Le vocazioni adulte al sacerdozio

— Lettere dei lettori dell’Isola di Patmos —

LE VOCAZIONI ADULTE AL SACERDOZIO

 

[…] nella mia vita sacerdotale ho sempre finito col fare tutto ciò che non avrei voluto fare, cosa di cui ringrazio Dio. Questo mi ha insegnato anche a diffidare, ed in modo veramente molto profondo, di tutte quelle persone e di tutti quei preti ai quali Cristo, sempre e di rigore, chiede solo ed esclusivamente quello che vogliono loro, alcuni dei quali hanno persino l’empia sfrontatezza di vantarsi affermando in pubblico: «Gesù mi ha detto … Gesù mi ha chiesto …». Per non parlare di certi laici, in particolare di certi carismatici e neocatecumenali, che hanno invece uno Spirito Santo a proprio personale servizio che dice e che suggerisce loro – spesso anche contro la dottrina e le discipline liturgiche e canoniche della Chiesa – ciò che vogliono sentirsi dire e suggerire.

 

 

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

Caro Padre.

Sono un terziario domenicano, e se non sono indiscreto vorrei domandarle: come mai non è diventato sacerdote nell’Ordine dei frati predicatori? Se la domanda è invasiva e indiscreta cancelli il tutto e non mi risponda. Auguri vivissimi per l’Isola di Patmos.

Andrea di Bernardo

Caro Andrea.

domenicani novizio

Un novizio veste l’abito dell’Ordine dei Frati Predicatori presso la sede del noviziato nazionale delle provincie domenicane italiane in Napoli

Come di certo capirà non è questa la sede per fare la storia della mia vocazione, anche perché il discorso è complesso. Numerose persone, sacerdoti inclusi, mi hanno chiesto di scrivere un libro sulla storia della mia vocazione, ma per adesso ho sempre desistito. Forse un giorno nella vecchiaia lo farò, in fondo non esiste cosa più pubblica di una vocazione, considerando ch’essa porta di per sé a quando di più pubblico possa esistere: l’esercizio del sacro ministero sacerdotale.

Non ho scelto l’Ordine dei Frati Predicatori né altri Ordini perché le vocazioni adulte: o fanno scelte radicali entrando in ordini claustrali di stretta osservanza, tipo Trappisti o Certosini, o in uno di quei pochissimi monasteri benedettini che pur nella decadenza irreversibile che ha colpito questa benemerita famiglia mantengono un certo rigore. L’esperienza m’insegna che gli adulti entrano di solito negli ordini di vita contemplativa o nel clero secolare, perché difficilmente possono essere formati alla vita religiosa, salvo grazie speciali.

Premesso che il seminario – sapientemente istituito dal Concilio di Trento – non rientra nei dogmi della fede cattolica, il mio vescovo, come in passato hanno fatto molti altri vescovi nell’esercizio delle loro legittime potestà, stabilì per me, che avevo compiuto 40 anni, un più idoneo iter formativo: a Roma fui affidato ad una casa sacerdotale, vivendo nella quale feci da una parte la formazione teologica, dall’altra la formazione al sacerdozio sotto la guida dei formatori scelti dal vescovo. Fu un’esperienza molto preziosa, perché ho avuto modo di vivere a contatto con 30/35 sacerdoti in fascia d’età compresa tra i 32 ed i 45 anni provenienti da tutti i continenti del mondo, acquisendo anzitutto una visione universale della Chiesa Cattolica e non certo una visione limitata all’orto attorno al campanile del paesello, visto che uno dei principali drammi che devasta da sempre il clero secolare è appunto il provincialismo.

Ritengo di avere fatto la scelta giusta, o come mi disse un pio monaco trappista: «Tu sei fatto per i fuochi d’artificio, non per il silenzio del chiostro. In te è innato il senso della preghiera, della meditazione e della contemplazione, ma come sostegno ai fuochi d’artificio che dovrai sparare». Tesi confermata di recente da un mio confratello sacerdote, anch’esso vocaziona adulta al sacerdozio, già medico psichiatra e oggi monaco, che con vena simpatica mi scrisse: «Tu sei nato per fare il cacciatore, io sono nato per fare il veterinario». Battuta dinanzi alla quale, un mio giovane confratello sacerdote replicò: «Tu non ti limiti solo a sbranare, perché dopo averlo fatto ti metti a saltellare festoso attorno ai brandelli, felice di avere fatto un buon servizio alla Chiesa».

In quella casa sacerdotale internazionale  c’era assieme a me un altro italiano ordinato diacono e poi presbitero del clero secolare a pochi mesi di distanza da me, all’età di 43 anni, oggi sacerdote missionario in una zona indigena di Panama. Un giorno, parlando tra di noi, scoprimmo che entrambi avevamo pensato a una scelta radicale: “uscire dal mondo” e “rinchiuderci” in un monastero di trappisti, ma anche a lui, in modo diverso ma simile, era stato detto: «tu hai la missionarietà nel cuore».

La formazione di un religioso, dall’ingresso nel postulandato all’ordinazione sacerdotale non dovrebbe a mio parere durare – ed infatti una volta in certi Ordini storici non durava – meno di 10/12 anni. Quando nel post-concilio Vaticano II certe famiglie religiose ridussero la formazione a 5/6 anni, i risultati più deleteri nel tempo successivo si sono visti tutti quanti. Per esempio: alcuni anni fa, guidando un gruppo di famiglie ad Assisi, dovetti tradurre e spiegare cosa significava la scritta in latino sopra la Porziuncola, la quale altro non era che l’indicazione della indulgenza riservata a quanti, pentiti e confessati, avessero varcato quella soglia. Nella basilica c’erano infatti quattro apatici e grassi fratacchioni messicani che non erano stati in grado di rispondere a questa banale domanda a loro rivolta dalle persone, segno che … et invenit in templo vendentes oves et boves et columbas, et nummularios sedentes [«ed entrando nel Tempio (Gesù) trovò gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco». Gv. 22,42]; e sappiamo anche bene quanto il Signore Gesù si arrabbiò dinanzi a quella scena penosa [cf. Gv. 2,13-25].

Ciò che io rimprovero a certe famiglie religiose ed a certi ordini storici è questo: ieri, le migliori vocazioni, se le prendevano loro, perché da loro entravano persone particolarmente colte e dotate per gli studi; presso di loro trovavano il proprio nucleo naturale le migliori menti speculative. In molti Ordini storici entravano anche i figli delle famiglie aristocratiche o delle famiglie più ricche, tanto che la “fortuna” di talune congregazioni monastiche deriva anche da certe vocazioni attraverso le quali conventi e monasteri acquisirono poi cospicui patrimoni in eredità alla morte dei genitori di certi monaci e frati, grazie ai quali poterono aprire molte case in giro per il mondo. Basti pensare all’attività missionaria intensa e produttiva portata avanti dai Frati Domenicani a partire dal XVI secolo. E quanto diverse nel tempo sono risultate le zone evangelizzate dai Domenicani e quelle evangelizzate dai Gesuiti, considerando a posteriori che in quelle evangelizzate dai Gesuiti si è sviluppato appresso di tutto, dalla Teologia della Liberazione ai preti-guerriglieri, dal sincretismo alla teologia indigenista. Per carità, i Domenicani hanno visto crescere nel loro seno uno tra i peggiori eretici del post-concilio, Edward Schillebeeckx, non mi risulta però che lo abbiamo esaltato come il teologo dei teologi o come il nuovo Tommaso d’Aquino, come invece hanno fatto i Gesuiti a livello “istituzionale” con un soggetto ben più pericoloso: Karl Rahner.

Oggi, alcuni Ordini storici, si sono ridotti ad accogliere i soggetti che noi sbattiamo fuori dai seminari e quasi sempre per motivi morali gravissimi; ed è presto detto che ce ne vuole, per essere sbattuti fuori da un seminario di oggi! Ciò che a diverse di queste famiglie religiose – benedettini e cistercensi in testa – rimane, è l’antica “puzza sotto il naso”, salvo avere però molte loro abbazie piene di “signorine” e di “disturbati mentali ” a vario livello. Non dimentichiamo infatti che “li boni monaci benedettini ”, grazie alla “mirabile” opera degli ultimi due Arciabati di Montecassino, hanno portato al collasso la grande abbazia dell’Occidente, ormai totalmente decaduta e ridotta ad un pugno di vecchi monaci. Ciò che infatti non riuscirono a fare i bombardieri americani che la rasero al suolo sul finire della Seconda Guerra Mondiale sono riusciti a farlo nelle più infauste stagioni del post-concilio Dom Bernardo d’Onofrio, premiato con la successiva elezione ad Arcivescovo di Gaeta; e Dom Pietro Vittorelli, già suo segretario particolare e appresso suo successore, sul quale il pudore impone di stendere un velo pietoso.

Nulla però m’impedisce di essere vicino a certe spiritualità, lo prova il fatto che appena ordinato diacono prestai i miei primi servizi presso i Domenicani a Sant’Alessio all’Aventino; e quando cominciai a predicare, il mio stile di predicazione era tutto quanto ispirato all’arte omiletica dei vecchi domenicani che avevo conosciuto da adolescente e che avevano lasciato in me un segno indelebile fungendo da mio modello di predicazione. Come però disse quel trappista, forse ero nato veramente per i «fuochi d’artificio», perché nell’economia della salvezza, nella Chiesa c’è bisogno anche degli addetti ai giochi pirotecnici.

Nella mia vita sacerdotale ho sempre finito col fare tutto ciò che non avrei voluto fare, cosa di cui ringrazio Dio. Questo mi ha insegnato anche a diffidare, ed in modo veramente molto profondo, di tutte quelle persone e di tutti quei preti ai quali Cristo, sempre e di rigore, chiede solo ed esclusivamente quello che vogliono loro, alcuni dei quali hanno persino l’empia sfrontatezza di vantarsi affermando in pubblico: «Gesù mi ha detto … Gesù mi ha chiesto …». Per non parlare di certi laici, in particolare di certi carismatici e neocatecumenali, che hanno invece uno Spirito Santo a proprio personale servizio che dice e che suggerisce loro – spesso anche contro la dottrina e le discipline liturgiche e canoniche della Chiesa – ciò che vogliono sentirsi dire e suggerire.

Una vocazione è veramente autentica nella misura in cui sono applicati e vissuti due princìpi: il principio «Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» [cf. Lc. 22, 42], ed il principio «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» [cf. II Gal. 20].

In assenza di questi due princìpi radicati nella persona consacrata col sacro ordine, che concorrono in modo determinante a imprimere il nostro carattere sacramentale indelebile, o siamo di fronte a una non-vocazione, o siamo dinanzi ad una vocazione fragile, o siamo di fronte ad uno di quei tanti soggetti che non per sua colpa, ma per grave responsabilità dei seminari e dei noviziati di oggi e dei pessimi formatori che spesso li popolano, non ha ricevuto una adeguata formazione. E chi non è stato formato in modo adeguato ma bensì infarcito di filosofismi, sociologismi e psicologismi, finisce sempre col mettere l’ “Io” avanti a “Dio“, tra confusioni e disordini del corpo e dell’anima.

Per quanto riguarda il resto, la mia vicinanza spirituale ai figli di San Domenico di Guzmàn penso sia palese, non solo perché lavoro assieme ad un insigne Domenicano, ma perché questo uomo di grande fede e sapienza rappresenta per me un modello di dottrina e di teologia a cui ispirarmi ed al quale attingere con sicurezza a piene mani; allo stesso modo nel quale attingo alla produzione di un altro grande Domenicano, Tomas Tyn, di benedetta memoria [1950 − †1990], morto in giovane età e dotato veramente di tutti quei germi che lo avrebbero portato negli anni successivi a divenire un autentico Tommaso d’Aquino del XX secolo.

L’estate sta finendo e … “no tengo dinero”

L’ESTATE STA FINENDO E … NO TENGO DINERO

 

 

Autore Redazione dell'Isola di Patmos

Autore
Redazione
dell’Isola di Patmos

 

 

Cari Lettori.

«L’estate sta finendo e un anno se ne va» diceva una canzonetta dei Fratelli Righeira autori anche di un’altra canzone molto più appropriata ai Padri dell’Isola di Patmos: «No tengo dinero » [vedere QUI].

Tra poco, nel mese di ottobre, a un anno dall’apertura dell’Isola di Patmos scadono i servizi a pagamento dei quali dobbiamo avvalerci per la gestione del sito di questa rivista telematica. Il sito dell’Isola di Patmos è infatti “pesante” per carico di dati e immagini, ma soprattutto il numero delle visite è molto alto, siamo infatti giunti a 1.500.000 visite in meno di un anno, cosa questa che richiede un server business a pagamento che consenta accessi illimitati all’alto numero di lettori, peraltro in giornaliero aumento.

Se potete offrirci qualche obolo attraverso il comodo e sicuro sistema Paypal che trovate alla sinistra della home page, vi saremo molto grati, perché con le vostre donazioni contribuirete alla sopravvivenza del servizio dei Padri che da sempre è del tutto gratuito, ma oltre alla loro gratuità non si può pensare ch’essi provvedano anche alle spese di gestione di un servizio attraverso il quale donano i frutti del proprio lavoro a chiunque voglia usufruirne.

Il Signore ve ne renda merito.

 

 

 

I Santi “antipatici”, Pontefici inclusi …

— Lettere dei lettori dell’Isola di Patmos —

I SANTI ANTIPATICI, PONTEFICI INCLUSI …

 

[…] se il Santo Padre Benedetto, uomo di gran dottrina e teologo raffinato, aveva un carattere tendenzialmente mite e debole, al punto da essere sottoposto ad un vero e proprio stillicidio nel corso del suo ultimo anno di pontificato; il Santo Padre Francesco, che conosce la dottrina e che per sua stessa e ripetuta ammissione non è un teologo, lungi dall’avere un carattere mite e debole ha invece lo spirito del condottiero, del generale e, tra un sorriso mediatico e l’altro, la sua autorità la sa esercitare ed imporre, eccome! In questo delicato momento storico alla Chiesa di Cristo forse serviva questo: un Pontefice che all’occorrenza sapesse imporre la propria autorità e sapesse all’occorrenza anche far piangere i superbi e gli arroganti anziché andarsene via piangendo dinanzi alle prepotenze dei superbi e degli arroganti.

 

 

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

Caro Padre. Sto leggendo i suoi articoli da un po’ di tempo e devo dirle: su qualcosa mi trovo d’accordo su altro un po’ meno. Abbiamo assistito ad una dolorosissima rinuncia da parte di un grande papa che puzza più di clamorosa estromissione da parte di chi da sempre lo ha odiato. Lei lo definisce un debole per me era la punta di diamante del santo papa Giovanni Paolo II e ora mi impressiona la forza con cui porta la sua croce. Sinceramente mi rattrista paragonare la sua mitezza e determinazione all’arroganza del suo Successore che mi sembra sia sfatato un paladino di quella parte così detta progressista non che un esponente della Compagnia delle Indie come lei ha chiamato il suo Ordine [cf. QUI] intriso di potenti. Io so che lo Spirito Santo agisce ma non impone quindi in questa faccenda non è che Gli abbiamo chiuso la porta in faccia facendoci proprietari di ciò che non è nostro? Non sono un tradizionalista sono solo un cristiano cattolico un po’ addolorato e sconcertato. La ringrazio per l’attenzione e per la suo eventuale risposta.

Ermanno

Caro Ermanno.

La vocazione segue le dinamiche dell’innamoramento. Quando da adolescente mi innamoravo — cosa che accadeva di media ogni due settimane —, quella mia coetanea mi appariva come una dèa bellissima, ma che dico: perfetta! A quel punto, da uomo “adulto” ed “esperto” tal ero a 13 anni, preso a cantare e ballare «Ramaya Bokuko Ramaya abantu Ramaya Miranda Tumbala» [vedere QUI], andavo a chiedere consulenze a mio nonno, che aveva la capacità di prendermi persino sul serio — forse perché si chiamava Giordano Bruno? —, rimanendo impassibile dinanzi alle mie sparate, tipo: «Mi sono innamorato di Silva, la figlia della farmacista». E lui, serio: «Ma io avevo capito che Silvia era la figlia del fornaio». E io: «Si, avevi capito bene, perché anche la figlia del fornaio si chiama Silvia, ma quella era la ragazza di due cotte fa». E dopo la prima euforia la ragazzina cominciava ad apparirmi non più una dèa, ed anziché vedere in lei la perfezione cominciavo a vederne anche i difetti.

Quante volte mi capita di sorridere tra me e me, quando per i sacramentali o le assistenze liturgiche indosso la cotta bianca, oggi che sono felice sposo della Chiesa.

Dopo lo sbandamento neurotico dell’innamoramento vocazionale uno dei miei formatori — divenuto anch’esso sacerdote in età adulta —, mi rivolse un monito di cui feci subito tesoro e che oggi è per me oggetto di esortazione: «Non idealizzare mai le persone, perché idealizzando si possono creare degli idoli, finendo poi appresso delusi e non di rado arrabbiati col coltello stretto tra i denti».

Per evitare di cadere in simili sbandamenti e chiarire al tempo stesso certi dubbi del tutto legittimi, bisognerebbe avere anzitutto chiaro che cos’è la santità. I santi sono quelle figure per le quali tutti facciamo il tifo ma ai quali ben ci guardiamo dal somigliare, in particolare ai santi martiri. Quante sono le soubrette e gli attori di film demenziali che amano dichiararsi devoti di San Pio da Pietrelcina in giro per le televisioni o sulle colonne dei rotocalchi rosa, ai quali però non è mai passato per la mente di compiere il benché minimo sforzo per imitare nella loro vita il modello di fede e virtù cristiana di questo straordinario santo?

Ci sono grandi figure nella storia della Chiesa che mai nessuno ha canonizzato e che ispirano la mia profonda simpatia, ch’è un elemento umano soggettivo. Ci sono diversi santi, alcuni anche dottori della Chiesa, che mi fanno invece antipatia, taluni pure profonda; e l’antipatia, come la simpatia, è un elemento umano soggettivo e come tale all’occorrenza da controllare, perché da essa non si deve essere influenzati quando si è chiamati a formulare giudizi e soprattutto a compiere scelte riguardanti la vita della Chiesa o la vita di singole persone.

La riconosciuta santità si basa invece su un elemento oggettivo retto su un solenne pronunciamento del più alto magistero: la Chiesa ha canonizzato quell’uomo o quella donna — che a me possono stare antipatici — riconoscendo oggettivamente la eroicità delle loro virtù ed elevandoli quindi a modello di esempio per il Popolo di Dio. Questo elemento della oggettività è un dato per me inconfutabile che non ho mai negato, tutt’altro: lo riconosco, lo rispetto, lo seguo e lo trasmetto al Popolo di Dio. D’altronde la Chiesa non mi obbliga a chiedere di intercedere per me presso Dio a quei santi che soggettivamente ritengo “antipatici”. E se per un verso non nego di sentirmi molto più vicino alla spiritualità di San Domenico di Guzman e dei suoi Frati Domenicani, per altro verso non ho problema alcuno a dichiararmi indifferente alla figura di San Francesco d’Assisi e distante dai suoi Frati Francescani. Nutro particolare simpatia per San Filippo Neri e devozione per Sant’Ignazio di Loyola, pur ritenendomi libero di esprimere che gli attuali Gesuiti — da me epitetati Compagnia delle Indie —, poco hanno da spartire oggi con la Compagnia di Gesù ideata dal loro Fondatore, perché se tornassero a essere ciò che erano, anziché diffondere i veleni di Karl Rahner come fosse il novello Tommaso d’Aquino del XX secolo, avrebbero di nuovo i noviziati e gli studentati pieni, anzichè popolati da qualche sciamano africano o da giovani indiani che spesso si manifestano palesemente più buddisti che cristiani. E sorvoliamo sul genere di formazione attraverso la quale arrivava al sacerdozio un pio gesuita ieri e su quella con la quale invece vi giungono oggi certi mezzi buddisti e certi mezzi sciamani.

Il tutto è solo Cronaca di una morte annunciata, perché il 23 ottobre 1972 un insigne gesuita, il Cardinale Jean Danielou, rispondeva così a un intervistatore della Radio Vaticana sulla crisi della vita religiosa, in particolare della Compagnia di Gesù:

«La soluzione unica e urgente è fermare i falsi orientamenti presi in un certo numero di istituti. Occorre per questo fermare tutte le sperimentazioni e tutte le decisioni contrarie alle direttive del Concilio; mettere in guardia contro i libri, le riviste, i convegni in cui sono messe in circolo queste concezioni erronee; ripristinare nella loro integrità la pratica delle costituzioni con gli adattamenti chiesti dal Concilio. Là dove questo appare impossibile, mi sembra che non si può rifiutare ai religiosi che vogliono essere fedeli alle costituzioni del loro ordine e alle direttive del Vaticano II di costituire delle comunità distinte. I superiori religiosi sono tenuti a rispettare questo desiderio. Queste comunità devono essere autorizzate ad avere delle case di formazione. L’esperienza mostrerà se le vocazioni sono più numerose nelle case di stretta osservanza o nelle case di osservanza mitigata. Nel caso in cui i superiori si oppongano a queste richieste legittime, un ricorso al Sommo Pontefice è certamente autorizzato» [testo dell’intervista, QUI].

… E sulle ceneri della Compagnia di Gesù di Sant’Ignazio di Loyola, nacque da Padre Pedro Arrupe la nuova Compagnia delle Indie diretta oggi da Padre Adolfo Nicolás.

Altro elemento da chiarire è il fatto che al santo non è richiesta la perfezione. Non solo, infatti, ci sono stati santi che hanno percorso i peccati capitali in lungo e in largo, perché assieme ai peccati hanno commesso anche errori d’ogni sorta, prima di quella conversione che li ha portati a diveniri degli autentici modelli di virtù. Un argomento a parte meriterebbero quei santi che erano matti come cavalli da corsa, per citarne uno tra i tanti: San Giovanni di Dio, anch’esso come Sant’Ignazio di Loyola ex soldato e fondatore del benemerito ordine ospedaliero dei Fatebenefratelli, che prende nome dal vezzo di quest’uomo di Dio che spesso, tra le risa delle persone, si metteva a sbraitare e gesticolare per le piazze ed i mercati urlando: «Fate del bene, fate bene, fratelli, a voi stessi!». Sottintendendo che facendo del bene al prossimo, ed in particolare agli ammalati, si faceva del bene anche a sé stessi, alla propria anima.

Gli ultimi Sommi Pontefici canonizzati e beatificati, erano lungi dall’essere perfetti: mi riferisco a San Giovanni XXIII, al Beato Paolo VI ed a San Giovanni Paolo II …
… certe ingenuità di Giovanni XXIII sono dati di fatto noti, come lo è il fatto che se l’introverso Paolo VI, anziché piagnucolare, avesse usato la sua apostolica autorità per richiamare e stroncare le gambe a certi teologi che seminavano pericolose eresie, oggi i loro figli ed i loro nipotini non avrebbero impestato la Chiesa intera di pensieri eterodossi. Né possiamo eludere il fatto che sotto l’ultimo decennio di pontificato di San Giovanni Paolo II, col Cardinale Giovanni Battista Re Prefetto della Congregazione per i Vescovi sono assurti all’episcopato alcuni dei peggiori vescovi mai avuti dalla Chiesa nel corso degli ultimi duecento anni di storia; e questa mia affermazione è un fatto supportato anche dalle sentenze penali di vari tribunali del mondo, da varie destituzioni più o meno silenziose, da tanti penosi promoveatur ut amoveatur, etc ...

Ciò vuol forse dire che sono stati canonizzati e beatificati degli uomini che non lo meritavano? O uomini privi della virtù fondamentale richiesta ad un santo, che è la prudenza?

Posto che senza macchia di peccato originale è nata solo la Beata Vergine Maria e che solo il Verbo di Dio fatto uomo non ha mai conosciuto il peccato, questi pontefici sono stati canonizzati e beatificati perché pur nella loro imperfezione umana, a fronte di un gravame apostolico dinanzi al quale, il primo a risultare a suo modo inadeguato fu proprio il prescelto personalmente da Cristo Dio, sono stati comunque modelli di eroica virtù. Analogamente a San Pietro anche questi suoi recenti Santi Successori hanno vissuto una vita esemplare in contesti sociali e politici talvolta difficilissimi, a volte impossibili da gestire, il Beato Paolo VI in particolare. E come sappiamo Pietro, dopo essere scappato impaurito [cf. Mt. 26, 47-56], dopo avere rinnegato il Signore per tre volte [cf. 26, 69-75], dopo essere stato a giusta ragione rimproverato da Paolo ad Antiochia [cf. Gal. 2,1-2.7-14], è morto versando il proprio sangue per Cristo e per la sua Chiesa; un sangue che lo rende eroico nella fede ma non certo perfetto in certe sue opinioni non corrette, in certe sue condotte di vita e in certe sue scelte.

Questa cristiana logica è quindi applicabile anche a Benedetto XVI, che nessuno di noi può ragionevolmente mutare né in un leone ruggente né in un guerriero, né in un idolo, pur con tutto l’affetto e la venerazione che io per primo nutro nei suoi riguardi.

Che Benedetto XVI abbia mostrato profonda debolezza e talora una mancanza totale di governo della Chiesa, costituisce un dato di fatto che nulla toglie alle sue virtù, alla sua santità di vita e alla sua stupenda teologia in base alla quale, unitamente alla sua apostolica autorità, avrebbe potuto condannare la diffusione dei pensieri ereticali di molti teologi — a partire da Karl Rahner — ed a proibire che i loro pensieri errati fossero usati come insegnamento addirittura obbligatorio sotto le sue papali finestre per tirare sù dei futuri preti che non hanno anzitutto un’idea chiara sul sacerdozio ministeriale, proprio perché infarciti delle gravi eresie rahneriane riguardo la concezione stessa del Sacro Ordine [rimando sull’argomento allo splendido articolo di Giovanni Cavalcoli, vedere  QUI].

Da raffinato teologo qual era avrebbe potuto evitare, l’allora Cardinale Joseph Ratzinger, di consacrare vescovo con le sue stesse mani un soggetto dalla cristologia a dir poco opinabile come Bruno Forte; avrebbe potuto evitare da Romano Pontefice di consacrare vescovo e poi creare cardinale un soggetto come Gianfranco Ravasi, che incarna la negazione vivente non solo della sana teologia di Benedetto XVI ma proprio dell’ortodossia della dottrina cattolica; avrebbe potuto impedire a molti scellerati vescovi italiani di mandare i loro seminaristi a fare i ritiri spirituali prima delle sacre ordinazioni presso il falso profeta e cattivo maestro Enzo Bianchi, perché tutto questo è autentica empietà … queste e altre ancora sono le devastanti opere avvenute sotto gli occhi di Benedetto XVI, perfettamente informato e al corrente di tutto. Delle oggettive “pecche” che nulla tolgono però alla sua santità di vita, alla sua alta teologia ed al suo splendido magistero pontificio. 

Detto questo aggiungo: se coloro che dalla rinuncia al sacro soglio seguitano a cimentarsi in teorie da libro giallo, cercassero invece di penetrare il mistero della Chiesa — cosa che però richiede il presupposto dell’umiltà e dell’ascolto — capirebbero che il Santo Padre Benedetto si è fatto volontariamente, spontaneamente e liberamente da parte perche non in grado di gestire una situazione di paralisi sviluppatasi come un tumore con metastasi diffuse nell’ultimo mezzo secolo di vita della Chiesa, a partire neppure da Giovanni XXIII, come blaterano gli accusatori del Concilio Vaticano II, perché i presupposti scatenanti già c’erano tutti quanti nell’ultimo scorcio di pontificato di Pio XII, che non a caso ritenne opportuno non nominare neppure un Segretario di Stato; ma detto questo soprassiedo perché non è possibile aprire un complesso tema nel tema. Mi limito solo a dire che le tante, le troppe Agatha Christie che entrano come carriarmati dentro la fabbrica di cristalli di Murano della storia della Chiesa contemporanea, dovrebbero valutare i danni e lo sconcerto che producono nel buon Popolo di Dio, pronto spesso a prenderli sul serio in quanto “seri” e “devoti” giornalisti o storici cattolici. Un “serio” e “devoto” giornalista cattolico non svende però la povera e deturpata sposa di Cristo per uno scoop, spacciando il sensazionalismo per inconfutabile verità; un “serio” e “devoto” storico non spaccia per verità le proprie ideologie soggettive, come tali tutte quante opinabili.

Se noi preti facessimo catechesi, se spiegassimo ai nostri fedeli i fondamenti della dottrina, della ecclesiologia, della sacramentaria, della storia della Chiesa e del diritto canonico — ma presupposto della trasmissione è però la conoscenza — eviteremmo di lasciarli in pasto alle quotidiane scempiaggini che scrivono molti vaticanisti caricati dai loro padroncini o come qualsivoglia dai serpentelli nascosti nell’anonimato della curia romana; giornalisti che molti nostri fedeli — non avendo adeguate risposte da parte di noi preti — prendono come Parola di Dio con tutto ciò che ne consegue.

E per rispondere strettamente nel merito a un quesito pertinente: ammettiamo che il Santo Padre Francesco, come dice il nostro caro lettore sia un «arrogante». Ammesso e non concesso che la grazia dello Spirito Santo è capace a tirare fuori la virtù persino dal vizio, domando: dopo che un uomo mite è stato divorato dai gestori di una discarica a cielo aperto che ha dato vita all’interno della Chiesa ad una sporcizia senza eguali che parte a monte dalla debolezza del Beato Paolo VI ereditata come patrimonio pressoché ingestibile da San Giovanni Paolo II, non era provvidenziale che ci fosse dato un “marpione gesuita” che sorride pubblicamente in piazza rimanendo simpatico a tutti ma che in privato a Santa Marta taglia le teste? E coloro che sono stati ghigliottinati non possono manco lamentarsi, perché se lo facessero finirebbero linciati dalla piazza popolata dai fans de … er papa piacone che s’è subito dichiarato «proveniente dall’altra parte del mondo», salvo avere l’astuta capacità di fare nei concreti fatti — e lo dico in forma positiva — cose dell’altro mondo.

Più che delle risposte ho dato degli spunti di riflessione, compresa l’azione di grazia dello Spirito Santo attraverso il Santo Padre Francesco, che come già affermai due anni fa al terzo mese del suo pontificato: «È enigmatico. Un pifferaio magico che sta portando tutti i topi allo scoperto» e che spero li conduca uno appresso all’altro a gettarsi nel fiume per il supremo bene della Chiesa. Sono sempre più convinto, infatti, che attraverso il Sinodo sulla famiglia li abbia tirati in trappola mettendoli nella condizione di venire tutti allo scoperto, cosa che alla resa dei conti comporterà che allo scoperto venga infine anche lui. E, come ho scritto in passato, il Santo Padre potrebbe correre il rischio di tornare ad indossare le scarpette rosse per ciò che esse significano realmente: il martirio di Pietro che coi piedi sanguinanti giunse sul Colle Vaticano per essere crocifisso a testa all’ingiù [vedere QUI]. A quel punto noi — che all’occorrenza lo abbiamo devotamente criticato — lo difenderemo e lo veglieremo sotto la croce col giovane Giovanni e la Beata Vergine Maria, mentre «tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono» [cf. Mt. 26,56], perché questa temo sia la fine, tutto sommato molto gloriosa, riservata al Santo Padre Francesco, al termine di questa luna di miele mediatica che è stata veramente troppo lunga e che neppure il più sagace e astuto dei vecchi Gesuiti può tirare a lungo più di tanto.

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L’ENIGMA DI PAPA FRANCESCO – intervista del giugno 2013 ad Ariel S. Levi di Gualdo

Antonio Socci, il “motu proprio” e il problema della fede

ANTONIO SOCCI, IL “MOTU PROPRIO ” E IL PROBLEMA DELLA FEDE

 

La questione della fede viene esplicitamente citata nel documento del Sommo Pontefice perché nella situazione sociale odierna caratterizzata da un secolarismo e da una scristianizzazione che galoppano più dei puledri del Palio di Siena, l’elemento dell’ignoranza religiosa in progressivo aumento è tanta e tale, assieme alla superficiale leggerezza, che oggi ci troviamo costretti a chiarire ciò che per secoli è stato ovvio persino tra le persone più incolte. E oggi più che mai è davvero parecchio alto il rischio delle coppie che si sposano in chiesa senza vera fede nel Sacramento, perché non ci credono o perché fingono di crederci, o perché lo concepiscono male o per simulazione o per errore involontario.

 

 

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

 

 

Carissimo Antonio.

antonio socci

A un padre cristiano che ama non si perdona solo un piccolo errore, gli si perdonano errori commessi anche “settanta volte sette” [Uno dei libri dedicati da Antonio Socci alla figlia Caterina, vedere QUI]

Molti lettori mi hanno segnalato il tuo articolo [vedere QUI], ed in verità debbo dirti che se non lo commentassi rischierei di figurare parziale. L’umano affetto e l’immutata stima che nutro nei tuoi riguardi assieme alla mia simpatia non può infatti portarmi all’uso di due pesi e due misure, perché sarei pastoralmente e intellettualmente scorretto, se non peggio disonesto.

Tu sei un cattolico sincero e devoto, come lo è il Prof. Roberto de Mattei che tu citi nel tuo articolo e di cui io ho scritto di recente [vedere QUI]. Una indubbia sincerità d’intenti — la tua come quella di de Mattei — che non vi esenta però dall’errore di analisi e valutazione, come dall’errore non sono esente io, che posso commetterne anche di più gravi e produrre di conseguenza dei danni parecchio maggiori di quanti possa compierne qualsiasi laico. Pure i santi non sono stati esenti da errori, a volte persino da eresie, dalle quali poi si sono ovviamente emendati.

Riguardo il motu proprio del Sommo Pontefice Francesco [vedere QUI] tu scrivi che: «La carica di dinamite sta principalmente dall’articolo 14 delle “regole procedurali” dove si evoca la “mancanza di fede” dei nubendi come possibile causa di simulazione o errore nel consenso e quindi di nullità del matrimonio».

Vorrei garantirti che non si tratta di una «carica di dinamite». Infatti, il punto del tuo articolo attraverso il quale si evince che tu non riesci a cogliere la portata del problema in sé e di per sé, si regge sul riferimento che fai alle Regole Procedurali del Motu Proprio [Art. 14 § 1]. Temo infatti che tu non abbia colto la complessità dei motivi che stanno a monte e che hanno indotto il Sommo Pontefice a indicare come elementi per la trattazione della causa di nullità del matrimonio, per mezzo del processo più breve, secondo i canoni 1683-1687, anche «quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà».

Purtroppo sbagli nel pensare che in passato la Chiesa “escludesse” la mancanza di fede dai motivi di nullità. Un’idea come questa tua è veramente assurda sul piano formale e sostanziale. E qui vorrei per inciso precisare che ho fatto uso del termine “assurdo” stricto sensu secondo il corretto etimo e non secondo l’uso per il quale questo lemma è impiegato nel linguaggio corrente. Per absurdus s’intende infatti, nel linguaggio filosofico e nella filosofia del diritto, un elemento od un pensiero che è contrario alla logica o alla ragione.

Se la Chiesa non parlava dell’elemento indispensabile della fede, era perché essa costituiva il primo presupposto dei requisiti minimi richiesti per la validità del Sacramento. Non ne parlava semplicemente perché, essendo il matrimonio un Sacramento, si supponeva, o si dava comunque per scontato che i nubendi avessero fede nel Sacramento stesso. O detta in altri termini: a chi mai sarebbe passato per la mente, ieri, di domandare a un candidato prossimo all’ordinazione sacerdotale se credeva veramente nel Mistero del Sacrificio Eucaristico? Purtroppo, come presbitero, posso testimoniarti che oggi, prima di ordinare sacerdoti certi soggetti che all’altare non andrebbero fatti avvicinare neppure come chierichetti, i vescovi dovrebbero appurare se conoscono e soprattutto se credono veramente alle fondamentali verità racchiuse nei dogmi della fede cattolica, cosa questa che richiede a monte il fatto che, ad essere stati formati nella corretta dottrina cattolica siano anzitutto i vescovi [vedere mio articolo sul Segretario Generale della CEI, QUI].

Proverò a chiarire il tutto con un altro esempio: nelle stupende campagne toscane dove lo scorso anno tu invitasti a pranzo me ed il mio collaboratore ― e dove spero di tornare presto a visitarti ― oggi vi sono antichi casolari che costano molto più di una casa ubicata nei centri storici cittadini. In questi casolari abitavano fino a meno di un secolo fa dei contadini molti dei quali sapevano a malapena leggere e scrivere. Con questo esempio vorrei offrirti una concreta idea di radicale trasformazione sociale e ambientale. Eppure, quei contadini, compresi soprattutto gli illetterati, sapevano molto bene che cosa fosse il matrimonio. Oggi, molti di coloro che hanno comprato le case dei vecchi contadini pagandole nel corso degli anni Novanta sino a dieci milioni delle vecchie lire a metro quadrato, semmai professionisti con le parcelle a sei zeri, o danarosi imprenditori, o ricchi stranieri … che cosa sia il matrimonio in alta percentuale non lo sanno proprio. Basterebbe andare da quella genderista di Gianna Nannini, nata in una ricca famiglia d’impreditori senesi, popstar celebre in tutto il mondo, laureata in lettere e via dicendo, chiedendole di spiegarci che cos’è il matrimonio; semmai, visto che ci siamo, di spiegarci pure che cos’è la famiglia, o il rapporto tra genitori e figli, o se è umano e giusto che una creatura sia privata di un padre e di una madre “sana” per essere cresciuta tra circoli di omosessuali e di lesbiche inacidite.

Spero di averti chiarito come mai la questione della fede viene esplicitamente citata nel documento del Sommo Pontefice: perché nella situazione sociale odierna caratterizzata da un secolarismo e da una scristianizzazione che galoppano più dei puledri del Palio di Siena, l’elemento dell’ignoranza religiosa in progressivo aumento è tanta e tale, assieme alla superficiale leggerezza, che oggi ci troviamo costretti a chiarire ciò che per secoli è stato ovvio persino tra le persone più incolte. E oggi più che mai è davvero parecchio alto il rischio delle coppie che si sposano in chiesa senza vera fede nel Sacramento, perché non ci credono o perché fingono di crederci, o perché lo concepiscono male o per simulazione o per errore involontario.

Questo il motivo per il quale nelle mie omelie insisto spesso su alcuni elementi fondamentali della fede, parlando del mistero del Verbo di Dio fatto uomo, chiarendo la natura ipostatica di Cristo vero Dio e vero Uomo. Parlando dell’Eucaristia e chiarendo ch’essa è mistero della presenza reale di Cristo sotto le specie del pane e del vino; quindi spiego che l’Eucaristia non è un’allegoria, una metafora, un simbolo della presenza spirituale di Cristo. Allo stesso modo spiego che la Santa Messa è il sacrificio vivo e santo della croce che si rinnova in modo incruento, ed invito a prestare anzitutto ascolto alle parole del celebrante quando nel canone pronuncia la parola “sacrificio”, o quando i fedeli stessi rispondono al sacerdote facendovi anch’essi riferimento: «Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio, a lode e gloria del Suo Nome e di tutta la Sua Santa Chiesa». Spiego che la Santa Messa, ossia il Sacrificio Eucaristico, non è una festa danzante o tamburellante, non è una mensa dove gli amici gioiosi fanno cena assieme; che l’altare non è il tavolo del disc jockey attorno al quale chiunque conosca tre accordi possa torturare l’intera assemblea con inopportune e fastidiose schitarrate. Recentemente ho usato un’esperienza di vita pastorale narrando durante un’omelia di quando sostituendo un parroco in una chiesa parrocchiale, appena giunto fui avvicinato da due catechiste in vena di darmi direttive su come celebrare, ignare che come celebrare me lo dice la Chiesa attraverso l’Ordinamento Generale del Messale Romano, non certo quelle pie donne da me ribattezzate inopportune pretesse nate dalla peggior confusione di ruoli prodotta dal peggio del post-concilio, il quale nulla ha da spartire con il Concilio Vaticano II. Le due mi dicono: «Lei non conosce la nostra parrocchia, così volevamo informarla che noi al centro della liturgia mettiamo i giovani». Le fulmino con uno sguardo di fuoco e rispondo: «Mi dispiace per voi e soprattutto mi rammarico per i vostri giovani, perché io al centro della liturgia metto Cristo, ed i giovani devono stare adoranti e genuflessi dinanzi a Lui, perché il centro è Suo, ed è un centro totale e totalizzante, perché Cristo è l’inizio, il centro e il fine ultimo del nostro intero umanesimo» [Cf. Dichiarazione Dominus Jesus, vedere QUI, Istruzione Redemptionis Sacramentum, QUI].

Tra te e me ci sono solo pochi anni di differenza: tu sei nato nel 1959 e io nel 1963. Sicché ti domando: quando tra il 1967 e il 1968 tu facevi il catechismo per prepararti alla Prima Comunione, al termine della preparazione ricevuta, avevi la cosciente consapevolezza di che cosa saresti andato a ricevere? Certo che ce l’avevi, come l’avevo io che nel maggio del 1972 ricevetti la Prima Comunione in ginocchio alla balaustra ricoperta in superficie col lino bianco e col chierichetto che mi reggeva il piattello sotto il mento.

Ho citato tre elementi accidentali  o cosiddetti “accidenti esterni” – la genuflessione, la balaustra ricoperta con il lino, il piattello – che nella loro accidentalità contingente richiamano degli elementi di sacralità e di rispetto verso il sacro mistero oggi purtroppo perduti con tutto ciò che di triste e doloroso ne consegue, a partire dal modo in cui molti fedeli ricevono senza sacro rispetto e profonda reverenza il Corpo di Cristo; a partire dal modo sciatto in cui molti preti distribuiscono l’Eucaristia, demandandone spesso la distribuzione — senza alcuna oggettiva necessità — a laici più sciatti ancora di certi preti.

Tu ed io, come abbiamo ricevuto la prima confessione? In ginocchio dinanzi alla grata del confessionale, dentro al quale c’era il sacerdote che indossava la veste talare, la cotta bianca e la stola viola. O forse sarebbe stato pensabile che uno dei tanti odierni preti ye ye, col pantalone jeans e la camicia scollacciata a mezze maniche amministrasse le confessioni a delle giovani donne seduto in poltrona dentro l’ufficio parrocchiale con la porta chiusa, semmai rispondendo pure al telefono durante l’azione sacramentale? E detto questo non devo certo spiegare che non sono affatto un misogino, ma un sacerdote di Cristo al quale non passerebbe mai per la mente di stare seduto sulla poltrona di un ufficio a guardare in faccia un penitente intento a confessare i propri peccati per avere la grazia, la misericordia e il perdono di Dio; non lo farei mai con nessuno, specie con una donna, alla quale è dovuta da parte del sacerdote una delicatezza ed un rispetto del tutto particolare.

Adesso riesci a capire il motivo per il quale bisogna purtroppo spiegare anche l’ovvio, una volta appurato e preso tragico atto che ciò che per secoli è stato ovvio, oggi purtroppo non lo è più? E non solo bisogna spiegare l’ovvio ai laici, ma anche a tanti preti malformati piazzati dalla scelleratezza dei nostri vescovi nei posti spesso più delicati. Capisci, caro amico, che oggi, sotto gli occhi indifferenti dei nostri vescovi, a preti piazzati nelle più grandi parrocchie od a pavoneggiarsi negli uffici di curia, vediamo fare cose che fino a pochi decenni fa non sarebbero mai passate per la mente neppure al più ignorante dei curati di campagna, di quelli che, più che la teologia, avevano studiato il necessario catechismo a bastonate, ed ai quali dobbiamo oggi eterna riconoscenza se ancora abbiamo un Popolo di Fedeli, a partire da Giovanni Maria Vianney santo patrono di noi sacerdoti, che con non poche difficoltà leggeva più o meno bene il latino del Messale di San Pio V?

Affido nuovamente tua figlia Caterina alla Beata Vergine Maria al termine del giorno in cui la Chiesa universale ha celebrato la festa della Madonna Addolorata, onorato più che mai per la tua amicizia.

Il Santo Padre Francesco arreca “una ferita al matrimonio cristiano”? Suvvia, cerchiamo di essere seri …

IL SANTO PADRE FRANCESCO ARRECA «UNA FERITA AL MATRIMONIO CRISTIANO»? SUVVIA, CERCHIAMO DI ESSERE SERI …

 

Durante le mie prediche nel deserto da anni vado dicendo che l’origine del problema è data dal fatto che il matrimonio sacramentale è concesso dai vescovi e dai loro preti con una leggerezza che grida vendetta al cospetto di Dio. Non sarebbe meglio prevenire, anziché cercare poi di curare in seguito ciò che non sempre è curabile?

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                          Autore
                Ariel S. Levi di Gualdo 

 

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Sposa ingresso chiesa

un prete che consente a una sposa in queste condizioni l’accesso in chiesa, merita i dovuti complimenti, naturalmente assieme al suo vescovo …

Raramente capita di leggere documenti giuridici improntati in maniera così profonda su criteri pastorali. Opera riuscita a meraviglia nella lettera apostolica in forma di motu proprio del Sommo Pontefice Francesco, Mitis iudex Dominus Jesus sulla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio [testo originale integrale, QUI]. Purtroppo nelle successive ore abbiamo assistito ad una diversa ridda di male informazioni ed all’Isola di Patmos sono giunte così molte lettere di lettori che hanno domandato spiegazioni sulle «nuove procedure» riguardo «l’annullamento del matrimonio» secondo le «nuove disposizioni del Santo Padre Francesco». Fatta eccezione per i presbiteri i lettori tendono a basare i propri quesiti su notizie giornalistiche di questo genere: «Francesco continua la rivoluzione: “Annullamento matrimonio rapido e gratis» [vedere QUI].

Ripetiamo ai lettori ciò che più volte abbiamo loro raccomandato: non bisogna mai basarsi sulle notizie riportate dai giornali o su estratti spesso male interpretati dalle agenzie di stampa; è sempre necessario andare alla fonte e leggere i documenti ufficiali, tutti reperibili sul sito della Santa Sede.

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sposa in chiesa 2 Guendalina Tavassi e Umberto D Aponte

Roma, Chiesa di San Lorenzo in Lucina – Non è l’immagine di una pornostar ma di una sposa ammessa in queste condizioni dentro una chiesa della Diocesi di Roma. Questo impone di  porgere i più sentiti complimenti al Monsignor Rettore di questa chiesa metropolitana ed a quelli del Vicariato di Roma …

Il titolo poc’anzi riportato è solo uno tra i tanti nei quali spiccano due parole fuorvianti e scorrette: «rivoluzione», lemma caro alla passionaria argentina Elisabetta Piqué [vedere QUI]; e quella ancora più scorretta di «annullamento». Come infatti spiegheremo nessun Pontefice, incluso il Santo Padre Francesco, può annullare un Sacramento. Fosse stato possibile i Pontefici Clemente VII e Paolo III, che scomunicarono Enrico VIII rispettivamente nel 1533 e nel 1538 per le sue vicende matrimoniali e la sua pretesa di piegare la disciplina dei Sacramenti alle proprie volontà, si sarebbero risparmiati volentieri lo scisma d’Occidente con tutte le persecuzioni che ne seguirono per la Chiesa Cattolica d’Inghilterra, per il clero ed i laici fedeli a Roma, come prova il martirio di Thomas More e quello del Vescovo e Cardinale John Fisher, entrambi decapitati e proclamati in seguito santi martiri.

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Chiariamo i termini facendo uso di parole corrette, perché nessuno, incluso il Romano Pontefice, può “annullare”, “cancellare”, “togliere” un Sacramento validamente celebrato o amministrato. Un Sacramento — in questo specifico caso il matrimonio – può essere nullo, che è cosa diversa dal concetto aberrante di “sacramento annullato”. Per esempio: io ho ricevuto validamente e lecitamente il Sacramento dell’Ordine i cui requisiti di validità richiesti sono minimi, come del resto lo sono per tutti i Sacramenti. Se però fosse appurato che non ho ricevuto il Sacro Ordine liberamente ma sotto minaccia e costrizione e che in verità non era mia intenzione diventare prete; se fosse appurato che sono giunto al Sacro Ordine per scopi malvagi e perversi, animato da sprezzo verso il deposito della fede, il Magistero della Chiesa e le verità di fede da essa custodite e annunciate … appurato il tutto verrebbe dichiarato che il Sacramento da me ricevuto è nullo. E, seppure consacrato sacerdote, il Sacramento da me formalmente ricevuto non sarebbe valido, perché l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria recitata dal vescovo su di me e la unzione dei palmi delle mie mani col sacro crisma, finirebbero col risultare solo segni fini a se stessi che non hanno potuto produrre alcuna efficacia sacramentale su una persona totalmente chiusa ai doni della grazia del Sacro Ordine.

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sposi Basilica di Santa Maria in Aracaeli 2

Roma, Basilica di Santa Maria in Aracoeli. Sempre con rinnovati complimenti ai Frati Minori Francescani a cui è affidata la rettoria di questa basilica ed a quelli del Vicariato di Roma.

La Chiesa può dichiarare che un Sacramento è nullo, cosa sostanzialmente diversa dall’annullare un Sacramento. La Chiesa non ha alcuna facoltà di “annullare” un Sacramento perché non può disporre della sostanza dei Sacramenti in quanto beni non disponibili e quindi non variabili  e non alterabili nella loro essenza, essendo appunto mezzi e strumenti di grazia d’istituzione divina dei quali noi ministri siamo solo custodi e dispensatori secondo le diverse potestà dei tre gradi del Sacramento dell’Ordine; dei Sacramenti non disponiamo e di essi non siamo padroni. Tutto questo non è un gioco di parole e neppure una questione di lana caprina, tutt’altro: chi afferma: «il Tribunale ecclesiastico ha annullato il matrimonio di Tizio e Caia» dice un’enorme stoltezza. Il Tribunale ecclesiastico ha solo dichiarato che quel matrimonio è nullo dopo avere appurata la mancanza di uno o più requisiti necessari a renderlo valido.

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sposi Basilica di Santa Maria in Aracaeli 3

Roma, Basilica di Santa Maria in Aracoeli. Sempre con rinnovati complimenti ai Frati Minori Francescani a cui è affidata la rettoria di questa basilica ed a quelli del Vicariato di Roma

Cercherò adesso di chiarire la questione: anni fa fui chiamato presso un tribunale ecclesiastico con un’altra persona a deporre per una sentenza di nullità matrimoniale. Il fatto sul quale resi testimonianza riguardava una vicenda accaduta anni prima che io divenissi prete; come infatti molti sanno sono divenuto sacerdote in età adulta. L’altra persona che depose con me era una mia ex fidanzata. Accadde infatti in passato che durante una cena, i due che poi divennero marito e moglie ebbero dinanzi a noi un colloquio che fu un vero patto scambiato alla nostra presenza come conditio sine qua non al matrimonio. Disse la futura moglie: «Io ti sposo ad una precisa condizione: sappi che non voglio figli e che userò sempre tutte le precauzioni per non averne. Io sono felice di vivere la mia vita con te, ma senza figli. Se quindi tu desideri avere figli è bene non sposarci». Replicai all’amica — che tra l’altro era pure una giurista — che a mio parere non era quello uno dei migliori presupposti per convolare a nozze. Due anni dopo ci perdemmo di vista e trascorsi altri 12 anni fui convocato presso il tribunale ecclesiastico, dinanzi al quale deposi — assieme a quella che in un’altra vita fu mia fidanzata — ciò che entrambi avevamo udito una sera di 14 anni prima.

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Non dimenticherò mai ciò che mi disse l’anziano confratello uditore [giudice ecclesiastico], prendendomi poi da parte a tu per tu. Se proprio devo raccontarla tutta mi fece anzitutto questa battuta: «Noto che prima di diventare prete avevi buoni gusti …», riferendosi in tal modo alla giovane bella Signora che aveva testimoniato assieme a me, accompagnata dal suo consorte che fuori dal palazzo del tribunale ecclesiastico mi abbracciò e mi disse: «Sono finalmente lieto di conoscerti di persona dopo averti conosciuto attraverso molti racconti di mia moglie» E mi chiese se potevo battezzare il loro secondo figlio in arrivo, cosa che feci in seguito con grande piacere …

… e dopo questa battuta mirata a rompere il ghiaccio, il confratello uditore [giudice ecclesiastico] passò con un sorriso a ben più serie battute: «Questa procedura andrà sicuramente a buon fine non perché c’è di mezzo un prete, ma perché c’è di mezzo un prete che ha fede, che crede davvero al giudizio di Dio e che per questo non proferirebbe mai il falso; cosa che ho percepito subito». E proseguì affermando: «Sai quanti avanzano richiesta di riconoscimento della nullità del matrimonio basando le loro istanze sul fatto che si erano promessi di non avere figli, che si sono sposati sotto costrizione o che non erano capaci di avere rapporti sessuali di coppia in quanto sessualmente incompatibili?». E concluse: «Le motivazioni più addotte sono quelle più difficili da dimostrare anche scientificamente, per questo facciamo spesso ricorso alle formule di giuramento solenne». Replicai io: «Stai dicendo che molti si sono compromessi la salute dell’anima proferendo spergiuri?». Sorrise e non rispose niente più, mentre io proseguivo dicendo: «… ma il sacerdote che li ha accolti, che ha parlato con loro e che ha accettato il consenso che si sono scambiati, che genere di prete è … come li ha conosciuti … che cosa ha ascoltato prima che si unissero in matrimonio … quale percezione ha questo prete dei Sacramenti di grazia? Perché a monte di queste situazioni, se proprio vogliamo essere onesti finiamo sempre con lo scoprire l’immancabile presenza di un cattivo prete, o di un prete superficiale al quale il proprio vescovo consente il pericoloso lusso di essere appunto un cattivo prete od un prete superficiale». E conclusi: «Ciò sul quale ho appena deposto sono di fatto le conseguenze della mancata applicazione della corretta disciplina dei Sacramenti da parte dei vescovi preposti alla vigilanza sui propri presbiteri».

Roma, Chiesa di San Pietro in Montorio al Gianicolo. Questa sposa è stata ammessa dentro una chiesa della Diocesi di Roma rivestita di un pizzo trasparente. Sempre con rinnovati complimenti ai Frati Minori Francescani a cui è affidata questa chiesa ed a quelli del Vicariato di Roma

Non esito a definire fuorviante fin dal titolo l’articolo firmato dallo storico Roberto de Mattei sull’agenzia Corrispondenza Romana: «Una ferita al matrimonio cristiano» [vedere QUI, QUI, QUI]. Temo infatti che l’insigne e da me sempre stimato storico – con il quale condivido e posso condividere molte perplessità – abbia forse frainteso il testo, perché l’incipit iniziale di questo motu proprio è il seguente:

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«Il Signore Gesù, Giudice clemente, Pastore delle nostre anime, ha affidato all’Apostolo Pietro e ai suoi Successori il potere delle chiavi per compiere nella Chiesa l’opera di giustizia e verità; questa suprema e universale potestà, di legare e di sciogliere qui in terra, afferma, corrobora e rivendica quella dei Pastori delle Chiese particolari, in forza della quale essi hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di giudicare i propri sudditi» [Cf. QUI].

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Santa prisca aventino

Roma, Chiesa di Santa Prisca all’Aventino. Ingresso della sposa a spalle e schiena scoperta. Sempre con rinovati complimenti ai Frati Agostiniani ai quali è affidata questa chiesa ed a quelli del Vicariato di Roma.

In quel testo non parla Jorge Mario Bergoglio, ma Pietro che si esprime nel più alto esercizio di quella potestà che egli ha ricevuto da Cristo Dio in persona che ha conferito a lui il potere di «legare e sciogliere» [cf. Mt. 16,13-20]. 

Sull’Isola di Patmos chiunque può leggere uno dei miei ultimi articoli nei quali ho dato al Santo Padre una filiale carezza con la mano rivestita di carta vetrata [cf. QUI] per una questione riguardante faccende di carattere pastorale; un testo accompagnato da altri due articolo che a loro modo hanno rincarato la dose [cf. QUI, QUI]. In quel mio articolo ho espresso la mia perplessità a concedere ai sacerdoti validi ma illeciti della fraternità sacerdotale di San Pio X di amministrare confessioni; e ribadisco che in questo, il Santo Padre, a mio parere, forse è stato pastoralmente inopportuno. Poi semmai un giorno emergeranno tutte le ragioni altamente opportune di questa sua scelta, ed in tal caso io sarò il primo a chiedere perdono per avere formulato un giudizio che a posteriori potrebbe risultare del tutto errato, ammettendo senza esitazione di avere sbagliato. In attesa di questo seguiterò a dissentire ogni volta che il Santo Padre, in veste di mediatico papa piacione o ricoprendo il ruolo tele-giornalistico di Sua Simpatia anziché di Sua Santità, esordirà come dottore privato in modo estemporaneo, a braccio o tramite messaggi privati su questioni e faccende non legate a tematiche strettamente connesse alla dottrina della fede e alla disciplina dei Sacramenti. O per meglio ancòra chiarire: io seguiterò a rivendicare la libertà dei figli di Dio ed il legittimo esercizio di critica rivolta sempre con dovuta devozione anche al Sommo Pontefice, limitatamente a ciò che concerne tutte quelle questioni nelle quali non ricorrano i tre diversi gradi della infallibilità pontificia indicati nella lettera apostolica Ad tuendam fidem redatta in forma di motu proprio da San Giovanni Paolo II [vedere QUI].

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Se però io leggo sull’intestazione di un documento pontificio «motu proprio», prima ancòra di leggere quanto segue nel testo ne ho già accettati i contenuti senza condizioni e discussioni, memore che Pietro ha ricevuto da Cristo il potere di «legare e sciogliere»; ed io ho prestato devota e filiale obbedienza al Vescovo che mi ha consacrato nel sacro ordine sacerdotale a sua volta in piena comunione col Vescovo di Roma; non ho certo prestato obbedienza alle mie opinioni né al mio modo di vedere e di sentire; non ho prestato obbedienza alla mia superbia e alla mia arroganza. È in questo modo che come sacerdote del clero secolare sono stato formato ad agire e rapportarmi verso l’Autorità Ecclesiastica, a partire anzitutto dalla auctoritas del Supremo Pastore della Chiesa universale, il Successore di Pietro e Vicario di Cristo in terra, al quale il Verbo di Dio ha dato potere di «legare e sciogliere».

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Spose carmelitani

li boni Frati Carmelitani, per meglio pubblicizzare la loro redditizia fabbrichetta di matrimoni presso San Giovanni al Velabro, nel sito ufficiale della storica chiesa hanno inserito questa foto, tanto per invogliare le spose a entrare seminude [vedere QUI]

Non si capisce quindi da dove proverrebbe la mortal «ferita al matrimonio cristiano», a ben considerare che il motu proprio del Santo Padre Francesco parte dalla premessa della indissolubilità del matrimonio. Recita infatti il testo:

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«Nel volgere dei secoli la Chiesa in materia matrimoniale, acquisendo coscienza più chiara delle parole di Cristo, ha inteso ed esposto più approfonditamente la dottrina dell’indissolubilità del sacro vincolo del coniugio, ha elaborato il sistema delle nullità del consenso matrimoniale e ha disciplinato più adeguatamente il processo giudiziale in materia, di modo che la disciplina ecclesiastica fosse sempre più coerente con la verità di fede professata».

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Sposa chiesa San Andrea e Gregorio al Celio

Roma, Chiesa dei Santi Andrea e Gregorio al Celio. Una volta queste erano sottovesti da mettere sotto i vestiti, non abiti da indossare in chiesa. Con rinnovati complimenti ai membri della Fraternità Sacerdotale di San Carlo Borromeo ai quali è affidata questa chiesa ed a quelli del Vicariato di Roma

Con questo motu proprio il Santo Padre cerca di porre rimedio a delle incontrollate e purtroppo incontrollabili derive legate alla disciplina dei Sacramenti. Egli non può essere presente in ogni diocesi del mondo a controllare ciò che di nefasto seguitano a fare molti preti sotto gli occhi indifferenti di numerosi vescovi, che con una leggerezza che spazia tra l’accidia e lo spirito dei mercanti del tempio concedono matrimoni a chiunque come se il Sacramento fosse un “diritto” dinanzi al quale non si possa dire no. Perché questo è il vero problema pastorale che cercheremo adesso di analizzare; un problema serio, anzi primario, che spero sia analizzato a tempo e luogo dai Padri Vescovi al Sinodo sulla famiglia tutt’oggi in corso di svolgimento. Se infatti non ammetteremo con cristiana onestà che molti dei problemi legati al matrimonio ricadono sotto la diretta responsabilità di vescovi e presbìteri, vale a dire che a monte sono generati proprio da noi e dalla nostra scarsa, a volte pressoché assente vigilanza, a poco vale parlare di matrimonio e di famiglia nei Sinodi dei Vescovi.

E poi, siamo onesti: quante volte ho udito miei confratelli dopo la celebrazione dei matrimoni fare battute di questo genere in sacrestia: «Scommetto che tra un paio d’anni questi divorziano». E quando io, in tono di rimprovero, ho replicato: «E tu, perché, seppure consapevole che per questo matrimonio non ci sono le basi cristiane, hai accettato il loro consenso?». Bell’è pronta la risposta del prete: «E che cosa devo fare?».

Domando allora ai Padri sinodali: di questi problemi reali, intendete parlare al Sinodo sulla famiglia, cercando e sanando anzitutto i problemi e le colpe nostre, prima di perdervi nella disamina dei problemi e soprattutto nella più comoda e agevole ricerca delle colpe degli altri, o per meglio dire di coloro che poi, divorziati e risposati, pretendono seconde nozze “pulite” e accesso ai Sacramenti come se le une e gli altri fossero un diritto anziché un’azione di grazia?»

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I problemi pastorali non si risolvono tentando l’impossibile impresa del raddrizzamento di un albero cresciuto storto; si cerca di agire all’origine impedendo che l’albero piantato sulla riva del fiume possa crescere storto. Se quindi viene diagnosticato un tumore, non si può lasciare che si sviluppi, tentando poi interventi inutili dinanzi alle metastasi diffuse, perché a quel punto si può intervenire solo con cure palliative per cercare di alleviare il dolore al malato, ma non certo per salvargli la vita. Oppure si può intervenire ponendo il malato che rifiuta la malattia e la morte di fronte alla realtà e alla sua gravosa responsabilità: la salvezza della propria anima.

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sposi a san silvestro e martino ai monti

Chiesa di San Silvestro e Martino ai Monti, altra fabbrichetta di matrimoni de li boni frati Carmelitani

Durante le mie prediche nel deserto da anni vado dicendo che l’origine del problema è data dal fatto che il matrimonio sacramentale è concesso dai vescovi e dai loro preti con una leggerezza che grida vendetta al cospetto di Dio. Pertanto sarebbe necessario prevenire, anziché ritrovarsi poi a curare ciò che non sempre è curabile, il tutto per la superficialità con la quale a monte i sacerdoti amministrano certi Sacramenti.

Nel corso dei miei anni di sacro ministero, a quante coppie più o meno giovani ho rivolto la preghiera: «Non sposatevi in chiesa, perché mancate dei minimi requisiti richiesti per ricevere il Sacramento. Non sposatevi in Chiesa, perché non siete interessati alla vita cristiana, perché non accettate i principali fondamenti della nostra professione di fede». Ma le risposte sono sempre state: «Si, ammetto di non essere credente, ma lo faccio per lei  … è vero, siamo favorevoli all’aborto, all’eutanasia, al divorzio, sosteniamo la cultura del gender … però dobbiamo sposarci in chiesa per fare contenti i genitori, perché loro ci tengono a certe tradizioni … ».

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Sposi chiesa di San Pietro in Montorio al GIanicolo

Roma, Chiesa di San Pietro in Montorio al Gianicolo. Spalle e schiena scoperta e … rinnovati complimenti ai Frati Minori Francescani ai quali è affidata questa chiesa ed a quelli del Vicariato di Roma

Un trentenne al quale fu concesso di entrare in trionfo dentro una antica Chiesa cattedrale vestito in frac assieme a una sposa che pareva Lady Diana tra cascate di fiori, suoni d’organo e di violini, durante un colloquio privato avvenuto poche settimane prima alla presenza di undici persone nel corso di una cena in una casa privata, mi disse di non credere alla divinità di Cristo e tanto meno alla sua risurrezione fisica; che reputava cosa “infantile” credere che il pane e il vino potessero diventare realmente corpo e sangue di Cristo; che giudicava il Vangelo un bel libro di racconti leggendari e che fosse stato in suo potere avrebbe rinchiuso in galera il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana ― che all’epoca era il Cardinale Camillo Ruini ―, perché a suo dire cacciava il naso in faccende politiche che non riguardavano né lui né i vescovi italiani. Ovviamente informai di tutto questo il vescovo di quella diocesi, riferendogli anche che nel corso di questa cena la futura moglie era entrata nel tema dell’aborto per sostenere la piena legittimità della donna ad abortire, definendo l’aborto un «grande diritto acquisito» ed una «conquista sociale», ed a tal fine aveva portato la sua stessa esperienza, avendo ella stessa abortito a 19 anni, età nella quale ― disse ― «Non ero né pronta né tanto meno avevo voglia di avere un figlio in quel momento», ed affermò: «Tornassi indietro farei altrettanto». Informato del tutto, il vescovo di quella diocesi mi mandò, tramite un suo presbitero anziano, l’invito a essere «meno rigorista» perché «applicando le tue logiche avremmo forse dieci matrimoni l’anno in tutta la diocesi».

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sposi chiesa sant Alessio Aventino

Roma, Chiesa di Sant’Alessio all’Aventino. Ecco … questa sposa ha avuto il buon gusto di scoprirsi decolté spalle e schiena ma di coprirsi le mani con i guanti trasparenti. Con rinnovati complimenti ai Frati Domenicani ai quali è affidata questa basilica ed a quelli del Vicariato di Roma

Oggi questo Vescovo, alla luce del motu proprio Mitis iudex Dominus Jesus dovrà assumersi tutte le proprie responsabilità anche dinanzi a casi del genere, perché quando poi molti di questi matrimoni invalidi a monte naufragheranno, il buon pastore ed i suoi preti saranno posti dinanzi all’innegabile evidenza dei loro fallimenti, ed a loro spetterà metterci rimedio, a pena della salvezza o della dannazione eterna delle loro anime.

All’ateismo delle numerose coppie che si sposano in queste o in condizioni analoghe va aggiunto il ben peggiore ateismo di certi preti, soprattutto di quei preti preposti come parroci o rettori di chiese di prestigio storico e artistico che tirano molto per questi “matrimoni sceneggiata”. Nella Diocesi di Roma i peggiori mercatini sono gestiti da sacerdoti appartenenti alle varie famiglie religiose. Molti di questi sacerdoti si comportano di fatto come mercanti che previa riscossione anticipata della “parcella” non si fanno scrupolo ad essere i primi a far scempio del Sacramento: spose ammesse in chiesa mezze nude con spalle scoperte e seni mezzi di fuori, fotografi e cameraman che la fanno da padroni sul presbiterio, assemblee composte da amici e parenti totalmente disinteressati al sacro rito, non essendo per loro quello spazio un luogo sacro e ciò che all’interno si celebra un Sacramento, bensì un teatro suggestivo nel quale si recita una sceneggiata che serve solo per le foto ricordo o per il filmato … e davanti a tutto questo molti pii religiosi tacciono e incassano quanti più soldi possono per le loro provincie religiose, conservando spesso male le chiese storiche, dotate non di rado di sacrestie all’interno delle quali sono stipati paramenti sintetici, camici ingialliti e male odoranti, tovaglie per altare logore, suppellettili e vasi sacri ingiovabili e corrosi all’interno, perché la prassi tende a essere quella del “prendere” e al tempo stesso non investire un soldo in “manutenzione“.

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san Anselmo aventino

Roma, Badia Primaziale di Sant’Anselmo. In questo caso ogni commento su spalle, braccia e scollature è superfluo, perché dai benedettini di Sant’Anselmo tutto è permesso fuorché ciò che è cattolico. Con rinnovati complimenti all’Abate Primate della Confederazione Benedettina ed a quelli del Vicariato di Roma

Questi sono i problemi da risolvere a monte partendo dal principio che i Sacramenti sono azioni della grazia soprannaturale, non un diritto, non un mercato, non uno scempio profano e sacrilego. Pertanto dentro le Chiese per unirsi in matrimonio devono essere ammessi solo i credenti, consapevoli che durante la celebrazione del Sacrificio Eucaristico i due sposi si scambieranno il consenso dinanzi al sacerdote e all’assemblea del Popolo di Dio; e quel consenso è un sacramento eterno e indelebile, a meno che domani non sia riconosciuto che a causa di un grave vizio il Sacramento, anche se formalmente celebrato, mancava di uno o più requisiti tali da renderlo effettivamente valido.

Questi gravi problemi a monte, ai quali va aggiunta la mancata preparazione degli sposi, i corsi di preparazione al matrimonio ridotti a due o tre incontri fatti da certi parroci con persone che non entravano in chiesa dal giorno che avevano ricevuto la Cresima, non si risolvono solo proclamando lo snellimento della procedura giudiziale canonica, ma facendo veramente pastorale e soprattutto catechesi, riservando i Sacramenti di grazia ai credenti e non ai miscredenti che usano le nostre chiese storiche come teatri di posa per le loro sceneggiate. Certi problemi si risolvono dicendo: no, tu non puoi sposarti in Chiesa, perché non hai i requisiti richiesti per farlo, ed i requisiti richiesti sono l’integrale e incondizionata accettazione di quanto contenuto nella Professione di Fede Cattolica e la concreta dimostrazione di avere una volontà tesa perlomeno a provare a vivere una vita cristiana.

Nel corso del tempo mi è capitato di assistere nelle Chiese più blasonate di Roma ― tanto per prendere la Diocesi del Romano Pontefice ― a matrimoni durante i quali il prete all’altare parlava a si rispondeva da solo; con gli sposi che non sapevano replicare neppure “amen ”, che non conoscevano le risposte da dare durante il rito di offertorio, che non conoscevano neppure il Padre Nostro … Tutti questi problemi si risolvono con decisa e seria fermezza pastorale dicendo: no, tu in chiesa non ti sposi, perché per quanto battezzato, pur avendo ricevuto i Sacramenti della iniziazione cristiana, nei concreti fatti non sei cristiano, perché non cristiano è il tuo pensare e il tuo vivere; e come tale noi vescovi, noi preti, noi Chiesa ti rispettiamo pure, ma non venire però nella Casa di Dio a prendere in giro Cristo ed i suoi santi perché, tutto tirato a lucido, con accanto a te la tua donna totalmente scollacciata e più simile nell’abbigliamento ad una sgualdrina agghindata a festa che ad una sposa cristiana, dovete farvi un album fotografico od un filmato ricordo dentro una suggestiva chiesa del XVI secolo.

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sposa santa costanza 2

Roma, Basilica di Santa Costanza. Che genere di “rito sciamano” sta facendo il sacerdote in questa chiesa affidata ai Canonici Regolari Lateranesi con una sposa all’altare abbigliata in tal modo da sembrare essersi appena staccata dal palo della lap-dance di un night club? Va da sé: rinnovati complimenti a quelli del Vicariato di Roma ed in particolare ai responsabili dell’Ufficio Liturgico.

Per risolvere questi problemi difficili da gestire il Santo Padre ha scelto la giusta via di riconoscere ai Vescovi l’esercizio di una loro potestà, affinché dinanzi a certi danni prodotti provvedano poi loro a porci rimedio; e ad ogni rimedio che dovranno mettere in atto, sarà in qualche modo a loro chiaro il fallimento della loro pastorale, perché loro dovranno risolvere il problema senza più la possibilità di scaricarlo addosso ad altri.

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Il caro de Mattei riporta nel suo articolo una espressione del Cardinale Raymond Leonard Burke il quale ha affermato:

« […] esiste in proposito una catastrofica esperienza. Negli Stati Uniti, dal luglio 1971 al novembre 1983, entrarono in vigore le cosiddette Provisional Norms che eliminarono di fatto la obbligatorietà della doppia sentenza conforme. Il risultato fu che la Conferenza Episcopale non negò una sola richiesta di dispensa tra le centinaia di migliaia ricevute e nella percezione comune il processo iniziò ad essere chiamato “il divorzio cattolico” [Permanere nella Verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella Chiesa cattolica, Cantagalli, Siena 2014, pp. 222-223]».

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Roma, Basilica Santa Costanza … rinnovati complimenti a quelli del Vicariato di Roma

Il Cardinale Burke, come ex Presidente del Tribunale della Segnatura Apostolica dovrebbe essere informato del fatto che in quegli anni giunsero numerose istanze dagli Stati Uniti d’America alla Rota Romana da parte di persone che si erano viste negare la sentenza di nullità matrimoniale dai tribunali diocesani americani; basta fare una accurata e seria ricerca negli archivi. A parte questo, dinanzi a simile problema vero o parzialmente vero, rimane più che mai in piedi quanto in precedenza ho già affermato: mettere i Vescovi nella condizione di assumersi tutte le loro responsabilità senza più la possibilità di fare danni e scaricare i problemi e le soluzioni spesso anche difficili addosso ad altri.

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Vista infatti la oggettiva impossibilità di impedire a vescovi e preti di ridurre il matrimonio ad un redditizio mercatino de-sacralizzante e spesso veramente sacrilego, che allora si proceda a metterli nella condizione di assumersi tutta la responsabilità per i danni da loro stessi prodotti senza consentirgli di proseguire nella loro fallimentare pastorale matrimoniale.

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Chiesa di Santo Spirito in Sassia, collocata in Borgo Santo Spirito, dietro il Colonnato di Bernini, matrimonio del milionario Flavio Briatore ed Elisabetta Gregoraci

Quando infatti i vescovi dovranno risolvere giudizialmente certi problemi, a quel punto verrà fuori la leggerezza dei loro preti: catechesi in preparazione al matrimonio ridotte spesso a due o tre incontri-farsa nel corso dei quali molti parroci si limitano solo a dire quanti soldi versare alla chiesa e presso quale fiorista e fotografo devono rivolgersi, affinché certi parroci lucrino ulteriore gabella in percentuale; la incapacità dovuta a ignoranza o peggio non di rado a vero e proprio dolo attraverso il quale, i preti, dimostrano di non saper distinguere neppure i credenti dai non credenti. E il problema principale, che è quello dei non credenti che rivendicano il “diritto” al Sacramento, spesso è risolto con svariate centinaia di euro lasciate in offerta al prete per la celebrazione del matrimonio. Quando però domani i Vescovi di questi preti dovranno risolvere spiacevoli problemi di inaudita leggerezza accogliendo le istanze di coppie che anche a pochi mesi dalle nozze domandano il riconoscimento della nullità del loro matrimonio, saranno costretti a raccogliere con le loro stesse mani ciò che di nefasto hanno permesso che fosse seminato nel campo del Signore.

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Questo motu proprio del Sommo Pontefice è un atto mirato a responsabilizzare i vescovi di una Chiesa contemporanea nella quale tutti vogliono diventare cardinali, ma nessuno pare però disposto ad assumersi neppure una minima responsabilità. Ebbene, che i Vescovi comincino ad assumersi le responsabilità tutte quante proprie del loro ufficio apostolico. Cosa questa di cui ringraziamo, con venerazione e devozione, il Sommo Pontefice Francesco, per averli messi, giustappunto, nella condizione di prendersi le loro responsabilità.

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«Pecunia non olet»*

DIO BENEDICA I PRINCIPI DELLA CHIESA E PADRI DELLA FEDE

 

 

matrimonio 2

Cari lettori: chi di voi, vedendo questa foto, ha prestato attenzione allo splendido decolté della sposa e chi, invece, ha prestato attenzione al pregevole bastone pastorale dell’Arcivescovo titolare celebrante? Il Reverendo Firmatario di questo articolo, ammette di essere rimasto ammirato dal seno della sposa e di non avere prestato invece alcuna attenzione al bastone pastorale. Ma d’altronde, potevano un vip multimilionario e sposa desnuda, non essere uniti in matrimonio perlomeno da un Cardinale, per arricchire anche di questo “accessorio” la loro principesca cornice? E stendiamo un pietoso velo sulla offerta a svariati zeri che sarà sicuramente scivolata nelle tasche del vecchio Cardinale Paul Poupard, ovviamente a beneficio della sua pia fondazione … s’intende! Perché tutto procede sempre ad opera di Dio e per le opere di Dio, ovviamente!

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* «i soldi non puzzano», disse Vespasiano in risposta a dei membri del senato romano quando gli lanciarono contro delle monetine dopo che lui ebbe imposta la tassa sull’orina.

 

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Padre Tomas Tyn e il Lefebvrismo

PADRE TOMAS TYN E IL LEFEBVRISMO

 

I pochi teologi competenti, dotti, sapienti, equilibrati, coraggiosi e fedeli al Magistero sono facilmente emarginati, diffamati, ignorati o addirittura perseguitati da un potere modernistico o rahneriano ormai affermatosi negli ambienti accademici e dell’autorità ecclesiastica, sicchè è ormai operante un’inquisizione modernista altrettanto ed anche più occhiuta e dura di quella romana all’epoca di San Pio X e di Monsignor Umberto Benigni contro i modernisti di allora …

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

 

lupus et agnus

Ad rivum eundem Lupus et Agnus … [dalle favole di Fedro]

Ci diciamo spesso che abbiamo bisogno di buoni teologi, in una situazione come quella attuale, nella quale i danni maggiori alle anime e alla Chiesa sono causati proprio dai cattivi teologi. È però talmente forte, seducente ed insidioso l’influsso ed il potere di questi teologi, che anche il buon cattolico, che ama la verità e non desidera altro che seguire il Vangelo, la sana dottrina e il Magistero della Chiesa, trova difficoltà o è facilmente ingannato nella conoscenza dei giusti criteri di giudizio, di discernimento e di valutazione per saper riconoscere i teologi validi dagli impostori, dagli imbonitori e dai teologastri o, come direbbe Cristo, dai falsi profeti e dai lupi travestiti da agnelli [cf. ].

Benedetto XVI catechesi

il Sommo Pontefice Benedetto XVI durante una delle sue catechesi

Eppure, conoscere questi criteri non dovrebbe essere troppo difficile. Siccome tutti dobbiamo e possiamo salvarci, Dio, nei modi più diversi, non nega a nessun uomo di buona volontà la conoscenza della verità salvifica. Benedetto XVI ebbe a dire che, per distinguere i buoni dai cattivi teologi bisogna metterli a confronto col Catechismo, dove troviamo le verità fondamentali della fede. Infatti oggi gli errori di certi teologi sono talmente grossolani e madornali, che non si limitano come un tempo a sottili sofismi nati da disquisizioni di scuola, dove poi, tutto sommato, erano cose che capivano solo gli addetti al mestiere ed erano semplici opinioni di scuola, che non mettevano in discussione il dogma da tutti tranquillamente accettato, ma oggi gli errori intaccano tutte le verità fondamentali della fede, dagli attributi divini alla Santissima Trinità, ai dogmi della creazione, dell’esistenza degli angeli, della costituzione dell’uomo, del paradiso terrestre e del peccato originale, della grazia, della verginità di Maria, dell’Incarnazione, della Redenzione, della Resurrezione di Cristo, fino alla liturgia, alla morale naturale e soprannaturale, alla natura, origine e fini della Chiesa, all’escatologia, al valore dei miracoli e delle profezie, della stessa fede, della Tradizione, della Scrittura e del Magistero della Chiesa. Niente è risparmiato e tutto è messo in discussione, messo in dubbio o negato o falsificato.

Réginald Garrigou-Lagrange

una vignetta raffigurante il Padre Réginald Garrigou-Lagrange, OP

I pochi teologi competenti, dotti, sapienti, equilibrati, coraggiosi e fedeli al Magistero sono facilmente emarginati, diffamati, ignorati o addirittura perseguitati da un potere modernistico o rahneriano ormai affermatosi negli ambienti accademici e dell’autorità ecclesiastica, sicchè è ormai operante un’inquisizione modernista altrettanto ed anche più occhiuta e dura di quella romana all’epoca di San Pio X e di Monsignor Umberto Benigni contro i modernisti di allora, meno pericolosi di quelli di oggi, con la differenza che se un povero Padre Lagrange o Padre Juan Arintero o il Cardinale Andrea Carlo Ferrari erano sospettati ingiustamente di modernismo da parte degli ortodossi conservatori, oggi gli ortodossi, anche moderatamente progressisti, come i maritainiani, sono vessati e perseguitati da parte dei modernisti.

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il teologo domenicano Tomas Tyn

Al domenicano Tomas Tyn è toccata la stessa sorte. Docente negli anni Ottanta nello Studio Teologico domenicano bolognese, teologo dotto, zelante, coraggioso, generoso, tomista, fervente e fedelissimo al Magistero della Chiesa, metteva in guardia con molta energia e dovizia di argomentazioni contro gli errori serpeggianti sia nel campo dottrinale che in quello della morale: soprattutto modernisti, secolaristi, relativisti, comunisti, esistenzialisti, protestanti, idealisti e panteisti.

Padre Tomas sentiva un particolare interesse per i valori della tradizione cattolica, avvertiva la missione di ricordarli a coloro che li avessero dimenticati o trascurati, in quel clima di allora di scriteriato rifiuto del passato, che, come sappiamo bene, caratterizzò quegli anni agitati, rimasti nel nostro ricordo come periodo della “contestazione“, durante il quale, sotto pretesto del rinnovamento conciliare, molti stoltamente abbandonavano o mutavano valori sacri ed immutabili, che si sarebbero dovuti conservare. In quegli stessi anni, peraltro, a complicare le cose era sorto un movimento di cattolici per iniziativa di Monsignor Marcèl Lefèbvre, il quale riteneva a torto che le nuove dottrine del Concilio erano infette da modernismo, razionalismo, illuminismo, antropocentrismo, liberalismo ed indifferentismo. Il Concilio, quindi, secondo lui, aveva rotto con la Sacra Tradizione, proponendo novità dannose, che erano già state condannate dal Magistero preconciliare. La Chiesa aveva quindi, col Concilio, deviato dalla verità ed occorreva che vi facesse ritorno respingendo come false quelle dottrine. Tra le novità da lui condannate Lefèbvre poneva anche la Messa riformata promulgata da Paolo VI, sostenendo che l’unica Messa valida, la “Messa di sempre“, come la chiamano i lefebvriani, era quella precedente di San Pio V: per questo occorreva smettere subito con la nuova Messa e tornare all’antica.

Tomas Tyn 2

Tomas Tyn

Padre Tomas accolse con docilità la nuova Messa del Concilio, tanto che ogni giorno celebrava quella, sia in convento, sia alla domenica alla parrocchia bolognese di San Giacomo fuori le Mura, dove prestò servizio per 14 anni dal 1976 al 1989. Egli morì il 1°gennauo del 1990, ad appena 39 anni di età.

Egli non nascondeva la sua ammirazione per la Messa Tridentina, della quale esaltò la bellezza in una lunga lettera, che egli nel 1985 scrisse all’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il Cardinale Joseph Ratzinger, che ci compiacque di inviargli una significativa risposta, nella quale egli dichiarava il suo accordo [1]. Questo costituì certamente la condizione che permise a un certo punto, nel medesimo anno, al Cardinale Giacomo Biffi, Arcivescovo di Bologna, di far sì che il priore del convento bolognese chiedesse a Padre Tomas Tyn di celebrare settimanalmente in convento in forma privata la Messa Tridentina per un gruppo di fedeli, che in precedenza si erano rivolti al Cardinale, cosa che il Padre fece fino a che non lasciò Bologna nel 1989 colpito dalla malattia, che lo condusse alla morte.

Tomas Tyn

Tomas Tyn

Padre Tomas fu un tradizionalista, ma nel senso lodevole della parola, come attenzione preferenziale ai valori della tradizione, più che a quelli del nuovo o del progresso. Già la sua simpatia per la Messa Tridentina può farci congetturare una cosa del genere. Nulla aveva però da spartire col tradizionalismo lefebvriano, benchè alcuni, soprattutto dell’ambiente modernistico o spregiatore della tradizione, disinformati, per interesse o in mala fede lo abbiano scambiato per un lefebvriano.

Infatti in che consiste il lefebvrismo? Nella convinzione che col Concilio Vaticano II la Chiesa, infettata dal modernismo, ha insegnato, sotto pretesto di “pastoralità“, dottrine false su se stessa e dannose circa il rapporto col mondo moderno, venendo meno al suo compito di custode della sacra Tradizione. I lefevriani riconoscono la validità e legittimità del Concilio, ma, benchè di fatto emani delle dottrine, che essi rifiutano come false, lo considerano soltanto pastorale e, poiché nella pastorale la Chiesa non è infallibile, credono che insegni dottrine errate o che possono essere errate. I lefebvriani non vedono nel Concilio un testimone, ma un traditore della Tradizione. Essi non comprendono che il Concilio ha portato un progresso nella Tradizione, conformemente a quanto il Concilio stesso insegna sulla Tradizione, laddove dice che essa “progredisce” e “cresce” la conoscenza delle verità rivelate, che essa ci trasmette [2], contenute anche nella Sacra Scrittura, per cui essa è esplicitazione e complemento di quanto è contenuto nella Sacra Scrittura, entrambe, quasi a formare una sola cosa (“in unum coalescunt“), una sola Parola di Dio, fonti entrambe della divina Rivelazione custodita ed interpretata infallibilmente dal Magistero della Chiesa.

libro su tyn cavalcoli

il libro dedicato da Giovanni Cavalcoli a Tomas Tyn

Nulla di queste idee lefebvriane in Padre Tomas, che se, come ho detto, mostra una particolare attenzione per la Tradizione, non ha alcuna difficoltà a vederla confermata, continuata e progredita negli insegnamenti del Concilio e del seguente Magistero della Chiesa. Padre Tomas, al contrario dei lefebvriani che pretendono di trovare errori nelle dottrine del Concilio, non osa mai rivolgere alcuna critica alle dottrine del Concilio, ma ne fa solo le lodi, pur precisando che vanno dovutamente interpretate e mettendo in guardia dalle cattive interpretazioni o strumentalizzazioni operate dai modernisti.

Padre Tomas, forte della sua fede solidissima e teologicamente ferrata, si accorge benissimo con acuta lucidità e fine discernimento di tomista, reagendo con estrema tempestività ed energia ed una critica inesorabile, dell’indisciplina, delle imposture e delle deviazioni teologiche, che pullulano ai suoi tempi, le quali coprono slealmente i loro inganni con l’autorità del Concilio e si guarda bene dal lasciarsi gabbare dalla calunnia dei lefevriani, che vorrebbero trovare la causa di quelle deviazioni nello stesso Concilio.

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Tomas Tyn, in alto a destra, con un gruppo di confratelli nel convento di Bologna

Padre Tomas, con questa sua franchezza e parresia, col suo distribuire a piene mani l’acqua della sapienza e con la sua battaglia contro i falsari e i nemici della fede, «sasso d’inciampo» [Rm 9,33] e «pietra di scandalo» [I Pt 2,8], non poteva non creare attorno a sè due opposti schieramenti l’uno contro l’altro armato: da una parte, una folla di ammiratori e devoti, non solo credenti, ma anche semplici persone di buona volontà, che egli peraltro guidava ed aiutava con la sua carità sacerdotale ed alta prudenza pastorale, soprattutto tra i poveri e gli umili, ma anche in ogni ambiente sociale ― arrivava dappertutto con la intensissima attività apostolica ― ; e l’addensarsi progressivo delle nuvole temporalesche di coloro, soprattutto negli ambienti culturali di sinistra ma anche di destra, modernisti, farisei, massoni, comunisti, protestanti, carrieristi, opportunisti e via discorrendo, sempre più irritati per le sue parole di fuoco che pungevano nella loro coscienza. Ma la tempesta doveva scoppiare dopo la morte.

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Tomas Tyn

Un tema fondamentale della speculazione tyniana è quello della libertà [3], che dev’essere fondata sulla verità, regolata dalla legge morale, soprattutto della carità, libertà come padronanza della persona sui propri atti, libertà come principio di giustizia, libertà come primato della persona sul bene comune e quindi rifiuto di ogni totalitarismo di destra o di sinistra, ma anche e soprattutto, come direbbe Sant’Agostino, «libertà sotto la grazia».

In ciò potremmo fare un collegamento di Tyn col Padre Giorgio Callegari, domenicano di origine veneziana, che alla fine degli anni Sessanta in Brasile, insieme con altri, lottò e sofferse per la liberazione delle classi popolari da un regime tirannico, che ipocritamente si diceva cattolico e vedeva il comunismo nel solo fatto di lottare per la giustizia sociale.

giorgio callegari

il domenicano Giorgio Callegari

Padre Tomas conobbe invece il volto crudele e disumano del comunismo, sicchè anche lui lottò e sofferse per la libertà, e mentre Padre Callegari, calunniosamente accusato di essere comunista, lottava per il mutamento delle condizioni sociali, la lotta di Padre Tomas Tyn, scambiato per un fascista e un lefebvriano, fu quella di smascherare le radici hegeliane dei totalitarismi di destra e di sinistra, ultima propaggine di quell’immanentismo luterano che, dopo aver strappato il Vangelo alla Chiesa, ed averlo consegnato nelle mani dello Stato, poneva le basi per quella divinizzazione dello Stato, che nel secolo XX si sarebbe rivelata nel nazismo e nel comunismo.

Due domenicani uniti nel medesimo ideale della verità, della giustizia e della libertà, benchè così diversi per il reciproco contrasto dei climi sociali e storici nei quali vissero. Padre Tyn dev’essere liberato dall’etichetta di lefevriano impostagli dai modernisti, mentre Padre Callegari da quella di comunista appioppatagli dai ricchi. La fama di santità deve sempre aprirsi faticosamente la strada tra i malintesi, le calunnie e le menzogne che vorrebbero arrestare l’avanzata inarrestabile dei testimoni del Vangelo.

Tomas Tyn Marinella Montanari

Tomas Tyn in un disegno di Marinella Montanari

Successivamente nei primi anni del 2000, Dio ha concesso alla Chiesa un grande dono della sua grazia al fine di far risplendere ancora di più a beneficio di tutta la Chiesa, quella luce che Padre Tomas aveva già sparso durante la sua vita terrena tra coloro che egli aveva incontrato, familiari, fedeli della Chiesa di Bologna e di altri luoghi, confratelli, penitenti, amici e nemici, persone di ogni ceto e condizione, credenti e non credenti, specialmente sofferenti ed assetati di verità, di giustizia, di libertà e di santità.

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la tomba di Tomas Tyn

Così i Domenicani Cechi, agli inizi del 2000, si fecero promotori della Causa di Beatificazione di Padre Tyn, non solo per la sua fama di santità colà giunta, ma anche, e fu la cosa decisiva, per la sopraggiunta notizia o scoperta del voto che egli aveva fatto al momento della sua ordinazione sacerdotale nel 1975 e da lui tenuto segreto, di offrire la sua vita sotto la protezione della Madonna per la liberazione della sua patria dall’oppressione comunista. Ora, Dio volle che Padre Tomas morisse proprio il 1°gennaio del 1990, al termine di una breve e dolorosissima malattia, allorchè il presidente della Repubblica, Vaclav Havel, inaugurò nell’esultanza dell’intera nazione, il nuovo governo. In quell’occasione, venendosi ormai pubblicamente a sapere del voto di Padre Tomas, egli fu subito innalzato al rango di eroe nazionale, tanto che quella stessa Televisione di Stato che fino a pochi mesi prima era organo del partito comunista, esaltò l’eroica testimonianza di Padre Tyn.

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il Servo di Dio Tomas Tyn e la sua immagine scelta dall’ufficio della postulazione per la causa di beatificazione

Il pensiero del Servo di Dio si può qualificare innanzitutto come genuinamente, schiettamente e totalmente cattolico e più precisamente tomista, data la sua assoluta adesione alla dottrina della fede, interpretata, insegnata e custodita dal Magistero della Chiesa. In tal modo, come spesso ribadisce il suo studioso Gianni Battisti [4], è possibile trovare nel pensiero di Tyn che cosa significa esattamente quell’essere cattolico, così come è definito dalla Chiesa Cattolica [5], nome che oggi è equivocato, strumentalizzato, falsificato e bistrattato in mille modi col creare un’enorme confusione, danno alle anime e discredito al nome cattolico, col quale si fa passare ogni tipo di impostura e di eresia. Ma nulla impedisce che, volendo ulteriormente precisare questo cattolicesimo di Tyn, esso possa essere qualificato come “tradizionalista“. E’ però su questo punto che sono sorti e si sono accaniti i più odiosi, ostinati e nefasti equivoci e malignità sul conto del teologo, dato che alcuni cattolici, legati al lefevrismo, hanno tentato, benchè invano, di fare di Padre Tomas uno dei loro; mentre altri, di orientamento modernista e sono la maggioranza, oltre a disporre nella Chiesa di un forte potere, tentano di screditare Padre Tomas presentandolo o facendolo passare appunto come lefevriano o filolefevriano. Ma l’operazione disonesta di questi ultimi consiste nel fatto che essi condannano in blocco come “tradizionalista” chiunque non è modernista o “progressista“, come essi, per darsi una patente di legittimità, si autoproclamano, confondendo in un unico appellativo disonorevole il tradizionalismo legittimo, come è appunto quello di Tyn, col tradizionalismo scismatico dei lefevriani.

caffarra e Cavalcoli

a sinistra il Cardinale Carlo Caffarra, al centro Giovanni Cavalcoli presso il Convento San Domenico di Bologna in occasione della apertura della causa di beatificazione di Tomas Tyn

Nonostante i reiterati tentativi dei testimoni e degli attori del processo di beatificazione aperto nel 2006 a Bologna dal Cardinale Carlo Caffarra, di strappare queste erbe velenose, esse hanno allignato tra la gente e i fedeli, fino al punto da porre ostacolo al proseguire del processo, la cui fase diocesana era quasi terminata, per cui il materiale testimoniale era quasi pronto per essere inviato a Roma presso la Congregazione per le Cause dei Santi al fine di condurlo a termine. Così, appare urgente un intervento delle autorità competenti e di tutti i devoti del Servo di Dio per dare alla Causa un nuovo impulso, considerando che la sublime dottrina e il fulgido esempio di Padre Tyn, per il loro equilibrio, il coraggio e la sapienza, potrebbero svolgere un ruolo preziosissimo nella diffusione della verità, nella confutazione degli errori, nella promozione dei buoni costumi nei singoli e nella società, nel favorire la giustizia e la comunione ecclesiali e nel far opera di pace, col conciliare i partiti avversi, di destra e di sinistra, che oggi, con la loro fanatica presunzione ed intransigenza, stanno straziando la Chiesa e la paralizzano nel suo compito di evangelizzazione del mondo.

il Cardinale Carlo Caffarra durante l’apertura del processo di beatificazione di Tomas Tyn

La cosa sommamente auspicabile è pertanto che la Causa di Tyn possa progredire per un coraggioso e deciso intervento dei suoi sostenitori, dei devoti, dei discepoli e degli studiosi di Padre Tyn, sparsi in Italia, in Repubblica Ceca e nel mondo, dalla Germania, alla Francia, alla Spagna, agli Stati Uniti, all’Austria, alla Svizzera, alle Filippine, all’Ungheria, alla Slovenia, al Messico, al Brasile, all’Argentina, all’Albania, a Malta. Questa contrapposizione di forze è uno dei segni più macroscopici del guaio più grave della Chiesa di oggi, ossia l’assolutizzazione e l’ideologizzazione dei due partiti opposti dei lefevriani e dei modernisti, che, arrogatisi al posto del Papa la funzione di censori della Chiesa, si condannano e si escludono a vicenda, come se si trattasse di separare gli empi dai giusti. Non c’è dubbio che queste categorie hanno valore, essendo usate dalla Bibbia stessa, la quale però non li usa assolutamente in quel senso meschinamente fazioso, ma solo in relazione all’obbedienza o alla disobbedienza a Dio, dove nei singoli casi è prudente astenersi dal giudicare. Ma il guaio che ci affligge è la stoltezza con la quale queste categorie vengono usate da questi due partiti, che le riducono alla loro visione parziale, unilaterale e faziosa. Tali categorie hanno senso solo in relazione a chi serve Dio e a chi Lo odia; cosa non facile da giudicare nei singoli casi. Da qui la stoltezza e la temerarietà di usarle solo in riferimento al proprio partito, oltre a ciò inficiato da idee sbagliate ed eterodosse.

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Tomas Tyn

Il cattolico come tale, come pose bene in luce Antonio Livi nell’Isola di Patmos [vedere QUI], non è nè progressista nè tradizionalista, ma semplicemente cattolico senza aggettivi; è al di sopra dei partiti. “Cattolico” vuol dire “universale”: che cattolico sarebbe uno che è parziale? Salvo che non si tratti di specificazioni che non c’entrano con le verità di fede, ma aggiungono al cattolico qualcosa di accidentale, come sarebbe per esempio distinguere il cattolico francese da quello italiano o il cattolico giovane da quello adulto. Ridurre invece, come fanno lefevriani e modernisti, l’essere cattolico alle ristrette dimensioni della loro corrente, è offendere la sacralità e l’universalità del nome cattolico. Nessun problema qualificarsi come tradizionalista o progressista: è cosa del tutto lecita e normale, a patto però che ciò avvenga entro l’alveo dell’ortodossia e della comunione con la Chiesa e il Sommo Pontefice, come espressioni accidentali, modali e contingenti di legittimi diversi modi di vivere il proprio cattolicesimo, nel rispetto e nella collaborazione con la tendenza opposta, dato che di per sè l’una e l’altra sono fatte per integrarsi reciprocamente ed assieme servire la Chiesa.

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Tomas Tyn

Un’altra cosa da notare. I contenuti della teologia vanno soggetti nella storia ad un continuo approfondimento e chiarimento, grazie alle ricerche del teologo. Per questo esiste una teologia tradizionale, che esprime e commenta i dati già acquisiti, per esempio dei grandi maestri come Tommaso d’Aquino; ed una teologia nuova o innovatrice, che presenta i risultati delle indagini più recenti, spesso solo opinabili o ipotetici, quindi discutibili, e che possono anche essere errati. Il teologo, in linea di principio, ha questo duplice compito: commentare i dati tradizionali, già acquisiti, magari esponendoli con un linguaggio moderno; e dedicarsi alla ricerca o alla formulazione di nuove teorie o interpretazioni, naturalmente sulla solida base di quelle già acquisite. Il teologo più interessato al progresso, potrebbe esser chiamato “progressista“, ma che niente però ha a che vedere con “modernista“, che è un falso modo far progredire ed ammodernare la teologia.

Tomas Tyn bambino

immagine di Tomas Tyn bambino

Padre Tomas preferì dedicarsi all’esposizione delle dottrine tradizionali, senza che per questo egli disprezzasse affatto le nuove, che si presentavano come sviluppo o esplicitazioni delle dottrine del Concilio. Ad esse infatti prestava attenzione e non ha mancato egli stesso di dare nuovi contributi per esempio al progresso della metafisica o alla dottrina della grazia e della libertà in rapporto alla psicologia. Ad ogni modo e in nel senso suddetto può essere qualificato come teologo tradizionalista qualifica, della quale egli era consapevole e della quale si vantava.

Rivisitare con Padre Tyn i contenuti della Tradizione, così come ci sono lasciati ed emergono dal Magistero della Chiesa, a cominciare dalla tradizione apostolica sino al Magistero di Papa Francesco, è un esercizio salutare di ortodossia cattolica, che corregge il concetto lefevriano di tradizione, bloccato all’epoca del Concilio, mostrando come il progresso postconciliare nella conoscenza della Parola di Dio, sotto la guida della Chiesa, è l’esperienza più autentica oggi della Sacra Tradizione.

Varazze, 7 settembre 2015

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NOTE

[1] La corrispondenza tra Padre Tyn e il Cardinale è pubblicata nel mio libro Padre Tomas Tyn. Un tradizionalista postconciliare, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2007.
[2] Cost.Dogm. Dei Verbum, n.8.
[3] Cf. L’antologia di suoi scritti sulla libertà in La liberazione della libertà, a cura di G.Cavalcoli, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2008.
[4] Cf Prestazione a T.Tyn, La Forza della verità. Lezioni di teologia, Diffusione Editoriale Umbilicus Italiae, Rieti 2012.
[5] Vedi il Catechismo della Chiesa Cattolica.

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Conferenza di Padre Tomas Tyn “La virtù della religione

 

 

Da “imago Dei” ad “imago net”. La prossima volta il Santo Padre acquisterà zucchine in Campo dei Fiori?

DA IMAGO DEI  AD IMAGO NET.  LA PROSSIMA VOLTA IL SANTO PADRE ACQUISTERÀ ZUCCHINE IN CAMPO DEI FIORI?

 

L’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio ha voluto ribellarsi a Lui facendosi egli stesso dio, ed oggi, invece di inginocchiarsi davanti al proprio Creatore, si inginocchia non più neppure davanti agli idoli, ma si prostra direttamente a terra davanti alle fotocamere digitali, rinunciando totalmente a vivere il presente ed a proiettarsi in una prospettiva futura, come se dal linguaggio filosofico e teologico del nostro agonizzante mondo fosse sparita la parola escatologia, per lasciare spazio a tutt’altri quesiti e scopi: … e domani, che cosa m’invento, per stupire ancora? Oppure: oggi ho dato la dose quotidiana ai mass-media andando dall’ottico, ma domani sarò costretto ad umentare la dose. Se quindi facessi un salto al mercato della frutta in Campo dei Fiori a comprare due zucchine sotto la statua di quel “sant’uomo” di Giordano Bruno?

 

Autore Jorge A. Facio Lince

Autore
Jorge A. Facio Lince

imago dei

… mai come oggi l’uomo è stato impegnato a deturpare il proprio essere creatura creata a immagine somiglianza di Dio

L’espressione di Sant’Agostino imago Dei o imaginem Dei [II sent. d.16 a.1, q.1], oggi dovrebbe essere oggetto di riflessioni approfondite, visto il sovvertimento sociale in corso che sembra averla mutata ormai in imago net. Per questo mi risuona nelle orecchie una celebre espressione di San Tommaso d’Aquino: agere sequitur esse [l’agire segue l’essere], principio che sta a fondamento dell’etica tomista. Per San Tommaso, dall’essere discende di necessità il dover-essere. Ciò che infatti esiste ha una propria natura ontologica che condizionerà l’agire dello stesso ente, nel caso dell’uomo l’agire morale. L’uomo, in quanto creatura creata da Dio e quindi creatura di Dio non si limiterà a possedere la caratteristica ontologica di semplice creatura, perché sarà tenuto ad avere anche un comportamento morale consono e a suo modo conseguente al dover-essere che lo porterà ad aspirare alla perfezione ultra terrena. Per San Tommaso l’essere vuol dire atto di essere [esse ab actu essendi] ossia azione, attualità. Nell’ottica tomista ogni cosa esiste per mettere in atto azioni, ed in questo modo l’essere coincide con l’azione nel suo compimento finale.

Valeria Lukyanova barbie

Il futuro che ci attende? la modella Valeria Lukyanova fotografata con la bambola Barbie, alla quale è giunta a somigliare …

In questi giorni si compiono circa dieci anni da quando la modella ucraina Valeria Lukyanova è divenuta famosa in tutto il mondo per la sua somiglianza naturale o creata artificialmente con la celebre bambola Barbie. Per molti di coloro che come me sono cresciuti guardando la pubblicità di questo giocattolo e vedendo le bambine giocare con questa famosa bambola, è sempre stato vivo il quesito di come sarebbe questa bambola se fosse una persona reale.

La prima impressione che abbiamo vedendo le immagini di questa donna è: «Ma è vera?». E ancòra: «Come ha fatto … è tutto frutto della magia del computer?». Poi, dopo la prima impressione, comincia a prendere campo un giudizio negativo dato dal fatto che si tratta di una persona totalmente falsificata, o come si è oggi soliti dire: tutta rifatta. In altri potrebbe invece sorgere un senso di compiacimento nel vedere realizzato in carne e ossa un giocattolo col quale si è cresciuti. Nell’uno e nell’altro caso la curiosità spinge quasi morbosamente a cercare più immagini e dati della modella che suscita tutta una serie di emozioni e reazioni a catena nel mondo del cyberspazio che l’ha resa famosa.

Valeria Lukyanova in costume

Il futuro che ci attende? La modella Valeria Lukyanova posa in costume da bagno al mare con il suo corpo  trasformato nella bambola Barbie

Se la fama di questa modella fosse frutto di una campagna pubblicitaria della stessa Compagnia Mattel avrebbe un senso, soprattutto considerando che oggi più che mai nel mondo della pubblicità come in quello della moda gli slogan si reggono anche sulle componenti della aggressività, della trasgressività, dello sconvolgimento o del totale capovolgimento del dato reale. Perché questo è il pianeta nel quale è nata e si è accresciuta la fama di questa modella attraverso scatti fotografici e video filmati che hanno fatto il giro del mondo attraverso le reti sociali [vedere QUI, QUI, QUI]. E oggi i social network sono diventati molto più di una parte fondamentale della comunicazione dell’uomo, in particolare delle nuove generazioni; per molti sono infatti l’unica forma di espressione.

Mai come prima, chi è in possesso di un computer, di un Table o smartphone ha la possibilità di trovare tutto quanto gli serve in materia di informazione; ed ha pure la possibilità di esprimere i propri giudizi verso qualsiasi cosa. Il progresso tecnologico è talmente elevato che ormai non abbiamo bisogno di argomentare le nostre scelte, perché con un semplice “mi piace” su Facebook ed un tweet su Twitter tutto è fatto. Possiamo quindi trascorrere il tempo a commentare tutto e il suo esatto contrario con un pollice in giù o in su, con un cuoricino o una emoticon.

I mezzi telematici — che potrebbero essere un mezzo straordinario di comunicazione e di diffusione della conoscenza e della cultura, ma anche della pastorale — sono divenuti invece degli strumenti di autentico annichilimento, a volte delle ghigliottine, dei mondi paralleli che si antepongono in modo distruttivo al reale; un “reale” ormai ridotto all’immediato, come se non ci fosse mai stato un “prima” e non ci fosse un “dopo”. Mondi retti interamente su delle istantanee che richiedono un aggiornamento continuo sia da parte di chi vuole essere al centro dell’attenzione sia da parte di chi vuole essere al corrente in ogni istante della sua giornata. Dopodiché comincia una nuova giornata, nella quale non si ha neppure ricordo della giornata precedente e non si tiene in alcuna considerazione la giornata futura che a breve seguirà e nella quale sarà necessario “alzare il tiro” della sorpresa e quindi dello stupore. In uno dei nostri quotidiani colloqui privati il Padre Ariel S. Levi di Gualdo mi disse tempo fa che «la storia procede così velocemente attraverso i suoi criteri sempre più anti-storici che a volte si ha quasi l’impressione di non averla mia vissuta, non avendo ormai più il tempo materiale per elaborarla, ma quel che è peggio: di viverla».

jorge affogamento

il nuovo popolo …

Questo aggiornamento immediato è diventato un archetipo di condotta in tutti i sensi, non solo nel mondo virtuale, perché esso si sta sempre più imponendo nelle sfere più disparate: nel politico come nel religioso e nel pastorale. Lo scopo pare essere quello di diventare “famoso” o di avere un ruolo e un gruppo di persone che ti seguono, trovando in tal modo la ragione stessa del proprio essere, lo scopo del proprio vivere ed esistere.

Le reti sociali non sono solo le platee di auto-esposizione, ma anche le corti di assise che formulano giudizi seguendo la “legge” dettata dalle statistiche del successo o dell’insuccesso personale; una trappola nella quale cadono anche i nostri Pastori che paiono a volte più preoccupati di piacere al mondo che a Gesù Cristo, il tutto con un aggravante: il mondo al quale desiderano piacere non ha corpo e non ha anima, è un mondo reso tale e quale è proprio perché privo di Gesù Cristo.

Il mondo virtuale produce inevitabilmente una realtà virtuale

Ogni soggetto che entra in questo circolo virtuale è costretto prima o poi ad assumere precise e variabili forme di comportamento e di espressione che tendono di per sé a mutare, perché la permanenza nel successo si regge sul principio dell’aggiornamento continuo; è quindi necessario offrire elementi di “stupore” sempre più alti ed a dosi sempre più massicce. Proprio come la modella ucraina che si è sottoposta ad un processo di continua mutazione e che a questo punto potrebbe essere chiamata la “nuova Eva”, o il prototipo del nuovo mondo futuro che non sta affatto arrivando, ma che si è già impossessato del reale tramite la forma virtuale.

Questo aggiornamento istantaneo non solo coinvolge il mondo dello spettacolo – che ormai non è solo il cinema, il mondo del costume o dalla televisione –, perché, come dicevo prima, esso condiziona tutti gli ambiti sociali, politici, scientifici e religiosi. Inutile dire quali pericoli questo può comportare: non solo la perdita dei valori e delle leggi che per l’intero corso della storia hanno retto le civiltà; non solo per la perdita di una concezione della vita, del tempo e delle stesse relazioni con gli altri, perché questa via porta ad un conseguente e totale svuotamento dell’uomo nel suo agire, nel suo essere e nel suo stesso ruolo umano di creatura creata a immagine e somiglianza del Dio vivente [cf. Gen. 1, 26-27].

jorge mi piace

la nuova schiavitù del «like», mi piace …

L’aggiornamento istantaneo ― che è la negazione della teologia del corpo di San Paolo Apostolo [Cf. Col. 1,18] e del cristiano che diventa immagine viva di Cristo [Cf. Rm 8,28; I Cor. 15,49; ] ― impone di accontentare sempre un mondo lontano che di rigore è senza corpo e senza capo, reso anonimo e nascosto dietro a una schermata sulla quale vengono proclamati simboli di piacimento o di non gradimento destinati a fare numero. Infine sarà indicato con un clik che cosa fare per meglio piacere, generando in tal modo il pericolo che siano presto imposte idee sbagliate a tutto campo, ma soprattutto che finisca con l’essere imposto uno stile che porterà gli uomini del vicino futuro ― in qualsiasi ruolo sociale, politico o religioso essi si trovino ― ad una drammatica scelta obbligata: essere simili ai loro predecessori, oppure superare quel limite imposto grazie al quale oggi non si è più neppure in grado di distinguere il ridicolo dall’inverosimile?

Questo il vero e ultimo capovolgimento di Dio, della sostanza reale e dell’uomo; un capovolgimento che blocca tutto in una istantanea temporale che non dura più tempo di quello dello scatto del flash delle fotocamere. Oggi, un Pilato fantasma senza corpo e anima, parlando da un luogo imprecisato della rete telematica a una massa senza capo e senza coda avrebbe finito col porre lo stesso quesito: «Chi volete che vi liberi, Barabba o Gesù detto Cristo?» [cf. Mt. 27,16-26]. Lascio ai lettori valutare la risposta che in tale caso finirebbe con l’essere urlata “democraticamente” dal cyberspazio ...

3 settembre 2015, il Santo Padre Francesco fa un’improvvisata in un negozio di ottica per cambiare le lenti agli occhiali

L’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio ha voluto ribellarsi a Lui facendosi egli stesso dio, ed oggi, invece di inginocchiarsi davanti al proprio Creatore, si inginocchia non più neppure davanti agli idoli, ma si prostra direttamente a terra davanti alle fotocamere digitali, rinunciando totalmente a vivere il presente ed a proiettarsi in una prospettiva futura, come se dal linguaggio filosofico e teologico del nostro agonizzante mondo fosse sparita la parola escatologia, per lasciare spazio a tutt’altri quesiti e scopi: … e domani che cosa m’invento per stupire ancora? Oppure: oggi ho dato la quotidiana dose di stupore ai mass-media andando dall’ottico a cambiare le lenti, ma domani sarò costretto ad aumentare la dose; se quindi facessi un salto al mercato della frutta in Campo dei Fiori a comprare due zucchine sotto la statua di quel “sant’uomo” di Giordano Bruno?

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TV2000 sta forse già tastando il terreno al mercato della frutta in Campo dei Fiori?

Domenico Giani, angelo custode di “Papa Cecco” visto da una “divota vecchiaccia toscana”

DOMENICO GIANI, ANGELO CUSTODE DI PAPA CECCO VISTO DA UNA DIVOTA VECCHIACCIA TOSCANA

 

Domenico Giani è dal 2006 capo dei servizi di sicurezza della Città del Vaticano. Cinquantenne, toscano nato nella bella Arezzo e con una notevole carriera alle spalle nella Polizia di Stato e nei servizi di sicurezza della Repubblica Italiana [vedere QUI, QUI, QUI, QUI]. Dal marzo 2013 è forse uno degli uomini meno invidiati al mondo. Pochi, in questo momento vorrebbero trovarsi al posto suo a gestire la sicurezza del Santo Padre in situazioni a volte ingestibili. Una mamma di Arezzo che potrebbe essere madre del comandante Giani, con trasporto materno ha voluto indirizzargli questa lettera in vernacolo toscano — o meglio in vernacolo aretino/chianaiolo — affidandola alla nostra Ipazia gatta romana per la pubblicazione sull’Isola di Patmos. Anche se non si tratta di un testo di carattere filosofico e teologico secondo l’usuale taglio della nostra rivista telematica, lo pubblichiamo ugualmente con un sorriso, non essendo questa lettera affatto priva di cristiano e materno buon senso.

 

Ipazia gatta romana

Autore                 Ipazia gatta romana

 

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In che misura un Pontefice che non ascolta nessuno fuorché se stesso potrebbe cadere in errore?

IN CHE MISURA UN PONTEFICE CHE NON ASCOLTA NESSUNO FUORCHÈ SE STESSO POTREBBE CADERE IN ERRORE?

 

L’affermazione del Santo Padre: «ho deciso, nonostante qualsiasi cosa in contrario» dovrebbe rallegrare molto i vescovi, che lungi dall’essere interpellati, possono avere in tal modo un meritato saggio di quello che è il reale concetto di “collegialità” del Principe degli Apostoli e Capo del Collegio Apostolico, casomai qualcuno di loro intendesse manifestare contrarietà, perché ogni Collegio Apostolico finisce sempre con l’avere per ineffabile grazia dello Spirito Santo il Capo che si merita.

 

 

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

Il presbitero Ariel S. Levi di Gualdo in modo aggressivo, il domenicano Giovanni Cavalcoli in modo più mitigato, hanno scritto parole durissime contro i lefebvriani. Oggi Papa Francesco ha affermato: «[…] ho deciso, nonostante qualsiasi cosa in contrario, di concedere a tutti i sacerdoti per l’Anno Giubilare la facoltà di assolvere dal peccato di aborto quanti lo hanno procurato e pentiti di cuore ne chiedono il perdono […] Nel frattempo, mosso dall’esigenza di corrispondere al bene di questi fedeli, per mia propria disposizione stabilisco che quanti durante l’Anno Santo della Misericordia si accosteranno per celebrare il Sacramento della Riconciliazione presso i sacerdoti della Fraternità San Pio X, riceveranno validamente e lecitamente l’assoluzione dei loro peccati» [cf. documento QUI]. Non sarebbe il caso di chiedere scusa da parte vostra per tutto quello che avete scritto in passato contro la Fraternità Sacerdotale di San Pio X?

Alessio Maffei

Caro Lettore

padre pio

San Pio da Pietrelcina dentro il confessionale a San Giovanni Rotondo

Anzitutto le rispondo che io chiederò scusa agli eretici lefebvriani ― che tali di fatto sono e restano ― quando me lo imporrà il mio Ordinario Diocesano e dopo che il Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede o chi per lui facente le veci mi avrà indicato a uno a uno gli errori dottrinari, canonici e pastorali nei quali sono incorso in quei miei scritti passati tutti quanti reperibili nell’archivio dell’Isola di Patmos; scritti che al presente confermo nella loro sostanza sul piano dogmatico e canonico dal primo all’ultimo.

L’affermazione del Santo Padre: «ho deciso, nonostante qualsiasi cosa in contrario» dovrebbe rallegrare molto i vescovi, che lungi dall’essere interpellati possono avere in tal modo un meritato saggio di quello che è il reale concetto di “collegialità” del Principe degli Apostoli, nel caso qualcuno di loro intendesse manifestare legittima perplessità, perché ogni Collegio Apostolico finisce sempre con l’avere per ineffabile grazia dello Spirito Santo il Capo che si merita, visto che tra le righe — e neppure tanto tra le righe — il Santo Padre ha detto a tutti loro: “Io faccio quel che voglio e come voglio, a prescindere da ciò che potete pensare voi”. E questo al contrario del suo troppo mite Sommo Precedessore messo in croce per anni anche dalle peggiori critiche dei vescovi, per non parlare di quelle dei teologi o di quelle a tratti furenti di quella autentica piaga ecclesiale tali sono le teologhe femministe. È per ciò doveroso ricordare che Benedetto XVI procedette alla remissione della scomunica in cui incorsero i vescovi consacranti ed i vescovi consacrati senza mandato pontificio nel giugno del 1988, solo «dopo una vasta consultazione», come riferisce nel 2009 il Cardinale Darío Castrillón Hoyos all’epoca addetto ai lavori [vedere QUI].

A cavallo tra il XVII e il XVIII secolo regnò in Francia Luigi XIV [1643-1715], noto anche come Re Sole. Salì al trono alla tenera età di cinque anni sotto la reggenza della madre Anna d’Austria. All’età di 13 anni, nel 1651, fu dichiarato maggiorenne e quindi in grado di governare, anche se il governo proseguì a essere esercitato dal Cardinale Giulio Mazzarino [1602-1661], alla morte naturale del quale egli assunse i pieni poteri regi. Il suo governo fu improntato sul cosiddetto assolutismo, imitato presto dalla gran parte dei sovrani europei. A Luigi XIV è attribuita la dubbia frase l’etat c’est moi [lo stato sono io] variamente riportata e diffusa da vari autori anche come la lois c’est moi [la legge sono io].

Sinceramente credo che il Santo Padre Francesco è così umile che mai si comporterebbe come se “La Chiesa sono io” o come se “la Legge sono io”. Il Santo Padre Francesco è infatti talmente aperto a tutto, incluso ciò che non è cattolico, ed è talmente «liberale» o «rivoluzionario» ― per usare due impropri termini rasenti l’ingiuria alla Persona del Romano Pontefice usati da quella passionaria argentina di Elisabetta Piqué [1] e da una stampa internazionale che non ha proprio chiaro il ruolo del Successore di Pietro ― che mai si comporterebbe in modo arbitrario e impulsivo; mai si comporterebbe come se la Chiesa fosse sua o come se lui potesse andare tranquillamente al di là delle leggi ecclesiastiche, sino a modellarsi una Chiesa ad personam.

Non a caso, fino a pochi decenni fa il Romano Pontefice parlava usando il “Noi “, o cosiddetto plurale maiestatis, il quale non aveva proprio nulla di ridondante o di imperiale ma molto invece di teologico e di pastorale, lo dimostra il fatto che una volta tolto il “Noi ” è subentrato inevitabilmente l’ “Io“, sino alle forme più esasperate ed esasperanti di personalizzazione del pontificato. Non più quindi il “Noi ” che rende impersonale il sacro ministero petrino ricordando anzitutto a Pietro che egli è appunto Pietro e non più Simone, ma l’ “Io ” che invece personalizza il papato e che può correre il rischio di rendere Pietro ostaggio dei capricci di Simone.

Senza pena di equivoco chiarisco: essendo il Romano Pontefice rivestito di un potere che a lui perviene da Cristo Dio e non certo dal Popolo Sovrano o dal Parlamento Democratico dei Cardinali che lo ha eletto, egli ha legittima e piena facoltà di dire di “no” anche a proposte, direttive o riforme approvate all’unanimità da un concilio ecumenico, perché nulla potrebbe mai divenire dottrina o legge vincolante della Chiesa senza la sua approvazione. Quando infatti nei concili ecumenici o nei sinodi dei vescovi si vota, ciò avviene affinché Pietro abbia chiaro quello che è il pensiero del Collegio degli Apostoli, ma poi, chi in ultima istanza decide è lui; e le sue decisioni non sono prese a maggioranza dei voti parlamentari ma dalla grazia di stato del Successore del Principe degli Apostoli [2] che agisce e che dovrebbe sempre agire in quanto “Noi ” e non certo in quanto “Io “.

Per quanto riguarda la legge: il Romano Pontefice ha potestà piena e immediata su tutta la Chiesa. Egli è il supremo legislatore e come tale ha legittima facoltà di abolire, cambiare, riformulare diversamente o derogati i canoni del Codice di Diritto Canonico in qualsiasi momento lo voglia [3]. Cosa questa che avviene solitamente attraverso decreti, bolle pontificie, o comunque precisi atti del suo sommo magistero, non attraverso interviste, discorsi a braccio o messaggi privati, perché il Romano Pontefice, custode supremo del deposito della fede è anche supremo maestro, ed un maestro è tale nella misura in cui spiega e rende comprensibili le sue spiegazioni attraverso il pio insegnamento improntato sulla prudenza e la sapienza. E qui merita ricordare che la prudenza è la prima delle quattro virtù cardinali [4], la sapienza è il primo dei sette doni dello Spirito Santo [5].

Mi duole dover dire quello che altri sembra non abbiano il coraggio di dire: ciò che il Santo Padre ha disposto è purtroppo pastoralmente sbagliato. Si tratta peraltro di un errore palese, uno tra i tanti che giorno dietro giorno passano sotto il silenzio dei vescovi e che sono destinati ad aumentare la confusione che serpeggia nella Chiesa e tra le membra già troppo confuse del Popolo di Dio.

A cuore tutt’altro che leggero affermo che ciò è pastoralmente sbagliato per questo semplice motivo: i presbiteri consacrati sacerdoti nella Fraternità Sacerdotale di San Pio X, ai sensi del Codice di Diritto Canonico sono validi ma illeciti [6], quindi non amministrano e non possono amministrare lecitamente i Sacramenti, come ha spiegato il Venerabile Pontefice Benedetto XVI chiarendo che la revoca della scomunica non cancella il dato di fatto che i cosiddetti Lefebvriani non possono appunto amministrare lecitamente i Sacramenti:

«Per precisarlo ancora una volta: finché le questioni concernenti la dottrina non sono chiarite, la Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa, e i suoi ministri – anche se sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica – non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa» [7].

Detta in altri termini: la loro ordinazione sacerdotale è valida, perché amministrata da un Vescovo che a sua volta è stato validamente ma illecitamente consacrato. Questa validità nulla toglie però all’illecito, perché è appunto illecito oltre che gravissimo consacrare sacerdoti dei presbiteri non in comunione con Roma. E come risaputo i cosiddetti lefebvriani negano la validità dell’ultimo concilio della Chiesa e la quasi totalità delle nuove discipline che ne sono conseguite sul piano dottrinale, non solo su quello “meramente” pastorale.

Non so che cosa abbia indotto il Santo Padre a conferire tale facoltà a dei sacerdoti illecitamente ordinati che come tali sono sospesi ipso facto dall’esercizio del sacro ministero all’atto stesso della loro sacra ordinazione. Infatti, i cosiddetti sacerdoti lefebvriani, tutt’oggi non in comunione con Roma e sprezzanti l’odierno Magistero della Chiesa, da essi accusata di essere scivolata ormai da mezzo secolo nell’apostasia [8], potrebbero amministrare lecitamente confessioni in un solo caso: ad una persona in grave pericolo di vita. Cosa questa che può fare ― e che anzi è tenuto a fare ― persino un sacerdote scomunicato e dimesso dallo stato clericale [9].

Dunque il Romano Pontefice, che pure può abolire le leggi, riformare le leggi o creare nuove leggi come e quando vuole, non è al tempo stesso al di sopra della dottrina della Chiesa, anche se tutti i vescovi, vuoi per pavidità, vuoi per interesse, su certe esternazioni confuse e ambigue tacciono in modo colpevole; e ciò sino a gravarsi per spirito omissivo dettato forse dal quieto vivere o da certe loro insopprimibili aspirazioni di carriera, di una tale responsabilità che potrebbe spalancare domani le porte dell’Inferno a diversi di loro. Non si può, infatti, tacere sull’ovvio. Non dovrebbero tacere quelli della Congregazione per la dottrina della fede e non dovrebbero tacere i canonisti che popolano il palazzo del Supremo tribunale della segnatura apostolica, perché siamo dinanzi a un errore che pare non tenere conto di una palese ovvietà: i Sacramenti non sono un bene disponibile, neppure per la Chiesa stessa che li ha ricevuti in custodia da Dio e che li dispensa come azioni della grazia soprannaturale; li dispensa, ma non li possiede. A nessuno è data facoltà, neppure al Romano Pontefice, di disporre in modo arbitrario di essi, concedendone la “lecita” amministrazione a chi di fatto ha eretto il proprio essere, esistere e operare proprio sulla negazione dell’unità e il rifiuto ostinato del Magistero della Chiesa degli ultimi cinquant’anni. Il Romano Pontefice è chiamato a «confermare i fratelli nella fede» [10], non a legittimarli nell’errore, non a confonderli, non a dividerli a colpi di ambiguità.

Più complesso ancora il discorso legato alla dogmatica sacramentaria, dinanzi al quale sembra tacere il tremolante esercito di monsignorini in forza presso la Congregazione per la dottrina della fede, gran parte dei quali anche docenti presso le varie università ed atenei pontifici: l’essenza dei Sacramenti e la loro sostanza metafisica si regge sull’unità [11]. Io celebro il Sacrificio Eucaristico e amministro i Sacramenti perché sono un presbitero in piena comunione col Vescovo dal quale promana e dipende il sacerdozio che ho ricevuto per mistero di grazia, previa solenne promessa di prestare a lui «devota e filiale obbedienza», perché è dalla Eucaristia del Vescovo investito del potere apostolico che procede la validità delle Eucaristie celebrate dai suoi sacerdoti. E il Vescovo non è tale semplicemente in quanto tale, ma perché a sua volta è in piena comunione col Vescovo di Roma, ed essere in comunione vuol dire anzitutto accettare, rispettare, applicare e diffondere tra le membra del Popolo di Dio la dottrina e il Magistero della Chiesa, non certo affermare e insegnare — come fanno invece i lefebvriani — che le dottrine di un intero concilio ecumenico sono fuorvianti ed il magistero che ne consegue è addirittura «apostatico».

Riguardo quest’ultimo discorso avrei molto altro da aggiungere soprattutto per quanto riguarda la natura e la sostanza dei Sacramenti. Lascio però alla Congregazione per la dottrina della fede presso la quale lavora appunto un esercito di monsignorini variamente dottori e professori, la risposta al seguente quesito: secondo la disciplina dei Sacramenti edificata sulla dogmatica sacramentaria, può essere conferita facoltà di amministrare lecitamente i Sacramenti a sacerdoti e Vescovi che negano la comunione con Pietro e col Collegio degli Apostoli e che da decenni accusano gli uni e gli altri di apostasia dalla fede cattolica, a partire dai Sommi Pontefici che si sono succeduti sulla Cattedra di Pietro dal 1958 a oggi? Perchè i bizantinismi pseudo canonici ed i farisaismi pseudo teologici dei lefebvriani ci sono noti da quattro decenni: da una parte, affermano di celebrare in comunione con la Chiesa (!?), dall’altra diffondono testi e documenti nei quali indicano come eretici i Romani Pontefici ed i Vescovi. 

È bene infatti ricordare a tutti coloro che difettano nel dono della memoria che il Superiore Generale della ereticale Fraternità Sacerdotale di San Pio X non si è limitato ad apostrofare come “eretico” il Santo Padre Francesco … molto di più! Del Romano Pontefice ha dato questa pubblica definizione: «Abbiamo davanti a noi un vero modernista!» [vedere QUI]. E detto questo ricordo, sempre ai carenti di memoria e forse anche di cultura teologica, che il modernismo, secondo la sapiente e sempre attuale definizione del Santo Pontefice Pio X, non è una semplice eresia, ma la madre e il ricettacolo di tutte le eresie. Da ciò dobbiamo forse dedurne che per meritare il rispetto, le attenzioni pastorali, la tenerezza e la misericordia del Santo Padre Francesco — va da sé, è un quesito paradossale — bisogna per caso accusarlo pubblicamente di essere “ricettacolo di tutte le peggiori eresie“, come ha fatto il Capo dei Lefebvriani?

Se a questi soggetti viene fatta tale concessione, pure in occasione dell’anno giubilare, senza che essi si siano ravveduti e senza che prima abbiano chiesto pubblicamente perdono al Romano Pontefice da loro insultato a male parole e additato come un vero e proprio eresiarca; se prima non rientreranno in piena comunione di unità con Roma, in che misura si può correre il rischio di trasformare il Sacramento in un bene disponibile del quale si può usare e forse abusare in modo arbitrario? Perché la Chiesa è «Sacramento di unità» [12] e se la disciplina dei sacramenti è stata riformata sotto il pontificato misericordioso del Santo Padre Francesco, che ha deciso di renderne lecita la amministrazione anche a coloro che sprezzanti la dottrina e il magistero negano la loro comunione con la Chiesa «apostatica» del «conciliabolo» Vaticano II e che non riconoscono gli atti del magistero successivi al 1958 [vedere QUI], allora esigo che i soloni della Congregazione per la dottrina della fede e quelli della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti ce lo facciano sapere in modo chiaro e prima possibile, così che noi presbiteri si possa prendere atto del fatto che l’etat c’est moi [lo stato sono io] e che la lois c’est moi [la legge sono io], quindi agire di conseguenza aumentando le nostre preghiere, le nostre penitenze e semmai mettendoci anche a gridare: si salvi chi può ! Perché se al Santo Padre non fosse chiara la natura del supremo ministero apostolico di cui egli è rivestito per mistero di grazia — ministero che peraltro non gli appartiene ma che gli è stato dato in comodato d’uso per servire la Chiesa e guidarla come supremo servitore — a noi il tutto è invece chiaro: non andrebbero fatte concessioni di alcun genere a persone che da quattro decenni accusano la Chiesa di apostasia dalla fede e che ricoprono di insulti Pietro e l’intero Collegio degli Apostoli, perché questa non è misericordia; e se queste sono le premesse dell’Anno Giubilare della Misericordia, come dicevo sopra … si salvi chi può !

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NOTE

[1] Cf. Elisabetta Piqué, Francesco, vita e rivoluzione [vedere QUI].

[2] Cf. Costituzione  dogmatica Lumen gentium, n. 8 [vedere QUI].

[3] Cf. Codice di Diritto Canonico, cann. 331-335 [vedere QUI].

[4] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1806.

[5] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1830.

[6] Cf. Codice di Diritto Canonico, cann. 1382-1384 [vedere QUI].

[7] Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai Vescovi della Chiesa Cattolica riguardo alla remissione della scomunica ai 4 Vescovi consacrati dall’Arcivescovo Lefebvre, 10 marzo 2009 [vedere QUI]; Nota della Segreteria di Stato circa i quattro Vescovi della Fraternità di San Pio X, 4 febbraio 2009 [vedere QUI].

[8] Dichiarazione del Vescovo Marcel Lefebvre sulla apostasia di Roma, vedere QUI

[9] Codice di Diritto Canonico, sul Sacramento della Penitenza [cann. 965-986], vedere nello specifico can. 976.

[10] Cf. Lc. 22,32.

[11] Cf. Beato Paolo VI, Unitatis redintegratio [vedere QUI]

[12] Cf. Costituzione dogmatica Lumen gentium, nn. 1-8 [vedere QUI]; Codice di Diritto Canonico, can. 837 [vedere QUI]

Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

La pastorale inadeguata

LA PASTORALE INADEGUATA

 

Il Collegio dei Vescovi in unione col Vescovo di Roma continua e continuerà sempre a costituire la guida infallibile nella fede cattolica, quale che sia il modo col quale il Magistero si esprime, semplice o solenne, ordinario o straordinario.  Spetta dunque ai vescovi, fraternamente uniti nella collegialità, rimediare alla grave crisi di fede che oggi serpeggia nella Chiesa.

 

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

giovanni XXIII apertura vaticano II

San Giovanni XXIII all’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II

Il Santo Pontefice Giovanni XXIII nel famoso discorso di apertura Gaudet Mater Ecclesia del Concilio Vaticano II, evidenziava come scopo del Concilio non fosse tanto quello di condannare specifici errori del presente, quanto piuttosto quello di proporre il messaggio cristiano in uno stile ed in un linguaggio moderni, adatti all’uomo del nostro tempo. Egli precisava come esistessero già le condanne; esse erano presupposte e non dovevano essere dimenticate; si trattava invece di dare la prevalenza al tono propositivo, senza per questo escludere totalmente ― il che non avrebbe avuto senso proprio per il carattere pastorale del Concilio ― la condanna degli errori, e questa condanna effettivamente ci fu, anche se il Concilio si limitò a denunce generiche senza entrare in dettagli e senza citare i nomi degli autori. Inoltre il Concilio ritenne di abbandonare la formula tradizionale del canone e dell’anathema sit, il che non significava assolutamente che le condanne conciliari potevano essere prese alla leggera.

Così nel Concilio troviamo la condanna dell’ateismo, del materialismo, dell’individualismo, del secolarismo, dell’antropocentrismo, del liberalismo, del relativismo dogmatico e morale, dello sfruttamento dei lavoratori, del disprezzo per poveri e i deboli, del delitto politico, della corsa agli armamenti, della guerra di aggressione, dell’aborto, delle dittature, del totalitarismo statale, del razzismo, dello sfruttamento della donna e dei minori, dell’ingiustizia sociale, delle sperequazioni economiche. Inoltre il Concilio si guardò bene, nel riformare la Curia Romana, dall’abolire il Dicastero addetto alla sorveglianza dottrinale ed alla difesa della fede, che fino ad allora era chiamato “Sant’Offizio”. Invece questo ufficio, col nuovo nome più chiaro di “Congregazione per la Dottrina della Fede”, fu adeguato allo spirito del rinnovamento conciliare col perdere quel carattere di esclusivo ed eccessivo intervento repressivo e sanzionatorio ed acquistare un’impostazione ed uno stile più umani ed evangelici, per i quali la confutazione ragionata e motivata dell’errore era finalizzata alla valorizzazione dei lati positivi delle dottrine erronee e delle qualità umane e culturali dell’errante, mediante l’uso di procedimenti interpretativi e correttivi più aggiornati e l’assicurazione all’errante di una maggiore possibilità di difendersi e di spiegare le sue posizioni. Le pene poi venivano mitigate. Nel contempo veniva abolito l’Indice dei libri proibiti.

Questa saggia impostazione del Concilio si sarebbe dovuta assumere con quell’equilibrio che esso suggeriva; e invece purtroppo spesso negli ambienti dell’episcopato e delle istituzioni accademiche, sotto la spinta dei cosiddetti “progressisti”, che in realtà erano dei cripto-modernisti, nacque l’uso, aggravatosi in questi ultimi decenni, di tollerare il rifiorire di vecchi errori e il sorgere di nuovi, per timore si essere trattati da Pastori pre-conciliari e nella convinzione di riconoscere così il pluralismo e la libertà di espressione.

epicuro

busto marmorei di Epicuro

Che cosa allora è successo? È accaduto che numerosi errori già condannati nel passato sono risorti e, non venendo condannati, hanno provocato in molti la convinzione o l’impressione che la precedente condanna fosse stata superata o annullata dal nuovo clima dottrinale e pastorale avviato dal Concilio. Ciò si è accompagnato al risorgere di quelle idee moderniste che sostenevano la mutabilità dei concetti dogmatici, senza che anche questo increscioso fenomeno sia stato adeguatamente represso, il che ha generato in molti una mentalità storicista, relativista ed evoluzionista, che ha favorito il disprezzo delle antiche condanne e la tranquilla assunzione degli errori moderni, riconosciuti peraltro come tali solo dagli esperti della storia delle idee e delle eresie, giacché in realtà molte dottrine presentate come nuove ed avanzate, agli occhi degli storici seri del pensiero, sono quasi sempre il ritorno, magari con termini o sfumature diversi, di errori di tempi immediatamente precedenti il Concilio o anche antichi o antichissimi risalenti a volte addirittura ai filosofi presocratici, come per esempio gli aforismi di Eraclito, Anassagora, Pitagora, Epicuro, Democrito, Parmenide o Protagora o le mitologie dell’antica India o della Cina.

diritto aborto

quel “diritto d’aborto” che non si tocca …

Potremmo fare molti esempi di questi errori condannati dalla Chiesa prima del Vaticano II risalendo nei secoli sino agli inizi del cristianesimo, errori che restano tali e che quindi il Concilio non ha affatto smentito, ma che anzi esso presuppone, almeno implicitamente: la negazione della dimostrabilità razionale dell’esistenza di Dio; la negazione della trascendenza, della immutabilità e dell’impassibilità divine; la negazione della divinità di Cristo; la negazione dei miracoli e delle profezie; l’idea che in Cristo Dio si muti in uomo; la negazione della Redenzione e quindi della Messa come sacrificio espiatorio e riparatore; la negazione della corporeità sensibile di Cristo risorto; la negazione della gerarchia ecclesiastica; l’idea che tutti e sempre sono in grazia; la possibilità di salvezza anche per gli atei e per chi è fuori della Chiesa; l’identificazione della Chiesa col mondo; l’idea che ogni religione sia salvifica; la negazione della coppia primitiva e della trasmissione della colpa originale per generazione; l’idea che Dio non castiga ma fa solo misericordia; Dio perdona anche chi non si pente; la negazione dell’esistenza di dannati nell’inferno; la negazione dell’esistenza del diavolo; la concezione dell’uomo come essere soprannaturale o divino; la negazione dell’immutabilità del dogma; la concezione della fede non come verità ma come esperienza o come prassi, oppure la fede come essenzialmente legata al dubbio o all’incredulità; la negazione della legge morale naturale; l’esaltazione dell’omosessualità; la liceità della fecondazione artificiale, dei rapporti sessuali extra matrimoniali e dell’uso degli anti-fecondativi; l’aborto e l’eutanasia intesi come diritti; il sacerdozio della donna, etc ..

concilio calcedonia

il Concilio di Calcedonia in una icona bizantina

Così similmente si crede che la dottrina delle due nature nel Concilio di Calcedonia non sia più attuale, si rifiuta il dogma dell’anima umana come forma sostanziale del corpo insegnato dal Concilio di Viennes nel 1312; si respinge la condanna di Eckhart fatta da Clemente V nel 1329; si nega il dogma dell’immortalità dell’anima proclamato dal Concilio Lateranense V nel 1513; si pensa che la condanna di Lutero fatta dal Concilio di Trento sia sbagliata; si crede che la condanna del liberalismo fatta dal Beato Pio IX sia superata; non si tiene conto della condanna del panteismo fatta dal Concilio Vaticano I e da San Pio X; si disprezza l’enciclica Pascendi Dominici Gregis di San Pio X; non si tien più conto degli errori di Rosmini condannati dal Sant’Offizio nel 1887; non ci si cura della condanna della massoneria fatta da Leone XIII, del comunismo fatta da Pio XI, nonché della scomunica dei comunisti fatta da Pio XII nel 1949; non ci si cura della condanna dello spiritismo fatta dal Sant’Offizio nel 1918; non si bada ai pericoli di un certo ecumenismo segnalati da Pio XI nell’enciclica Mortalium animos; ci si è dimenticati degli errori segnalati da Pio XII nella Humani Generis; si rifiuta il monito circa il teilhardismo fatta dal Sant’Offizio nel 1959.

freud vignetta

celebre vignetta su Sigmund Freud

Non parliamo poi delle contaminazioni del cattolicesimo che sorgono dal fatto di mescolarlo col pensiero del Rinascimento italiano, di Cartesio, di Lutero, dell’illuminismo, dell’empirismo, di Kant, di Fichte, di Schelling, di Hegel, di Marx, di Freud, dell’esistenzialismo, di Husserl, di Heidegger, di Severino, dello storicismo di Bohnöffer, del pensiero indiano, del buddismo e di altri.

La mancanza di interventi correttivi o critici da parte di vescovi o istituti accademici o uomini di cultura cattolici porta molti a credere che tutte queste teorie e queste idee tutto sommato siano divenute ammesse ed accettabili: la Chiesa, si pensa, ha mutato opinione o si è corretta in seguito a studi più critici e più documentati. Se vogliamo essere moderni, aggiornati e seguaci del Concilio ― tale è il pensiero di molti ―, dobbiamo seguire questi pubblicisti, giornalisti, filosofi, teologi, moralisti, esegeti, vescovi e cardinali che oggi hanno assunto posizioni contrarie a quelle tradizionali presentate qui sopra. Il fatto che Roma o altre autorità ecclesiastiche non intervengano si crede essere segno che Roma tacitamente riconosce di essersi sbagliata.

Questa crisi della fede all’interno della Chiesa stessa e tra gli stessi pastori, esclusi, s’intende, il Papa, nonché lo stesso Magistero, che godono del carisma dell’infallibilità, può essere caratterizzata con cinque attributi: soggettivismo, buonismo, relativismo, modernismo, secolarismo.

Soggettivismo. La fede non viene concepita più come ascolto di una dottrina insegnataci da Gesù Maestro, per il tramite della Chiesa, ma come incontro immediato, esistenziale, affettivo ed esperienziale con Cristo, anche senza passare attraverso il Magistero della Chiesa: un concetto tipicamente protestante della fede, la quale appare congiuntamente non come l’adeguarsi del nostro intelletto ad una verità oggettiva ― ciò che San Paolo chiama “obbedienza della fede” ―, ma come libera espressione della coscienza soggettiva, che si ritiene direttamente illuminata da Dio, eventualmente per mezzo della Scrittura, ma nel senso di sola Scriptura.

Buonismo. La fede quindi non è virtù dell’intelletto, alla quale segue la carità come effetto della volontà, ma la fede è risolta nella carità e con essa confusa. La fede non è atto del conoscere, ma è coinvolgimento pratico dell’intera persona, ciò che in realtà appartiene alla carità e non alla fede. La carità in qualche modo si sostituisce alla verità. Non si fonda sulla verità, non presuppone la verità, ma appare essa stessa come fondamento della verità.

Alla base di questa visione c’è una disfunzione e un disordine nel rapporto tra intelletto e volontà. Bisogna dire che in passato si mancava alla carità in nome della verità, si veda per esempio il processo a Giordano Bruno; oggi si manca invece alla verità in nome della carità, si pensi per esempio al rahnerismo oggi a piede libero.

Relativismo. Poiché ogni uomo ha bisogno di verità, si crede che di fatto tutti sono nella verità intesa come carità. Quindi tutti sono buoni e in buona fede, seppure ognuno a modo proprio. Infatti il rispetto della diversità, della libertà e del pluralismo richiede che la verità non sia un dato oggettivo, universale, vincolante, uno per tutti, ma sia qualcosa di relativo alla coscienza soggettiva e creativa di ciascuno, in quanto ognuno è diverso dagli altri.

liberta religiosa

la libertà religiosa si basa anche e soprattutto sul riconoscimento da quella reciprocità dalla quale nasce poi la vera pace …

Da qui un falso concetto della libertà religiosa, che praticamente è l’assolutizzazione della coscienza individuale, è liberalismo ed indifferentismo religiosi: perché affannarsi ad annunciare il Vangelo? Tanto tutti conoscono già la verità, tutti si salvano, tutti sono in grazia, tutti sono perdonati, tutti hanno buona intenzione e buona volontà. Nessuno fa il male volontariamente. Secondo costoro tutti sono nella verità, anche se la mia verità contraddice alla tua. Ma comunque Dio è in tutti e salva tutti. Non esiste un’opposizione netta, assoluta, immutabile, universale ed oggettiva tra vero e falso: una medesima cosa può essere vera per me e falsa per te. Tutti abbiamo ragione. Dipende dal punto di vista. Quindi non si devono condannare errori ed eresie. Tutt’al più si può esprimere il proprio parere ma si devono rispettare anche le idee degli altri, per quanto contrarie alle nostre.

Sarebbe bene quindi per alcuni chiudere la Congregazione per la Dottrina della Fede, organismo che ancora riflette una superata mentalità pre-conciliare, inquisitoriale. La fede non è una certezza, ma una semplice opinione tra le altre, per sua natura è dialogo, confronto, convive col dubbio e con la stessa incredulità. Solo così si è aperti e tolleranti; altrimenti si diventa degli integralisti e dei talebani.

Secolarismo. Osserviamo che la fede ha perso il suo orientamento speculativo, contemplativo, spirituale, trascendente, soprannaturale, escatologico, benché si continui ad usare questi termini, come fa Rahner, ma falsificandoli e secolarizzandoli. In realtà Rahner ― e lo dice esplicitamente ― non crede affatto nell’immortalità dell’anima e in una vita dopo la morte, ma per lui la salvezza è solo qui.

cristo storico

Cristo Dio è nella storia

Dio non è al di sopra o al di là della storia, ma solo nella storia. Non c’è un altro mondo oltre a questo e superiore a questo, ma il cristianesimo è solo per questo mondo che è l’unico mondo. Non c’è un sacro oltre al profano, ma lo stesso profano è sacro (Rahner). Il sacerdozio non è fondato da Cristo, ma emana dal Popolo di Dio (“Chiesa dal basso”), per cui non esistono gerarchie (“struttura piramidale”), ma tutti siamo fratelli ugualmente sacerdoti (Schillebeeckx). L’azione della Chiesa è un’azione politica e non soprannaturale (teologia della liberazione).

Cristo non trascende il mondo ma è il vertice evolutivo del mondo ―“Punto Omega” ―: cristologia “cosmica” (Teilhard de Chardin). Infatti non è lo spirito (divino) che crea la materia, ma è la materia che si trasforma in spirito e diventa Dio (ancora Teilhard, con riferimento a Darwin, Schelling e Bruno).

Modernismo. Tutte queste idee e prospettive sono elaborate nella convinzione di essere moderni e di intrattenere un dialogo e un confronto con la modernità, sulla scia dell’impostazione innovativa del Concilio. L’idea in se stessa è buona, ma il guaio è che qui la “modernità”, invece di essere vista come un complesso di dati da vagliare alla luce del Vangelo, onde tenere il positivo e respingere il negativo, è considerata essa stessa un assoluto, alla luce del quale prendere dal Vangelo solo quello che si concilia con la modernità. È l’errore gravissimo del modernismo di ieri e di oggi.

vescovi italiani

assemblea dei vescovi italiani

Sorgono spontanei dei filiali suggerimenti ai vescovi: il Collegio dei Vescovi in unione col Papa continua e continuerà sempre a costituire la guida infallibile nella fede cattolica, quale che sia il modo col quale il Magistero si esprime, semplice o solenne, ordinario o straordinario. Può sbagliare solo il singolo vescovo o un gruppo di vescovi (per esempio una conferenza nazionale) se non sono in comunione col Papa. Spetta dunque ai vescovi, fraternamente uniti nella collegialità, rimediare a questa grave crisi di fede. Benedetto XVI non per nulla indisse l’Anno della Fede ed aveva in programma la pubblicazione di un’enciclica sulla fede, se i modernisti, evidentemente allarmati, non lo avessero fermato. Tuttavia ritengo che sia bene che il nuovo Papa metta in atto il progetto di Papa Benedetto, senza paura dei modernisti. Sono loro che devono cedere, non certo Roma.

salto della fede

il grande salto della fede …

Bisogna tornare ad avere autentica stima per la virtù teologale della fede, che è l’inizio della salvezza. Se la fede è sana e forte, allora possono esercitarsi tutte le altre virtù, innanzitutto la carità. Ma se la fede è annacquata o confusa con altre cose per quanto importanti, tutto crolla e nulla si può costruire. La fede può stare senza la carità benché con difficoltà: ma la carità non può assolutamente esistere senza la fede, se non vuol decadere a mera filantropia, a emozione o, peggio, a sfogo di istinti soggettivi. Ma la fede è verità, per cui occorre tornare ad aver rispetto per la verità, certo nella carità. Ma non c’è carità senza la verità. Il giusto rispetto per la coscienza soggettiva e per la libertà religiosa non deve essere una scusa per disprezzare la verità oggettiva, universale ed immutabile. L’Autorità Ecclesiastica deve saper contemperare saggiamente il rispetto per la coscienza soggettiva con la cura del bene comune in fatto di dottrina della fede, promovendo la sana dottrina e sostenendo i suoi divulgatori ed apostoli, e confutando con buone ragioni e in modo persuasivo gli errori continuamente insorgenti, opponendo opportuni rimedi e correggendo amorevolmente con giustizia gli erranti e i ribelli.

pastorale

il bastone pastorale del vescovo, uno strumento di grande carità che all’occorrenza dovrebbe servire anche per correggere i ribelli

Questa funzione dei vescovi, per quanto oggi soffra una grave crisi, è una funzione vitale di quella Chiesa che Cristo ha fondato garantendole che non sarà vinta delle forze dell’inferno. Per quanto dunque oggi la situazione sia angosciante e scandalosa, come cattolici siamo assolutamente sicuri che questa crisi sarà superata con la forza dello Spirito Santo per una Chiesa più santa e più forte di prima, vera luce delle genti e sacramento universale di salvezza.

Varazze, 27 agosto 2015