Sur le Mont Thabor, les disciples reçoivent la révélation du fils de l'homme sous une forme transfigurée par la lumière divine
/dans homélie/par moine ermiteSUL MONTE TABOR I DISCEPOLI RICEVONO LA RIVELAZIONE DEL FIGLIO DELL’UOMO IN UNA FORMA TRASFIGURATA DALLA LUCE DIVINA
Nella narrazione evangelica e nel cammino quaresimale viene così aggiunto un altro quadro che aiuta a rispondere alla domanda che ponevamo all’inizio: Qui est-il? Ora è il Padre stesso che rivela l’identità profonda di Gesù non solo a chi assiste sul monte della Trasfigurazione, ma anche ai lettori e ai credenti in Cristo: Egli è il Figlio. Una teologia molto presente nei Vangeli che ci fa tornare alla mente quanto è scritto nel Primo Vangelo, quando Gesù dice: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre»
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Intraprendere il percorso quaresimale significa porsi di nuovo la domanda fondamentale su Gesù: Qui est-il? Allo stesso modo dei discepoli seduti sulla barca sballottata dalle onde, figura della Chiesa nel periodo post pasquale, che svegliato il Signore dormiente a poppa e a tempesta sedata si chiedevano: «Chi è dunque costui, que même le vent et la mer lui obéissent?» (Mc 4, 41). Il racconto marciano della Trasfigurazione che si legge in questa seconda Domenica di Quaresima desidera rispondere a questa domanda.
« À ce moment-là, Jésus emmena Pierre avec lui, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, en marge, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendre la parole, Pietro disse a Gesù: “Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, Un pour toi, una per Mosè e una per Elia”. Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: “Questi è il Figlio mio, l'être aimé: Ecoute le!”. E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, avec eux. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti». (Mc 9,2-10)
Tutti e tre i Vangeli sinottici inseriscono la Trasfigurazione nello stesso contesto, ossia dopo l’annuncio di Gesù della sua passione. Per il lettore si crea così un ponte fra il ministero pubblico di Gesù e la morte che avverrà in Gerusalemme. Ma anche un collegamento fra la odierna proclamazione di Gesù «Figlio di Dio», che si ode dalla nube, e altre due analoghe. Quella del Battesimo, Lorsque: «Si sentì una voce dal cielo» che diceva «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (Mc 1,11); et l'autre, che si trova solo in Marco, all’inizio del Vangelo, nel primo versetto del primo capitolo: « Début de l'Evangile de Jésus-Christ, Fils de Dieu".
È molto probabile che l’episodio narrato, à l'origine, fosse un racconto di apparizione del Risorto, che Marco, il quale ha escluso dalla sua narrazione siffatti racconti, avrebbe inserito al centro del Vangelo, subito dopo la confessione messianica di Pietro, per bilanciare l’annuncio del destino di morte del Figlio dell’uomo (Mc 8, 31) con la visione prolettica della sua glorificazione (Mc 9, 2-13). Una scelta che ne avrebbe determinato la collocazione anche in Matteo e Luca. A supporto di questa ipotesi sta il fatto che nel prosieguo dei tre racconti l’incomprensione dei discepoli nei riguardi di Gesù resta intatta, malgrado alcuni fossero stati testimoni di un evento tanto eclatante. Pendant, collocato dopo la sua morte, il racconto assume un significato cruciale. È il punto di svolta. I tre discepoli ricevono la rivelazione del Figlio dell’uomo in una forma trasfigurata dalla luce divina. Dopo la sua morte, hanno la visione di Gesù collocato allo stesso livello di Mosè ed Elia, cioè di due figure bibliche già innalzate alla gloria celeste, e ascoltano la proclamazione della sua elezione divina, la stessa che risuona al momento del battesimo. Finalmente i discepoli «sanno» chi è Gesù, ed è alla luce di tale comprensione che l’episodio storico e iniziale del battesimo assume il suo «vero» significato di investitura divina.
Nel versetto che precede la scena della Trasfigurazione che oggi leggiamo nella Liturgia Gesù dice ai suoi discepoli: « En vérité je vous dis: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza» (Mc 9,1). Sei giorni dopo questo annuncio Gesù porta Pietro, Giacomo e Giovanni con sé sopra un monte alto, in un luogo appartato, e si trasfigura davanti a loro. L’episodio non solo è descritto da tutti e tre i Vangeli sinottici, ma anche dalla Seconda Lettera di Pietro. Lì l’Apostolo ricorda e scrive di essere stato testimone oculare della grandezza di Gesù:
«Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”. Questa voce noi l’abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte» (2Pt 1,16-18).
A differenza del Battesimo, dove la voce che proclama Gesù «Figlio» sembra sia stata udita solo da Lui, nella Trasfigurazione le parole sono indirizzate ai discepoli, che non possono ignorarle: «Ascoltatelo». È infatti importante che nel momento in cui Gesù annuncia la sua passione venga ribadita l’idea che Dio non abbandonerà il suo Figlio, anche se verrà consegnato per la crocifissione. Questa non offuscherà la fedeltà del Padre, cosicché anche il duro annuncio della passione e morte sono dentro il Vangelo, sono la buona notizia di cui il lettore deve essere consapevole, allo stesso modo dei discepoli che fecero quella esperienza.
Pierre, insieme ai compagni, è colui che più di tutti ha bisogno di ascoltare Gesù. Dopo la confessione di Cesarea di Filippo, ha preteso di mettersi davanti a lui per evitargli il pellegrinaggio a Gerusalemme. Gesù per questo chiama Pietro «Satana» (Mc 8,33), ma poi lo invita a salire sul monte con lui. In altre parole qui siamo di fronte alla reazione de Dieu all’incredulità di Pietro. Pas seulement. Se i discepoli devono prepararsi alla passione del loro maestro, anche Gesù ha bisogno di istruzioni per intraprendere il «suo esodo», come specificherà Luca in 9,31: Mosè aveva condotto gli ebrei fuori dall’Egitto, Elia aveva ripercorso i suoi passi, e ora il Messia, aiutato da coloro che hanno vissuto un’esperienza analoga di sofferenza e liberazione, potrà andare deciso verso Gerusalemme.
L’interpretazione tradizionale della presenza di Mosè ed Elia sul monte dice, en fait, che essi rappresenterebbero la Torà e i Profeti, ovvero tutta la Scrittura prima di Gesù. Ma oggi si pensa piuttosto che il significato della loro presenza sia importante se riferita a quanto Gesù sta vivendo nel momento in cui sale su quella montagna. Mosè ed Elia hanno vissuto eventi paragonabili alla reazione di Pietro all’annuncio della passione di Gesù di cui sopra. L’analogia tra gli eventi è data dal modo in cui Gesù interpreta il rifiuto di Pietro: come una nuova tentazione, analoga a quelle dell’inizio del suo ministero; così Mosè provò l’esperienza del vitello d’oro ed Elia quella della fuga verso l’Oreb. Questi due fatti ebbero luogo proprio su un monte, dopo un fallimento del popolo di Israele che aveva, dans le premier cas, costruito un idolo e, dans la deuxième, sostenuto i sacerdoti di Baal contro cui Elia doveva lottare. A fronte di queste due delusioni, sia Mosè che Elia chiedono a Dio di morire (cf.. Est 32,32; 1Ré 19,4), maman, in risposta, a tutti e due è concessa invece la visione di Dio. Moïse, spaventato, Mais, si nasconde nella rupe (Est 33,21-22), ed Elia si copre il volto (1Ré 19,13). Mentre allora non videro Dio, ora finalmente stanno davanti a Gesù, nella sua gloria e non si velano più il volto; non hanno più paura di lui, perché «Gesù, il «Figlio amato» del Padre (Mc 9,7), «l’eletto» (Lc 9,35), è egli stesso la visibilità del Padre: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). In lui Mosè ed Elia si incontrano, vedono Gesù nella gloria, e gli portano il loro conforto. À la fin, il Padre conferma ai tre discepoli, Pietro incluso, la strada che Gesù dovrà intraprendere» (M. Gilbert).
Nella narrazione evangelica e nel cammino quaresimale viene così aggiunto un altro quadro che aiuta a rispondere alla domanda che ponevamo all’inizio: Qui est-il? Ora è il Padre stesso che rivela l’identità profonda di Gesù non solo a chi assiste sul monte della Trasfigurazione, ma anche ai lettori e ai credenti in Cristo: Egli è il Figlio. Una teologia molto presente nei Vangeli che ci fa tornare alla mente quanto è scritto nel Primo Vangelo, quando Gesù dice: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre» (Mont 11,27).
De l'Ermitage, 24 février 2024
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Des gestes et des mots, à propos de la liturgie. Brisons une lance en faveur de “Embrasse-moi Tucho”, anche se paree avere dimenticato la Redemptionis Sacramentum
/1 Commentaire/dans Pastorale liturgique/par Père SimoneGESTES ET MOTS, À PROPOS DE LA LITURGIE. BRISONS UNE LANCE EN FAVEUR DE "Embrasse-moi Tucho”, MÊME S'IL SEMBLE L'AVOIR OUBLIÉ LE SACREMENT DE RÉDEMPTION
Beaucoup, c'est un euphémisme, ils ont levé le nez lorsque le Pontife a choisi l'actuel préfet. Les critiques ne manquaient pas. En répondant avec respect et en allégeant toute la discussion jusqu'à présent avec une blague, nous pourrions nous souvenir du dicton qui dit: «Même une horloge cassée indique l'heure exacte deux fois par jour»
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Par une curieuse loi du talion beaucoup de ceux qui s'étaient réjouis de la publication de Implorant la confiance, déclaration confuse et ambiguë du Dicastère pour la doctrine de la foi publiée le 18 décembre de l'année dernière, devant lequel des épiscopats entiers se sont soulevés, ils avaient envie de discuter avec la plus récente Note du même Dicastère sur la validité des sacrements de 2 février de cette année et intitulé: Par des gestes et des mots.
La question se pose spontanément: Dans le 2004 l'Instruction a été publiée Le sacrement de la rédemption qui est un chef-d'œuvre de la théologie sacramentelle, de discipline des sacrements et de pastorale liturgique. L'éducation qui, selon ce qui continue de se passer dans nos églises, elle a été magnifiquement ignorée par des armées de prêtres créatifs et de mouvements laïcs qui ont continué sans se laisser décourager à créer leurs propres liturgies personnalisées., Néocatéchuménaux dans la tête, le tout dans une insouciance totale et un manque de vigilance de la part des évêques, bien que le document parle très clairement dans sa conclusion finale:
«Cette instruction, rédigé, par ordre du Souverain Pontife Jean-Paul II, par la Congrégation pour le Culte Divin et la Discipline des Sacrements en accord avec la Congrégation pour la Doctrine de la Foi, a été approuvé par le Pontife lui-même le 19 mars 2004, à la solennité de saint Joseph, qui a ordonné sa publication et sa mise en conformité immédiate par tous les responsables ".
Pourquoi ne pas appeler au respect de cette consigne, si bien fait et détaillé, le cas échéant, établir des sanctions précises pour quiconque ne respecterait pas les dispositions données? Parce que c'est là le problème sous-jacent qui a caractérisé les cinquante dernières années de vie d'une Église qui se demande, exhorte, instruit et recommande, mais ça a toujours l'air bien, dans ces documents, établir des sanctions précises pour les contrevenants. Pas seulement: dans 64 notes de rappel de Par des gestes et des mots la Le sacrement de la rédemption il n'a jamais été rappelé et cité une seule fois, quelque chose d'objectivement sérieux.
Comme même les pierres le savent maintenant la première Déclaration susmentionnée, dans le contexte plus large du sens à donner aux bénédictions dans l'Église, il a ouvert la possibilité de bénir spontanément les couples en situation irrégulière et de même sexe. Ce qui n'était pas nécessaire pour de nombreux évêques et prêtres des différentes régions de l'Europe du Nord., ils le font arbitrairement depuis des années. Cette déclaration controversée prévoit que les bénédictions doivent être données dans des lieux et de manière qui ne ressemblent en rien à celles données aux couples réguliers., maman: «Dans d'autres contextes, comme une visite dans un sanctuaire, la rencontre avec un prêtre, la prière récitée en groupe ou lors d'un pèlerinage. En fait, à travers ces bénédictions qui ne sont pas communiquées à travers les formes rituelles de la liturgie, mais plutôt comme une expression du cœur maternel de l'Église, semblables à ceux qui émanent des profondeurs de la piété populaire, il ne s'agit pas de légitimer quoi que ce soit mais seulement d'ouvrir sa vie à Dieu, demandez son aide pour vivre mieux, et aussi d'invoquer l'Esprit Saint pour que les valeurs de l'Évangile soient vécues avec plus de fidélité" (Non. 40).
Pour l'instant tout le monde est content, du moins les partisans de cette ouverture, comme si nous avions auparavant refusé les bénédictions aux individus, surtout à ceux qui vivaient dans des conditions irrégulières, ou qui étaient coupables des péchés et des crimes les plus graves.
Ironiquement, précisément ceux qui s'étaient réjouis avant le Implorant la confiance, peu après, ils se lancèrent dans de sévères critiques à l'égard de la Note de 2 février, Des gestes et des mots, parce qu'il utilise un langage traditionnel pour définir ce qui est nécessaire pour qu'un sacrement soit valide, ainsi que licite. Critique, en particulier, souligne l'utilisation insistante des termes "forme" et "matière" utilisés par la Note comme éléments irremplaçables de toute célébration des sacrements, avec l'intention du célébrant. Critique qui concerne la déconnexion de ces trois éléments constitutifs de l'ensemble de la célébration du sacrement, par les sujets qui y participent et par les différents signes qui interviennent, ce qu'ils devraient être, par leur constitutionnalité même, significatif e, comment dites-vous, haut-parleurs. Les notes ondulées, alors, faire référence à la manière dont la Note n'examine pas l'intégralité du sacrement célébré e, comme une vague de retour, ils se déversent également sur le Implorant la confiance, comme là: «…Une bénédiction sans forme (sans espace, tempo, parole, tout) C'est n'importe quoi." (cf.. Voir QUI).
Ce n'est pas à moi de me défendre d'un Dicastère stratégique comme celui pour la Doctrine de la Foi. Mais, en lisant et en relisant cette Note, je pense à « Le Rasoir d'Ockham » qui pourrait se résumer à peu près ainsi: "Toutes choses étant égales, l'explication la plus simple est celle à préférer"; ou encore « Ne pas considérer la pluralité si elle n'est pas nécessaire ».
Cette remarque, et dans la lettre d'accompagnement du Préfet, que dans son corps lui-même, rappelez-vous qu'ils ont été détectés par les cardinaux et les évêques, et a donc demandé des éclaircissements, sur les changements sérieux apportés à la matière et à la forme des sacrements, les rendant effectivement nuls et non avenus. Il suffirait de lire les quelques indices et exemples, parfois bizarre et curieux, auquel le Préfet fait référence pour comprendre le simple objet de la Note elle-même: appeler tout le monde à une célébration correcte des sacrements, fidèle, ecclésiale. Que s'ils sont accordés, lorsque cela est permis par les conférences épiscopales, espaces de créativité, ceux-ci ne deviennent pas au contraire une invention qui manipule arbitrairement le célèbre sacrement..
C'est dans ce contexte et cela relève de la préoccupation des Pasteurs des Églises, que la note doit être lue. Ce qui résume ensuite ce qui est nécessaire pour qu'un sacrement soit valide, rappelant la doctrine traditionnelle, ce qui est vrai, dans ses traits saillants, il remonte au Concile de Trente, que Vatican II a repris et remanié en harmonie avec tout ce que l'Église avait entre-temps, dans quellel'assise, redécouverte sur elle-même et comment elle comptait se présenter au monde d'aujourd'hui.
Ce n'est pas un hasard si la Note s'inspire de la Constitution art sacré rappeler que le Conseil: «Il renvoie analogiquement la notion de sacrement à l'Église entière». Et de La lumière qui déclare de l'Église que celle-ci est: «Dans le Christ comme sacrement, c'est-à-dire un signe et un instrument d'union intime avec Dieu et de l'unité de tout le genre humain". Et cela se réalise principalement grâce aux sacrements, dans chacun desquels la nature sacramentelle de l'Église se réalise à sa manière, Corps du Christ... L'Église en est consciente, depuis ses origines, il a apporté un soin particulier aux sources dans lesquelles il puise l'élément vital de son existence et de son témoignage: la Parole de Dieu, attesté par les Saintes Écritures et la Tradition, et les sacrements, célébré dans la liturgie, par lequel il est continuellement ramené au mystère de la Pâque du Christ" (cf.. Non.. 6, 7 e 10).
Pour l'ampleur de tout cela l'église, si vous dites, reçoit les sacrements, qui a administré, mais elle n'en est pas propriétaire. Ce qui semble plutôt s'être produit avec les variations créatives de divers ministres et de divers mouvements laïcs.. C'est seulement à ce stade que la Note rappelle brièvement - ce n'est pas un traité de liturgie - quels sont les éléments essentiels. Tout d'abord, la « forme » du sacrement qui correspond aux paroles qui accompagnent la matière, le transcende, transmettre le sens chrétien, salvifique et ecclésial de ce qui s'accomplit dans la célébration. C'est pourquoi la « matière » du sacrement, qui consiste plutôt dans l'action humaine, par lequel le Christ agit. Parfois il y a un élément matériel dedans (eau, vitre, vin, huile), d'autres fois un geste particulièrement éloquent (signe de la croix, imposition des mains, immersion, infusion, consentement, onction). Cette corporéité apparaît indispensable car elle enracine le sacrement non seulement dans l'histoire humaine, mais aussi, plus fondamentalement, dans l'ordre symbolique de la Création et le ramène au mystère de l'Incarnation du Verbe et de la Rédemption opérée par Lui (cf.. Non. 13).
Enfin, « l'intention » de ceux qui célèbrent, ce qui n'a rien à voir avec sa moralité et sa foi, plutôt avec la conviction d'accomplir: «Au moins ce que fait l'Église» (Concile de Trente). Cette disposition soustrait le célébrant à l'automatisme et à l'arbitraire éventuel de l'individu., puisque cet acte délicieusement humain est aussi ecclésial. Acte interne et subjectif oui, qui pourtant, se manifestant dans le sacrement, il s'agit de toute la communauté ecclésiale et: «Car ce que fait l'Église n'est rien d'autre que ce que le Christ a institué, aussi l'intention, avec la matière et la forme, contribue à faire de l'action sacramentelle le prolongement de l'œuvre salvifique du Seigneur" (cf.. Non. 18).
A cet égard, l'Église il a préparé les livres liturgiques qui ne doivent pas être altérés ou utilisés à volonté, assez fidèlement observé dans les paroles et même dans les gestes qui y sont indiqués. Ils offrent des espaces de créativité et les conférences épiscopales des différents pays ont préparé des adaptations et des variations possibles qui correspondent à la sensibilité et à la situation des participants.. Pensez aux fêtes avec les enfants, par exemple, aux différents canons eucharistiques préparés à leur intention et approuvés par la CEI.
La note rappelle également, et cela semble répondre aux notes critiques, ce: « Matériau, la forme et l'intention sont toujours insérées dans le contexte de la célébration liturgique, ce qui ne constitue pas un décoré cérémonial des sacrements et même pas une introduction didactique à la réalité qui s'y déroule, mais dans son ensemble, c'est l'événement au cours duquel la rencontre personnelle et communautaire entre Dieu et nous continue à avoir lieu., en Christ et dans le Saint-Esprit, réunion au cours de laquelle, par l'intermédiaire de signes sensibles, «Une gloire parfaite est donnée à Dieu et les hommes sont sanctifiés». Le souci nécessaire des éléments essentiels des sacrements, dont dépend leur validité, il doit donc s'accorder avec le soin et le respect de toute la célébration, dans lequel le sens et les effets des sacrements sont rendus pleinement intelligibles par une multiplicité de gestes et de paroles, favorisant ainsi laparticipation active des fidèles (cf.. Non. 20).
Dans ce contexte, toute l'importance de la présidence liturgique et de l'art de célébrer est incluse. Ceux-ci nécessitent la connaissance des raisons théologiques qui les sous-tendent., comme ceux qui agissent, quand il est célébré, Dans la personne du Christ e Au nom de l'église. Ainsi que la connaissance des livres liturgiques et des leurs Présentation dans qui sont souvent ignorés parce qu'ils sont ennuyeux. Et si on voulait faire une comparaison, ce qui, j'espère, ne semble pas déplacé, entre fête et geste sportif, on voit à quel point cette dernière est efficace si elle s'appuie sur une bonne connaissance et la mise en œuvre des soi-disant fondamentaux. Un champion, surtout les disciplines qui nécessitent des gestes répétés, identiques et précis, beaucoup de temps passe, des années même, étudier, de s'entraîner puis de s'exprimer avec une facilité qui étonne. Un geste sportif très difficile que l'on voit réalisé, lors d'olympiades par exemple, Cela a nécessité une préparation considérable, pourtant cela nous paraît simple et naturel.
De conclure, J'en connais beaucoup, c'est un euphémisme, ils ont levé le nez lorsque le Pontife a choisi l'actuel préfet. Les critiques ne manquaient pas. En répondant avec respect et en allégeant toute la discussion jusqu'à présent avec une blague, nous pourrions nous souvenir du dicton qui dit: «Même une horloge cassée indique l'heure exacte deux fois par jour». Mais, honnêtement, cette note sonne bien cette fois. Il n'y a rien de répréhensible à cela, si l'intention est justement de nous inviter à sauvegarder et à présenter un bien si précieux de manière digne et ecclésiale. En fait, c'est comme ça que ça se termine:
"Nous [...] nous avons ce trésor dans des vases en terre, de sorte qu'il apparaît que cette puissance extraordinaire appartient à Dieu, et ça ne vient pas de nous" (2Cor 4, 7). L'antithèse utilisée par l'Apôtre pour souligner comment la sublimité de la puissance de Dieu se révèle à travers la faiblesse de son ministère d'annonceur décrit aussi bien ce qui se passe dans les sacrements.. L'Église entière est appelée à sauvegarder la richesse qu'ils contiennent, afin que la primauté de l'action salvifique de Dieu dans l'histoire ne soit jamais obscurcie, malgré la fragile médiation des signes et des gestes typiques de la nature humaine" (Non. 28).
Florence, 21 février 2024
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Les fans de Marie co-rédemptrice, une contradiction flagrante en termes théologiques
/3 Commentaires/dans théologique/par père arielLES FANS DE MARIA CO-REDEMPTOR, UNE GRAVE CONTRADICTION EN TERMES THÉOLOGIQUES
Quelqu'un est-il vraiment prêt à croire que la Sainte Vierge, celle qui se définissait comme une « humble servante », la femme de l'amour doué, silence et confidentialité, celui qui a pour but de conduire à Christ, peut vraiment demander à certains voyants ou visionnaires d'être proclamés co-rédempteur et mis presque à égalité avec le Divin Rédempteur? On pourrait raisonnablement demander: depuis quand, l'"humble serviteur" de magnificat, elle deviendrait si prétentieuse et vaniteuse qu'elle demanderait et revendiquerait le titre de co-rédempteur?
— Pages théologiques —
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Article dédié à la mémoire du jésuite Pierre Gumpel (Hanovre 1923 – Rome 2023) qui fut mon formateur et précieux professeur dans l'histoire du dogme
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En fréquentant suffisamment je réseaux sociaux, lire et écouter des prêtres et des laïcs, sur des sujets bibliques et théologiques, on a parfois l'impression qu'aucun progrès n'a été réalisé sur certaines questions. Il se trouve que de nombreuses inexactitudes circulent sur des questions liées à la foi., ou on continue sur d'anciens registres, dévotionnel et émotionnel.
Le désir, peut-être un peu utopique, il appartiendrait aux lecteurs de se rendre compte, avec un minimum d'effort, qui pourrait bénéficier d’éclairages sérieux et précis. C'est du moins mon espérance et celle de nos Pères Île de Patmos, être utile à ceux qui parviennent à aller au-delà des quatre ou cinq lignes qui suivent réseaux sociaux, où aujourd'hui d'improbables théologiens et mariologues pontifient, avec les conséquences que l'on connaît souvent bien: déviation de la vraie foi. Et c'est très triste, parce que je Des médias sociaux ils pourraient être pour nous un outil extraordinaire pour la diffusion d’une doctrine catholique saine et solide..
Dans les années qui ont suivi le Concile Vatican II La science biblique a fait des progrès importants, offrant des contributions désormais essentielles pour la théologie dans ses différentes branches et pour la vie chrétienne. Ceci depuis quand, depuis l'époque du Vénérable Pontife Pie XII, dans l'Église catholique, l'étude de la Bible a été encouragée en donnant la possibilité d'utiliser toutes les méthodes normalement appliquées à un texte écrit. Pour ne citer que quelques exemples: analyse rhétorique, le structurel, la littérature et la sémantique ont produit des résultats qui ont peut-être parfois paru insatisfaisants, mais ils nous ont aussi permis d'explorer le texte de l'Écriture Sainte d'une manière nouvelle et cela a conduit à toute une série d'études qui nous ont fait connaître mieux et plus profondément la Parole de Dieu.. Ou de reconsidérer d'anciennes acquisitions, de tradition, des Saints Pères de l'Église, qui, bien que vrai et profond, ainsi que des ouvrages de haute théologie, cependant ils n'avaient pas le soutien d'une étude moderne des textes sacrés, précisément parce qu'encore, certains outils, au moment de leurs spéculations, ils manquaient.
Avant de continuer, un aparté s'impose: je suis un "téologue" réseaux sociaux ils ont besoin du combat, pour déchaîner qu'il faut choisir et créer un ennemi. Pour certains groupes, l’ennemi le plus populaire est le modernisme., justement défini par le Saint Pontife Pie (cf.. Nourrissage des moutons de Dominic). Cela ne veut pas dire que, Mais, que les actions de ce Saint Pontife, avant cela et de son prédécesseur suprême Léon XIII, a toujours produit des effets bénéfiques dans les décennies qui ont suivi. De toute évidence, faire une analyse critique objective, il est impératif de contextualiser la condamnation du modernisme et les mesures canoniques sévères qui ont suivi à ce moment historique précis., certainement pas d'exprimer des jugements sur la base de critères liés à notre présent, parce que seules des phrases trompeuses et déformantes émergeraient. Pour résumer brièvement ce problème complexe auquel je compte consacrer mon prochain livre, il suffit de dire que l'Église de ces années-là, après la chute de l'État pontifical survenue le 20 septembre 1870, il a fait l'objet de violentes attaques politiques et sociales. Le Pontife romain s'est retiré en tant que « prisonnier volontaire » dans les murs du Vatican dont il est sorti seulement six décennies plus tard.. L'anticléricalisme d'origine maçonnique a été porté au maximum de puissance et l'Église a dû sérieusement s'occuper de sa propre survie et de celle de l'institution de la papauté.. Elle ne pouvait certainement pas se permettre le développement de courants de pensée qui l’auraient attaqué et corrodé directement de l’intérieur.. C'est dans ce contexte délicat que le combat du Saint Pontife Pie. Avec toutes les conséquences, y compris négatives, de l'affaire: la spéculation théologique était effectivement figée au milieu de mille peurs et la formation des prêtres était réduite à quatre formules d'une néo-scolastique décadente, qui n'était même pas un parent éloigné de la scolastique classique de saint Anselme d'Aoste et de saint Thomas d'Aquin. Cela a produit une telle impréparation et une telle ignorance au sein du clergé catholique qu'il suffirait pour s'en convaincre de lire l'Encyclique Retour au sacerdoce catholique écrit en 1935 du Souverain Pontife Pie XI.
Les conséquences de la lutte contre le modernisme ils étaient à certains égards désastreux, il suffit de dire qu'au seuil des années 1940, au début du pontificat de Pie XII, Les théologiens catholiques et les biblistes ont commencé à mettre la main sur certains documents et à mener des exégèses dans le contexte de l'Ancien et du Nouveau Testament., ils ont été forcés, discrètement et travaillant prudemment sous la table, faire référence à des auteurs protestants, qui spéculait et menait des études approfondies sur certains sujets depuis des décennies, surtout dans le domaine des sciences bibliques. Et donc aujourd'hui, si nous voulons faire une étude et une analyse du texte de la Lettre aux Romains, nous devons nécessairement nous référer au commentaire du théologien protestant Carl Barth., qui reste fondamental et surtout inégalé. Ce sont là aussi les fruits de la lutte contre le modernisme., dont les "théologiens" ne parlent certainement pas réseaux sociaux que pour exister, ils ont besoin d'un ennemi à combattre. Mais comme déjà dit, ce thème sera le sujet de mon prochain livre, mais cet aparté était nécessaire pour mieux introduire notre thème.
Ce qui manque encore aujourd'hui est que ces résultats obtenus grâce à l'exégèse moderne ou à l'étude des textes de l'Ancien et du Nouveau Testament deviennent l'apanage de la majorité des croyants. Et je reviens ici pour réitérer l'importance extraordinaire que revêt réseaux sociaux, diffuser et rendre accessible certains supports. Trop souvent, ils restent confinés à des textes spécialisés et ne passent pas, sinon sporadiquement, dans la prédication et la catéchèse, favoriser une nouvelle prise de conscience des termes en jeu et donc une foi chrétienne plus solide et motivée, ne s’appuie pas uniquement sur des données acquises souvent fragiles et déroutantes, sur la dévotion, sur le sentimental, ou pire: sur les révélations, sur des apparitions réelles ou supposées, ou sur les « secrets » démangeants et tremblants du bavardage madame de Medjugorje (cf.. ma visioconférence, QUI)…et ainsi de suite à suivre.
Si certains fans fous ils avaient de l'humilité, peut-être même la décence de lire des livres et des articles rédigés par des universitaires faisant autorité, peut-être pourraient-ils comprendre que non seulement, ils n'ont pas compris, mais qu'ils n'ont rien compris du tout à la Marie des Saints Évangiles. Il suffirait de reprendre - je n'en cite qu'un parmi tant d'autres - l'article rédigé par le Père Ignace de la Potterie: «La Mère de Jésus et le mystère de Cana» (La Civiltà Cattolica, 1979, IV, pp. 425-440, texte intégral QUI), pour comprendre ainsi quelle différence abyssale il peut y avoir entre mariologie et mariolâtrie.
Quand encore aujourd'hui on parle de la Vierge Marie, Malheureusement, même chez certains prêtres - et plus encore chez certains fervents croyants - nous assistons à la répétition banale des habituels discours dévotionnels et émotionnels., jusqu'à atteindre, au pas des éléphants à l'intérieur d'une verrerie, le thème très délicat et discuté de Marie co-rédemptrice, que, comme on le sait - et comme les derniers Pontifes l'ont souligné à plusieurs reprises -, c'est un terme qui en lui-même crée d'énormes problèmes théologiques avec la christologie et le mystère de la rédemption lui-même.. En fait, affirme que Maria, créature parfaite née sans péché, mais toujours une créature créée, il a coopéré à la rédemption de l'humanité, ce n'est pas exactement la même chose que de dire qu'il a co-racheté l'humanité. C'est Christ qui a opéré la rédemption, qui n'était pas une créature créée mais la Parole de Dieu faite homme, engendré non créé de la même substance que Dieu le Père, alors que nous agissons dans le Symbole de foi, la credo, où nous professons «[...] et par l'œuvre du Saint-Esprit, il s'est incarné dans le sein de la Vierge Marie. ». Dans Symbole de foi, la rédemption est entièrement centrée sur le Christ. C'est pourquoi nous disons que la Sainte Vierge “il a coopéré” et dis “ha co-rachat” il a une valeur théologique substantiellement et radicalement différente. En fait, un seul est le rédempteur: Jésus-Christ Dieu a fait l'homme « engendré et non créé de la même substance que le Père », qui en tant que tel n'a besoin d'aucune créature créée pour le soutenir ou le soutenir en tant que co-rédempteur ou co-rédempteur, dont la Bienheureuse Vierge Marie" (cf.. Ariel S. Levi Gualdo, dans L'île de Patmos, voir QUI, QUI, QUI). Demande: aux fans du co-rédempteur, comment se fait-il qu'il ne suffit pas que Marie soit celle qui a en fait coopéré plus que n'importe quelle créature pour que le mystère de la rédemption soit réalisé? Pour quelle raison, mais surtout pour quelle obstination, pas satisfaite de son rôle de coopératrice, ils veulent à tout prix qu'elle soit proclamée co-rédemptrice avec une définition dogmatique solennelle?
D'un point de vue théologique et dogmatique, le concept même de Marie co-rédemptrice crée tout d'abord de gros problèmes pour la christologie, au risque de donner naissance à une sorte de « quatrinità » et élever la Vierge, qui est parfaite créature née sans tache du péché originel, le rôle des vrais dieux. Le Christ nous a rachetés avec son précieux sang hypostatique, humain et divin., avec son glorieux corps ressuscité qui porte encore aujourd'hui les signes de la passion imprimés en lui. Marie à la place, tout en couvrant un rôle extraordinaire dans l'histoire de l'économie du salut, Il a collaboré à notre rédemption. Dire co-rédempteur équivaut à dire que nous avons été rachetés par le Christ et Marie.. Et là, il est bon de clarifier: Christ sauve, Marie intercède pour notre salut. Il n’y a pas une petite différence entre « sauver » et « intercéder »., sauf disposition contraire de créer une religion différente de celle fondée sur le mystère de la Parole de Dieu (cf.. Mon article précédent QUI).
La mariologie n'est pas quelque chose en soi, presque comme s'il vivait une vie indépendante. La mariologie n'est qu'un appendice de la christologie et s'insère dans une dimension théologique précise du christocentrisme.. Si la mariologie se détache en quelque sorte de cette centralité christocentrique, on peut courir le risque sérieux de tomber dans le pire et le plus néfaste des mariocentrismes. Sans parler de l’arrogance évidente des représentants de certaines jeunes et problématiques empreintes de la Congrégation franciscaine-mariale., qui ne se sont pas limités à faire des hypothèses ou des études théologiques pour soutenir l'idée pèlerine du soi-disant co-rédempteur, mais en fait ils ont institué son culte et sa vénération.
Qui proclame des dogmes qui n'existent pas commet un crime plus grand que ceux dont les dogmes les nient, car il fonctionne en se plaçant au-dessus de l'autorité du même sainte Église mère et professeur, détenteur d'une autorité qui dérive du Christ lui-même. Et ce dernier oui, qui est un dogme de la foi catholique, ce qui n'a pas été atteint par déduction logique après des siècles d'études et de spéculations - comme dans le cas du dogme de l'Immaculée Conception et de l'assomption de Marie au ciel -, mais sur la base de paroles claires et précises prononcées par la Parole de Dieu faite Homme (cf.. Mont 13, 16-20). Et quand on proclame des dogmes qui n'existent pas, dans ce cas, la fierté entre en scène dans sa pire manifestation. Je l'ai écrit et expliqué dans plusieurs de mes articles précédents mais il mérite d'être répété encore une fois.: dans la soi-disant échelle des péchés capitaux, le Catéchisme de l'Église catholique indique la fierté en premier lieu, avec la paix douloureuse de ceux qui s'obstinent à concentrer tout le mystère du mal dans la luxure - dont on se souvient ne figure pas du tout en première place, mais même pas à la seconde, aux troisième et quatrième [Voir. Catéchisme non. 1866] ―, indépendamment du fait que les pires péchés vont tout le monde et la rigueur de sa ceinture à la hausse, pas au lieu de sa ceinture tomber, comme je l'ai écrit sur un ton ironique mais théologiquement très sérieux il y a des années dans mon livre Et Satan est devenu trinitaire, expliquant dans un de mes livres 2011 comment le sixième commandement a souvent été exagéré au-delà de toute mesure, oubliant souvent tous les péchés les plus graves et les plus graves contre la charité.
Si alors tout ça est filtré à travers des émotions fidéistes - comme si un sujet aussi délicat et centré sur les sphères les plus complexes de la dogmatique était une sorte de base de supporters opposés composée de supporters de la Lazio et de supporters de la Roma -, dans ce cas, on peut tomber dans une véritable idolâtrie mariale ou dans ce qu'on appelle la mariolâtrie., soit: pur paganisme. À ce stade, Marie pourrait facilement prendre le nom de n'importe quelle déesse de l'Olympe grec ou du Panthéon romain..
Les supporters de réseaux sociaux de co-rédemption de la Sainte Vierge affirment comme une sorte de preuve incontestable que c'est Marie elle-même qui a demandé la proclamation de ce cinquième dogme marial (cf.. parmi de nombreux articles, QUI). Quelque chose dont ils disent qu'il n'y a pas de discussion, la Sainte Vierge elle-même l'aurait demandé lors de son apparition à Amsterdam à Ida Peerdeman. Étant donné qu'aucune apparition mariale, y compris ceux reconnus authentiques par l'Église, Fatima incluse, cela peut être l'objet et la matière contraignante de la foi; étant donné aussi que les locutions de certains voyants le sont encore moins, on ne peut que sourire de certaines plaisanteries de théologiens amateurs qui rendent certains sujets difficiles à gérer pour nous prêtres et surtout pour nous théologiens, précisément parce que leur arrogance va de pair avec leur ignorance qui les amène à traiter un tel sujet comme s'il s'agissait réellement d'un échange houleux entre supporters de la Lazio et supporters de la Roma qui se crient dessus depuis les coins opposés du stade. Même dans ce cas, la réponse est simple: est-ce que quelqu'un est vraiment prêt à croire que la Sainte Vierge, celle qui se définissait comme une « humble servante », la femme de l'amour doué, silence et confidentialité, celui qui a pour but de conduire à Christ, peut vraiment demander à certains voyants ou visionnaires d'être proclamés co-rédempteur et mis presque à égalité avec le Divin Rédempteur? On pourrait raisonnablement demander: depuis quand, l'"humble serviteur" de magnificat, elle deviendrait si prétentieuse et vaniteuse qu'elle demanderait et revendiquerait le titre de co-rédempteur?
Enfin, le voici “preuve de preuve”: «Plusieurs Souverains Pontifes ont utilisé le terme de co-rédempteur», Cela dit, voici la liste de leurs différents discours, bien que tout démontre exactement le contraire de ce que les fans de co-rédemption aimeraient vivre. Il est vrai que le Souverain Pontife Jean-Paul II, dans un discours du 8 septembre 1982, il a déclaré:
« Maria, mais il a conçu et né sans la tache du péché, participé à une merveilleuse façon dans les souffrances de son divin Fils, être co-rédempteur de l'humanité".
Cependant, cette expression démontre exactement le contraire sur le plan théologique et mariologique. Clarifions pourquoi: dès lors, à la suite de Jean-Paul II - qui fut sans aucun doute un Pontife d'une profonde dévotion mariale -, il en avait d'autres avant lui 23 années de Pontificat. Comment venir, dans cette longue période, ainsi que de ne pas proclamer le cinquième dogme marial de la co-rédemption de Marie, il a catégoriquement rejeté la demande, quand on lui a présenté deux fois? Il l'a rejetée parce qu'entre 1962 et le 1965, le jeune évêque Karol Woytila était une figure participante et active du Concile Vatican II qui, dans l'une de ses constitutions dogmatiques, a clarifié comment Marie avait « coopéré d'une manière unique à l'œuvre du Sauveur » (La lumière, 61). Affirmation introduite par l'article précédent où il est précisé que la seule médiation du Rédempteur «n'exclut pas, mais il suscite chez les créatures une coopération variée à laquelle participe une source unique. (La lumière 60; CCC 970). Et la coopération la plus élevée et la plus extraordinaire fut celle de la Vierge Marie.. Cela devrait suffire pour comprendre que les Souverains Pontifes, lorsqu'ils recouraient parfois au terme de co-rédempteur dans leurs discours, jamais dans les encycliques ou les actes solennels du magistère suprême, ils entendaient exprimer avec lui le concept de la coopération de Marie au mystère du salut et de la rédemption.
Le terme même de co-rédemption c'est en soi une absurdité théologique qui crée d'énormes conflits avec la christologie et le mystère de la rédemption provoqué uniquement par Dieu, le Verbe incarné., qui n'a pas besoin de co-rédempteurs et de co-rédempteurs, il l'a répété trois fois, Dans le 2019, 2020 e 2021 ainsi que le Souverain Pontife François:
«[...] Fidèle à son Maître, qui est son fils, le seul Rédempteur, il n'a jamais voulu prendre quelque chose de son Fils pour lui. Elle ne s'est jamais présentée comme co-rédemptrice. Non, Discepola. Et il y a un Saint-Père qui dit que le fait d'être disciple vaut plus que la maternité.. Questions des théologiens, mais un disciple. Il n'a jamais rien volé à son fils pour lui-même, elle l'a servi parce qu'elle est mère, donne la vie dans la plénitude des temps à ce Fils né d'une femme (cf.. Homélie de 12 décembre 2019, texte intégral QUI) [...] Notre-Dame n'a voulu retirer aucun titre à Jésus; elle a reçu le don d'être sa Mère et le devoir de nous accompagner en tant que Mère, être notre mère. Elle ne s'est pas demandée d'être une quasi-rédemptrice ou une co-rédemptrice: non. Le Rédempteur n'est qu'un et ce titre n'est pas doublé. Seule disciple et Mère (cf.. Homélie de 3 avril 2020, texte intégral QUI) [...] la Madone qui, comme la Mère à qui Jésus nous a confiés, nous enveloppe tous; mais en tant que mère, pas comme une déesse, pas en tant que co-rédemptrice: en tant que mère. Il est vrai que la piété chrétienne lui donne toujours de beaux titres, comme un fils pour sa mère: combien de belles choses un fils dit à la mère qu'il aime! Mais soyons prudents: les belles choses que l'Église et les saints disent de Marie n'enlèvent rien à l'unicité rédemptrice du Christ. Il est le seul Rédempteur. Ce sont des expressions d'amour comme un fils à sa mère, parfois exagéré. Mais l'amour, nous savons, nous fait toujours faire des choses exagérées, mais avec amour" (cf.. Audition de 24 mars 2021, texte intégral QUI).
Le mystère de la rédemption il ne fait qu'un avec le mystère de la croix, sur lequel Dieu a fait l'homme est mort comme un agneau sacrificiel. Sur la croix, la Bienheureuse Vierge Marie n'a pas été clouée à mort comme un agneau sacrificiel, qu'à la fin de sa vie, elle s'est endormie et a été élevée au ciel, elle ne mourut pas et ressuscita le troisième jour, vainquant la mort. La Sainte Vierge, première créature de toute la création au-dessus de tous les saints pour sa pureté immaculée, il ne pardonne pas nos péchés et ne nous rachète pas, il intercède pour la rémission de nos péchés et pour notre rédemption. Donc s'il ne nous rachète pas, parce que nous tenons à dogmatiser un titre visant à définir solennellement ce qui nous co-rachète?
De nombreux adeptes de la co-rédemption sont susceptibles n'ai jamais prêté attention aux invocations des Litanies de Lorette, qui n'étaient certainement pas l'œuvre d'un pontife récent sentant le modernisme, comme diraient certains, ils furent ajoutés à la récitation du Saint Rosaire par le Saint Pontife Pie V après la victoire de la Sainte Ligue à Lépante en 1571, bien que déjà utilisé depuis plusieurs décennies dans le Sanctuaire de la Maison de Lorette, d'où ils tirent leur nom. Il suffirait pourtant de poser cette question: comment venir, quand au début de ces litanies Dieu le Père est invoqué, Dieu le Fils et Dieu le Saint-Esprit, Disons "Ayez pitié de nous» (ayez pitié de nous)? Alors qu'on commence tout juste, avec l'invocation Sainte Marie, énoncer tous les titres de la Sainte Vierge, à partir de ce moment on dit «Priez pour nous» (Priez pour nous)? Simple: parce que Dieu le Père qui nous a créés et qui s'est donné à l'humanité par l'incarnation de la Parole de Dieu fait homme, Jésus Christ, qui apporta alors le Saint-Esprit qui « procède du Père et du Fils », avec une miséricorde compatissante, ils accordent la grâce du pardon des péchés par une action trinitaire du Dieu trinitaire, la Vierge Marie ne le fait pas, il ne nous pardonne pas nos péchés et ne les pardonne pas, parce que dans l'économie du salut son rôle est celui d'intercession. C'est la raison pourquoi, quand nous nous tournons vers elle par la prière, à la fois dans le Avé Maria que dans Salut Regina, toujours, tout au long de l'histoire et de la tradition de l'Église, nous l'invoquons en disant "priez pour nous, pécheurs"., nous ne lui demandons pas de pardonner nos péchés ou de nous sauver (cf.. Mon article précédent, QUI). Cela seul devrait suffire et faire comprendre que le terme co-rédempteur lui-même est une grossière contradiction sur le plan théologique., malheureusement suffisamment pour rendre grossiers les théologiens qui insistent pour appeler à la proclamation de ce cinquième dogme marial., charger et utiliser comme éventails des franges de fidèles, dont la plupart présentent des lacunes profondes et sérieuses dans les fondements du Catéchisme de l'Église catholique.
La personne de la Vierge Marie, la Mère de Jésus, il est regardé et indiqué avec une profondeur théologique qui le place en relation étroite avec la mission de son Fils et uni à nous, disciples., parce que c'est son rôle que les Évangiles ont voulu communiquer et rappeler, le tout avec tout le respect que je dois à ceux qui prétendent, parfois même avec arrogance, reléguer la Femme de magnificat dans un microcosme de dévotions émotionnelles qui révèlent souvent même le fumus du néo-paganisme. Le Souverain Pontife François a donc raison, qu'avec son style très simple et direct, parfois même délibérément provocateur et pour certains même irritant, mais c'est précisément pour cette raison qu'il est capable de se faire comprendre de tous, il a précisé que Maria «[...] il n'a jamais voulu prendre quelque chose de son Fils pour lui. Elle ne s'est jamais présentée comme co-rédemptrice". Et elle ne s'est pas présentée comme telle parce que Marie est la Femme de magnificat: «Il regarda l'humilité de son serviteur, désormais toutes les générations me diront bienheureuse"; béni parce que je suis devenu serviteur, certainement pas pourquoi j'ai demandé, à un voyant dément, être proclamée co-rédemptrice.
de l'île de Patmos, 3 février 2024
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Seul Jésus pouvait être assez bon et miséricordieux pour guérir et guérir une belle-mère
/dans homélie/par moine ermiteSOLO GESÙ POTEVA ESSERE COSI BUONO E MISERICORDIOSO DA CURARE E GUARIRE UNA SUOCERA
«La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Il s'est approché et lui a fait se lever la main; la fièvre l'a quittée et elle les a servis. Le soir est venu, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta».
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.https://youtu.be/4fP7neCJapw.
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La pericope del Vangelo di questa V Domenica del Tempo Ordinario ci racconta ancora della giornata-tipo di Gesù a Cafarnao.
« À ce moment-là, Jésus, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Il s'est approché et lui a fait se lever la main; la fièvre l'a quittée et elle les a servis. Le soir est venu, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni». (Mc 1,29-39)
Se l’utilizzo frequente in Marco dell’avverbio «subito» è servito ad accelerare il tempo narrativo, evidenziando la fretta di Gesù riguardo l’annuncio del regno; nel brano odierno, anche i luoghi qui sono presi in considerazione, come uno spazio che tende ad allargarsi sempre di più. Il movimento del racconto passa infatti dalla sinagoga della cittadina sul lago (Mc 1,29) alla casa di Pietro, poi ancora dalla casa alla strada aperta davanti alla porta del cortile della casa di Pietro (v. 33), da una città ai villaggi vicini (v. 38); enfin, dai villaggi fino a «tutta la Galilea» (v. 39). Come se tutto lo spazio, velocemente, debba essere occupato da Gesù, dal suo annuncio e dalle sue opere.
I personaggi del racconto sono i discepoli più vicini a Gesù, la suocera di Simone e soprattutto i malati. Sono questi ad impadronirsi della scena. Essi si possono trovare già dove arriva Gesù, come la suocera di Pietro, oppure vengono portati a lui; altri ancora lo cercano spontaneamente sin dall’alba, quando egli sta pregando. La malattia incornicia il nostro brano: che si tratti di una febbre o di una sofferenza più profonda, spirituale o fisica (come quella causata dagli spiriti impuri del v. 39), il vocabolario del campo semantico dell’infermità costella il racconto ed è presente in modo consistente, includendo tutta la narrazione.
«E subito gli parlarono di lei». La sollecitudine verso questa donna anziana colpisce, perché manifesta un’attenzione verso i fragili e la fede nella presenza di Gesù. La donna anziana e febbricitante non viene nascosta al Maestro come fosse un problema o qualcuno di cui vergognarsi, per cui non varrebbe la pena disturbare. Il fatto che i discepoli parlino subito della suocera di Pietro a Gesù mostra che quella donna era per loro una priorità. Non ne chiedono la guarigione, non sfruttano la presenza del Maestro ai loro fini, semplicemente indicano la donna malata: questa persona per loro è importante. Da questo si può capire il senso e il valore dell’intercessione come del parlare a favore di qualcuno. Gesù lo apprezza, tanto che fa subito qualcosa: le tende la mano, la solleva e poi la guarisce dalla sua malattia. Gesù vuol essere disturbato dai malati. Gesù apprezza e ammira l’intercessione a favore dei malati, come nel caso del centurione che intercede per il suo servo malato (Lc 7,1-10).
Il tema della malattia, dicevamo, percorre tutto il testo marciano. La sofferenza tocca ogni uomo, ma «sperimentando nella malattia la propria impotenza, l’uomo di fede riconosce di essere radicalmente bisognoso di salvezza. Si accetta come creatura povera e limitata. Si affida totalmente a Dio. Imita Gesù Cristo e lo sente personalmente vicino» (Catechismo degli Adulti, La vérité vous libèrera, 1021). È la «conversione» alla quale sono chiamati i malati sanati da Gesù, plutôt, alla quale siamo chiamati tutti noi.
Scopriamo così un altro senso delle prime parole di Gesù nel Vangelo di Marco: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15). Il tempo e lo spazio, ma anche gli uomini e le donne sono toccati dalla pienezza della presenza di Dio e il regno è quella realtà in cui è possibile l’incontro con Gesù. Gesù non compie solo attività terapeutiche, perché i suoi gesti sono accompagnati da parole, da insegnamenti. In effetti si tratta di segni per dire che il regno è vicino: i miracoli annunciano e inaugurano il regno di Dio e corrispondono alle attese di Israele, dove si credeva che il Messia sarebbe venuto con capacità taumaturgiche. Per questo motivo l’annuncio che «il regno è vicino» è complementare alla parola «convertitevi e credete al vangelo», perché le folle che accorrono da Gesù, davanti a questi gesti divini, sono chiamate a credere e a convertirsi. Se questo non accade, i miracoli non servono, come spiega Matteo in un altro passo: «Allora si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, parce qu'ils ne se sont pas repentis: Malheur à vous, Chorazin! Malheur à vous, Bethsaïde. pouquoi, si Tyr et de Sidon, ils avaient été fait les miracles qui ont été faits parmi vous, ils se sont repentis depuis longtemps, ravvolte nel cilicio e nella cenere» (Mont 11,20-21). La guarigione più grande che Dio può operare è quella dalla nostra incredulità.
Pour terminer, forse collegato a ciò che abbiamo appena detto, notiamo la piccola discrepanza fra i «tutti» che accorrono a Gesù per essere sanati (vv. 32.33.37) e i «molti» che invece, effectivement, sono guariti: «Guarì molti che erano afflitti da varie malattie» (v. 34). Ce, Mais, viene superata dal vocabolario della risurrezione usato da Marco. Infatti il verbo che Marco adopera per narrare la guarigione della suocera di Pietro — «la sollevò» del v. 31) — è molto importante nel Nuovo Testamento, perché non ricorre soltanto nei contesti delle guarigioni (Mc 2,9.11; 5,41; 9,27), ma soprattutto nel racconto della risurrezione di Lazzaro (Gv 12,1.9) e di Cristo (ad es.: À 3,15; Rm 10,9). Come Gesù è stato capace di sollevare la suocera di Simone, così sarà capace di dare la vita ai morti, à tout le monde. Si chiarisce allora la strada che vuol farci percorrere Marco per arrivare a conoscere chi è Gesù. Colui che nell’apertura del Vangelo viene definito come «Figlio di Dio» (Mc 1,1), come il Battezzatore nello Spirito Santo (v. 8), come il «Figlio prediletto» (v. 11) è finalmente svelato nel suo essere nei confronti degli uomini: è colui che è «venuto» («uscito», au sens propre, dal verbo exérchomai; cf.. v. 38) agli uomini perché lo ascoltino e siano guariti dalle loro infermità.
Il racconto della giornata di Gesù prosegue col riposo, ma poi «al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!» (Mc 1,35-37). Non sappiamo a quale luogo deserto possa riferirsi l’evangelista, ma certo non doveva essere distante dal lago. Marco ha già accennato alla preghiera di Gesù, nella forma celebrata in sinagoga. Questa preghiera mattutina e personale, come apprendiamo anche da altre tradizioni evangeliche, sembra essere il modo in cui il Signore riconduce tutto al Padre: quello che ha vissuto dalla sera precedente, quello che lo aspetterà nel giorno che continua. Così Gesù insegna ai discepoli che la preghiera è indispensabile per fare unità nella propria vita.
De l'Ermitage, 4 février 2024
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Un bon prêtre l'est s'il attend la fin de son mandat pour louer son Evêque.: Andréa Turazzi, à partir d'aujourd'hui évêque émérite du diocèse de Saint-Marin-Montefeltro
/dans Actualité/par père arielUN BON PRÊTRE EST TEL SI POUR LOUER SON ÉVÊQUE IL ATTEND LA FIN DE SON MANDAT ÉPISCOPAL: ANDREA TURAZZI, D'AUJOURD'HUI ÉVÊQUE ÉMÉRITE DU DIOCÈSE DE SAINT-MARIN-MONTEFELTRO
«Vénérable Évêque, Je veux que tu saches que pendant ton épiscopat tu m'as donné les dix meilleures années de mon sacerdoce, c'est quelque chose pour lequel je vous serai toujours profondément reconnaissant"
- Nouvelles de l'Église -
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A partir d'aujourd'hui S.E.. Mons. Andréa Turazzi il est évêque émérite de Saint-Marin-Montefeltro, mon diocèse d'appartenance.
Mon évêque depuis un an, après m'avoir rencontré, il m'a dit en ce mois de mai lointain 2015: «Tu es né pour être chasseur et je suis né pour être vétérinaire». Il m'a souri tendrement et a continué: «L'Église a besoin de chasseurs et de vétérinaires, s'il te plaît, ne tire pas avec une chevrotine lourde, si quoi que ce soit, utilisez des granulés plus petits".
Pour un prêtre, ne pas aimer un évêque qui se présente ainsi est impossible. Et j'ai aimé mon évêque, même si je ne l'ai jamais dit publiquement, parce que cela n'aurait pas été approprié et prudent.
L'année dernière, alors qu'une polémique faisait rage dans laquelle j'avais directement plongé en soutane sans même me déshabiller et enfiler mon maillot de bain, il m'a dit: "Je ne remets pas en question tes raisons, impeccable sur le plan doctrinal et théologique, Je vous demande juste d'essayer d'être un peu plus modéré.". Après m'avoir adressé cette invitation, il a ajouté: "Bien sûr, personne ne peut dire que tu manques de courage, peut-être que tu en as même trop. Pour cela, je n'ai pas envie de m'adresser à toi d'une manière ou d'une autre, car telle est votre nature et le caractère que Dieu vous a donné, personne ne peut te demander d'être différent de ce que tu es, Je vous demande seulement un peu de modération dans la polémique légitime, rien de plus".
Comme toujours je l'ai écouté. Et quelques jours plus tard je lui ai envoyé un message privé dans lequel je le remerciais en ces termes: «Vénérable Évêque, Je veux que tu saches que pendant ton épiscopat tu m'as donné les dix meilleures années de mon sacerdoce, c'est quelque chose pour lequel je vous serai toujours profondément reconnaissant".
Si je dois utiliser ces mots d'affection c'est quelqu'un comme moi, que je n'ai pas hésité à qualifier publiquement de criminel un cardinal puissant, affirmant que j'aurais préféré avoir affaire à ceux de la Banda della Magliana plutôt qu'à lui et ses sbires (cf.. QUI), cela signifie que j'ai eu la grâce d'avoir comme Evêque un authentique homme de Dieu et un véritable modèle de Pasteur dans le soin des âmes, chose de plus en plus rare en ces tristes temps que vit l'Église universelle. Dans sa vie et dans son gouvernement épiscopal, mon évêque a été un modèle élevé et une réalisation vivante de l'enseignement des Pères de l'Église qui exhortent:
«Tous les prêtres, en union avec les évêques, ils participent au même et unique sacerdoce et ministère du Christ, de telle sorte que la même unité de consécration et de mission requiert la communion hiérarchique des prêtres avec l'ordre des évêques […] Les évêques donc, grâce au don du Saint-Esprit accordé aux prêtres dans l'ordination sacrée, ils ont en eux les collaborateurs et conseillers nécessaires au ministère et dans la fonction d'instruire, sanctifier et gouverner le peuple de Dieu […] Pour cette participation commune au même sacerdoce et au même ministère, les évêques devraient donc considérer les prêtres comme des frères et des amis, et prends soin d'eux, dans tout ce qu'ils peuvent, leur bien-être matériel et surtout spirituel" (Voir. Par décret des Presbytres de l'Ordre, n. 7).
Seulement maintenant qui n'a plus le pouvoir de gouvernance pastorale sur le diocèse et sur moi, Je peux dire publiquement à quel point je l'ai vénéré, apprécié et aimé mon évêque. Et comme ce n'était pas du tout difficile pour moi, avec un évêque comme ça, mettre en pratique cette exhortation des Pères de l'Église:
«Je presbiteri, pour leur part, en gardant à l'esprit la plénitude du sacrement de l'ordre dont jouissent les évêques, qu'ils vénèrent en eux l'autorité du Christ, le berger suprême. Qu'ils s'unissent donc à leur évêque avec une charité et une obéissance sincères.. Cette obéissance sacerdotale, imprégné par l’esprit de collaboration, il repose sur la même participation du ministère épiscopal, conféré aux prêtres par le sacrement de l'ordre et la mission canonique" (Voir. Par décret des Presbytres de l'Ordre, n. 7).
À l'évêque Le respect filial et l'obéissance dévouée sont dus par le prêtre, Nous le promettons solennellement le jour où nous recevrons la consécration sacerdotale. Et j'ai respecté et obéi à mon évêque, parce que c'était à cause de lui. Ensuite, je l'ai aussi respecté et aimé, mais pas parce que c'était dû à lui, parce que ni l'estime ni l'amour ne sont dus à aucun évêque en tant que tel; si je les versais sur lui, c'est parce qu'il les méritait profondément.
Désolé pour les frères prêtres et ça fait mal croyants du Christ de ce diocèse de Feretra que le mandat de l'évêque n'a pas été prolongé. On crierait presque au « gaspillage ».!» devant un homme de 75 années en parfaite santé physique, doté de toutes les forces humaines et spirituelles nécessaires, de connaissance et de sagesse. Mais d'autre part, la Rome de « l'Église-hôpital de campagne » et des « banlieues existentielles » semble y être habituée, aujourd'hui encore plus qu'hier, décider des cartes sèches, surtout lorsqu'il s'agit des "banlieues" tant vantées.
Je ne sais pas qui est son successeur parce que je ne le connais pas, Je sais seulement qu'il s'appelle Domenico Beneventi, 49 années, prêtre du diocèse d'Acerenza, un diocèse particulièrement cher au cardinal Crescenzio Sepe, très actif et travailleur ces derniers temps dans la présentation de nouveaux candidats aptes à l'épiscopat. Désormais, je souhaite que le nouvel évêque élu soit non seulement respecté et obéi, comme ce qui lui est dû par lien sacramentel; Je souhaite également qu'il soit aimé et estimé comme l'était son prédécesseur.. Mais l’amour et l’estime du clergé et des fidèles doivent se mériter au prix fort., souvent même au prix de larmes et de sang, précisément parce que ce ne sont pas des choses nécessaires. C'est le travail le plus dur pour un évêque, ce qui ne se traduit toujours en succès que chez d'authentiques hommes de Dieu, prêt à se conformer au mystère de la Croix du Christ Seigneur.
de l'île de Patmos, 3 février 2024
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