc 15,40, la sostituzione di Salome con «la madre dei figli di Zebedeo» è voluta e serve proprio per completare la definizione del suo ruolo e il processo che aveva preso l’avvio al capitolo 20 del suo Vangelo, prima menzionato, quando aveva posto la domanda a Gesù. Diventa cioè un simbolo: ha seguito, con le altre donne, Gesù, fin dalla Galilea, e si appresta ora ad andare con lui a Gerusalemme. Alla sua domanda di primazia per i figli, Gesù si rivolge anche a lei, insieme ai figli, e la invita a bere il calice che lui sta per bere. Mentre però i figli non lo faranno, «lei, sorprendentemente, che aveva avanzato in modo inappropriato quella richiesta, alla fine berrà quel calice, stando al fianco di Gesù, alla sua esecuzione» (A.J. Saldarini).
Dall’Eremo, 20 ottobre 2024
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Grotta Sant’Angelo in Ripe (Civitella del Tronto)
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MEDJUGORJE E AGATHA CHRISTIE: «UN INDIZIO È UN INDIZIO, DUE INDIZI SONO UNA COINCIDENZA, MA TRE INDIZI FANNO UNA PROVA»
«I fedeli, per quanto riguarda il culto a Maria “Regina della pace”, sono “autorizzati a osservarlo con prudenza”, sebbene ciò non implichi l’approvazione del carattere soprannaturale del fenomeno in questione, con la nota che i credenti non sono obbligati a credervi. Che i sacerdoti di questa Diocesi, accettando e rispettando la decisione della Chiesa, sono liberi di essere d’accordo o in disaccordo con questa proposta spirituale» (Decreto del Vescovo di Mostar-Duvno, 19 settembre 2024).
Che con l’avvento di Francesco, sia avvenuto nella Chiesa un cambiamento di paradigma, non è più un caso che necessita di prove. Non è ancora possibile, né prudente fare un bilancio del suo pontificato svolto fin qui, ma alcune cose si possono già dire. Che per esempio con l’attuale pontefice sia cambiato il modo di comunicare lo scrive perfino Padre Antonio Spadaro S.J., da subito suo fidato interprete, in un articolo apparso recentemente su La Repubblica:
«Francesco ha compreso che la comprensibilità non è la stessa cosa della chiarezza… L’uomo di oggi, più che di discorsi semplicemente “chiari”… ha bisogno di discorsi che siano credibili, portatori della complessità, delle situazioni, delle esperienze, della vita che a volte non è e non può essere così “chiara”. Il linguaggio chiaro è quello della norma. Se il pastore lo assume come modalità comunicativa finisce per confondersi e vestire i panni del legislatore e del giudice» (La Repubblica, 19.09.24, pg. 39).
Cosa c’è di peggio rispetto al mentire e ingannare il Popolo di Dio? La consapevolezza che si sta mentendo e ingannando il Popolo di Dio
Diceva la celebre scrittrice di libri gialli Agatha Christie: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Quindi non più le idee chiare e distinte, così care al suo ultimo predecessore, ma uno stile nuovo che sia attento alle complessità, alle situazioni e alle esperienze, dei singoli come delle comunità. Probabilmente è per questo che il Papa si è scelto come stretto collaboratore a capo del Dicastero per la Dottrina della Fede il Cardinale Victor Manuel Fernandez. Il quale in occasione dell’incarico ricevette dal Pontefice queste raccomandazioni, in una lettera che qui riportiamo nella versione spagnola perché non esiste una traduzione ufficiale della Santa Sede:
«El Dicasterio que presidirás, en otras épocas llegó a utilizar métodos inmorales. Fueron tiempos donde más que promover el saber teológico se perseguían posibles errores doctrinales. Lo que espero de vos es sin duda algo muy diferente… Es más, sabés que la Iglesia «necesita crecer en su interpretación de la Palabra revelada y en su comprensión de la verdad» sin que esto implique imponer un único modo de expresarla. Porque «las distintas líneas de pensamiento filosófico, teológico y pastoral, si se dejan armonizar por el Espíritu en el respeto y el amor, también pueden hacer crecer a la Iglesia». Este crecimiento armonioso preservará la doctrina cristiana más eficazmente que cualquier mecanismo de control. Es bueno que tu tarea exprese que la Iglesia «alienta el carisma de los teólogos y su esfuerzo por la investigación teológica” con tal que «no se contenten con una teología de escritorio», con «una lógica fría y dura que busca dominarlo todo». Siempre será cierto que la realidad es superior a la idea. En ese sentido, necesitamos que la Teología esté atenta a un criterio fundamental: considerar «inadecuada cualquier concepción teológica que en último término ponga en duda la omnipotencia de Dios y, en especial, su misericordia». Nos hace falta un pensamiento que sepa presentar de modo convincente un Dios que ama, que perdona, que salva, que libera, que promueve a las personas y las convoca al servicio fraterno» (cfr. testo QUI, corsivi e sottolineature mie).
Vaticano, 1 Julio 2023
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Da quel giorno il Cardinale non è venuto meno a questo affidamento e ciò si può facilmente riscontrare nelle note o nelle risposte date dal Dicastero presieduto. Fra queste ha fatto tanto scalpore la Nota sulla benedizione da potersi dare, a determinate condizioni, alle coppie irregolari o omosessuali e quella recentissima circa l’esperienza spirituale legata a Medjugorje, che ha creato un ampio dibattito nella comunità ecclesiale. Non si può tacciare il Cardinale Prefetto di esser venuto meno al suo mandato, del resto il suo orientamento è chiaro ed esplicitato in più occasioni, come quando ha affermato, in un incontro presso l’Università Lateranense nel febbraio di quest’anno:
«Una teologia per il Popolo di Dio è una teologia attenta alle dinamiche che questo popolo sta vivendo in questo momento storico, per aiutarlo ad interpretarle alla luce della fede, sia per purificarle sia per favorire tutto ciò che è positivo. Questo è tipico di ogni processo di inculturazione che includa entrambi gli aspetti. Si auspica, pertanto, che i teologi possano essere all’altezza di questa missione. Non si tratta certo di inventare una nuova Rivelazione, ma di far scaturire dalla sorgente inesauribile del Vangelo quello che meglio possa illuminare la vita del Popolo di Dio, quello che possa aiutare questo Popolo a vivere felice in mezzo ai limiti e alle difficoltà della vita. Infatti, nella lettera che il Papa mi ha scritto quando mi ha nominato Prefetto, ha detto che in fondo oggi si ha “bisogno di una teologia che sappia presentare in modo convincente un Dio che ama, che perdona, che salva, che libera, che promuove le persone e le chiama al servizio fraterno”» (QUI).
Sessant’anni fa e più si celebrava il Concilio Vaticano II. Come ebbe a dire il decano dei teologi italiani, Severino Dianich, esso rimise al centro della vita della Chiesa il tema dell’ermeneutica della fede. Da allora molte cose sono cambiate e le società e le culture profondamente trasformate. Le grandi spinte sociali, culturali e ideologiche che animavano il periodo del Concilio sono tramontate, alcune tragicamente, altre mutate e frazionate in mille rivoli. Soprattutto la perdita di grandi ideali e punti di riferimento comuni alle masse ha portato a una rivalutazione del sentimento religioso, del resto mai sopito o cancellato, come alcuni auspicavano. Ma anche all’interno di esso le medesime dinamiche che attraversano la società si sono riprodotte; tanto la perdita dell’identità comune, quanto il soggetto lasciato solo di fronte ai grandi problemi che affliggono l’esistenza e il mondo post moderno, hanno fatto risaltare le stesse nevrosi che si riscontrano altrove: angosce, spaesamento, depressioni, perdita del senso della propria vita. Così la ricerca di luoghi di apparizioni che diano conferme, di messaggi provenienti dall’alto che offrano rassicurazioni si sono moltiplicati, tanto da diventare un serio problema per la Chiesa. Il segnale più eclatante è il fenomeno religioso di Medjugorje sul quale la Chiesa non ha potuto più non intervenire con una parola autorevole, favorendo il cammino spirituale che lì si porta avanti, ma mettendo seri paletti sia ai messaggi che ai «presunti» veggenti, entrambi non riconosciuti in maniera palese e chiara. Ma se guardiamo gli ultimi documenti del Dicastero per la Dottrina della Fede prima della recente Nota sul fenomeno di Medjugorje, sono ben nove i testi che la precedono, per lo più risposte ai vescovi circa asserite apparizioni e messaggi provenienti dalla Vergine Maria, in diverse parti del mondo. Queste risposte sono state possibili dopo l’emanazione da parte dello stesso Dicastero delle «Norme per procedere nel discernimento di presunti fenomeni soprannaturali» (QUI).
Ci vollero dodici anni per una prima dichiarazione per i fatti riferiti da Bernardette che permetteva l’afflusso di fedeli e la venerazione a Lourdes. Fatima ebbe una rilevanza quasi immediata; a soli due annidagli eventi dichiarati dai pastorelli il vescovo locale, col beneplacito della Santa Sede, dichiarava:
«Degne di credenza, le visioni dei bambini pastori della Cova da Iria, avvenute nella parrocchia di Fátima, in questa diocesi, dal 13 maggio al 13 ottobre 1917».
Ma erano anche altri tempi e altri contesti. In Francia, al tempo dei fatti di Lourdes, l’imperatore Luigi Napoleone bloccava ogni accordo con la Chiesa oltre il concordato del 1801. In Portogallo i pastorelli furono incarcerati per due giorni per ordine dell’allora sindaco di Vila Nova. Al di là del contesto storico, potremo dire che le dichiarazioni della Santa Sede sui fatti di Lourdes e Fatima furono tempestive e riguardavano «fatti ritenuti straordinari».
Per i fatti di Medjugorje ci sono voluti oltre quarant’anni per la pubblicazione di una Nota che ha valorizzato più l’esperienza religiosa che i dati dei messaggi, definiti con estrema chiarezza “presunti”, come “presunte” sono state definite le apparizioni ma, soprattutto, “presunti” i sedicenti veggenti. Ora è proprio questo, l’esperienza religiosa, il dato che più risalta agli occhi di chi legge la Nota del Dicastero. Certo, i partigiani, talvolta dei veri e propri talebani, della vicenda religiosa e spirituale scaturite dalla località della Bosnia-Erzegovina, non se ne avvedranno e hanno già salutato la Nota come una vittoria, come un grande riconoscimento. Ma bisogna pur dirlo. Quello che la Nota introduce, come pure nei nove documenti che la precedono, sono due aspetti: quello della percezione personale di un fenomeno da una parte, e dall’altra del riconoscimento di un’esperienza religiosa anche se non pienamente fondata e chiara in tutti i suoi aspetti. È questo il nuovo paradigma che risalta. L’importanza data alla percezione del singolo, molto in sintonia con quello che la società moderna auspica, anche in più ambiti; e il valore dato all’esperienza che può addirittura condurre a buoni frutti al di là di una dottrina ambigua presente in taluni gruppi. La Nota chiede ai vari vescovi di vigilare sulle esperienze religiose dei singoli e dei gruppi; al tempo stesso, richiamando le norme, chiede di «apprezzare il valore pastorale e di promuovere pure la diffusione di questa proposta spirituale».
A mio avviso si tratta di una novità nella Chiesa, che ho definito appunto nuovo paradigma, del resto anticipato dai modi di fare e comunicare dell’attuale Sommo Pontefice e messo in pratica dai suoi più stretti e importanti collaboratori. Dove porterà tutto questo non è dato saperlo. È evidente che la Chiesa, allo stato attuale, è più propensa a governare questi processi affinché non deviino o si deteriorino, piuttosto che fermarli. È questa la raccomandazione data ai vescovi, cioè ai sorveglianti del Popolo di Dio. Il Vescovo di Monstar-Duvno, il diretto interessato ai fatti di Medjugorje, ha infatti emanato una sua nota successiva a quella della Santa Sede nella quale dopo una ripresa della stessa, dice chiaramente testuali parole:
«I fedeli, per quanto riguarda il culto a Maria “Regina della pace”, sono “autorizzati ad osservarlo con prudenza” (Norme, art. 22, §: cfr Benedetto XVI, Verbum Domini, n. 14), sebbene ciò non implichi l’approvazione del carattere soprannaturale del fenomeno in questione (cfr. Norme, art. 22, §2), con la nota che i credenti non sono obbligati a credervi. Che i sacerdoti di questa Diocesi, accettando e rispettando la decisione della Chiesa, sono liberi di essere d’accordo o in disaccordo con questa proposta spirituale» (QUI).
Come si può salutare un testo di questo genere definendolo una approvazione storica da parte della Santa Sede, come ha esultato, per citarne uno tra i tanti, Padre Livio Fanzaga, che dai microfoni di Radio Maria parla addirittura di «riconoscimento pieno» (cfr. QUI). Come si può? È una domanda.
Per inciso bisogna ricordare che tutti i vescovi che si sono succeduti in quella Diocesi a partire dall’inizio delle presunte apparizioni, non si sono limitati a essere scettici, hanno dichiarato false le apparizioni nel corso della storia e inattendibili i cosiddetti veggenti. Le presunte apparizioni furono dichiarate non autentiche da S.E. Mons. Pavao Zanic, Vescovo di Mostar-Duvno dal 1980 al 1993, cui succedette S.E. Mons. Ratko Peric dal 1983 al 2000, che nel suo libro Il trono della saggezza (Crkva na Kamenu, Mostar 1995), nel capitolo intitolato I criteri per la valutazione delle apparizionidedica un paragrafo alle apparizioni di Medjugorje dove cerca di dimostrare che le apparizioni della Madonna non sono vere e che i presunti veggenti hanno mentito ripetutamente e da sùbito (cfr. pagg. 266-286).
Oggi siamo certamente in una fase di transizione, ormai lontani, come dicevamo, dai tempi conciliari, ma è anche cambiato rapidamente l’approccio rispetto ai precedenti magisteri dei Papi recenti. Per questo, forse, si deve guardare con qualche benevolenza i tentativi, a volte anche curiosi, eccentrici e goffi usati dal Papa e dai suoi collaboratori per divulgare questo nuovo corso? Solo un esempio. Il Cardinale Victor Manuel Fernandez nella conferenza stampa di presentazione della Nota ha dovuto per forza accennare alle difficoltà che alcuni «messaggi mariani» dati a Medjugorje ponevano. Ma per interpretarli positivamente, nonostante contenessero palesi inesattezze, anche dottrinarie, ha fatto riferimento ai testi di autori mistici come San Giovanni della Croce o Santa Teresa di Lisieux, i quali anch’essi riporterebbero a suo dire imprecisioni. Ora l’esperienza mistica è di per sé indicibile e con fatica si traduce in parole umane anche scritte. Ma si tratta pur sempre di autori umani che adoperano gli strumenti umani disponibili. Si può paragonare ciò ai presunti messaggi che verrebbero dall’alto, dalla Vergine Maria, dei quali i cosiddetti veggenti sono solo tramite? Che messaggi sarebbero se tali non sono e vanno decriptati? Questa è una fra le molte difficoltà sulle quali bisognerebbe interrogarsi seriamente.
La Chiesa ha scelto di operare in questo modo e probabilmente, più che governare i processi in atto, cerca di rincorrerli e arginarli come può, accettando che l’esperienza personale e una proposta religiosa possano diventare occasione di salvezza, per quanto da sorvegliare attentamente. Ma la Chiesa è chiamata anche a confrontarsi con altri aspetti che accompagnano la nostra società contemporanea, fra questi il progressivo allontanamento di essa dalla comunità ecclesiale, la scienza e le conseguenti tecnologie che regolano ormai le vite degli esseri umani, l’incalzare degli algoritmi e della cosiddetta intelligenza artificiale che scandiscono ormai le scelte dei singoli e dei gruppi sociali. Come risponderà la Chiesa a queste istanze, mentre appare ancora troppo ripiegata su sé stessa e i sui propri problemi interni? Forse con un doppio binario, uno per i semplici che ancora cercano visioni e domandano messaggi dall’alto e un altro con il quale cerca di dialogare e interagire con la società e i mondi contemporanei?
Sempre il succitato teologo italiano Severino Dianich recentemente ha strigliato i suoi confratelli e colleghi teologi tacciandoli di tradimento (cfr. QUI), perché incapaci di proferire una parola ficcante sui fatti che accadono nel mondo e sui processi culturali in atto. Le risposte di alcuni teologi che si sono sentiti colti sul vivo sono state o fuori contesto o troppo verbose. È certo che la Chiesa sta vivendo un travaglio, chissà se esso porterà a una trasformazione o a una nuova nascita, certamente diversa dalle precedenti a cui siamo da secoli abituati. Negli anni che seguirono il Concilio, mentre si diffondeva il movimento nato nel Maggio del 1968, il gesuita Michel de Certeaux, molto ascoltato nella laicissima Francia e che arrivò a dirigere gli studi della École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi parlava di «cristianesimo in frantumi» (QUI). Una espressione scomoda che allora non fu accettata, ma di cui oggi sentiamo gli effetti. Come sarà il Cristianesimo di domani? Non è dato sapere, perché è come chiedersi come sarà il mondo nel prossimo futuro, nel quale la Chiesa coi suoi membri sarà inserita. Certo, si spera che il Cristianesimo di domani non sia composto, stando a quanto purtroppo si palesa quello d’oggi, una aggregazione di fedeli fideisti alla morbosa ricerca di Madonne che appaiono in giro per il mondo preannunciando catastrofi e consegnando terrificanti segreti a sedicenti veggenti che spuntano ormai come fiori di campo dopo la pioggia. L’auspicio, almeno mio personale, è che smetta di guardare il proprio ombelico per ricominciare ad annunciare fiduciosa il Vangelo di Gesù Cristo, capace di formare cristiani solidi e tenaci «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15).
Dall’Eremo, 5 ottobre 2024
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I Padri dell’Isola di Patmos
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https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2023/06/monaco-eremita-piccolo-.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150monaco eremitahttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngmonaco eremita2024-10-05 16:21:182024-10-06 10:18:35Medjugorje e Agatha Christie: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova»
https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2019/01/Padre-Ivano-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Ivanohttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Ivano2024-10-02 14:27:342024-10-02 15:37:43«Vieni Spirito Santo anima dell’anima mia». Il ricorso allo Spirito Santo nella Chiesa deve essere quotidiano, filiale e fiducioso
Babamın ikinci evliliğini yapmasıyla birlikte üvey kız kardeşe sahip oldum porno indir Yeni kız kardeşim tembelin teki porno izle ne okula gidiyor ne ders çalışıyor seks hikaye Bulduğu her fırsatta okulu ekiyor bedava porno aile bireyleri bu yüzden ona çok kızıyor brazzers porno Bugün evde kimsecikler yokken bahçede biraz spor yapayım dedim sex hikayeleri Şans eseri kız kardeşimi gördüm okula gitmemiş odasında saklanıyor rokettube Ona bağırdım ve zorla okula gitmesini sağladım türk porno Evden çıktığı vakit bahçede sporuma başladım porno Kısa bir süre sonra telefonuma evdeki alarmın devre dışı kaldığına dair bildirim geldi ensest hikayeler Karşımda çıplak durması ve tahrik edici konuşmalarıyla beni sekse ikna etti.
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