Divorziati risposati? La parola spetta adesso a Pietro, sul quale Cristo ha edificato la sua Chiesa

DIVORZIATI RISPOSATI? LA PAROLA SPETTA ADESSO A PIETRO, SUL QUALE CRISTO HA EDIFICATO LA SUA CHIESA

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Dal discorso del Sommo Pontefice Francesco: « […] Mentre seguivo i lavori del Sinodo, mi sono chiesto: che cosa significherà per la Chiesa concludere questo Sinodo dedicato alla famiglia? Significa anche aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite. Significa aver cercato di aprire gli orizzonti per superare ogni ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive, per difendere e per diffondere la libertà dei figli di Dio, per trasmettere la bellezza della Novità cristiana, qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o semplicemente non comprensibile. Nel cammino di questo Sinodo le opinioni diverse che si sono espresse liberamente – e purtroppo talvolta con metodi non del tutto benevoli – hanno certamente arricchito e animato il dialogo, offrendo un’immagine viva di una Chiesa che non usa “moduli preconfezionati”, ma che attinge dalla fonte inesauribile della sua fede acqua viva per dissetare i cuori inariditi ».

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Avvenire 24.10.15 - 4

Avvenire del 24.10.2015, il servizio dedicato a Giovanni Cavalcoli dal quotidiano dei Vescovi italiani

Nel corso degli ultimi dieci giorni, il Padre Giovanni Cavalcoli ed io abbiamo disquisito su alcune delle tematiche più scottanti in fase di discussione al Sinodo sulla famiglia, basta scorrere i nostri ultimi articoli per trovare tutte queste recenti disquisizioni.

Se non fossimo uomini di fede e non vivessimo il sacerdozio e la speculazione teologia come un servizio, oggi potremmo rallegrarci con l’infelice frase: «Avevamo ragione!». Cadendo in tal modo nell’errore da noi criticato attraverso l’accusa rivolta a coloro che hanno tentato di “dogmatizzare” le proprie opinioni sul pretesto della presunta difesa delle verità di fede. 

Noi non abbiamo alcuna ragione, perché nessuno ha ragione, nessuno ha vinto e nessuno ha perso. Chiunque difenda la verità dall’errore non segna la vittoria propria, ma la vittoria di Cristo. L’unica vittoria è stata infatti quella del Corpo della Chiesa, che attraverso il Collegio dei Padri Vescovi riuniti in sinodo ha fatto prevalere, nell’ossequio e nell’obbedienza alla fede, il pastorale senso comune.

Sia però chiaro: al momento non è accaduto niente e nessuna disciplina è stata modificata. Il Santo Padre dovrà scrivere la Esortazione Apostolica post sinodale, che è un atto suo, personale, nel quale potrà o non potrà tenere conto della relazione finale e di quanto emerso dalle discussioni dei Padri Sinodali. Per il momento, la disciplina alla quale attenersi, è quella sino a oggi dettata dalla Chiesa, senza alcuna alterazione.

A smuovere i cuori di certi farisei rinchiusi nel microcosmo dei loro legalismi cervellotici, non c’è riuscito neppure il Verbo di Dio fatto uomo, quindi non ci riusciranno certo i Padri dell’Isola di Patmos, che desiderano però rivolgere a costoro un supplice invito al sensus fidei : «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato» [cf. Mc 2,27-28]. In queste parole e in quelle che seguono è spiegato tutto ciò che ogni pio cristiano dovrebbe sapere:

«Così avete annullato la parola di Dio in nome della vostra tradizione. Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo: Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini » [cf. Mt 15, 7-9].

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
A CONCLUSIONE DEI LAVORI DELLA
XIV ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI

QUI

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

I divorziati risposati e quei teologi che strumentalizzano la “Familiaris consortio” di San Giovanni Paolo II

I DIVORZIATI RISPOSATI E QUEI TEOLOGI CHE STRUMENTALIZZANO LA FAMILIARIS CONSORTIO DI SAN GIOVANNI PAOLO II

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La Familiaris consortio, appunto perché tocca solo il foro esterno, non sfiora neppure la questione in esame, caratteristica del foro interno, ossia della condizione o dello stato o del dinamismo interiore della volontà dei conviventi e lascia quindi aperta la porta alla legittimità della discussione in atto nel Sinodo, se, in certi casi gravi, ben precisati e circostanziati, con forti scusanti, i divorziati possano o non possono accedere ai Sacramenti.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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. Pat

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Ariel S. Levi di Gualdo in compagnia del cane da guardia di una casa religiosa di Castel Gandolfo. Egli nutre particolare affetto per i vecchi Domini canes di pura razza, che da sempre è in grado di distinguere dai moderni chihuahua isterici …

Nota introduttiva  I Padri dell’Isola di Patmos non fanno “polemica”, ma il loro “mestiere”: diffondere e  difendere la dottrina e il Magistero della Chiesa. Nell’affrontare gli ultimi temi trattati su queste nostre colonne telematiche, Giovanni Cavalcoli ed io ci siamo trovati a essere attaccati da laici intransigenti e sedicenti cattolici che mostrano inquietante propensione a confondere la politica con la teologia, i quali ci hanno bordato accuse di eresia, incluso l’essere eretici modernisti e diffusori di dottrine moderniste. E come tutti gli addetti ai lavori sanno, il modernismo, secondo la definizione oggi più che mai attuale del Santo Pontefice Pio X, non è una semplice eresia, ma la sintesi di tutte le eresie. Appresso hanno fatto seguito articoli firmati dall’utile testa di legno che ha speso il proprio nome per sostenere motivazioni ad esso fornite da un teologo, il quale poteva procedere in prima persona nell’esporre teorie legittime, che però costituiscono contraddizioni in termini nell’ambito delle discipline dogmatiche, di quelle morali e del sentire pastorale impresso nei principali documenti degli ultimi cinque decenni di magistero. Che dire poi del rigore “morale” usato in modo tutto politico su temi variamente legati alla delicata sfera della sessualità umana, per opera di soggetti che non mostrano interesse a tenere in considerazione i princìpi di umanità ed i criteri fondanti della carità cristiana, specie di fronte a situazione di sofferenza umana che reclamano sempre attenzione e rispetto, oltre alla ricerca di soluzioni che competono al sapiente ministero della Chiesa, non alle supposte pretese di chi urla più forte nel tentativo di mutare in dottrine dogmatiche le cieche opinioni del proprio “io“. A inquietarci non poco sono stati scritti e interventi intrisi di rigore farisaico dai quali emerge lo spirito di un’eresia antica ma sempre insidiosa: il manicheismo. Ecco il motivo di questa nuova risposta data da Giovanni Cavalcoli, che non chiama per nome il suo interlocutore per il rispetto ch’egli intende tributare alla libera scelta di chi ha deciso di presentarsi attraverso dei prestanome anziché in prima persona. Personalmente colgo l’occasione per rendere grazia a Dio per avermi donato il privilegio dell’amicizia di un galantuomo sapiente come Giovanni Cavalcoli, al quale sono legato in divina parentela fraterna dal Sangue Redentore di Cristo Signore attraverso il Sacro Ordine Sacerdotale.

Ariel S. Levi di Gualdo

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Giovanni Cavalcoli in coro 2

l’accademico pontificio Giovanni Cavalcoli nel coro del convento dei Domini canes

Caro Confratello.

Rispondo alle tue obiezioni alle mie idee sulla questione dei divorziati risposati. Tu mi addebiti «la falsa teoria secondo la quale la considerazione pastorale e canonica dei divorziati risposati come di fedeli tenuti a uscire dal loro «stato di peccato» sarebbe un errore teologico e un «giudizio temerario». Tu sai benissimo che quella non è una mia opinione ma la dottrina di san Giovanni Paolo II ― Familiaris consortio e Veritatis splendor ―, per di più riguardante il foro esterno e non la coscienza dei singoli (ossia, il foro interno, dove la guida e il consiglio sono affidati alla prudenza del confessore), in linea peraltro con la tradizionale dottrina circa lo “stato di grazia” (e del suo contrario, riscontrabile anche recentemente negli studi di teologia morale di teologi e Pastori come il Cardinale Carlo Caffarra, che tu ben conosci.

Rispondo col dirti che vedo chiaramente che tu mi ha frainteso e dovresti accorgertene anche tu. Infatti, se tu leggi bene che cosa ho scritto, come anche i miei recenti interventi sull’Isola di Patmos, quello che io definisco «giudizio temerario», non è affatto «la considerazione pastorale e canonica dei divorziati risposati come di fedeli tenuti a uscire dal loro “stato di peccato”», ma bensì la pretesa da parte di alcuni di ritenere che certi conviventi, che per il momento non possono uscire dal loro stato illegittimo e irregolare, si trovino necessariamente in uno stato permanente, inespiabile ed insopprimibile di colpa mortale, quasi che fossero privi del libero arbitrio e la grazia perdonante non esistesse. Questo è un giudizio allucinante di chi non sa né che cosa è il libero arbitrio né che cosa è la grazia. Infatti, l’incentivo al peccato non è ancora il peccato. L’incentivo può essere non voluto, inevitabile ed invincibile. Il peccato è invece un atto voluto, evitabile e vincibile. Altrimenti, facciamo come Lutero, che confondeva la concupiscenza, che è solo tendenza a peccare o desiderio di peccare, col peccato, cadendo con ciò sotto la netta condanna del Concilio di Trento.

Da questa eresia di Lutero sorge tanto il rigorismo che il lassismo. Infatti, come si sa, la concupiscenza è invincibile. Che si dice allora? Si possono fare cose: o accusare farisaicamente ed implacabilmente di peccato a tempo pieno, come fosse un’anima dannata, chi, per questo semplice fatto, è sotto lo stimolo della concupiscenza. Oppure ci si scusa ipocritamente dal peccare, perché si dice: «Non sono io a peccare, ma è la concupiscenza che mi fa peccare. Quindi io non ho colpa e posso continuare a peccare. Dio è buono e mi perdona sempre».

I conviventi certamente sono tenuti, se possono, a interrompere la loro relazione, che costituisce per loro una tentazione forte e continua al peccato. Ma non sempre questa interruzione è possibile, anche nonostante ogni buon volere, e questo per cause di forza maggiore ed anche per ragionevoli motivi, come è noto in certi casi particolari intricati e complessi, dove occorre tener conto di dati oggettivi ineliminabili, per esempio la presenza di figli od obblighi civili o vantaggi economici o il convivente ammalato. In tal caso i due si trovano in uno stato di vita che certo permane, ma questo non vuol dire che si trovino necessariamente in uno «stato di peccato» permanente, se con questa espressione intendiamo il rimanere prolungatamente e volontariamente nella colpa. Infatti, in forza del liberto arbitrio e dell’azione della grazia, essi possono in qualunque momento e in qualunque situazione o condizione, interiore o esteriore, attuale o abituale, ambientale o psicologica, giuridica o morale, anche molto sfavorevole, annullare la colpa e tornare in grazia, senza che ciò richieda un’impossibile interruzione della convivenza e senza la pratica del sacramento della penitenza, che è stato loro negato. Dio, infatti, come tu sai bene, può dare la grazia anche senza i Sacramenti.

La Familiaris consortio, appunto perché tocca solo il foro esterno, non sfiora neppure la questione in esame, caratteristica del foro interno, ossia della condizione o dello stato o del dinamismo interiore della volontà dei conviventi e lascia quindi aperta la porta alla legittimità della discussione in atto nel Sinodo, se, in certi casi gravi, ben precisati e circostanziati, con forti scusanti, i divorziati possano o non possono accedere ai Sacramenti.

Giovanni Paolo II si limita a ribadire la norma vigente, espressione di un’antichissima tradizione, sia pur corredandola di alti motivi teologici. Ma trattandosi di norma certo fondata sul dogma, ma non necessariamente connessa con esso, questo insegnamento del Papa non è da considerarsi immutabile, come non lo sono generalmente le norme positive, giuridiche e pastorali della Chiesa, senza che ciò comporti un insulto al dogma sul quale si basano. Infatti, un medesimo principio morale può avere diverse applicazioni. Non sarebbe saggio né prudente attaccarsi ostinatamente ad una sola delle possibili applicazioni, per il semplice fatto che essa si fonda su di un valore assoluto, il quale, viceversa, ammette una pluralità di diverse applicazioni, salvo restando il principio.

Ora, il timore di alcuni che un mutamento della disciplina vigente possa intaccare il dogma, è infondato, perché l’attuale normativa non è così connessa al dogma come fosse la conclusione di un sillogismo dimostrativo, dove la premessa sarebbe il dogma; ma la detta normativa ha solo una connessione di convenienza col dogma, tale da ammettere anche altre possibili conclusioni. Similmente, dal proposto di vivere cristianamente ― valore assoluto ed irrinunciabile ― non discende necessariamente soltanto la vita laicale, come credeva Lutero, ma può scaturire anche la scelta sacerdotale o religiosa.

Così in teologia, tu me lo insegni, il teologo, quando spiega un dogma, non adduce ragioni necessarie del contenuto dogmatico, perché il dogma non si può dimostrare razionalmente, ma avanza motivi di convenienza, che rendono il dogma conciliabile con la ragione, e che ammettono altre possibili spiegazioni. Se invece il dogma si potesse dimostrare razionalmente, non esisterebbe altro che una sola conclusione dimostrativa ― la verità è una sola ―, mentre ogni altra sarebbe falsa. Quindi ci sono consentiti ed anzi possono essere utili la discussione e il contradditorio, ma nel rispetto reciproco delle nostre opinioni, ed evitiamo per ciò di assolutizzare la nostra personale opinione facendola passare per “dottrina della Chiesa”, come se quella contraria fosse contro il dogma. Altrimenti, se il Papa deciderà che si conceda la Comunione ai divorziati risposati, che diremo? Che il Papa è eretico? Che è cambiata la dottrina della Chiesa?

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Varazze, 23 ottobre 2015

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cliccando sopra al logo di inBlu Radio, potete aprire e ascoltare l’intervista radiofonica fatta a Giovanni Cavalcoli il 22.10.2015

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IN BLU LOGO

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Sui divorziati risposati. Continua la discussione: replica di Giovanni Cavalcoli alla risposta di Corrado Gnerre

SUI DIVORZIATI RISPOSATI. CONTINUA LA DISCUSSIONE: REPLICA DI GIOVANNI CAVALCOLI ALLA RISPOSTA DI CORRADO GNERRE

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Viene oggi molto citato il n. 84 della Esortazione Apostolica Familiaris consortio di San Giovanni Paolo II, nel quale il Papa esprime la condizione della irregolarità dei divorziati risposati, in foro esterno o, come egli si e esprime, “oggettivamente”; ma il Santo Pontefice si guarda bene dal dire che essi sarebbero, soggettivamente o in foro interno, in un continuo stato di peccato mortale, perchè, questo, come ho già detto, sarebbe un giudizio temerario, che pretende scrutare l’intimo delle coscienze e le segrete operazioni della grazia. In secondo luogo, questo insegnamento del Santo Pontefice non va preso come fosse una dottrina di fede immutabile, ma solo come disposizione pastorale, come tale mutevole, per quanto di antichissima tradizione. Ma non si tratta di Sacra Tradizione, essa sola depositaria del dato rivelato, bensì solo di tradizione canonica. dagli anni nei quali questa Esortazione apostolica è stata scritta, la questione dei divorziati risposati si è alquanto estesa, complicata e aggravata, tanto che l’attuale Pontefice ha deciso di riprenderla in esame per vedere se mantenere l’attuale disciplina, oppure adottare soluzioni diverse dal passato.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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[Per leggere l’articolo del Prof. Corrado Gnerre, confutato negli otto punti che  seguono, cliccare QUI]

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l’accademico pontificio domenicano Giovanni Cavalcoli

Il prof. Riccardo Gnerre è nuovamente intervenuto contro di me sulla rivista telematica Riscossa Cristiana riguardo il tema della problematica morale e giuridica attinente ai divorziati risposati [cf. articolo,  QUI]. Credo che la nostra discussione possa offrire un modesto ma sincero contributo e forse un aiuto alle ben più autorevoli discussioni in atto dei Padri sinodali. Ma, trattandosi di gravi argomenti di comune interesse, credo che non sia male che noi due, comuni fedeli, esprimiamo il nostro parere in una dialettica costruttiva. Vediamo dunque le principali e più significative critiche ed obiezioni che mi fa il prof. Gnerre.

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1. Davvero ritenere che i divorziati risposati siano in uno stato di peccato grave è “giudizio temerario”?

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Rispondo: è un giudizio temerario, se si ritiene che essi siano necessariamente e continuamente in uno stato di colpa o di peccato, sì da essere permanentemente ed irrimediabilmente, ventiquattr’ore su ventiquattro privi della grazia, sicchè se dovessero morire dovrebbero precipitare nell’inferno.

Non è però questo il pensiero della Conferenza Episcopale Italiana la quale, già nel 1979, emanò un importante documento «Pastorale delle situazioni matrimoniali non regolari» [cf. QUI], nel quale si danno istruzioni, ancor oggi assai utili, sulla condotta cristiana, che queste coppie possono praticare. Dal che si deduce facilmente che esse possono essere in grazia e quindi non sono in uno stato continuo di peccato mortale. Infatti, si dice, per esempio, che i due possono fare la “Comunione spirituale”. Se avessero un peccato mortale sulla coscienza, potrebbero mai farla?

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2. Gnerre mi fa dire che io sosterrei che uno possa essere indotto suo malgrado a peccare. Infatti mi obietta dicendo che, se questo fosse vero, “Ognuno potrebbe addurre situazioni che lo avrebbero spinto, suo malgrado, a peccare: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato il frutto, e io ho mangiato!» [Gn, 3]. Adamo cerca di discolparsi inutilmente”.

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Ma io ho detto esattamente il contrario. Ho detto che il peccato è un atto libero e volontario, per cui non esiste un “peccare malgrado se stessi”. Certo, io posso fare un’azione oggettivamente cattiva, ma, se la compio involontariamente o perchè coatto o per inavvertenza o senza deliberato consenso, l’azione non mi può essere imputata a colpa, almeno davanti a Dio. Diverso è invece il caso di Adamo, paradigma di colui che ha peccato veramente e volontariamente e, in modo sleale, vuol scaricare la colpa sugli altri; benchè sia vero che Adamo è stato indotto in tentazione da Eva. Ma un conto è subire una tentazione e un conto è cedere volontariamente alla tentazione. Io invece mi riferivo al caso nel quale, come per esempio certi conviventi, in situazioni oggettive insormontabili, peccano certamente, ma hanno delle attenuanti, per il fatto che, per ipotesi, si trovano ogni giorno davanti all’occasione frequente, impellente ed inevitabile di cadere. Per questo, anche un peccato di per sè mortale per la sua materia, ma con attenuanti soggettive — mancanza di piena deliberazione a causa della violenza della passione —, può abbassarsi a livello di colpa veniale.

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3. I conviventi, dice Gnerre, hanno «l’obbligo di togliersi dalla condizione peccaminosa, altrimenti si corre il rischio di “mettere alla prova” Dio».

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L’obbligo c’è, ma se ci sono le possibilità effettive ed oggettive di interrompere il rapporto. Ma esistono casi complessi e complicati nei quali la separazione non è possibile — almeno momentaneamente — anche con tutta la buona volontà della coppia, che potrebbe anche essersi pentita della nuova unione, ma non sa come venirne fuori. In questi casi l’occasione di peccare è inevitabile ed ineliminabile, per cui, se è vero che l’occasione non è la causa propria, ma solo incentivo o stimolo esterno a peccare, e se è vero che la causa vera del peccato è solo la cattiva volontà, resta vero che valgono le attenuanti di cui al numero precedente. E se i due dovessero cadere nel peccato mortale, possono essere perdonati da Dio, anche senza il Sacramento della penitenza. È chiaro che però ogni volta che peccano, per rialzarsi, devono fare il proposito di non più peccare, nonostante il permanere supposto involontario o di forza maggiore della situazione, la quale spinge a peccare. Essa però non va mai detta «peccaminosa», bensì pericolosa. Ricordiamoci sempre che nessuna situazione è peccaminosa o colpevole in sé, ma che però può costituire occasione di peccato o tentazione al peccato. Se poi in certi casi la situazione può essere evitata, deve essere evitata.

La tentazione di Dio è un’altra cosa. Essa comporta il porsi volontario nell’occasione o il trascurare di fare il possibile per evitare il peccato, con la pretesa di godere della protezione divina o di scampare comunque al pericolo. Dio non ci può soccorrere se ci gettiamo volontariamente nel precipizio.

Il caso di certi conviventi è diverso. L’ipotesi è che non abbiano la possibilità di evitare l’occasione o la tentazione. Per questo, quando essa giunge, facilmente cadono nel peccato, ma la colpa diminuisce, in quanto si suppone che la volontà ceda alla violenza della passione. Se poi la colpa si abbassa al livello del peccato veniale, essi lo possono togliere con semplici pratiche penitenziali personali, ottenendo il perdono direttamente da Dio.

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4. “Due conviventi non mutando vita, dimostrano che la loro intenzione di non peccare è inesistente”.

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Si danno casi nei quali, almeno momentaneamente, è impossibile interrompere la convivenza, il che comporta l’esistenza di occasioni e tentazioni inevitabili e forse irresistibili di peccare. Ne conseguiranno peccati frequenti, più o meno gravi. Ma se la loro condizione di vita esternamente e giuridicamente è irregolare ed illegittima, ed è obbiettivamente riprovevole, che ne sappiamo poi noi di ciò che la grazia può operare nelle loro coscienze? È vero che la buona intenzione si dimostra coi fatti. Ma è anche vero che se ci si trova in una situazione come quella di certi conviventi, dalla quale sul momento è impossibile uscire, chi impedisce loro di rinnovare continuamente e sinceramente, con ogni sforzo, le buone intenzioni e i buoni propositi, nonostante le frequenti cadute?

Per verificare la bontà di un’intenzione non dobbiamo chiedere al prossimo azioni che sono al di sopra delle loro forze. Due conviventi obbligati a restare conviventi possono ugualmente compiere atti di buona volontà e quindi non essere affatto esclusi dalla divina misericordia, magari ancora di più di un coppia di sposi che vivono in una posizione regolare. Che ne sappiamo delle intenzioni dei cuori? Che ne sappiamo delle differenze e dei contrasti che possono sorgere tra le due coscienze? Che ne sappiamo della violenza con la quale certe spinte al male contrastano la buona intenzione e la buona volontà del soggetto? E se la buona intenzione non riesce ad esprimersi all’esterno, forse che Dio non la vede e non la premia? E che ne sappiamo di ciò che la grazia opera nelle anime?

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5. «Prendiamo la Confessione. Questa, perché sia valida ha bisogno di alcune condizioni, fra cui l’essere sinceramente pentiti e il proposito di non peccare più. Nel proposito entra in gioco anche il comportamento futuro. Se ho rubato e sono convinto che una determinata occasione mi ha spinto a farlo, ho l’obbligo morale di evitare quella occasione prossima di peccato. Lo stesso vale se convivo con una donna come se fosse mia moglie non essendo questa mia moglie Lo ripeto: da un punto di vista formale il ragionamento di padre Cavalcoli potrebbe anche avere valore, ma non da quello sostanziale e intenzionale. Ecco perché Gesù dice le parole che ho citato prima: “Se si guarda una donna desiderandola …”».

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Nessuno impedisce ai conviventi di rinnovare continuamente il proposito di non più peccare ogni volta che peccano. È vero che nell’ Atto di dolore in confessionale esprimiamo al confessore tale proposito. Ma ciò non impedisce che la settimana dopo ricadiamo nello stesso peccato, almeno veniale, senza che ciò comporti alcuna recidività o leggerezza o ipocrisia, ma solo per la debolezza della natura umana. Il che non vuol dire che non esistano e non debbano esistere processi di guarigione, ma essi richiedono il loro tempo e il confessore deve saper attendere. Inoltre, il proposito dev’essere proporzionato alle proprie forze e alle proprie possibilità, compatibilmente alla condizione di vita nella quale ci si trova e dalla quale non si può uscire.

Ora, la nostra ipotesi è appunto quella di una coppia che, per motivi oggettivi gravi, di forza maggiore ed anche in parte ragionevoli, non può interrompere il rapporto. Certo, questo richiede il rinnovo continuo dei buoni propositi. Ma non dobbiamo credere che i due, per il semplice fatto di trovarsi in quella situazione, non possano formare propositi sinceri, che li aprono alla grazia di Dio.

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6. «I divorziati risposati non possono accedere all’Eucaristia perché la loro condizione è oggettivamente negativa. La Familiaris Consortio (n.84) [Ndr.  QUI] parla per i divorziati di condizione di vita che contraddice “oggettivamente” la verità naturale e cristiana sul matrimonio: “Sono essi (i divorziati risposati) a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia”».

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Il Papa esprime qui la condizione della loro irregolarità, in foro esterno o, come egli si e esprime, “oggettivamente”; ma si guarda bene dal dire che essi sarebbero, soggettivamente o in foro interno, in un continuo stato di peccato mortale, perchè, questo, come ho già detto, sarebbe un giudizio temerario, che pretende scrutare l’intimo delle coscienze e le segrete operazioni della grazia. In secondo luogo, questo insegnamento del Santo Pontefice non va preso come fosse una dottrina di fede immutabile, ma solo come disposizione pastorale, come tale mutevole, per quanto di antichissima tradizione. Ma non si tratta di Sacra Tradizione, essa sola depositaria del dato rivelato, bensì solo di tradizione canonica. Infatti dagli anni nei quali questa Esortazione apostolica è stata scritta, la questione dei divorziati risposati si è alquanto estesa, complicata e aggravata, tanto che l’attuale Pontefice ha deciso di riprenderla in esame per vedere se mantenere l’attuale disciplina, oppure adottare soluzioni diverse dal passato. Per questo egli ha convocato il Sinodo. La questione mette un gioco due valori di fede, che sta alla Chiesa connettere con saggia pastoralità: da una parte, il rispetto ai sacramenti, mezzi immutabili di grazia e di salvezza, istituiti da Cristo; dall’altra, la cura delle anime, nutrite dalla grazia sacramentale, amministrata dalla Chiesa.

A seconda di dove pende, per così dire, la bilancia, la Chiesa può far prevalere il Sacramento; ed allora da qui scaturisce l’attuale disciplina; oppure può mettere in maggior rilievo la salus animarum; e allora l’attuale disciplina potrà essere mutata. Attendiamo le decisioni del Santo Padre, quali che siano, senza l’allarmismo di un gretto conservatorismo e senza la faciloneria dei modernisti.

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7. «Padre Cavalcoli cade nell’eresia di oggi: il peccato di per sé non esiste, va piuttosto considerato come un bene dimezzato. Padre Cavalcoli dovrebbe sapere che se esiste il bene assoluto, non esiste il male assoluto, ma non per questo il male non è e non resta male».

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Il prof. Gnerre mi attribuisce cose orribili che non ho mai detto, né si possono assolutamente ricavare dalle mie affermazioni. Come mai un simile accecamento? Che gli è successo? Egli crede di poter ricavare questo giudizio da queste mie parole: «Il peccare dei conviventi, per quanto pecchino, non è necessariamente coestensivo al loro convivere. Non è che tutto il loro vivere sia peccato. Possono benissimo possedere buone qualità per altri versi, qualità che essi possono e debbono valorizzare, senza per questo peccare nel merito».

Per quanto riguarda il «bene dimezzato», bisogna intendersi. Se io faccio solo la metà del mio dovere, certamente faccio peccato. Ma se io taglio a metà una mela, per mangiarla non faccio niente di male, Dimezzare un bene è peccato, se quel bene deve essere intero: se taglio a metà una persona umana, certamente faccio male, ossia peccato.

L’adulterio è un male, è un peccato, perché distrugge un matrimonio, sorgente della vita umana. Ma la nuova coppia che sorge dall’adulterio, una volta commesso questo peccato, non è detto che nel corso della vita seguente essa sia sempre in peccato, priva della grazia, anche se perdura uno stato di vita riprovevole. Infatti, i due possono pentirsi ad ogni peccato commesso e riacquistare ogni volta la grazia, anche se resta l’unione illegittima o riprovevole.

Forse il prof. Gnerre, col suo riferimento al buonismo, intendeva riferirsi alla teoria del peccato come “imperfezione”, escogitata dai modernisti da applicare ai conviventi sotto pretesto che i due posseggono delle qualità umane, per minimizzare le loro colpe. Invece l’imperfezione morale è ben distinta dal peccato, in quanto l’imperfezione è nella linea del bene, è un’azione sostanzialmente buona, anche se priva della sua pienezza, ma non per cattiva volontà dell’agente, bensì solo per i limiti della sua volontà. È quindi frutto della buona volontà. Il peccato, viceversa, è un atto malvagio, effetto della cattiva volontà. È un’imperfezione volontaria, è un dimezzamento volontario del bene dovuto.

Dunque, io direi che il peccato di per sé non esiste? Esiste il male assoluto? Dico semplicemente che i conviventi, come qualunque essere umano figlio di Adamo, mescolano le opere buone con le azioni cattive. Ho ricordato altresì che, se non si è in grazia, anche le opere buone non servono per la salvezza. Ho detto e ripetuto, inoltre, che il peccato è un atto cattivo volontario compiuto con avvertenza e deliberato consenso.

Dove trova qui il prof. Gnerre motivo delle sue accuse farneticanti contro di me? Lui piuttosto, con la sua teoria del peccato a tempo pieno — «situazione di peccato» — si avvicina orribilmente alla concezione manichea del male e manda inesorabilmente all’inferno i poveri peccatori ignorando l’opera della grazia; un serio problema, questo, indicato anche da Ariel S. Levi di Gualdo sin dal sottotitolo del suo ultimo tuonante articolo [cf. L’Isola di Patmos, QUI].

Per quanto poi concerne la questione del bene assoluto ed il male assoluto, quello che io ho sempre sostenuto è che esiste il bene assoluto e non esiste il male assoluto, perché, mentre il bene può essere totalmente libero dal male, il male non è altro che una carenza o una privazione di carattere accidentale, perché ha bisogno di una sostanza o un soggetto, al quale inerire. Il male totale, assoluto o sostanziale, quindi, non esiste, perchè, nel momento cui viene distrutta tutta la sostanza, il male annulla stesso.

Il peccato però non è un male che distrugge se stesso, come pensa Karl Rahner; infatti nel caso del peccato, il soggetto è l’anima, la quale, per quanto il peccato sia grave, non può essere distrutta da questo male, che resta nell’anima. Come si toglie questo male? È Dio stesso che lo toglie in Cristo, suscitando il pentimento o donando la grazia, e questo avviene anche nei divorziati risposati, anche se non hanno la possibilità di interrompere il loro rapporto.

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8. Dire che il Papa non può mai parlare contro la Tradizione, pur dovendone essere custode, significa di fatto ritenerlo infallibile su tutto. Graziano nel suo Decreto scrive del Papa: “A nemine est judicandus, nisi deprehenditur a fide devius”, che significa: “non deve essere giudicato da nessuno, a meno che non si allontani dalla fede.”

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Il Papa è infallibile come interprete della Tradizione, non in tutto? Chi lo ha mai sostenuto? Se il Papa parla della partita Milan-Inter, non è infallibile. Graziano fa un ragionamento ipotetico puramente formale e astratto, dove vale la conseguenza, non il conseguente. È come se io dicessi: se mi gettassi dal quinto piano, mi ucciderei. Ma non intendo affatto gettarmi dal quinto piano.

Il Papa, come Maestro della Fede, interprete supremo della verità salvifica immutabile, rivelataci da Cristo e contenuta nella Sacra Scrittura e nella Sacra Tradizione, come Vicario di Cristo nell’insegnarci la dottrina del Vangelo, i contenuti del dogma e della morale, le esigenze della legge divina e della legge naturale, anche se non pronuncia solennemente — cosa assai rara — una nuova definizione dogmatica, secondo le condizioni dell’infallibilità pontificia stabilite dal Concilio Vaticano I, nel suo insegnamento pubblico ordinario, orale o scritto, un’enciclica, un’esortazione o lettera apostolica, un motu proprio, un’udienza generale o un’omelia della Messa quotidiana o un discorso pubblico a chiunque o a qualunque livello o un’intervista a un giornalista o a personaggi di rilievo, fruisce del carisma di Pietro, al quale Cristo ha detto: «confirma fratres tuos» [«conferma i tuoi fratelli nella fede», cf. Lc 22,32] e quindi non si inganna e non ci inganna, non erra e non è fallibile, ma ci dice sempre con certezza il vero, che, se non è immediatamente verità di fede, è comunque connesso con la fede o discende dalla fede.

Il Papa invece non è infallibile ed anzi può sbagliare o ingannarsi o essere ingannato o peccare in tutto il resto, può essere ingiusto o imprudente nella sua condotta morale, nel prendere un provvedimento, nel governo della Chiesa, nell’emanare o abrogare o mutare una legge canonica o una norma liturgica, nell’esprimere un’opinione teologica, nei discorsi o comportamenti privati, nella scelta dei collaboratori, nella nomina o promozione o destituzione dei vescovi o dei prelati, nel trattare con le potenze politiche o nei giudizi politici. Può essere deposto o per indegnità o per incapacità o per gravissimi motivi che toccano il bene o la pace nella Chiesa, ma non può mai essere convinto di eresia, cosa che del resto non è mai successa. Egli stesso, come oggi ormai sappiamo bene, può fare atto di rinuncia al sacro ministero per gravi motivi, più o meno liberamente.

L’unica ipotesi valida del Papa eretico è il caso di manifesta demenza, cosa che peraltro non si è mai verificata, oppure di costrizione subìta, caso, quest’ultimo, che si è verificato; ma il Papa, tornato libero, ha annullato l’atto invalido, compiuto in stato di necessità.

È dunque un’idea vergognosissima ed inconcepibile quella di certi cattolici o sedicenti cattolici, i quali, falsi sostenitori della Tradizione, osano avanzare la possibilità del Papa “eretico”, con la trasparente intenzione di porre una base “giuridica”, per accusare l’attuale Pontefice, mentre alcuni arrivano all’audacia di accusarlo apertamente, prendendo occasione, un esempio tra i tanti, dalla sua decisione di permettere che al Sinodo si discuta la possibilità di ammettere alla Comunione i divorziati risposati, come se ciò costituisse un attentato alla “Tradizione” ed alla dignità dei Sacramenti.

Dall’altra parte abbiamo la più consistente e pericolosa fazione modernista, arrogante, scettica, liberale, soggettivista, storicista, evoluzionista e relativista, la quale, negatrice com’è di qualunque certezza o evidenza universale ed oggettiva – chiamata con disprezzo “astratta” – e quindi dell’immutabilità non solo del dogma, ma anche della verità di ragione, promuove, col pretesto del “progresso”, della “libertà”, della “misericordia” e della “modernità”, un mutamento della disciplina, non per adeguarla meglio al dogma o alla legge divina, onde attuarne una migliore applicazione, ma perchè non crede in nessun valore assoluto.

Spacciarsi per cattolici e non esserlo è una grave truffa o un’operazione puramente politica, molto peggio di chi pretende curare i malati, senza titolo adeguato. Il cattolico non è né uno che si incarica di vigilare sull’ortodossia del Papa, per controllare che sia fedele alla Tradizione, né uno che, credendo di avere il filo diretto con lo Spirito Santo o con la Bibbia, agisce secondo la sua coscienza soggettiva, in assoluta autonomia, come fosse il fichtiano “Io assoluto”, piaccia o non piaccia al Papa, che per lui è un credente alla pari di tutti gli altri, con le sue proprie discutibili ed anzi arretrate opinioni, come ebbe a dire il Cardinale Carlo Maria Martini, poco prima di morire, che «la Chiesa di Benedetto XVI è indietro di due secoli», e che per fortuna «oggi abbiamo grandi teologi come Rahner» [ Cf. sul Cardinale Carlo Maria Martini si rimanda ai nostri articoli passati: QUI, QUI].

Il cattolico si distingue tra tutti gli altri cristiani — e se ne vanta — proprio per la sua leale obbedienza al Papa, che non è l’obbedienza supina, ma quella di persone intelligenti e responsabili, che godono della libertà dei figli di Dio, e che quindi sanno quando il Papa dev’essere obbedito e quando può essere criticato, sulla base di criteri di discernimento che il Papa stesso fornisce, e non quelli che ci vengono da Mons. Marcel Lefebvre o da Hans Küng.

Anche se il Papa non fosse perfettamente imparziale tra i due partiti in lotta, non dobbiamo turbarci più di tanto: è una di quelle cose dove egli non è infallibile e può correggersi. Esprimiamo lealmente il nostro dissenso, laddove ci è consentito, ma guardiamo soprattutto in lui il Successore di Pietro. Siamogli vicini nella lotta e nella sofferenza, invochiamo per lui l’assistenza dello Spirito Santo e l’intercessione della Madonna, affinchè “si faccia un solo gregge con un solo pastore”.

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Varazze, 22 ottobre 2015

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Esercizi spirituali per il clero predicati da Ariel S. Levi di Gualdo

ESERCIZI SPIRITUALI PER IL CLERO PREDICATI DA ARIEL S. LEVI di GUALDO

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Gli esercizi si svolgeranno a Siracusa dal 9 al 13 novembre presso l’Opera Sacerdotale della Casa di Bethania.

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Autore Redazione dell'Isola di Patmos

Autore
Redazione
dell’Isola di Patmos

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Ortigia, l’antico nuclero della Città greca di Siracusa

Informiamo Sacerdoti, Diaconi e Religiosi che dal 9 al 13 novembre il Padre Ariel S. Levi di Gualdo predicherà gli esercizi spirituali per il clero presso l’Opera Sacerdotale della Casa di Bethania.

Come spunto delle meditazioni dedicate al sacro ministero sacerdotale è stato scelto: «Ravviva il dono che è in te» [II Tm 1.6].

Nel corso degli esercizi il Padre Ariel sarà a completa disposizione dei Confratelli per i colloqui privati e le confessioni.

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un angolo del parco della Casa di Bethania

Gli esercizi si svolgeranno in una cornice favorevole al ritiro ed al raccoglimento. La Casa di Bethania, a pochi chilometri da Ortigia, nucleo dell’antica città greca di Siracusa, è ubicata in un posto isolato immerso nel verde di fronte al mare della riserva naturale del Plemmirio.

La Casa di Bethania è stata fondata dal Presbitero Francesco Maria Sortino e dedicata a Gesù Misericordia Infinita ed è gestita da sette Suore Ausiliare, alle quali è possibile rivolgersi per ogni genere di informazione ai seguenti recapiti:

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Ariel S. Levi di Gualdo durante una celebrazione con Francesco Maria Sortino, fondatore dell’Opera Sacerdotale di Bethania

Opera Sacerdotale di Bethania
Trav. Mallia, 20 – Loc. Contrada Isola
96100 Siracusa
Tel. 0931/721212 — 0931/723015
suoreausiliarie@vocedibethania.it

 

Siracusa è servita dall’areoporto di Catania che dista 56 km. Per il tratto autostradale Catania-Siracusa è disponibile anche il servizio pullman ed il servizio taxi, oltre al tratto ferroviario che collega Catania a Siracusa. Il tempo di percorrenza del tratto autostradale Catania-Siracusa è di circa 50 minuti.  

 

Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

La Comunione ai divorziati risposati: lectio magistralis di Giovanni Cavalcoli a Corrado Gnerre & C.

LA COMUNIONE AI DIVORZIATI RISPOSATI: LECTIO MAGISTRALIS DI GIOVANNI CAVALCOLI A CORRADO GNERRE & C

L’impressione che a volte il Papa non si attenga al dato rivelato trasmesso dalla Sacra Tradizione, è sempre un’impressione falsa, che deve farci comprendere che con simile atteggiamento mentale si finisce col cadere sotto il rimprovero del Signore, fatto ai farisei di non ascoltare la Parola del Dio eterno, che non passa e non muta, ma di farsi schiavi di caduche e vane “tradizioni di uomini”

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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Giovanni Cavalcoli foto ordine

l’accademico pontificio domenicano Giovanni Cavalcoli

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Rispondo alle recenti critiche a me rivolte dal Prof. Corrado Gnerre e pubblicate nei siti Corrispondenza Romana [cf. QUI], Riscossa cristiana [cf. QUI], Chiesa e Postconcilio [cf. QUI] e altri. Il lettore potrà leggere le critiche in tre punti nei suddetti siti. Qui pubblico le mie risposte punto per punto.

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Primo punto – Peccato e situazione di peccato

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I divorziati risposati, nel giudizio della Chiesa, sono in una posizione “irregolare” e per questo sono esclusi dai sacramenti. Ma il sostenere che con ciò siano in uno “stato di peccato grave” è un giudizio temerario, che non tiene conto di che cosa è il peccato e qual è il suo dinamismo nel concreto delle coscienze. Essi infatti possono in qualunque momento, con la grazia di Dio, pentirsi ed ottenere il perdono di Dio, anche senza il sacramento della penitenza.

Per chiarire la discussione, ritengo utile fare alcune premesse di teologia morale. Comincio allora col dire che la condotta umana cosciente è costituita da una successione di atti della volontà, ora buoni, ed abbiamo la buona azione, connessa alla virtù; ora cattivi, ed abbiamo la cattiva azione, ossia il peccato, connesso col vizio.

È in potere del nostro libero arbitrio operare un’alternanza, nel tempo, di buone azioni e di peccati. In questo dinamismo del nostro volere gioca l’azione della grazia divina, la quale ci sollecita al bene, ci sostiene nel compierlo e, quando commettiamo il male, ci muove a pentirci e a chiedere perdono a Dio, col proposito di non più peccare e di evitare le prossime occasioni del peccato. Infine, sulla base di questi presupposti, Dio ci perdona e ci ridona la grazia, nel caso l’avessimo perduta col peccato mortale.

Per avere un quadro completo dell’agire umano e del suo funzionamento, e poter quindi dare un giudizio o una valutazione circa la grave questione che stiamo trattando, dobbiamo tener conto anche di altri fattori, che concorrono, seppur in modo accidentale e occasionale alla formazione dell’atto umano o morale, buono o cattivo che sia. Si tratta di motivazioni, incentivi, spinte, stimoli, sollecitazioni o pressioni più o meno forti o persistenti, favorevoli o sfavorevoli all’atto buono o cattivo, che possono provenire o dall’interno o dall’esterno del soggetto agente, e che possono essere o non essere favoriti o causati dalla volontà dello stesso soggetto agente.

Stimoli interni sono i progetti, gli intenti, le idee, i desideri, l’immaginazione, le tendenze, le abitudini, gli interessi, le disposizioni e le passioni del soggetto. Stimoli esterni sono l’ambiente umano e fisico, gli stimoli e influssi ricevuti dagli altri, le occasioni di operare il bene o il male, che si presentano, cercate o non cercate, previste o non previste.

In particolare, per quanto riguarda il peccato, esistono le tentazioni, che vengono o dall’intimo o da incontri o frequentazioni o esperienze pericolose o dannose, da cattivi esempi o dalle seduzioni di peccatori, persone tentatrici, con le quali si convive o si deve o si è obbligati o costretti a convivere.

Se le occasioni di peccare sono frequenti ed inevitabili, la caduta che consegue è meno imputabile, considerando da una parte la spinta della passione e dall’altra la pressione esercitata sulla volontà dall’occasione di peccato. La nostra volontà ha una forza limitata. Il peccato si verifica solo quando, potendo resistere alla tentazione, non lo facciamo. Ma se la tentazione è troppo forte e la volontà non riesce a vincere la concupiscenza, la colpa diminuisce, perché diminuisce il volontario, che è fattore essenziale dell’atto morale, sia buono che cattivo. In questo caso non si pecca perché si è deliberatamente voluto peccare, ma perché le forze di resistenza, colte a volte alla sprovvista, non sono state sufficienti. Se qualcuno mi dà uno spintone e io casco per terra, mi si darà una colpa se son caduto a terra? L’istinto sessuale, soprattutto nei giovani ― dovremmo saperlo tutti ―, è una forza travolgente, alla quale in certi casi è impossibile resistere. Nemo ad impossibilia tenetur. Non possiamo essere incolpati di atti che abbiamo commesso per causa di forza maggiore.

Ricordiamoci anche di distinguere il peccato in senso oggettivo, ossia l’azione cattiva in se stessa, dalla condizione soggettiva dell’agente, nel cui atto può mancare la piena avvertenza o il deliberato consenso, sicché la sua coscienza, benché egli oggettivamente abbia fatto del male o un danno a terzi, potrebbe essere in parte o del tutto scusata.

A ciò si riferiva il Papa con quella famosa frase «Chi sono io per giudicare?». Sarebbe assurdo credere, come hanno fatto stoltamente alcuni, che con ciò il Papa abbia voluto relativizzare la legge morale; ma semplicemente si riferiva ad un caso particolare, da sempre noto ai moralisti.

Tutte queste premesse devono portarci a un’importante distinzione, che gioca immediatamente nella nostra discussione e cioè quella tra il peccato come atto volontario, protraibile o interrompibile nel tempo a volontà; e certe situazioni o condizioni pericolose, interiori o esterne, soggettive od oggettive, che spingono più o meno fortemente al peccato, ma non sono ancora peccato, perché la volontà, per quanto sollecitata, resta libera di decidere. Possiamo tuttavia chiamare “stato di peccato” un peccato o una colpa volontariamente protratta nel tempo, quello stato psichico e morale colpevole che chiamiamo “ostinazione” e la Bibbia chiama “cuore indurito”. Anche in tal caso, però, la volontà, mossa dalla grazia, può sempre, in linea di principio, interrompere questo stato, spezzare queste catene e tornare al bene, come avviene per esempio nelle conversioni.

Ciò che accade nel caso dei conviventi, è una cosa che si può verificare in tanti altri casi della vita, nei quali occorre distinguere il peccato dall’occasione di peccare. Il peccato possiamo toglierlo subito; l’occasione può restare, anche se non vogliamo.

Facciamo alcuni esempi. Un seminarista che abbia un insegnante rahneriano, è bene che resti in seminario, anche se è tentato di cadere nell’eresia; e si noti che l’eresia è un peccato mortale, peggio dell’adulterio [cf. Ariel S. Levi di Gualdo, QUI]. Un operaio che abbia un padrone sfruttatore, dovrà tenerselo, data la difficoltà di cambiare lavoro, anche se è tentato di bastonarlo. Un cittadino, vittima di un regime dittatoriale, sarebbe tentato di fare un attentato, giacché difficilmente è possibile emigrare all’estero. E così via.

Ma in tutti questi casi occorre resistere, anche se la tentazione al peccato è forte. E se si cede, ci sono delle scusanti o delle attenuanti. Quando uno non ne può più, cede. Questo avviene nel sesso, ma anche in molti altri casi. E che facciamo? Li mandiamo all’inferno? O forse che la grazia di Dio può qualcosa? O forse che il Sinodo può darci qualche consiglio?

In questi casi e in questo senso non sarei del tutto contrario a parlare di “situazione peccaminosa”, a patto però che si distingua sempre da una parte lo stato volontario di peccato, che è possibile, benché non necessario e che quindi può essere sempre interrotto in qualunque momento e, dall’altra, da un contesto o da una situazione oggettiva durevole, insuperabile o di forza maggiore, dalla quale il soggetto, almeno al momento, non riesce a liberarsi, anche volendo.

La cosa da tener presente è che, anche in un’unione illegittima, non è affatto detto che i due siano sempre e necessariamente in uno stato di peccato mortale (“situazione peccaminosa” o “condizione di peccato”) e non possano essere toccati dalla grazia, come a dire che di per sé non possano essere atti a ricevere la Comunione, senza commettere sacrilegio.

Credere che la semplice occasione di peccare porti di necessità al peccato, è un errore gravissimo, offensivo della dignità umana dello stesso peccatore, il quale conserva il libero arbitrio, benché indebolito dal peccato originale. Se allora per “situazione peccaminosa” si intende la suddetta tesi, ebbene, come ho già detto, non esiste una “situazione peccaminosa”, perchè invece il peccato è la messa in pratica di un libero giudizio, questo sì peccaminoso; è un atto categoriale volontario e cosciente, ripetibile, anzi ripetitivo e, per quanto grave, sempre perdonabile o cancellabile da Dio, quale che sia la situazione nella quale si pecca.

La situazione, che è una circostanza dell’atto, non costituisce l’atto come tale nella sua sostanza, ma è solo una modalità accidentale o un’occasione dell’azione umana, buona o cattiva che sia. Ma non è la vera causa, che è solo la cattiva volontà. Quindi la sostanza del peccato, cioè la cosa che oggettivamente e sostanzialmente vien fatta, è indipendente dalle situazioni e dalle occasioni. Si può compiere un peccato in situazioni che inducono al bene; e si può compiere un atto di virtù, laddove la situazione ci spingerebbe a peccare. Che io compia un gesto di carità in uno stato d’animo di gioia, perchè ho superato un esame, o di sofferenza, perché è morta mia madre, il valore morale del gesto è sempre lo stesso.

Una delle eresie di Lutero condannate dal Concilio di Trento, fu proprio quella di credere che la concupiscenza, che è l’inevitabile ed invincibile tendenza permanente a peccare, presente in tutti noi, coincidesse con un inesistente stato permanente ed inevitabile di peccato.

La concezione del peccato come “situazione” è de-responsabilizzante. Salvo i nostri stati interiori, le situazioni nelle quali agiamo, solitamente non le determiniamo noi, ma ci sono date e non possiamo cambiarle. Qui siamo in una visione sul tipo di quella di Rousseau, che scarica le nostre colpe sulla società. Oltre a ciò, la detta concezione sembra riflettere la visione rahneriana, che rifiuta di considerare il peccato come atto categoriale, sostituendolo con una inesistente ed insostenibile “opzione fondamentale atematica”. Ma queste idee sono state condannate da San Giovanni Paolo II nell’enciclica Veritatis Splendor.

Se la Chiesa esclude attualmente i conviventi dalla Santa Comunione, non è perché essa supponga che essi sono sempre in peccato, ma solo per una misura pastorale, che vuol essere: primo, un richiamo alla loro coscienza; secondo, il rispetto dovuto ai sacramenti; terzo, evitare lo scandalo e il turbamento dei fedeli. Ma di per sé non è impossibile che essi si accostino alla Comunione in stato di grazia. Il che è come dire che, nonostante la situazione sia irregolare, essi possono vivere in grazia, benché ciò sia certo per loro difficile.

Se quindi la Chiesa un domani dovesse concedere loro la Santa Comunione, ciò non vorrebbe affatto dire che la Chiesa – cosa impensabile – compia un attentato contro la sostanza dei sacramenti, ma semplicemente che usa della sua facoltà di legiferare e mutar leggi per una migliore recezione dei sacramenti. La Chiesa tiene provvidamente a che anche i divorziati risposati vivano in grazia di Dio, nonostante la loro situazione. D’altra parte, se la disciplina attuale resta immutata, io non avrei problemi, perché nella mia lunga esperienza di confessore e guida delle anime, sono sempre riuscito a rasserenare queste persone, semplicemente ricordando loro che comunque esse possono percorrere un personale cammino penitenziale ed essere quindi in grazia, anche se non possono accedere ai sacramenti.

C’è oggi una fissazione eccessiva e superstiziosa sul voler fare per forza la Comunione, come se si trattasse di una rivendicazione sindacale, magari trascurando la confessione, mentre la Chiesa da tempo ha prescritto per queste coppie che possono fare la Comunione spirituale alla Santa Messa.

D’altra parte, se la disciplina attuale dovesse essere allargata o mitigata, non vedo proprio perché, come temono alcuni, che non sanno distinguere il dogma dalla pastorale, ciò dovrebbe costituire un attentato ai Sacramenti. La pastorale mette in pratica il dogma e non lo contraddice. Tra dogma e pastorale c’è un rapporto simile a quello che esiste tra il ritmo biologico dell’organismo e due differenti metodi di cura della salute. Il medico non può fissare la cura senza compromettere la salute del paziente?

La Chiesa fa discendere la pastorale dal dogma, in quanto nel dogma vi sono leggi divine intangibili e immutabili, che devono essere applicate nella vita. Molti e mutevoli sono i modi con i quali le leggi divine possono essere applicate dalla Chiesa, la quale invece interpreta e rispetta sempre ed infallibilmente l’immutabilità del dogma.

Quindi è assurdo credere o temere, come fanno i lefevriani, vittime di un rigido legalismo, che la Chiesa o il Papa, quando emana o cambia una legge, possa disattendere o mutare il dogma. Questa sarebbe invece la speranza dei modernisti, che, col pretesto della “misericordia” più per sé che per gli altri, vogliono scuotere il giogo di Cristo, ma essi si illudono, perché dimenticano le parole di Cristo: «cielo e terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» [cf. Mt 24, 32-35].

Se poi il convivente, per cattive abitudini o scelte sbagliate precedenti o per vari gravi motivi od ostacoli indipendenti dalla sua volontà, prigioniero del vizio, non riesce a liberarsi dalla situazione nella quale si trova e a venirne fuori, se pecca di lussuria, è in parte scusato e la colpa diminuisce. In questi soggetti la coscienza può ottundersi, cosicché essi non trovano più la forza di rialzarsi e di correggersi, facilmente adagiandosi in una perversa e fatalistica rassegnazione. Eppure la Chiesa, madre premurosa di condurre tutti alla salvezza, non si arrende, ma può e deve curarsi anche di questi casi difficili e quasi disperati. Ecco il lavoro del Sinodo.

La Chiesa sa quello che fa soprattutto in questa delicata materia della disciplina dei sacramenti. Essa sa come guarire le anime dal peccato e mantenerle in salute. Spetta dunque a lei di stabilire le norme per la conservazione e il rispetto di quelle meravigliose medicine dello spirito, che sono i sacramenti, nonché per loro degna e fruttuosa celebrazione, amministrazione e recezione, ordinando la condotta del ministro e quella del fedele, secondo i tempi, i luoghi e le circostanze, affnchè detta condotta sia conforme a una degna prassi sacramentale.

Dobbiamo fidarci delle disposizioni giuridiche, liturgiche e pastorali della Chiesa, nella certezza che la Sposa di Cristo, pur tra i suoi limiti umani, non potrà mai venir meno alla fedeltà al suo Sposo e ai suoi comandamenti, per quanto diverse ed anche in contrasto tra di loro, nel tempo e nello spazio, possano essere le sue leggi, che comunque interpreteranno ed applicheranno sempre la volontà del Signore.

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Secondo punto – Difficoltà relative all’interruzione del rapporto

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È chiaro che stiamo parlando di una convivenza illegittima. Io però ho parlato di “situazioni peccaminose” e non di “condizioni di peccato”, le quali non sono la stessa cosa. Come ho respinto la prima espressione nel senso che ho precisato, sarei disposto invece ad accettare la seconda, nel senso di “condizioni di vita che inducono al peccato”. Ma allora anche qui non c’è ancora in gioco il peccato. Come ho detto per la situazione, così devo dire per la condizione: esse non possono essere qualificate come “peccaminose”, perché non sono peccati, ma sono circostanze del peccato, come ho spiegato sopra.

Non costituiscono la sostanza del peccato ma una proprietà aggiunta accidentale, che può mancare, senza che la specie del peccato muti. Anche due legittimi sposi possono commettere un peccato di lussuria. Così, per tornare al nostro caso, l’unione illegittima non conduce necessariamente di per sé all’atto del peccato, pur costituendo una situazione o condizione, che induce a peccare ed è sorta dal peccato.

Certo, allora, che convivere è un atto di volontà. Ma il peccare dei conviventi, per quanto pecchino, non è necessariamente coestensivo al loro convivere. Non è che tutto il loro vivere sia peccato. Possono benissimo possedere buone qualità per altri versi, qualità che essi possono e debbono valorizzare, senza per questo peccare nel merito. Se lui è ingegnere e lei è infermiera, non possono forse far del bene sotto questi aspetti? È vero che le opere buone fatte in stato di peccato mortale non valgono per la salvezza. Ma sarebbe giudizio gravemente temerario e crudele pensare che questi esseri umani, redenti dal sangue di Cristo, siano in un continuo ed irrimediabile stato di peccato mortale, a meno che non si lascino. E la grazia divina che ci sta a fare?

Il loro convivere, infatti, nonostante l’oggettiva irregolarità della loro posizione, può comportare anche, almeno in certi momenti, l’intervento e la presenza della grazia. Dipende dai due peccare o non peccare, in forza del libero arbitrio. Solo i dannati dell’inferno sono in uno stato continuo ed irrimediabile di peccato. Supponendo quindi quanto ho detto, non è detto che i due vivano necessariamente e in continuazione nel peccato, quasi fossero anime dannate, per il semplice fatto che la loro è un’unione illegittima.

Questa unione peccaminosa, certo, è la loro situazione o condizione di vita. Ma la situazione non fa da sé ancora il peccato, il quale non nasce dalla situazione, ma dalla volontà, volontà che può cambiare, mentre la situazione può restare la stessa. Il permanere di una situazione o condizione di vita, dalla quale, per ipotesi, non si può uscire e che comporta una continua tentazione al peccato, non vuol dire che in molti casi i due non possano, con la grazia di Dio, vincere la tentazione o, sempre con la grazia d Dio, risorgere dal peccato.

Interrompere la relazione sarebbe certo cosa buona e doverosa, ma cs non è sempre possibile a causa di ostacoli e di situazioni oggettivi di vario genere, ai quali ho già accennato nell’intervista [cf. QUI]. Ma è chiaro che se la cosa è possibile, va fatta.

Per quanto riguarda poi la questione dell’educazione dei figli, sollevata da Gnerre, è evidente che la nuova coppia ha un dovere primario nei confronti dei figli, eventualmente nati dalla nuova unione, mentre la nuova coppia dovrà interessarsi, per quanto è possibile e conveniente, stando alle disposizioni della legge civile e possibilmente sotto una guida spirituale, anche di eventuali figli nati nel precedente matrimonio e di altri avuti da un nuovo eventuale legame contratto con altri dal coniuge precedente.

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Terzo punto – Il Papa, custode della Tradizione

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Ripeto che la voce autentica ed ufficiale della Tradizione apostolica non è altro che il Magistero vivente della Chiesa di oggi, erede, custode e depositaria della Tradizione degli apostoli. Il Magistero della Chiesa lungo i secoli, a cominciare dai Santi Padri, specialmente nei Concili ecumenici, è sempre testimone autentico della Tradizione. Papa Francesco è quindi oggi il testimone guida della Tradizione, ne é l’interprete definitivo ed autentico.

Certamente che nei secoli la Tradizione è stata messa per iscritto. E la stessa Sacra Scrittura, in fondo, non è altro che Tradizione orale, predicazione messa per scritto. In tal senso la Tradizione, nata dall’aver udito la stessa parola uscita dalle labbra del Salvatore, è più importante della Scrittura. Cristo non ha detto agli apostoli “scrivete”, ma “predicate”, benché nel mettere per iscritto abbiano avuto un’ottima idea.

È chiaro infatti che la Bibbia è un libro sacro. Ma esso è interpretato dalla Chiesa, depositaria della Tradizione apostolica. Lutero, allora, con la sua ribellione al Papa e col suo attaccamento feticistico e presuntuoso a un libro stampato da Guttenberg, ha perduto di vista la vera origine della Parola di Dio.

Ma resta sempre che la Sacra Tradizione, per sua essenza è orale, è il Magistero apostolico vivente; ed in ciò si differenzia dalla Scrittura. La voce attuale dei nostri pastori, sotto la guida del Papa, è la voce della Tradizione, che poi viene regolarmente messa per iscritto negli Atti della Sede Apostolica.

Certamente il Papa nel suo insegnamento sulle verità di fede si basa sulla Tradizione, la quale, in questo senso, è la regola dello stesso insegnamento pontificio. Ma il giudicare o il sapere in ultima istanza se il Papa si attiene o no alla Tradizione, spetta solamente al Papa stesso. Cristo non ha affidato ad altri che agli apostoli la sua parola, ordinando loro di insegnare al mondo fino alla fine dei secoli ciò che aveva insegnato a loro.

Nessun altro dunque al di fuori del Successore di Pietro è il custode supremo ed infallibile della Tradizione. Ribadisco quindi che la pretesa di alcuni cattolici di conoscere la Tradizione meglio del Papa, così da poterlo cogliere in fallo quando sbaglia, non ha nessun senso, ma assomiglia piuttosto all’atteggiamento di quei farisei che volevano cogliere in fallo il Signore nei suoi discorsi.

Noi possiamo discernere quando il Papa parla in nome della Tradizione e quando no. Certo anche a noi è possibile conoscere i documenti della Tradizione e verificare la fedeltà del Papa ad essi. Ma anche quando il Papa parla al di fuori della Tradizione, non parla mai contro di essa.

L’impressione che a volte il Papa non si attenga al dato rivelato trasmesso dalla Sacra Tradizione, è sempre un’impressione falsa, che deve farci comprendere che con simile atteggiamento mentale si finisce col cadere sotto il rimprovero del Signore, fatto ai farisei di non ascoltare la Parola del Dio eterno, che non passa e non muta, ma di farsi schiavi di caduche e vane “tradizioni di uomini”:

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[…] così avete annullato la parola di Dio in nome della vostra tradizione. Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo: «Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini» [cf. Is 29,13]. Poi riunita la folla disse: «Ascoltate e intendete! Non quello che entra nella bocca rende impuro l’uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l’uomo!». Allora i discepoli gli si accostarono per dirgli: «Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole?». Ed egli rispose: «Ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata. Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!» [Mt. 15, 7-14].

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Varazze, 18 ottobre 2015

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Grazie.

Cattolici e sessuofobia: «La verginità degli eretici è più impura dell’adulterio»

CATTOLICI E SESSUOFOBIA: «LA VERGINITÀ DEGLI ERETICI È PIÙ IMPURA DELL’ADULTERIO»

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Certi cattolici cupi molto simili ai sadducei ed ai farisei, di fondo sono cresciuti con un’idea di Cristo morto ma non risorto, con un’idea della sessualità tutta quanta manichea; sono fissi su concetti di arido legalismo e intrisi di pelagianesimo, ed analogamente a Lutero hanno problemi seri sul concetto paolino della predestinazione, quindi sulla teologia della giustificazione che rischiano spesso di ridurre ad un’idea tutta quanta calvinista, seppure sotto forma di rigorismo morale cattolico.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Ariel S. Levi di Gualdo

Ariel S. Levi di Gualdo

Poco dopo l’uscita dell’intervista a Giovanni Cavalcoli fatta dal vaticanista de La Stampa Andrea Tornielli [cf. QUI] si è scatenata una ridda di polemiche seguite da pesanti accuse rivolte al teologo domenicano; accuse alle quali io non rispondo nello specifico, perché lo ha fatto in modo magistrale il diretto interessato, che non ha bisogno delle mie “difese d’ufficio” [cf. QUI].

Devo fare però un’amara constatazione e ribadire un concetto affermato negli ultimi mesi: prendendo a pretesto il Sinodo sulla famiglia un’armata di farisei seguita a mutare il Sesto comandamento nel peccato dei peccati, come se in esso risiedesse l’intero mistero del male. E pur di supportare le loro teorie peregrine, sono pronti “politicamente” a tutto, persino ad elevare i Vescovi africani come vessillo in difesa dell’ortodossia della famiglia [cf. QUI, QUI, ecc.]. Cosa questa che rende davvero patetici certi “politicanti” che estrapolano ciò che solo a loro interessa fingendo di non sapere che diversi di questi paladini della difesa dei valori non negoziabili, della famiglia e del sacro matrimonio; questi difensori della vera dottrina che hanno tuonato contro l’adulterio e il concubinato, sono più volte risultati padri di diversi figli sparsi per il mondo, cosa che la Santa Sede sa da sempre; e nello specifico lo sanno quelli della Congregazione de propaganda fide, il cui problema principale, quando si tratta di eleggere un nuovo vescovo in qualche diocesi del Continente Nero, è di riuscire a selezionare un candidato che non abbia concubine e figli sparsi in giro, impresa tutt’altro che facile.

O per chiarire meglio con un esempio concreto: a Roma, sul finire del 2009 trascorsi due giornate assieme all’arcivescovo di una grande diocesi dell’Africa che mi chiese aiuto per la lettura del messale latino del Beato Paolo VI. Pochi giorni dopo sarebbe infatti andato in udienza privata dal Santo Padre Benedetto XVI, avrebbe concelebrato con lui e si sarebbe poi intrattenuto a colloquio durante la colazione. L’arcivescovo aveva appreso che il Santo Padre usava nella propria cappella privata questo messale e voleva rinfrescare la sua lettura del latino. Prima di andare, a me e ad un altro sacerdote, disse: «Voglio rivelarvi perché ho chiesto udienza al Santo Padre. Vedete, la mia è una diocesi molto estesa ma povera, nella quale abbiamo un grande problema: siamo totalmente privi dei necessari mezzi per sostenere tutti i bambini che sono stati messi al mondo dai nostri preti in giro per i villaggi. E noi, verso queste creature, abbiamo come Chiesa degli obblighi morali e non possiamo lasciarli abbandonati per le strade. Per questo vado dal Santo Padre: a chiedergli un aiuto economico». E concluse dicendo: «E spero che il Santo Padre, visto che quelli della Congregazione de propaganda fide non mi hanno ascoltato, accetti la mia richiesta e rimuova il mio vescovo ausiliare, che ha tre concubine e non so neppure quanti figli nati in giro».

A incentivare la perversione del sesso inteso come peccato dei peccati, ch’è in sé cosa molto più peccaminosa dell’adulterio o delle convivenze dei divorziati risposati, sono dei laici senza umanità cristiana sostenuti da qualche teologo specializzato a tirare il sasso, ritirare la mano e istigare personaggi alquanto digiuni di teologia ― e per questo facilmente manipolabili ― ad “armarsi e partire”. E questo, nel mio linguaggio, si chiama viltà, tipica a volte dei presbìteri che hanno trascorso la propria vita a speculare sulle nuvole dei massimi sistemi dell’intelletto soggettivo, sino a sprofondare nella autentica madre di tutte le eresie: sostituire l’ “io” del proprio pensiero pensato a “Dio”, che non è più, attraverso il Mistero dell’Incarnazione del Verbo, l’inizio, il centro e il fine ultimo del nostro intero umanesimo, ma il pretesto sul quale edificare il proprio omocentrismo intellettuale. E fu proprio Giovanni Cavalcoli a donarci sulle colonne di questa rivista telematica uno straordinario articolo dedicato alla Apologia della superbia [Cf. QUI], quel peccato da me indicato più volte come regina e diabolica auriga dei Sette peccati capitali; un peccato — la superbia — che nella lista occupa non a caso il primo posto e che come tale è da temere più della lussuria, che non è affatto né la regina né l’auriga dei Sette peccati capitali, per questo è collocata al quarto posto nella cronologia del Catechismo della Chiesa Cattolica.

Certi cattolici cupi molto simili ai sadducei ed ai farisei, di fondo sono cresciuti con un’idea di Cristo morto ma non risorto, con un’idea della sessualità tutta quanta manichea; sono fissi su concetti di arido legalismo e intrisi di pelagianesimo, ed analogamente a Lutero hanno problemi seri sul concetto paolino della predestinazione, quindi sulla teologia della giustificazione che rischiano spesso di ridurre ad un’idea tutta quanta calvinista, seppure sotto forma di rigorismo morale cattolico.

Se dinanzi ad articolate tematiche pastorali con implicazioni teologiche e dottrinarie molto complesse certi personaggi dovrebbero tacere, non altro per quel pudore derivante da una mancanza oggettiva di profonda conoscenza; qualche teologo di riferimento che dietro le quinte li carica dovrebbe avere maggior pudore e non aprire proprio bocca, a meno che non sia in grado di dimostrare di avere fatto veramente il prete per tutta la vita. E per prete non s’intende essersi diviso tra aule accademiche, sale di conferenza e biblioteche, perché pastoralmente parlando fare il prete non vuol dire avere celebrato una Santa Messa al giorno, ma avere trascorso molto tempo dentro i confessionali, avere preso su di sé i dolori e i disagi di singoli e d’intere famiglie, avere frequentato i reparti di oncologia degli ospedali, essere entrati e usciti dalle carceri dove dei giovani appena ventenni, per una “bravata” o peggio per una “follia”, si sono presi una condanna a vent’anni per omicidio; e via dicendo. 

Io che vivo invece la dimensione pastorale, pur dedicandomi agli approfondimenti ed alle speculazioni teologiche, non accetto lezioni di pastorale ragionieristica da certi personaggi che sono, ripeto, delle figure eminentemente politiche; come non accetto certi teatrini inscenati dai presbìteri di pura accademia che al contrario di me non vanno a guardare in faccia una giovane ammalata di tumore in fase terminale, ad amministrarle l’unzione degli infermi, a celebrare la Santa Messa a casa sua perché non può uscire dalle mura domestiche al cui interno sta attendendo la morte da un giorno all’altro, ed alla quale non è possibile offrire come consolazione qualche lezioncina di buona epistemologia in alternativa agli anti-dolorifici a base di morfina solfato. Per non parlare poi del fatto che questa povera e giovane ammalata ha la “colpa immane” di essere sposata con un divorziato. Però, vista la gravità irreversibile della malattia, non potendo avere peccaminosissimi rapporti sessuali, lei ed il marito divorziato risposato, possono ritenersi più o meno a posto a livello morale? Ciò che infatti solo conta in modo imprescindibile e “assolutamente” inderogabile per certi legalisti è che non ci sia di mezzo il peccato dei peccati: il sesso. Anche se, a livello di morale epistemica non è stato ancora chiarito se il peccato è rappresentato dal membro che penetra nella vagina oppure se è da considerare peccato solo l’orgasmo, perché in questo secondo caso potremmo stabilire che la penetrazione genitale è concessa, a patto però che non vi sia eiaculazione, ma soprattutto che non vi sia da parte di entrambi alcun piacere, perché da certi moralisti resi immorali dalla loro insita disumanità, c’è da aspettarsi questo e molto altro ancora, capaci come sono a creare da una parte degli onirici manuali impossibili di etica sessuale, dall’altra di negare il mistero stesso della creazione dell’uomo, perché in fondo sono sempre loro, sempre gli stessi incorreggibili:

Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito! [cf. Lc. 11,46]

E proprio in queste settimane dell’anno liturgico abbiamo letto nella feria il Vangelo di San Luca, dove sono riportate le diatribe e le critiche di Gesù con i farisei; se leggiamo bene quelle righe sembra di ritrovarci di fronte alla disumanità di certi personaggi olezzanti legalismi, dinanzi alle motivazioni dei quali torna a mente la saggia massima di un grande Padre della Chiesa, San Gregorio di Nissa, il quale affermava che «La verginità degli eretici è più impura dell’adulterio», ed è un’impurità che tramite la via di rigurgiti pelagiani porta infine all’ateismo clericale, all’ateismo della bestia religiosa, un ateismo inteso come negazione del mistero del Verbo di Dio Incarnato distrutto nel peggiore dei modi: attraverso la sua riduzione ad un fenomeno meramente speculativo e legalistico.

Con uno zelo da fare invidia al codice della strada della Repubblica Federale Tedesca, chi ragiona in questi termini afferma che i divorziati risposati devono vivere come fratello e sorella, in perfetta castità; perché naturalmente – va da sé – l’intero mistero del male risiede, come sin qui spiegato, nella sessualità. Chi si lascia andare ad affermazioni così decise e così tragicamente leggere perde anzitutto di vista il fatto che la castità non è una stoica rinuncia sostenibile con le sole forze della volontà umana — e ciò penso proprio di poterlo dire per esperienza concreta diretta —, ma un dono di grazia. E chi ha studiato in modo approfondito il De natura et gratia di Sant’Agostino, che costituisce un grande dibattito contro quel Pelagio che potremmo a suo modo considerare il padre precursore dei volontaristi, sa di che cosa stiamo parlando. Pertanto, una coppia di sposi che fosse chiusa all’azione di grazia ma che applicasse con scrupolo e zelo tutte le regole morali, dai metodi naturali sino alla perfetta continenza, potrebbe risultare in tutto e per tutto peggiore di una coppia di concubini che, pur vivendo nel peccato, consapevoli anzitutto del proprio peccato, sono mossi però da un senso di apertura verso se stessi e verso il prossimo. È proprio di fronte a queste persone che il Signore Gesù ammonisce:

In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli [cf. Mt. 21, 31-32].

Se noi concentriamo invece tutto quanto sulla genitalità come molti stanno facendo in questo dibattito ed anche in modi rasenti l’ossessione, si rischia di scivolare nella impura verginità degli eretici. O come scrisse Blaise Pascal nei suoi pensieri riguardo certe monache: «Caste come angeli, superbe come demoni».

E io, come uomo e come prete, dovrei forse prendere lezioni da quel certo signore che tuona contro i divorziati risposati e contro l’adulterio sbraitando: la Santa Comunione ai divorziati risposati no, giammai, no, altrimenti sarà infine scisma? Il tutto con appresso il teologo di fiducia che dinanzi a certe evidenze di oggettiva immoralità sospende però per incanto ogni genere di giudizio e battendo anche i piedi a terra afferma che «queste sono altre questioni» e che «nostro compito è parlare di teologia e non di questioni socio-politiche»? Mi si faccia dunque capire: se si osa sfiorare la vita altamente immorale di certi danarosi e munifici potenti, quelle sono faccende «socio-politiche» che «non riguardano i teologi», il dovere dei quali, ed in specie sul piano del rigore morale, è forse quello di prendere invece a legnate solo i deboli che non possono profondere sulle nostre opere e fondazioni fiumi di danaro?

Piaccia o non piaccia, rimane un dato di fatto che certe istituzioni di moralisti duri e puri sono tenute in piedi con i soldi donati dalle estreme destre americane formate da soggetti che – i più morali in assoluto – sono sposati perlomeno un paio di volte e se la spassano appresso con ragazze di vent’anni più giovani di loro. O vogliamo davvero relegare nelle questioni prive di interesse teologico-pastorale, ma soprattutto d’interesse morale, il fatto che questi personaggi, tra una gozzoviglia e l’altra, si rechino poi con l’alabarda cavalleresca in mano e con la lacrima all’occhio alle Sante Messe in rito antico, per tuonare tra un oremus e l’altro contro l’adulterio, il concubinato e la Comunione ai divorziati risposati, come se tutto ciò fossero lussi che non possono essere concessi ai comuni mortali dal basso reddito, ma solo ai grandi dissoluti con i conti a nove zeri, dinanzi ai quali da una parte si prende, dall’altra non si vedono neppure quei peccati che gridano davvero vendetta al cospetto di Dio, sino ad affermare che «certe questioni non riguardano i teologi» e sentendosi ciò malgrado con la coscienza epistemica ed aletica in perfetto ordine?

Giovanni Cavalcoli, che come uomo, sacerdote, confessore e teologo ha la purezza di un angelo, dinanzi ai peccati legati al Sesto comandamento tratta da sempre i peccatori con grande umanità, senza mai lanciare verso di loro le brucianti saette dei giudizi morali impietosi. Io che provengo invece da un’altra esperienza e che nella vita precedente al sacerdozio ho percorso la dimensione affettiva e sessuale in lungo e in largo, dinanzi alla confessione di peccati molto più leggeri di quelli che a suo tempo commettevo io, rifletto sempre con gioia sulla grazia, trovandomi oggi per ineffabile mistero ad assolvere mediante il ministero della Chiesa i peccatori, sui quali profondo come devoto instrumentum Dei cristologica tenerezza e misericordia. 

Giunti alla grazia per vie diverse: il Padre Giovanni tramite la purezza angelica, io attraverso la conoscenza approfondita di certi peccati, viviamo entrambi il perenne incanto della grazia di Dio. Questo il motivo per il quale ogni giorno, in noi, non si rinnova certo il concetto del summum ius summa iniuria  [il sommo diritto è somma ingiustizia] ma l’incanto del mistero pasquale: «O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem» [O felice colpa che ci fece meritare un tale e così grande Redentore]. È in questo che risiede la differenza sostanziale e formale che corre tra i piccoli farisei resi spietati nel cuore per la loro chiusura omocentrica alla grazia, i pastori in cura d’anime e gli uomini di Dio resi puri di cuore nella misura in cui hanno accolto e fatto fruttare dentro di sé quei doni di grazia che li ha proiettati in un essere e divenire tutto incentrato in una dimensione cristocentrica, all’interno della quale albergano sentimenti come l’amore, la pietà e la misericordia.

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«La comunione ai risposati non tocca la dottrina ma la disciplina»

«LA COMUNIONE AI RISPOSATI NON TOCCA LA DOTTRINA MA LA DISCIPLINA»

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Autore Redazione dell'Isola di Patmos

Autore
Redazione
dell’Isola di Patmos

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Andrea Tornielli

il giornalista e scrittore Andrea Tornielli, vaticanista del quotidiano La Stampa

Il vaticanista de La Stampa Andrea Tornielli pubblica oggi su Vatican Insider l’intervista fatta a uno dei Padri dell’Isola di Patmos. Rispondendo alle sue domande il teologo domenicano Giovanni Cavalcoli chiarisce uno dei problemi oggetto di dibattito e di accesa polemica soprattutto al di fuori del Sinodo sulla Famiglia.

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Per leggere l’intervista cliccare QUI

 

 

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

La problematica pastorale dei divorziati risposati

LA PROBLEMATICA PASTORALE DEI DIVORZIATI RISPOSATI

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In questo frangente così grave per la vita della Chiesa e della società, occorre evitare i due estremismi contrapposti, il primo, di una piccola ma mordace minoranza, dell’ultra tradizionalismo, col suo allarmismo catastrofista e il suo legalismo rigorista, che teme che il Papa possa allontanarsi dal Vangelo o dalla Tradizione, se non lo ha già fatto; e il secondo, ben più diffuso ed arrogante, quello dei modernisti, spiriti mondani, relativisti impenitenti, predicatori del buonismo misercordista, che vorrebbero strumentalizzare il Papa con false adulazioni.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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sinodo dei vescovi 1

Celebrazione dei Padri Sinodali nella Papale Arcibasilica di San Pietro

.Siamo in attesa delle decisioni del Santo Padre in base alle proposte del Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia, che tratterà, tra gli altri temi, anche quello dei divorziati risposati. Ci attendiamo da questa assemblea dei nostri pastori, illuminanti ed incoraggianti direttive ai fini di un rafforzamento dell’istituto familiare alla luce della fede, così da aiutare le famiglie a vivere meglio e con maggior convinzione il dono ricevuto da Dio, difese dalle insidie e dalle tentazioni che vengono dal mondo contemporaneo.

sinodo pastorale

pregevole modello medioevale di bastone pastorale

Tra le questioni da affrontare ci sarà quella di elaborare per i pastori e per tutti coloro che hanno a cuore il valore della famiglia, una nuova metodologia pastorale ed educativa, atta a chiarire le idee e i comportamenti contrari al bene della famiglia, e quindi a correggere fraternamente ed aiutare generosamente quelle coppie, che, o per cattiva volontà o per ignoranza o cattiva educazione o per cattivi esempi o influssi subìti o per difficoltà oggettive, non osservano in vari modi e misure in questo settore fondamentale della vita cristiana, i comandi del Vangelo e le leggi della Chiesa. Infatti non ci sono soltanto, come si suol dire, le famiglie “ferite”, bisognose di comprensione, aiuto e misericordia, ma anche le famiglie che feriscono, che danno il cattivo esempio, che turbano o che scandalizzano, famiglie o coppie che gettano lo scompiglio o provocano sofferenze, conflitti e guai in altre famiglie o in altre coppie, magari sedotte dal mondo o vittime di idee sbagliate o ribelli alle norme dell’etica familiare, famiglie malsane o corrotte, che purtroppo tendono a corrompere quelle sane, mentre invece deve avvenire l’inverso e cioè che le sane guariscano le malate.

Occorre assolutamente invertire quella tendenza nefasta e dissolvente, che da decenni si sta diffondendo nella Chiesa e nella società, per la quale diminuiscono i matrimoni legittimi e normali, aumentano i divorzi, le separazioni e i matrimoni nulli ed aumentano le unioni illegali o irregolari, aumentano le famiglie divise o in crisi, con danni enormi all’educazione dei figli, e diminuiscono quelle unite e serene e dedite al bene della Chiesa e della società.

Un tema delicato da affrontare sarà anche quello di una qualche regolamentazione delle cosiddette “convivenze”, altrimenti chiamate “unioni civili”, nonché quello ancor più delicato della convivenza di coppie omosessuali. Ma qui accantono questi temi per fermarmi solo a quello dei divorziati risposati o conviventi.

sinodo papa francesco

il Sommo Pontefice Francesco all’apertura della seconda sessione del Sinodo sulla famiglia

Sotto questa categoria ormai entrata nell’uso possiamo e dobbiamo mettere, per maggior precisione, anche quelle coppie che hanno avviato una nuova unione, con o senza matrimonio civile, con o senza divorzio dal precedente matrimonio ecclesiastico, ma rimaste legate al legittimo coniuge sul piano sacramentale. D’altra parte è chiaro che, quali che saranno le decisioni del Santo Padre, i timori di alcuni che egli metta in forse l’indissolubilità del matrimonio e quindi ammetta il divorzio con seconde nozze non hanno alcun senso. Di una cosa dobbiamo essere ben convinti: che il Sinodo manterrà, confermerà e rafforzerà, come sempre ha fatto e farà la Chiesa, i valori assoluti, perenni ed irrinunciabili, morali e dogmatici, fondati sulla legge naturale e divina, mentre si riserva di mutare, se lo ritiene opportuno, nel campo della pastorale, ossia della legge ecclesiastica e del diritto canonico, come per esempio, ed è questo il caso, nella disciplina — non nella sostanza! — dei sacramenti (Matrimonio ed Eucaristia). Il giudizio del Santo Padre non sarà infallibile né immutabile, e tuttavia sarà consono alle attuali circostanze, perché non sarà di tipo dottrinale sulla verità di fede. Sarà invece semplicemente un giudizio prudenziale, dove la Chiesa può sbagliare e quindi riformarsi e correggersi — casi rarissimi — e mutare, ma che comunque va fiduciosamente accolto e messo in pratica con religioso ossequio della volontà.

Se quindi la Chiesa elaborerà una nuova legislazione pastorale per le coppie di cui parliamo, ciò evidentemente non vorrà dire che essa ammetterà, come alcuni allarmisti di poca fede temono, la possibilità dello scioglimento del precedente legittimo legame sacramentale, né che possa, per queste coppie, come alcuni vanno fantasticando, istituire una specie di nuovo “matrimonio”, magari di seconda classe. È possibile invece che venga riconosciuto un certo tipo di “unione civile” in accordo con lo Stato.

lezione di diritto canonico

codice miniato raffigurante una lezione di diritto canonico

Alcuni, specie degli ambienti canonistici, ritengono che l’attuale legislazione (esclusione dai sacramenti) sia così strettamente legata al diritto divino sul matrimonio, che la Chiesa non potrebbe mutarla, senza offendere lo stesso diritto divino. Pertanto, auspicano con tutte le forze la conservazione delle norme attuali, quasi scongiurando il Pontefice che mantenga immutata l’attuale legislazione. A costoro bisogna rispondere che, benchè ovviamente l’attuale diritto ecclesiastico in materia sia un’applicazione del diritto divino, non c’è tra i due una connessione logicamente necessaria, come di conseguenza a premessa, o come se si trattasse di un sillogismo deduttivo. In realtà, salvo restando il diritto divino, ed anzi, in vista di una sua migliore applicazione, secondo le necessità e le opportunità di oggi, è facoltà della Chiesa apportare modifiche al diritto canonico secondo il suo prudente, benchè non irrevocabile o irreformabile giudizio.

divorzio 2

torta di divorzio” …

Quello che semmai c’è da temere non è cosa dirà il Papa, ma quale sarà la reazione dei modernisti al certamente riaffermato valore dell’indissolubilità del matrimonio da parte del Sinodo. Infatti costoro, infetti da una mentalità storicistica e relativista, fraintendendo l’ecumenismo, il pluralismo, la libertà di coscienza e il dialogo interculturale ed interreligioso, hanno assunto la mentalità indifferentista e liberale degli Stati moderni, per cui ritengono che il ribadire da parte della Chiesa l’indissolubilità come valore universale ed immutabile, obbligatorio per tutti, sia segno di uno spirito non evangelico, non “conciliare” e non pastorale, ma dottrinario, impositivo ed illiberale vecchio stile, che non rispetta le diverse scelte di ciascuno, dettate dalla propria coscienza.

Ciò che costoro rimproverano alla Chiesa è di privilegiare irragionevolmente, con mentalità superata, una particolare unione fra due persone – l’unione indissolubile fra uomo e donna – su tutte le altre, comprese quelle omosessuali, mentre invece a loro avviso tutte le scelte sono lecite e buone e vanno messe sullo stesso piano come scelte di coscienza.

divorzio 3

torta di divorzio

È evidente che la Chiesa, pur andando incontro alle situazioni che lo richiedono, non accetterà mai simile soggettivismo e relativismo, che dimentica i gradi di dignità e di perfezione dell’amore umano e soprattutto finisce per legittimare il peccato con la scusa della scelta di coscienza o della misericordia.

Per una buona discussione sull’argomento, è necessario richiamare alla mente alcune cose riguardanti la nozione del peccato e della sua cancellazione grazie al perdono divino. Occorre cioè innanzitutto distinguere il peccato come atto dall’inclinazione al peccato, chiamata dal Concilio di Trento “concupiscenza” (Denz.1515). Alcuni confondono le due cose.

inclinazione

il problema della inclinazione …

L’inclinazione è infatti un dato di fatto psicologico inevitabile e permanente per tutta la vita terrena ed è uno stato presente in tutti, anche nei Santi, esclusa, s‘intende, la Beata Vergine Maria, indipendentemente dalla volontà, in quanto conseguenza del peccato originale. Il peccato, invece, in senso proprio, è un atto cattivo — mala actio, lo chiamava Cicerone — cosciente e libero (“piena avvertenza e deliberato consenso”), frutto della volontà. Infatti, la volontà, che si presume normalmente buona, ogni tanto, per vari motivi, si perverte e diventa cattiva.

Maria Maddalena

Simone Pignoni, Maria Maddalena, sec. XVII

Potere del nostro libero arbitrio, soccorso dalla grazia, è quello di correggere la nostra stessa volontà, capace di raddrizzare se stessa col pentimento, rimettendo se stessa sul buon cammino. Questa è la conversione, favorita dal sacramento della penitenza. Il peccato, dunque, è un “incidente di percorso”, che però non va preso alla leggera con la scusa della divina misericordia, ma va e può essere rimediato ogni volta. Peccassimo anche “settanta volte sette” al giorno, Dio è sempre pronto a perdonarci, ma noi dobbiamo fare la nostra parte con serietà e senso di responsabilità.

L’atto del peccato può protrarsi o durare nel tempo o per sua natura o perché volontariamente mantenuto in essere, per cui da atto si trasforma in stato, ma allora è meglio parlare di “colpa”, per la quale si determina un vero e proprio stato: l’essere colpevole. Il peccato, come è causato da un atto del volere, così, compiuto l’atto peccaminoso, ha termine l’atto del peccato. Resta la colpa, che è uno stato di turbamento interiore e di opposizione o di inimicizia con Dio, più o meno rilevante, che sta alla volontà del soggetto conservare con l’ostinazione, fino all’ “indurimento del cuore” o annullare, per l’intervento della grazia, col pentimento e grazie a un “cuore contrito”.

Sant Agostino

il Vescovo Agostino Santo Dottore della Chiesa, che dalla dissolutezza giunse alla santità …

Quindi non esistono situazioni intrinsecamente peccaminose come alcuni credono, o uno stato intrinsecamente peccaminoso. Esistono invece situazioni, più o meno permanenti, pericolose o pericolosissime, vere e proprie tentazioni, nelle quali è molto facile o quasi inevitabile il peccare, perché il soggetto si trova in un’occasione immediata, evitabile o inevitabile, che può essere colpevolmente o incolpevolmente permanente, di peccato. Ma il soggetto, almeno in linea di principio, resta sempre libero di cedere o non cedere alla tentazione. Se la tentazione è troppo forte, la colpa diminuisce, soprattutto se la volontà è debole. La colpa aumenta, invece, se c’è una vera volontà deliberata ed una piena avvertenza, e la cattiva passione o concupiscenza è facilmente vincibile. Ma il peccato resta in causa, se in precedenza il soggetto non ha avuto l’avvertenza o la prudenza, potendolo, di evitare l’occasione.

Santa Margherita da Cortona

Santa Margherita da Cortona, patrona delle prostitute pentite [G. Lanfranco, Estasi di Santa Margherita, Firenze, Palazzo Pitti]

È chiaro che l’adulterio resta sempre, almeno per la materia, intrinsece malum, peccato mortale, così come è impensabile il venir meno dell’indissolubilità del matrimonio. Gli sforzi di certi moralisti o pastori di trovare del positivo nelle unioni adulterine o concubinarie, non ovviamente in quanto tali, ma in quanto coinvolgono persone, che mantengono la dignità della persona e possono per altri aspetti possedere alte qualità, di per sé non sono vani o disonesti, ma sono segni di saggezza pastorale. Certamente anche un’opera buona, ma non compiuta in stato di grazia, non è salvifica. Ma chi giudica dall’esterno (solo Dio conosce il cuore) deve comunque saper riconoscere l’opera buona o la buona qualità e magari puntare su di esse per esortare il peccatore al pentimento. È evidente infatti che, a parte il peccato che la coppia commette, essa, per altri aspetti, può possedere dei valori, che devono essere riconosciuti ed incrementati, se non altro come contrappeso alla situazione irregolare. Ma è altrettanto chiaro che non si deve trarre da questi valori pretesto per diminuire o addirittura scusare o coonestare il peccato.

Grave equivoco proprio di alcuni quello di confondere il peccato con l’imperfezione e dare una parvenza di legittimità o tollerabilità al peccato riconducendolo alla categoria dell’imperfezione. La disonestà di simile operazione appare evidente, se noi riflettiamo che, mentre l’imperfetto è già un bene, seppur minore e che va migliorato, il peccato appartiene alla sfera del male, a meno che non siamo così folli da confondere il bene col male.

coppie di fatto 2

ombre e luci sulle convivenze …

Sulle convivenze vi sono ombre e luci, perché neppure queste unioni, come alcuni pensano, sono assimilabili alle condizioni dei non-cattolici previste dai decreti conciliari. Si tratta infatti in questo caso di cristiani, che non rispettano per istituzione e motivi storici la morale cattolica. Possono essere benissimo in buona fede. E quindi il caso è ben differente. Nel nostro caso, invece, si suppone che abbiamo dei cattolici, che conoscono il loro dovere. La Chiesa non pretende invece giustamente che gli acattolici pratichino tout court la morale cattolica. Sarebbe questa una forma di indiscreto integralismo. La Chiesa certo spera nell’ingresso di questi fratelli, col soccorso della grazia, nella sua piena comunione, ma nel frattempo e per adesso essa saggiamente non chiede altro ad essi che l’esercizio dell’ecumenismo secondo la loro coscienza. Invece chiede ai peccatori, soprattutto quelli viventi nel suo seno, che si convertano, anche se essa sa attendere i “tempi di Dio” e, all’occorrenza, anche scusare.

divorziati risposati

Divorziati risposati: esistono strade possibili?

Quanto ai divorziati risposati, essi si trovano in una situazione certamente irregolare e offensiva del precedente matrimonio, supposto valido. Si tratta di una situazione che costituisce per loro un’occasione immediata e permanente di peccato mortale. Di fatto si può immaginare che essi commettano spesso questi peccati. Data questa situazione scandalosa, la Chiesa tuttora opportunamente non concede loro i sacramenti della confessione e della comunione. Tuttavia, la Chiesa, come è noto, a suo tempo ha dato alcune disposizioni per favorire la loro partecipazione, benchè imperfetta, alla vita ecclesiale. Essi non sono scomunicati e se riescono ad astenersi dai rapporti sessuali, sono ammessi ai Sacramenti. In ogni caso, è bene che essi partecipino alla Messa e, se sono in grazia, cosa difficile ma non impossibile, possono fare la comunione spirituale. Benchè infatti vivano in una situazione che oggettivamente li spinge fortemente al peccato, non siamo autorizzati, come pensano alcuni, a credere che i due vivano permanentemente ed inevitabilmente in uno stato di peccato o colpa mortale, privi della grazia, quasi fossero anime dannate, perché invece, in forza del libero arbitrio, hanno sempre la possibilità, quando lo vogliono, di pentirsi ogni volta che peccano e di formulare ogni volta il proposito di fare il possibile per correggersi, compatibilmente alla situazione nella quale si trovano, e quindi di riacquistare la grazia perduta, sicchè, se dovessero morire, possono salvarsi. Anche se non possono accedere al Sacramento della penitenza, possono comunque ricevere da Dio direttamente la grazia del perdono.

marito violento

non sempre è possibile e a volte nemmeno opportuno tornare alla situazione precedente la separazione …

Se possono tornare al coniuge precedente, devono farlo. Ma vi possono essere casi nei quali è praticamente impossibile, anche con tutta la buona volontà, realizzare un simile buon proposito, per l’esistenza di ostacoli insormontabili sopravvenuti, o dati oggettivi, dai quali non possono prescindere. È dar prova di un semplicismo imprudente il sentenziare categoricamente, in questi casi, come fanno alcuni: “devono tornare a come erano prima!”. Sarebbe assurdo peraltro credere che essi, pur non riuscendo o non potendo liberarsi da una situazione ineliminabile, siano comunque in uno stato di peccato mortale. Nessuno può essere in colpa contro la sua volontà o costretto o necessitato a peccare. Un atto che siamo costretti a fare può esser peccato esteriormente, ma l’anima rimane innocente, come per esempio l’atto di una donna violentata da un uomo senza il consenso di lei. Sarebbe poi addirittura blasfemo credere che Dio possa permettere situazioni o condizioni, dalle quali non si riesce a liberarsi e che tuttavia conducono inevitabilmente al peccato, sì da meritare la perdizione eterna.

coppia felice

molte le situazioni da valutare …

Una di queste situazioni irrimediabili senza colpa possono essere le seguenti: il coniuge di prima si è risposato con un altro e magari ha avuto figli da quest’altro. Oppure la nuova coppia ha figli ed è legata da gravi obblighi, vincoli o interessi civili, legali od economici.  In questi casi, i due, anche non volendo, si trovano davanti all’occasione inevitabile del peccato. Si badi: all’occasione, non al peccato stesso. L’occasione non è ancora il peccato. L’occasione può essere inevitabile; il peccato può essere evitato. L’occasione o tentazione non è necessariamente cercata e può essere imprevista o non voluta. Alcuni si confessano delle tentazioni, ma sbagliano. Anche Sant’Antonio nel deserto ha avuto le tentazioni, ma ha resistito. Si pecca quando si cede volontariamente alla tentazione. Il peccato è per essenza un atto voluto. Stando così le cose e nell’ipotesi di un non pieno consenso al peccato, sotto la spinta quasi irresistibile della passione, è possibile anzi che la colpa si abbassi da mortale a veniale. Se poi l’impulso passionale fa perdere addirittura la libertà, la colpa può esser totalmente assente, anche se l’atto è oggettivamente peccato (per la materia), come in certi casi di suicidio o di panico o di malattia mentale.

formatori

bisogna tornare a formarsi per formare …

Questa grave problematica costituisce un forte richiamo ai pastori, ai moralisti, agli educatori e ai fedeli ad un maggiore e più convinto impegno nella promozione e nella tutela dei valori “non negoziabili” del vero significato della sessualità, del retto rapporto tra uomo e donna, del matrimonio e della famiglia, in una visuale più attenta alle singole situazioni problematiche, ai loro lati positivi e negativi, onde dare a ciascuna situazione quella soluzione e quell’orientamento, che nascono dal Vangelo e dalla legge naturale, nella giustizia e nella misericordia, in piena comunione con la Chiesa.

urla 1

mordenti urla …

In questo frangente così grave per la vita della Chiesa e della società, occorre evitare i due estremismi contrapposti, il primo, di una piccola ma mordace minoranza, dell’ultra tradizionalismo, col suo allarmismo catastrofista e il suo legalismo rigorista, che teme che il Papa possa allontanarsi dal Vangelo o dalla Tradizione, se non lo ha già fatto; e il secondo, ben più diffuso ed arrogante, quello dei modernisti, spiriti mondani, relativisti impenitenti, predicatori del buonismo misercordista, che vorrebbero strumentalizzare il Papa con false adulazioni.

farisei e sadducei

Gesù tra i sadducei ed i farisei

Per i primi, il Papa è un sorvegliato speciale; per i secondi, è il buon amicone, il permissivista che accontenta tutte le loro voglie. I primi predicano una falsa giustizia, i secondi una falsa misericordia. Ma l’una e l’altra vanno bene solo se stanno assieme.

Anche oggi esistono i farisei e i sadducei. Gesù, pur offrendo a tutti la salvezza, non sta nè con gli uni né con gli altri, ma solo con la volontà del Padre, che Egli ha affidato agli apostoli sotto la guida di Pietro, da far conoscere al mondo.

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Varazze, 13 ottobre 2015

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«Sono gay». Il coming-out di Monsignor Krzysztof Charamsa, tra l’urlo dei farisei e l’accidia clericale suicida

«SONO GAY». IL COMING-OUT DI MONSIGNOR KRZYSZTOF CHARAMSA, TRA L’URLO DEI FARISEI E L’ACCIDIA CLERICALE SUICIDA

 

Monsignor Kryzstof Charamsa, teologo che stimo e di cui conservo ottimo ricordo, se n’è andato col suo “fidanzato”, gli altri sono invece rimasti ai propri posti e presto diventeranno vescovi e cardinali nella Chiesa di Cristo svuotata di fede e da essi ridotta sempre più ad una lobby mafiosa retta su criteri pornocratici di ricatto e di omertà.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Monsignor Kryzstof Olaf Charamsa, 43 anni, teologo di riconosciuto spessore, professore al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum e alla Pontificia Università Gregoriana, officiale della Congregazione per la dottrina della fede e segretario aggiunto della Commissione teologica internazionale.

Al contrario di molti altri o di gran parte delle praeficae di certi blog cattolici, penso di poter parlare di Monsignor Kryzstof Charamsa con una certa cognizione, perché l’ho conosciuto; fu infatti mio docente all’epoca in cui frequentavo i corsi di licenza specialistica in teologia dogmatica. In quegli stessi anni ebbi “l’onore” di avere come docente anche Padre Thomas Williams, che per esilarante ironia della sorte era docente di teologia morale [vedere QUI, QUI]. Dico “esilarante” perché oggi Williams — avuta la dispensa dal sacerdozio e la dimissione dallo stato clericale — è sposato con la figlia dell’ex ambasciatore americano presso la Santa Sede, dalla quale aveva già avuto in segreto due figli [cf. QUI]. E mentre questo pio Legionario di Cristo se la spassava su “diplomatici talami vaticani” [cf. QUI]; mentre i suoi figlioletti crescevano sani e belli, dalla sua cattedra presso l’integerrimo Pontificio Ateneo Regina Apostolorum ― di cui fu decano di teologia poco più che trentenne ― tuonava verso i peccati contro la morale sessuale. Williams era infatti un moralista duro e puro, pronto a lanciare fulmini e saette morali e bioetiche su un preservativo ed a minacciare i poveri giovani religiosi della Legione, obbligati in modo coattivo ad averlo come confessore, di arrostire tra le fiamme dell’Inferno; perché quella sarebbe stata la loro fine, casomai si fossero sfiorati il membro virile in preda a tempeste ormonali giovanili anche e solo in stato di semi-incoscienza durante il dormiveglia … Con alcuni sacerdoti e religiosi, ex sventurati penitenti obbligati di questo zelante ex Legionario di Cristo, ho dovuto lavorare alcuni anni in foro interno e in foro esterno, pregando e sperando che la grazia di Dio, pure per il tramite di un asino come me, sanasse le profonde ferite recate alle loro anime da questo essere scellerato, disumano e soprattutto strutturalmente ipocrita, degno ramo marcio del diabolico tronco marcito di Marcial Maciel Degollado [cf. QUI].

Thomas Williams

il Legionario di Cristo Thomas Williams, già decano di teologia del Pontificio Ateneo Regina Apostolorum e docente in teologia morale ed esperto di bioetica

Spero che di simili vicende il Prof. Roberto de Mattei ― e con lui tutti coloro che in questi giorni hanno trattato con estrema durezza Charamsa su Corrispondenza Romana e altrove ― non abbia perduto ricordo, incluse le conferenze da lui tenute assieme all’integerrimo moralista e bioeticista Thomas Williams [vedere QUI]. Dal canto mio non ho invece problema alcuno ad affermare di avere sempre giudicato Williams un mediocre inetto messo da altrettanti inetti Legionari di Cristo a insegnare teologia senza che prima avesse compreso i fondamenti del Catechismo della Chiesa Cattolica; e di avere molto stimato invece Charamsa per il teologo di valore che era e che malgrado tutto rimane. Ebbene domando: cos’ha da dirci al presente de Mattei su Williams e su Charamsa, a parte la sua invocazione per il secondo del mitico e … attuale Liber Gomorrhianus edito agli inizi dell’XI secolo [vedere QUI]?

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Monsignor Kryzstof Charamsa, alle spalle il suo compagno Eduard Planas

E se il blog Avanti Popolo alla Riscossa fa tosto eco a trombetta nello straccio di vesti [vedere QUI, QUI, QUI] io preferisco procedere con la tenerezza dell’affetto verso un confratello che ha commesso un errore reso ulteriormente grave dalla sua formazione teologica, di fronte alla quale è impossibile invocare l’ignoranza e tanto meno l’ignoranza inevitabile. E la mia tenerezza nasce da quelle pagine del Vangelo nel quale il Verbo di Dio invita il giovane ricco ad abbandonare le sue ricchezze per seguirlo [Mc 10, 17-27]. Ora, chi pensa che Cristo si riferisse ai beni materiali si sbaglia, mostrando in tal senso d’aver capito poco questo brano evangelico, perché le vere ricchezze negative che limitano la sequela Christi e delle quali dobbiamo liberarci sono quelle riassunte nei Sette peccati capitali. Di questo racconto colpisce la frase: «Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui e lo amò […]». Questa è la tenerezza: lasciarsi penetrare dallo sguardo di quel Dio che un giorno, tutti, saremo chiamati a guardare a faccia a faccia, anche per sottostare al suo giudizio, che sarà misericordioso anche se il suo verdetto fosse la nostra condanna alla dannazione eterna.

il-ritorno-del-figliol-prodigo.-murillo

il ritorno del figliol prodigo nella casa del padre

Questo il motivo per il quale è bene chiarire dal pulpito di quali praeficae farisee provengono gli stracci di vesti sul caso di Monsignor Charamsa. Analizzando infatti il suo gesto, il quesito doloroso e provocatorio che più avanti porrò sarà il seguente: con questo coming-out ha dato scandalo oppure ha evitato di continuare a vivere nello scandalo? Io credo che nessuno dei tanti laiconi corsi subito a sparare a raffica su ciò che di rigore mostrano puntualmente di non conoscere, sia riuscito a fare un’analisi corretta, perché oltre a non avere i necessari elementi per valutare un caso in sé e di per sé molto grave, sono privi di un altro presupposto fondamentale: l’anima sacerdotale. L’anima di un sacerdote può essere infatti compresa e, con la grazia di Dio penetrata, solo dall’anima di un altro sacerdote mosso come tale da una consapevolezza che non sfiora invece certi laiconi all’arrembaggio: Kryzstof Charamsa ha ricevuto per divino sacramento un carattere indelebile ed eterno e come tale sarà sacerdote per sempre secondo l’antico ordine di Melchisedech, a prescindere dalle sue scelte e dalla sua condotta di vita. Sono consapevole che questo mio confratello ha compiuto un gesto che profana e tradisce il Sacro Ordine Sacerdotale, ma proprio per questo non cesserò mai di pregare e di sperare nel suo ritorno, affinché il Padre possa uccidere il vitello grasso e fare grande festa. E che nessun altro fratello osi fare alcuna obiezione dinanzi alla misericordiosa accoglienza del Padre [cf. Parabola del figlio prodigo: Lc 15, 23].

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Monsignor Kryzstof Charamsa

Dire a posteriori «lo immaginavo» … potrebbe quasi avere il sapore della saccenza, ma non è così, perché del caro e stimato Kryzstof Charamsa io ricordo lo sguardo lucente ma al tempo stesso triste e non chiaro, tipico della persona che cerca di celare il disagio di quella sofferenza sulla quale ha tanto scritto e parlato nelle sue lezioni, al punto da essere indicato come teologo della sofferenza, alla quale più volte ha dedicato dotti seminari e lavori scientifici [vedere QUI]. Mi formai così l’idea che questo giovane teologo molto competente e amabile nascondeva nel mistero della sofferenza umana il proprio disagio e il segreto della sofferenza sua. Un disagio e una segreta sofferenza che istintivamente ricollegai alla sfera emotivo-affettiva, perché al contrario di questo mio confratello divenuto sacerdote ad appena 24 anni, io non ero entrato in un seminario in tenera età, ed ho avuto modo di sviluppare un certo istinto prima di divenire presbìtero in età adulta, salvo e immune da quella “falsa libertà” che pervade i seminari, dove all’apparenza si parla di tutto, ma dove lo spirito repressivo ed auto-repressivo è oggi di gran lunga peggiore sotto molti aspetti di quello che vigeva in gran parte dei seminari pre-conciliari, dai quali vuoi per repressione vuoi per oculata selezione, uscivano fuori degli uomini e non delle donnette. E se a volte, nei presbitèri diocesani, sorgeva qualche problema o scoppiava qualche scandalo, ciò era dovuto al fatto che ogni tanto qualche presbìtero fuggiva con l’amante, ma con l’amante donna. Sfido infatti chiunque a portare un solo singolo caso di un presbitero fuggito col “fidanzato” prima degli anni Settanta.

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Monsignor Kryzstof Charamsa

I moderni farisei che invocano il Liber Gomorrhianus dall’alto empireo della Vera&Pura traditio, omettono però di dare all’opinione pubblica corrette informazioni su Monsignor Charamsa, perché se lo facessero rischierebbero di darsi la zappa sui piedi. Andrebbe infatti precisato che prima del suo coming-out è stato sempre un teologo di ortodossa dottrina formatosi secondo i migliori criteri della scolastica classica, fine studioso dell’Aquinate e raffinato metafisico; non a caso una delle sue principali opere è edita dalle Edizioni Studio Domenicano [vedere QUI]. Gli studenti che ebbero modo di seguire i suoi corsi nel Pontificio Ateneo Regina Apostolorum ricordano sempre con quale precisione e serietà abbia messo in guardia nel corso degli anni i futuri teologi dalle vecchie eresie, che come dei virus si trasformano nel tempo mantenendo però integra la loro pericolosa sostanza. E ricordano altresì, i suoi ex studenti, quanto fosse preciso e deciso nella critica rivolta agli esponenti della Nouvelle Thèologie; ricordano come nelle sue lezioni ponesse l’accento sugli errori ed i pericoli insiti nel pensiero di Karl Rahner. In modo prezioso egli trasmetteva insegnamenti anti-modernisti e anti-rahneriani. Un vero modello di teologo appartenente al mondo della sana traditio catholica, non un affiliato all’area dei modernisti o dei cosiddetti “progressisti”, tutt’altro: un loro nemico giurato.

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Thomas Williams dopo la dimissione dallo stato clericale

Il direttore di Corrispondenza Romana, che pure frequenta da tanti anni il grande campus dei Legionari di Cristo nel quale si trovano il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum e l’Università Europea di Roma, non può fingere di non avere conosciuto questo teologo di sana e ortodossa dottrina, ed assieme a lui non può fingere di non avere conosciuto il moralista duro e puro Thomas Williams, anch’esso d’impostazione tradizionalista, che però se la faceva in segreto con le figlie degli ambasciatori dalle quali sfornava figli e col quale io ebbi una discussione pubblica nel 2008, quando di fronte alle sue affermazione esasperanti sulla masturbazione dissi che il suo rigore non corrispondeva affatto a quanto di ragionevole e umano era stato scritto con buon senso comune e scientifico nel Catechismo della Chiesa Cattolica [Cf. n. 2352, QUI]. Sino a destare infine il suo scandalo per questa mia testuale affermazione: «Se un adolescente che non sia San Luigi Gonzaga benedetto da Dio con particolari grazie non avesse mai fatto ricorso alla masturbazione, qualora ne fossi messo a conoscenza inviterei i genitori a portarlo quanto prima dal neurologo, perché probabilmente c’è in lui qualche cosa di veramente grave che non funziona. Se invece un giovane adulto, od un adulto, vivesse la propria sessualità attraverso la masturbazione, oltre a mettermi a sua disposizione come direttore spirituale lo inviterei a fare quattro chiacchiere con un bravo psicoterapeuta, perché ciò denoterebbe che in lui, a livello emotivo ed affettivo, ma soprattutto a livello di maturità umana, c’è qualche cosa che non funziona proprio» …

… poi, che i Legionari di Cristo, per costruire questo grande campus in zona Aurelia a Roma abbiano pagato 18 tangenti ad altrettanti funzionari pubblici corrotti, questa è tutt’altra faccenda morale, perché ciò che solo conta è di non masturbarsi e di non usare preservativi.

Padre Javier Garcia, L.C.

Considerata l’affermazione molto grave appena fatta, metto le mani avanti ed a scanso di inutili querele che si ritorcerebbero contro eventuali querelanti improvvidi, preciso che ad affermare l’avvenuto pagamento di 18 tangenti ad altrettanti funzionari pubblici corrotti fu uno dei maggiorenti di allora della Legione di Cristo, il piccolo e stolto Padre Javier Garçia, che nel 2009, dinanzi a 27 sacerdoti, durante un pranzo nella Casa Sacerdotale di Castel di Guido, rivolgendosi a me e all’altro italiano presente in quella struttura internazionale disse dinanzi ad un’intera platea di testimoni queste parole molto esaustive circa il livello diabolico a cui può giungere l’immoralità di certi moralisti: «Voi in Italia avete un sistema davvero strano. Da noi, in Messico, non è così, basta pagare una sola persona che quella provvede a sistemare tutto; mentre invece, in Italia, bisogna pagare i diversi funzionari uno per uno, perché ciascuno vuole la sua fetta di torta».

tangenti

... quegli ambiti nei quali taluni non applicano affatto il rigore della teologia morale dura e pura …

Dopo avere affermato questo, non in privato ma sulle pubbliche colonne di una rivista telematica che ha superato in appena un anno 1.500.000 di visite, sarei quasi tentato di sperare in una querela da parte di persone che da una parte corrompevano i funzionari pubblici col pagamento di tangenti, dall’altra facevano dormire gli adolescenti del loro seminario minore nei dormitori con le luci soffuse accese, le mani fuori dalle coperte ed i formatori che a turno li controllavano passeggiando per tutta la notte, onde evitare che si fossero toccati là dove moralmente risiede l’intero mistero del male, che nasce e che si sviluppa tutto quanto tra preservativi e masturbazioni, non certo attraverso la corruzione dei funzionari pubblici tramite il pagamento di 18 tangenti. Il tutto, và da sé, mentre i loro sacerdoti ingravidavano le figlie degli ambasciatori in privato e si stracciavano poi le vesti in pubblico per un rapporto sessuale pre-matrimoniale consumato da chi — pur sbagliando — non aveva comunque mai promesso solennemente di mantenersi celibe e casto. E detto questo evito di entrare nel merito dell’intenso legame avuto dai Legionari di Cristo con un altro loro beniamino: l’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, le cui vicende giudiziarie sono ben note all’opinione pubblica. Semmai, sui legami di Fazio col campus dei Legionari di Cristo potremmo provare a chiedere qualche informazione al Prof. Roberto de Mattei che in quella struttura insegna sin dalla sua fondazione e dove tutt’oggi è coordinatore del corso di laurea in Scienze Storiche, sempre ammesso che non sia troppo impegnato a promuovere sull’Agenzia Stampa Corrispondenza Romana il mitico Liber Gomorrhianus, cosa quest’ultima che potrebbe richiedere un impegno estenuante, sino a indurlo a sorvolare comprensibilmente su altre cose, forse moralmente meno rilevanti?

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S.E. Mons. Mario Oliveri, Vescovo emerito di Albenga

D’altronde stiamo parlando di cattolici da regime sovietico, paragonabili in tutto e per  tutto agli ideologi dei vecchi partiti comunisti europei, che quando i carri armati invasero nell’agosto del 1968 la città di Praga, tacquero. Come con sovietica ideologia hanno taciuto di recente gli affiliati alle “logge” dei “tradizionalisti” duri e puri dinanzi ad un altro innegabile dato di fatto: la diocesi italiana più impestata di preti omosessuali e di scandali ad essi connessi, era quella retta dal beniamino del mondo tradizionalista italiano: S.E. Mons. Mario Oliveri, i cui pontificali nella Cattedrale di Albenga erano tutti quanti un tripudio di mitrie gemmate, paramenti barocchi, latinorum e … tanti preti e seminaristi sculettanti attorno a lui come delle fanciulle languide colte dai torpori delle prime mestruazioni.

Signori, come diceva Amleto: «C’è del marcio in Danimarca!». Sottinteso: in tutta. E chi pensa che la santità e la moralità albergano solo dove c’è il rigore apparente, il latino liturgico ed il bel canto gregoriano, non ha capito proprio niente; ma c’è di peggio: non vuol proprio capire niente, perché l’ideologia che lo acceca glielo impedisce. E l’ideologia, qualunque essa sia, è da sempre la nemica peggiore della fede.

Di recente sono stato rimproverato da uno dei miei critici per avere trattato in modo “teologicamente sconclusionato” il Prof. de Mattei in uno dei miei articoli incentrato sulla famiglia ed il Sinodo dei Vescovi attualmente in corso [vedere QUI]. Peccato che anche in questo caso, a stracciarsi le vesti sul mio spirito “teologicamente sconclusionato” sia stato un soggetto che ha trascorso la sua vita a molestare le studentesse in una università pontificia; ragazze e donne tutte sane, vegete e dotate di buona memoria. Però l’inopportuno sarei invece io che, nell’esercizio delle mie funzioni sacerdotali, non ne ho mai molestata una di donne, né dentro né fuori dalle mie funzioni. E quando semmai qualcuna ha tentato di molestare me, ho risposto con garbo che se avessi voluto accettare certe gradevoli “molestie” non dovevo fare altro che restare dov’ero, senza alcun bisogno di diventare prete …

Charamsa 8

quello che Monsignor Charamsa poteva e doveva evitare …

… ma torniamo al caso Charamsa, un confratello al quale non cesserò mai ― oggi più che mai ― di volere bene. In modo pertinente e forse ineccepibile si potrebbe dire che l’agire di Monsignor Charamsa è stato un agire dettato da Satana in persona. In qual altro modo potremmo infatti definire un teologo colto, ortodosso, competente e raffinato che rivolge accuse alla Santa Chiesa e alla Sposa di Cristo sfoggiando nella sua verve critica un frasario da fare invidia ai peggiori ideologi del gender e dell’omosessualismo? I peggiori teologi eretici, Hans Küng degna creatura di Karl Rahner, od i teologi più marxisteggianti della liberazione, non hanno mai affermato nulla di simile; ed erano e sono, teologicamente parlando, degli eretici palesi e manifesti, oltre che pericolosi; mentre Monsignor Charamsa, teologicamente e dottrinalmente parlando, non lo era e non lo è, perché il suo è un grave problema perlopiù morale. E indubbiamente immorale — oltre che lesivo alla dignità di tutti noi membri del Sacro Ordine Sacerdotale — è stato vedere in giro per le televisioni del mondo questo nostro confratello vestito da prete che palpeggiava il suo “fidanzato”, che si stringeva a lui e che reclinava il proprio capo sul suo petto come se si fosse trattato del giovane Apostolo Giovanni con il Signore Gesù.

fulmine su san pietro

«La moderna incapacità a leggere i segni» – la celebre immagine del fulmine che colpisce la cupola di San Pietro dopo l’annuncio della abdicazione dal sacro soglio del Sommo Pontefice Benedetto XVI

Per la mia profonda conoscenza di certe vicende ecclesiastiche ed i complessi rapporti che come confessore e direttore spirituale ho da anni con numerosi preti, spesso anche in gravi difficoltà, usando in questo caso anche la mia modesta formazione fatta a suo tempo per l’abilitazione al ministero di esorcista, ritengo di poter dire che Monsignor Charamsa non è stato vittima diretta di Satana ma vittima indiretta dei suoi grandi accoliti. Ed i suoi grandi accoliti sono coloro che dirigono come vescovi le principali diocesi del mondo; sono molti alti prelati della curia romana e non pochi membri del Collegio Cardinalizio. Monsignor Charamsa è solo la conseguenza di ciò che in un mio libro del 2011 [E Satana si fece Trino, a breve in ristampa con altra società editrice], indicai come il dramma della omosessualizzazione della Chiesa. E urlando nei deserti come un piccolo Giovanni Battista da quattro soldi, tale sono io, ho inutilmente spiegato e ripetuto che un esercito sempre più numeroso di gay si è insediato in tutti i posti chiave della Chiesa, tenendo in mano attraverso le peggiori armi di ricatto intere diocesi; tenendo in ostaggio i loro rispettivi vescovi, ridotti spesso a dei pupazzi con la loro bella mitria in testa e il loro pastorale lucente in mano, ma non in grado di governare molte Chiese particolari ormai perdute, perché totalmente frocizzate in seguito a quello che in modo ironico ma pertinente ebbi a definire in quel mio libro come un nubifrocio universale scoppiato sulla povera Chiesa di Cristo.

 

La potente lobby gay che imperversa dentro la Chiesa ha più volte costretto Benedetto XVI a nominare vescovi dei soggetti che mai egli avrebbe nominato; ad elevare alla dignità cardinalizia taluni soggetti più simili a delle soubrette attempate che a degli uomini; gente che non ispira proprio il ricordo dei Principi della Chiesa ai quali è richiesto come primo presupposto non solo una anatomica maschilità fisica, ma soprattutto una adeguata maschilità psicologica.

La potente lobby gay lava le peggiori “fedine penali” di preti in carriera o in corsa verso l’episcopato noti per le loro condotte immorali sin da quand’erano seminaristi; fa sparire segnalazioni fatte alle autorità ecclesiastiche dai pochi sacerdoti ai quali è rimasto un barlume di coraggio, minaccia in modo coercitivo chi mostra dissenso verso le loro consorterie. La lobby gay impedisce che uomini sani e motivati siano ordinati sacerdoti, perché tutt’oggi gran parte dei seminari italiani sono impestati da imbarazzanti effeminati con le vocette stridule e le movenze esangui, in particolare nel Meridione d’Italia, dove se un gay non è bello, quindi non può volare a Roma, Bologna o Milano dove troverebbe subito un ricco cinquantenne omosessuale che lo manterrebbe di tutto punto, come alternativa ecco che entra in seminario, diventa prete e cerca di fare carriera. Non è infatti un caso che i gay che entrano nei seminari sono sempre brutti e fisicamente non gradevoli, perché altrimenti avrebbero preso altre strade e intrapreso tutt’altre carriere. In tutti i miei anni di ministero sacerdotale ed in quelli della mia pregressa formazione al sacerdozio, l’unico gay atletico e di bell’aspetto che ho conosciuto, in mezzo a un esercito sempre più numeroso di preti omosessuali, è stato solo e unicamente Monsignor Charamsa. Forse ve ne saranno altri, ma pur avendo vissuto perlopiù a Roma in ambienti ecclesiastici e sacerdotali internazionali, di omosessuali attraenti ho conosciuto solo lui.

Cristo redentore rio

«La moderna incapacità a leggere i segni» – un fulmine colpisce la mano destra del Cristo Redentore a Rio de Janeiro e ne danneggia il pollice. Per oltre un millennio, prima della introduzione del “gran segno di croce”, la benedizione era data o imponendo le mani o tracciando un segno sulla fronte col pollice destro.

Io non sono affetto da sessuocentrismo né sono uno che misura singoli e situazioni attraverso gli schemi sessuocentrici di Sigmund Freud, ma come uomo che mai ha negato d’aver vissuto nella sua vita pregressa anche una dimensione sentimentale e sessuale e d’aver conosciuto il disordine del libertinaggio e la convivenza con donne, non posso eludere l’elemento fondamentale di quella sessualità umana che fu tra l’altro uno dei principali elementi che concorse alla decadenza della società romana. Quando infatti fu perduta la virilità, a mano a mano prese campo e si diffuse l’omosessualismo ai più alti livelli sociali e politici. Infine scesero dal Nord dell’Europa i barbari che erano maschi a tutto tondo e … e per dirla in modo reale e senza pudibondi eufemismi clericali: i barbari giunsero col membro virile eretto e la spada affilata in mano cogliendo di sorpresa i “maschi” romani sprofondati nel baratro dei peggiori frocismi e che truccati da donne erano intenti a darsi alle orge coi giovani nelle alcove …

Sacco di Roma JN Sylvestre 1890

il “Sacco di Roma” per opera dei visigoti nell’anno 410

… e così i barbari misero in ginocchio ciò che rimaneva del decadente Impero Romano, col loro membro eretto e la loro spada affilata.

In questo momento sta accadendo a livello ecclesiale la stessa cosa in forma peggiore e con una sostanziale differenza: i barbari si convertirono al Cristianesimo, ed anche grazie a loro la Cristianità fu salva e si diffuse tra le stesse popolazioni barbariche. E da che cosa furono colpiti i barbari? Cosa li spinse alla conversione? Presto detto: la loro conversione è legata a figure straordinarie di vescovi, presbìteri e monaci ai quali i barbari riconobbero tempra virile, coraggio, autorevolezza, quindi autorità. Ebbene immaginiamo i barbari oggi: quali reazioni avrebbero dinanzi a figure di vescovi ibridi e androgini, che a mezza voce parlano ma non parlano, non dicono si e non dicono no, ma soprattutto sempre più circondati da preti sculettanti che parlano con voci in falsetto? Provate a immaginare la reazione dei barbari …

Gianfranco Ravasi

il Cardinale Gianfranco Ravasi

… chi sarebbe in grado oggi, come nel 452, di fermare Attila detto “il flagello di Dio“, armato solo della propria grande autorevolezza, come lo era il Santo Pontefice Leone Magno? Forse il Cardinale Gianfranco Ravasi che intima al Re degli Unni: «Caro Fratello, non ti arrabbiare, anzi, vieni mio ospite presso il Cortile dei Gentili, che ne parliamo assieme». Forse Attila, dopo una sonora risata gli risponderebbe: «Dolcezza, pensi forse di essere sul set degli studi televisivi di Canale5? Guarda che io sono reale, ma se la cosa non ti è chiara allora sappi che io ammazzo sul serio!». 

roberto marchesini

lo psicologo Roberto Marchesini

Già anni fa parlavo della omosessualizzazione della Chiesa con tutto ciò che ne consegue, tema approfondito in seguito con lo psicologo Roberto Marchesini al quale lamentai un vero e proprio golpe omosessualista in corso [cf. QUI]. Dio solo sa quanto io soffra nel vedere certe cadute nel ridicolo, perché basta partecipare a un incontro del clero in qualsiasi diocesi per rendersi conto di quanto basso sia, se non a volte inesistente, il livello di testosterone che corre tra i presbiteri ed i vescovi, sino a giungere a vere e proprie figure grottesche di preti; o ad assemblee del clero che sembrano dei veri e propri raduni promossi dal Gay Village.

Magari fossero scatenate delle nuove persecuzioni contro la Chiesa, perché il sangue dei martiri l’ha sempre purificata e rivitalizzata, cosa questa che hanno imparato nel tempo i nostri nemici, il Demonio in testa a tutti che, fatto tesoro della lezione, se ne guarda bene dal farci un buon servizio del genere, ben altro è infatti il suo servizio: servendosi delle peggiori gesta degli uomini di Chiesa ridotti spesso a figure in bilico tra caricaturale e grottesco, sta rovesciando su di noi il ridicolo, neppure il disprezzo, ma il ridicolo.

Oggi, la Chiesa attaccata dall’interno è stata anzitutto svirilizzata; si sono create potenti cordate di mezzi uomini piazzati nei posti di maggior rilievo, resi deboli dalla loro smidollatezza congenita e gestibili attraverso la loro ricattabilità. E questi mezzi uomini selezionano a loro volta uomini più “mezzi” ancora di loro che siano come tali deboli e ricattabili, quindi intruppabili. Altro che “sangue dei martiri”!

santagata

il tripudio pagano della festa di Sant’Agata a Catania, notoriamente gestito dalle cosche mafiose

Ci si rivolga una domanda, o meglio se la rivolgano i vescovi italiani o ciò che resta dell’episcopato italiano: perché da Napoli in giù la Dottrina Sociale della Chiesa non trova applicazione; perché non è stata sviluppata la cultura degli oratori e delle grandi aggregazioni cattoliche? E per aggregazioni cattoliche non s’intendono quei quattro mezzi esaltati disgreganti dei Neocatecumenali o dei Carismatici, ma ben altro genere di aggregazioni aggreganti. Perché tutto tende invece a limitarsi ad una fede paganeggiante fatta di tradizioni popolari, processioni e celebrazioni di Santi e Sante che ricordano in tutto i baccanali greci, i quali a suo tempo si concludevano con la grande orgia tra fiumi di vino, mentre oggi si concludono coi fuochi artificiali, quale raffigurazione simulata degli orgasmi orgiastici? Perché nessuno si cura del fatto che l’immane scandalo della festa di Sant’Agata a Catania è totalmente in mano alla potente mafia catanese [vedere QUI]? Ebbene ve lo spiego io il perché di tutto questo: perché nel Meridione d’Italia — fatte salve le singole eccezioni dei buoni preti, che sono sempre di meno e sempre più vessati da un sistema ecclesiastico corrotto e corruttore — c’è il clero moralmente più scandaloso, scadente, impiegatizio e pigro del nostro Paese. Infatti, le associazioni mafiose: Camorra, ‘Ndrangheta, Sacra Corona Unita e Cosa Nostra, non vogliono disturbi sul loro territorio. Pertanto non gradiscono la presenza e l’operato di antagonisti capaci di strappargli di mano la giovane manovalanza, educando i giovani ad una cultura non mafiosa, cosa questa che richiederebbe la tempra e la virilità di preti che siano anzitutto dei maschi decisi e capaci come tali di incutere rispetto e sacro timore. Ecco allora che le mafie hanno insinuato un sistema mafioso anche all’interno delle Chiese locali, dove molti vescovi si comportano di fatto come fossero dei capi clan, circondati spesso da preti caricaturali e ricattabili. Inevitabile quindi che certe Chiese locali siano anzitutto riempite di preti omosessuali, dentro gli armadi dei quali si trova in schifo di tutto e di più. Questo rende le Chiese particolari del Meridione d’Italia deboli e sottomesse alla criminalità organizzata, che esercita sui vescovi un grande potere di ricatto, perché qualora non stessero al loro posto come i mafiosi vogliono, questi tirerebbero fuori scandali morali e patrimoniali così gravi dinanzi ai quali si finirebbe col dover ammettere che la realtà oggettiva di certi vescovi, preti e diocesi supera davvero l’umana fantasia.

tempesta sedata

Gesù dorme nella barca di Pietro sul mare in tempesta [Mc. 4, 35-41]

Nel corso degli anni, a Roma, quante suppliche sono giunte, con tutte le più dettagliate e gravi spiegazioni del caso, circa l’urgenza di nominare come vescovi diocesani da Napoli in giù dei sacerdoti privi di qualsiasi legame di nascita, parentale e sociale con il luogo; che non si siano formati nei seminari e negli studi teologici locali? Per tutta risposta, non solo Roma si è mostrata sorda, molto peggio: alcuni dei più ricattabili preti-signorina sono stati promossi all’episcopato ed eletti vescovi di numerose di queste Chiese particolari, all’interno delle quali hanno seguitato ad incrementare e proteggere a più non posso il frocismo ecclesiastico.

La Chiesa sopravviverà com’è scritto nel deposito della nostra fede, ma questa sopravvivenza non può essere scissa dal chiaro monito: «E quando il figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?» [cf. Lc. 18,8]. Il Figlio dell’Uomo potrebbe anche trovare il guscio di una Chiesa totalmente svuotata di fede, con piccoli nuclei reietti e perseguitati al suo interno, che hanno cercato di mantenere integra a smisurato prezzo personale la fede degli Apostoli.

caduta libera

siamo in caduta libera, irreversibile e senza paracadute …

Siamo in caduta libera irreversibile, in fase di sgretolamento avanzato e con una emorragia di fedeli come mai s’era vista prima in certi continenti. E siccome come cristiano e sacerdote sono chiamato al realismo e non certo all’idealismo di matrice tedesca — posto che Cristo è morto e risorto realisticamente, non idealisticamente — di una cosa propendo a essere certo, anche se in questo caso non è opportuno parlare di “certezze”: tra non molti anni, la Chiesa come per secoli l’abbiamo concepita a livello ecclesiastico non esisterà più [cf. mio precedente articolo, QUI]. La Chiesa sopravviverà e seguiterà a vivere sino alla fine dei tempi, ma diverrà “altro”, perché sono ormai cinquant’anni che la Chiesa di Cristo si sta trasformando in “altro”; e questa non è un’opinione ma un dato di fatto che io accetto, mentre altri no, a partire dai membri del Collegio Episcopale, perché infarciti del meglio del peggio di certi devastanti teologismi novecenteschi di matrice idealista tedesca, che li rende appunto malati di quell’idealismo che li porta a non capire quel realismo tutto quanto basato sulla carne del Risorto che è salito al cielo con impressi sul suo corpo glorioso i segni indelebili della passione.

Monsignor Kryzstof Charamsa è venuto allo scoperto, ma al contrario di ciò che molti pensano, io ritengo che abbia dato uno scandalo di minore portata rispetto a coloro che hanno ridotto la Chiesa ad una sorta di gineceo per capponi castrati, pronti a distruggere in gruppo il maschio se non lo possono avere, possedere, gestire e ridurre ad un loro giocattolo. E se non possono distruggere quell’essere non facilmente controllabile che è il maschio, allora lo emarginano totalmente, affinché nel clero possano trionfare checche e checchine dive e divine assetate di fascette rosse, di posti al sole e di prebende, soggetti pronti ad essere sottomessi ai potenti come delle geishe e prepotenti oltre ogni misura con i deboli e gli indifesi. Questi sono i veri accoliti di Satana, non Monsignor Charamsa.

Monsignor Krzysztof Charamsa ed il suo compagno alla partenza per la Spagna

Monsignor Kryzstof Charamsa è venuto allo scoperto perché è un uomo giovane e di bella presenza, con un fisico da atleta e da nuotatore, degli occhi celesti belli e luminosi. Un uomo al quale la vita, nel bene e purtroppo nel male, può concedere tutto ciò che non potrebbe invece concedere al fitto esercito di preti gay sgradevoli nell’aspetto e nel corpo, dotati di diabolica furbizia ma non d’intelligenza né di cultura e per questo abili dissimulatori che, come tutte le persone molto mediocri, o come tutti i gay incattiviti, possono fare carriera solo all’interno della Chiesa in questo nostro momento di decadente implosione. Carriere che l’Autorità Ecclesiastica continua in modo scellerato a concedere loro, nominandoli alle alte cariche accademiche, facendoli vescovi, inserendoli nella Curia Romana, nel servizio diplomatico della Santa Sede e via dicendo, perché come dissi anni fa allo psicologo Roberto Marchesini: «Hanno fatto un golpe!» [vedere QUI]. E aggiungo oggi: «E la vicenda dell’abdicazione al sacro soglio di Benedetto XVI ne è il tragico epilogo». O forse qualcuno pensa che i pesanti e terribili faldoni dell’inchiesta svolta su mandato del Predecessore del Regnante Pontefice ed affidata a quattro anziani cardinali, si sia dissolta nel nulla? No, quei faldoni oggi sono più pesanti, ed al loro interno sono contenuti fatti ed episodi dinanzi ai quali Satana sarebbe capace ad ammettere che neppure lui, pur con tutto il suo odio verso il Cristo, sarebbe riuscito a sfregiare la Chiesa come invece l’hanno sfregiata certi cardinali, vescovi e preti.

spazzatura in casa

spazzatura dentro casa nostra …

Il teologo Kryzstof Charamsa era uno dei nostri elementi migliori, ed è uscito dalla porta in modo eclatante per lasciare la casa al peggio che seguita ad albergarvi dentro; un ottimo elemento al quale nessun formatore e nessun confessore — al quale chissà quante volte avrà parlato delle proprie pulsioni sessuali verso il proprio stesso sesso — ha mai detto: «Sii pure te stesso, ma ti prego, non diventare prete». Frase questa che io ho ripetuto più volte, sino a poche settimane fa, a diversi candidati ai sacri ordini, salvo vederli poi ordinare nel corso del tempo dai loro rispettivi vescovi, incuranti dei danni immani che con quelle sacre ordinazioni avrebbero recato alla Chiesa.

stanislaw dziwisz

il Cardinale Stanisław Dziwisz

Questa è la nostra irreversibile situazione: Vescovi incapaci che non possono essere rimossi perché protetti dal potente cardinalone loro ex compagno presso la conventicola dell’Almo Collegio Capranica, o perché divenuti vescovi per volontà di qualche potente che non può certo avere sbagliato nella scelta, neppure dopo morto. Vescovi incapaci che a loro volta mettono dei perfetti incapaci a dirigere i loro seminari, all’interno dei quali si formano delle aggregazioni di gay, diversi dei quali spiccano poi il volo appena preti per gli uffici della Conferenza Episcopale Italiana, i Dicasteri della Santa Sede, la Pontificia Accademia Ecclesiastica … e come le vipere seguitano a riprodursi e proteggersi tra di loro ai più alti livelli, scavando la fossa attorno a chiunque gli si opponga e li chiami col loro nome.

Monsignor Kryzstof Charamsa ha sbagliato, ha tradito le sacre promesse sacerdotali ed ha messo in imbarazzo il gruppo sempre più esiguo dei suoi confratelli sani; ma ha avuto il coraggio di dirci in faccia a tutti quanti che lui era il prodotto di questa omosessualizzazione ecclesiastica che lo ha favorito in una veloce e folgorante carriera sin dalla sua giovane età, senza che nessuno, durante i suoi anni di formazione, si rendesse conto dell’ovvio prima che fosse consacrato sacerdote.

Quanti altri gay della potente cordata di omosessuali polacchi, evidenti all’occhio ma al tempo stesso nascosti, rimangono invece in servizio presso la Santa Sede, sotto la protezione del sempre potente Cardinale Stanisław Dziwisz, noto anche come “il grande lavatore di gay”, da lui forniti spesso di garanzie tali da fare invidia al candore di Santa Maria Goretti vergine e martire?

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S.E. Mons. Jozef Wesolowski, già nunzio apostolico a Santo Domingo, condannato per pedofilia e possesso di materiale pedo-pornografico e dimesso dallo stato clericale

Quanti membri della cordata dei gay polacchi sono stati promossi alla dignità episcopale? Perché se non erro, il primo nunzio apostolico accusato e riconosciuto colpevole di pedofilia nell’intera storia del servizio diplomatico della Santa Sede era putacaso proprio un polacco [vedere QUI, QUI]; il quale putacaso era nelle grazie del Cardinale Stanisław Dziwisz, sempre per parlare di questa nostra povera Chiesa dove tutti conoscono responsabili, mandanti ed esecutori ma dove nessuno taglia loro le teste, al limite si promuovono a diverso alto incarico, o incuranti dei danni che possono fare si lasciano sulle cattedre episcopali o presso i propri uffici fino al sopraggiunto limite di età. Oppure: tutti sanno che quel vescovo ausiliare è un soggetto problematico? E quale problema c’è: vediamo quale diocesi è vacante e nominiamolo subito a quella sede vescovile, così potrà essere rimosso da una parte per seguitare a fare danni molto peggiori altrove.

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Monsignor Krzysztof Charamsa

Monsignor Kryzstof Charamsa ci ha dimostrato di essere il frutto e il prodotto dei veri accoliti di Satana, coloro che stanno deturpando la Santa Sposa di Cristo, celandosi dietro a ragioni sempre e di rigore superiori di buona politica pastorale e di alta diplomazia ecclesiastica; ragioni di fronte alle quali ritengono legittimo sacrificare persino Cristo e tutti i Santi. E mentre tutti costoro finiranno all’Inferno accolti in trionfo da Satana in persona, Monsignor Kryzstof Charamsa finirà invece in Purgatorio a scontare la sua meritata pena, che non sarà però la dannazione eterna. Alla dannazione eterna si sono condannati coloro che hanno trasformato la Chiesa di Cristo in una succursale della Chiesa del Demonio, ivi inclusi i rettori di seminario, i direttori spirituali e tutti quei confessori incapaci ad esercitare con sapienza e coscienza i propri ministeri, che non hanno mai letta e percepita l’indole del giovane Kryzstof Charamsa dicendo lui: «Non diventare prete, perché se lo diventerai non potrai essere libero, non potrai mai essere te stesso, quindi ti voterai ad una inutile sofferenza». E non a caso, molti anni dopo, Monsignor Charamsa era conosciuto nell’ambito teologico specialistico come un giovane maestro della teologia della sofferenza.

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Monsignor Krzysztof Charamsa

A Monsignor Kryzstof Charamsa, pure nel grave errore commesso e nel danno lacerante recato alla Chiesa, va riconosciuto un “merito”: a un certo punto non è stato più a questo gioco, ha pubblicamente tradito il sacerdozio, ha abbracciato il suo “fidanzato” in conferenza stampa ed è partito in “luna di miele” per i Paesi Baschi, mentre tutti gli altri, ben più pericolosi di lui, rimangono invece ai loro posti a profanare in modo molto peggiore il Sacro Ordine Sacerdotale, a decidere che gli uomini sani non possano diventare preti e che i preti peggiori e moralmente più scadenti seguitino ad essere promossi alla dignità episcopale per la somma tutela delle ragioni politico-pastorali e diplomatico-ecclesiastiche che si sono create all’interno dell’ormai “sistema-mafioso-chiesa-cattolica”; un sistema al quale tutto è sacrificabile, incluso il Corpo Mistico di Cristo.

Monsignor Kryzstof Charamsa se n’è andato col suo “fidanzato”, gli altri — quelli molto peggiori di lui — sono invece rimasti ai propri posti e presto diventeranno vescovi e cardinali nella Chiesa di Cristo svuotata di fede e da essi ridotta sempre più ad una lobby mafiosa retta su criteri pornocratici strutturati su dinamiche diaboliche di ricatto e di omertà.

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Antonio Livi: «Enzo Bianchi, “l’umanista ateo” getta la maschera»

ANTONIO LIVI: «ENZO BIANCHI, L’UMANISTA ATEO GETTA LA MASCHERA»

 

[…] Bianchi si è sempre comportato come Bruno Forte, Gianfranco Ravasi e tanti altri che di fronte alle mie critiche teologiche [cf. il mio trattato su Vera e falsa teologia] non tentano nemmeno di confutarle ma si accontentano di mostrarmi orgogliosamente le loro insegne episcopali o cardinalizie. A me non resta che pregare, mentre continuo a consigliare tutti di non prendere per magistero quello che Magistero assolutamente non è.

 

Autore Redazione dell'Isola di Patmos

Autore
Redazione
dell’Isola di Patmos

 

 

vera e falsa teologia

L’opera di Antonio Livi: Vera e falsa teologia, è edita dalla Casa Editrice Leonardo da Vinci [vedere QUI, QUI]

Consigliamo ai lettori dell’Isola di Patmos la lettura di questo articolo di Antonio Livi pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana [vedere QUI].

Antonio Livi è stato uno dei soci fondatori di questa nostra rivista telematica con la quale da alcuni mesi non collabora più. Tra poco provvederemo a correggere la pagina dei “redattori” dove figura ancora la sua scheda, mentre il suo nome, con nostro piacere e onore, rimarrà sempre sulla home page iniziale a perenne ricordo di questa felice esperienza nata dalla nostra comune intesa.

La scelta di distacco di Antonio Livi non ha mai intaccato la fraternità sacerdotale che ci lega e la sincera stima nei suoi riguardi da parte dei Padri dell’Isola di Patmos, che in toto condividono i contenuti di questo suo articolo e che seguiteranno a sostenerlo in questa e in altre sue battaglie improntate sulla salvaguardia del dogma e della dottrina cattolica. Non a caso, tra non molto tempo, i tre soci fondatori dell’Isola di Patmos si ritroveranno tutti e tre assieme come relatori ad un convegno di studi.

 

Convegno di Roma 30 ottobre 2015