«Guai a voi ricchi perché avete già ricevuto la vostra consolazione». L’Italia detiene il primato europeo della piaga dell’invidia sociale

«GUAI A VOI RICCHI PERCHÈ AVETE GIÀ RICEVUTO LA VOSTRA CONSOLAZIONE». L’ITALIA DETIENE IL PRIMATO EUROPEO DELLA PIAGA DELL’INVIDIA SOCIALE

Non è la prima volta, in dieci anni di pontificato, che si parte dall’uomo per giungere di riflesso a Gesù Cristo o che si parte da Gesù Cristo per mettere al centro neppure l’uomo, ma una figura di uomo privilegiato: il povero. Stile questo usato dal Vescovo Tonino Bello, di cui gli improvvidi Vescovi della Puglia aprirono la fase diocesana del processo di beatificazione, giunto oggi alla Congregazione per le cause dei Santi.

—  Attualità ecclesiale —

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Nel corso degli anni passati ho avuto più volte modo, mentre tutti tacevano, di far notare che certi richiami del Sommo Pontefice Francesco sui poveri rasentavano in parte la nevrosi ossessiva e in parte la serpeggiante ideologia. Oggi questo fatto è pubblicamente lamentato dagli stessi che ieri mi dicevano «attento», oppure «non sei opportuno e prudente», o peggio che mi rimproveravano: «Come osi criticare il Santo Padre?». Faccio notare che questi secondi si sono poi svegliati improvvisamente anni dopo, alle soglie dei settant’anni, quando hanno dovuto fare i conti con la realtà che l’agognata nomina episcopale non era giunta e che mai sarebbe giunta. Così, per magico incanto, hanno scoperto che anche un Sommo Pontefice può essere oggetto di critiche e che in tal senso, la storia della Chiesa, anche quella recente, ci insegna in che modo, talora anche duro e severo, molti predecessori dell’Augusto Pontefice sono stati criticati più dentro che non fuori dalla Chiesa. Chi, come il sottoscritto, è uno studioso da sempre dei concili dogmatici della Chiesa ne sa qualche cosa.

Il 23 giugno 2023 il Santo Padre ha ricevuto in udienza un numeroso gruppo di artisti ai quali ha ricordato:

«Vorrei chiedervi di non dimenticarvi dei poveri, che sono i preferiti di Cristo, in tutti i modi in cui si è poveri oggi. Anche i poveri hanno bisogno dell’arte e della bellezza. Alcuni sperimentano forme durissime di privazione della vita; per questo, ne hanno più bisogno. Di solito non hanno voce per farsi sentire. Voi potete farvi interpreti del loro grido silenzioso» [discorso integrale, QUI].

Questa esortazione è chiara nella sua costruzione e struttura: l’elemento centrale è il “povero ideologico”, mentre l’accessorio che serve per esaltarne la figura onirica e surreale è Gesù Cristo. Quindi il povero è al centro, di lato a seguire Gesù Cristo che preferisce il povero eletto a categoria privilegiata rispetto a tutti gli altri figli di Dio.

Tra quegli artisti presenti, la gran parte erano persone che considerano l’aborto una grande conquista sociale e un diritto intangibili, l’eutanasia un gesto di grande umanità verso un malato terminale, che rivendicano il “diritto” al matrimonio tra coppie dello stesso sesso e del conseguente “diritto” dell’adozione dei bambini da parte delle coppie omosessuali e il ricorso alla maternità surrogata, o cosiddetto utero in affitto. Gran parte di loro sono soggetti che saltano da una convivenza all’altra, o che dopo avere collezionato due divorzi hanno infine deciso di convivere evitando ulteriori problemi di separazioni legali, andando poi in giro per le televisioni a vantare la meraviglia delle loro “famiglie allargate” … Ebbene, non dico che andava fatta loro una lezione di morale cattolica, sarebbe stato inopportuno e quanto mai controproducente, però, costava tanto dire loro: “Cari artisti, non dimenticatevi di Gesù Cristo, che è l’inizio, il centro e il fine ultimo del nostro intero umanesimo, come l’arte stessa ci ricorda nelle sue espressioni più alte e nobili». Forse costava tanto, anche perché diversi di questi artisti, che pure vivono nell’ostentazione di un lusso sfrenato, sicuramente sono usciti felici dicendo: «Finalmente, un Papa che parla dei poveri!». È infatti noto e risaputo che la Chiesa, dei poveri, ha incominciato a occuparsene solo dieci anni fa, non certo sin dalla prima epoca apostolica. Pertanto, tutte le nostre istituzioni, fondazioni e opere dei grandi Santi e Sante della carità che da secoli assistono famiglie povere, bambini, orfani, disabili, anziani soli e abbandonati, sono solo delle illusioni ottiche. In verità, dentro il Cottolengo di Torino, c’è una beauty farm gestita dalle suore, un centro benessere a cinque stelle, non un centro di assistenza per affetti da gravi disabilità fisiche e psichiche. Le nostre Caritas, per chi non lo sapesse, nascono dopo il febbraio del 2013, perché prima non esistevano. In verità, la stessa parola Caritas è stata inventata sotto questo pontificato. Se all’epoca l’avesse conosciuta il Beato Apostolo Paolo chissà quante riflessioni belle vi avrebbe scritto sopra, forse avrebbe persino affermato che tra tutte le virtù, la più importante, era proprio la carità [I Cor 13, 13]. Purtroppo però, all’epoca, il concetto di carità era ignoto e il Beato Apostolo Paolo si perse quella bella occasione.

Non è la prima volta, in dieci anni di pontificato, che si parte dall’uomo per giungere di riflesso a Gesù Cristo o che si parte da Gesù Cristo per mettere al centro neppure l’uomo, ma una figura di uomo privilegiato: il povero. Stile questo usato dal Vescovo Tonino Bello, di cui gli improvvidi Vescovi della Puglia aprirono la fase diocesana del processo di beatificazione, giunto oggi alla Congregazione per le cause dei Santi.

Un doveroso inciso a correzione della evidente ignoranza che serpeggia persino in certi ambienti ecclesiali ed ecclesiastici: quella in corso di Tonino Bello non è una causa di canonizzazione, come indica il sito ufficiale della Diocesi di Molfetta ma una causa di beatificazione. Per canonizzazione si intende infatti l’apertura di un processo per giungere a canonizzare un beato, ossia a proclamare santo un beato. E con questo è presto detto tutto sui tempi che corrono e che purtroppo dobbiamo subìre e vivere [cfr. QUI].

È la prima volta ― o perlomeno io non ho memoria storica in tal senso ― che viene aperto un processo di beatificazione per un Vescovo che nel corso della propria intera vita ha mostrato una inquietante ignoranza in materia di dottrina, fautore e promotore di una cristologia imbarazzante ma soprattutto non cattolica, per seguire con una mariologia rasente a volte la blasfemia del tutto involontaria. Tonino Bello, di fatto eterodosso, è stato il precursore dei vescovi sociali con la crocetta di legno al collo e il pastorale da falegnameria in mano prodotto nella bottega di Mastro Geppetto, dopo che questo celebre falegname della famosa novella di Collodi aveva costruito non un solo Pinocchio, ma tanti piccoli pinocchi episcopali fatti in serie.

Alcuni replicano: «Ma Tonino Bello era buono!». Non lo metto in dubbio. O che forse, Ario e Pelagio, erano cattivi? Esistono cronache in tal senso? Sant’Agostino, che a Pelagio lo contrastò duramente [cfr. QUI], pose in discussione il suo pensiero ereticale, mica affermò che era cattivo.

Il IV Concilio Lateranense del 1215 che condannò l’eresia millenarista di Gioacchino da Fiore — con buona pace di coloro che oggi vogliono attribuire ad altri e non a lui quei pensieri — non affermò che il florense era cattivo, tutt’altro! Mentre da una parte questo Concilio condannava gli errori del suo pensiero, al tempo stesso, i Padri, ribadivano le sue indubbie virtù e la sua santità di vita. Essere buoni, o essere sensibili ai poveri, non vuol dire essere uomini di solida e ortodossa dottrina, meno che mai essere santi. Un soggetto buono non è in quanto tale automaticamente in linea con la dottrina, il pensiero e il perenne magistero della Chiesa. Quello di Tonino Bello è un pensiero che abbonda di numerose e grossolane eresie, lo provano suoi scritti e pubblici discorsi. Può essere però che i Vescovi della Puglia abbiano individuato un patronato che sino a oggi era rimasto scoperto. Esiste infatti persino il patronato delle prostitute pentite, di cui è patrona Santa Margherita da Cortona, non esisteva però ancóra un Santo Patrono degli eretici. Può essere che i Vescovi della Puglia abbiano pensato in tal senso a promuovere il loro conterraneo Tonino Bello, dal quale prende poi vita quel pensiero insidioso che diversi tra noi teologi chiamiamo toninobellismo.

Nel Discorso della Montagna, noto anche come Beatitudini, Gesù Cristo afferma: «Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione» [Lc 6,17-20.26].

Si tratta forse di un manifesto primigenio della futura lotta di classe? No, in verità si tratta anzitutto di un errore di traduzione, di quelli che abbondano soprattutto nelle versioni della Conferenza Episcopale Italiana, come di recente ha fatto notare anche il nostro autore Monaco Eremita in un suo articolo [vedere QUI]. Questa apertura «Ma guai a voi, ricchi», nel nostro lessico parlato suona come una minaccia. Infatti, nel vocabolario italiano, la parola «guai» è indicata come una esclamazione di minaccia. Ce lo conferma la letteratura, basti pensare alla figura di Caronte, il barcaiolo che conduce i dannati nel luogo di perdizione eterna, che nell’Opera di Dante, al Canto III dell’Inferno, tuona:

«Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: “Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder lo cielo: i’ vegno per menarvi a l’altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo. E tu che se’ costì, anima viva, pàrtiti da cotesti che son morti”».

Nel suo significato etimologico e secondo la migliore letteratura, la parola «guai» costituisce una minaccia grave e ben precisa.

Mi si passi l’ironia: io che a suo tempo non ho fatto il santissimo seminario ― perché come adulto consacrato sacerdote quarantenne ebbi altro genere di adeguata formazione ― il greco l’ho studiato e lo conosco, al contrario dei fuoriusciti dai moderni santissimi seminari nei quali al posto del greco si studia l’inglese e al posto del latino i sociologismi trasmessi dai vari formatori che offrono ai discepoli i pensieri teneri scritti sulle cartine dei Baci Perugina, anziché il solido pane dei grandi Santi Padri e dottori della Chiesa. Nel testo greco di questo Vangelo lucano è usata l’espressione Oὐαί (ouai), che non è affatto una maledizione in tono di minaccia, ma una espressione che equivale ad ahimè, o per usare un arcaismo de’, il tutto per esprimere con tenero spirito un senso di rammarico. Espressione nella quale la ricchezza è usata come paradigma per esprimere altro: l’egoismo, la mancanza di altruismo e di generosità, l’attaccamento alle cose materiali, che non sono solo il danaro, perché l’attaccamento a certi stili di vita o pensiero può essere di gran lunga più nocivo del rapporto morboso con la ricchezza materiale. Ne consegue quindi la lode «Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli» [Lc 6,17-20.26]. Lode non riferita certo al fatto che l’essere poveri è una nota di merito al punto da meritare per questo la salvezza eterna. Per poveri in spirito si intendono coloro, indistintamente ricchi o poveri di soldi, che hanno conquistato la libertà dei figli di Dio attraverso quella verità che una volta conosciuta ci farà liberi [cfr. Gv 8,28].

Che elementi di questo genere li sottovalutasse un evidente lacunoso teologico come Tonino Bello, indubbiamente è cosa grave, perché un vescovo è sommo sacerdote e maestro. Però, se questi elementi, li ignora e sottovaluta il maestro e il custode supremo della dottrina della fede cattolica, a dir poco è inquietante. Per questo siamo allo sbando nel modo in cui ormai siamo tristemente e tragicamente ridotti.

Passiamo alla seconda e ultima parte di questo discorso. Da alcune settimane le reti televisive e i giornali parlano del grande flusso di turisti in Italia, ponendo l’accento sul fatto che le strutture alberghiere e i resort che offrono servizi di extra lusso sono tutti pieni, a tal punto che non è possibile trovare posto. Le redazioni televisive Rai e Mediaset hanno sguinzagliato i loro giornalisti per riprendere e mandare in onda interviste fatte ai direttori di queste strutture che alle domande loro rivolte hanno risposto che i costi di certe suites variavano da cinque, sei, sino alla bellezza di 15.000 euro al giorno. Pochi minuti dopo venivano mandati in onda servizi fatti a varie famiglie del popolo proletario che spiegavano in che modo non potevano fare le vacanze, dato l’aumento dei prezzi, oppure che avrebbero potuto farle in clima di stretta economia improntandole sul più attento risparmio.

La cosa peggiore che si possa fare a livello giornalistico e mediatico è di fomentare l’istinto dell’invidia sociale, che in Italia non necessita di essere fomentata, perché se essa fosse uno sport, noi italiani deterremo il primato assoluto a livello europeo.

Sebbene non sia un economista e meno che mai propenso a fare il tuttologo che si lancia in mestieri che non sono i miei di pertinenza, applicando la basilare logica del buon senso comune mi rammarico dinanzi a simili servizi faziosi che istigano di fatto all’odio sociale di classe. Se infatti nel nostro Paese, centri che offrono servizi di extra lusso del genere, non hanno posti liberi e sono prenotati per tutta l’estate, ciò dovrebbe rallegrare anzitutto proprio i figli del popolo proletario. Semplice il motivo: quanto personale di lavoro è richiesto di necessità per offrire servizi alberghieri a simili costi stratosferici? Per ogni suite occorrono quattro camerieri fissi che coprano ininterrottamente a due a due un servizio di 18 ore, per non parlare del relativo personale necessario per offrire altrettanti analoghi servizi per le prime colazioni, per le seconde colazioni e le cene, per i servizi alle piscine e tutti gli altri comfort offerti. Pertanto, i padri, le madri, i figli e i nipoti del popolo proletario dovrebbero essere i primi a rallegrarsi, perché tutto ciò si chiama: posti di lavoro. A meno che non si preferisca al posto di lavoro il reddito di cittadinanza parassitario, quello che per alcuni anni è andato non ai bisognosi non in grado di lavorare o senza lavoro, che ne avevano sì sacrosanto diritto e che vanno aiutati e sostenuti, ma ai furbi, la più alta percentuale dei quali è risultata essere presente, putacaso, nella Città di Napoli, non lo hanno detto i cattivi anti-meridionalisti razzisti, ma i dati delle varie Agenzie di Stato. Perché è questo che produce il turismo di extra lusso: posti di lavoro. O qualcuno pensa che la pensioncina economica di Rimini per le vacanze economiche del popolo proletario, al costo di 70 euro al giorno camera e prima colazione, possa produrre altrettanti posti di lavoro, oltre al giro di affari che questo genere di clientela può creare attorno a queste strutture a beneficio di ristoranti, negozi di lusso o gioiellerie all’interno delle quali non si trova neppure una spilla al di sotto del costo minimo di 10.000 euro?

Ricordo alcuni decenni fa, quando ero ragazzino, le proteste di certi attivisti del popolo proletario al grido «le spiagge e le scogliere sono di tutti» e che «tutti hanno diritto a mare e sole». La lotta di classe in questione era legata al fatto che nella esclusiva e costosa zona del Monte Argentario, nella bassa Maremma toscana, i proprietari delle ville sulle scogliere avevano impedito l’accesso al mare al popolo proletario. Varie associazioni, tutte e di rigore di un preciso colore, cominciarono a bordare denunce, fin quando dei magistrati, forse della stessa colorazione, disposero l’apertura dei cancelli e delle recinzioni di certe proprietà, o comunque la creazione di passaggi affinché il popolo proletario potesse esercitare il diritto al mare e al sole.

Questi i risultati: nel giro di una stagione molte scogliere divennero méta di nutriti gruppi di persone rumorose che lasciavano poi tra gli scogli spazzatura e bottiglie di bibite, che urlavano e ascoltavano gli stereo portatili sparati al massimo volume. Un danno notevole all’ambiente e a quel delicato ecosistema, che è uno tra i più belli e incontaminati d’Italia. Gli sporchi ricconi incominciarono così a disertare la zona e ad andarsene in Sardegna o sulla Costa Azzurra. Di questo non ne risentirono né i magistrati, il cui stipendio era assicurato, né i figli del popolo operaio, anch’essi con lo stipendio di fabbrica assicurato inclusa tredicesima e quattordicesima, bensì i ristoratori, i proprietari degli stabilimenti balneari, i negozianti e i vari commercianti della zona. E se i gestori di tutte queste attività non potevano avere un certo giro di lavoro, al tempo stesso non potevano assumere personale e creare e dare posti di lavoro, perché nessuno di loro faceva cassa con i figli del popolo proletario, che si limitavano a guardare le vetrine di certi negozi o a leggere i menù di ristoranti nei quali una cena per quattro persone sarebbe costata la metà dello stipendio mensile di un operaio figlio del popolo proletario. L’ideologia ebbe sul momento la meglio, il popolo proletario ebbe diritto a sole e mare in zone costiere che non possono e non devono essere prese d’assalto dalla grande massa, salvo rovinarle. La conseguenza fu che il danno economico risultò enorme. E così, in zone nelle quali il vecchio Partito Comunista vinceva le elezioni con maggioranze superiori al 60%, fu presto invertita la rotta. Le scogliere furono nuovamente chiuse e i passaggi obbligatori eliminati. A quel punto, gli sporchi ricconi che producevano lavoro e ricchezza ritornarono, mentre il popolo proletario, al quale nessuno ha mai negato mare e sole, era dirottato verso località e spiagge adatte ad accogliere la gran massa di gente.

Oggi, nelle zone della vicina Capalbio, si recano in villeggiatura tutti i più ricchi fricchettoni dei Democratici di Sinistra, tutti nipotini viziati e degenerati del vecchio e glorioso Partito Comunista. E anche loro, i poveri, inclusi i migranti sbarcati clandestini a Lampedusa, non li vogliono tra i coglioni — per usare un francesismo aulico — neppure a distanza dalle recinzioni delle loro ville.

Povero non equivale a buono, esistono poveri che sono dotati di una cattiveria fuori dal comune, dai quali guardarsi, tenersi a distanza e tenerli a distanza. Come esistono ricchi che nella assoluta riservatezza fanno del bene a numerose famiglie e intere istituzioni benefiche che operano a servizio dei vari disagi sociali. L’uomo non è buono o cattivo in base alla classe o al ceto di appartenenza, ma in base alla propria natura e sensibilità umana.

Il nostro Paese dovrebbe puntare sul turismo di lusso, perché sia le Città d’arte italiane sia certe nostre zone costiere, sono ambienti e territori molto fragili e delicati da conservare e mantenere. E non possono essere presi d’assalto da masse di orde spesso barbariche né distrutti in nome dell’ideologia, con turisti cafoni che danneggiano i monumenti di Roma o che fanno il bagno dentro le fontane monumentali.

Ogni tanto qualcuno strepita che la Chiesa italiana ha messo i biglietti d’ingresso per visitare diverse storiche cattedrali e chiese monumentali. Bene hanno fatto, molto prima avremmo dovuto farlo. Ci sono infatti numerosi luoghi di culto che sono monumenti di straordinaria bellezza e altrettanta straordinaria delicatezza. Imporre un biglietto, preferibilmente anche costoso, eviterà che in città come Siena, Pisa, Venezia … certi luoghi siano presi d’assalto da persone che ci entrano tanto per entrarci, non di rado anche per recarvi danni gravi e irreparabili, come possono confermare le varie Soprintendenze alle belle arti corse più volte ai ripari con lunghi, delicati e costosi restauri di opere d’arte danneggiate da idioti che si erano arrampicati da qualche parte per farsi, ad esempio, fotografie spiritose, da inviare ad altrettanti amici idioti sparsi in giro per il mondo.

Pura e semplice economia del buon senso comune, applicata a un Paese come il nostro, dove abbondano ricchezze artistiche e ambientali che richiedono estrema cura e che sono tanto belle quanto fragili, oltre che facili da danneggiare per opera delle moderne orde barbariche. L’Italia è un gioiello delicato e fragile che non è fatto né mai potrà essere fatto per il turismo di massa, con buona pace delle ideologie sul popolo proletario.

dall’Isola di Patmos, 29 giugno 2023

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2 commenti
  1. Zamax
    Zamax dice:

    Sul senso evangelico della parola “ricco”, se i lettori non si fidassero troppo dell’interpretazione del Padre Ariel (che peraltro ha una lunga e ben sedimentata tradizione nella Chiesa Cattolica), potrebbero trovare conforto nelle parole scritte circa sedici secoli fa da Sant’Agostino (che era un tipo in gamba, quasi come Padre Ariel):
    “Cosa vuole dire il Signore con le parole: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago anziché un ricco entri nel Regno di Dio»? In questo passo chiama ricco chi è avido di beni temporali e ne va superbo. All’opposto di questi ricchi ci sono i poveri in spirito, cui appartiene il Regno dei cieli. Che a questa categoria di ricchi, disapprovata dal Signore, appartengano tutti gli avidi di cose mondane, anche se ne sono privi, appare manifesto da quanto è detto dopo dagli uditori: «Chi potrà allora salvarsi?» È certo infatti che la quantità dei poveri è incomparabilmente superiore, per cui occorre comprendere che nel numero di costoro son computati anche quei tali che, pur non avendo ricchezze, sono tutti presi dal desiderio di averne.“ (S. Agostino, Questioni sui Vangeli, Libro II, 47).

    • Padre Ariel
      Padre Ariel dice:

      Caro Zamax,

      grazie per la risata estiva che mi ha regalato con il suo elegante umorismo.
      In verità io sono l’asino (animale nobilissimo) che il Vescovo di Ippona cavalcava.
      La citazione agostiniana la conoscevo, ma quando ho scritto l’articolo mi è sfuggita, a maggior ragione tante grazie!

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