Karl Rahner tra sociologismi, teologismi ed eresie: la teoria dei “cristiani anonimi” – lectio magistralis di Giovanni Cavalcoli

— I video dell’Isola di Patmos —

KARL RAHNER TRA TEOLOGISMI, SOCIOLOGISMI ED ERESIE: LA TEORIA DEI “CRISTIANI ANONIMI”

 

Tra le varie “teorie” del gesuita tedesco Karl Rahner, una tra le più conosciute è quella dei “cristiani anonimi”. Una teoria ambigua che se letta e applicata potrebbe portare alla vera e propria vanificazione dell’intero mistero della redenzione.

 

 

Autore Redazione dell'Isola di Patmos

Autore
Redazione
dell’Isola di Patmos

Il teologo gesuita Karl Rahner (1900-1984), perito del Concilio Ecumenico Vaticano II, nell’immediato post-concilio si procurò la fama di uno dei più grandi teologi cattolici ed interpreti del Concilio. Sennonché però, altri teologi eminenti, come il Fabro, Lakebrink, il Card. Parente, il Von Balthasar e il Card. Ratzinger segnalarono le gravi insidie contenute nel sistema rahneriano e la falsità della sua interpretazione modernistica del Concilio, non conforme a quella della Chiesa post-conciliare. Un’interpretazione non di continuità ma di rottura, che forniva pretesti a reazioni ultratradizionaliste. Dalle segnalazioni di questi teologi, in un primo tempo inascoltate, sta sorgendo un movimento teologico internazionale, fedele alla Chiesa e al Papa, il quale si è impegnato a correggere le vedute rahneriane, le cui conseguenze si sono rivelate dannose in campo morale, come hanno segnalato alcuni moralisti, tra cui Don Dario Composta. Tale movimento si propone di contribuire alla vera interpretazione del Concilio, senza per questo misconoscere i meriti del teologo tedesco.

Riproponiamo sull’Isola di Patmos una lectio magistralis  tenuta presso il Seminario dei Frati Francescani dell’Immacolata dall’accademico pontificio Giovanni Cavalcoli nella quale il filosofo metafisico e teologo dogmatico domenicano confuta questa sottile ma pericolosa eresia rahneriana.

 

 

L’opera di Giovanni Cavalcoli su Karl Rahner

 

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Vescovi, mode e consigli per i nuovi carrieristi: «Siate poveri, periferico-esistenziali e sciatti»

VESCOVI, MODE E CONSIGLI PER I NUOVI CARRIERISTI: «SIATE POVERI, PERIFERICO-ESISTENZIALI E SCIATTI»

 

assieme al pretesto dei poveri, oggi rischiamo di avere anche un vero e proprio esercito di Giuda, ladri e traditori, pronti a usare i poveri come falso metro di misura e come nuovo pretesto di promozione per il loro tornaconto personale, mossi sempre da quelle insopprimibili ambizioni originate dalla regina madre di tutti peccati capitali: la superbia.

 

 

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

 

 

curato di campagna

l’opera di George Bernanos, Diario di un curato di campagna.

Sono numerosi i messaggi privati che più confratelli sacerdoti mi hanno inviato da varie parti d’Italia, tutti mossi dalla stessa sostanza di fondo; ma non solo loro, anche diversi confratelli del Nord America e del Latino America mi hanno posto lo stesso quesito: «Oggi, per essere eletti vescovi in Italia, è divenuto presupposto fondamentale essere stati parroci di qualche parrocchia più o meno periferica, ed essersi dedicati soprattutto ai poveri ed ai derelitti?».

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Prima di procedere oltre desidero fare una premessa ai nostri lettori, perché come sanno coloro che leggono i miei scritti con una certa assiduità, è mia abitudine chiamare persone e situazioni col loro nome, tanto sono aduso rifuggire il “dire e non dire”, il “non nominare” ma al tempo stesso “far capire”, semmai stillando anche veleno, secondo il vezzo incorreggibile di certi clericali, che quando premettono “si dice che…“, poco dopo schizzano cianuro allo stato puro.

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paolo farinella

I NUOVI INTOCCABILI – due presbiteri genovesi con indosso una specie di grembiule per le pulizie ed una sciarpetta variopinta, ripresi mentre si recano a celebrare col proprio vescovo le esequie funebri di Don Andrea Gallo, più compagno di brigata ideologica che confratello in Cristo.

Proseguiamo col giro largo per poi giungere al cuore di un problema la cui delicatezza reclama degli utili esempi, a partire da questo primo: tempo fa, un gruppo di presbiteri ― me incluso ― segnalò al presidente di una conferenza episcopale regionale un confratello sacerdote poco più che cinquantenne che a nostro parere aveva un profilo episcopale di tutto rispetto; e forse, proprio per questo, né il suo vescovo né i vescovi di quell’area che pure lo conoscevano s’erano mai sognati di prenderlo in esame. E quando un vescovo non segnala un proprio presbitero come elemento idoneo all’episcopato, ed i vescovi della regione non mostrano interesse ad accettarlo come uno della loro “banda”, è difficile che la segnalazione possa andare avanti. Inutile quindi segnalare il potenziale vescovo ai vari organismi della Santa Sede, senza essersi prima assicurati che non finisca impallinato dai cecchini alla prima richiesta di informazioni; perché ognuno dei cecchini è solitamente fornito di una lista di amici degli amici da promuovere e sistemare. Questo il motivo per il quale in Italia in particolare, si è fini specialisti nel tagliare le gambe ai buoni elementi. Trascorso del tempo e non avendo avuta risposta, fu mandato il sottoscritto in avanscoperta come “testa d’ariete” per richiedere spiegazioni. Il vice-presidente di quella locale conferenza episcopale mi dette questa risposta secca: «Indubbiamente è un ottimo sacerdote, ma non corrisponde a quelli che oggi sono i criteri e gli stili pastorali del Santo Padre Francesco». Replicai: «Non mi risulta che il Verbo di Dio, prima, Pietro da Egli rivestito di una straordinaria e pesante funzione vicaria, dopo, abbiano mai proceduto a scegliere gli apostoli tramite il principio della clonazione». Anziché comportarsi da “sportivo” il vescovo si comportò per il piccolo uomo che era e come tale rispose: «Ma insomma, tu non puoi buttare sempre tutto in teologia!». Replicai: «E in che cosa dovrei buttarla, in gastronomia?». Provocato a dovere il vescovo si rivelò per l’autentico capo-impallinatore che in realtà era, cominciando a vomitare di tutto e di più, sino a definire questo santo prete come «teologicamente e liturgicamente ingessato, rigido e pastoralmente non flessibile». Cosa dovuta al fatto che nelle due parrocchie dov’era stato parroco in precedenza aveva proibito ai neocatecumenali di celebrare di sabato sera, presso la sala-cinema della parrocchia, la “Agape”, anche nota come “messa kikiana”. Aveva proibito a laici e laiche di spadroneggiare sul presbiterio mutato durante le sacre celebrazioni nel loro palcoscenico, di fare cosiddette “risonanze” durante la liturgia della Parola, anche perché spesso erano veri e propri sproloqui infarciti di errori dottrinari. Aveva loro proibito di comporre la Preghiera dei fedeli, di fare catechismo ai bimbi della Prima comunione ed ai ragazzi della Cresima secondo la discutibile “dottrina” neocatecumenale, spiegando in modo pacato ma chiaro: «In questa parrocchia i fanciulli e gli adolescenti saranno preparati a ricevere i Sacramenti attraverso il Catechismo della Chiesa Cattolica ed i testi approvati dalla Conferenza Episcopale Italiana». E dopo vent’anni di incontrastato dominio parrocchiale neocatecumenale, fece per un anno intero un ciclo di catechesi per spiegare la riforma liturgica contenuta nella Sacrosanctum Concilium [testo, QUI] la esortazione post-sinodale Redemptionis Sacramentum [testo QUI] il senso di ciò che viene fatto durante la celebrazione eucaristica ed il suo significato alla luce del Messale Romano; ma soprattutto spiegò che la Santa Messa è sacrificio, il sacrificio della passione, morte e risurrezione di Cristo Signore, non una festa danzante dove altri ― siano essi persone o idee ― finiscono per essere i veri protagonisti.

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Michel-Marie Zanotti

I PRETI RIEMPI-CHIESE – Michel-Marie Zanotti, un sacerdote che nella Francia ultra laicista ha richiamato molti fedeli, specie giovani, partendo dall’elemento basilare: presentandosi sempre visibilmente come un prete [vedere QUI]

Visti i risultati ottenuti, sebbene pagati dal sacerdote a caro prezzo di delazioni e ostruzionismi, trascorsi cinque anni il vescovo decide di spostarlo in una parrocchia più grande dove questa volta il problema erano i carismatici “ripieni” di Spirito Santo, capitanati da un gruppo di laici che organizzavano “riti” di guarigione, “riti” di liberazione da presunte possessioni diaboliche e via dicendo. Impresa molto difficile, perché se un gruppetto di agguerriti laici si appropria di una parrocchia che da anni gestisce dopo avere creato il vuoto e allontanato chiunque osi non seguire i dettami dello Spirito Santo a servizio esclusivo dei caporioni di quel movimento, il prete può rischiare il linciaggio, se non quello fisico sicuramente quello morale, che è peggiore. Incurante del tutto, appena giunto prese anzitutto da parte la “boss” del gruppo delle “pretesse” ripiene di doni speciali dello Spirito Santo e le ingiunse: «Mi dia la sua copia della chiave del tabernacolo». Risponde lei: «Ce l’ho da anni e mi serve per organizzare le Comunioni agli ammalati». Replica il parroco: «Dagli ammalati ci vado io, anche perché, prima di ricevere la Comunione, diversi di loro, specie gli anziani abituati a un uso frequente della confessione, potrebbero desiderare di confessarsi, cosa che lei non può fare. O pensa forse di poterli assolvere per sua carismatica grazia speciale?». Presto detto: la “pia donna” scatenò contro il parroco qualche cosa che somigliava al Demone che rimproverò Gesù: «Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?» [cf Lc 4, 31-37]. Trascorsi due anni era un vero piacere celebrare la Santa Messa in quella parrocchia, dove più volte il confratello mi invitò a predicare in alcune particolari occasioni, affinché i suoi fedeli udissero anche la voce di un predicatore diverso dal parroco.

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Vescovo in cravatta

I VESCOVI SVUOTA-CHIESE – S.E. Mons. Claude Dagens, Vescovo  di Angoulême (Francia)

Insomma, un presbitero sollecito per le confessioni e le direzioni spirituali, rispettato dai giovani come figura sacerdotale, non come un prete trendy che gioca a fare il compagnuccio di brigata, perché non solo i giovani necessitano, ma vogliono proprio il prete che sia tale per autorevolezza, autorità e disciplina di vita interiore, dedito alla preghiera e allo studio nel suo tempo libero, aperto e disponibile con tutti, ma al tempo stesso riservato e sempre testimone attraverso le sue parole e soprattutto le sue opere della somma dignità sacramentale di cui è rivestito per carattere indelebile ed eterno. I compagnucci di brigata i nostri giovani se li vanno a cercare altrove, non certo tra i preti.

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Dopo che per sommi capi ebbi risposto al vescovo che aveva affermato: «Indubbiamente è un ottimo sacerdote, ma non corrisponde a quelli che oggi sono i criteri e gli stili pastorali del Santo Padre Francesco», ecco che il buon pastore rivestito della pienezza del sacerdozio apostolico, postosi dinanzi a me con una camicetta-clergyman scollacciata ― io mi ero invece dovutamente presentato dal vescovo con la mia talare romana migliore ― non sapendo più dove attaccarsi mi disse: «Senti, io capisco che tu, lui e gli altri, siete della stessa “scuola” … insomma, per quanto giovani, siete preti “vecchio stile”, con la talare sempre addosso. Per carità, fate pure, nulla da dire, ma perlomeno rendetevi conto che i tempi sono cambiati, che vi piaccia o no». Allargò poi le braccia e si lustrò col pollice e l’indice sinistro l’anello al dito medio destro col fare del ragazzino che ti lascia intendere “tanto il vescovo sono io, sono io …” e con un sorriso beffardo concluse: «… fatevene una ragione!».

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vescovo in cravatta 2

I VESCOVI SVUOTA-CHIESE – S.E. Mons. Jacques Noyer, Vescovo di Amiens (Francia)

È cosa avvilente per un prete ritrovarsi con indosso la sua talare migliore, per il rispetto dovuto anzitutto al vescovo, che pure ti si palesa come una autentica quintessenza della sciatteria. È cosa amara ritrovarsi dinanzi a un vescovo in calzoni, con la camicia scollacciata, ma con la immancabile croce pettorale penzolante sulla pancia, segno del suo potere e spesso del suo umorale arbitrio. A quel punto ― e non me ne pento ― risposi: «Vede, Eccellenza, a parer mio sarebbe prudente evitare sempre che le persone maleducate che hanno rifiutato ogni genere di educazione e quindi di trasformazione attraverso i doni di grazia, possano passare in modo repentino e disinvolto dalla zappa al pastorale». E con questo intendevo chiuderei il discorso. Invero lo chiuse anche il vescovo, ma lo fece con una frase che confermò la mia teoria su zappa e pastorale, oltre a confermare che nei seminari ― da me rinominati pretifici, grande fucina di deformazioni e di deformati ― da quattro decenni non si educa e non si vuole educare più nessuno. Sbotta tosto il vescovo: «Ma vedi d’andà affanc …!». E detto questo mi rifiutò la mano da baciare, perché se un vescovo mi manda a quel paese, a maggior ragione io gli bacio la mano, non per l’evidente poveraccio che è, ma per la grazia sacramentale di cui è rivestito.

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vescovo in cravatta 3

I VESCOVI SVUOTA-CHIESE – S.E. Mons. François Fonlupt, Vescovo di Rodez (Francia), si prega di notare il baffo alla Freddie Mercury …

Poco dopo, i vescovi di quella regione sceglievano per una delle loro sedi vacanti un parroco che nelle tre parrocchie dov’era stato si era limitato a celebrare la Messa, lasciando ovunque i laici spadroneggiare, dalla organizzazione dei corsi di catechismo alla liturgia, quest’ultima appannaggio delle immancabili “pretesse”. E quando alcuni parrocchiani familiari di anziani ammalati, chiesero se poteva andare lui a portare la Comunione, almeno qualche volta, rispose che «c’erano dei laici incaricati sul cui ministero egli non poteva interferire». Quando assieme ad altri due sacerdoti io andai in quella parrocchia per confessare diverse decine di ragazzini che la domenica successiva avrebbero ricevuto il Sacramento della Cresima, assieme ai miei due confratelli rimasi esterrefatto: i ragazzi e le ragazze non sapevano che cosa dire, facevano scena muta guardando a destra e a sinistra, nessuno conosceva l’atto di contrizione ed a tutti dovetti dire di farsi il segno della croce mentre il sacerdote impartiva loro l’assoluzione …

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Freddie Mercury

… il cantante Freddie Mercury, forse parente più o meno alla lontana di S.E. Mons. François Fonlupt, Vescovo di Rodez.

… e mentre nella chiesa parrocchiale avveniva questo, otto catechisti se ne stavano seduti dinanzi alla cappella del Santissimo Sacramento a chiacchierare, a ridere tra di loro e ad inviare sms con i telefoni cellulari, tutti con le spalle voltate al tabernacolo della sacra riserva eucaristica. Quando io giunsi presso quella chiesa parrocchiale vestito con la talare, col breviario sottobraccio e la stola viola ripiegata sopra ― perché nell’attesa dei penitenti ho pure la “sfrontatezza” vecchio stile di recitare persino la liturgia delle ore ―, il parroco, oggi vescovo, mi disse ridendo: «Ma dove vai? Vestito così mi spaventi i ragazzi, non sono abituati a vedere un prete agghindato a questo modo. Vai in sacrestia, togliti questa roba e mettiti un’alba bianca, se vuoi». Infatti, lui amministrava le confessioni con una camicia a quadri sbottonata seduto a gambe larghe su di una panca. E quando il fatidico giorno fu convocato presso la curia vescovile della sua diocesi e gli fu comunicata la sua nomina episcopale, il suo vescovo, vestito con un clergyman sdrucito, dopo la lettura del testo ufficiale mise sulla testa del neoeletto vescovo, vestito in abiti civili, lo zucchetto rosso. Una scena che, se non fosse patetica, sarebbe davvero ridicola …

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enrico mazza

I PICCOLI KÜNG NOSTRANI – il presbitero Enrico Mazza, ovviamente docente presso il pontificio ateneo catto-protestante Sant’Anselmo.

… proprio come nel 2011 fu patetico il cappellano di un ospedale di Pisa, presso il quale mi recai partendo da Roma di primo mattino, giunto presso il quale cercai il cappellano e gli chiesi se potevo amministrare l’unzione degli infermi al suocero di mio fratello. Mi guardò come fossi un marziano e mi ingiunse: «Questo è un ambiente laico e se pensi di salire nel reparto di oncologia vestito a questo modo, allora ti dico subito di no». Dinanzi a questa risposta non pensino, i nostri cari lettori, che ero andato a rubare dagli armadi di un clown del circo di Moira Orfei gli abiti coi quali rivestirmi alla partenza da Roma, assolutamente no! Avevo la talare indosso e sottobraccio la cotta, la stola e il libro del rito dell’unzione degli infermi. Mi tolsi la talare e salii nel reparto di oncologia col pantalone e la camicia bianca che avevo sotto, perché se io devo aprire le porte del Paradiso a un’anima, però un qualsiasi demente ― prete incluso ― mi impone prima di cantare “Bandiera rossa”, in quel caso faccio finta per due minuti di essere l’intoccabile prete eretico genovese Andrea Gallo e senza esitare attacco: «Avanti popolo alla riscossa, bandiera rossa …». Di tutto questo, quell’animo profondamente cattolico di mio fratello, rimase male, specie in quel particolare frangente, tanto che mi disse: «Non pensi di andare a fare quattro parole con l’Arcivescovo Metropolita di Pisa?». Eruppi con una risata e replicai: «Fratello mio, suvvia! A fare due parole con chi, con quel brav’uomo di Giovanni Paolo Benotto, al quale i preti danno pacche sulle spalle mentre dal suo canto lui potrebbe avere seri problemi nel riuscire a dare un ordine al portinaio del palazzo arcivescovile?». E ovviamente lasciai correre, perché se perdere tempo prezioso per far ragionare certi preti spesso non serve, a perderlo con certi vescovi è cosa ancora peggiore e soprattutto più deludente.

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Paolo Giulietti

I VESCOVI ATTIRA-GIOVANI? – S.E. Mons. Paolo Giulietti, Vescovo ausiliare di Perugia [vedere QUI]

Ho portato testé gli esempi di due diversi parroci che hanno mostrato nei concreti fatti di essere: uno, un uomo di Dio e un uomo di governo, un pastore in cura d’anime che all’occorrenza dice che cosa è giusto e che cosa è sbagliato fare, agendo pastoralmente di conseguenza in conformità alla dottrina, al magistero e alle leggi della Chiesa. L’altro, seppure pessimo parroco, fu fornito però dai suoi protettori di una “scheda” dov’erano state impresse alcune parole oggi davvero magiche: «… si è dedicato alle attività caritative, è stato assistente presso la Caritas, ha assistito i giovani del vicino campo Rom, ecc..». E leggendo questa “scheda” ci è chiaro il desolante presente e il futuro prossimo peggiore che ci attende. Ecco chiarito come mai il secondo dei due parroci portati a mo’ d’esempio, ed oggi vescovo, non poteva occuparsi della sacra liturgia lasciata in appalto ai laici; ecco perché non poteva andare a portare l’Eucaristia agli ammalati; ecco perché non poteva vigilare sui bimbi della Prima Comunione che non conoscevano neppure il Padre Nostro e sui ragazzi della Cresima che manco sapevano cosa fosse il Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione. Non poteva fare nulla di tutte queste cose “secondarie” perché era impegnato in una cosa molto più primaria: visitare il locale campo Rom! Un argomento questo del quale ho già parlato in un mio precedente articolo, per spiegare tra le righe che se le vie del Signore sono notoriamente infinite, quelle degli ecclesiastici sono invece sempre più “finite” e “definite”, a volte anche in modo non poco stolto [vedere QUI], perché nulla è più pericoloso di un incapace che esercita un potere che anzitutto è un gravoso servizio; potere che in ogni caso non perviene a lui né dal Popolo Sovrano né dal gradimento del quotidiano La Repubblica, bensì da Cristo Dio.

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I VESCOVI ATTIRA- GIOVANI? – S.E. Mons. Paolo Giulietti, Vescovo ausiliare di Perugia.

Se qualcuno ha deciso di selezionare i nuovi vescovi dalle periferie esistenziali, o di promuovere all’episcopato preti che hanno giocato ai “compagnucci di brigata” nei campi scouts, anziché affascinare i giovani con lo stile e il carisma di un uomo di Dio come il presbitero francese Michel Marie Zanotti [vedere QUI], faccia pure, ma il fallimento sarà suggellato attraverso il dramma ecclesiale della caduta nel ridicolo. E purtroppo, nel giro di non molti anni, i risultati saranno pagati dalla Chiesa di Cristo e dal Popolo di Dio. Il tutto senza neppure sapere a chi rendere davvero grazie, perché il meccanismo della nomina dei nuovi vescovi è di per sé talmente complesso, specie in un Paese particolare come l’Italia, da risultare quasi come un gioco di scatole cinesi. Ciò che infatti noi conosciamo è il genere di lavoro svolto da varie istituzioni ecclesiastiche e dicasteri della Santa Sede per la selezione dei futuri vescovi. Lavoro nel quale sono coinvolti numerosi ecclesiastici che talvolta riescono a pilotare certe nomine molto più di quanto riescano a fare certi influenti vescovi e cardinali; e non di rado, i vari organi della Santa Sede che hanno cercato di svolgere un lavoro serio e meticoloso improntato anzitutto sulla prudenza, nel tentativo di selezionare candidati idonei, si vedono azzerare il tutto dinanzi all’amico di un amico da piazzare; e spesso, per questi colpi di mano, non si sa neppure quale “santo” ringraziare.

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Nicolo Anselmi

FIGURE RUBATE AL CINEMA PER ATTIRARE I GIOVANI? – S.E. Mons. Nicolò Anselmi, Vescovo ausiliare di Genova [vedere QUI]

In ultima istanza giunge a lavoro concluso un fascicolo al Sommo Pontefice contenente una terna di tre nomi, dai quali solitamente egli sceglie il primo indicato tra i tre candidati. Diversi sono i testimoni oculari i quali hanno riferito che spesso Giovanni Paolo II firmava senza neppure leggere le schede sintetiche dei tre nomi indicati, mentre Benedetto XVI gli dava una scorsa e poi firmava. È vero che a nominare i vescovi suoi collaboratori è Pietro, ma il meccanismo è parecchio articolato e il più delle volte il Santo Padre si limita a ratificare le scelte altrui che sono frutto di indagini, ricerche e valutazioni quasi sempre molto complesse, sia nel bene sia nel male. Cosa in sé del tutto comprensibile: come potrebbe infatti, il Sommo Pontefice, occuparsi delle nomine e del periodico ricambio di circa 5.000 vescovi sparsi per l’Orbe Catholica? Tutto il suo tempo non basterebbe solo per questo.

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FIGURE RUBATE AL CINEMA PER ATTIRARE I GIOVANI? – S.E. Mons. Nicolò Anselmi, Vescovo ausiliare di Genova.

Da queste delicate situazioni nasce l’elemento di fondamentale importanza per qualsiasi Pontefice: avere vicino a sé dei preziosi e soprattutto fedeli collaboratori. E sia la preziosità sia la fedeltà si reggono su di un presupposto preciso: il disinteresse e la fede nel meritato premio eterno per avere servito in modo libero e senza secondo scopo alcuno la Chiesa di Cristo e Pietro suo Supremo Pastore; ed a rendere questi preziosi servizi alla Chiesa ed a Pietro suo Supremo Pastore, sono quelli che ti dicono sempre ciò che pensano, non quelli che sono invece abili a celare il proprio essere ed altrettanto abili a cercare di compiacere in ogni modo il padrone del carro. Molti sono i danni derivati alla Chiesa dal periodo dell’ultimo Giovanni Paolo II e dal pontificato di Benedetto XVI, tutti dovuti proprio a questo: la scelta di pessimi collaboratori che, a loro volta, hanno inquinato le diocesi per un verso e la curia romana per altro verso, piazzando spesso nella seconda anche soggetti più somiglianti a delle cocorite anziché a dei maschi con tutti i relativi annessi e connessi; e quando questi soggetti fanno poi lobby, sappiamo cosa accade [vedere mia vecchia intervista, QUI].

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San Pio X vignetta

il Santo Pontefice Pio X raffigurato in una vignetta satirica del giornale anticlericale L’Assiette au Beurre (Piatto di Burro) n. 242 del novembre 1905.

Da quarant’anni la Chiesa s’è messa a  giocare col mondo dei media che si regge su spietate logiche dell’immagine sempre più anti-cristiane. Una volta — in tempi recenti, non secoli fa — il Romano Pontefice ed i vescovi di molte grandi e medie diocesi avrebbero potuto passeggiare a piedi tra la folla mimetizzati in abiti civili, senza che nessuno li riconoscesse; ed infatti molti lo facevano. L’immagine del Romano Pontefice era solo un’effige sopra le monete dello Stato Pontificio, mentre quella del vescovo era raffigurata in un quadro inserito in una sala interna della chiesa cattedrale nella quale erano raccolti i dipinti di tutti i suoi predecessori. Diversi erano i vescovi che per controllare le parrocchie disseminate nelle loro diocesi giravano mimetizzati da secolari, senza essere riconosciuti neppure dai parroci, ma soprattutto dai tanti curati di campagna che costituivano il grosso della fetta del loro clero. Dei Pontefici di fine Ottocento inizi Novecento avevamo solo alcune foto ufficiali ed a partire dal pontificato di Benedetto XV alcuni brevissimi e rari filmati. Con Giovanni XXIII le televisioni cominciano a entrare in luoghi sino a poco prima impenetrabili e infine, col pontificato di Giovanni Paolo II, i media fanno il loro ingresso “trionfale” nella Chiesa, ed ogni mossa e sospiro del Romano Pontefice sarà reso pubblico: dalla “culla del neonato” dentro il conclave sino al suo cadavere disteso sul letto dentro la camera del suo appartamento privato. Ora, io non dico che questo sia male, dico che il tutto andrebbe saputo gestire, perché i media, volendo, possono anche mutarci in una struttura veramente grottesca attraverso i più pericolosi messaggi subliminali …

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seminarista sfranta

I PRODOTTI DEGLI ODIERNI PRETIFICI, OSSIA I SEMINARI –  all’interno dei quali non c’è più selezione e vigilanza, dove spesso non ci sono formatori idonei che siano stati prima educati e resi idonei a impartire una  educazione ecclesiastica adeguata alla dignità del futuro presbitero [vedere filmato QUI]

… esempio: al di là del riguardo delle televisioni italiane post democristiane, se analizziamo le riprese fatte da televisioni statunitensi facenti capo a società laiciste o protestanti, per non parlare di quelle arabe e israeliane, vediamo ripresi in primo piano durante le celebrazioni di Benedetto XVI un piccolo esercito di cerimonieri che ancheggiano tra sorrisi e moine e che non danno certo bella immagine della Sede Apostolica, ma trasmettono in pochi secondi l’idea subliminale che il tasso di testosterone maschile in certi ambienti ecclesiastici è alquanto basso. Nessuno pretende che siano scelti come vescovi dei fotomodelli, entrare però nel mondo dell’immagine con figure caricaturali se non peggio grottesche, fa male alla Chiesa, rendendo molto pericoloso e nocivo il gioco che certi ecclesiastici fanno con i media …

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Cesare Nosiglia

QUANDO LA CHIESA GIOCA COL PERICOLOSO MONDO DELL’IMMAGINE – S.E. Mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino.

… sia chiaro: il Cardinale Alfredo Ottaviani non era un adone, non lo era il Cardinale Giuseppe Siri e non lo era Giovanni XXIII, la bruttezza del quale era però superata da quella di Leone XIII, per seguire col gracile e gobbo Benedetto XV. Ma la bruttezza di certe figure o la pappagorgia che rese simpatico Ottaviani, erano compensate da capacità e da talenti non comuni riconosciuti anche da molte persone avverse alla Chiesa. Ciò che quindi io lamento è la moltiplicazione di figure che neppure i vignettisti anticlericali dell’Ottocento avrebbero disegnato, quasi come se oggi la Chiesa volesse fare un lauto pranzo di nozze con noci e fichi secchi, presentanto pubbliche figure che, oltre ad essere sgradevoli, non hanno affatto quel carisma e quel talento che le renderebbe molto belle persino nella loro bruttezza. E chi ragionevolmente ritiene che io sbagli, per favore indichi e dimostri pubblicamente il mio errore di analisi e di valutazione — e se il caso lo richiede pure con tutti i richiami canonici del caso —, a partire dai soloni che sia presso la Santa Sede sia presso la Conferenza Episcopale Italiana si occupano delle comunicazioni sociali, vale a dire gli addetti del servizio di catering che organizzano nozze sontuose con noci e fichi secchi.

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Bagnasco Anselmi-001

il Cardinale Angelo Bagnasco e il suo Vescovo ausiliare, teodrammatica di una Chiesa contemporanea nella quale il servitore non può essere mai più bello del padrone …

Che si miri a scuotere è evidente, lo abbiamo capito sin da quando il Santo Padre, ignorando tutti i teologi di cui dispone, lanciò l’ennesimo messaggio invitando un parroco a predicare gli esercizi spirituali alla curia romana. Il messaggio passato è stata però la sola cosa singolare in sé, ossia l’ennesimo sberlone dato alla curia e ai curiali da un latinoamericano con l’aggravante dello spirito argentino, nonché gravato ― e diciamolo! ― da non pochi pregiudizi anti-romani. Perché a questo punto non so quanto il Santo Padre si sia veramente premurato di conoscere Roma e la sua storia, inclusa la storia di quella curia romana che egli vorrebbe riformare, ma che non può certo riformare senza prima averla conosciuta bene e a fondo, ma soprattutto senza essere libero dal gravame dei pregiudizi. Col tempo potremo però valutare a posteriori quanto egli sia partito libero, oppure solido ed irremovibile sui propri pregiudizi, agendo quindi di conseguenza.

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giovanni XXIII 2

… anche Giovanni XXIII era brutto, a tratti quasi caricaturale, ma era un uomo che pur con tutta la sua amabilità riusciva a incutere sacro timore con un solo sguardo, ed il talento che aveva, la fede, la speranza e la carità che lo animava, uniti alla sua amabile simpatia, non solo lo hanno reso bello, molto di più: lo hanno reso santo e modello di eroiche virtù.

Singolare è il fatto e singolare lo sberlone legato a quegli esercizi spirituali, perché ciò che solo è passato, ancora una volta è stato il gesto, o se preferiamo lo smacco del Santo Padre giunto in pullman ad Ariccia dove si sono svolti gli esercizi, portandosi dietro vescovi e cardinali stile “gruppo vacanze Piemonte, si parte! ”, come diceva un vecchio spot pubblicitario. Ecco quindi che i giornalisti ci hanno deliziati narrando che il Santo Padre si è seduto in mezzo a tutti, alla pari di tutti, in modo semplice, dimesso … perché Francesco è “er papa de noartri ”. Sia chiaro: nulla ho da dire su certi stili caserecci del Santo Padre, molto avrei invece da chiedere riguardo a cose ben più serie, a partire dalla prima: di quegli esercizi spirituali, cos’è rimasto? Di che cosa si è parlato? Come se ne è parlato? Quale messaggio è stato lanciato da un oratore particolarmente illuminato da Dio, chiamato al gravoso ufficio di predicare dinanzi al Successore del Principe degli Apostoli e degli altri Apostoli? Se andiamo al pratico scopriamo che degli esercizi spirituali del Santo Padre Francesco ci rimane solo l’immagine di un parroco che li predica, di un Sommo Pontefice seduto sul pullman con tutti e in mezzo a tutti. Questo ci rimane, ed è davvero misera cosa, come lo sono molte altre costruzioni di case che giorno dietro giorno, anziché sulla roccia, vengono erette sulla sabbia [cf. Mt 7, 26-27]. Al contrario, invece, dei memorabili esercizi spirituali predicati nella Quaresima del 1971 dal Padre Divo Barsotti alla curia romana su invito di Paolo VI, oggi ci rimane in eredità un testo monumentale, a tratti profetico, opera di un autentico mistico, di un autentico teologo, di un vero Padre della Chiesa [vedere QUI]; senza che nessuno di noi sappia e senza che ad alcuno di noi interessi alcunché del come ed a bordo di che cosa sono arrivati i partecipanti, o dove il Beato Paolo VI fosse seduto durante il tragitto.

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Con questo non intendo dire che sia cosa sbagliata prendere dei parroci di consolidata esperienza e promuoverli all’episcopato, perché ciò di cui hanno vitale bisogno le numerose piccole, ma anche medie diocesi italiane, è la figura di un vescovo con esperienza pastorale, che sappia come tale trattare coi suoi presbiteri e che sappia accogliere e guidare la porzione di gregge del Popolo di Dio a lui affidato. Essere però parroco non è affatto una garanzia, perché al vescovo è richiesta una particolare completezza che ben pochi parroci hanno: anzitutto, deve saper governare i propri presbiteri con autorità e autorevolezza, confermandoli giorni dietro giorno nella fede [cf. Lc 22, 31-34] quindi guidare in modo deciso e credibile il Popolo di Dio.

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pugno sul tavolo

al vescovo è richiesto un pugno di ferro ricoperto da un guanto di delicato velluto.

I vescovi devono essere avversi rispetto agli atteggiamenti degli smidollati che per accontentare tutti e non scontentare nessuno, creano situazioni di paralisi auto-distruttiva perché di fatto non governano la loro Chiesa particolare, lasciando che a governarla siano le prepotenze, i litigi e gli arbitrî dei preti divisi tra loro, dove a prevalere è solo l’arroganza dei più forti che nel tempo si sono piazzati nei posti giusti dopo aver collezionato le peggiori armi di ricatto. Preti che in certe diocesi, pur rappresentando un esiguo numero di tre o quattro elementi, hanno messo sotto scacco e ridotto al silenzio tre vescovi uno appresso all’altro, dopo aver fatto loro capire che avevano in mano strumenti di ricatto sia sul versante morale sia sul versante economico per far saltare in aria una diocesi intera, con tutte le implicazioni di carattere penale nel caso in cui certe notizie fossero giunte alle competenti autorità giudiziarie civili. E non pochi vescovi italiani, in situazioni di questo tipo, sono rimasti col loro bel pastorale in mano usato unicamente come gingillo liturgico a fare di fatto niente.

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cattedra episcopale

la cattedra del vescovo sommo maestro [Il modello riprodotto in foto appartiene alla cattedrale di Massa Marittima, QUI]

Il vescovo deve essere un maestro di dottrina. E qui si noti che non ho detto un teologo sopraffino ma un maestro di dottrina, capace d’insegnare e imporre all’occorrenza il rispetto del Magistero della Chiesa qual supremo custode nella sua Chiesa particolare del depositum fidei. E considerate le omelie registrate che sono state pronunciate sia per il loro insediamento in cattedra sia durante i primi atti di ministero episcopale da parte di diversi di questi vescovi provenienti da parrocchie-esistenziali-periferiche, la dottrina di diversi di essi non è poi così entusiasmante; e quando non si conosce bene ed a fondo il depositum fidei, tutelarlo non è facile, anche se naturalmente nessuno pone limiti alla grazia dello Spirito Santo, che però è bene non sfidare.

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Il vescovo deve essere anche un conoscitore di diritto, con un senso naturale spiccato del diritto. E qui si noti: non ho detto che debba essere un sopraffino dottore in diritto canonico ma una persona dotata del senso del diritto, perché se non lo è, scivolerà facilmente nel libero arbitrio, fabbrica di tutte le peggiori ingiustizie. Ed anche in questo caso, molte delle nuove leve, lasciano pure in tal senso a desiderare, pur essendo stati parroci per tanti anni.

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carlo maria martini 3

il Cardinale Carlo Maria Martini, al quale abbiamo dedicato alcuni articoli di critica al suo pensiero teologico [vedere QUI, QUI], ma da noi sempre indicato con venerazione come una tra le più belle figure dell’episcopato del Novecento, semplice ma ieratico liturgo. 

Il vescovo è sommo liturgo e dall’Eucaristia che celebra dipende la validità di tutte le Eucaristie celebrate nella sua Chiesa particolare. E anche in questo caso è bene sorvolare sul modo sciatto e approssimativo col quale taluni vescovi provenienti da parrocchie-esistenziali-periferiche, vere o presunte, sono stati ripresi per anni e anni da numerosi cineoperatori mentre celebravano liturgie sulle quali è bene stendere un velo pietoso.

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Qui mi fermo senza procedere oltre, ma ce n’è a sufficienza per poter affermare che sia le mode, sia il conformismo, portano per vie diverse ma parallele tutte e due allo stesso disastro. Infatti, prima della moda conformista dei vescovi-parroci, abbiamo vissuto sia la moda dei vescovi-curiali sia la moda dei vescovi-professori. Questi secondi, perlopiù legati al pontificato di Benedetto XVI, che rendendosi conto di quanto all’interno della Chiesa il fermento degli errori dottrinari o delle eresie avesse fatto lievitare giganteschi panettoni, per porvi rimedio, anziché chiudere le fabbriche di panettoni, anziché togliere a certe pontificie università e pontifici atenei il titolo “pontificio”, comincia a far nominare vescovi dei professori di teologia più o meno illustri, spesso proprio provenienti da queste fabbriche di eresie, all’interno delle quali erano loro stessi i primi e più perniciosi diffusori. Purtroppo questi professori, alcuni dei quali teologi veri altri invece dei puri palloni gonfiati, nel corso del tempo hanno seminato in giro per le diocesi italiane tanti e tali danni che in molti casi occorreranno decenni prima che si possano riparare, specie quando questi gravi danni sono correlati alle ordinazioni sacerdotali di non pochi soggetti sbagliati che come tali non avrebbero mai dovuto diventare preti.

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prete che benedice i contadini

due contadini si inginocchiano sul terreno fangoso mentre passa il curato di campagna che porta la Santissima Eucaristia a un ammalato. Di fronte a questi testimoni e testimonianze, come possono, vescovi e presbiteri, presentarsi oggi in “braghe e maniche di camicia“? Per cosa, forse per attirare i giovani? Illusi! Sono i preti come quello ritratto in questa foto i soli che oggi potrebbero tornare a riempire le nostre chiese, se la superbia clericale non chiudesse gli occhi pure dinanzi all’evidenza dei fatti.

I problemi non si risolvono passando da una moda all’altra, lo ha già fatto la politica. O la Chiesa vuol ripetere gli errori dei politici? Qualcuno ricorda i tempi in cui dinanzi alla politica caduta ai minimi storici di credibilità, i politici tentarono di allettare gli elettori candidando attori, cantanti e calciatori nelle liste elettorali? A dire il vero fu candidata ed eletta pure una celebre pornostar. Vogliamo ripetere gli stessi errori nella Chiesa, pornostar incluse?

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Il problema non è che per divenire vescovi è necessario essere stati parroci, o professori di teologia, o addetti a mansioni di curia. Non è infatti il ruolo che rende santo l’uomo, ma l’uomo che santifica il ruolo che è stato chiamato a ricoprire. Un buon vescovo può quindi uscire fuori da un parroco di periferia come da un luminare della teologia; da un addetto al servizio diplomatico o da un presbitero che ha servito la Chiesa in un ufficio di curia, proprio perché è l’uomo che fa il buon vescovo e non certo lo specifico incarico che egli ha ricoperto.

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Ildefonso Schüster

I VESCOVI CHE AVEVAMO FINO A POCHE DECINE DI ANNI FA –  il Beato Ildefonso Schüster, Arcivescovo di Milano dal 1929 al 1954. Figura di grande spessore teologico, mistico e grande pastore di anime. Quando faceva la visita pastorale, spesso giungeva alle cinque del mattino davanti alle chiese parrocchiali, si inginocchiava sul sagrato e pregava in attesa che il parroco aprisse la porta per la celebrazione della prima Messa.

In un mio libro pubblicato agli inizi del 2013, parlando dell’episcopato e della nostra naturale vocazione alla santità, scritta nell’acqua del nostro battesimo, affermai che spetta alla Chiesa stabilire in che modo i consacrati nei tre gradi del Sacramento dell’Ordine debbano svolgere e prestare i propri grati e preziosi servizi; presupposto questo che sta a fondamento della natura del Sacramento dell’Ordine. È inammissibile che dei sacerdoti si propongano come candidati all’episcopato o che dei vescovi si propongano per delle grandi sedi metropolitane, per uffici della curia romana o per il titolo onorifico cardinalizio. Chiunque, in modo diretto o indiretto lo facesse, dovrebbe essere di rigore escluso da ogni possibilità di promozione. Nessuno è infatti promosso e consacrato vescovo per proprio prestigio personale ma per essere un servo fedele e devoto a servizio della Chiesa particolare a lui affidata, sempre tenendo a mente che Dio si è incarnato in Gesù non per essere servito ma per servire [Cf. Mt 20,28]. Dovremmo pertanto lavorare per giungere un giorno a un importante risultato: un clero cattolico formato da sacerdoti secolari e regolari perfettamente consapevoli che essere vescovo di una grande e importante diocesi o essere parroco di una piccola parrocchia di campagna è ugualmente dignitoso e importante per la Chiesa, in seno alla quale il vescovo della grande diocesi e il parroco della piccola chiesa di campagna offrono ambedue un servizio indispensabile, accomunati dalla loro medesima natura di servi.

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Nella Chiesa esiste la preziosa figura ispiratrice e l’alto esempio del Santo Vescovo Carlo Borromeo, ma esiste altrettanta preziosa figura ispiratrice di non minore e alto esempio: Giovanni Maria Vianney, eletto non a caso patrono dei parroci e dei sacerdoti. Sicuramente nessuna mente savia avrebbe mai inviato Carlo Borromeo come parroco ad Ars e Giovanni Maria Vianney come vescovo a Milano; ma è appunto la Chiesa, la unica e la sola a stabilire chi deve diventare vescovo di Milano e chi curato di Ars, per sviluppare al meglio la sua naturale vocazione alla santità e per preservare e salvare la fede nel Popolo di Dio.

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Vescovo Mario Enrico Delpini

DALLA IERATICA FIGURA DI  SCHÜSTER ALL’ATTUALITÀ – S.E. Mons. Mario Enrico Delpini, Presidente della Equipe per la Formazione Permanente del clero dell’Arcidiocesi di Milano [vedere QUI]

Quando al buon senso subentrano le mode o le strategie di mercato giocate su veri e propri slogan pubblicitari, il rischio che si corre è quello di mettere Giovanni Maria Vianney a fare il Vescovo di Milano e Carlo Borromeo a fare il curato ad Ars, con un triste risultato conseguente: né l’uno né l’altro diverranno santi. Il primo, non diventerà santo perché risulterà un soggetto inadeguato poiché non all’altezza di fare il Vescovo di Milano; il secondo, non diventerà santo perché risulterà un soggetto inadeguato poiché non all’altezza di fare il curato ad Ars, ed entrambi semineranno danni a non finire.

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Nello stato in cui ci troviamo, è inutile cercare piccole, futili e clericali strategie, oggi mirate alla sfornata dei professori e dei curiali, domani a quella dei parroci che hanno preso in qualche modo su di sé – realmente o per abile burla – l’odore dei poveri e di quelle periferie esistenziali che sembrano andare oggi di moda. Ciascuna di queste scelte sono solo palliativi che porteranno al totale fallimento. Ciò che infatti pare non entrare dentro le teste sempre più piccole di certi ecclesiastici, è il fatto che per giungere ad essere veramente perfetti nell’unità [Cf Gv 17, 23] bisogna procedere all’occorrenza anche con divisioni drammatiche, memori che Cristo Signore è venuto anche per portare la spada e la guerra, non solo la pace [Cf Mt 10,34]; memori che prima o poi, al momento opportuno, il grano dovrà essere separato dalla gramigna, quando si avrà la certezza che per strappare la gramigna non vada dispersa neppure una spiga di grano, cosa che però non vuol dire: aumentiamo la gramigna affinché soffochi definitivamente il buon grano [Cf. Mt 13, 24-30].

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rafael merry del val

il Cardinale Rafael Merry del Val, Segretario di Stato del Santo Pontefice Pio X, un uomo che oggi non diventerebbe mai vescovo o che forse non farebbero neppure diventare prete.

Le mode sono sempre nocive, di qualunque genere esse siano, inclusa la ricerca odierna di parroci con trascorsi veri o presunti tra le Caritas, le baraccopoli ed i campi Rom, perché ciò vuol dire che oggi, un uomo di Dio della straordinaria completezza umana, morale, teologica, giuridica e pastorale come Rafael Merry del Val, non solo non sarebbe mai divenuto cardinale, ma neppure vescovo e forse nemmeno prete, perché solo il suono del suo cognome farebbe storcere molti nasi che fingono di voler sentire l’odore delle pecore da prendere su se stessi, senza avere affatto capito quello che il Santo Padre Francesco voleva dire e trasmettere ai pastori in cura d’anime affermando: «Siate pastori con addosso l’odore delle pecore». Né mai avrebbe fatta alcuna strada un uomo come Giovanni Battista Montini, reo di provenire da una famiglia della vecchia borghesia lombarda. Soprassiedo poi sulle infelici sorti che nella Chiesa modaiola di oggi sarebbero toccate a un soggetto come Eugenio Pacelli e passo direttamente ad Angelo Roncalli, ma a quello vero, non al santino da iconografia popolare. Oggi come oggi, il futuro San Giovanni XXIII, giunto all’apice della carriera diplomatica come nunzio apostolico a Parigi, sarebbe mai diventato Patriarca di Venezia ― per di più ultra settantenne ―, dopo avere trascorso tutta la sua vita nel servizio diplomatico della Santa Sede? Certo che no, perché se fossero state applicate le logiche modaiole odierne sarebbe stato cercato sicuramente un parroco di qualche provincia veneta che tra il 1945 ed il 1950 aveva arricchito il proprio curriculum, sino a renderlo in tal modo episcopabile, dopo essersi dedicato ai profughi ed agli orfani di guerra o per avere servito i pasti ai senzatetto.

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Vescovo Claudio Cipolla

S.E. Mons. Claudio Cipolla, ex parroco, neoeletto Vescovo di Padova, dove da 85 anni non veniva scelto un cadidato che non fosse già vescovo con esperienza pastorale. Dinanzi a questo volto simpatico viene simpaticamente da dire: a certi parroci, finché non gliene regalano una rossa, una dignitosa talare nera non se la mettono neppure per andare a ritirare la nomina episcopale.

Se presso certe sedi vescovili sono inviati da decenni, o persino da secoli dei vescovi che hanno già maturato esperienze pastorali in altre diocesi dove hanno data buona prova di governo, ci sarà pure un motivo? Se alcune sedi arcivescovili italiane sono da secoli anche sedi cardinalizie, è perché vi sono antiche tradizioni legate alla storia ed ai passati regni e principati della penisola italica; da questo si è consolidata una consuetudine che non è detto debba essere mantenuta. Regole e consuetudini possono essere infatti cambiate e, per farlo, Pietro non deve chiedere il permesso a nessuno. Al limite, se vuole, o se è dotato della necessaria umiltà per farlo, può chiedere consiglio a chi certi meccanismi storici ed ecclesiali può conoscerli anche meglio di lui, ma egli resta munito della piena potestas per agire come reputa più opportuno. Che quindi l’attuale Patriarca di Venezia non sia stato creato cardinale, forse al diretto interessato non interessa nulla, ma ai veneziani abituati ad avere da secoli un patriarca insignito anche del titolo onorifico cardinalizio interessa molto e, questa mancata berretta rossa, l’hanno vissuta come una umiliazione. All’altro capo del nostro Paese, i palermitani, si stanno già domandando se dopo la nomina a cardinale dell’Arcivescovo di Agrigento, anche per la loro sede non sarà conferito il titolo cardinalizio al successore dell’ormai dimissionario Cardinale Paolo Romeo.

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Erio Castellucci arcivescovo di Modena

S.E. Mons. Erio Castellucci, neoeletto Arcivescovo Metropolita di Modena

Capisco che il Santo Padre s’è subito dichiarato proveniente «dall’altra parte del mondo» ma ciò non vuol dire cimentarsi nel fare cose dell’altro mondo, perché è pacifico che alla Chiesa italiana, ai suoi vescovi e al suo clero, ma soprattutto alla sua storia bimillenaria, è dovuto perlomeno lo stesso rispetto che il Santo Padre mostra di avere per i profughi veri o presunti [vedere QUI] che sbarcano per una media di 700/800 al giorno in un Paese — il nostro — non in grado di contenere e assistere una tale fiumana di gente, perché stiamo parlando di circa 400.000/ 500.000 persone all’anno che giungono su un territorio non certo esteso come l’Australia. Alla Chiesa italiana e alla sua storia è dovuto perlomeno lo stesso rispetto che il Santo Padre ha per gli abitanti dei campi Rom, i cui addetti all’industria dell’accattonaggio bestemmiano Cristo e tutti i santi lungo Via della Conciliazione dietro a chi osa non dargli soldi. Non è bello né buono, neppure per un Romano Pontefice, seppure avvolto da un’aura “liberista” alla quale crede sul serio o per finta solo quel caso geriatrico di Eugenio Scalfari, lasciare intendere: “Io sono io e faccio quello che voglio”. Per noi è indubbio che tu sei Pietro ― per i tuoi amici pentecostali non so’, ma per noi tu sei Pietro ―, prima stabilisci però regole precise, hai piena potestà per farlo. Prima abolisci usi e consuetudini, poi ti nomini cardinale chi vuoi e quando vuoi, evitando che una fetta di tuoi fedeli, che per secoli hanno avuto a capo della loro diocesi un vescovo sempre creato di prassi cardinale, debbano chiedersi: «Ma che cosa abbiamo fatto di male alla Chiesa e al Santo Padre?». La Chiesa ha bisogno della propria saldezza e della propria stabilità, alla quale concorrono in parte anche tradizioni e consuetudini del tutto accidentali e contingenti che come tali sono mutevoli e possono essere abolite in qualsiasi momento dal Supremo Pastore. Credo però che la persona meno indicata per fare il pericoloso gioco alla destabilizzazione senza prima avere stabilito regole, sia il Successore del Principe degli Apostoli, anche perché prima o poi, il Popolo di Dio, che mai è stato scemo nell’intero corso della storia della salvezza, potrebbe cominciare a chiedersi: a qual pro’ tutto questo, ma soprattutto, a qual prezzo?

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Giuseppe Siri

il Cardinale Giuseppe Siri, Arcivescovo Metropolita di Genova, ricordato anche come uomo di straordinaria classe e di ieratica dignità. Sua madre lavorava come portinaia  e suo padre era un operaio tuttofare. Divenne però sacerdote in un’epoca nella quale i seminari erano dotati di tutti gli strumenti educativi necessari per portare al massimo sviluppo umano, morale, spirituale e teologico dei giovani di talento.

La grandezza della Chiesa è sempre stata quella di essere madre e maestra, ed una buona maestra, che è pure madre, anzitutto educa. Questo il motivo per il quale questa straordinaria madre che costituisce un corpo di cui capo è Cristo [cf. Col 1, 18], non ha mai fatto distinzione di ceto, razza e nazione. Conosciamo tutti i difetti della nostra Chiesa, santa e peccatrice secondo l’antica definizione ambrosiana. Difetti storici che il sottoscritto conosce quanto basta per averli più volte stimmatizzati in ossequio al saggio monito del Sommo Pontefice Leone XIII che l’8 settembre 1899 affermò:

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«Lo storico della Chiesa metterà con maggior vigore in risalto la sua origine divina quanto più sarà stato leale nel non dissimulare minimamente le prove che le colpe dei suoi figli e qualche volta dei suoi stessi ministri hanno fatto subire a questa sposa di Cristo».

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Eppure questa madre e maestra, ed al tempo stesso santa e peccatrice, persino nelle sue epoche più controverse e contrastate ha visto salire ai propri cosiddetti vertici numerosi uomini provenienti da famiglie molto semplici e modeste; perché persino nelle sue epoche più controverse e contrastate riusciva a individuare il talento, anzi: lo ricercava proprio. Chi oggi afferma, con spirito tanto romanofobo quanto anti-storico, che sino a non molto tempo fa, per divenire vescovi e cardinali bisognava chiamarsi Borghese, Orsini, Colonna, Odescalchi, Chigi, Medici, Sforza … sbaglia e mente. Le cronologie dei vescovi che si sono succeduti in molte delle nostre numerose diocesi italiane, annoverano molti nomi di uomini provenienti da famiglie poverissime, entrati nei seminari con i corredi a loro donati da un povero parroco di campagna che aveva raccolto offerte tra fedeli altrettanto poveri.

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pietro gasparri

il Cardinale Pietro Gasparri, Segretario di Stato succeduto al Cardinale Merry del Val, proveniva da una famiglia di contadini marchigiani, da molti è considerato come uno tra i più grandi canonisti del Novecento.

Non si dimentichi che a succedere al Cardinale Rafael Merry del Val, che era un concentrato di sangue delle più antiche famiglie nobili d’Europa, fu il Cardinale Pietro Gasparri, che fu segretario di Stato sotto Benedetto XV e Pio XI, nonché firmatario dei Patti Lateranensi che posero fine alla lunga questione romana cominciata con la presa di Roma il 20 settembre 1870 e durata 59 lunghi anni. Pietro Gasparri, nato nelle Marche in un paesino di provincia, proveniva da una famiglia di contadini dediti alla pastorizia, fu un canonista di rara raffinatezza e determinante fu il suo contributo per la stesura del Codice di Diritto Canonico del 1917. Da modesta famiglia proveniva il Santo Pontefice Pio X, che pure volle accanto a sé nel ruolo di Segretario di Stato il Cardinale Rafael Merry del Val. Da famiglia povera nacque il Cardinale Alfredo Ottaviani, in quel di Trastevere, dove suo padre lavorava come operaio presso un fornaio. Ci fermiamo a questi pochi esempi perché lunga davvero sarebbe la lista di uomini i cui nomi sono oggi inseriti nella storia della Chiesa e che non portavano affatto i cognomi delle più potenti famiglie principesche europee.

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Che dire poi del fatto che a inizi anni Sessanta, mentre negli Stati Uniti d’America c’era la segregazione razziale tra bianchi e neri, a Roma, un neoeletto cardinale nero vestito di rosso porpora con ermellino e cappa magna, riceveva il baciamano a ginocchio flesso da parte dei membri della nobiltà pontificia? Conosce il Santo Padre Francesco queste edificanti perle di storia legate ad una curia romana che bacia la mano ad un nero mentre negli Stati Uniti i neri non potevano neppure salire sui mezzi pubblici? È informato, il Santo Padre Francesco, che il suo Sommo Predecessore Benedetto XIV, al secolo Prospero Lambertini, nel 1741 non esitò a sfidare, pur con tutti i rischi del caso, le maggiori potenze europee, condannando senza appello la schiavitù e dichiarando illecita, pena l’immediata scomunica, la vendita e la riduzione degli indios in schiavitù? Condanna peraltro già erogata in precedenza dai suoi Sommi Predecessori Eugenio IV [1435], Paolo III [1537], Urbano VIII [1639], nessuno dei quali proveniva dalle periferie esistenziali né mai avevano svolto alcun apostolato nelle villas de las miserias.

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Alfredo Ottaviani

il Cardinale Alfredo Ottaviani in una immagine della vecchiaia. Fu prefetto dell’allora Sant’Uffizio, oggi Congregazione per la dottrina della fede, uomo di grande acume e protagonista teologico del Concilio Vaticano II. Nacque in Trastevera da una famiglia molto povera e come il Card. Merry del Val si dedicò molto alle attività caritative a favore dei bimbi romani di quel quartiere, i quali lo soprannominarono affettuosamente per il suo enorme doppio-mento “er cardinale pappagorgia“.

Temo purtroppo che da alcuni decenni si siano frantumati equilibri delicati e antichi, ed oggi sembriamo giunti all’apoteosi. Mai infatti, nel passato, un Rafael Merry del Val ha impedito a un sacerdote di riconosciuto talento di sedere con lui negli scranni del Collegio Cardinalizio, poiché reo di provenire da modeste origini. Quel che però oggi si dovrebbe invece temere è che numerosi Pietro Gasparri e Alfredo Ottaviani totalmente privi del grande talento e della grande pietà che caratterizzò questi uomini di Dio, ma ricolmi in compenso di ambizioni alle quali mai potrebbero aspirare nel mondo civile, possano impedire a un Merry del Val di diventare vescovo e cardinale, poiché «non corrispondente a quelli che oggi sono i criteri e gli stili pastorali»  — da villas de las miserias — «del Santo Padre Francesco», con tutto l’immane danno che ne deriverebbe alla Chiesa privata di tale fede, di tale talento e di tale intelligenza rara. 

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Io non so se qualcuno rifletterà su tutto questo, in una Chiesa non più capace ad educare e per logica conseguenza a cogliere il talento ed a mutare in autentici principi i Gasparri e gli Ottaviani, facendo di loro dei principi per nulla meno principi di un principe di nascita come Merry del Val. Temo che in questi tristi tempi, dove tanti uomini di Chiesa paiono drogati dall’immediato e dal vivere giorno dietro giorno senza pensare al futuro ed a costruire per il futuro, in pochi faranno di simili riflessioni. Quando infatti da una parte si fanno i golpe e dall’altra si cede alle mode, per prima cosa si perde la libertà dei figli di Dio e si cerca con le peggiori coercizioni ed i peggiori arbitrî di obbligare anche gli altri alla perdita di questo prezioso dono di grazia. E una Chiesa non più libera che barcolla tra esperimenti fallimentari e mode altrettanto fallimentari è destinata al collasso, a partire dal suo cuore: il Sacro Collegio degli Apostoli, nel quale reclutare un mediocre dietro l’altro affinché trionfi il golpe della mediocrità al potere. Mai come oggi è infatti risuonato il falso e fuorviante monito rivolto da Giuda:

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[…] Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: «Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?». Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me» [Gv 12, 3-8]

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E assieme al pretesto dei poveri, oggi rischiamo di avere anche un vero e proprio esercito di Giuda, ladri e traditori, pronti a usare i poveri come falso metro di misura e come nuovo pretesto di promozione per il loro tornaconto personale, mossi sempre da quelle insopprimibili ambizioni originate dalla regina madre di tutti peccati capitali: la superbia, che da sempre acceca, impedendo di percepire correttamente il presente e di costruire santamente il futuro a lode e gloria di Dio.

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Giacomo Biffi e l’idea della “essenza del male”

GIACOMO BIFFI E L’IDEA DELLA ESSENZA DEL MALE 

In occasione della scomparsa di Giacomo Biffi i Padri dell’Isola di Patmos hanno dedicato alcuni commenti alla sua figura ed alle sue opere [QUI, QUI], ai quali fanno seguito oggi alcune pacate perplessità, perché quello che innanzitutto non convince, è la concezione del defunto Cardinale della realtà presupposta alla idea del male.


Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

 

 

biffi copertina

l’opera di Giacomo Biffi [Ed. Cantagalli]

Nel libro del Cardinale Giacomo Biffi Memorie e digressioni di un Italiano Cardinale” [1] ho letto alcuni suoi pensieri sull’essenza del male, che non mi hanno del tutto soddisfatto. Egli infatti parte dalla metafisica di Soloviev, il quale vedeva la realtà come “unitotalità”, che Biffi definisce la “forma della verità dell’essere”, per cui il male sarebbe ciò che “si separa” da questo tutto: “il male è perciò essenzialmente divisione e separazione, perchè è decadenza dalla “unitotalità”. Il rischio, in questa visuale, è quello di concepire il male come una decadenza o allontanamento dalla totalità, sicchè il rimedio si risolve in un ritorno di tutto alla totalità, che recupera se stessa, ed avremo la famosa “apocatastasi” di Origene condannata dalla Chiesa. Se invece, come vedremo, il male è una privazione ontologica causata dal volere della creatura, allora siamo disponibili ad accettare la visione cristiana, per la quale il rimedio al male non è un semplice ritorno, ma una ricreazione offerta da Dio al peccatore, la quale offerta, però, fatta a tutti, presso alcuni incontra una resistenza assoluta ed irrevocabile.

apocalisse drago

il mistero del male, raffigurazione del drago dell’Apocalisse

Per questo il rimedio divino al male non raggiunge tutte le creature, ma solo quelle che lo accettano. Nella visione cristiana infatti non tutte le creature ritornano all’Uno-Tutto, cioè a Dio, non perché Dio non può farle tornare, ma perché non vogliono. Nella visuale cristiana Dio permette infatti che nella questione del male entri in gioco il libero arbitrio della creatura, capace di scegliere il male, ossia di privarsi del bene divino in modo definitivo ed irreparabile.

La visione origenista, invece, simile a quella di Plotino, di tutto che esce dall’Uno e torna all’Uno, di tutto che esce dal Tutto e ritorna al Tutto, è grandiosa ed affascinante, ma si scosta dal dato della fede, che prevede la pena eterna per i dannati. Nell’interpretare la Parola di Dio, non bisogna partire da un’idea, per quanto bella e sublime, e voler far entrare per forza la Parola di Dio dentro in quell’idea; ma, al contrario, è la nostra idea che deve, per quanto possibile, rispecchiare la Parola di Dio. Questa è la vera teologia; l’altro è gnosticismo. Del resto, come abbiamo anche in altre religioni, non mancano motivi di convenienza per ammettere nell’altra vita un premio o un castigo eterni [2].

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raffigurazione dell’Inferno [opera di Claudia Rogge]

In verità, il concepire il male come proprietà di un ente che si isola o si separa dal tutto o dall’insieme al quale appartiene, non mi fa difficoltà. Non c’è dubbio che è male separarsi dalla Chiesa; è male che l’organo di un vivente sia separato dall’organismo; è male estrapolare una frase dal contesto che ne assicura il reale significato, e così via. Ma in realtà il male è qualcosa di ben più profondo, che attiene, come vedremo, alle radici dell’essere.

Mitigare o attenuare l’idea e la presenza del male e concepire un universo nel quale il male sparisce del tutto può sembrare una soluzione confortante ed anche più degna dell’infinita bontà di Dio; ma in realtà tale bontà emerge proprio quando guardiamo il male in faccia senza celare in nulla la sua profonda essenza. Dio si mostra più potente se abbiamo un’idea giusta della radice ultima del male.

Quello che innanzitutto non mi convince è la concezione della realtà presupposta alla idea del male del Cardinale Biffi. Osservo innanzitutto che solo Dio è al contempo uno e tutto. L’unitotalità non è la “forma della verità dell’essere” ut tale, ma dell’essere divino. Solo Dio è assolutamente uno nella sua infinita semplicità e nella sua inconfondibile identità. Ed ogni perfezione Egli comprende virtualmente nella sua infinita essenza, come la causa contiene in se stessa virtualmente tutti i suoi possibili effetti. In tal senso si può dire che Dio sia “tutto” [Sir 43,27]. Inoltre c’è il rischio del panteismo: se la realtà è unitotalità e l’unitotalità è Dio, allora la realtà è Dio. Inoltre, non può esserci nulla fuori dell’unitotalità; se no, non sarebbe totalità. Ma allora, se il male è “separazione” ed è fuori da questa totalità, il male è nulla. Oppure bisognerà ammettere che per poter essere nella realtà, ossia nella totalità, il male, benché separazione, dovrà essere comunque all’interno di questa totalità. Ma se questa totalità è Dio, allora il male è in Dio. Insomma, da questa visione di Soloviev, fatta propria da Biffi, nascono molti inconvenienti.

San Filippo scaccia il dragone dal tempio di Hierapolis

San Filippo scaccia il dragone dal tempio di Hierapolis [Filippino Lippi da Prato, XVI sec.]

Il male, certo, è un non-essere. Eppure esiste. E dunque deve bene in qualche modo trovarsi nella realtà, ossia nella totalità dell’essere, non certo nella totalità intesa in senso divino, giacchè in Dio non c’è il male, ma semmai nella totalità pluralistica, in senso trascendentale, ossia nella totalità delle cose, dove effettivamente esiste il male. Ma se non si fa questa distinzione, si finisce col cadere nel panteismo. E allora il problema diventa drammatico ed insolubile: o si nega l’esistenza del male, dato che Dio è buono; o se si vuol ammettere l’esistenza del male, si è costretti a porlo in Dio. Inoltre, se l’unitotalità è, come dev’essere, Dio, il male non può essere una “decadenza” da Dio, una diminuzione o caduta o abbassamento della divinità. Il male non viene da Dio, ma dalla creatura. Esso è una decadenza dalla o della creatura dal suo stato di normalità, così come Adamo è decaduto dal suo stato di innocenza.

Certamente la creatura razionale peccando si separa da Dio: ma il male che commette non è una “decadenza” dalla divinità, giacchè la creatura, sia pur peccatrice, non è un abbassamento o decadenza della divinità, ma un ente prodotto da Dio dal nulla, in sé buono e che si rende cattivo non “decadendo da Dio”, ma con la propria cattiva volontà. Essa certo si allontana da Dio e Gli si oppone, ma non nel senso di perdere un’originaria divinità dalla quale decadrebbe. Dio, nel creare una creatura sia pur peccabile, non decade affatto né lei decade da Lui, ma resta sempre Lui nella sua infinita perfezione e bontà.

dio idolo

Dio Padre non è un idolo …

La totalità come realtà, invece, complessivamente, è l’insieme di Dio e delle creature. Essa certo è la totalità di tutto ciò che esiste. Ma non è la totalità univoca di un uno, di un solo ente, come sarebbe la totalità di un intero, così come potremmo dire: tutta la mela o tutto l’individuo.

Non è neppure la totalità divina, assolutamente indivisibile. È invece la totalità di un insieme di enti: Dio e il creato. È sbagliato altresì chiamare “intero” l’insieme delle cose, come fa Bontadini, perché ciò ancora una volta dà l’idea di un unico ente, del quale gli enti sarebbero solo parti. La realtà complessiva non è un’unica sostanza, come credeva Spinoza, un intero divino, del quale gli enti siano parti o modi, ma è un insieme di sostanze, ognuna delle quali è distinta dalle altre ed è un intero divisibile, collegata con le altre a formare un unico insieme unificato sotto il governo della suprema Entità divina indivisibile.

La realtà nel complesso è la totalità di un insieme di tutti, è un tutto di tutti, ciascuno dei quali è un tutto diverso degli altri. Diversa è la totalità divina dalla totalità della creatura. Riguardo alla creatura o alle creature, si parla di totalità in un senso molteplice, diversificato, analogico. Un conto dunque è il tutto metafisico o trascendentale e un conto è il tutto ontologico o sostanziale. Quest’ultimo può essere un tutto creato o il tutto divino. Il tutto metafisico risulta dall’insieme degli enti: Dio e il creato, che a sua volta è un insieme di tutti, ossia di sostanze.

uno tutto

la totalità …

La totalità degli enti comprende Dio e il creato. Dio dunque è pensato dialetticamente come se fosse una parte di questo tutto, benché egli ontologicamente sia tutto e al di sopra di tutto, una totalità ben più perfetta della totalità di tutti gli enti creati messi assieme. Ogni ente creato sostanziale è una parte del creato, benché anch’esso limitatamente sia un tutto. Il suo essere è un essere per partecipazione, dipendente dall’Essere per essenza che è Dio.

Sulla base di queste considerazioni, che interpretano la visione metafisico-teologica di Biffi, è possibile ora prendere in esame come egli vede l’essenza del male. Egli non considera l’aspetto ontologico, il male come privatio boni debiti, la ὑστέρησις di Aristotele [hystéresis, “ritardo”], ma lo limita ad un disordine o una disorganizzazione tra enti in sé completi e buoni. È un po’ come può capitare in una collezione di opere d’arte, nella quale una viene sottratta da un ladro. Si tratta sempre di un’opera d’arte, che però non è più al suo posto.

separazione

Separazione, opera di Edvard Munch

Così il male, secondo Biffi, è l’atto della parte che si stacca dal tutto ed entra in conflitto col tutto. È una parte che spezza l’unità. Ora, non mi pare che questo discorso, in sé certamente valido, colga veramente alla radice l’essenza del male. Infatti, l’aspetto radicale del male non attiene tanto all’ordine o alla composizione delle parti nel tutto, quanto piuttosto alla mancanza di integrità o di perfezione dell’ente stesso. Il male ha a che fare con la corruzione del soggetto, al limite, per la Bibbia, con la morte del soggetto stesso.

Il male non è solo una questione di disarmonia o di separazione o di divisione o di contrasto nei confronti di una totalità o in un insieme, quanto piuttosto riguarda il piano dell’essere, anzi del non-essere. Il male è una carenza di essere prima di essere una separazione della parte dal tutto. Il male intacca la sostanza dell’ente prima di attenere alla sua posizione rispetto agli altri enti. Il male riguarda l’esistenza. È una carenza di essere in un soggetto che in sé resta buono. Non è un semplice non-essere, ma è il non-essere di qualcosa che dovrebbe esserci e non c’è. La carenza può essere nello spirito: nell’intelletto e nella volontà. Abbiamo allora il male di colpa, il peccato. O può essere patita dal soggetto. E abbiamo allora il male di pena. Se questa pena è giusta, allora abbiamo un bene; se è ingiusta, ciò suppone una colpa nel giudice, per cui questa pena, ossia questo male va tolto. In ogni caso il male è una privazione di essere.

male e morte

il male è connesso alla morte …

Per questo nella Bibbia il male è connesso con la morte. Il male è l’odio per la vita e la soppressione della vita. Cristo chiama il demonio, dal cui peccato ha origine il male, “omicida sin dal principio”. Il male di colpa è un’ingiustizia, ma non sfugge al controllo della giustizia divina. Il castigo è un male, ma è un male giusto, perché è bene che il malvagio sia punito. L’eternità della pena infernale si risolve dunque ad essere un bene eterno.

San Tommaso sostiene che i giusti in paradiso si rallegreranno nel vedere il castigo dei dannati. È giusto che i parenti di una vittima del terrorismo si rallegrino nel vedere condannato l’assassino all’ergastolo. Non dobbiamo farci giustizia da soli, ma solo perchè, come ripetutamente insegna la Bibbia, a Dio spetta la vendetta [cf per es. Rm 12,19]. Quanto al dannato, non ha di che lamentarsi, giacchè il male da cui è afflitto se lo è procurato con le proprie mani. Nessun malvagio, quindi, se non si pente, speri di potere farla franca approfittando della bontà di Dio.

Pur distinguendo nettamente bene e male, sì da condannare ogni doppiezza, il cristianesimo ammette un male che è bene: il giusto castigo. È male che il malvagio non sia punito. Anche la croce è un male che è bene; un male salvifico. Evitare la croce è male. Sopportare la croce è bene. Ecco quindi che nella visione cristiana il male alla fine dei tempi viene sconfitto nel senso che cessa la sua attività contro il bene. E tuttavia restano le pene eterne a manifestare la divina giustizia. Dunque, la “ricapitolazione di tutte le cose in Cristo”, della quale parla San Paolo [Ef 1,10] non va intesa nel senso origenista di una ricomposizione dell’unitotalità infranta, sì che il male sia totalmente abolito. Questo non corrisponde al dato rivelato, che prevede il premio dei buoni e il castigo dei cattivi. Scompare dunque il male di colpa, ma non il male di pena.

ricapitolazione

ricapitolazione di tutte le cose in Cristo …

L’unitotalità, che in realtà è attributo divino e non il carattere del reale, non viene affatto infranta dal male e quindi non ha bisogno di ricomporsi. Essa non decade da se stessa, ma resta sempre intatta ed inviolabile. In Dio il male è totalmente assente. Invece il piano divino della salvezza non prevede l’eliminazione della colpa in tutti gli uomini, ma solo nei predestinati. Anche la volontà dei reprobi, quindi, ostinatamente ed irreversibilmente ribelle a Dio, concorre all’ordine dell’universo mostrando come Dio può trarre il bene anche dal male.

La ricapitolazione voluta dal Padre e compiuta da Cristo significa dunque che il Padre ha sottomesso a Cristo tutte le cose [cf v.22], sì che “ogni ginocchio si pieghi davanti a Cristo nei cieli, sulla terra e sotto terra” [Fil 2,10]. Cristo è però il Salvatore del mondo non nel senso che tutti si salvano, ma nel senso che Egli ha offerto a tutti la possibilità della salvezza, alla quale però alcuni per loro colpa si sottraggono, meritando la giusta pena.

Per sua espressa dichiarazione, Cristo ha quindi la funzione di Giudice escatologico, che “separa le pecore dai capri”. Questa ricapitolazione, quindi, non va intesa nel senso origenista come convergenza finale di tutte le cose verso Cristo, sì che il male scompaia completamente. Ma tale convergenza rappresenta invece la Signoria di Cristo sul paradiso e sull’inferno. L’idea di un Cristo ricapitolatore che ricompone l’unità in modo tale che nulla resti al di fuori in opposizione a questa unità (i dannati), può avere un suo fascino, ma non è cristiana; è un’idea gnostica, contraria al Vangelo e all’insegnamento della Chiesa. Dato che questa “unitotalità” suppone uno sfondo panteistico, si comprende che ad essa ripugni ammettere il male in Dio. Ma in una concezione metafisica pluralistica e non monistica, non fa difficoltà ammettere accanto e sotto a Dio, libero dal male, il libero arbitrio della creatura peccatrice.

dannazione eterna

… la dannazione eterna è una scelta dell’uomo

Nella visione cristiana l’evento del male comporta in certi casi (la dannazione) una separazione definitiva del peccatore dal Tutto, ossia da Dio, benché questa separazione, permessa da Dio, non comporti in Dio alcun difetto o colpa, ma la responsabilità dell’atto ricada completamente sul peccatore. Questo vuol dire che la visione cristiana della totalità lascia uno spazio al male non in Dio ovviamente, ma nel creato a testimoniare il dominio di Dio sul male, quel Dio, che avendo creato anche chi si danna, continua ad amarlo con la sua provvidenza.

Il fatto che alcuni non si salvino — come è attestato dalla Rivelazione — non è il segno di una qualche imperfezione nell’opera della salvezza. Infatti Cristo ci mette in mano i mezzi per salvarci; ma non possiamo in effetti salvarci se non collaboriamo con la grazia salvifica. Il che vuol dire che il male fatto dal dannato non viene riparato, ma resta solo a testimoniare la giustizia punitiva divina la quale, anche in questa situazione estrema, non è separata, come osserva San Tommaso, dalla misericordia.

Cristo pantocratore cattedrale di cefalù

il Cristo Pantocratore [Cattedrale di Cefalù]

Ogni uomo rende gloria a Cristo, anche coloro che sono “sotto terra”, ossia all’inferno. La privazione del bene dovuto resta dunque in eterno nella volontà dei dannati, segnata dalla sanzione della divina giustizia. L’opera della salvezza non si limita a riordinare ciò che era disordinato, a riunificare ciò che era diviso, a riconciliare ciò che era in contrasto, ma comporta una vera e propria opera creatrice: ridare l’essere a ciò che ne era privo: tale è il perdono dei peccati, il riscatto dei poveri, la consolazione degli afflitti, la misericordia per i miseri, la liberazione dei prigionieri, la risurrezione dei morti. Tuttavia anche laddove il peccato non è perdonato, si manifesta il bene della divina giustizia.

In conclusione, è impossibile comprendere l’essenza profonda del male e quindi della potenza di Dio nel toglierlo, senza una metafisica della creazione. La vittoria sul male è una nuova creazione. Il vedere il male solo legato a una disarmonia, non ci dà sufficientemente l’idea del male così come ci è chiarita dalla Rivelazione. E non ci dà un’idea sufficiente della potenza salvifica divina. Tanto meno il male può essere concepito come un decadere dalla o della divinità o un fatto interno alla divinità o un momento dialettico del divenire divino. E quindi la salvezza non è neppure una ricostituzione della divinità. Nella visione cristiana il fatto che Dio si incarni non vuol dire che Dio si sporchi nella vicenda del male: Egli, purissimo ed innocentissimo, lo conosce meglio di noi e lo abborre più di noi. Per questo ci ha dato suo Figlio che ci libera dal male, ma che è anche Giudice dei vivi e dei morti. Nella visione cristiana la nozione del male suppone quella del non-essere e quindi da una parte la privatio e dall’altra quella del nulla, dal quale Dio trae l’essere. Se in alcuni uomini resta in eterno la privatio, ciò non smentisce l’infinita misericordia, potenza e bontà di Dio, ma rappresenta un segno del potere di Dio sugli inferi e sulla morte.

Varazze, 23 luglio 2015

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NOTE

[1] Cantagalli, Siena 2007, p.524.

[2] Cf il mio libro L’inferno esiste. La verità negata, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2010.

Superato il milione: croce e delizia dell’Isola di Patmos …

SUPERATO IL MILIONE: CROCE E DELIZIA DELL’ISOLA DI PATMOS …

 

I Padri dell’Isola di Patmos sono lieti di comunicarvi che la nostra rivista telematica di teologia ecclesiale e di aggiornamento pastorale, inaugurata il 20 ottobre 2014, in 9 mesi di vita ha superato alla fine giugno il milione di visite.

 

Autore Redazione dell'Isola di Patmos

Autore
Redazione
dell’Isola di Patmos

 

Cari Lettori.

I Padri dell’Isola di Patmos sono lieti di comunicarvi che la nostra rivista telematica di teologia ecclesiale e di aggiornamento pastorale inaugurata il 20 ottobre 2014, in soli 9 mesi di vita ha superato alla fine del mese di giugno il milione di visite.

Gli esperti informatici e gli esperti dei nuovi sistemi di comunicazione ci hanno detto che questo risultato è «inusuale» e «strepitoso».

primo milione

il primo milione di Paperon de’ Paperoni

Assieme alla delizia c’è però anche la croce: L’Isola di Patmos è in “profondo rosso“, ossia in “totale bolletta“.

Nel corso di questi mesi abbiamo invitato più volte i Lettori a sostenerci anche con piccole donazioni. E da soggetti per molti versi ingenui tali siamo, in virtù del numero sempre crescente di visite e di visitatori pensavamo, e più volte ci siamo detti: se solo il 10% dei nostri visitatori ci invierà tramite il comodo e sicuro sistema Paypal qualche spicciolo, il nostro problema sarà risolto, e noi potremmo disporre dei mezzi necessari per portare avanti il nostro lavoro, perché non è vero che in internet è tutto gratis, al contrario: per lavorare in modo professionale e avvalersi dei programmi e servizi necessari, tutto è rigorosamente a pagamento. 

Rendendovi partecipi del successo che L’Isola di Patmos ha riscosso e sta riscuotendo, questa volta, anziché “richieste” o “inviti”, ci limitiamo a farvi una promessa: fino a quando ce la faremo, pur con tutti i sacrifici del caso, seguiteremo ad offrirvi il frutto del nostro sincero e fedele lavoro; quando non ce la faremo più, chiuderemo come suol dirsi “bottega” in gloria, ossia in pace con Dio e con le nostre coscienze, per avere fatto tutto ciò che potevamo fare ed offerto tutto quello che potevano offrire attraverso il portentoso mezzo della rete telematica, che usato in un certo modo può essere un prezioso strumento di evangelizzazione per raggiungere molte membra del Popolo di Dio sempre più disorientate e smarrite.

Continuate quindi a seguirci sempre più numerosi … finché morte non ci separi !

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I DATI STATISTICI DELL’ISOLA DI PATMOS IN 9 MESI DI VITA

 Dal 20 ottobre 2014 al  20 giugno 2015

numero totale di visite: 1.135.753, numero totale di visitatori: 380.956.

Media mensile:

visite 126.194, visitatori 42.200

Media giornaliera:

visite 4.200, visitatori 1.420.

Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Infallibilità e fallibilità del Sommo Pontefice

INFALLIBITÀ E FALLIBILITÀ DEL SOMMO PONTEFICE

 

Il Romano Pontefice, per quanto dotato del carisma dell’infallibilità come maestro della fede, resta pur sempre un essere umano fallibile e peccatore, laddove non gioca questo carisma. Se nel campo della dottrina della fede è infallibile, nel campo della sua azione pastorale e di governo, nonché nella condotta privata può peccare in vari modi, come per esempio nella prudenza, nella giustizia e nella carità.

 

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

Pope Francis

il Santo Padre con un copricapo indigeno durante la visita in Brasile

La questione dell’infallibilità o meno del Romano Pontefice coincide in qualche modo con quella dell’infallibilità o meno del Magistero della Chiesa. Che si intende infatti con questa espressione? Il potere che il collegio episcopale ha, sotto la guida del Papa, di insegnare, interpretare e diffondere il Vangelo. Certo esiste un potere magisteriale proprio e personale del Papa: ciò che egli insegna da sè di sua iniziativa, a prescindere dal consenso o meno del corpo episcopale. Per esempio, le catechesi sulla “teologia del corpo” svolte da San Giovanni Paolo II dal 1979 al 1983. Abbiamo qui allora il magistero pontificio. Ma siamo daccapo: il collegio dei vescovi ha il dovere di far proprio questo magistero, in quanto applicazione del comando di Cristo a Pietro: “confirma fratres tuos” [cf. Lc 22,31-34]. E, d’altra parte, è inconcepibile un magistero dei vescovi che non sia presieduto ed approvato dal Papa.

Pope Francis

il Santo Padre con un copricapo indigeno durante la visita in Brasile

Parlando di infallibilità o non infallibilità del Papa, è come se si parlasse quindi di infallibilità o non infallibilità della Chiesa stessa, in quanto guidata dal corpo episcopale unito al Papa, la cosiddetta “Chiesa docente”, benchè poi alla fin fine, come dice il Concilio Vaticano II, tutta la Chiesa e quindi ogni fedele, sia infallibile nel credere e nel proclamare la Parola di Dio, si intende sempre sotto la guida dei vescovi e del Papa. La lettrice delle Letture della Messa, quando le proclama, è infallibile. Il bambino del catechismo, se risponde bene alle domande della maestra, è infallibile.

papa copricapo 4

il Santo Padre indossa il cappello di uno sposo in Piazza San Pietro

Comunque, nella Chiesa il Papa è il solo membro a godere di un carisma personale di infallibilità. Tutti gli altri vescovi e cardinali, per quanto dotti e santi, non posseggono nessun carisma personale di infallibilità e possono cadere nell’eresia, come è dimostro dalla storia. Oppure si può dire che sono infallibili, singolarmente o in gruppo, si trattasse di un’assemblea conciliare, solo in quanto uniti a Pietro e sottomessi a Pietro. Il conciliarismo, più volte apparso nella storia, è un’eresia, non corrisponde alla volontà di Cristo. Così pure il semplice “primato d’onore” senza potere magisteriale e giurisdizionale sostenuto dalle Chiese scismatiche orientali, è un’eresia contraria a ciò che Cristo ha voluto e comandato a Pietro e ai suoi successori.

papa copricapo 5

il Santo Padre con il cappellino dell’infiorata della Città di Spello

Il Papa è infallibilmente assistito dallo Spirito Santo quando svolge il suo compito di annunciare e interpretare il Vangelo e di confermare i fratelli nella fede. Naturalmente il Papa, in quanto uomo peccatore, figlio di Adamo, sarebbe fallibile anche nelle cose della fede e della morale cristiane, se non godesse di questa assistenza ed è effettivamente fallibile, quando, per vari motivi, non gode di questa assistenza. E fallibile vuol dire che può sbagliare, che può lasciarsi sfuggire un errore. O che può dar per certo quello che non lo è, o viceversa può dar per opinabile quello che è certo. La maggior certezza che il Papa ci è Maestro nella fede e quando insegna infallibilmente la Parola di Dio, l’abbiamo quando egli stesso dichiara di parlare a nome di Cristo e intende definire un dogma della fede, come è insegnato nel Concilio Vaticano I.

VATICAN-POPE-AUDIENCE

il Santo Padre indossa il cappello degli alpini

Perché ci sia l’infallibilità non sono necessarie queste dichiarazioni esplicite e solenni, piuttosto rare, ma è sufficiente che il Papa ci proponga insegnamenti che comunque si rifanno al dogma o alla Tradizione o li sviluppano e chiariscono o insegnano qualche dottrina necessariamente connessa al dogma o che tocchi in qualunque modo la verità di fede insegnataci da Nostro Signore Gesù Cristo. Così pure le dottrine dei Concili ecumenici, che spiegano o approfondiscono o interpretano le verità della Scrittura e della Tradizione, anche se non sono definite, sono comunque definitive, ossia assolutamente e perennemente vere ed infallibili; e ripetono la loro autorità da quella dello stesso Sommo Pontefice che le ha approvate. Anzi, come risulta dalla Lettera Ad tuendam fidem di San Giovanni Paolo II del 1998, esistono tre gradi di infallibilità delle dottrine del Magistero della Chiesa. Il primo, che richiede nel fedele la fede divina o teologale, è quella propria delle verità di fede definite, comunemente dette “dogmi”. Respingere questa dottrina è eresia.

Pope: General audience

il Santo Padre con l’elmetto dei vigili del fuoco

Al secondo grado stanno le dottrine non definite e tuttavia definitive, ossia assolutamente e perennemente vere, oggetto da parte del fedele di fede nell’autorità della Chiesa, la cosiddetta “fede ecclesiastica”. Possono toccare il dato rivelato, oppure verità storiche o speculative necessariamente connesse col dato rivelato, come per esempio l’esistenza dell’anima umana, di Dio, della verità o della libertà o la legittimità di un Papa o di un Concilio; cose che, se non fossero vere, farebbero crollare o renderebbero impossibile la verità di fede. Respingere questa dottrina è errore prossimo all’eresia.

papa copricapo 8

il Santo Padre con un copricato sportivo

Le dottrine del terzo grado riguardano ancora temi della fede o connessi alla fede, quindi si tratta sempre di dottrine vere e certe, ma alle quali il fedele non deve dare un assenso di fede, bensì solo prestare “l’ossequio della sua intelligenza”. Non si tratta qui della Chiesa, che propone, senza definirla dogmaticamente, una dottrina di fede, ma di una dottrina della Chiesa, che ha connessione con la dottrina della fede. Dottrina di questo tipo è per esempio il principio della libertà religiosa o il principio dell’ecumenismo o del dialogo interreligioso proclamati dal Concilio Vaticano II. Respingere questa dottrina è errore contro la dottrina della Chiesa. Nel primo grado abbiamo la dottrina definita, nel secondo la dottrina definitiva, nel terzo la dottrina vincolante.

Perché questi tre gradi? Essi non si riferiscono alla questione della verità, come se, per esempio, fossero vere solo le dottrine di primo grado. Essi invece rispondono ad una ragione pastorale e al modo di aderire al vero proprio della mente umana. Rispondono, in altre parole, ad uno scopo didattico e alla natura stessa della mente umana di accogliere la verità.

papa copricapo 9

il Santo Padre col casco degli operai delle acciaierie di Terni

La Chiesa ha ricevuto da Cristo il deposito della Rivelazione nella sua interezza sin dall’inizio. Ma essa non ha appreso sin dall’inizio con pari chiarezza e certezza tutte le verità della fede. Alcune, quelle sulle quali Cristo aveva maggiormente insistito o che maggiormente apparivano in continuità con l’Antico Testamento, o che apparivano più consone alla ragione, sono emerse subito sin nei primi Simboli della fede. Altre, che si potevano dedurre dalle prime o che erano latenti o implicite sotto le prime, magari di minore importanza o forse anche più difficili da capire, “da portarne il peso”, all’inizio rimasero velate o non così sicure come le prime. Da qui questo processo di differenziazione di più gradi di certezza.

papa copricapo 10

il Santo Padre con il cappello dei bersaglieri

Il progresso della Chiesa nella conoscenza del dato rivelato non comporta il fatto che Dio nel corso della storia aggiunga nuove verità, ma nel fatto che la Chiesa conosce sempre meglio e con maggior chiarezza tutte quelle verità, che Cristo ha insegnato agli apostoli prima di tornare al cielo. Ora Cristo dal cielo, adesso e fino alla fine del mondo, non aggiunge nulla a quello che ha consegnato allora agli apostoli, ma per mezzo del suo Spirito assiste la Chiesa sotto la guida di Pietro nel comprendere e spiegare sempre meglio il patrimonio della verità rivelata.

La Chiesa non ha solo da chiarire a se stessa la qualità e il numero delle verità rivelate, ma una volta che essa, sotto la guida del Papa, ha chiarito, è suo dovere insegnarle al mondo. E anche a questo punto si impone la necessità di una gradualità: gradualità nel proporre in modo successivo i contenuti dottrinali, cominciando dai più facili o dai più importanti o dai più urgenti. E gradualità nell’enfasi o nel vigore o nell’accentuazione o nella severità coi quali proporre le medesime dottrine, a seconda dei bisogni o delle necessità dei fedeli.

papa copricapo 11

due cappelli regalati al Santo Padre dalla guardia costiera a Lampedusa

L’infallibilità del Papa è storicamente dimostrata: non è mai accaduto che un Papa abbia smentito un suo predecessore in materia di fede. La tesi di Küng pertanto è falsa. Può accadere invece che un Papa cada accidentalmente nell’eresia o perché non in pieno possesso delle sue facoltà mentali o perché minacciato. Gli insegnamenti del Papa o le sue prese di posizione in campo dottrinale devono esser presi in considerazione sempre con benevolenza, fiducia e rispetto, ma anche con saggio discernimento, onde valutare le modalità, il livello di autorevolezza e il genere di interventi o pronunciamenti o delle disposizioni pratiche o degli atti di governo.

papa copricapo 12

il Santo Padre indossa il cappello della delegazione Special Olympics

Dopo essersi accertati, presso fonti sicure, oggettive ed autorevoli del vero contenuto di quanto egli dice o ha detto, la prima cosa da fare è catalogare il tipo e il livello di pronunciamento. I Papi del post-concilio, soprattutto a partire da San Giovanni Paolo II, hanno accresciuto e ulteriormente diversificato i generi dei loro interventi pubblici. Non infrequente è il fatto che essi intendano manifestare semplici opinioni personali, per esempio pubblicazioni, discorsi o interviste, magari seguendo certe tendenze teologiche od esegetiche. È evidente che qui non sono infallibili. Sono, questi, interventi che si aggiungono all’esercizio tradizionale del loro magistero dottrinale e morale, che si esprime nei documenti a vario livello, dalle encicliche ai discorsi, alle udienze generali o alle omelie nelle visite apostoliche; essi conservano l’espressione del loro potere giurisdizionale, pastorale, disciplinare, di governo, diplomatico, legislativo.

Nel loro insegnamento morale, occorre fare attenzione a quanto è riconducibile a verità di fede distinguendolo dalle direttive, che possono essere oggetto di discussione. Al riguardo, degno di ogni rispetto, anzi di obbedienza di fede, è l’insegnamento morale pontificio che fa rifermento alla legge morale naturale, come per esempio le norme dell’etica sessuale o sociale, la pastorale per le persone omosessuali, la proibizione dei contraccettivi, della fecondazione artificiale, o la difesa dei diritti dei poveri e degli oppressi.

papa copricapo 14

il Santo Padre con un cappello delle guide alpine

Parimenti con rispetto devono essere prese in considerazione la disciplina dei sacramenti e le norme liturgiche, anche qui però distinguendo ciò che si rifà ai valori essenziali di fede da ciò che può avere un semplice valore pastorale rivedibile o mutevole. Anche nell’indicarci le vie della salvezza in quei fratelli e sorelle che esemplarmente le hanno percorse — i santi — il magistero pontificio non può che essere infallibile.

Diverso è il caso di sentenze giudiziarie in cause di scomunica o di scisma o comunque di delitti in campo canonistico, mentre il Papa non può sbagliare nel giudicare eretica una dottrina. Quanto a pronunciamenti relativi a fenomeni carismatici, come per esempio le apparizioni mariane, qui il giudizio non è infallibile, comunque si deve supporre che sia improntato a prudenza.

Papa Francesco e la regina elisabetta

la Regina Elisabetta con il suo cappello delle grandi occasioni accanto al Santo Padre durante l’udienza

Il Magistero pontificio e in generale quello della Chiesa possono e devono essere valutati sì alla luce della Tradizione e della Scrittura, non però con l’atteggiamento occhiuto, diffidente presuntuoso, potremmo dire farisaico, di colui che si tiene pronto col fucile puntato a scoprire il Papa in fallo, magari per accusarlo di modernismo, ma con la fiducia che da lui abbiamo la giusta interpretazione della Tradizione e della Scrittura. È cosa saggia e giusta interpretare in bene certe sue espressioni che a tutta prima possono sorprendere. Così similmente, prima di negare l’infallibilità delle dottrine del Concilio Vaticano II, come alcuni fanno, si rifletta bene sul fatto che esse, se non contengono nuovi dogmi definiti, tuttavia presentano nuovi sviluppi della Tradizione e nuove spiegazioni della Scrittura, che non possono non impegnare, magari al terzo grado di autorità, l’ossequio sincero del vero fedele cattolico.

Ma è parimenti dovere di lealtà ed onestà verso il Sommo Pontefice non tirarlo dalla nostra parte, come fanno i modernisti, solo perchè il Papa si mostra aperto ai valori della modernità, dimenticando però il durissimo attacco che egli rivolge nell’enciclica Laudato si’ contro quello che è stato il peggior veleno della modernità: l’antropocentrismo.

papa sulla cattedra

il Sommo Pontefice Francesco, 266° Successore del Principe degli Apostoli, sulla Cattedra del Vescovo di Roma

Il Romano Pontefice, per quanto dotato del carisma dell’infallibilità come maestro della fede, resta pur sempre un essere umano fallibile e peccatore, laddove non gioca questo carisma. Se nel campo della dottrina della fede è infallibile, nel campo della sua azione pastorale e di governo, nonchè nella condotta privata può peccare in vari modi, come per esempio nella prudenza, nella giustizia e nella carità. Per questo egli ha bisogno del nostro aiuto, anzitutto della preghiera, ma anche, per chi può, di costruttive proposte in campo dottrinale, morale e pastorale, sempre lasciando a lui l’ultima parola. È molto importante pertanto sapere con chiarezza dove il Papa può essere criticato e dove dev’essere obbedito. Questa chiarezza è indispensabile per una continua fruttuosa avanzata sul cammino della salvezza.

Varazze, 13 luglio 2015

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 E io ti dico:

«Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

[Mt 16, 18-19]

Se Giacomo Biffi perde il treno, Luigi Negri gli corre dietro

SE GIACOMO BIFFI PERDE IL TRENO, LUIGI NEGRI GLI CORRE DIETRO

 

Stando alla predicazione diretta di Gesù Cristo «ogni albero si riconosce dal suo frutto», non dalle sue parole, non dalla sua produzione saggistica, non dagli scritti critici a posteriori. O per dirla più chiara ancora: non si criticano, da arcivescovo omai emerito, quei danni che come arcivescovo in cattedra si dovevano evitare, riparare e, alla buona occorrenza, eliminare e punire.

 

 

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

 

 

rincorrere il treno

fermate il treno …

Io nutro molta riconoscenza a S.E. Mons. Luigi Negri, il quale mi ha segnato col carattere indelebile del sacro ordine sacerdotale e verso di lui mai verrà meno la mia profonda devozione, anche se oggi non è più il mio ordinario diocesano, essendo stato promosso nel 2013 alla sede arcivescovile di Ferrara. Tuttavia, con filiale franchezza, vorrei dire alcune cose. Perché prima di affermare com’egli ha scritto sulla Nuova Bussola Quotidiana [cf. QUI], che il Cardinale Giacomo Biffi è un esempio di obbedienza al magistero della Chiesa, bisognerebbe intendersi su che cosa realmente è l’obbedienza in una dimensione escatologica, perché il suo senso e fondamento si trova in vari testi sacri, a partire dal prologo alla Lettera ai Filippesi, nella quale viene portato come modello di obbedienza ― fino alla morte di Croce ― il Verbo di Dio fatto uomo [1].

Se infatti consideriamo l’obbedienza per ciò che essa realmente è sul piano metafisico, non obbedienzacredo che il Cardinale Giacomo Biffi sia un modello di purezza nell’obbedienza al Magistero della Chiesa, considerando che per oltre quarant’anni ha sostenuto l’eresia della “resurrezione immediata“, forse per una erronea interpretazione di un passo paolino contenuto nella Prima Lettera ai Corinzi [2]. Questa teoria ereticale è stata condannata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede negli anni Ottanta, tanto che lo stesso Cardinale Giacomo Biffi fu da essa richiamato su questo specifico tema, anche se solo pochi anni fa pubblicò sull’Osservatore Romano una ritrattazione, perché per elaborare il senso di umiltà alcuni possono impiegare anche dei decenni; nel frattempo, però, il danno era già stato fatto.

luigi negri durante una lezione

S.E. Mons. Luigi Negri durante una lezione

Anche riguardo al “cristocentrismo” di cui parla l’Arcivescovo di Ferrara, che pure è stato per tre decenni docente di filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ― pur palesandosi di fatto più esperto di sociologia politica che di metafisica e di teologia dogmatica ― occorrerebbe fare molta attenzione, perché in realtà il Cristianesimo non è cristocentrico, ma patrocentrico. Cristo non viene da se stesso ma dal Padre e ci conduce al Padre: «Chi ha visto me ha visto il Padre» [3]. Certo, il Padre ha voluto glorificare il Figlio, ma perché il Figlio glorifichi il Padre [4]. Dio non aveva alcuna necessità di incarnarsi e l’Incarnazione è un puro e libero gesto di amore e di misericordia del Padre verso di noi.

biffi montanelli

il Cardinale Giacomo Biffi e Indro Montanelli

Chi non sapeva concepire Dio, se non incarnato, era Martin Lutero. Un’eresia che portata alle estreme conseguenze finisce con l’essere riassunta nel celebre aforisma di Hegel: «Dio non è Dio senza il mondo»; e questo, di fatto, è puro panteismo.

Il Cardinale Giacomo Biffi si dichiara quindi in modo implicito per l’antico principio pagano Uno-Tutto. È la scuola di Parmenide, di Bontadini e di Severino, la tanto celebrata “Scuola di Milano” ― Milàn è un gran Milàn! ―, una scuola di “geni” dalla quale è uscito anche Giuseppe Barzaghi. Scuola giustamente attaccata e severamente criticata da Cornelio Fabro, di cui personalmente sposo in pieno la critica.

Biffi Andreotti

il Cardinale Giacomo Biffi e Giulio Andreotti a un meeting di Comunione e Liberazione

Il Cardinale Giacomo Biffi era un ammiratore di Soloviev, che a sua volta era discepolo di Schelling, il quale è punto di riferimento anche del Cardinale Walter Kasper. E da questo si capisce come e perché il Cardinale Giacomo Biffi ammirasse Giuseppe Barzaghi: perché tutto quanto era giocato in famiglia.

Non mi sono mai imbattuto in pensieri di Giacomo Biffi, né alcuno me li ha mai segnalati; quello che so di lui è per esperienze o per letture dirette delle sue opere.

Giacomo Biffi ombrello

il Cardinale Giacomo Biffi in una delle sue ultime apparizioni pubbliche

Per esempio: è mai entrato in modo concreto nella tematica del post-concilio affrontandone come Vescovo tutte le problematiche sul piano del governo pastorale, non solo attraverso la sua produzione saggistica? Nella concretezza del suo governo pastorale, ha difeso sul serio gli insegnamenti della Chiesa? Ha mai criticato in modo aperto e scientifico i modernisti impedendo loro di prendere campo negli ambiti ecclesiastici e soprattutto formativi della sua arcidiocesi? A parte la sua ottima critica tardiva [5] fatta nel 2010 a Giuseppe Dossetti [1919-1996] quattro anni dopo la sua morte, ha mai posto qualche concreto argine alla perniciosa “Scuola di Bologna” di Dossetti & Alberigo, durante i suoi due decenni di episcopato, iniziati nel 1984 e non certo nel 2010? Perché a me risulta che essere Arcivescovo metropolita di Bologna e come tale anche Gran cancelliere della Pontificia facoltà teologica dell’Emilia Romagna, non comporta, nell’uno e nell’altro caso, l’essere insigniti di due meri titoli onorifici, ma di un vero e proprio munus gubernandi che dovrebbe evitare a chi lo esercita di lasciarsi andare a critiche solo dinanzi alla stalla vuota, quando ormai i buoi sono fuggiti da anni e corrono allo stato brado per le praterie, divorando tutto ciò che trovano lungo il loro cammino. Perché stando alla predicazione diretta di Gesù Cristo, «ogni albero si riconosce dal suo frutto» [6], non dalle sue parole, non dalla sua produzione saggistica, non dagli scritti critici vergati a posteriori. O per dirla più chiara ancora: non si criticano, da arcivescovo omai emerito quei danni che come arcivescovo in cattedra si dovevano evitare, riparare e, alla buona occorrenza, punire ed eliminare, perché simili e incontrovertibili dati di fatto stimolano in tutto e per tutto l’esercizio del mio senso critico basato sulla ragione e sulla libertà dei figli di Dio.

Il Cardinale Giacomo Biffi è stato un uomo di cultura, ha dei buoni spunti critici e propone alti valori, ma senza mai entrare troppo nel merito e senza approfondire e precisare più di tanto; cosa questa tipica dei socio-politologi, non dei teologi, specie di coloro che attraverso certe tematiche legate alla cristologia ed alla ecclesiologia si muovono di rigore sulla dogmatica.

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il Cardinale Giacomi Biffi con alla sua sinistra Luigi Giussani ed alla sua destra Giuseppe Dossetti

Da cosa dipende tutto questo: da carenza di visione o da opportunismo? Perché di fatto il Cardinale Giacomo Biffi non era poi così coraggioso come lo si vuol far passare e come forse egli stesso riteneva di essere, tutt’altro: dinanzi a gravi situazioni pastorali e derive ecclesiali e dottrinarie, spesso ha voltato la faccia altrove, elargendo semmai due gustose, argute ma di fatto inutili battute sagaci, che stranamente piacevano anzitutto proprio ai suoi oppositori raggruppati nei circoli di una certa sinistra radical-chic.

Il fatto che il Cardinale Giacomo Biffi sia stato lodato dalle colonne di Avvenire dal massone dichiarato Fabio Roversi Monaco, ex Rettore Magnifico dell’Alma Mater Studiorum di Bologna [cf. QUI], non mi fa per nulla buona impressione, perché per il soggetto cattolico che sono, personalmente desidero essere attaccato da certe persone, non lodato; a meno ché la lode non sia la conseguenza o perlomeno il preludio della loro conversione a Cristo ed alle verità di fede annunciate dalla sua Santa Chiesa.

biffi quinto vangelo

il Cardinale Giacomo Biffi durante la presentazione di una sua nuova pubblicazione

Per questo motivo mi chiedo e chiedo: tutte le lectiones magistrales che per anni il Cardinale Giacomo Biffi ha tenuto all’Università di Bologna, erano segno di un testimone di Cristo, oppure effetto di un pastrocchio giocato sulla promozione dell’immagine sia sua, sia di Fabio Roversi Monaco?

La teologia, più che con le frasi ad effetto, le battute e le arguzie, si fa citando autori, fonti e fatti precisi, argomentando e portando motivazioni ragionevoli basate rigorosamente sul dogma. E su questo punto ― come in molti altri ― il teologo metafisico Antonio Livi ha sacrosanta ragione.

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il Vescovo Luigi Negri e di spalle dinanzi a lui Ariel S. Levi di Gualdo che gli rende omaggio

Mi domando quindi se l’Arcivescovo Luigi Negri è al corrente dei difetti pastorali del Cardinale Giacomo Biffi, alcuni dei quali sono stati indicati nel mio precedente articolo [cf. QUI] sulla base di fatti e non certo di mere opinioni; difetti pastorali che chicchessia potrebbe smentire entrando però nel merito.

Mi permetto poi di sorridere sulle goliardiche espressioni attraverso le quali l’Arcivescovo Luigi Negri chiude il proprio commento laudativo parlando di «tempi mediocri» e di «mediocrità ecclesiastica». È vero che questi sono tempi mediocri e che la mediocrità appesta e soffoca il mondo ecclesiastico, sono anni che su questo tema io scrivo e pubblico analisi lanciando grida di disperazione nei deserti dell’accidia clericale, pagandone però in concreto tutte le relative conseguenze, comprese alcune rampogne passate del Vescovo Luigi Negri, che oggi parla di certi drammi intra-ecclesiali dei quali io parlavo e scrivevo tra il 2010 e il 2012 e per i quali mi procacciai per tutta risposta i suoi rimproveri, compresa la minaccia a proibirmi la scrittura, cosa che nessun vescovo italiano ha mai proibito a dei pubblici eretici come Andrea Gallo, Paolo Farinella, ecc … che dell’egocentrismo e della disobbedienza alla dottrina e al Magistero della Chiesa hanno fatto la loro pubblica bandiera ideologica.

L’augurio che voglio esprimere all’Arcivescovo Luigi Negri è quindi che lo Spirito Santo, al tramonto del suo mandato episcopale che sta volgendo al termine, lo riempia dei suoi doni di fortezza e di sapienza.

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NOTE

[1] Cf. Fil 2, 5-11.
[2] Cf. I Cor. 15,51-52.
[3] Cf. Gv 14,9.
[4] Cf. Gv 17, 1-10.
[5] Giacomo Biffi, “Memorie“, seconda edizione, pp. 485-493.
[6] Cf. Lc 6,44.

Giacomo Biffi ha perduto il treno?

GIACOMO BIFFI HA PERDUTO IL TRENO?

 

Con il Cardinale Giacomo Biffi torna alla Casa del Padre uno dei tanti Vescovi degli ultimi cinquant’anni di storia ecclesiale che sembrano avere perduto il treno, pur avendo trascorso la vita a parlare con grande dovizia e competenza delle stazioni ferroviarie, sempre e di rigore pontificando dalla prima classe della sala di attesa della stazione centrale, mentre in tutte le altre stazioni della rete ferroviaria non erano neppure attivi i sistemi per abbassare le sbarre ai passaggi a livello quando transitavano i treni merce.

 

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

 

 

salma  biffi

il feretro del Cardinale Giacomo Biffi trasportato all’interno del palazzo arcivescovile di Bologna

Non intendo fare il cosiddetto bastian contrario, perché fosse per me vorrei non farlo e meno che mai esserlo. Non intendo però condividere questa italica mania di beatificare il morto a tutti i costi.

Il Cardinale Giacomo Biffi, Arcivescovo Metropolita di Bologna dal 1984 al 2003, è uno dei diversi vescovi italiani che ho rispettato e per più aspetti apprezzato, ma che non ho stimato. Nulla di male, perché come sacerdote devo devoto rispetto a qualsiasi Vescovo in quanto tale, perché il rispetto è loro dovuto — mentre nel caso specifico del Vescovo avente giurisdizione su di me, da parte mia gli è dovuta anche filiale obbedienza — ma la stima no, quella non è dovuta a nessun Vescovo; e se il Vescovo la vuole se la deve meritare e guadagnare. Questo scrissi in modo molto garbato al Cardinale Giacomo Biffi nel 2011, quando gli inviai una copia del mio libro E Satana si fece Trino, nel quale avevo a lui dedicato un garbato paragrafo critico, quello che di seguito vi ripropongo alla fine, ed attraverso il quale lasciavo capire al diretto interessato perché lo venerassi come vescovo ma non lo stimassi.

Carlo Caffarra camera ardente Biffi

L’Arcivescovo metropolita di Bologna, Cardinale Carlo Caffarra, in preghiera dinanzi alla salma del suo precedessore

Dinanzi alla situazione ecclesiale attuale in cui la barca di Pietro è sbattuta dalle onde in tempesta, le responsabilità di uomini come il Cardinale Giacomo Biffi sono enormi; e di queste responsabilità dovranno rispondere a faccia a faccia con Dio, a prescindere dal fatto che con lo stile tutto quanto italico di cui dicevo poc’anzi, certi personaggi finiscano poi beatificati nel corso del breve tragitto che li conduce dalla camera ardente fino al sepolcro, persino dai giornali ultra laicisti  specializzati da sempre a ridurre la Chiesa Cattolica in vera e propria poltiglia.

Carlo Caffarra camera ardente Biffi 2

il Cardinale Carlo Caffarra benedice la salma del Cardinale Giacomo Biffi

La mia modesta e sofferta esperienza di presbitero e di pastore in cura d’anime mi ha insegnato a misurare certi uomini di Chiesa non sulla base di ciò che dicono, ma di ciò che fanno, o spesso di ciò che non fanno, perché il peccato di omissione, assieme al peccato capitale di accidia, sono i due peccati più praticati di questi tempi dagli ecclesiastici. Il tutto al di là del fatto che io sia disposto, come esorta il Vangelo, a fare quel che di giusto e saggio dicono ma non a fare quel che di sbagliato fanno: «Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito» [cf Mt 23, 3-4]. Purtroppo, i problemi davvero seri subentrano quando invece ci ritroviamo nella gravosa condizione di non poter fare quel che fanno ma neppure ciò che di sbagliato dicono.

Il Vescovo, depositario della pienezza del Sacerdozio apostolico e legittimo erede degli apostoli, è un Padre che governa la Chiesa particolare a lui affidata. E un Vescovo non si misura né si giudica storicamente dalle battute sagaci che ci ha donato o dai libri che ha scritto, ma da ciò che ha fatto, dal modo in cui ha governato la sua Chiesa e curato la porzione del Popolo di Dio a lui affidata. Se quindi da una parte giudico il Cardinale Giacomo Biffi una penna brillante, un oratore acuto, un uomo di raffinata intelligenza ed un uomo di fede, dall’altra ho molte riserve sul suo lungo governo pastorale, che si misura su tutt’altri elementi, ne cito solo alcuni tra i tanti:

1. Mentre una gran fetta di clero bolognese scivolava nella più profonda secolarizzazione ed i teologi modernisti avevano portato brillantemente a compimento un vero e proprio golpe nella diocesi felsinea, dove era e che cosa faceva, il Cardinale Giacomo Biffi, che di quella Chiesa particolare non era un semplice acuto e ironico osservatore “esterno”, bensì la suprema guida?

2. Mentre per scarsa vigilanza e deficitaria formazione offerta, nel corso degli anni uscivano dal Seminario Arcivescovile di Bologna anche preti non idonei al sacerdozio, formati spesso in modo pessimo grazie ai “buoni” uffici di diversi cattivi maestri, con tutti i problemi anche gravi che da ciò ne conseguono di prassi nel clero, dove era e che cosa faceva il Cardinale Giacomo Biffi, visto che li ha consacrati sacerdoti lui? Sbaglio, o la parola “vescovo” deriva dal greco επίσκοπος, che alla lettera significa “controllore”, “vigiliante”?

3. Quando diversi presbiteri anziani e parroci di lungo corso lo supplicarono più volte di non ordinare sacerdoti certi soggetti, il Cardinale Giacomo Biffi, con l’ironia — o forse col cinismo? — che lo ha sempre contraddistinto, lasciando basiti questi anziani rispose che «nella Chiesa c’era anche bisogno di manovalanza» (!?). Rispondendo a questo modo, fu mai sfiorato dal drammatico dilemma riguardo a che cosa sarebbe accaduto alla Chiesa, quando molti di questi “manovali”, bravi come pochi a strappare i buoni tralci nella vigna del Signore, sarebbero divenuti formatori, docenti di teologia, o addirittura vescovi?

4. Mentre l’ambito teologico e formativo di Bologna era un potente e inespugnabile feudo dei dossettiani, mentre veniva riconosciuta e lasciata la licenza per l’insegnamento a soggetti che si dilettavano a firmare manifesti contro la Conferenza Episcopale Italiana e di fatto contro il magistero pontificio [vedere QUI]; mentre un numero elevato di docenti preposti alla formazione dei futuri presbiteri criticavano apertamente il magistero di Giovanni Paolo II negli studi teologici bolognesi, dove era e che cosa faceva in concreto il sagace e ironico Cardinale Giacomo Biffi?

5. In una pubblicazione delle Edizioni Cantagalli il Cardinale Giacomo Biffi ha tessuto le lodi di Giuseppe Barzaghi, sui cui clamorosi errori dottrinari non intendo soffermarmi, preferisco lasciare la spiacevole incombenza a Giovanni Cavalcoli, se ne avrà tempo e voglia, visto che fu lui — in seguito anche il nostro caro e stimato Antonio Livi — a confutare questo suo confratello domenicano, pagando un carissimo prezzo, consapevole di quanto gliela avrebbero fatta ingiustamente pagare per attentato di … “lesa maestà”  [vedere QUI, QUI].

6. Quante volte è accaduto che il Cardinale Giacomo Biffi, affatto esente da quella umoralità che poco si addice a un uomo di governo, in sua qualità di Presidente della Conferenza Episcopale dell’Emilia Romagna favorì la nomina di soggetti non idonei all’episcopato e quante, quando poi certi candidati da lui stesso proposti difettarono, anziché ammettere di avere sbagliato a valutarli, li protesse dinanzi alla Santa Sede, anziché invocare per loro tutti i dovuti e severi richiami?

7. Perché il Cardinale Giacomo Biffi, Arcivescovo Metropolita di Bologna, Presidente della Conferenza Episcopale dell’Emilia Romagna, membro del Collegio Cardinalizio, membro di tre importanti dicasteri romani, con la possibilità di contatto e di accesso diretto ai Sommi Pontefici Giovanni Paolo II e Benedetto XVI dei quali ha sempre goduto la profonda stima, si è invece limitato a ironizzare a destra e a manca, attraverso discorsi e libri, anziché esercitare tutte le prerogative proprie del suo alto ufficio epurando per esempio dagli studi teologici certi cattivi maestri preposti ad allattare i futuri preti col latte avvelenato delle peggiori eresie moderniste ed i pensieri ambigui ed equivoci di Hegel e di certi teologi della Nouvelle Théologie?

omaggio del sindaco di Bologna a Giacomo Biffi

l’omaggio del Sindaco di Bologna alla salma del Cardinale Giacomo Biffi

La Chiesa universale e le Chiese particolari non si salvano con due sagaci battute ironiche, né con battute molto pertinenti e intelligenti né con decine di pubblicazioni; perché quando si è avuto da Dio il dono profetico di leggere in anticipo l’evolvere di certi problemi nel corso dei tempi, si è tenuti più che mai ad agire, pagando di rigore sempre cari prezzi, come ci insegna la storia della Salvezza, come ci insegna la fine riservata ai Profeti d’Israele, come nel loro piccolo hanno pagato senza esitare i padri dell’Isola di Patmos, senza mai mercanteggiare sulla verità e sul mistero della Salvezza.

camera ardente Biffi

l’omaggio dei fedeli alla camera ardente del Cardinale Giacomo Biffi

È vero, come hanno scritto in questi giorni i beatificatori, che il Cardinale Giacomo Biffi aveva parlato in anticipo sul pericolo della nuova “invasione islamica”, come di recente ho ricordato anch’io a suo indubbio merito [vedere QUI], ma mentre lui parlava di questo problema che da lì a breve avrebbe creato situazioni di emergenza non più arginabili, molti suoi presbiteri erano attivi più che mai ad accogliere in gloria i musulmani, a sistemarli al meglio dentro casa nostra; molti suoi parroci erano operosi nel favorire i matrimoni misti tra donne italiane cattoliche e uomini musulmani, come lo erano nel portare avanti quel falso e male inteso ecumenismo — che non alberga peraltro in alcun documento del Concilio Vaticano II — da egli sempre e giustamente criticato. Purtroppo, mentre il Cardinale Giacomo Biffi faceva battute sagaci, nel corso degli anni Ottanta molti suoi presbiteri organizzavano incontri inter-confessionali da far accapponare la pelle agli ecumenismi più spinti delle regioni del Nord dell’Europa, nel totale silenzio e nella completa non-azione e non-reazione del loro vescovo.

salma Biffi Ernesto De Vecchi

il Vescovo ausiliare emerito di Bologna, S.E. Mons. Ernesto Vecchi, benedice la salma del Cardinale GIacomo Biffi

Credo che il Cardinale Giacomo Biffi, per dono e grazia particolare dello Spirito Santo, abbia saputo leggere e descrivere la realtà del presente e quella del futuro che ci attendeva, limitandosi però a giocare di ironico fioretto dinanzi alla casa avvolta dalle fiamme. O per dirla in altri termini: al Cardinale Giacomo Biffi non era stata data solo la luce della consapevolezza, perché assieme ad essa gli era stato dato un compito preciso e con esso pure tutti i più adeguati strumenti di azione, ma con quel cinismo tipico dei clericali ammantati dietro ad altrettante ragioni clericali “sempre superiori”, ha fatto un lavoro a metà. Ritornando infine alla Casa del Padre con una percezione ed una consapevolezza oggettiva molto drammatica di quella realtà della quale egli ha parlato e scritto, ma che di fatto non ha affrontato e dinanzi alla quale non ha agito facendo uso di tutti i poteri apostolici di cui era stato rivestito dai doni di grazia dello Spirito Santo.

Giacomo Biffi Giovanni Paolo II

un’immagina del Cardinale Giacomo Biffi con Giovanni Paolo II

Non solo il Cardinale Giacomo Biffi era stato munito di tutti gli strumenti pastorali di governo, ma anche dei migliori sostegni, inclusa la stima di due Sommi Pontefici e quella di molti cattolici che lo avrebbero protetto e seguito anche dinanzi a sue decisioni molto impopolari. È tornato pertanto alla Casa del Padre uno dei tanti Vescovi degli ultimi cinquant’anni di storia ecclesiale che hanno perduto il treno, pur avendo trascorso la vita a parlare con grande dovizia e competenza delle stazioni ferroviarie, sempre e di rigore pontificando dalla prima classe della sala di attesa della stazione centrale, mentre in tutte le altre stazioni della rete ferroviaria non erano neppure attivi i sistemi per abbassare le sbarre ai passaggi a livello quando transitavano i treni merce.

E che il Signore possa avere misericordia di lui, perché chi come noi sacerdoti ha tanto avuto in doni di grazia, per il tanto avuto dovrà rispondere molto seriamente a Dio, che userà verso di noi una severità del tutto proporzionata, avendoci affidato la sua Chiesa, il suo Popolo ed il suo messaggio di Salvezza.

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Dall’opera E Satana si fece Trino

cliccare sotto per aprile il file di testo:

IL FIORETTO GRAZIOSO DI GIACOMO BIFFI

 

 

 

 

In memoria di Giacomo Biffi, vescovo

Cristo inchiodato sulla falce e il martello

CRISTO INCHIODATO SULLA FALCE E IL MARTELLO

 

… cosa sarebbe accaduto se durante una visita apostolica in uno dei tanti Paesi da lui visitati nel corso del suo lungo pontificato, qualche Capo di Stato avesse donato a Giovanni Paolo II un Cristo crocifisso sopra una falce ed un martello?

 

 

Autore Redazione dell'Isola di Patmos

Autore
Redazione
dell’Isola di Patmos

 

 

 

falce e martello

donato al Sommo Pontefice un Cristo crocifisso sopra la falce e il martello [cliccare QUI]

Dinanzi a questa immagine fotografica il pensiero è corso al Santo Pontefice Giovanni Paolo II, attraverso una domanda che sorge del tutto spontanea: che cosa sarebbe accaduto, se durante una visita apostolica in uno dei tanti Paesi da lui visitati nel corso del suo lungo pontificato, qualche Capo di Stato gli avesse donato un Cristo crocifisso sopra una falce e un martello?

Sulla falce e il martello sono stati “crocifissi” molti martiri nel corso del Novecento, ma era proprio questa, la vera intenzione del presidente boliviano Evo Morales?

Non abbiamo risposte da dare, però possiamo pregare per tutte le vittime del Comunismo, domandando per noi tutti l’intercessione dei numerosi beati e santi che hanno dato la propria vita per la Chiesa di Cristo e che sono stati martirizzati in supremo odio alla fede dai figli delle peggiori ideologie marxiste, in nome di una Lotta di Classe che nulla ha da spartire con il Vangelo e con l’annuncio della salvezza in esso racchiusa, tanto meno con la difesa dei poveri e degli oppressi.

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falce e martello

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cristo falce e martello 2

Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Uccidere in nome di Dio, riflessioni sull’Islam

UCCIDERE IN NOME DI DIO, RIFLESSIONI SULL’ISLAM

Circa la questione del modo di punire l’empietà è interessante il confronto fra la Bibbia e il Corano. In entrambi è presente l’uso della forza o l’uccisione legittima del nemico, dell’aggressore e dell’empio. Sia la Bibbia che il Corano ammettono un Dio unico che si rivela ai profeti. Ma qui finisce il contatto fra Bibbia e Corano, perché secondo l’Islam la rivelazione che Dio ha fatto della sua volontà salvifica sull’uomo non culmina in Gesù, ma va oltre, corregge Gesù per culminare in Maometto, il quale pretende di correggere Gesù perché non solo si sarebbe fatto Dio, ma ricade nel politeismo pagano, affermando che in Dio ci sono tre persone, quindi affermando tre dèi, empietà gravissima degna per Maometto della pena capitale.

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Riproponiamo oggi, 2 agosto 2016, questo articolo dello scorso anno

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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Rai 1

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I musulmani sono convinti di conquistare l’Occidente, anche quelli che fra loro non sono jihadisti o estremisti, ne sono convinti. Gliel’ho sentito dire molte volte: «Conquisteremo l’Europa con la fede e con la fecondità»

Sua Beatitudine Bechara Boutros Raï, Patriarca di Antiochia dei Maroniti [cf. QUI]

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islam 1

miliziani della jiad islamica

Si sente spesso dire che non si può uccidere in nome di Dio, perchè, si dice, Dio è il Dio della vita e non vuole la morte di nessuno. Non ha senso, anzi è un delitto aggredire il prossimo in nome della religione [1]. Così motivato, questo discorso può avere una sua validità, ed è importante per stimolare l’amore del prossimo e l’onore di Dio, soprattutto nel nostro tempo, nel quale, con i terribili armamenti che abbiamo, se nasce un conflitto serio, sappiamo come comincia, ma non sapremo come andrà a finire. Questo discorso stimola inoltre i fedeli delle diverse religioni al rispetto reciproco e ad astenersi da azioni violente sotto pretesto di difendere la propria religione. Tuttavia resta una perplessità su tre punti: primo, che c’è modo e modo di uccidere: un conto è uccidere un innocente, per esempio un aborto, un conto è uccidere per legittima difesa o per salvare la patria. È vero che Dio non vuole la morte di nessuno.

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islam 4

esecuzione di un cattolico caldeo in Iraq

Chiediamoci allora come va inteso esattamente questo principio. Riguardo ad esso ricordiamo che l’uccisione legittima non è altro che un modo di mettere in pratica un principio di giustizia, ovvero la legge morale o giuridica. Ma chi è l’istitutore primo e sommo di ogni legge e di ogni diritto, se non Dio? Uccidere in nome della legge, della giustizia, del bene comune, della libertà, che cosa è allora in fin dei conti, se non uccidere legittimamente in nome di Dio? Non dobbiamo essere troppo sbrigativi nell’asserire che non si può uccidere in nome di Dio, senza fare le dovute precisazioni; altrimenti si finisce con l’avallare proprio quell’ingiustizia e quella violenza che si vorrebbero impedire, in quanto è proprio la giusta uccisione o il giusto uso della forza, che puniscono e impediscono in certi casi estremi l’ingiustizia, la violenza od i veri e propri sterminî di massa.

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islam 5

un gruppo di caschi blu delle Nazioni Unite

La pace non si costruisce e difende solo pacificamente, ma anche coercitivamente. Parcere subiectis et debellare superbos, come disse il grande poeta Virgilio. Già gli antichi Romani avevano il saggio motto: Si vis pacem, para bellum. Occorre vincere o tenere a bada i nemici della pace. Alla guerra non si rimedia solo invitando i belligeranti alla pace, ma anche indicando concretamente a cosa l’aggressore deve rinunciare perchè non gli sia mossa una giusta guerra. Questa è l’opera evangelica dei fautori di pace. Opus iustitiae pax.

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rapina

rapina a mano armata

Sarebbe bello poter persuadere un malvivente che ci si presenta minaccioso con la pistola puntata a desistere, magari in nome di Dio, dalla sua cattiva azione. Ma l’esperienza insegna che purtroppo difficilmente il malvivente ha timor di Dio, per cui tale nobile esortazione, a meno che non siamo dotati da Dio di un rarissimo dono di persuasività e il malvivente sia toccato dalla grazia, non produce alcun effetto. Ma non si può ordinariamente contare su questi interventi soprannaturali e Dio stesso ci comanda di ricorrere alla prudenza umana. Da qui la necessità di passare alle maniere forti. Il rinunciare alla legittima difesa o a combattere, quando sarebbe doveroso e possibile farlo ― pensiamo per esempio al militare in guerra ― è una grave indisciplina o viltà verso se stessi e verso il bene comune, che può essere passibile di sanzione penale, come nel caso del soldato disertore. Non è detto che salvare la pelle sia sempre e comunque una legittima difesa.

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san massimiliano

dipinto di San Massimiliano Maria Kolbe nel campo di concentramento

Diverso è il sacrificio della propria vita, in campo civile, vedi per esempio Salvo d’Acquisto; o religioso, vedi per esempio San Massimiliano Maria Kolbe. Questo può essere un nobilissimo gesto di eroico amore. E qui abbiamo come modello supremo Cristo stesso e i martiri, che si lasciano uccidere ― per esempio un Sant’Ignazio di Antiochia ― per testimoniare la propria fede o per salvare una moltitudine. Forse che anche in questi casi non si agisce ― o meglio ― non si patisce in nome di Dio? Dio dunque vuole la morte del martire? Il Padre ha voluto come tale ed espressamente la morte del Figlio? Sarebbe empio affermarlo. Il Padre ha voluto il sacrificio del Figlio, che però ha comportato la morte.

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sacrificio di Cristo

il sacrificio dell’Agnello di Dio

Se io pago una somma per acquistare un bene, non la pago per il gusto di spendere dei soldi, ma per acquistare quel bene. Non mi si accuserà di aver sperperato del denaro, ma, se ho fatto un buon affare, sarò degno di lode. Quale “affare” più vantaggioso per noi il Padre, per la gloria sua e quella del Figlio, poteva escogitare che dare suo Figlio per la nostra salvezza? Per questo San Paolo dice che siamo stati «comprati a caro prezzo» [I Cor 6,20]. Coloro che stoltamente, come Edward Schillebeeckx, si concentrano sul fatto materiale della morte di Cristo, per negare il valore del sacrificio redentivo di Cristo voluto dal Padre e per badare solo all’assassinio commesso dagli uccisori di Cristo, non sanno quello che dicono.

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raffigurazione della giustizia civile

Secondo punto. L’agire in nome di qualcuno, se è sincero, è un agire per il quale l’agente compie un’azione, la cui qualifica morale coinvolge e responsabilizza colui in nome del quale l’agente agisce. Da costui, nel nome del quale agisce, l’agente, in fin dei conti, riceve l’avallo o il mandato di fare ciò che fa in suo nome. L’azione dell’agente, quindi, non è che l’esecuzione della volontà o del comando di colui in nome del quale l’agente agisce. Ciò che l’agente fa, lo fa per autorità del mandante, garantito da tale autorità e per onorare lo stesso mandante, che riceve gloria dall’azione dell’agente, supponendo ovviamente che si tratti di una buona azione.

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Che il sacerdote agisce in nome di Cristo, quando ciò avviene validamente e legittimamente, significa che quello che fa, lo fa o a causa o col potere di Cristo o per autorità di Cristo o per mandato o in rappresentanza di Cristo. In ultima analisi, ciò che fa il sacerdote come ministro di Cristo, viene da Cristo. Cristo è la giustificazione ultima di ciò che fa il sacerdote.

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Al di là di una lettura puramente materiale del Quinto Comandamento, oggi di moda, ma solo quando fa comodo, bisogna tener presente che uccidere di per sè non è ancora peccato o delitto. Bisogna vedere perchè o in nome di che cosa o di qual valore o di quale idea si uccide. Il giudice che in nome della legge irroga la pena di morte al malvivente, non è un assassino, ma agisce secondo giustizia, è vindice della legge e difensore del bene comune minacciato del malvivente. Il gioielliere che, minacciato di morte da un malvivente, per difendersi lo previene e lo uccide, non è un omicida, ma ha difeso il valore inviolabile della propria vita di innocente. L’ingiusto aggressore perde il diritto di vivere col suo stesso atto di aggressione, mentre l’aggredito ingiustamente ha il diritto e il dovere di difendersi, fino ad uccidere, se necessario, l’aggressore.

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legittima difesa

legittima difesa

La giusta uccisione è dunque giusta, in quanto giustificata da un valore o da una legge che diano sufficiente motivo giuridico o morale all’atto dell’uccidere. In nome della difesa della vita innocente può esser lecito sopprimere una vita. Un livello inferiore di vita può e deve essere sacrificato al superiore, quando questo è messo in pericolo dal primo. Un culto idolatrico della vita renderebbe impossibile la stessa alimentazione. Ma domandiamoci: che cos’è o chi, in ultima analisi, giustifica o fonda la difesa cruenta della vita, se non il creatore e legislatore della vita, ossia Dio? Ecco dunque come appare evidente, nei casi suddetti, l’uccisione di un malfattore in nome di Dio.

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È ovvio che Dio è il Dio della vita e non vuole la morte dei viventi, neppure quella di una formica, perchè ogni vivente da Lui è creato, amato, custodito e conservato. Ma proprio perchè Dio è tale, protegge difende la vita dall’ingiusto aggressore, tanto da permetterne legittimamente o addirittura comandarne l’uccisione.

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strage degli innocenti duccio di boninsegna

strage degli innocenti, opera di Duccio di Buoninsegna

Poniamoci un’altra domanda: può esser giusto uccidere l’empio, ossia colui che disonora il nome di Dio? Dio punisce l’empio con la morte? Indubbiamente Dio è immortale e non ha bisogno nè di difendersi nè di essere difeso. Tuttavia, anche chi uccide per legittima difesa, anche il giudice che condanna a morte, anche chi combatte in una guerra giusta o per la giustizia o per la libertà, in fin dei conti combatte per Dio o in nome di Dio, che è istitutore e vindice di tutti questi valori. Come dice la Scrittura: «Salvate il debole e l’indigente, liberatelo dalla mano degli empi» [Sal 82,4].

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Circa la questione del modo di punire l’empietà, è interessante il confronto fra la Bibbia e il Corano. In entrambi è presente la coercizione o l’uso della forza o l’uccisione legittima o del nemico o dell’assassino o dell’aggressore, e anche dell’empio. In entrambi questi testi sacri, tali atti, nelle debite condizioni e circostanze, sono innegabilmente voluti da Dio o compiuti in suo nome.

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bibbia

la Sacra bibbia

Sia la Bibbia che il Corano ammettono un Dio uno, unico, spirituale, personale, creatore del cielo e della terra, quindi degli angeli e dell’uomo, eterno, infinito, altissimo, sapiente, provvidente, onnipotente, misterioso, salvatore, giusto e misericordioso, che premia col paradiso i buoni, i credenti e gli obbedienti, e castiga con l’inferno i malvagi, gli infedeli e i disobbedienti.
Questo Dio si rivela ai profeti, come si è rivelato ad Adamo, ad Abramo, a Mosè e a Gesù. Ma qui finisce il contatto fra Bibbia e Corano, perchè, come sappiamo, secondo l’Islam, la rivelazione che Dio ha fatto della sua volontà salvifica sull’uomo non culmina in Gesù (Issa), ma va oltre, corregge Gesù e culmina in Maometto, il quale, senza negare qualità e virtù in Gesù da Maometto stesso considerato santo, fino a rimproverare gli Ebrei di averlo ucciso, tuttavia pretende di correggere Gesù perchè non solo si sarebbe fatto Dio ― e qui Maometto coincide con l’ebraismo ―, ma ricade nel politeismo pagano, affermando che in Dio ci sono tre persone, quindi, agli occhi di Maometto, affermando tre dèi, empietà gravissima, degna della pena capitale.

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corano 2

il Corano, in edizione italiana

La salvezza, quindi, secondo il Corano, non avviene per mezzo del sacrificio di Cristo, ma col sottomettersi a Dio di tutto cuore e con fede assoluta (Islàm), nella preghiera, nelle pratiche rituali e nell’ascolto della guida spirituale (Imàm), nell’obbedire alla legge coranica (Sharìa), nello studio del Corano, nella pratica della virtù e nel riparare ai torti fatti. Per questo il sacrificio cultuale dell’agnello non è un atto sacerdotale, ma di semplice ossequio a Dio, che può essere compiuto da qualunque fedele, come membro della comunità religiosa (Umma).
Diverso è il metodo della diffusione o promulgazione degli ordini divini riguardanti la salvezza nella Bibbia e nel Corano. Nell’uno e nell’altro caso si intima ad ogni uomo di accogliere gli ordini e di obbedire, pena la dannazione eterna. «Chi crede sarà salvo; chi non crede sarà condannato» [cf. Mc 16, 15-16]. Queste parole di Cristo, mutatis mutandis, possono trovare un riscontro nelle parole di Maometto. C’è però anche questa differenza profonda: che mentre Cristo si riferisce alla dannazione ultraterrena, il Corano parla anche di una coercizione terrena immediata.

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Diverso è anche il contenuto del messaggio salvifico nell’uno e nell’altro caso. La differenza massima si nota tra Corano e Vangelo: mentre il Corano si limita a trasmettere ordini perentori con promessa del premio e minaccia del castigo, ciò non è assente nel Vangelo; questo tuttavia ha come annuncio principale, del tutto assente nel Corano, la venuta di Cristo Figlio di Dio incarnato, che ci ha redenti col sacrificio della Croce, donandoci la remissione dei peccati, l’annuncio insomma che Dio vuol farci grazia, renderci suoi figli e donarci la sua stessa vita divina per mezzo di Cristo.

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ordini autoritari

ordine e autoritarismo

Il rapporto del fedele con Dio nel Corano si riassume quindi in quello del “devoto” (muslìm, da cui “musulmano”). È del tutto assente la prospettiva del fedele come “figlio di Dio”, che invece, come si sa, è fondamentale nel Vangelo. Anzi, per il Corano, che non ammette Gesù come Figlio di Dio, l’idea di una figliolanza divina suppone un’inammissibile confidenza con Dio, del quale il Corano, senza escludere la clemenza, accentua però la trascendenza e la temibilità.

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Si noti inoltre che nel Corano la coscienza soggettiva ha una scarsissima parte. Ciò che l’uomo pensa o vuole pertanto non interessa assolutamente niente; per cui il Corano lascia poco spazio alla riflessione personale o al vaglio di segni di credibilità che possano condurre ad una fede convinta e ragionata. Il fedele è più mosso dal timore del castigo che dall’amore di un Dio che è Amore, come nel Vangelo. Egli deve obbedire e basta, tanto più che Dio, quali che siano le decisioni umane, fa quello che vuole senza tener conto delle scelte umane. Da qui il caratteristico fatalismo islamico, che mette in crisi il libero arbitrio umano tendendo però a far derivare da Dio tanto il bene quanto il male.

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conversione forzata

uomini, mezzi e strumenti di conversione forzata all’Islam

Appare l’elemento coercitivo della religione islamica anche sotto questa angolatura: il fedele crede ed obbedisce non tanto per amore o libera riflessione personale in coscienza, quanto piuttosto per timore delle pene eterne e temporali minacciate. Occorre quindi fare una distinzione tra le modalità delle ingiunzioni divine annunciate nell’Antico Testamento e quelle annunciate da Cristo. Inoltre, nella storia della Chiesa, occorre al riguardo, distinguere tre periodi: primo, l’èra iniziale della Chiesa perseguitata dall’Impero Romano; secondo, l’èra costantiniana, inaugurata da Costantino nel 315, della religione cristiana divenuta religio licita e addirittura religione ufficiale dell’Impero. E abbiamo infine il terzo periodo, attualmente in corso, i cui prodromi iniziano, dopo la crisi protestante e il crollo del Sacro Romano Impero, col principio cuius regio, eius religio, ossia la libertà religiosa sancita nella pace di Westfalia del 1648. Tale impostazione del rapporto Stato-Chiesa giunge a maturità in campo civile con la Rivoluzione Francese, la quale pone fine alla teocrazia medioevale (ancien régime), fonda lo Stato laico democratico e conferma il diritto alla libertà religiosa, senza per questo ammettere quella sventura dello Stato ateo, che sarebbe stata la tragedia del XX secolo, della quale ancora non ci siamo del tutto liberati: vedi per esempio il regime comunista cinese.

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cavour

Camillo Benso conte di Cavour ed il principio “Libera Chiesa in libero Stato”

Questo nuovo tipo di rapporto tra Stato e Chiesa ― libero Stato in libera Chiesa ― come diceva il Cavour, liberato dalle venature liberali dalle quali era infetto, è stato in campo ecclesiale ufficialmente riconosciuto, dopo esser stato messo in pratica sin dai secoli passati, dal Concilio Vaticano II. Invece, lo stile coranico dell’annuncio dei comandi divini assomiglia a quello mosaico di più del regime ecclesiale medioevale del “braccio secolare“, allorchè il Papa governava una cristianità europea occidentale interamente cattolica, così da potersi servire in certa misura del potere civile e della forza pubblica per far rispettare le norme dell’etica cristiana e i contenuti della dottrina cattolica, omologati alla legge dello Stato.

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braccio secolare

il braccio secolare

C’è da osservare che il riconoscimento costantiniano del cattolicesimo come religione di Stato, se da una parte aiutò e protesse la Chiesa ad affermarsi sul piano civile e ad espandersi geograficamente in conformità alla sua missione e alle sue finalità spirituali, dall’altra non consentì alla Chiesa di mettere in pratica dovutamente il comando del Signore di diffondere e sostenere il Vangelo con la semplice testimonianza della carità, della solidarietà e della promozione umana, senza l’uso di apparati coercitivi forniti dallo Stato, quello che più tardi sarebbe stato chiamato “braccio secolare“. In ciò la Chiesa non assumeva in pieno il nuovo stile di apostolato voluto da Cristo, ma restava ancora influenzata dalla tradizione mosaica, la quale voleva che l’annuncio degli ordini divini fosse fatto sì dal profeta e dal sacerdote, ma appoggiato dal potere coercitivo e giudiziario del re. Mosè stesso, come si sa, non fu solo profeta e liturgo, ma anche capo politico e militare del popolo di Israele; e Maometto, per il suo stile profetico, non prese a modello Cristo, ma Mosè.

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stato pontificio

Gli Stati della penisola italica e lo Stato Pontificio

In tal modo il papato nel corso dei secoli acquisì, come è noto, un vero e proprio potere temporale con tanto di territorio, che costituì i cosiddetti “Stati della Chiesa“, forniti di forze militari come qualunque altro Stato europeo. Nell’ambito della disciplina ecclesiastica la pena di morte per gli eretici fu abolita tacitamente solo con l’abolizione del codice penale dello Stato pontificio a seguito della caduta del potere temporale nel 1871.

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La nascita dello Stato italiano, ispirata da princìpi di laicità e quindi aperta al diritto della libertà religiosa e la fine del potere temporale segnò l’inizio di una nuova èra del rapporto tra Chiesa e Stato in rapporto all’evangelizzazione e alla questione dell’uso ecclesiastico del potere coercitivo. La Chiesa, pur mantenendo un proprio ordinamento giudiziario e potere coercitivo nei confronti dei fedeli, si poneva verso la società civile non più cattolica ma religiosamente divisa o pluralistica, non più come religione di Stato ovvero in fin dei conti come uno dei poteri dello Stato, per quanto sotto la presidenza del Papa, ma come una comunità di diritto pubblico concorrente al bene comune della società e dello Stato all’interno dello Stato ed obbediente alle leggi civili, pur con una sua autonomia come Chiesa, mentre nel contempo era protetta dalla legge civile.

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conquiste di maometto

le prime conquiste dell’Islam

Quanto al progetto coranico di diffusione dell’Islam, esso prende spunto per un verso dall’impresa del popolo ebraico ideata da Mosè ― sempre, s’intende, in nome di Dio ― e per l’altro verso dal programma evangelico di conquista del mondo a Cristo. Infatti, mentre da una parte l’esercizio della fede islamica è associato al possesso di un territorio, e in ciò il progetto coranico assomiglia a quello mosaico della conquista della Palestina come terra promessa, con l’espulsione forzata dei popoli ivi precedentemente abitanti, dall’altra, a differenza di Israele, i musulmani, prendendo spunto dalla prospettiva cristiana di conquista del mondo, sono convinti che Dio li manda alla conquista del mondo non solo nel senso della diffusione mondiale dell’Islam, ma anche nella convinzione che Dio abbia assegnato a loro il possesso fisico di tutta la terra, cosa che non può avvenire senza l’uso delle armi. Da qui il concetto della “guerra santa” (jihàd), come sostegno militare della predicazione del Corano da parte dei predicatori islamici.

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lapidazione di una donna 1

Siria, lapidazione di una donna …

L’autorità religiosa islamica non pretende di disporre soltanto di quel potere coercitivo che è  consentito in linea di principio per censurare i fedeli devianti, come si dà anche nel diritto canonico cristiano, ma usa minacce e coercizione anche nei confronti degli infedeli o di coloro ai quali viene indirizzato il messaggio coranico. Le parole di Cristo «chi non crede, sarà condannato», dopo averne mutato il riferimento al Vangelo, vengono pertanto adattate alla predicazione coranica e sono intese nel senso che chi non accetta la fede islamica, viene castigato fino alla pena di morte o costretto con la forza ad accettarla.

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lapidazione di una donna

… al termine della quale i criminali dell’Isis hanno diffuso il video

L’uso della forza in nome di Dio nell’Islam fino a giungere all’omicidio nel jihàd, va oltre ogni ragionevole limite di rispetto non solo della coscienza altrui, ma della sua stessa incolumità fisica. Si tratta di uno zelo missionario i cui contenuti dottrinali possono essere parzialmente accettabili, come per esempio gli attributi divini o certi doveri della morale o del culto divino; ma ciò che è assolutamente inaccettabile e, al limite, disumano e barbarico, è questo metodo di pressione violenta e aggressiva, che soprassiede a ogni metodo di pacata e argomentata persuasione, con l’adduzione di prove e segni di credibilità, che caratterizza in modo così evidente l’apostolato cristiano.

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tommaso averroe

il trionfo di San Tommaso d’Aquino nella disputa filosofica con il filosofo musulmano Averroé

Non è che la cultura religiosa, filosofica, teologica e mistica islamica, intendiamoci, non sia ricca di grandi valori e grandi pensatori, maestri, moralisti, poeti e mistici, solo che questa immensa letteratura formatasi nei secoli, niente affatto priva di un suo fascino, di una sua suasività e credibilità, è poi invece di fatto imposta con la forza dall’autorità religioso-politica islamica nel suo inesorabile moto di espansione e di conquista dei popoli non ancora sottomessi al Corano. E questo perchè il motore della espansione islamica non è solo l’interesse religioso, ma inscindibilmente congiunto a questo, è una sete di potere e di dominio politico e addirittura economico.

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In conclusione, possiamo dire che il fare appello a Dio per giustificare l’uso della forza o la soppressione di una vita umana può essere un’azione lecita o lodevole se essa è giusta in se stessa, giacchè Dio è il fondamento della giustizia e il supremo Legislatore, per cui tutto ciò che è giusto può trovare in Lui la sua ultima giustificazione. Tale appello però dev’essere sincero e ben fondato e non dev’essere un pretesto per coonestare un atto di violenza o un’ingiustizia. Occorre pertanto ammirare tanti atti di Santi che nei secoli passati sono ricorsi all’uso della forza o lo hanno approvato in nome di Dio e per amore di Dio. Non possiamo pensare che essi siano stati tutti dei fanatici o dei crudeli o degli ipocriti. Essi erano in buona fede, anche se i tempi non erano ancora maturi, ed anche se indubbiamente essi hanno compiuto atti che noi oggi non faremmo. Ma questo non toglie che restino nostri modelli, una volta che avremo adattato la loro testimonianza alle esigenze della Chiesa di oggi. Molti dubbi invece ci lasciano certe abitudini islamiche inveterate ed ostinate, ― per non parlare dei terroristi, che nulla hanno di religioso, ma sono puri delinquenti ―, che ci fanno sospettare che quel Dio nel nome del quale affermano di agire in realtà sia solo il pretesto della loro superbia, della loro arroganza e della loro intolleranza.

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Varazze, il 2 luglio 2015

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NOTE

[1] Da qui viene la disapprovazione senza appello delle guerre di religione, anche quelle condotte dai cattolici contro i protestanti o contro i musulmani.

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madonna delle milizie

Nella Città di Scicli, nella Sicilia sud-orientale, è conservata la statua della Madonna delle Milizie che caccia via i saraceni che avevano invaso il territorio. Ogni anno la statua della Madonna Guerriera viene portata in processione per le vie cittadine, almeno fino a quando non sarà messa fuorilegge per “discriminazione religiosa” …

La cultura omosessualista e il “feticcio” della omofobia

LA CULTURA OMOSESSUALISTA E IL FETICCIO  DELLA OMOFOBIA

 

Non discuto sui gusti sessuali altrui né sul diritto degli adulti a esercitarli in modo libero e consenziente, ma nessuno può impormi la sodomia a colpi di legge come modello e come stile di vita, proteggendo il tutto con una ulteriore legge — la cosiddetta legge sul feticcio della omofobia — che se mal congegnata rischia di limitare gravemente il diritto all’esercizio delle altrui libertà di pensiero, parola ed espressione.

 

 

 

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Caro Padre Ariel,

sono perplesso del suo ultimo articolo [vedere QUI], anche se non riesco a dare un giudizio, perché ne riconosco tante ragioni di fondo. Per questo le chiedo: da mesi trattate ottimamente temi teologici, era il caso di andare a cacciarsi in tematiche così politiche? La mia è solo una domanda per capire e spero in un suo chiarimento. Ossequi anche al Padre Giovanni Cavalcoli di cui ricordo omelie memorabili e toccanti confessioni, quando era qua in città da noi nel convento di San Domenico.

Giovanni Cantargianni, Bologna

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aborto sacrosanto

non solo l’aborto è un diritto ma un diritto persino “sacrosanto

Attraverso un quesito posto da un Lettore rispondo anche ad altri analoghi pervenuti alla redazione dell’Isola di Patmos, partendo ancòra una volta con un esempio: nel 1978, quando avevo 14 anni, al termine della Santa Messa domenicale accompagnai mio padre, mia madre e mia nonna in una delle sale parrocchiali nelle quali un notaio raccoglieva le firme dei fedeli cattolici da presentare contro il referendum sull’aborto promosso dal Partito Radicale con l’appoggio di altri Partiti più o meno celati dietro a queste teste di ariete. Legge poi ratificata da politici e ministri democristiani, che si guardarono bene dal dimettersi dai propri incarichi di governo, non potendo, come “cattolici”, per gravi questioni di coscienza, porre le proprie firme su quel testo, Giulio Andreotti in testa a tutti, che all’epoca era Capo del governo, checché ne dica a posteriori Renato Farina, che da tempo pare fungere quasi da postulatore per la sua causa di beatificazione [vedere QUI].

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no vatican no taleban

Emma Bonino arringa su un palco contro “l’ingerenza” della Chiesa Cattolica nelle faccende di Stato, mentre Marco Pannella e un’altra militante ostentano il cartello: no al Vaticano no ai talebani

Marco Pannella e la sua discepola Emma Bonino ― che oggi strumentalizzano l’Augusta persona del Sommo Pontefice nel vano tentativo di tirare acqua al loro mulino ― seguitano a parlare della ingerenza dei cattolici nella politica e della “mafia” del Vaticano equiparando i nostri vescovi ai talebani, ogni volta che hanno osato parlare di vita, bioetica e valori legati non solo alla morale cattolica, ma al diritto naturale. Temi sui quali esiste una enorme letteratura scritta, filmica e fotografica, fatta soprattutto di gratuite offese recate al mondo cattolico da Pannella, dalla Bonino per riflesso, ed a seguire dai loro fedeli adepti [vedere QUI].

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Domanda: dinanzi a quel referendum del 1978, i cattolici interferirono sulla politica oppure, come cittadini della Repubblica Italiana a pieni diritti e doveri, esercitarono invece un loro diritto costituzionalmente garantito?

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Sigalini 2

S.E. Mons. Domenico Sigalini, Vescovo della Diocesi suburbicaria di Palestrina

Giorni fa, S.E. Mons. Domenico Sigalini, Vescovo di Palestrina, è stato fatto come suol dirsi nero al programma Announo sulla rete La7 [puntata integrale QUI]. Cosa avvenuta per il fatto che il presule prenestino è scarso in sagacia e dialettica. E dinanzi alla domanda dell’intelligente e simpatico intellettuale omosessuale Aldo Busi ― che di sagacia e dialettica ne ha da vendere ― il quale ha rivolto al Vescovo l’infelice contestazione che nostro compito sarebbe quello di pensare alle nostre sacrestie, il presule prenestino è rimasto ammutolito, esibendo in diretta la sua faccia inquadrata, non a caso in primo piano, con stampata un’espressione smarrita.

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suor Giuliana Galli

Suor Giuliana Galli, opinionista presso il programma Piazzapulita condotto da Gad Lerner, presso il quale rispose non rispondendo a domande sibilline a lei rivolte sulla banca vaticana [vedere QUI]

Premesso che delle bestie dell’informazione e delle macchine da guerra come gli organizzatori di quel programma, se ne guarderebbero dall’invitare uno di quegli esponente del mondo cattolico che li stenderebbe a tappeto. Ecco allora che per realizzare lo scopo di far figurare la Chiesa senza argomenti dandole al tempo stesso una immagine caricaturale, non resta che invitare la suorina alla volemose bene al programma dell’altrettanto infido Gad Lerner, per impelagarsi in argomenti al di sopra delle sue capacità logiche e teologiche di dibattito, per non dire economico-bancarie. Oppure invitando il vescovo prenestino, che quando fa pessime figure a me risulta persino simpatico, se il prezzo di questa simpatia non fosse però così elevato, visto in che modo ciò può tradursi in discredito per la Chiesa Italiana intera, di cui io faccio parte non solo come fedele, ma come devoto sacerdote, quindi libero dinanzi a simili fatti di manifestare disagio e disappunto, semmai pure con un tocco di ironia, mai con mancanza di rispetto, specie nei riguardi di un vescovo.

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Aldo Busi

l’intellettuale italiano Aldo Busi al programma Announo sulla Rete La7

Io che non sono Vescovo di Palestrina e che proprio non sono vescovo affatto – a parte la sede titolare di Laodicea Combusta che mi fu assegnata il 1° di aprile a puro titolo di scherzo [vedere QUI, QUI, QUI] – al buon Busi avrei fatto anzitutto una lezione di laicità e appresso di Diritto Costituzionale, precisandogli che non può ad alcun titolo permettersi, in una Repubblica democratica, di relegare nelle sacrestie, quindi di togliere la parola a dei legittimi cittadini di questo Paese – tali sono i vescovi – aventi come tali tutti i diritti ed i doveri derivanti dallo ius civitatis [diritto di cittadinanza], incluso il diritto di pensiero, parola ed espressione, oltre al diritto di voto. Poi avrei ricordato agli organizzatori di quel programma di quante volte, genuflessi remissivi col microfono in mano, hanno invece ascoltato senza battere ciglio persone che non appartengono a questo nostro Paese, che non ne sono cittadini, ma che pur malgrado, a volte persino con arrogante insolenza, hanno contestato dalle nostre reti televisive le nostre tradizioni, le nostre leggi e le disposizioni date dai vari governi sulle più svariate questioni, immigrazione selvaggia inclusa; oppure disquisendo circa il fastidio intollerabile che causava loro la visione di un crocifisso in un luogo pubblico. E noi tutti, come perfetti beoti, zitti e muti dinanzi a persone provenienti da regimi dittatoriali retti da teocrazie religiose da essi stessi approvate e difese anche in casa nostra, salvo parlare però dalle nostre televisioni del rispetto dovuto all’altrui sensibilità religiosa; la stessa “sensibilità religiosa” in nome della quale nei loro Paesi di origine si tagliano tutt’oggi le gole e le teste ai cristiani, donne e bambini inclusi.

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Alba Parietti

Alba Parietti: quando da una bocca gonfiata come un gommone da mare messa sul trono delle opinioniste fuoriescono perle di stoltezza

Per non dire quel che avrei risposto ad Alba Parietti, che dal superiore tronetto separato a lei riservato in studio s’è persino improvvisata largitrice di etica e di morale. Anzitutto le avrei ricordato che gli italiani la ricordano sempre nel fiore dei suoi anni come una donna di indubbia bellezza, che nel corso dei suoi ormai trentennali trascorsi televisivi e cinematografici ha dimostrato in ogni modo di non saper cantare, di non saper ballare e di non saper recitare; passando infine dai programmi leggeri al ruolo di “illuminata” opinionista. Chiarito il tutto avrei cercato i punti comuni di unione e dialogo con questa Signora, ricordandole a tal proposito che anche lei, come me, forse aveva fatta “carriera” in ginocchio, con la differenza che io, “carriera”, l’ho fatta in ginocchio per pregare. E ciò beninteso, non per dispensare sferzate, ma semplicemente perché un Vescovo, che in quel delicato momento pubblico rappresenta non solo se stesso ma la dignità dell’intero Collegio Episcopale, non può né deve farsi bacchettare da una donna senza arte né talento che ultra cinquantenne vaga oggi da un chirurgo plastico all’altro. Il tutto nel pieno e legittimo esercizio delle sue insindacabili libertà che noi siamo lieti all’occorrenza di tutelare; non però insindacabili fino al punto di bacchettare un vescovo a quel modo, visto che Maddalena, dinanzi a Gesù, si presentò per essere accolta e perdonata, non per rimproverarlo con piglio altezzoso, portandogli semmai come esempio e modello di vita Giuda Iscariota.

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gallo luxuria grillini

il defunto Andrea Gallo al gay pride, alla sua sinistra il travestito Vladimiro Guadango detto Luxuria, ex parlamentare di Rifondazione Comunista, alla sua destra l’ex presidente dell’Arcigay, Franco Grillini, anch’esso parlamentare della Sinistra post-comunista

La Signora Parietti ha infatti elevato a sommo modello il presbitero comunista genovese Andrea Gallo [vedere QUI], che nella sua autoreferenzialità e nel suo egocentrismo patogeno non esitò a sbeffeggiare e “tradire” ripetutamente la dottrina e il Magistero della Chiesa [vedere QUI, QUI, QUI] sino ad affermare pubblicamente di avere accompagnato di persona delle prostitute al consultorio per abortire [vedere QUI], oltre ad avere istituito un pulmino che di notte viaggiava per Genova a distribuire alle prostitute, oltre alle bevande calde, i preservativi [QUI]. Forse è troppo pretendere dal Vescovo di Palestrina, preposto come tale al governo dei presbiteri della sua Chiesa particolare, una risposta secca per chiarire che un prete del genere tutto è fuorché un modello di vita cristiana e sacerdotale; tant’è che il presule prenestino s’è preso quella inaudita lezione da una bocca gonfiata chirurgicamente come un gommone da mare e tacendo dinanzi a milioni di cattolici italiani, compresi i giovani dell’Azione Cattolica, di cui è stato assistente ecclesiastico nazionale.

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Announo Matteo

il giovane Matteo che dagli studi di Announo ha duramente attaccato il Vescovo Domenico Sigalini

Che dir poi del giovane attivista omosessualista che con gli occhi spiritati ha aggredito più volte il vescovo prenestino, dicendogli infine che lui non accettava di sentirsi dire che cos’è la sessualità, o come viverla, da uno che la sessualità non la vive e non l’ha mai vissuta [vedere filmato integrale, QUI]. Ebbene non vi dico cosa avrei dato per essere stato lì in quel momento al posto dell’improvvido prelato, per sentirmi rivolgere quella sola contestazione. Per prima cosa, a quel modo di fare arrogante e aggressivo, con tanto di uso del “tu” verso un prelato grazie a Dio quasi settantacinquenne, avrei replicato che ero io, a non prendere lezioni di sessualità da lui, che la sua sessualità la viveva liberamente e legittimamente a quattro zampe, poi lo avrei informato che prete lo ero divenuto a 40 anni, dopo molte vicissitudini, nel corso delle quali, una delle cose che non era mancata nelle esperienze della mia vita era stata la conoscenza approfondita della sessualità umana, anche se da me mai vissuta a quattro zampe, nei tempi che furono. Il tutto col risultato che avrei finito col procacciarmi la simpatia persino di coloro che non la pensavano come me, i quali avrebbero finito col dire: «Bene ha fatto a rispondergli per le rime, dopo che quel giovinastro lo ha aggredito in modo irrispettoso, perché, in ogni caso, un ventenne non si rivolge a un ultra settantenne a quel modo, né in pubblico né in privato». Ma d’altronde, sia la Santa Sede come istituzione universale, sia la Conferenza Episcopale Italiana, che pure dispongono di uffici stampa, segretariati per le comunicazioni sociali e via dicendo, paiono seguitare a piazzare all’interno di queste strutture i più dannosi amici degli amici di quello o quell’altro monsignorotto, sempre per tornare alle lamentele del mio precedente articolo nelle quali facevo riferimento al nostro stato di mediocrità, all’interno del quale le “mezze figure” riproducono delle figure ancora più “mezze” di loro; e questi sono i pubblici risultati della nostra “perversa” selezione votata ormai al totale scadimento.

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Sigalini invasioni barbariche 2

S.E. Mons. Domenico Sigalini a Le invasioni barbariche, programma che per temi, conduzione e pubblico, potrebbe indurre a discutere circa la prudente opportunità della partecipazione di un vescovo

Se la Santa Sede o la C.E.I. suggerissero a S.E. Mons. Domenico Sigalini di fuggire in futuro la tentazione di andare ad altri programmi del genere coi risultati testè descritti, recandosi invece in un monastero di Certosini a fare un ritiro spirituale, si eviterebbero tanti disagi e sofferenze a molti cattolici, che per le prodezze di molti ecclesiastici hanno già fin troppo da soffrire e vergognarsi.

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Sigalini a piazzapulita

S.E. Mons. Domenico Sigalini all’agguerrito programma Piazzapulita dove non seppe rispondere a diverse domande-tranello a lui rivolte sugli “scandali” dello Ior

A quel programma che poteva essere interessante, sarebbe stato possibile parlare della visione che la morale cattolica ha della vita, della famiglia e dei figli, però con altra impostazione e interlocutori; ma soprattutto chiarendo che se vescovi, preti o laici cattolici impegnati si occupano di certi temi, non lo fanno per sconfinare fuori dalle loro sacrestie, né per distaccarsi dalle nuvole delle loro cattedre, attaccati alle quali taluni sono convinti che a salvare il Popolo di Dio saranno la metafisica e la epistemologia; ma semplicemente perché è nostro dovere esercitare un diritto riconosciuto anche all’ultimo dei profughi più o meno veri, più o meno realmente sfuggiti alle persecuzioni, che appena toccato il sacro suolo di Lampedusa possono dire e fare tutto quel che vogliono e come meglio vogliono.

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Leone XIII

S.S. Leone XIII, riconosciuto come il Padre della Dottrina Sociale della Chiesa

L’esprimersi del vescovo o del presbitero su certi temi non deve essere puramente politico e finalizzato alla politica, bensì all’etica, alla morale cattolica e all’annuncio del Vangelo. La nostra non deve essere quindi politica finalizzata alla politica, ma dottrina sociale della Chiesa; e tale deve essere il nostro approccio, edificato sul deposito della fede e dalla migliore teologia supportata dal meglio della filosofia, della metafisica e da tanto senso comune che può essere tale solo se basato sulla realtà.

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Ciò che in modo severo ho invece contestato nel mio precedente articolo a certe singole persone o associazioni cattoliche, sino ad usare il termine di “cattofascisti”, è proprio l’esatto contrario: usare problemi di natura etica e morale per cercare la rissa politica, quindi usando come pretesto la Chiesa e il suo messaggio di redenzione e di salvezza per sfogare il proprio essere politico, posto che diversi dei soggetti che io critico con durezza sono stati nella propria vita: o aspiranti politici, o politici mancati. Domanda: è il caso che costoro “realizzino” o “sfoghino” certe loro frustrazioni, spesso derivanti da loro mète non raggiunte, attraverso la Chiesa e l’uso pretestuoso delle tematiche legate alla morale e alla famiglia?

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gay e neonati

celebre e triste immagini di un neonato appena venuto alla luce da un “utero in affitto” e consegnato a una coppia di gay dalla “madre surrogato” che l’ha partorito

Credo di avere riassunto la mia preoccupazione in modo chiaro, per quanto riguarda questi cattolici che in modo insultate aggrediscono gli omosessuali al grido di “Invertiti, pederasti, sodomiti”, o ironizzando sui golpe “sodomitici” o “pederastici”, paventando “l’invertitismo al potere” e via dicendo, spiegando ad essi che in questo momento storico-sociale a me interessano perlopiù coloro che sono fuori dalla Chiesa o distanti da essa. A me interessano non gli intelligenti e ragionevoli personaggi della levatura di Aldo Busi, ma i giovani e meno giovani irragionevoli che nello studio de La7, se avessero potuto, avrebbero preso a cazzotti il vescovo prenestino, basti guardare il filmato di quella puntata, perché ciò è scritto nei loro occhi accesi di disprezzo e aggressività. E com’è noto e risaputo con la piazza non si ragiona, perché è brutta per sua stessa natura. Ora, se alcuni piazzisti dovessero prendere talune “espressioni” di un certo mondo cattolico come una manifestazione del naturale pensare, sentire e agire della Chiesa Cattolica, prima o poi, all’uscita delle chiese, noi che nulla abbiamo da spartire con siffatti toni aggressivi vòlti verso un mondo suscettibilissimo come il complesso e variegato mondo gay, verremmo presi a bastonate, mentre i responsabili dell’istigazione a certe reazioni sarebbero chiusi dentro le loro ville dell’Olgiata, dei Castelli Romani o nei loro super-attici ai Parioli a seguitare a dirsi gli uni con gli altri: quanto siamo cattolici … quanto siamo veramente tradizionali, il tutto mentre Roma brucia. Oppure segregati nei loro uffici accademici a dirsi e cantarsi tra di loro: quanto sono metafisico, quanto sono epistemologo, quanto sono ameriano …

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Femen 2 primate belgio

Le Femen aggredisco e insolentiscono nel nome di “no all’omofobia“, l’Arcivescovo Andre-Joseph Leonard,  Primate della Chiesa Cattolica del Belgio, durante una sua conferenza

Non ho mai mancato di rispetto agli storici Roberto de Mattei e Piero Vassallo, di cui non condivido certe posizioni e che restano per me dei gentiluomini modello. Nell’esercizio delle mie libertà mi sento però di dire che al contrario di de Mattei che tiene conferenze su potenziali scismi più o meno inevitabili [vedere QUI], io ritengo che in questo momento noi rischiamo qualche cosa di peggiore, di quegli scismi che nella Chiesa esistono tacitamente da mezzo secolo, pur non essendo mai stati ufficializzati; rischiamo di essere randellati fuori dalle Chiese da questi “pederasti, invertiti e sodomiti”, molti dei quali covano un senso di odio innato verso tutto ciò che è cattolico, basti solo pensare alle sacrileghe dissacrazioni messe in piedi quasi di prassi ad ogni gay pride contro la Chiesa Cattolica. Soggetti ai quali non vanno offerti a pretesto degli insulti non necessari, non produttivi e non conformi allo spirito della carità cristiana.

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lobby gay

delle occulte elites di potere stanno usando le lobby gay per corrompere i popoli e trascinarli nella irreversibile decadenza umana e morale

Non possiamo però cedere neppure a tentativi di imposizioni politiche affatto “liberali” e “democratiche”, auto censurandoci per il pavido timore di irritare i potenti lobbisti gay, perché detta con tutto il garbo del caso e senza nessuno ledere, per noi la sodomia, specie quella ostentata con orgoglio, rende questo peccato — che può essere molto grave se consapevolmente commesso —, più grave ancora di ciò che in sé e di per sé è [sullo specifico tema vedere articolo del Padre Giovanni Cavalcoli, QUI].

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coppia gay celebre

Jeremiah Brent e il suo fidanzato, nuove star della campagna spring-summer di Banana republic

Non discuto sui gusti sessuali altrui né sul diritto degli adulti a esercitarli in modo libero e consenziente, ma nessuno può impormi la sodomia a colpi di legge come modello e stile di vita, proteggendo il tutto con una ulteriore legge — la cosiddetta legge sul feticcio della omofobia — che se mal congegnata rischia di pregiudicare il diritto altrui all’esercizio delle libertà di pensiero, parola ed espressione. E non entriamo neppure nel complesso tema dei bimbi dati in adozione alle coppie omosessuali o da essi ottenuti attraverso “uteri in affitto” e manipolazioni genetiche, perché questo argomento è di una tale e straordinaria gravità che come tale va trattato a parte.

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prete in manette

non è fantascienza, è un concreto rischio …

Se il legislatore non presterà massima attenzione, in tal caso noi preti possiamo correre il serio rischio di essere arrestati al termine della Messa per avere letto e predicato una Lettera di San Paolo Apostolo:

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«Non illudetevi, perché né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti […] erediteranno il regno di Dio» [cf. I Cor. 6,9-10].

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Questi erano i temi che avrebbe dovuto trattare il Vescovo di Palestrina o sui quali egli avrebbe dovuto trascinare l’argomento durante lo svolgimento del programma al quale poc’anzi ho accennato, prendendo come modello d’esempio Aldo Busi che, appena i convenuti sono partiti per la tangente, ha subito chiarito: «Io sono venuto qua per parlare delle responsabilità della Chiesa sulla diffusione della omofobia, altrimenti non ho motivo per restare; e se continuate su altri temi prendo e me ne vado». E nel mentre, il presule prenestino, seguitava a tacere; e quando parlava, era peggio di quando taceva.

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Femen 1

altra manifestazione anti-cattolica

Io che pure ho tentato di lavorare al meglio delle mie possibilità, invitando anche al dovuto rispetto verso questi esseri umani che hanno una percezione della sessualità diversa dalla nostra e che la vivono in un modo che per noi è fuori di dubbio sbagliato, oltre che nocivo se imposta come modello a colpi di legge, sarò purtroppo lì a prendermi le bastonate, al momento opportuno, mentre forse, gli alabardieri che sognano i tempi “gloriosi” che furono e il gineceo delle aspiranti contessine saranno sicuramente al riparo in qualche salotto a discutere sul Vetus ordo missae.

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Femen cattedrale di Colonia

un’altra attivista fa irruzione nella Cattedrale di Colonia saltando sull’altare durante la celebrazione della Santa Messa di Natale, sul suo corpo la scritta I’m God (io sono Dio)

Tutto queste cose lo dico oggi, 15 giugno 2015, con pastorale senso comune e forse con un piccolo tocco profetico, nella certezza che domani, quando purtroppo accadrà ciò che in queste righe ho anticipato, nessuno dei diretti interessati e meno che mai le nostre Autorità ecclesiastiche avrà purtroppo la umana e cristiana umiltà di dire o di ammettere: purtroppo avevi ragione.

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Questi i motivi per i quali ho ritenuto opportuno scrivere il mio precedente articolo in toni molto duri, consapevole in coscienza di quanto sia grave appiccare i fuochi e poi fuggire, lasciando gli altri a correre tutti i rischi del caso dinanzi all’incendio che divampa e con le uscite di sicurezza bloccate. Ma soprattutto l’ho scritto perchè sono certo che le persone da me bacchettate capiranno la gravità delle situazioni che stiamo vivendo e forse cambieranno atteggiamento, perché sono persone intelligenti, buone, sofferenti e smarrite come lo siamo più o meno tutti in questo momento storico-sociale di straordinaria delicatezza; e sono pure dei cattolici devoti, anche se per provocazione, solo per provocazione e per stimolarli con essa alla riflessione, ho messo in dubbio la loro cattolicità.

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croce incendiata

un pericolo concreto dal quale non possiamo e non dobbiamo sentirci né immuni né lontani

Scopo e missione dei Padri dell’Isola di Patmos è sostenere i nostri Lettori e fedeli cattolici con scritti di sana dottrina, diffondendo e spiegando il Magistero della Chiesa. Tutto questo non può esimerci però da entrare ― a volte anche con la mia irruenza “efficace”? ― su temi molto delicati, perché, semmai alcuni non lo avessero capito, esistono da tempo forze laiciste potenti e agguerrite che sul pretesto di male intese forme di “rispetto”, di “tolleranza” e di tutela delle “diversità”, mirano nei concreti fatti a rendere fuori legge il Cristianesimo. E un problema di siffatta straordinaria delicatezza, con tutti i rischi che esso può comportare per la vita della Chiesa e la serena sicurezza dei suoi fedeli, non si risolve strillando “sodomiti, pederasti, invertiti” … il tutto proprio nei giorni in cui la nostra Roma eterna, bagnata dal sangue dei martiri, dal sangue dei Beati Apostoli Pietro e Paolo, sede del Vicario di Cristo, è stata sfregiata per l’ennesima volta dalla nuova edizione di Sodoma&Gomorra 2015, vale a dire il gay pride, i cui insulti e provocazioni ostentate da parte di un esercito di maschietti travestiti da “cagne in calore“, non servono a nessuno, a partire dalla loro causa. Ma d’altronde, narcisismo e omosessualismo sono le due facce della stessa moneta, le quali si celano — come direbbe lo psicologo Roberto Marchesini — dietro al «feticcio “omosessuale” dell’omofobia» [articolo di R. Marchesini, vedere QUI].

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cassa da morto

fuggiamo alla cultura della morte …

Ha pertanto ragione in questo caso il direttore di Riscossa Cristiana, che con pacata amarezza ha invitato alla preghiera di riparazione per l’ennesimo oltraggio recato da questa cultura di morte alla nostra Roma eterna, culla della Cristianità [vedere QUI]. Ci uniamo di cuore alla preghiera affinchè la materna mano della Beata Vergine Maria seguiti a trattenere il braccio del suo Divino Figlio ed a salvarci dalla sua ira. Perchè «Buono e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore» [cf, Sal 102,8]. Ma essere “lento all’ira” non vuol dire esserne privo; vuol dire appunto essere “lenti”, prima di giungere ad esercitarla, perché anche la Sua ira è un grande dono di misericordia, ma anche una grande medicina verso chi, dopo essersi fatto Dio, pensa di poter sovvertire tranquillamente l’ordine naturale del Creato. È il problema di sempre: la superbia, il peccato preferito da Satana tra tutti i peccati, che per le strade più diverse porta prima alla distruzione, poi alla dannazione eterna dell’anima.

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