È molto pericoloso affermare: «Io sono ciò che sento di essere», perché vuol dire imporre il mondo dell’irreale, spesso anche in modo violento

È MOLTO PERICOLOSO AFFERMARE «IO SONO CIÒ CHE SENTO DI ESSERE», PERCHÉ VUOL DIRE IMPORRE IL MONDO DELL’IRREALE, SPESSO ANCHE IN MODO VIOLENTO

Dopo mezzo secolo di lotte femministe, finalmente un maschio vince il primo premio a un concorso di bellezza per donne. Un successo straordinario per noi uomini!

— Storia e attualità —

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Esistono dei negri insopportabili, alcuni persino criminali pericolosi appartenenti a etnie notoriamente molto violente? Sì, ma con buona pace della semantica latina homines nigri non vanno indicati come “negri”, ma come “uomini di colore”. La parola “negro” è una espressione razzista.

“Transexual, Transylvanian” – The Rocky Horror Picture Show, Jim Sharman (1975)

Penso sia lecita una domanda: come mai quando loro indicano gli Homines albi (uomini bianchi), ci chiamano “bianchi” anziché “uomini senza colore”? Questi negri detti “uomini di colore”, sono forse razzisti? Come mai è razzista dire niger (negro) ma non lo è dire albi (bianco)? Se in qualsiasi Paese europeo, durante un diverbio, uno dicesse a un nero “sporco negro”, prima finirebbe alla gogna mediatica, poi alla sbarra dei nostri tribunali con accuse di razzismo, cosa sulla quale si può essere anche d’accordo, posto che non dovrebbe esistere un disprezzo passibile dell’accusa di razzismo e un disprezzo analogo considerato invece solo accesa espressione fuoriuscita di bocca nel corso di un diverbio, con il giudizio sostanziale e formale che varia secondo il colore della pelle indicata. O qualcuno conosce forse il caso di qualche negro svergognato su tutta la stampa politically correct e poi trascinato alla sbarra di un tribunale con accusa di razzismo per avere detto a qualcuno “sporco bianco”?  

Volendo essere equi, forse sarebbe il caso di trascinare alla sbarra del tribunale anche l’africano che si rivolge a un europeo indicandolo come bianco, o peggio usando l’espressione razzista di “sporco bianco”. Se infatti i neri non sono neri o negri bensì “uomini di colore”, a nostra volta noi bianchi non siamo dei bianchi bensì “uomini senza colore”, o se preferiamo “uomini di colorazione non scura” o “uomini scoloriti”. Si scelga quindi tra queste tre la definizione più politicamente corretta, perché così dovremmo essere chiamati, allo stesso modo in cui un africano non è chiamato “negro” o “nero” ma “uomo di colore”.

Per quanto riguarda le varie popolazioni nere del Continente Africano, andrebbe chiarito che spesso sono molto diverse le une dalle altre, all’incirca come un europeo della Norvegia può esserlo da un europeo italiano nativo della regione Calabria. A tal proposito il vocabolario fornisce questa indicazione:

«negroide, aggettivo e sostantivo maschile e femminile [composto di negro e oide]. In antropologia fisica, ramo negro, uno dei due rami delle forme primarie equatoriali, comprendente i ceppi degli steatopigidi, dei pigmidi e dei negridi. In senso generico (e spesso sostantivato), di individuo che presenti le caratteristiche dei negri (pelle molto scura, camerrinia, prognatismo, capelli crespi, dolicocefalia)» [cfr. Enciclopedia Treccani].

Se però andiamo a leggere la enciclopedia più inaffidabile di tutto il globo terracqueo, ossia Wikipedia, dove spesso il politicamente corretto è spinto sino al parossismo e alla negazione stessa dei fondamenti delle varie scienze, incluse quelle antropologiche e biologiche, possiamo leggere:

«Il termine negroide o negride, talvolta congoide, indica una classificazione antropologica ormai obsoleta dell’Homo sapiens, definibile a partire dalla forma del cranio ed altre caratteristiche craniometriche ed antropometriche: tale termine identifica gli esseri umani autoctoni dell’Africa subsahariana» [cfr. QUI].

Come mai in modo tacito e silenzioso certe università americane danno agli studenti neri di origine afro-americana dei test di ammissione più facili rispetto a quelli dati agli studenti bianchi di origine europeo-americana? Può essere che ciò avvenga allo stesso modo in cui qualsiasi bianco di origine europeo-americana avrebbe serie difficoltà nel gareggiare in certe competizioni sportive con degli afro-americani? Peggio che mai con dei puri africani di certe particolari popolazioni del Continente Nero, notoriamente favoriti in vari sport da quella loro felice conformazione fisica che noi “uomini senza colore” non abbiamo, per nostra diversa genetica, perché in molte cose siamo inferiori a loro, dotati di capacità e risorse fisiche che noi non abbiamo, inclusa quella estensione vocale che nel canto rende certe voci uniche, tanto da essere definite voci nere o negre proprio per la loro particolarità. Poi, se taluni pensano sia possibile e fattibile far gareggiare dei giapponesi con dei camerunensi in una gara di corsa in velocità col salto a ostacoli, che facciano pure, ma temo che i risultati sarebbero alquanto scontati, oltre che ridicoli. In ogni caso il problema non si porrebbe perché i giapponesi, memori delle loro grandezze ma al tempo stesso anche di quelli che potrebbero essere certi loro limiti fisici dinanzi ad altri competitori, con l’atavico senso di onore che hanno non si esporrebbero mai al pubblico ridicolo. Noi europei invece sì, perché abbiamo perduto da tempo il senso dell’umano pudore, ma più ancóra quello della vergogna.

Ciascuno è libero di affermare che i più grandi maestri del pensiero filosofico e quelli delle principali scienze esatte sono nati tutti in Congo, nel Camerun, nel Togo, in Ghana, in Liberia e nel Burkina Faso, dove gli archeologi hanno scoperto antichi siti che per ingegneria, architettura e pregio artistico superano di gran lunga quelli dell’antico Egitto e delle civiltà degli Incas e degli Aztechi, degli etruschi, dei greci e dei romani. La cosa indubbiamente tragica è che se cose del genere qualcuno le affermasse dinanzi a una platea di esperti studiosi e specialisti, tutti taceranno e nessuno di loro farà un sospiro. Ci si domandi: perché?     

La correttezza politica più degenerata ci spinge persino a credere all’esistenza di popoli e popolazioni che non esistono più, per esempio gli egiziani e i greci. Capisco che gli uni e gli altri, considerato il patrimonio legato alle loro terre, possano vantare certe antiche origini, resta però il fatto che la civiltà egizia ― e con essa gli egizi ―, si è estinta da secoli. Coloro che dicono di essere gli attuali egizi sono una popolazione arabica; lo sono da quando i “popoli delle sabbie”, noti anche come maomettani, invasero quella regione nel VII secolo facendo tabula rasa di ciò che rimaneva di quella cultura che già da alcuni secoli aveva dato avvio a una lenta decadenza. Gli antichi egizio-maomettani erano anche amanti dei grandi falò, perché furono loro, guidati dal Califfo Omar, ad appiccare il fuoco definitivo che distrusse l’antica biblioteca di Alessandria nel 640. Come secoli e secoli dopo furono dei jihadisti musulmani a distruggere nell’agosto del 2015 l’antico sito archeologico di Palmira. È vero che i responsabili della distruzione furono degli integralisti islamisti, come si affrettarono a precisare i maestri occidentali del politicamente corretto, ma è vero altresì che questi integralisti erano comunque musulmani, degenerati e indegni quanto vogliamo, ma comunque musulmani. E al compimento di ogni loro azione criminale, incluso lo sgozzamento filmato di molte vittime cristiane, si proclamavano veri seguaci del Corano. Il tutto contrariamente ai tanto vituperati cristiani che non hanno mai distrutto gli antichi templi pagani romani e greci, li salvarono trasformandoli in chiese, facendoli giungere sino ai giorni nostri.

Fosse vera la leggenda nera che i crudeli conquistadores spagnoli, con altrettanti crudeli domenicani e francescani al seguito, distrussero i templi di quelle antiche civiltà, resta comunque da capire come mai, in Messico e nel Perù i siti archeologici sono tutt’oggi integri e visibili. Perché inventare leggende nere e incolpare gli altri, pur di non dire che molte distruzioni furono fatte dalle popolazioni locali nel corso delle varie guerre civili che si susseguirono a partire dagli inizi del XX secolo, dopo che gli spagnoli cessarono di dominare quei territori come loro protettorati o colonie? Con l’invasione napoleonica nel 1808 prese avvio la disgregazione dell’impero spagnolo in Sudamerica attraverso le guerre d’indipendenza ispanoamericane, l’ultima delle quali nel 1898, nota anche come “grande disastro”. Non potendo né volendo dire che i conquistadores, giunti nelle Americhe nel XVI secolo, trovarono la civiltà azteca in stato avanzato di decadenza e che per prima cosa impedirono la prosecuzione della pratica dei sacrifici umani, si preferisce seguitare a diffondere leggende nere sugli spagnoli giunti con domenicani e francescani al seguito che imponevano in modo coatto il battesimo a intere popolazioni. Tutt’altra la verità storica: a convertire gli indigeni delle popolazioni dell’attuale Messico nel XVI secolo, a seguire quelle dell’America Latina, fu la Virgen Morenita, nota come Madonna di Guadalupe, che non fu portata dagli spagnoli, apparve al giovane azteco Juan Diego Cuauhtlatoatzin. Lo stesso nome “Guadalupe” è un termine di origine azteca che deriva da Coatlaxopeuh e significa «colei che schiaccia il serpente». Anche in questo evento gli spagnoli, assieme ai tremebondi domenicani e francescani non c’entrano niente. Si noti altresì che nella cultura azteca il Quetzalcóatl era il serpente divino che simboleggiava la conoscenza e la guerra. Quindi, colei che schiaccia il serpente, in quella antica cultura simboleggia la sconfitta della guerra e l’inizio di una nuova conoscenza. Ecco chi convertì quegli antichi popoli, la Vergine Maria, non i battesimi forzati, condannati e puniti da sempre, peraltro, dal diritto ecclesiastico.

Gli attuali egiziani parlano in arabo e scrivono usando i caratteri dell’alfabeto arabo perché in verità questa era la lingua originaria che parlava nel XIII sec. a.C. il Faraone Ramses II detto il Grande, ne sono ulteriore prova le iscrizioni interne delle piramidi che abbondano di caratteri alfabetici arabici, detti non a caso: “lingua araba cuneiforme”. Poi, a chi non fosse informato, basti ricordare che Maometto si ispirò ai geroglifici egizi astrali per capire bene dove costruire la Mecca.

Gli attuali greci sono fieri più che mai della loro storia, sentendosi profondamente e intimamente tali, peccato che non lo siano. Se infatti per greci intendiamo gli abitanti di quella regione geografica, nulla da dire, ma tenendo conto che lo sono solo a livello geografico. Gli attuali abitanti di quella regione sono infatti greci allo stesso modo in cui gli abitanti di quel territorio chiamato Egitto sono egiziani. Pertanto, gli abitanti di quella regione sono eredi e discendenti degli antichi greci allo stesso modo in cui gli svedesi sono eredi e discendenti degli abitanti del Madgascar. In quella regione geografica chiamata Grecia i turchi hanno dominato per quattro lunghi secoli, dal 1453 al 1821. Gli antichi greci ci hanno lasciato un grande patrimonio d’arte che testimonia quella che era la morfologia e la conformazione fisica del tutto tipica e caratteristica degli uomini e delle donne di quell’antico popolo. Gli attuali ateniesi che vantano in lungo e in largo la loro antica grecità, dovrebbero fare i conti con un dato di fatto tanto semplice quanto evidente: che gli piaccia o meno, morfologicamente sono turchi. Qualcuno ne vuole la prova? Basta andare a passeggio per le vie di Istanbul e per quelle di Atene per appurare che tra gli abitanti dell’una e dell’altra Città non c’è differenza, perché sono uomini di ceppo turco gli abitanti di Istambul come sono turchi nella loro conformazione fisica gli abitanti di Atene, che dopo quattro secoli di dominio pretendono di spacciarsi per discendenti degli antichi greci, come se oggi avessero la conformazione e le fattezze delle sculture di Skopas, Prassitele e Lisippo. Liberi i greco-turchi di sentirsi tali e quali ai bronzi di Riace, libero al tempo stesso qualsiasi conoscitore della storia, della antropologia e dell’arte di ridergli in faccia dinanzi a simili pretese.

Noi italiani non abbiamo di questi problemi, essendo uno dei popoli tra i più bastardi del mondo. Ecco un esempio esaustivo: in una delle nostre isole maggiori, la Sardegna, è possibile vedere figure maschili di medio-bassa statura, tarchiati e di ossatura pesante, mori di capelli e dalla pelle olivastra, che ricordano certi musulmani della casba di Algeri. Allo stesso tempo è possibile vedere uomini biondi, alti di statura e con gli occhi azzurro ghiaccio che ricordano i vichinghi della attuale Scandinavia. Com’è possibile, domandò un ingenuo milanese in vacanza proprio a un antropologo cagliaritano, che con gran senso di umorismo rispose:

«Le nostre nonne erano donne molto accoglienti e ospitali con tutti gli stranieri che hanno visitato nei secoli la nostra terra».

Il compianto Indro Montanelli, quando avevo appena 25 anni, con il suo spirito fiorentino al veleno dolce mi disse:

«L’Italia ha la forma geografica di uno stivale, ma nei fatti concreti è paragonabile al letto di una puttana, sul quale tutti quanti si sono sdraiati, rendendoci il popolo più bastardo del mondo. Cosa questa dai risvolti anche molto positivi, perché come risaputo i bastardi ― si prendano come esempio i cani ― sono più intelligenti e anche più longevi rispetto a quelli di pura razza».

Intelligenti e creativi, aggiungo io, nel bene e nel male, ma anche in questo caso con una differenza: se affermiamo che certi napoletani hanno messo a segno furti e truffe da meritare ammirazione, non certo per il crimine, beninteso, ma per l’ingegno geniale, questo si può dire, perché è consentito. Se invece si afferma che gran parte degli zingari ― non alcuni, ma gran parte dei cosiddetti Rom ― vivono di furti e traffici illeciti, in tal caso si è tacciati di razzismo, il tutto a prescindere dalle sentenze dei tribunali e dal continuo recupero di refurtive nei Campi Rom. Se infatti il napoletano mette a segno furti e truffe con raro ingegno, è un delinquente, se però uno zingaro ruba, in quel caso si tirano in ballo tutte le colpe, anche quelle più improbabili, della società, secondo le tesi di quello sciagurato rovinatore del pensiero giuridico europeo di Jean Jacques Rousseau, che dette vita nel XVIII secolo alla teoria del cosiddetto “buon selvaggio”. Secondo il pensiero roussoiano l’uomo in origine era un “animale” buono e pacifico e solo successivamente, corrotto dalla società e dal progresso, entrambi colpevoli, è divenuto malvagio. Un pensiero molto pericoloso che oggi va per la maggiore e che spesso porta ad affermare che coloro che delinquono lo fanno non perché hanno scelto di perseguire la via del crimine, ma perché la colpa è degli altri, o peggio della società intera.

Presto detto: i negri violenti che mossi da impulsi tribali fanno a pezzi a colpi di machete anche donne e bambini, non agiscono per istinti criminali mossi da disumanità, perché il loro agire sarebbe la causa dell’imperialismo coloniale che li ha incattiviti. Perché, come noto e risaputo, prima dell’arrivo dei cattivi colonizzatori nel Continente Africano, non si scannavano affatto tra di loro, ma vivevano pacifici come in un idillico Paradiso di Eden. E i colonizzatori furono a tal punto spietati e cattivi da proibire e impedire la pratica del cannibalismo diffuso in non poche tribù assieme ai sacrifici umani. Tra i tanti casi recenti che smentiscono quanti identificano l’uomo negro con il buono, la vittima e lo sfruttato dalla spregiudicatezza dell’Occidente, cito il genocidio del Ruanda che produsse a inizi anni Novanta del Novecento circa un milione di morti nelle lotte tribali tra Hutu e i Tutsi. gran parte dei quali donne e bambini.

I dati forniti in seguito dalla Banca Nazionale del Ruanda, documentarono attraverso migliaia di transazioni commerciali internazionali che circa un milione di machete usati per i massacri erano stati importati attraverso vari canali e che per la maggior parte erano di fabbricazione cinese. Le transazioni bancarie dimostrarono che furono acquistati e pagati con fondi stanziati da vari Paesi Occidentali donatori per sostenere lo sviluppo economico e sociale del Ruanda. Lo stanziamento dei fondi prevedeva che quei soldi non potessero mai essere usati per armi o altri materiali militari. L’accordo con la Banca Mondiale era più restrittivo ancóra e prevedeva che i fondi non potevano essere usati per importare neppure prodotti civili, se questi erano destinati all’uso militare o paramilitare. Dopo accurate indagini la Banca Mondiale appurò che il governo del dittatore Juvénal Habyarimana (1973-1994) fece uso dei fondi della Banca Mondiale per finanziare l’importazione di machete dalla Cina, classificandola come importazione di “prodotti civili” per uso non militare e non para-militare. In ogni caso, il cattivo, rimane di prassi “l’uomo bianco”, mentre “l’uomo nero” è buono, poi, se diventa cattivo, la colpa è tutta quanta dell’Occidente, non certo degli impulsi derivanti dalla sua mai assopita cultura tribale, che solo un altro genere di cultura è riuscita ad assopire e in alcuni casi persino a sconfiggere: il Cristianesimo.

Gli arabo-egizi sono liberi di sentirsi i discendenti degli antichi faraoni come i turco-greci possono dichiararsi discendenti della antica civiltà ellenica. Possiamo trascinare alla sbarra dei tribunali chi osa dire “negro” anziché “uomo di colore”, ovviamente sorvolando sui negri che a noi ci chiamano “bianchi” con tutta la solare ovvietà del caso, perché tali siamo: bianchi. Possiamo seguitare ad avvelenare il pensiero del decadente Occidente con le teorie roussoiane e credere che l’uomo è fondamentalmente buono e che se diventa cattivo, o se delinque, la colpa non è sua ma della società liberal-capitalista.

Allo stesso modo un uomo è libero di sentirsi donna, come quella transessuale che giorni fa ha vinto in Olanda il premio di Miss Universo. Premio dinanzi al quale ammetto di essermi sbizzarrito anch’io sui social media scrivendo:

«Dopo mezzo secolo di lotte femministe, finalmente un maschio vince il primo premio a un concorso di bellezza per donne. Un successo straordinario per noi uomini!».

Dinanzi a certi ostinati rifiuti della realtà, spesso esercitati in modo anche violento, talora persino a colpi di leggi o con il ricorso alle leggi sulle non meglio precisate “discriminazioni”, chiunque ragioni e intenda seguitare a farlo, sulle prime può gettarla in ridere, ma dopo una risata reattiva capirà subito che in verità ci sarebbe da piangere.

Penso sia legittimo e affatto razzista e discriminante porsi una domanda: se un uomo decide di sentirsi donna e di presentarsi a un concorso di bellezza per donne, per quanto mi riguarda è libero di farlo, così come i responsabili delle ammissioni al concorso affetti da evidente idiozia, seguiti appresso da una giuria composta da evidenti imbecilli, sono liberi sia di ammettere una trans sia di premiarla come la donna più bella. Però, allo stesso modo, dovrebbe essere altrettanto legittimo, per esempio da parte mia, porre una domanda affatto ironica, ma veramente innocente e soprattutto realistica: se alla trans olandese neo-eletta Miss Universo fosse diagnosticato un varicocele al testicolo destro e fosse necessario un intervento chirurgico, di quelli ai quali talvolta sono sottoposti anche i bambini, dove la ricoveriamo: nel reparto di ginecologia, in quanto si sente donna benché biologicamente uomo, oppure nel reparto di urologia, in quanto di fatto, benché si senta donna, è un uomo, tanto da richiedere un piccolo intervento chirurgico a un testicolo?

Qualsiasi mente raziocinante capisce bene quanto sia insidioso a livello sociale, politico e giuridico avallare la tesi che una persona non è ciò che nella sua realtà fisica e biologica è, ma ciò che sente di essere o che ritiene o vuole essere.

Le parole di Gilbert Keith Chesterton risuonano profetiche più che mai, quando nella sua opera Eretici scrisse nel lontano 1905:

«La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. È una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. È una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. Guarderemo l’erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto».

E così, in caso di necessità, ricovereremo Miss Universo nel reparto di ginecologia e non in quello di urologia, anche se deve essere operata a un varicocele al testicolo destro, perché ciò che conta non è il dato di fatto oggettivo e biologico che costei abbia i testicoli; conta solo che questa trans si sente donna e rivendica il diritto a esserlo.

Stiamo precipitando nel mondo dell’irreale, ma nessuno se ne vuole accorgere, chi poi se ne accorge tace per paura o per quieto vivere, evitando così di essere accusato di omotransfobia. Perché non è vero ciò che è vero, ma è vero ciò che il soggetto vuole, ciò che sente e ciò che a lui piace.

dall’Isola di Patmos, 16 luglio 2023

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“Miss Universo”. L’Isola di Patmos si occupa del bello perchè è una espressione manifesta di Dio e dei suoi doni nella storia dell’uomo

“MISS UNIVERSO”. L’ISOLA DI PATMOS SI OCCUPA DEL BELLO PERCHÉ È UNA ESPRESSIONE MANIFESTA DI DIO E DEI SUOI DONI NELLA STORIA DELL’UOMO

Premiazione dinanzi alla quale solo gli irriducibili omotransfobici, gli esponenti delle destre filo-fasciste e i cattolici integralisti potranno sollevare obiezioni. 

— Notizie in breve —

Autore
Redazione de L’Isola di Patmos

 

 

 

 

 

 

 

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Una transessuale olandese è stata incoronata Miss Universo alla sfilata che si è tenuta l’8 luglio nei Paesi Bassi.

Oltre alla indubitabile e straordinaria bellezza, questa premiazione è stata anche una incoronazione per la cultura europea della inclusione delle diversità. Premiazione dinanzi alla quale solo gli irriducibili omotransfobici, gli esponenti delle destre filo-fasciste e i cattolici integralisti potranno sollevare obiezioni.

 

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dall’Isola di Patmos 10 luglio 2023

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.https://www.youtube.com/watch?v=ltEAQNopUYM&t=2s

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Gabriele

Un altro “scappato di casa” in corsa con l’eretico scismatico scomunicato e dimesso dallo stato clericale Alessandro Minutella

UN ALTRO “SCAPPATO DI CASA” IN CORSA CON L’ERETICO SCISMATICO SCOMUNICATO E DIMESSO DALLO STATO CLERICALE ALESSANDRO MINUTELLA

Chiunque malgrado la sentenza data su di loro dalla Chiesa, ascolti la Messa e riceva i Sacramenti dal Sig. Minutella e dai sacerdoti che si sono messi al suo seguito cadendo nel delitto di eresia e scisma, cade in peccato e pecca gravemente, perché la Chiesa li ha colpiti con una sentenza.

 

Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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I membri degli antichi ordini storici vivono da sempre con disagio e sofferenza deviazioni e tradimenti della dottrina della fede di alcuni loro membri, specie quando scivolano nell’eresia e nello scisma.

Solo guardando ai tempi recenti: i Benedettini hanno avuto il caso di Giovanni Franzoni, i Francescani il caso di Leonard Boff, i Gesuiti il caso eclatante di Alighiero Tondi. Tutti gli ordini storici e le congregazioni hanno avuto alcuni loro membri che hanno dato problemi deviando dalla dottrina della fede o generato pubblici scandali. Il tutto rammarica e addolora, indubbiamente, ma al tempo stesso non deve destare neppure eccessivo stupore, basta pensare al tradimento di Giuda Iscariota.

Come nelle migliori famiglie, può capitare che alcuni figli siano dotati delle migliori capacità umane e morali, mentre uno, seppur nato dagli stessi genitori ed educato come tutti gli altri, prenda invece delle strade sbagliate, a volte persino pessime.

È il caso del presbitero domenicano Vincenzo Avvinti, che dopo vari problemi generati all’interno dell’Ordine dei Predicatori è stato colpito dal provvedimento estremo della dimissione – leggasi espulsione – dalla nostra Famiglia Religiosa. Non mi soffermo sui motivi, non perché non possa farlo, ma proprio perché non voglio farlo. Desidero infatti sia chiaro che per me è un dolore enorme che un presbitero che ho conosciuto di persona anni fa e che ho stimato tanto per la sua caratura umana e intellettuale, abbia compiuto adesso questo passo. 

Purtroppo, questo nostro ex confratello ha deciso di aggiungere danno al danno e male al male mettendosi al seguito dell’eretico scismatico scomunicato e dimesso dallo stato clericale Alessandro Minutella.

Ritengo giusto informarne sia i nostri Lettori sia i membri del Terz’Ordine Secolare Domenicano, facendo presente agli uni e agli altri ciò che diceva San Tommaso d’Aquino nella quaestio n. 82 che da anni viene stravolta e manipolata dal Sig. Minutella:

«Et ideo peccat quicumque eorum Missam audit vel ab eis accipit Sacramenta» (E quindi pecca chiunque ascolti la loro Messa o riceva da essi i Sacramenti) [vedere testo latino e italiano QUI].

Perché dico che da anni stravolge e manipola questa questio? Per il semplice fatto che come suo uso e costume taglia dei pezzi dal loro contesto e li presenta facendogli dire quel che non dicono. Infatti, questo brano da lui citato come un mantra, è preceduto dalla parte in cui si dice:

«Differt tamen inter praedictas sectas. Nam haeretici et schismatici et excommunicati sunt per sententiam Ecclesiae executione consecrandi privati» (Tra codeste categorie però c’è qualche differenza. Infatti gli eretici, gli scismatici e gli scomunicati vengono privati dell’esercizio dei loro poteri da una sentenza della Chiesa).

Proprio questa è la questione. Il Sig. Minutella, con lui anche l’ex membro dell’Ordine dei Predicatori Vincenzo Avvinti, sono degli eretici scismatici che come tali la Chiesa ha privati con una sentenza della potestà di esercitare il sacro ministero sacerdotale. Pertanto: «Et ideo peccat quicumque eorum Missam audit vel ab eis accipit sacramenta» (E quindi pecca chiunque ascolti la loro Messa o riceva da essi i Sacramenti).

Esattamente così: chiunque, malgrado la sentenza data su di loro dalla Chiesa, ascolti la Messa e riceva i Sacramenti dal Sig. Minutella e dai sacerdoti che si sono messi al suo seguito cadendo anch’essi nel delitto di eresia e scisma, cade in peccato e pecca gravemente, perché la Chiesa li ha colpiti con una sentenza.

Permanendo nel rispetto che ci è richiesto dalle Costituzioni Domenicane, ma ancor di più rispettoso della salvezza delle anime ― che è il fine primo del nostro Ordine ― offro questo avviso ai nostri Lettori pregando per la conversione di questo nostro ex confratello.

 

Santa Maria Novella in Firenze, 10 luglio 2023

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«Guai a voi ricchi perché avete già ricevuto la vostra consolazione». L’Italia detiene il primato europeo della piaga dell’invidia sociale

«GUAI A VOI RICCHI PERCHÈ AVETE GIÀ RICEVUTO LA VOSTRA CONSOLAZIONE». L’ITALIA DETIENE IL PRIMATO EUROPEO DELLA PIAGA DELL’INVIDIA SOCIALE

Non è la prima volta, in dieci anni di pontificato, che si parte dall’uomo per giungere di riflesso a Gesù Cristo o che si parte da Gesù Cristo per mettere al centro neppure l’uomo, ma una figura di uomo privilegiato: il povero. Stile questo usato dal Vescovo Tonino Bello, di cui gli improvvidi Vescovi della Puglia aprirono la fase diocesana del processo di beatificazione, giunto oggi alla Congregazione per le cause dei Santi.

—  Attualità ecclesiale —

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Nel corso degli anni passati ho avuto più volte modo, mentre tutti tacevano, di far notare che certi richiami del Sommo Pontefice Francesco sui poveri rasentavano in parte la nevrosi ossessiva e in parte la serpeggiante ideologia. Oggi questo fatto è pubblicamente lamentato dagli stessi che ieri mi dicevano «attento», oppure «non sei opportuno e prudente», o peggio che mi rimproveravano: «Come osi criticare il Santo Padre?». Faccio notare che questi secondi si sono poi svegliati improvvisamente anni dopo, alle soglie dei settant’anni, quando hanno dovuto fare i conti con la realtà che l’agognata nomina episcopale non era giunta e che mai sarebbe giunta. Così, per magico incanto, hanno scoperto che anche un Sommo Pontefice può essere oggetto di critiche e che in tal senso, la storia della Chiesa, anche quella recente, ci insegna in che modo, talora anche duro e severo, molti predecessori dell’Augusto Pontefice sono stati criticati più dentro che non fuori dalla Chiesa. Chi, come il sottoscritto, è uno studioso da sempre dei concili dogmatici della Chiesa ne sa qualche cosa.

Il 23 giugno 2023 il Santo Padre ha ricevuto in udienza un numeroso gruppo di artisti ai quali ha ricordato:

«Vorrei chiedervi di non dimenticarvi dei poveri, che sono i preferiti di Cristo, in tutti i modi in cui si è poveri oggi. Anche i poveri hanno bisogno dell’arte e della bellezza. Alcuni sperimentano forme durissime di privazione della vita; per questo, ne hanno più bisogno. Di solito non hanno voce per farsi sentire. Voi potete farvi interpreti del loro grido silenzioso» [discorso integrale, QUI].

Questa esortazione è chiara nella sua costruzione e struttura: l’elemento centrale è il “povero ideologico”, mentre l’accessorio che serve per esaltarne la figura onirica e surreale è Gesù Cristo. Quindi il povero è al centro, di lato a seguire Gesù Cristo che preferisce il povero eletto a categoria privilegiata rispetto a tutti gli altri figli di Dio.

Tra quegli artisti presenti, la gran parte erano persone che considerano l’aborto una grande conquista sociale e un diritto intangibili, l’eutanasia un gesto di grande umanità verso un malato terminale, che rivendicano il “diritto” al matrimonio tra coppie dello stesso sesso e del conseguente “diritto” dell’adozione dei bambini da parte delle coppie omosessuali e il ricorso alla maternità surrogata, o cosiddetto utero in affitto. Gran parte di loro sono soggetti che saltano da una convivenza all’altra, o che dopo avere collezionato due divorzi hanno infine deciso di convivere evitando ulteriori problemi di separazioni legali, andando poi in giro per le televisioni a vantare la meraviglia delle loro “famiglie allargate” … Ebbene, non dico che andava fatta loro una lezione di morale cattolica, sarebbe stato inopportuno e quanto mai controproducente, però, costava tanto dire loro: “Cari artisti, non dimenticatevi di Gesù Cristo, che è l’inizio, il centro e il fine ultimo del nostro intero umanesimo, come l’arte stessa ci ricorda nelle sue espressioni più alte e nobili». Forse costava tanto, anche perché diversi di questi artisti, che pure vivono nell’ostentazione di un lusso sfrenato, sicuramente sono usciti felici dicendo: «Finalmente, un Papa che parla dei poveri!». È infatti noto e risaputo che la Chiesa, dei poveri, ha incominciato a occuparsene solo dieci anni fa, non certo sin dalla prima epoca apostolica. Pertanto, tutte le nostre istituzioni, fondazioni e opere dei grandi Santi e Sante della carità che da secoli assistono famiglie povere, bambini, orfani, disabili, anziani soli e abbandonati, sono solo delle illusioni ottiche. In verità, dentro il Cottolengo di Torino, c’è una beauty farm gestita dalle suore, un centro benessere a cinque stelle, non un centro di assistenza per affetti da gravi disabilità fisiche e psichiche. Le nostre Caritas, per chi non lo sapesse, nascono dopo il febbraio del 2013, perché prima non esistevano. In verità, la stessa parola Caritas è stata inventata sotto questo pontificato. Se all’epoca l’avesse conosciuta il Beato Apostolo Paolo chissà quante riflessioni belle vi avrebbe scritto sopra, forse avrebbe persino affermato che tra tutte le virtù, la più importante, era proprio la carità [I Cor 13, 13]. Purtroppo però, all’epoca, il concetto di carità era ignoto e il Beato Apostolo Paolo si perse quella bella occasione.

Non è la prima volta, in dieci anni di pontificato, che si parte dall’uomo per giungere di riflesso a Gesù Cristo o che si parte da Gesù Cristo per mettere al centro neppure l’uomo, ma una figura di uomo privilegiato: il povero. Stile questo usato dal Vescovo Tonino Bello, di cui gli improvvidi Vescovi della Puglia aprirono la fase diocesana del processo di beatificazione, giunto oggi alla Congregazione per le cause dei Santi.

Un doveroso inciso a correzione della evidente ignoranza che serpeggia persino in certi ambienti ecclesiali ed ecclesiastici: quella in corso di Tonino Bello non è una causa di canonizzazione, come indica il sito ufficiale della Diocesi di Molfetta ma una causa di beatificazione. Per canonizzazione si intende infatti l’apertura di un processo per giungere a canonizzare un beato, ossia a proclamare santo un beato. E con questo è presto detto tutto sui tempi che corrono e che purtroppo dobbiamo subìre e vivere [cfr. QUI].

È la prima volta ― o perlomeno io non ho memoria storica in tal senso ― che viene aperto un processo di beatificazione per un Vescovo che nel corso della propria intera vita ha mostrato una inquietante ignoranza in materia di dottrina, fautore e promotore di una cristologia imbarazzante ma soprattutto non cattolica, per seguire con una mariologia rasente a volte la blasfemia del tutto involontaria. Tonino Bello, di fatto eterodosso, è stato il precursore dei vescovi sociali con la crocetta di legno al collo e il pastorale da falegnameria in mano prodotto nella bottega di Mastro Geppetto, dopo che questo celebre falegname della famosa novella di Collodi aveva costruito non un solo Pinocchio, ma tanti piccoli pinocchi episcopali fatti in serie.

Alcuni replicano: «Ma Tonino Bello era buono!». Non lo metto in dubbio. O che forse, Ario e Pelagio, erano cattivi? Esistono cronache in tal senso? Sant’Agostino, che a Pelagio lo contrastò duramente [cfr. QUI], pose in discussione il suo pensiero ereticale, mica affermò che era cattivo.

Il IV Concilio Lateranense del 1215 che condannò l’eresia millenarista di Gioacchino da Fiore — con buona pace di coloro che oggi vogliono attribuire ad altri e non a lui quei pensieri — non affermò che il florense era cattivo, tutt’altro! Mentre da una parte questo Concilio condannava gli errori del suo pensiero, al tempo stesso, i Padri, ribadivano le sue indubbie virtù e la sua santità di vita. Essere buoni, o essere sensibili ai poveri, non vuol dire essere uomini di solida e ortodossa dottrina, meno che mai essere santi. Un soggetto buono non è in quanto tale automaticamente in linea con la dottrina, il pensiero e il perenne magistero della Chiesa. Quello di Tonino Bello è un pensiero che abbonda di numerose e grossolane eresie, lo provano suoi scritti e pubblici discorsi. Può essere però che i Vescovi della Puglia abbiano individuato un patronato che sino a oggi era rimasto scoperto. Esiste infatti persino il patronato delle prostitute pentite, di cui è patrona Santa Margherita da Cortona, non esisteva però ancóra un Santo Patrono degli eretici. Può essere che i Vescovi della Puglia abbiano pensato in tal senso a promuovere il loro conterraneo Tonino Bello, dal quale prende poi vita quel pensiero insidioso che diversi tra noi teologi chiamiamo toninobellismo.

Nel Discorso della Montagna, noto anche come Beatitudini, Gesù Cristo afferma: «Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione» [Lc 6,17-20.26].

Si tratta forse di un manifesto primigenio della futura lotta di classe? No, in verità si tratta anzitutto di un errore di traduzione, di quelli che abbondano soprattutto nelle versioni della Conferenza Episcopale Italiana, come di recente ha fatto notare anche il nostro autore Monaco Eremita in un suo articolo [vedere QUI]. Questa apertura «Ma guai a voi, ricchi», nel nostro lessico parlato suona come una minaccia. Infatti, nel vocabolario italiano, la parola «guai» è indicata come una esclamazione di minaccia. Ce lo conferma la letteratura, basti pensare alla figura di Caronte, il barcaiolo che conduce i dannati nel luogo di perdizione eterna, che nell’Opera di Dante, al Canto III dell’Inferno, tuona:

«Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: “Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder lo cielo: i’ vegno per menarvi a l’altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo. E tu che se’ costì, anima viva, pàrtiti da cotesti che son morti”».

Nel suo significato etimologico e secondo la migliore letteratura, la parola «guai» costituisce una minaccia grave e ben precisa.

Mi si passi l’ironia: io che a suo tempo non ho fatto il santissimo seminario ― perché come adulto consacrato sacerdote quarantenne ebbi altro genere di adeguata formazione ― il greco l’ho studiato e lo conosco, al contrario dei fuoriusciti dai moderni santissimi seminari nei quali al posto del greco si studia l’inglese e al posto del latino i sociologismi trasmessi dai vari formatori che offrono ai discepoli i pensieri teneri scritti sulle cartine dei Baci Perugina, anziché il solido pane dei grandi Santi Padri e dottori della Chiesa. Nel testo greco di questo Vangelo lucano è usata l’espressione Oὐαί (ouai), che non è affatto una maledizione in tono di minaccia, ma una espressione che equivale ad ahimè, o per usare un arcaismo de’, il tutto per esprimere con tenero spirito un senso di rammarico. Espressione nella quale la ricchezza è usata come paradigma per esprimere altro: l’egoismo, la mancanza di altruismo e di generosità, l’attaccamento alle cose materiali, che non sono solo il danaro, perché l’attaccamento a certi stili di vita o pensiero può essere di gran lunga più nocivo del rapporto morboso con la ricchezza materiale. Ne consegue quindi la lode «Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli» [Lc 6,17-20.26]. Lode non riferita certo al fatto che l’essere poveri è una nota di merito al punto da meritare per questo la salvezza eterna. Per poveri in spirito si intendono coloro, indistintamente ricchi o poveri di soldi, che hanno conquistato la libertà dei figli di Dio attraverso quella verità che una volta conosciuta ci farà liberi [cfr. Gv 8,28].

Che elementi di questo genere li sottovalutasse un evidente lacunoso teologico come Tonino Bello, indubbiamente è cosa grave, perché un vescovo è sommo sacerdote e maestro. Però, se questi elementi, li ignora e sottovaluta il maestro e il custode supremo della dottrina della fede cattolica, a dir poco è inquietante. Per questo siamo allo sbando nel modo in cui ormai siamo tristemente e tragicamente ridotti.

Passiamo alla seconda e ultima parte di questo discorso. Da alcune settimane le reti televisive e i giornali parlano del grande flusso di turisti in Italia, ponendo l’accento sul fatto che le strutture alberghiere e i resort che offrono servizi di extra lusso sono tutti pieni, a tal punto che non è possibile trovare posto. Le redazioni televisive Rai e Mediaset hanno sguinzagliato i loro giornalisti per riprendere e mandare in onda interviste fatte ai direttori di queste strutture che alle domande loro rivolte hanno risposto che i costi di certe suites variavano da cinque, sei, sino alla bellezza di 15.000 euro al giorno. Pochi minuti dopo venivano mandati in onda servizi fatti a varie famiglie del popolo proletario che spiegavano in che modo non potevano fare le vacanze, dato l’aumento dei prezzi, oppure che avrebbero potuto farle in clima di stretta economia improntandole sul più attento risparmio.

La cosa peggiore che si possa fare a livello giornalistico e mediatico è di fomentare l’istinto dell’invidia sociale, che in Italia non necessita di essere fomentata, perché se essa fosse uno sport, noi italiani deterremo il primato assoluto a livello europeo.

Sebbene non sia un economista e meno che mai propenso a fare il tuttologo che si lancia in mestieri che non sono i miei di pertinenza, applicando la basilare logica del buon senso comune mi rammarico dinanzi a simili servizi faziosi che istigano di fatto all’odio sociale di classe. Se infatti nel nostro Paese, centri che offrono servizi di extra lusso del genere, non hanno posti liberi e sono prenotati per tutta l’estate, ciò dovrebbe rallegrare anzitutto proprio i figli del popolo proletario. Semplice il motivo: quanto personale di lavoro è richiesto di necessità per offrire servizi alberghieri a simili costi stratosferici? Per ogni suite occorrono quattro camerieri fissi che coprano ininterrottamente a due a due un servizio di 18 ore, per non parlare del relativo personale necessario per offrire altrettanti analoghi servizi per le prime colazioni, per le seconde colazioni e le cene, per i servizi alle piscine e tutti gli altri comfort offerti. Pertanto, i padri, le madri, i figli e i nipoti del popolo proletario dovrebbero essere i primi a rallegrarsi, perché tutto ciò si chiama: posti di lavoro. A meno che non si preferisca al posto di lavoro il reddito di cittadinanza parassitario, quello che per alcuni anni è andato non ai bisognosi non in grado di lavorare o senza lavoro, che ne avevano sì sacrosanto diritto e che vanno aiutati e sostenuti, ma ai furbi, la più alta percentuale dei quali è risultata essere presente, putacaso, nella Città di Napoli, non lo hanno detto i cattivi anti-meridionalisti razzisti, ma i dati delle varie Agenzie di Stato. Perché è questo che produce il turismo di extra lusso: posti di lavoro. O qualcuno pensa che la pensioncina economica di Rimini per le vacanze economiche del popolo proletario, al costo di 70 euro al giorno camera e prima colazione, possa produrre altrettanti posti di lavoro, oltre al giro di affari che questo genere di clientela può creare attorno a queste strutture a beneficio di ristoranti, negozi di lusso o gioiellerie all’interno delle quali non si trova neppure una spilla al di sotto del costo minimo di 10.000 euro?

Ricordo alcuni decenni fa, quando ero ragazzino, le proteste di certi attivisti del popolo proletario al grido «le spiagge e le scogliere sono di tutti» e che «tutti hanno diritto a mare e sole». La lotta di classe in questione era legata al fatto che nella esclusiva e costosa zona del Monte Argentario, nella bassa Maremma toscana, i proprietari delle ville sulle scogliere avevano impedito l’accesso al mare al popolo proletario. Varie associazioni, tutte e di rigore di un preciso colore, cominciarono a bordare denunce, fin quando dei magistrati, forse della stessa colorazione, disposero l’apertura dei cancelli e delle recinzioni di certe proprietà, o comunque la creazione di passaggi affinché il popolo proletario potesse esercitare il diritto al mare e al sole.

Questi i risultati: nel giro di una stagione molte scogliere divennero méta di nutriti gruppi di persone rumorose che lasciavano poi tra gli scogli spazzatura e bottiglie di bibite, che urlavano e ascoltavano gli stereo portatili sparati al massimo volume. Un danno notevole all’ambiente e a quel delicato ecosistema, che è uno tra i più belli e incontaminati d’Italia. Gli sporchi ricconi incominciarono così a disertare la zona e ad andarsene in Sardegna o sulla Costa Azzurra. Di questo non ne risentirono né i magistrati, il cui stipendio era assicurato, né i figli del popolo operaio, anch’essi con lo stipendio di fabbrica assicurato inclusa tredicesima e quattordicesima, bensì i ristoratori, i proprietari degli stabilimenti balneari, i negozianti e i vari commercianti della zona. E se i gestori di tutte queste attività non potevano avere un certo giro di lavoro, al tempo stesso non potevano assumere personale e creare e dare posti di lavoro, perché nessuno di loro faceva cassa con i figli del popolo proletario, che si limitavano a guardare le vetrine di certi negozi o a leggere i menù di ristoranti nei quali una cena per quattro persone sarebbe costata la metà dello stipendio mensile di un operaio figlio del popolo proletario. L’ideologia ebbe sul momento la meglio, il popolo proletario ebbe diritto a sole e mare in zone costiere che non possono e non devono essere prese d’assalto dalla grande massa, salvo rovinarle. La conseguenza fu che il danno economico risultò enorme. E così, in zone nelle quali il vecchio Partito Comunista vinceva le elezioni con maggioranze superiori al 60%, fu presto invertita la rotta. Le scogliere furono nuovamente chiuse e i passaggi obbligatori eliminati. A quel punto, gli sporchi ricconi che producevano lavoro e ricchezza ritornarono, mentre il popolo proletario, al quale nessuno ha mai negato mare e sole, era dirottato verso località e spiagge adatte ad accogliere la gran massa di gente.

Oggi, nelle zone della vicina Capalbio, si recano in villeggiatura tutti i più ricchi fricchettoni dei Democratici di Sinistra, tutti nipotini viziati e degenerati del vecchio e glorioso Partito Comunista. E anche loro, i poveri, inclusi i migranti sbarcati clandestini a Lampedusa, non li vogliono tra i coglioni — per usare un francesismo aulico — neppure a distanza dalle recinzioni delle loro ville.

Povero non equivale a buono, esistono poveri che sono dotati di una cattiveria fuori dal comune, dai quali guardarsi, tenersi a distanza e tenerli a distanza. Come esistono ricchi che nella assoluta riservatezza fanno del bene a numerose famiglie e intere istituzioni benefiche che operano a servizio dei vari disagi sociali. L’uomo non è buono o cattivo in base alla classe o al ceto di appartenenza, ma in base alla propria natura e sensibilità umana.

Il nostro Paese dovrebbe puntare sul turismo di lusso, perché sia le Città d’arte italiane sia certe nostre zone costiere, sono ambienti e territori molto fragili e delicati da conservare e mantenere. E non possono essere presi d’assalto da masse di orde spesso barbariche né distrutti in nome dell’ideologia, con turisti cafoni che danneggiano i monumenti di Roma o che fanno il bagno dentro le fontane monumentali.

Ogni tanto qualcuno strepita che la Chiesa italiana ha messo i biglietti d’ingresso per visitare diverse storiche cattedrali e chiese monumentali. Bene hanno fatto, molto prima avremmo dovuto farlo. Ci sono infatti numerosi luoghi di culto che sono monumenti di straordinaria bellezza e altrettanta straordinaria delicatezza. Imporre un biglietto, preferibilmente anche costoso, eviterà che in città come Siena, Pisa, Venezia … certi luoghi siano presi d’assalto da persone che ci entrano tanto per entrarci, non di rado anche per recarvi danni gravi e irreparabili, come possono confermare le varie Soprintendenze alle belle arti corse più volte ai ripari con lunghi, delicati e costosi restauri di opere d’arte danneggiate da idioti che si erano arrampicati da qualche parte per farsi, ad esempio, fotografie spiritose, da inviare ad altrettanti amici idioti sparsi in giro per il mondo.

Pura e semplice economia del buon senso comune, applicata a un Paese come il nostro, dove abbondano ricchezze artistiche e ambientali che richiedono estrema cura e che sono tanto belle quanto fragili, oltre che facili da danneggiare per opera delle moderne orde barbariche. L’Italia è un gioiello delicato e fragile che non è fatto né mai potrà essere fatto per il turismo di massa, con buona pace delle ideologie sul popolo proletario.

dall’Isola di Patmos, 29 giugno 2023

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Che cos’è un bacio? L’apparente omofobia in terra di Cesena non è grave quanto la crassa ignoranza storica del sindaco DEM che usa a sproposito il termine “Medioevo”

CHE COS’È UN BACIO? L’APPARENTE OMOFOBIA IN TERRA DI CESENA NON È GRAVE QUANTO LA CRASSA IGNORANZA STORICA DEL SINDACO DEM CHE USA A SPROPOSITO IL TERMINE “MEDIOEVO”

Davanti alle bufale storiche come quelle proferite dal Sindaco di Cesena l’ascoltatore medio del nostro secolo ha ben poche armi di difesa. Del resto, come diceva Don Camillo a Peppone: «Se hanno creduto a Carlo Marx, qualunque balla gli racconti andrà bene!». E noi stiamo ancora qui a raccontarci le balle che gli LGBT, i Democratici di Sinistra e i vari compagnucci blogghettari ci vengono a raccontare, inclusi i cattolici perfetti che amoreggiano con i circoli LGBT e che vorrebbero introdurre dentro la Chiesa Cattolica il «cavallino di troia arcobalenato»

— Attualità ecclesiale —

                   Autore
        Ivano Liguori, Ofm. Capp..

 

PDF  articolo formato stampa

 

L’audio lettura sarà disponibile il 23 giugno dopo le ore 15

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È di questi giorni la notizia di un parroco della Diocesi di Cesena-Sarsina che ha comunicato a un suo giovane collaboratore del Grest (Gruppo Estivo Cattolico) l’inopportunità di proseguire il suo ruolo di educatore del centro estivo parrocchiale in quanto su Instagram sarebbe apparso in una foto che lo ritraeva nell’atto di baciare un ragazzo.

Sicuramente la notizia avrà leso la sensibilità di più anime belle appartenenti a quella schiera di cristiani perfetti e democratici che non possono tacere, di coloro che sono più buoni e misericordiosi dello stesso Nostro Signore Gesù Cristo e che indefessamente vivono per cercare e affermare la ben rotonda Verità, il cui cuore iridato potrebbe candidamente prendere in prestito la poetica di Edmond Rostand che dice:

«Et qu’est-ce qu’un baiser? Une apostrophe rose entre les mots je t’aime, un secret dit de sa bouche».

Un bacio, insomma, che cos’è mai un bacio? Forse nulla ma in questa situazione non è il bacio a costituire il problema. Sotto la punta dell’iceberg del bacio c’è ben altro. Ed è proprio questo altro che bisogna scandagliare e che a me non convince, per questo mi piacerebbe argomentare brevemente il fatto con i nostri Lettori per tentare di dare una lettura trasversale di tutta quanta la vicenda che a mio parere solleva non pochi dubbi e interroga non poche coscienze.

La prima cosa che non mi convince è che il giovane animatore non abbia avuto la minima remora a postare su Instagram una foto in cui è ritratto a baciare il suo fidanzato. E questo perché? Era notoria la sua omosessualità oppure questo voleva solo essere un gesto provocatorio? E se la sua omosessualità fosse stata di fatto conosciuta ― cosa che avrebbe valicato non solo l’aspetto privato e familiare ma anche quello sociale e quindi parrocchiale ―, come mai la sorpresa per una normale dimostrazione di affetto? Intendiamoci, ognuno è libero di usare i social come meglio ritiene opportuno sebbene nei limiti prescritti dalla legge, così come manifestare i propri sentimenti verso un’altra persona. Purtuttavia ci si aspetterebbe da un cristiano uno stile differente nell’uso dei social così come nell’approccio affettivo verso un’altra persona. E dico questo mettendo in conto le normali contraddizioni e fragilità che costituiscono la lotta verso la perfezione cristiana. Ammettiamo anche che il ragazzo non volesse essere un provocatore e ritenesse giusto fare coming out invece di restare nella riservatezza e vivere la sua vita in serenità. Mi domando e domando ai Lettori: è stata questa la cosa più opportuna da fare, quella di postare una foto su Instagram di un bacio galeotto che per ovvie ragioni sarebbe stato letto o considerato problematico? Trattandosi poi di un animatore parrocchiale, di una persona che, ci auspichiamo, seguiva un cammino cristiano all’interno di una comunità ecclesiale, questa scelta non aveva altra alternativa? Faccio un’ipotesi: non sarebbe stato meglio per lui parlarne con il proprio confessore o direttore spirituale e affrontare la questione in modo privato, in quel foro interno che permette di far crescere la coscienza cristiana e indirizzare verso una maturazione umana e spirituale? Oggi molti reputano di essere cristiani senza l’aiuto di alcuna guida, ma così facendo si moltiplicano le situazioni di imbarazzo e di confusione che non sono ad esclusivo appannaggio degli omosessuali ma di tutti gli uomini, perché la radice di questa mentalità non soggiace nell’orientamento sessuale ma in quella concupiscenza che ferisce la nostra decisionalità e ci rende testardi e spesso refrattari alla docilità spirituale che conduce all’incontro con Dio.

Che il giovane si sia mostrato poi risentito e abbia dato forfait al Grest a me fa ancora più pensare, così come non mi sono chiare le sue parole nella chat di Whatsapp:

«Buongiorno. Vi chiedo personalmente di evitare qualsiasi tipo di messaggi incriminatori o accusatori. Questa faccenda riguarda la mia vita privata e non deve intaccare la gioia e la felicità dei ragazzi nel partecipare al centro estivo» (vedi QUI).

Mi vedo scettico a ritenere che il ragazzo ignorasse che la sua scelta non avrebbe comportato reazione alcuna, sia nel bene che nel male. Dico questo perché non si tratta di una evenienza discriminatoria contro il mondo omosessuale e i gay ma semplicemente di una evenienza che riguarda tutti gli uomini del mondo: ogni scelta e posizione può essere condivisa o meno; appoggiata o biasimata.

Del resto sappiamo di casi in cui ― davanti alla volontà di un ragazzo di entrare in seminario o in convento ― i genitori, il parentado o gli amici hanno spesso espresso la battuta canzonatoria: «meglio morto che prete o frate». Che si sappia nessuno ha mai tacciato di chiericofobia queste persone, anzi spesso si sono viste rafforzate in questo comportamento canzonatorio, ritenendo che il farsi prete o frate fosse realmente la più grande sciagura di questo mondo. Davanti a questi presupposti, gli aspiranti a una vita sacerdotale o di speciale consacrazione sono semplicemente andati avanti per la propria strada infischiandosene del giudizio altrui e perseguendo il proprio intento, anche quando questo avrebbe comportato una certa difficoltà di gestione dei rapporti familiari e amicali.

Avete idea, noi sacerdoti e frati, gli insulti che talvolta ci sentiamo tirare dietro per le strade e sulle pubbliche piazze, semmai anche da dei mocciosi adolescenti, quando le attraversiamo con la talare del clero secolare o con l’abito del proprio ordine religioso? Insulti a volte anche gravissimi e infamanti. Però noi non siamo attivisti gay, perché in quel caso scatterebbero le querele e le potenti associazioni LGBT si costituirebbero anche parte civile al processo. Insultare gravemente un prete o un frate per strada pare invece costituire libera e democratica espressione del pensiero, il reato scatta solo se fai una battuta ironica sul Gay Pride o su un travestito alto 1.60 per 120 kg di peso che, stile fratello brutto di Lino Banfi, cammina per strada con una parrucca biondo platino, le calze a rete e i tacchi a spillo, forse proprio in spasmodica attesa che qualcuno gli gridi «fenomeno da baraccone», così che lui possa andare a piangere di talk show in talk show contro l’omotransfobia con tutti gli attivisti LGBT che strepitano.

Io ritengo che la maggioranza degli omosessuali sereni e intellettualmente liberi e privi di qualunque ideologizzazione non si preoccupi minimamente di quel che pensa la Chiesa Cattolica. Vivono semplicemente l’espressione della propria affettività e del proprio essere in modo pacifico e riservato, accettando i pro e i contro del loro status, preoccupandosi al contempo di stare ben lontano dai carri allegorici e blasfemi dei vari Pride disseminati nel mese di giugno di ogni singolo anno.

Se invece ci riferiamo agli omosessuali che possiedono una fede e cercano il Signore la situazione cambia, anzitutto sono chiamati ad amare la Chiesa e non la imbrattano di vipereschi improperi, accusando ― anche a mezzo di social e blog ― il Papa, i vescovi e i sacerdoti di essere omofobi, come costume di certi cattolici perfetti che non possono tacere. L’omosessuale cattolico è consapevole del fatto che è necessario portare avanti un cammino di conversione ― che inizia nel battesimo e termina nel momento della morte ed è uguale per tutti i discepoli di Gesù che non sono stati certamente scelti tra i migliori (cfr. Mt 9,36-10,8) ― che è fatto di preghiera e di accompagnamento spirituale; di vittorie e cadute; di tentazione e di grazia; di tormento e di estasi. E come esistono le battaglie spirituali per la gestione e armonizzazione della propria genitalità per un omosessuale cattolico, così questo è vero per un eterosessuale cattolico.

Se però il paradigma della direzione e accompagnamento spirituale delle persone omosessuali è incarnato nel disgraziato ― cioè privo della grazia ― gesuita statunitense James Martin e non nel Magistero della Chiesa e in Cristo Verbo del Padre, ecco che cadiamo nel paradosso della vicenda di Cesena i cui risultati di una colonizzazione ideologica e di lobby non sono certo velati, tanto da poter avanzare la pretesa e il lusso di gridare allo scandalo e costituirsi parte lesa.

Quando leggo di posizioni così piccate che gridano allo scandalo davanti ai presunti casi di omofobia, il più delle volte mi sembrano posizioni di comodo. Spesso gli stessi paladini dei Diritti nutrono scarso interesse verso le persone omosessuali, se non in base a un uso funzionale di esse che tende verso il raggiungimento di un obiettivo, cosa che necessita di una sapiente politica di simbiosi, così da arrivare alla vittoria e annientare l’immaginario nemico, tanto da avere ― per dirla con un proverbio romagnolo ― l’uovo, la gallina e il culo caldo.

Ci ritroveremo così dentro contesti ecclesiali pieni di attivisti e di simpatizzanti LGBT che considerano la Chiesa una maggioranza politica a cui fare opposizione destituendo democraticamente le cose che non piacciono e andando ad occupare posti di potere per poter affermare la omoeresia [sul tema rimando all’opera di Ariel S. Levi di Gualdo: E Satana si fece trino e all’opera mia e sua Dal Prozan al Prozac]. Ma la Chiesa, sappiatelo cari amici Lettori, non è una democrazia e non necessita assolutamente di suffragette arcobalenate che impazzano sui social media e sui video di YouTube come cattolici perfetti che non possono tacere, ai quali si può applicare l’epigrafe scritta da Paolo Giovio su Pietro l’Aretino: «Di tutti parlò mal fuorché di Cristo, scusandosi col dir non lo conosco».  

Giova ricordare che c’è un mondo omosessuale, il più numeroso forse, che riesce ad usare la ragione e che sa riconoscere con non comune senso di obiettività alla Chiesa una accoglienza che da ben poche parti possono vantare, Case del Popolo comprese. Chiedete infatti a un gay se negli anni Settanta o Ottanta del Novecento poteva anche solo mettere piede in una Casa del Popolo, quando una certa sinistra difendeva la famiglia tradizionale con tanto di manifesti di partito in bella mostra e stigmatizzava Pierpaolo Pasolini per i suoi stili di vita frutto della «pederastia tipica dell’alta borghesia». Così scriveva infatti L’Unità, organo ufficiale del Partito Comunista Italiano, nell’edizione del 29 ottobre 1949:

«Prendiamo spunto dai fatti che hanno determinato un grave provvedimento disciplinare a carico del poeta Pasolini per denunciare ancora una volta le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre e di altrettanto decantati poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti ma che in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della degenerazione borghese».

Mentre a proposito di André Gide, noto letterato e omosessuale francese, Palmiro Togliatti firmando nel 1950 un pezzo su Rinascita scrisse:

«Al sentire Gide, di fronte al problema dei rapporti tra i partiti e le classi, dare tutto per risolto identificando l’assenza di partiti di opposizione, in una società senza classi, con la tirannide e il relativo terrorismo, vien voglia di invitarlo a occuparsi di pederastia, dov’è specialista, ma lasciar queste cose, dove non ne capisce proprio niente».

Ma torniamo al giovane animatore cui come Padri vogliamo bene, che ha deciso di esprimere così la sua libertà e la sua visione dell’affettività insieme alla ferma decisione a perseguirla e a difenderla. Per questo è degno del nostro rispetto e non possiamo che riconoscerne il coraggio. Ma allo stesso modo il parroco e la Diocesi di Cesena Sarsina possiedono la stessa libertà e lo stesso diritto a decidere di disciplinare i propri animatori, formatori e catechisti pretendendo una certa fedeltà alla Chiesa e al magistero circa le questioni morali e di fede.

Non è infatti l’orientamento omosessuale che è stato qui discriminato ma il fatto di vivere e difendere pubblicamente un pericoloso attivismo di matrice LGBT all’interno di un contesto di Chiesa Cattolica. Sì, perché stando al Corriere della Romagna (vedi QUI) apprendiamo di fratture in seno alla parrocchia a seguito di malumori portati avanti da certi attivisti parrocchiali (?!) a cui ancora non è abbastanza chiaro il pensiero magisteriale della Chiesa Cattolica sull’omosessualità. In quella parrocchia c’è indubbiamente una emergenza educativa di fondo, una situazione di confusione che nel futuro dovrà essere recuperata e informata con una giusta formazione catechetica e con una caritatevole vigilanza. Bravo il parroco che ha ritenuto bene confrontarsi con la Diocesi e chiederne l’appoggio per giungere a una sintesi sulla questione. Almeno per una volta c’è stato un Vescovo che ha saputo esercitare una paternità dimostrando di mantenere diritta la barra, manifestando al contempo la vicinanza al giovane per una situazione che è divenuta incresciosa poiché volutamente montata come caso scandalistico. Dietro c’è solo l’ennesimo tentativo di affermare l’ideologia LGBT dentro la Chiesa con i soliti noti che hanno sparato a palle incatenate sul prete oscurantista e retrogrado, ricorrendo all’ormai usurato luogo comune del Medioevo: l’Arcigay, l’onorevole Zan e il sindaco dei Democratici di Sinistra di Cesena Enzo Lattucca.

Da tutta questa vicenda, lo ribadiamo ancora una volta: al giovane non è stata tolta la possibilità di organizzare il Grest e di parteciparvi generosamente per il bene dei piccoli partecipanti, gli è stato solo fatto notare l’inopportunità di proseguire nella veste di animatore e di educatore nel contesto di un oratorio estivo che non è sponsorizzato dal Partito Democratico, dall’Arcigay o dalla lobby LGBT, ma dalla Chiesa Cattolica che ha il sacrosanto dovere e diritto di ritenere che cosa è giusto o sbagliato per chi si appresta a svolgere una funzione educativa che coincide con la proclamazione di un Credo di fede.

Per concludere, mi piace affermare che l’apparente episodio di omofobia in quel di Cesena non è nulla rispetto alla crassa ignoranza storica del suo Primo Cittadino che usa un argomento trito e ritrito mutuato dalla Leggenda Nera con la pretesa di ferire la Chiesa Cattolica. Non bisogna necessariamente avere il curriculum di studi di Franco Cardini o di Alessandro Barbero per capire che quanto dichiarato dal Sindaco di Cesena circa il Medioevo è palesemente e profondamente falso e intellettualmente ingiusto. Nel Medioevo a cui il politico si richiama, il popolo incolto e analfabeta conosceva a memoria le rime di Dante Alighieri. Un giovane mercante della città di Assisi, anche lui venuto dal popolo per poi assurgere alla ricca borghesia mercantile, compose il primo testo poetico in volgare italiano. Lo stesso popolo del Medioevo aveva delle capacità mnemoniche e speculative e di ragionamento che sono del tutto ignote alle masse desolanti dei giovani e giovanissimi attivisti che seguono le idiozie di Fedez, della Ferragni e dei vari influencer, youtuber e TikToker e che il solo verso mandato a memoria è Love is love.  Il popolo del Medioevo andava ad ascoltare volentieri per ore i predicatori del calibro di Antonio di Padova, Bernardino da Siena, Giovanni da Capestrano e Giacomo della Marca. Quel popolo semplice ma ben disposto ad ammirare e a studiare visivamente gli affreschi di Giotto dentro le antiche basiliche e che costituivano la Biblia pauperum che non solo educava alla fede ma alla vita sociale, che esaltava le virtù e stigmatizzava l’errore e il vizio. Se ci fosse oggi una minima cultura storica da liceo, ci si dovrebbe auspicare che le nostre popolazioni affette da analfabetismo funzionale e analfabetismo digitale possano tornare quanto prima al Medioevo, una lunga stagione che segnò un grande sviluppo della cultura, delle arti e delle scienze, oltre al recupero e alla conservazione di tutta la filosofia e la letteratura classica che grazie agli uomini del medioevo è giunta sino a noi.

Davanti alle bufale storiche come quelle proferite dal Sindaco di Cesena l’ascoltatore medio del nostro secolo ha ben poche armi di difesa. Del resto, come diceva Don Camillo a Peppone:

«Se hanno creduto a Carlo Marx, qualunque balla gli racconti andrà bene!».

E noi stiamo ancora qui a raccontarci le balle che gli LGBT, i Democratici di Sinistra e i vari compagnucci blogghettari ci vengono a raccontare, inclusi i cattolici perfetti che amoreggiano con i circoli LGBT e che vorrebbero introdurre dentro la Chiesa Cattolica il «cavallino di troia arcobalenato» (Cfr. Ariel S. Levi di Gualdo, QUI).

Laconi, 23 giugno 2023

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I Padri dell’Isola di Patmos

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Perché i lobbisti LGBT non lasciano parlare gli omosessuali? Sarebbe come se l’Ordine Francescano negasse ai propri frati di parlare su San Francesco d’Assisi

PERCHÉ I LOBBISTI LGBT NON LASCIANO PARLARE GLI OMOSESSUALI? SAREBBE COME SE L’ORDINE FRANCESCANO NEGASSE AI PROPRI FRATI DI PARLARE SU SAN FRANCESCO D’ASSISI

Noi Padri de L’Isola di Patmos che frequentiamo omosessuali e che da sempre abbiamo con loro ottime relazioni, possiamo essere d’accordo con l’istrionica Donatella Rettore, celebre icona gay, provando assieme a lei un certo disagio per le checche isteriche, senza per questo essere tacciati di “omofobia”?

—  Società e politica —

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Ogni Gay Pride, che da oggi non si chiama più così ma solo Pride, finisce con l’essere oggetto di polemiche, vuoi perché certe parate sono una ricerca ostentata della provocazione, specie verso tutto ciò che è cattolico, sia perché la polemica è ricercata e studiata [vedere anche mio precedente articolo QUI].

Ovvio che sia stato ritirato dalla Regione Lazio il patrocinio a questa manifestazione, cosa fatta con una precisa motivazione:

«[…] la firma istituzionale della Regione Lazio non può, né potrà mai, essere utilizzata a sostegno di manifestazioni volte a promuovere comportamenti illegali, con specifico riferimento alla pratica del cosiddetto utero in affitto» [cfr. QUI].

Dinanzi a questa motivazione, a poco vale urlare “al governo fascista!” qualunque sia il governo. Forse anche sotto un governo di Sinistra sarebbe avvenuta la stessa cosa: un ente pubblico non può promuovere come “diritto rivendicato” ciò che è proibito e condannato dalla Legge, ossia il cosiddetto “utero in affitto”, che in Italia è illegale. Per essere contrari alla barbarie dell’utero in affitto non occorre affatto essere militanti del Centro-destra, non occorre nemmeno essere cattolici, basterebbe ricordare che il Segretario generale del Partito Comunista Marco Rizzo ha definito l’utero in affitto «degno del Doctor Mengele, una cosa molto vicina al Nazismo» precisando che «i desideri non possono diventare diritti» [cfr. QUI], dichiarando in tal senso:

«L’utero in affitto è una barbarie propria della società del capitalismo globalizzato. Si esaudiscono desideri di coppie o singoli e si barattano con i diritti primari dei neonati e delle loro madri, obbligate dalla povertà a fare da incubatrici» [cfr. QUI]. 

La questione è però più complessa: siamo sicuri che gli omosessuali si sentano rappresentati da certe parate oggettivamente grottesche e pressoché di prassi dissacranti verso il Cattolicesimo? [mio precedente articolo, QUI].

Noi Padri Redattori di questa rivista, non solo siamo singolarmente in rapporti di stretta amicizia con vari omosessuali, diversi dei quali personalità di spicco nel mondo delle arti, della cultura e delle scienze, perché c’è di più. Abbiamo pubblicato con le nostre Edizioni L’Isola di Patmos un libro di Francesco Mangiacapra, giovane uomo di rara intelligenza, omosessuale dichiarato ed ex escort gay, analista brillante e onesto che a suo tempo portò allo scoperto un giro di preti frequentatori di certi ambienti che, superfluo a dirsi, dei sacerdoti non dovrebbero mai frequentare. A questo libro un prete ha scritto anche la prefazione: il sottoscritto.

Scrive Francesco Mangiacapra in questo suo libro che costituisce un autentico monumento all’onestà intellettuale e che solo per questo andrebbe letto:

«Un omosessuale che non si identifica nella potente Lobby LGBT finisce ostracizzato dai lobbisti e riceve il plauso di quel pubblico mainstream da loro tanto aborrito. Oggi la cappa di piombo del politically correct grava su una società indifferente alle vere violenze, ma pronta a esporre alla gogna, per una battuta o una satira innocua, chi osa opporsi al pensiero unico. I lobbisti della gaia libertà arcobaleno praticano ormai la tecnica che ha caratterizzato le dittature comuniste e fasciste: “Colpirne uno per educarne cento”».

E qui andiamo a toccare un altro problema che Padre Ivano Liguori e io riassumemmo nella introduzione a un libro scritto a quattro mani nel 2021, Dal Prozan al Prozac, dedicato alla compianta memoria dell’omosessualissimo e indimenticabile Paolo Poli, mio amico caro, di cui vi riproponiamo questo passaggio:

«Noi che siamo due presbiteri e teologi non ci siamo mai tirati indietro ― lo dimostrano le nostre pubblicazioni ―, quando l’ossequio alla verità imponeva di rivolgere pubbliche e severe critiche al mondo ecclesiale ed ecclesiastico. E se qualche volta, per avere detto solo la verità, ne abbiamo pagate le conseguenze, è stato un tributo più che accettabile. Della verità siamo infatti annunciatori e fedeli servitori, con tutto ciò che può comportare. Adesso proviamo a immergerci nella realtà: vi è mai capitato di udire nei vari talk show televisivi ― che non potrebbero essere tali in assenza di quote gay ―, un rappresentante LGBT che rivolge pubbliche e severe critiche al suo mondo? È possibile che il mondo LGBT sia composto unicamente da persone fantastiche e al di sopra di tutte le righe?  È possibile che il mondo LGBT sia abitato solo da povere vittime e da nessun carnefice? È possibile che per un prete indegno affetto da turbe psichiche, reo di avere molestato degli adolescenti, l’intera Chiesa Cattolica sia esposta alla pubblica gogna, mentre gli stessi giornalisti d’inchiesta e conduttori televisivi non oserebbero mai ― e non osano per paura ― di andare a verificare che cosa accade con i minori a caccia di soldi in certi circoli gay? Nel mondo LGBT va tutto bene, è tutto perfetto? Quella che il Santo dottore Agostino indica come la Gerusalemme Celeste, forse ha la propria angelica sede naturale in certi circoli gay? È questo che rende surreali e non credibili certe frange LGBT ideologizzate e radicalizzate. E qualcuno, a gruppi così ripiegati nelle emotività irrazionali, intendeva dare anche una legge per chiudere la bocca e perseguire penalmente chi non la pensa come loro? Rivolgere certi quesiti non costituisce istigazione all’odio verso gay, lesbiche e transessuali. Si tratta semplicemente di considerarli per ciò che sono: esseri umani come tutti gli altri, nel bene e nel male. Ma se fanno lobby e pretendono di presentarsi come persone senza ombra di macchia, o peggio come una corporazione di intoccabili, in quel caso sarà opportuno non dargli in mano certe leggi e lasciarli sguazzare nello stagno della loro onirica perfezione, dove tutto è buono e idillico, perché tutti i cattivi e i persecutori stanno solo dall’altra etero-parte. Noi non esitiamo a mettere in luce i difetti della nostra Chiesa visibile e del suo clero, guardando sempre all’uomo in quanto tale, al quale mai abbiamo chiesto patenti di eterosessualità o di omosessualità, accettandolo e amandolo per quello che è, come Gesù Cristo lo ha accolto e amato. Perché noi viviamo nel mondo del reale, consapevoli che la fede nasce dalla ragione, non dalle emotività irrazionali di un certo mondo arcobaleno».

Nel nostro cattolico linguaggio questa si chiama onestà intellettuale politica. E dico politica perché in ogni caso si tratta di battaglie politiche e come tali sono portate avanti dagli attivisti, ai quali mai risponderemo a colpi di morale cattolica. A qualsiasi linguaggio politico si risponde con appropriato linguaggio politico, perché sia per comunicare che per contrastare legittimamente qualche cosa, si usa il linguaggio idoneo, non è proprio il caso di andare a parlare a certi attivisti dei fondamenti della morale secondo la scuola di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, peggio che mai del Liber Gomorrhianus di San Pier Damiani.

Concludiamo con una icona gay, la cantante Donatella Rettore, colei che felicemente tormentò le nostre estati di adolescenti, ormai lontane nel tempo, con celebri canzoni come Il cobra non è un serpente o Splendido splendente. Ecco un suo stralcio di intervista [cfr. QUI] realizzata dalla cara e ottima Francesca Fagnani — e affettuosamente dico cara perché fu la prima giornalista che nel 2012 mi mise dinanzi a una telecamera per una intervista al programma Servizio Pubblico di Michele Santoro — :

«Io piaccio ai gay non piaccio alle checche, mentre Raffaella Carrà e Patty Pravo sono icone delle checche vintage […] Per me esistono i gay e le checche, esistono i gay che sanno di avere le palle e ci sono gli isterici che parlano e si strappano i capelli, fanno i pettegolezzi… e quelli non li voglio nemmeno sulla soglia di casa» [cfr. QUI, QUI].

Noi Padri de L’Isola di Patmos che frequentiamo omosessuali e che da sempre abbiamo con loro ottime relazioni, possiamo essere d’accordo con l’istrionica Donatella Rettore, celebre icona gay, provando assieme a lei un certo disagio per le checche isteriche, senza essere per questo tacciati di “omofobia”?

dall’Isola di Patmos, 18 giugno 2023

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È appena uscito ed è in distribuzione il nuovo libro di Padre Ariel, potete acquistarlo cliccando direttamente sull’immagine di copertina o entrando nel nostro negozio librario QUI

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I Padri dell’Isola di Patmos

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Felici e anche onorati di lavorare gratis, però cerchiamo di non esagerare …

FELICI E ANCHE ONORATI DI LAVORARE GRATIS, PERÒ CERCHIAMO DI NON ESAGERARE … 

«Non sapete che quelli che fanno il servizio sacro mangiano ciò che è offerto nel tempio? E che coloro che attendono all’altare hanno parte all’altare? Similmente, il Signore ha ordinato che coloro che annunciano il Vangelo vivano del Vangelo» [I Cor 9, 13-14].

 

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Cari Lettori,

La rivista L’Isola di Patmos compirà 10 anni di attività pubblicistica ed editoriale nell’ottobre del 2024. Quando cominciammo la nostra attività, furono diversi a darci meno di un anno di vita. Il risultato è stato che siamo andati avanti con un numero sempre in crescendo superando nel 2022 i duecento milioni di visitatori in 8 anni.

Nel 2018 aprimmo anche le Edizioni L’Isola di Patmos, i cui libri seguitano a essere venduti con buoni esiti in un mercato costituito da un pubblico di nicchia, non certo da quei “cattolici” ben più numerosi che si acculturano saltando da un blog all’altro dove si nutrono di “profezie” e “rivelazioni”, o che su Facebook ti chiedono di spiegargli in quattro righe il Prologo del Vangelo di Giovanni e l’incarnazione del Verbo di Dio, perché su un sito di ufologia gestito da un anonimo hanno letto che Gesù Cristo era un alieno.

Non abbiamo mai chiesto niente, ci siamo solo limitati a inserire il collegamento al comodo e sicuro conto PayPal e il numero del nostro conto corrente presso la BPM di Roma, certi che coloro che avessero voluto sostenere la nostra opera lo avrebbero fatto senza bisogno di essere sollecitati in tal senso.

Alla fine dell’estate dobbiamo pagare il server-dedicato e i vari abbonamenti annuali per un importo complessivo di 5.800 euro. Ciò di cui al momento disponiamo sul conto PayPal e sul conto corrente è però una somma risibile:

 

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Mi sono consultato con i confratelli e abbiamo deciso di ricordare il monito dell’Apostolo: 

«Non sapete che quelli che fanno il servizio sacro mangiano ciò che è offerto nel tempio? E che coloro che attendono all’altare hanno parte all’altare? Similmente, il Signore ha ordinato che coloro che annunciano il Vangelo vivano del Vangelo» [I Cor 9, 13-14].

Perché nascondere l’amarezza, specie quando si ha per indole un temperamento generoso? Ritengo per questo doveroso aggiungere qualche precisazione sotto forma di domanda: alcuni, o forse molti, pensano che i preti siano limoni da spremere? Perché la logica del non meglio precisato “cattolico” è la seguente: quando cade nel bisogno si rivolge ai buoni preti, che trova, perché ci sono ancora, forse sempre di meno, ma ci sono. Però, se deve mettersi le mani in tasca e contribuire al lavoro pastorale dei buoni sacerdoti, in tal caso comincia a pubblicare sui social media post e foto del peggio che tra i preti si può trovare e che nessuno ha mai negato che esista e che ci sia. Strana logica, non vi pare? Quando dai buoni preti si deve prendere, si prende a piene mani, ma quando l’opera dei buoni preti necessita di essere sostenuta, allora si sigilla il portafogli e si va a cercare il peggio che può esserci nel clero, come ovunque, pubblicando pianti e lamenti sui social media al fine di giustificare il proprio egoismo e la propria avarizia.

Da anni mi dedico all’apostolato con i sacerdoti e da questo osservatorio privilegiato conosco e tocco con mano casi di presbiteri anziani e ammalati che dopo una vita dedicata ad assistere e accudire il Popolo di Dio versano oggi in condizioni di solitudine e abbandono, sperimentando anzitutto l’ingratitudine delle numerose persone alle quali hanno fatto del bene finché hanno avuta la forza fisica per farlo. Se però richiami il cattolico-si-fa-per-dire alle sue responsabilità verso i preti, per tutta risposta lui ti pubblica sui social media la foto del prete che celebra la Santa Messa al mare in costume da bagno sul materassino inserendo semmai la didascalia: «… dovremmo anche finanziare questa gente?». Non ti racconta, però, del vecchio e santo parroco, oggi dimenticato in una casa di riposo con il catetere attaccato addosso, che gli salvò il matrimonio e che convinse sua moglie a non abortire un figlio che poi nacque e che cresciuto e divenuto adulto gli ha dato la gioia di diventare nonno. Certe cose no, quelle non si raccontano né con foto né con didascalie sui social media.

Tra le varie forme di ingratitudine confesso che mi hanno colpito in modo particolare quelle persone che oltre ad avere le mani solo per prendere ritengono che dal prete si debba persino pretendere, in testa a tutti quelli che sono finiti nei giri dei vari santoni e delle varie sedicenti veggenti in stretto contatto con le molteplici madonne parlanti o piangenti che rivelano tremebondi segreti catastrofici ai vari ciarlatani che impazzano sulla piazza. E oggi, le persone che cadono in queste reti, sono sempre di più. Fin quando numerosi di questi raggirati e spennati come polli finiscono per rivolgersi a noi, che facendo il nostro dovere, ossia i preti, i pastori in cura d’anime, nel corso degli anni abbiamo aiutato e sostenuto persone disperate, raggirate e tradite, cercando opportune e prudenti soluzioni, non limitandoci al mero conforto spirituale ma cercando spesso di aiutarle anche attraverso specialisti o consulenti legali di nostra fiducia e conoscenza, i quali non di rado li hanno aiutato a titolo persino gratuito, considerando che i dementi piangenti erano stati ridotti a cosciotti di pollo spolpati dai più voraci dei peggiori imbonitori.

Qualcuno di loro ha avuto per caso la sensibilità di versare 5 o 10 euro sul nostro conto a sostegno della nostra opera, semmai dopo avere elargito per anni soldi a certa gente? Certo che no, i soldi si mollano senza esitazione a quelli che raccontano di parlare con la Madonna, che vantano doni sensitivi, di preveggenza o di guarigione, o che a distanza di 55 anni dalla sua morte si presentano come figli spirituali di Padre Pio da Pietrelcina, ai quali il Santo Cappuccino, manco a dirsi, rivelò cose sensazionali che costoro, a loro volta, rivelano solo a pochi eletti, ovviamente paganti, beninteso!

Con i numeri ho da sempre un pessimo rapporto, però, pur non sapendo fare le divisioni senza calcolatrice, a dei calcoli elementari ci arrivo anch’io: come possono, un Tale o una Tale di neppure sessant’anni d’età essere stati figli spirituali prediletti di questo Santo Frate morto nel 1968 e avere ricevuto da lui confidenze straordinarie? Padre Pio da Pietrelcina andava forse a prendersi i propri figli spirituali all’asilo nido o alla scuola materna per farne dei depositari privilegiati dei suoi segreti?

Il mio parlare è nudo e crudo? Sì, perché tale deve essere con tutta l’amarezza del caso da parte di un prete che assieme ai propri confratelli redattori ha impiegato tempo, energie, risorse umane e spirituali per tante persone, inclusi quelli che dopo essersi fatti togliere persino le mutande di dosso dai peggiori ciarlatani sono venuti a piangere aiuto da noi. E lo hanno avuto l’aiuto, immediato e senza risparmio alcuno di noi stessi, che spesso siamo stati sino a tarda notte a rispondere e a farci carico dei loro problemi. Però, in cambio, non ci hanno offerto nemmeno un caffè, cosa questa che duole, parecchio.

Più che chiedere – cosa che mai abbiamo fatto – vi confido amarezza, che ritengo abbia la propria ragione di essere, per il resto facciano coloro che del nostro duro lavoro hanno beneficiato e beneficiano, pur dimenticando che «coloro che annunciano il Vangelo vivano del Vangelo».

dall’Isola di Patmos, 13 giugno 2023

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È morto Silvio Berlusconi, uomo amato e odiato, ma indubbio pezzo della storia patria d’Italia

Notizie brevi

È MORTO SILVIO BERLUSCONI, UOMO AMATO E ODIATO, MA INDUBBIO PEZZO DELLA STORIA PATRIA D’ITALIA 

Al di là delle posizioni politiche e delle convinzioni personali di ciascuno, al Presidente Silvio Berlusconi va riconosciuto il merito del coraggio e della intraprendenza, il merito di aver lavorato intensamente, possiamo dire fino all’ultimo, nella creazione della propria azienda e nell’ideazione di un progetto politico che ha saputo intercettare l’interesse e l’apprezzamento di milioni di italiani. 

Autore
Anna Monia Alfieri, I.M. 
Cavaliere della Repubblica Italiana

             

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– Notizie brevi –

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Silvio Berlusconi è morto questa mattina presso l’ospedale San Raffaele di Milano dove era stato nuovamente ricoverato lo scorso venerdì 9 giugno, dopo un precedente ricovero a causa di una polmonite e di una leucemia mielomonocitica. Il feretro è stato trasportato dall’ospedale alla villa di Arcore alle ore 12. Domani sarà allestita la camera ardente nella sede di Mediaset nello studio 20 di Cologno Monzese. I funerali si svolgeranno mercoledì nella Cattedrale di Milano.

Al di là delle posizioni politiche e delle convinzioni personali di ciascuno, al Presidente Silvio Berlusconi va riconosciuto il merito del coraggio e della intraprendenza, il merito di aver lavorato intensamente, possiamo dire fino all’ultimo, nella creazione della propria azienda e nell’ideazione di un progetto politico che ha saputo intercettare l’interesse e l’apprezzamento di milioni di italiani. 

La sua “discesa in campo”, per mutuare una sua espressione, in un’Italia che stava vivendo una profonda crisi politica legata agli effetti di Tangentopoli e delle bombe della Mafia, con la conseguente crisi dei tre partiti che, fino ad allora, avevano guidato la scena politica, aveva dato nuova determinazione alla schiera dei moderati rimasti delusi dalle vicende di quegli anni.

Credo che uno dei grandi meriti del Presidente Berlusconi sia stato quello di non essersi mai abbassato alle accuse e alle polemiche contro gli avversari politici, di aver sempre mantenuto toni educati e rispettosi e di aver contribuito a fare dell’Italia uno degli attori economici e politici più importanti a livello europeo e mondiale. Ci uniamo, quindi, alla preghiera di suffragio per lui e nella vicinanza alla sua famiglia.

Milano, 12 giugno 2023

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Nuova destinazione e ministero per il nostro redattore Padre Ivano Liguori

NUOVA DESTINAZIONE E MINISTERO PER IL NOSTRO REDATTORE PADRE IVANO LIGUORI

Il Ministro Provinciale dei Cappuccini di Sardegna ha chiesto a Padre Ivano di accettare un nuovo incarico, peraltro molto delicato, come formatore presso il Convento di Sanluri dove si trova la casa in cui sono accolti gli aspiranti alla vita religiosa per il loro discernimento vocazionale. 

— Notizie in breve —

Autore
Redazione de L’Isola di Patmos

 

 

 

 

 

 

 

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Il nostro redattore cappuccino Ivano Liguori è una colonna portante di questa nostra rivista, la sua preziosa collaborazione inizia sei anni fa, all’epoca in cui svolgeva il ministero di cappellano presso l’Ospedale Brotzu, grande polo ospedaliero di Cagliari, dove a distanza di anni è sempre ricordato assieme al suo confratello Giancarlo Pinna dal personale medico e paramedico, da ex ammalati e loro familiari che ogni tanto seguitano a inviare messaggi di stima e riconoscenza alla nostra redazione in suo ricordo.
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Grande esperto di pastorale sanitaria e giovane uomo dotato di rara umanità retta su una solida fede e altrettanto solida dottrina, Padre Ivano ha saputo vedere, in nove anni di delicato servizio ospedaliero, il Cristo sofferente negli ammalati (cfr. Mt 25, 35-44).
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Nel settembre 2019 è inviato a Laconi, in provincia di Oristano, come guardiano e parroco presso il convento con annessa parrocchia curata dai Frati Minori Cappuccini nella cittadina d’origine di Sant’Ignazio da Laconi, in una situazione non propriamente facile e con diversi problemi da sanare. Da subito si dedicò con grande dedizione alla cura delle anime, curando il decoro della sacra liturgia, sempre disponibile con i confratelli per le confessioni e le direzioni spirituali, offrendo importanti incontri di formazione e cicli di catechesi, diversi dei quali pubblicati anche in video su queste colonne nella rubrica Colazione con il Cappuccino, inclusa una serie di catechesi dedicate al Sacramento della Penitenza, la confessione. Nel mentre si è dedicato alla sua attività pubblicista sulla nostra rivista, che senza di lui non sarebbe quella che oggi è, firmando oltre 100 articoli di alto respiro e profondo spessore pastorale e dottrinale, dando nel mentre alle stampe due libri: Dal Dal Prozan al Prozac (2021) e Il segno di Caino (2021).
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Prima di lasciare Laconi ha amministrato il Santo Battesimo a una splendida bambina di 10 anni, segno visibile dei frutti prodotti dai suoi quattro anni di attività pastorale svolti in quella cittadina.
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Il Ministro Provinciale dei Cappuccini di Sardegna ha chiesto a Padre Ivano di accettare un nuovo incarico, peraltro molto delicato, come formatore presso il Convento di Sanluri dove si trova la casa in cui sono accolti gli aspiranti alla vita religiosa per il loro discernimento vocazionale. 
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Anche Padre Giancarlo Pinna, con il quale ha condiviso tanti anni di ministero presso il grande polo ospedaliero di Cagliari e che nel settembre 2019 fu trasferito anch’esso a Laconi, lascia quella località, non però da solo. I due confratelli giunsero infatti a Laconi portandosi dietro con loro nel nuovo convento Tac, la gatta che per anni visse nell’alloggio dei cappellani e che oggi vive serena e felice in quella casa religiosa. Questa volta Padre Giancarlo si porterà presso la sua nuova destinazione una bassottina tanto affettuosa quanto ruffiana.
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Incaricato di prendersi cura della casa di riposo di Oristano dove risiedono le Terziarie Francescane ammalate, Padre Giancarlo giungerà con quanto di più terapeutico possa esistere in quel contesto per delle persone anziane e ammalate: una bassottina ruffiana. Antica e pura pedagogia francescana. 
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dall’Isola di Patmos 12 giugno 2023

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.https://www.youtube.com/watch?v=ltEAQNopUYM&t=2s

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I Padri dell’Isola di Patmos

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Marco Nunzi, presbitero
Canonico della Cattedrale Santa Maria Assunta di Orvieto
Padre Marco

Il miracolo eucaristico avvenuto tra le Città di Orvieto e Bolsena e l’istituzione della Solennità del Corpus Domini

IL MIRACOLO EUCARISTICO AVVENUTO TRA LE CITTÀ DI ORVIETO E BOLSENA E l’ISTITUZIONE DELLA SOLENNITÀ DEL CORPUS DOMINI

Testimone del prodigio di Bolsena, il Corporale di Orvieto è la “firma“ di Gesù vivo e vero nel Pane eucaristico, che spazza via il dubbio e ci lascia penetrare quei sacri misteri ai quali si giunge attraverso la ragione della fede: fides et ratio (fede e ragione). O come insegna Sant’Anselmo d’Aosta: Fides quaerens intellectum (la fede richiede l’intelletto) che prende forma dal detto di Sant’Agostino Credo ut intelligam (credo per capire).  

—  Attualità ecclesiale —

Autore
Marco Nunzi*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La Solennità del Corpus Domini vede le città di Orvieto e Bolsena unite in un profondo binomio inscindibile. Perché è vero, il segno prodigioso è avvenuto a Bolsena, ma la “culla” della Solennità da dove è stata poi istituita per tutta la Chiesa rimane ed è Orvieto. Proprio come Gerusalemme non può prescindere da Betlemme, non ci sarebbe infatti la risurrezione senza prima la natività, allo stesso modo non sarebbe stata proclamata la Festa del Corpo e del Sangue del Signore senza l’evento prodigioso che ne ha dato l’origine.

Marco Nunzi e Ariel S. Levi di Gualdo, Cappella del Sacro Corporale, Cattedrale di Orvieto

La storia dei fatti la possiamo riassumere così: nel lontano XIII secolo Pietro, sacerdote boemo, era tormentato da un dubbio. Egli non riusciva a spiegarsi come durante la Santa Messa, attraverso la transustanziazione, il pane e il vino potessero realmente mutarsi nel Corpo e nel Sangue di Cristo. Intraprese così un lungo pellegrinaggio verso Roma per pregare sulla tomba dei Santi Apostoli Pietro e Paolo nella speranza di trovare risposta al suo lacerante tormento. Giunto a Bolsena decise di celebrare il Sacrificio Eucaristico sulla tomba della martire Cristina. Durante il canone eucaristico, sulle parole della consacrazione delle sacre specie, tra le sue mani tremanti l’Ostia divenne visibilmente vera carne che, stillando copiosamente vivo sangue, imporporò il corporale e alcune pietre dell’altare.

Per un misterioso disegno della Provvidenza, in quei tempi risiedeva a Orvieto il Sommo Pontefice Urbano IV, presente nella sua residenza orvietana durante quel miracoloso avvenimento. Appena il Papa venne a conoscenza dell’evento miracoloso incaricò il Vescovo di recarsi nella vicina Bolsena per esaminare l’accaduto e portare a Orvieto i segni del prodigio. Sceso ai piedi della rupe orvietana per andare incontro al Vescovo, al vedere il sacro Corporale il Papa s’inginocchiò commosso e, preso nelle sue mani con grande venerazione questo Sacro lino, tornò processionalmente verso la Chiesa di Orvieto tra i canti del popolo in festa.

Urbano IV, molti anni prima degli eventi di Bolsena e della sua elezione a Sommo Pontefice, conobbe a Liegi, in Belgio, Giuliana di Cornillon. L’umile religiosa lo fece partecipe di alcune rivelazioni che aveva ricevuto da parte del Signore. Queste riguardavano la necessità di stabilire una nuova solennità liturgica in onore della Santa Eucarestia, Sacramento mirabile dell’Amore di Dio e della sua Presenza. Il Papa, memore delle confidenze di Giuliana e con gli occhi del cuore ancora fissi sul Sangue prezioso impresso nel Corporale, si decise a istituire dalla Città di Orvieto, con la Bolla Transiturus de hoc mundo dell’11 agosto 1264 la festa del Corpus Domini estesa a tutta la Chiesa Universale.

Il Papa chiese altresì a Tommaso d’Aquino, noto teologo domenicano, anch’egli allora residente ad Orvieto, di redigere l’Ufficio Divino della nuova Solennità. Nascono così i testi dei cinque stupendi inni eucaristici: il  Pange lingua che termina con il notissimo Tantum ergo, la lode Sacris Solemniis, il Panis angelicus, il Verbum supernum prodies e O salutaris hostia, che ancor oggi fanno parte della Liturgia della Chiesa.

In merito alla stesura degli inni, la tradizione tramanda un episodio particolare: Tommaso d’Aquino, prima di presentarsi al cospetto di Urbano IV per proporre l’inno Pange lingua, si recò nella chiesa del convento di Orvieto per pregare davanti al Crocifisso. Tommaso chiese al Signore di fargli conoscere il suo “parere” su quanto fosse stato scritto. Il Crocefisso rispose in semplicità: «Hai scritto bene di me o Tommaso, quale ricompensa desideri? Il grande teologo rispose: “Nient’altro che Te stesso, o Signore”».

Cosa significa per noi oggi celebrare questa grande Solennità? Il richiamo immediato è quello di tornare a ciò che Gesù ha fatto e ha detto in quell’ultima cena. Contempliamo il suo gesto: Prese del pane e ha detto “questo sono io, prendete e mangiate.”

Un segno, il pane, che rappresenta la sua vita, cosa è stata tutta la sua vita: Pane donato, vita donata, neanche una briciola di questa vita, neanche un istante del suo tempo Gesù ha trattenuto per sé, è stata tutta un dono per i fratelli. Cosa dice Gesù a noi quando dichiara “questo sono io, prendete e mangiate” cioè assimilate questa proposta di vita che è stata la mia. Mangiare quel pane vuol dire “voi accogliete me nella vostra vita e accogliendo me accogliete la logica dell’Amore che porta alla costruzione di un mondo nuovo.” Perché ogni discepolo che mangia questo Pane è disposto a essere completamente pane di vita per gli altri come Gesù è stato e continua ad essere attraverso di noi.

Testimone del prodigio di Bolsena, il Corporale di Orvieto è la “firma“ di Gesù vivo e vero nel Pane eucaristico, che spazza via il dubbio e ci lascia penetrare quei sacri misteri ai quali si giunge attraverso la ragione della fede: fides et ratio (fede e ragione). O come insegna Sant’Anselmo d’Aosta: Fides quaerens intellectum (la fede richiede l’intelletto) che prende forma dal detto di Sant’Agostino Credo ut intelligam (credo per capire).  

dall’Isola di Patmos, 11 giugno 2023

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* Mons. Marco Nunzi (01.06.1964) è presbitero della Diocesi di Orvieto-Todi e canonico del Capitolo della Cattedrale di Santa Maria Assunta

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