L’aborto, il nuovo dogma del nostro tempo al grido di libertè, Egalitè, fraternitè …

Padre Gabriele

L’ABORTO, IL NUOVO DOGMA DEL NOSTRO TEMPO AL GRIDO DI LIBERTÈ, EGALITÈ, FRATERNITÈ …

Per la morale cattolica che discende dal Vangelo e dalla viva tradizione della Chiesa, nonché dalla riflessione razionale, l’aborto è un male e un peccato, un grave delitto contro la vita peggiore dell’assassinio di un uomo o di un femminicidio. Un uomo o una donna alle cui vite si attenta, in qualche modo potrebbero anche difendersi e sottrarsi alla morte, o fuggire all’aggressione dell’assassino, ma un bambino nel ventre della madre no, non può difendersi in alcun modo né fuggire.

 

Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

 

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Il premio Nobel Madre Teresa di Calcutta ripeteva una frase: «Il più grande distruttore di pace è l’aborto». La lapidaria espressione racchiude una contestazione di quelle derive del pensiero moderno che spesso scelgono logiche di morte anziché di vita. Fra queste una certa cultura delle libertà che ha imposto la possibilità di scegliere l’aborto, fino a farlo diventare un «dogma» contemporaneo, radicato nelle convinzioni più profonde delle persone e naturalmente dei politici che nei parlamenti votano ed emanano leggi che favoriscono l’interruzione volontaria della gravidanza. Nell’ultima campagna elettorale italiana perfino alcuni politici di ispirazione cattolica rassicuravano i loro elettori nei talk show televisivi affermando: «l’aborto rimane un diritto intangibile» (!?).

 

A tal proposito vorrei far riferimento a eventi politici accaduti in due democrazie mature, quali sono l’americana e quella francese, nei quali possiamo ravvisare la debolezza di una cultura della libertà di una parte che reca discapito a un’altra più debole, non avente quasi diritti: quella del nascituro che aspira ad una propria esistenza.

Nel novembre 2022 nello Stato del Montana (USA) si svolse una consultazione referendaria nella quale fu proposto agli elettori il seguente quesito:

«Devono essere prestate cure mediche a bambini che lo necessitano, se sono sopravvissuti a un tentato aborto?».

Vinse il «no», con una percentuale pari al 52% dei votanti. Secondo l’opinione di 231.345 elettori di quello Stato americano a un bambino che sta morendo perché il primo tentativo di sopprimere la sua vita è andato a male non vanno prestate cure: la «libertà» della donna viene prima del suo diritto a vivere. Secondo i fautori del «no» il personale sanitario ha tutto il diritto di far morire un bambino, purché la donna veda «rispettata» la sua scelta e il suo corpo. Sono aberrazioni che sfuggono a una coscienza morale; è infatti molto difficile comprendere in che modo l’evento, poniamo caso, di una bimba sopravvissuta a un tentato aborto andato male, possa definirsi violenza contro il corpo di quella donna che non l’ha voluta e dunque vada lasciata morire, impedendo che le vengano prestate cure salvavita.

Presto detto: proprio oggi che la cosiddetta buona società si strugge per i casi di femminicidio, al tempo stesso dobbiamo prendere atto che non è  considerato invece femminicidio se una bambina nata viva per un aborto andato a male, viene lasciata morire. Si tratta infatti di femminicidio solo se un uomo uccide una donna in preda a un impeto criminale, non però se un ginecologo uccide una bambina, perché in questo secondo caso siamo dinanzi all’esercizio di un diritto legalmente tutelato, esercitato dalla madre alla quale si riconosce potere di vita e di morte e realizzato dal ginecologo che usa l’arte medica per aiutare la donna a beneficiare di questo suo diritto indiscutibile. Anzi, più che indiscutibile, dogmatico!  

Molto più significativa del referendum nel Montana è stata la recente definitiva approvazione della modifica alla Costituzione da parte del Parlamento francese, le Congrès du Parlement, che a camere riunite, lunedì 4 marzo del presente anno, ha voluto inserire il “diritto” all’aborto nella Carta Costituzionale. La Francia è ora il primo paese non solo in Europa, ma anche nel mondo, a includere il diritto di abortire nella sua Carta fondamentale. Tale diritto in Francia era disciplinato dalla Legge Simone Veil del 1975. Il voto del Parlamento francese e i toni trionfalistici dei commenti che lo hanno esaltato, in Francia come sulla stampa internazionale, sembrano trasformare una tragedia per cui indignarsi e contro cui lottare, in una suprema affermazione della dignità e della libertà delle donne. L’aborto diventa simbolo di emancipazione, profezia di un nuovo modo di intendere la femminilità. Mettendo ancora una volta in secondo piano l’urgenza di investire maggiori risorse per dare alle donne, piuttosto che la licenza di eliminare i propri figli, la possibilità di non farlo. La modifica ormai approvata della Costituzione, fortemente voluta dal Presidente Emmanuel Macron per marcare una differenza di impostazione nei riguardi di una precedente sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti (vedere QUI), pone diversi problemi per esempio a quei francesi che, seguendo una confessione religiosa che ripudia l’aborto, se lo ritrovano adesso come un diritto sancito dalla costituzione. Nessun americano, nel caso previsto dalla Sentenza di cui sopra che rimandava la decisione circa l’aborto agli Stati federali, era messo in condizione di scegliere tra il suo essere cittadino e la sua coscienza. Nel caso francese invece sì.

L’aborto da sempre è stato per molte donne una dolorosa necessità, di cui sono state loro stesse le prime vittime. Uccidere il bambino che si porta nel seno è sempre stato ed è, per una madre normale, un dramma, reso più tremendo dal fatto che una società maschilista, ancora oggi, non fa il possibile per evitarlo, lasciandola spesso sola a vivere sulla propria pelle i tanti problemi che rendono problematica la maternità. Per questo appoggiarsi al logico riconoscimento della libertà della donna per motivare una tale presa di posizione politica pone diversi problemi dal punto di vista filosofico, morale e biologico. Per la biologia, ad esempio, non ci sono «salti» tra la vita pre-natale e quella successiva al parto e una cesura tra l’una e l’altra sarebbe arbitraria: i non nati sono individui biologicamente umani, come i nati. Tutto allora dipende dalle giustificazioni filosofiche ed etiche che si riescono a dare per giustificare l’aborto e molti studiosi, anche non religiosi, hanno messo in evidenza che l’etica cristiana ha posto almeno un argine a quelle che potrebbero essere le derive di simili diritti sanciti costituzionalmente e fatti discendere dalle libertà personali. In questo modo chi potrà in futuro decidere chi è soggetto auto-cosciente e chi no fra un feto, un infante, un malato mentale o in coma, un affetto da totale demenza incapace di intendere e volere? 

I due casi politici sopra riportati fanno ripensare a quella tradizione spartana legata al Monte Taigeto. Su quel monte i bambini indesiderati perché non abili alla vita militare o «difettosi» venivano da lì scagliati e fatti morire. «La cultura dello scarto», come ebbe a chiamarla il Santo Padre Francesco ancora nel 2023. Perché, come sappiamo, per la morale cattolica che discende dal Vangelo e dalla viva tradizione della Chiesa, nonché dalla riflessione razionale, l’aborto è un male e un peccato, un grave delitto contro la vita peggiore dell’assassinio di un uomo o di un femminicidio. Un uomo o una donna alle cui vite si attenta, in qualche modo potrebbero anche difendersi e sottrarsi alla morte, o fuggire all’aggressione dell’assassino, ma un bambino nel ventre della madre no, non può difendersi in alcun modo né fuggire. 

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda ai credenti: «La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta l’azione creatrice di Dio e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente» (Nr 2258). E al numero 2302 rammenta ― eco delle parole di Madre Teresa riportate all’inizio ― che fra i nemici della pace troviamo innanzitutto l’omicidio.

I Pontefici interessati da questa problematica dell’aborto hanno tutti preso una posizione chiara e contraria. Il Santo Padre Francesco, con il fare colorito che spesso lo contraddistingue, ha più volte affermato che questa spirale di odio è chiara nell’aborto perché quando si abortisce è come pagare un sicario per effettuare un omicidio (cfr. QUI). Il Santo Padre Benedetto XVI qualche anno fa ha ricordato la terribile ferita aperta dalle leggi abortiste, affermando: «Hanno creato una mentalità di progressivo svilimento del valore della vita» (cfr. QUI). Il Magistero di San Giovanni Paolo II è stato chiarissimo a riguardo: «Tutto sembra avvenire nel più saldo rispetto della legalità, almeno quando le leggi che permettono l’aborto o l’eutanasia vengono votate secondo le cosiddette regole democratiche. In verità, siamo di fronte solo a una tragica parvenza di legalità e l’ideale democratico, che è davvero tale quando riconosce e tutela la dignità di ogni persona umana, è tradito nelle sue stesse basi: «Come è possibile parlare ancora di dignità di ogni persona umana, quando si permette che si uccida la più debole e la più innocente? In nome di quale giustizia si opera fra le persone la più ingiusta delle discriminazioni, dichiarandone alcune degne di essere difese, mentre ad altre questa dignità è negata?». Quando si verificano queste condizioni si sono già innescati quei dinamismi che portano alla dissoluzione di un’autentica convivenza umana e alla disgregazione della stessa realtà statuale. Rivendicare il diritto all’aborto, all’infanticidio, all’eutanasia e riconoscerlo legalmente, equivale ad attribuire alla libertà umana un significato perverso e iniquo: quello di un potere assoluto sugli altri e contro gli altri. Ma questa è la morte della vera libertà: «In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato (Gv 8, 34)» (cfr. Evangelium Vitae, n. 20).

Il dramma dell’aborto, perché tale rimane, non sembra dunque propriamente liberale, poiché togliendo la vita a qualcuno, si diceva all’inizio, la pace subisce un vulnus; e viene meno anche quella pace interiore, dell’animo, in chi compie un gesto tanto violento. Alla fine, con esso, oltre la libertà e la pace, muore anche la speranza. Anzitutto quella del feto, perché gli è precluso l’avvenire, la sua storia umana fra i suoi simili. Ma anche quella della donna che, nonostante tutti gli aiuti sanitari e psicologici, si troverà sola nel compiere quel passo tremendo. Potrà consolarla in quel momento sapere che l’aborto sia stato inserito fra i diritti costituzionali? Oppure ripenserà a tutto l’aiuto di cui avrebbe avuto bisogno ― non solo morale e spirituale, ma anche economico, sociale e politico ― affinché non si trovasse a compiere una simile scelta, lei e tutte le donne del mondo che hanno tolto la vita ai propri figli?

Santa Maria Novella in Firenze, 16 marzo 2024

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Padre Gabriele, Roma, Piazza della Repubblica (già Piazza Esedra) Marcia per la vita

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