L'Église est la fille des premiers disciples hésitants

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

LA CHIESA È FIGLIA DEI PRIMI DISCEPOLI TITUBANTI

Le persone possono apprezzare molto la religione, mais ensuite ils viennent rarement à la foi. A l'occasion de Pâques, nous avons vu, moltiplicate dai social, manifestazioni religiose della tradizione popolare che chiamiamo “sacre” e che giocano molto sul filo dell’emozione e del sentimento, ma approdano poi davvero a Gesù Cristo e alla sua Parola?

 

 

 

 

 

 

 

 

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.https://youtu.be/4fP7neCJapw.

Il Vangelo di questa Terza Domenica di Pasqua racconta l’ultima apparizione di Gesù Risorto, secondo il piano narrativo del Vangelo di Luca. Siamo tra la scena di Emmaus e quella dell’ascensione e Gesù si mostra ai discepoli che hanno appena ascoltato ciò che due viandanti hanno riferito loro. Ecco il brano:

Risurrezione, opera di Quirino De SIERE, 1996

« À ce moment-là, [les deux disciples revenus d'Emmaüs] narravano [aux Onze et à ceux qui étaient avec eux] ce qui s'était passé en cours de route et comment ils ont reconnu [Jésus] nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: "Que la paix soit avec toi!”. Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Parce que tu es bouleversé, et pourquoi des doutes surgissent dans ton cœur? Regarde mes mains et mes pieds: C'est vraiment moi! Touche moi et vois; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho”. En disant ça, il leur a montré ses mains et ses pieds. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, il a dit: «Vous avez ici quelque chose à manger?”. Ils lui ont offert une portion de poisson rôti; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: “Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”. Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Il est donc écrit: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, au départ de Jérusalem. Vous en êtes témoins "". (Lc 24,35-48).

Sempre nel medesimo giorno, «il primo della settimana» (Lc 24,1), ma stavolta di sera, due discepoli tornati a Gerusalemme sono nella camera alta (cf.. Lc 22,12; Mc 14,15), a raccontare agli Undici e agli altri «come hanno riconosciuto Gesù nello spezzare il pane» (Lc 24,35). Ed ecco che, tout à coup, si accorgono che Gesù è in mezzo a loro e fa udire la sua voce. Non rivolge loro parole di rimprovero per come si sono comportati nelle ore della sua passione. Il fatto di menzionare che adesso sono in undici e non più dodici, come quando li aveva scelti, dice molto del loro stato d’animo. Piuttosto si rivolge loro così: «εἰρήνη ὑμῖν! (Que la paix soit avec toi!)»; un saluto all’apparenza abituale fra ebrei, ma che quella sera, rivolto a discepoli profondamente scossi e turbati dagli eventi della passione e morte di Gesù, significa innanzitutto: "N'ayez pas peur!».

Le cose sembrano tornate alla normalità, ma è così davvero? La resurrezione ha radicalmente trasformato Gesù, l’ha trasfigurato, reso «altro» nell’aspetto, perché egli ormai è «entrato nella sua gloria» (Lc 24,26) e può solo essere riconosciuto dai discepoli attraverso un atto di fede. Quest’atto di fede è però difficile, fatigant: gli Undici stentano a viverlo e a metterlo in pratica. Non a caso Luca annota che i discepoli «sconvolti e pieni di paura, credono di vedere uno spirito» (πνεῦμα θεωρεῖν), allo stesso modo che i discepoli di Emmaus credevano di vedere un pellegrino o Maddalena un giardiniere. In particolare il corpo di Gesù è cambiato, è ormai risorto, glorieux. Ci potremmo chiedere, en fait, come mai con un evento tanto grande come una risurrezione da morte il corpo del Signore non sia uscito dal sepolcro riparato, ma conservi i segni evidenti della passione. Gesù interroga i discepoli:

«Perché siete turbati, et pourquoi des doutes surgissent dans ton cœur? Regarde mes mains et mes pieds: C'est vraiment moi! Touche moi et vois; uno spirito non ha carne e ossa, come vedete che io ho».

Nel dire questo, mostra loro le mani e i piedi con i segni della crocifissione. Il Risorto non è altro che colui che è stato crocifisso. Questa ostensione da parte di Gesù delle sue mani e dei suoi piedi trafitti per la crocifissione è un gesto che secondo alcuni sta a significare che ormai è possibile incontrare il Signore nei sofferenti, nei poveri e nei disprezzati che subiscono ingiustizie. Cela est vrai, ma è anche innanzitutto una domanda di fede che si basa su segni evidenti che rimandano a tutto quello che Gesù è stato e al significato di quello che ha subito: la resurrezione di Gesù non è un mito religioso, è un fatto reale, physicien.

À cause de ce, paradoxalement, dobbiamo essere grati alla ritrosia dei discepoli conservata nei Vangeli. Nonostante le parole e il gesto di Gesù i discepoli non arrivano a credere, malgrado l’emozione gioiosa non giungono alla fede. Non è forse l’esperienza che ancora si perpetua nelle nostre comunità? Le persone possono apprezzare molto la religione, mais ensuite ils viennent rarement à la foi. A l'occasion de Pâques, nous avons vu, moltiplicate dai social, manifestazioni religiose della tradizione popolare che chiamiamo “sacre” e che giocano molto sul filo dell’emozione e del sentimento, ma approdano poi davvero a Gesù Cristo e alla sua Parola? In ciò che accadde agli Undici possiamo leggere la vicenda delle nostre comunità, nelle quali si vive la fede e la si confessa, ma si manifesta anche l’incredulità. Eppure il Risorto ha grande pazienza, per questo offre alla sua comunità una seconda parola e un secondo gesto.

Egli non risponde ai dubbi ― «perché sorgono dubbi nel vostro cuore?», Lc 24,38 ― nel modo che ci aspetteremmo, ma si pone piuttosto su un altro piano, quello dell’incontro, e, cosa ancor più significativa, nella forma della convivialità. Gesù mangia coi suoi, come aveva abitualmente fatto nella sua vita terrena. Au contraire, questa volta è lui stesso a dire: «Avete qualcosa da mangiare?» (Lc 24,41). Ci sorprende un gesto così semplice, quotidiano e normale, che tante volte Gesù ha compiuto. Au contraire, sembra proprio il gesto del mendicante che chiede del cibo e lo cerca umilmente entrando in casa, proprio mentre gli altri sono già a tavola. Con la medesima discrezione che avevamo visto nell’episodio di Emmaus. Jésus, si dirà nel libro dell’Apocalisse, è colui che sta alla porta e bussa: «Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, Je viendrai, Je souperai avec lui et lui avec moi " (App 3,20).

Ma evidentemente c’è di più. Gesù mangia davanti a loro non perché ci sia una causa da continuare e il pasto diventa, come in occasione dei funerali, un modo per attenuare il dolore del distacco e rinsaldare la memoria di chi non c’è più. Gesù offre dei segni e compie dei gesti perché si creda che egli è veramente Risorto e che il suo corpo crocifisso è ora un corpo vivente, «un corpo spirituale» (1Cor 15,44), cioè vivente nello Spirito, dirà l’Apostolo Paolo. È per questo che ancora oggi la Chiesa incontra il Risorto nei Sacramenti e in particolare nella celebrazione eucaristica.

Les disciples, narra il Vangelo, restano in silenzio, muti, sopraffatti dalle emozioni della gioia e del timore, che insieme non ce la fanno ad accendere la luce della fede pasquale. Luca scriverà in seguito, all’inizio degli Atti degli apostoli, che Gesù «si presentò vivente ai suoi discepoli… con molte prove» (À 1,3). Allora Gesù, per renderli finalmente credenti chiede di ricordare le parole dette mentre era con loro e soprattutto come doveva trovare compimento tutto ciò che era stato scritto su di lui, le Messie, nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi, cioè nelle sante Scritture dell’Antica Alleanza. Quest’azione ermeneutica compiuta dal Risorto che noi riviviamo ogni domenica nell’Eucarestia è descritta dalle parole: «Aprì loro la mente (diénoixen autôn tòn noûn) per comprendere le Scritture».

Il verbo qui utilizzato (dianoígo) nei Vangeli ha il senso di «aprire e mettere in comunicazione». Così sono aperti gli orecchi dei sordi, la bocca dei muti (cf.. Mc 7,34) e gli occhi ciechi dei discepoli di Emmaus (Lc 24,31). In questa circostanza indica l’operazione compiuta dal Risorto che come un esegeta aiuta i discepoli a capire che le Scritture parlavano di lui. Non aveva forse conversato con Mosè ed Elia proprio su quell’esodo pasquale che doveva compiersi a Gerusalemme (Lc 9,30-31)?

La Chiesa è figlia di quei primi discepoli titubanti ai quali Gesù subito fa questa promessa: « Et voici, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto» (Lc 24,49). Grazie al dono e alla forza dello Spirito del Risorto ancora oggi i discepoli ascoltano la Scrittura, sommamente nella Liturgia, che parla di Lui, si nutrono di Lui nell’Eucarestia e Lui testimoniano invitando alla conversione e al perdono che da Gerusalemme prese l’abbrivio. Da quel primo giorno i cristiani non hanno cessato di professare e poi testimoniare la loro fede condensata nel Simbolo: «Morì e fu sepolto. Le troisième jour il est ressuscité, selon les écritures (resurrexit tertia die secundum Scripturas)» (cf.. 1Cor 15,3-4).

Joyeux dimanche tout le monde!

De l'Ermitage, 14 avril 2024

 

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Grotte Saint-Ange à Ripe (Civitella del Tronto)

 

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Les Pères Patmos Island

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“Heureux sommes-nous” que même si nous n'avons pas vu, nous avons cru au Christ, vrai Dieu et vrai homme

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

“BEATI NOI” CHE PUR NON AVENDO VISTO ABBIAMO CREDUTO A CRISTO VERO DIO E VERO UOMO

Ciò che viene rimproverato a Tommaso non è di aver visto Gesù. Il rimprovero cade piuttosto sul fatto che all’inizio Tommaso si è chiuso e non ha dato credito alla testimonianza di coloro che gli dicevano di aver visto il Signore vivo. Sarebbe stato meglio per lui dare un credito iniziale ai suoi amici, nell’attesa di rifare di persona l’esperienza che loro avevano già fatto. Invece Tommaso ha quasi preteso di dettare lui le condizioni della fede.

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Il brano di questa Seconda Domenica di Pasqua, o detta anche della Divina Misericordia, è l’ultimo dei componimenti narrativi che terminano con la «prima» finale del Vangelo di Giovanni (vv. 30-31) e sono divisibili in quattro piccoli quadri: Maria Maddalena che si reca al sepolcro; dopo di che sono Pietro e l’altro discepolo che vanno alla tomba; quindi Maria Maddalena incontra il Signore e crede sia il giardiniere; enfin, l’ultimo quadro, vede come protagonisti i discepoli e Tommaso.

Incredulità di San Tommaso, opera di Michelangelo Merisi detto Caravaggio, Bildegalerie

Il testo evangelico è il seguente:

«La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, Jésus est venu, stette in mezzo e disse loro: "Que la paix soit avec toi!”. A dit ceci, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: "Que la paix soit avec toi! Comme le Père m'a envoyé, Je t'envoie aussi ". A dit ceci, il a soufflé et leur a dit: «Recevez le Saint-Esprit. À ceux à qui tu pardonneras les péchés, sera pardonné; à ceux que tu ne pardonneras pas, non saranno perdonati”. Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, derrière des portes closes, stette in mezzo e disse: "Que la paix soit avec toi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”. Gli rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Jésus lui a dit: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Jésus, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, le Fils de Dieu, et pourquoi, croire, avoir la vie en son nom" (Gv 20,19-31).

Anche un lettore disattento si accorge che in questo testo sono assemblate così tante tematiche che sarebbe veramente pretenzioso raccoglierle in un unico e breve commento. Si pensi all’indicazione temporale, quel primo giorno della settimana che scandirà per sempre la memoria liturgica della Risurrezione di Gesù per i cristiani. Ci sono poi i tre doni della pace, della missione e del perdono che scaturiscono dal Risorto che sta «in mezzo» ai discepoli e ne provano gioia. Si pensi al tema del «vedere» che diviene sinonimo di credere, nella sequenza che ha come protagonista Tommaso.

C’è anche il dono dello Spirito da parte di Gesù. Il modo in cui il Quarto Vangelo ne parla è unico in tutto il Nuovo Testamento. Solo Giovanni, en fait, e solo qui al versetto 22, dice che Gesù «soffiò» sui discepoli. Viene usato un verbo, emphysao, «insufflare, alitare», utilizzato per la prima volta nel libro della Genesi, durante il racconto della creazione dell’uomo. Tutta la realtà creata, si racconta lì, viene dalla parola di Dio, ma per fare l’uomo questa non basta: Dio deve alitare dentro le sue narici. A guardar bene, Mais, l’azione di Gesù non è solo quella di «soffiare sopra», ma indica anche il «respirare» di Gesù: perché Egli è di nuovo vivo! È la prova che non è un fantasma e infatti a lui non basta mostrare le mani e il costato: Gesù respira. Questo verbo emphysao si trova ancora altre volte nella Bibbia, ad esempio in 1Ré 17,21 e dans Ce 37,9. Nel testo di Ezechiele il popolo può risorgere solo se lo Spirito dai quattro venti viene a «soffiare» la vita sui morti.

Emerge dall’uso veterotestamentario del nostro verbo una costante che si può riallacciare al racconto di Giovanni. Questi «proclama simbolicamente che, proprio come nella prima creazione Dio alitò nell’uomo uno spirito vitale, così adesso, nel momento della nuova creazione, Gesù alita il suo proprio Spirito Santo nei discepoli, dando loro la vita eterna. Nel simbolismo battesimale di Giovanni 3,5, ai lettori del Vangelo viene detto che da acqua e Spirito essi nascono come figli di Dio; la scena presente serve da battesimo per gli immediati discepoli di Gesù e da pegno di nascita divina per tutti i credenti del futuro, rappresentati dai discepoli. C’è poco da meravigliarsi che l’usanza di alitare sopra le persone da battezzare sia entrata nel rito del battesimo. Ora essi sono veramente fratelli di Gesù e possono chiamare suo Padre loro Padre (20,17). Il dono dello Spirito è l’acme finale delle relazioni personali fra Gesù e i suoi discepoli» (R. marron).

Vi è poi l’episodio di Tommaso che è importantissimo e non a caso ha segnato non solo un modo di tradurre il Vangelo, ma soprattutto la maniera di intendere la frase di Gesù a Tommaso, in particolare nel confronto fra i cattolici e i riformati. Notiamo subito che nell’originale greco il verbo è all’aoristo (πιστεύσαντες) e anche nella versione latina era messo al passato (crediderunt): «Tu hai creduto perché hai visto» ― dice Gesù a Tommaso ― «beati coloro che senza aver visto [ossia che senza aver visto me, direttamente] hanno creduto». E l’allusione non è ai fedeli che vengono dopo, che dovrebbero «credere senza vedere», ma agli apostoli e ai discepoli che per primi hanno riconosciuto che Gesù era risorto, pur nell’esiguità dei segni visibili che lo testimoniavano. In particolare il riferimento è a Giovanni, l’altro discepolo che con Pietro era corso al sepolcro per primo (Vangelo del giorno di Pasqua). Giovanni, entrato dopo Pietro, aveva visto degli indizi, la tomba vuota e le bende rimaste vuote del corpo di Gesù senza essere sciolte e, pur nell’esiguità di tali indizi, aveva cominciato a credere. La frase di Gesù «beati quelli che pur senza aver visto [moi] hanno creduto» rinvia proprio al «vidit et credidit» riferito a Giovanni al momento del suo ingresso nel sepolcro vuoto. Riproponendo l’esempio di Giovanni a Tommaso, Gesù vuole dire che è ragionevole credere alla testimonianza di coloro che hanno visto dei segni, degli indizi della sua presenza viva. Non è dunque la richiesta di una fede cieca, ma la beatitudine promessa a coloro che in umiltà riconoscono la sua presenza a partire da segni anche esigui e danno credito alla parola di testimoni credibili. Ciò che viene rimproverato a Tommaso non è di aver visto Gesù. Il rimprovero cade piuttosto sul fatto che all’inizio Tommaso si è chiuso e non ha dato credito alla testimonianza di coloro che gli dicevano di aver visto il Signore vivo. Sarebbe stato meglio per lui dare un credito iniziale ai suoi amici, nell’attesa di rifare di persona l’esperienza che loro avevano già fatto. Invece Tommaso ha quasi preteso di dettare lui le condizioni della fede. Vi è un errore di traduzione nella versione della CEI. Quando Gesù sottopone le sue ferite alla prova empirica richiesta da Tommaso, accompagna questa offerta con un’esortazione: «E non diventare incredulo, ma diventa (γίνου) credente». Significa che Tommaso non è ancora né l’uno né l’altro. Non è ancora incredulo, ma non è nemmeno ancora un credente. La versione CEI, come molte altre, traduce invece: «E non essere incredulo, ma credente». Maintenant, nel testo originale, il verbo «diventare» suggerisce l’idea di dinamismo e di un cambiamento provocato dall’incontro col Signore vivo. Senza l’incontro con una realtà vivente non si può cominciare a credere. Solo dopo che ha visto Gesù vivo Tommaso può cominciare a diventare «credente». Invece la versione inesatta, che va per la maggiore, sostituendo il verbo essere al verbo diventare, elimina la percezione di tale movimento e sembra quasi sottintendere che la fede consista in una decisione da prendere a priori, un moto originario dello spirito umano. È un totale rovesciamento. Tommaso vede Gesù e sulla base di questa esperienza è invitato a rompere gli indugi e a diventare credente. Se al diventare si sostituisce l’essere, sembra quasi che a Tommaso sia richiesta una fede preliminare, che sola gli permetterebbe di «vedere» il Signore e accostarsi alle sue piaghe. Come vorrebbe l’idealismo, per cui è la fede a creare la realtà da credere, ma ciò è in contraddizione con tutto quello che insegnano le Scritture e la Tradizione della Chiesa. Le apparizioni a Maria di Magdala, ai discepoli e a Tommaso sono l’immagine normativa di un’esperienza che ogni credente è chiamato a fare nella Chiesa; come l’apostolo Giovanni, anche per noi il «vedere» può essere una via d’accesso al «credere». Proprio per questo continuiamo a leggere i racconti del Vangelo; per rifare l’esperienza di coloro che dal «vedere» sono passati al «credere»: si pensi alla contemplazione delle scene evangeliche e all’applicazione dei sensi a esse, secondo una lunga tradizione spirituale. Il Vangelo di Marco si chiude testimoniando che la predicazione degli apostoli non era solo un semplice racconto, ma era accompagnata da miracoli, affinché potessero confermare le loro parole con questi segni: «Allora essi partirono e annunciarono il Vangelo dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la parola con i segni che la accompagnavano» (Mc 16,20). Molti Padri della Chiesa, dall’occidentale Agostino fino all’orientale Atanasio, hanno insistito su questa permanenza dei segni visibili esteriori che accompagnano la predicazione, che non sono una concessione alla debolezza umana, ma sono connessi con la realtà stessa dell’incarnazione. Se Dio si è fatto uomo, risorto col suo vero corpo, rimane uomo per sempre e continua ad agire. Ora non vediamo il corpo glorioso del Risorto, ma possiamo vedere le opere e i segni che compie. «In manibus nostris codices, in oculis facta», dice Agostino: «nelle nostre mani i codici dei Vangeli, nei nostri occhi i fatti» (QUI). Mentre leggiamo i Vangeli, vediamo di nuovo i fatti che accadono. E Atanasio scrive nella Incarnazione del Verbo:

"Viens, essendo invisibile, si conosce in base alle opere della creazione, comme ça, una volta divenuto uomo, anche se non si vede nel corpo, dalle opere si può riconoscere che chi compie queste opere non è un uomo ma il Verbo di Dio. Se una volta morti non si è più capaci di far nulla ma la gratitudine per il defunto giunge fino alla tomba e poi cessa ― solo i vivi, en fait, agiscono e operano nei confronti degli altri uomini ― veda chi vuole e giudichi confessando la verità in base a ciò che si vede». Tutta la Tradizione conserva con fermezza il dato che la fede non si basa solo sull’ascolto, ma anche sull’esperienza di prove esteriori, come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica, citando le definizioni dogmatiche del Concilio ecumenico Vaticano I: «Nondimeno, perché l’ossequio della nostra fede fosse conforme alla ragione, Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito Santo si accompagnassero anche prove esteriori della sua rivelazione» (CCC, Non. 156).

 

De l'Ermitage, 07 mars 2024

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La peur des femmes: "Ils ont enlevé le Seigneur du tombeau et nous ne savons pas où ils l'ont mis"

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

LA PEUR DES FEMMES: «ILS ONT PRIS LE SEIGNEUR DU TOMBE ET NOUS NE SAVONS PAS OÙ ILS L'ONT PLACÉ»

Saint Augustin, avec l'acuité qui le distingue, lit honnêtement ce que disent ces paroles: "Il est entré et ne l'a pas trouvé. Il aurait dû croire qu'il était ressuscité, non pas qu'il ait été volé"

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Pendant la nuit de Pâques nous avons lu le plus ancien récit évangélique sur la résurrection de Jésus, chez Marco, aujourd'hui est proclamé le début du vingtième chapitre de Jean, probablement le dernier texte des Évangiles sur la résurrection de Jésus à être écrit. Nous sommes, de cette façon, devant une parabole qui part de ce qui est contenu et repris par Marc, c'est-à-dire un récit « pré-Marc » de la passion et de la résurrection de Jésus et qui va jusqu'à la dernière histoire, celui de Johannine, datant de la fin du premier siècle. La liturgie, en l'espace d'une seule nuit, de la Veillée pascale à la messe du jour de Pâques, il rassemble des sources et des traditions qui se sont installées sur quelques décennies et nous permet de profiter des différents points de vue des évangélistes. C'est le texte proclamé:

Salvador Dali, L'aube, 1948

«Le premier jour de la semaine, Marie-Madeleine est allée au tombeau le matin, quand il faisait encore nuit, et il vit que la pierre avait été retirée du tombeau. Il courut ensuite vers Simon Pierre et l'autre disciple., ce que Jésus aimait, et leur a dit: "Ils ont enlevé le Seigneur du tombeau et nous ne savons où ils ont jeté!». Pierre sortit alors avec l'autre disciple et ils se rendirent au tombeau.. Ils ont tous les deux couru ensemble, mais l'autre disciple courut plus vite que Pierre et arriva le premier au tombeau.. Il s'est penché, il a vu les draps posés là, mais il n'est pas entré. Pendant ce temps, Simon Pietro est également arrivé, qui l'a suivi, et il entra dans le tombeau et observa les tissus qui y étaient déposés, et le linceul - qui était sur sa tête - n'était pas placé là avec les tissus, mais enveloppé dans un endroit à part. Puis l'autre disciple entra également, qui était arrivé le premier au tombeau, et il a vu et cru. En fait, ils n'avaient pas encore compris l'Écriture, c'est-à-dire qu'il devait ressusciter des morts" (Gv 20,1-9)

En lisant ce passage une émotion profonde nous saisit, le même vécu par les premiers témoins de la Résurrection, une femme et deux disciples. Cela semble être l'intention de l'évangéliste. Nous nous attendrions, en fait, une confession mûre et convaincue sur l'événement, cependant dans notre texte nous n'avons pas encore l'annonce de Pâques, plutôt, ce que Marie-Madeleine court dire aux deux disciples, c'est: "Ils ont enlevé le Seigneur du tombeau et nous ne savons pas où ils l'ont mis". Marie, en proie à la peur et au découragement, il tient pour acquis que le corps de Jésus a été volé et son souci se concentre sur "où" le corps peut maintenant être trouvé. Le récit évangélique montre donc la genèse de la foi pascale en présentant son moment initiatique, la libération de l'étincelle qui deviendra bientôt un feu. Le voyage intérieur qui mènera au cri et à l'annonce « Il est ressuscité » passe par la conscience de l'évidence de la mort constituée par les bandages et le linceul qui enveloppaient le corps et le tombeau dans lequel il avait été déposé.. Le Saint Évangile fait que ces disciples se sentent très proches de nous, à notre chemin progressif vers une foi ferme en la Résurrection de Jésus. La pleine foi sera celle de Thomas qui dit: "Mon Seigneur et mon Dieu" (Gv 20,28); mais non sans avoir dû aussi subir la tentation de ne pas croire et de se méfier.

L'absence de foi en la Résurrection est symboliquement anticipé par la note selon laquelle "il faisait encore nuit dehors" (Gv 20,1) quand Marie-Madeleine se rendit au tombeau. Et le « ténèbres » dans le symbolisme johannique fait référence à ce qui s'oppose à la lumière. (Gv 1,5; 3,19), désigne la situation problématique des disciples en l'absence de Jésus (Gv 6,17), c'est la condition d'incertitude et de confusion dans laquelle se retrouvent errés ceux qui ne suivent pas Jésus. (Gv 8,12), qui ne croit pas en lui (Gv 12,46). En bref, nous sommes le "premier jour de la semaine" (Gv 20,1), mais l'aube ne s'est pas encore levée, nous sommes toujours dans le noir.

Dans ce contexte, l'évangéliste présente les réactions de trois disciples face au tombeau vide et en particulier la foi inchoative du disciple bien-aimé qui, après avoir vu les bandages au sol et être entré dans le tombeau vide, "a cru" (Gv 20,8), ou mieux, "il a commencé à croire" (cf.. l'aoriste ingressif: l'épistémologique et il croyait). C'est seulement ainsi que nous pouvons expliquer la note que l'évangéliste fait pour un commentaire immédiat: « Car ils n’avaient pas encore compris l’Écriture selon laquelle il devait ressusciter des morts » (Gv 20,9). Saint Augustin, avec l'acuité qui le distingue, lit honnêtement ce que disent ces paroles: "Il est entré et ne l'a pas trouvé. Il aurait dû croire qu'il était ressuscité, non pas qu'il ait été volé" (cf.. QUI). La foi pascale ne naît pas de la simple observation d’un tombeau vide: cela peut aussi conduire à l'hypothèse du vol du corps. Les faits doivent être comparés aux paroles de l'Écriture et éclairés par celle-ci.. Alors seulement ils donneront vie à la foi pascale. Une foi qui trouvera sa plénitude avec le don de l'Esprit qui illumine les esprits, les ouvrant à la compréhension des Écritures, comme ce fut le cas pour les disciples d'Emmaüs (cf.. Lc 24,45), pouquoi: "Quand il arrive, l'Esprit de vérité, te guidera vers toute la vérité » (Gv 16, 13).

En fait, la résurrection est un événement inouï, impensable et déconcertant. Paul en saura quelque chose lorsqu'il tentera de l'annoncer aux Athéniens. (À 17, 32). C'est la nouveauté absolue de Dieu et les disciples ne sont absolument pas préparés à l'événement.. Seul le disciple bien-aimé, précisément à cause de cette connaissance intime qui le lie à Jésus, il commence à comprendre et à faire place dans son âme à la nouveauté accomplie par Dieu.

Pourtant, il est là chez ces trois disciples l'aspect émotionnel qui les avait poussés à l'époque à tout quitter pour suivre Jésus. En Madeleine qui craint de ne plus pouvoir voir et toucher son Seigneur et pour cette raison elle court. Il court vers Pierre et le disciple bien-aimé, les deux points de référence du groupe de disciples. Et eux aussi courent à leur tour, cette fois à l'envers, retour vers le tombeau. Dès que le niveau émotionnel se déchaîne, chacun s’exprime sans faire respecter les règles du groupe.. Cependant, arrivé au tombeau, le disciple bien-aimé attend Pierre et le laisse entrer le premier., respectant la primauté établie par le Seigneur. Le niveau émotionnel et affectif de Maria (courir vers les deux disciples) et du disciple bien-aimé (qui attend Pierre et le laisse entrer le premier dans le tombeau) ils restent ordonnés et soumis à l'objectivité communautaire. Mais pour guider l’émotion et l’affectivité vers une foi pleine, il faudra l’intelligence de l’Écriture et la foi en elle., qui est le fondement inéliminable et objectivant de la foi pascale et de la vie ecclésiale.

Nous aujourd'hui qui entendons à nouveau ces mots du Saint Évangile a proclamé nous exprimons notre gratitude envers ces disciples importants qui ont voulu maintenir leur hésitation face à un événement aussi inhabituel. On les sent proches, reconnaissants pour le témoignage de foi qu'ils nous ont transmis dans les Écritures. Ils nous ont appris à ne plus chercher le Ressuscité dans le tombeau (mnémonique en grec: devenu. "Mémorial"; Gv 20 1.2.3.4.6) qui est la mémoire du cimetière, mort. Mais maintenant, vivant dans sa gloire et présent quand nous nous aimons, quand nous en sommes témoins dans les lieux de notre existence, quand nous rencontrons de la souffrance ou quand nous apportons de l'espoir. Alors que nous nous réunissons tous les dimanches, Pâques de la semaine, sans lequel nous ne pouvons plus vivre. Parce que là nous confessons non seulement nos péchés, mais on réécoute l'Écriture qui nous parle de Lui et on se nourrit de Lui, en attendant qu'Il vienne.

Je termine avec ces paroles du poète florentin Mario Luzi (1914 – 2005). Le Pape Jean-Paul II lui a demandé de commenter les stations du via Crucis au Colisée le Vendredi Saint 1999. Et c'est comme ça que ça s'est terminé:

« De la tombe, la vie a explosé. / La mort a perdu sa dure bataille. / Une nouvelle ère commence: l'homme réconcilié dans la nouvelle alliance sanctionnée par ton sang / il a le chemin devant lui. / C'est difficile de rester sur cette voie. / La porte de ton royaume est étroite. / Maintenant oui, Ô Rédempteur, que nous avons besoin de votre aide, / maintenant nous demandons votre aide, / toi, orientation et supervision, ne nous le refuse pas. / L'offense envers le monde était immense. / Ton amour était infiniment plus grand. / Nous te demandons l'amour avec amour. / Amen". (Mario Luzi, via Crucis au Colisée, 1999)

vraiment le Seigneur est ressuscité, et il apparut à Simon, alléluia!

Joyeuses Pâques à tous.

 

De l'Ermitage, 31 mars 2024

Sainte Pâques de la Résurrection

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Mieux vaut qu'un seul homme meure que qu'une nation entière périsse

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

MEGLIO MUOIA UN SOLO UOMO CHE PERISCA LA NAZIONE INTERA

Per Gesù la vera morte non è quella fisica che gli uomini possono dare, mais cela réside dans le refus de donner sa vie pour les autres, la fermeture stérile sur soi; au contraire, la vraie vie est le point culminant d'un processus de don de soi.

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Fraintendere, ovvero prendere una cosa per un’altra. Questa attività che si è diffusa ai giorni nostri contrassegnati dall’uso consistente dei social, per l’autore del Quarto Vangelo diventa un espediente letterario per mezzo del quale, utilizzando la momentanea incomprensione, il lettore è guidato verso una conoscenza ulteriore, spesso più profonda, della realtà, del mistero che vive in Gesù. Lo abbiamo visto nell’incontro fra Lui e la samaritana e prima ancora con Nicodemo, nel Vangelo di domenica scorsa. Lo ritroviamo ancora qui, nel brano evangelico di questa quinta Domenica di Quaresima. Cosa c’è di più semplice e naturale del desiderio di vedere Gesù? Non sarebbe una richiesta che anche noi porremmo ogni giorno? Eppure l’Evangelista ci dice che Egli sembra, Apparemment, non prenderla in considerazione; distratto o, mieux vaut dire, concentrato su una prova imminente, su ciò che potrebbe distoglierlo e dunque su una presentazione di sé che la semplice curiosità di vederlo potrebbe non capire. Che cosa o chi dobbiamo guardare quando desideriamo vedere Gesù?

Secondo Tempio di Gerusalemme, modello di ricostruzione, Museo dello Stato d’Israele

« À ce moment-là, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: “seigneur, vogliamo vedere Gesù”. Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. En vérité, en vérité, je vous le dis: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, il reste seul; s'il meurt à la place, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Père, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Père, glorifica il tuo nome”. Venne allora una voce dal cielo: “L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!”. La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: “Un angelo gli ha parlato”. Disse Gesù: “Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Et moi, quand je suis soulevé du sol, attirerò tutti a me”. Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire» (Gv 12, 20-33).

Per comprendere la pericope appena letta occorre far riferimento alla montante ostilità verso Gesù segnalata dalle seguenti parole che precedono il brano appena riportato:

«”Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione”. Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, il leur dit:: “Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!”. Questo però non lo disse da se stesso, maman, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo» (Gv 11, 48-53).

Nelle parole delle oppositori vi è anche la constatazione che: «Il mondo (ho kósmos) gli è andato dietro» (Gv 12,19). Dans ce contexte,, nel quale le decisioni degli avversari sono già prese, alcuni greci vogliono vedere Gesù. È un primo passo, non ancora quel vedere perfetto che fa contemplare con lo sguardo trasformato dallo Spirito il senso delle cose, tutta la profondità della realtà che farà proferire a Gesù: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,9). Questo desiderio però è positivo, di tutt’altro tenore dell’aspirazione omicida degli avversari di Gesù. Ma i greci, presenti per la Pasqua a Gerusalemme, forse simpatizzanti del monoteismo ebraico o addirittura già circoncisi, non possono entrare nella parte più interna del tempio dove probabilmente Gesù si trovava: il recinto riservato agli ebrei. A segnare questo spazio vi era infatti una balaustra di cui ci parla anche lo storico Giuseppe Flavio che riportava delle scritte, ancora oggi conservate a Gerusalemme e Istanbul, le quali recitavano in lingua greca, per essere comprese dai non ebrei:

«Nessun straniero penetri al di là della balaustra e della cinta che circonda lo hierón (la zona del Tempio riservata, n.d.r.); chi venisse preso in flagrante sarà causa a se stesso della morte che ne seguirà».

Questi che vogliono vedere Gesù si rivolgono al discepolo che porta un nome greco, Philippe, che era di una città abitata anche da molti greci e forse lui stesso parlava la loro lingua. La richiesta doveva essere singolare se lo stesso Filippo si fa aiutare ed accompagnare da uno dei primi due discepoli di Gesù, anch’egli con un nome greco: Andréa.

Ricevuta la notizia Gesù coglie il momento come un altro segnale che la sua «ora» è venuta (Venit hora), quella della sua glorificazione nella sua Pasqua (Gv 17,1). A Cana di Galilea, quando si era nella fase iniziale, Gesù ne fa menzione a sua Madre, adesso qui, au lieu, si dice espressamente che l’ora: «È giunta». E come allora gli sposi delle nozze di Cana spariscono dalla scena, anche qui i greci paiono scortesemente messi da parte, affinché emerga una rivelazione su Gesù. Stavolta non un segno, ma le sue stesse parole la palesano. La sua morte sarà feconda come accade al chicco di grano che per moltiplicarsi e dare frutto deve cadere a terra e quindi marcire, mourir, altrimenti resta sterile e solo. Accettando di marcire e morire, il chicco moltiplica la sua vita e dunque attraversa la morte e giunge alla resurrezione.

Ritorna il paradosso delle parabole che Gesù sente il bisogno di chiarire:

«Chi ama la propria vita, la perde, e chi odia la propria vita in questo mondo, la custodisce per la vita eterna».

Per Gesù la vera morte non è quella fisica che gli uomini possono dare, mais cela réside dans le refus de donner sa vie pour les autres, la fermeture stérile sur soi; au contraire, la vraie vie est le point culminant d'un processus de don de soi. La vicenda del chicco di grano è la vicenda di Gesù ma anche quella di ogni suo servo, OMS, seguendo Gesù, conoscerà la passione e la morte come il suo Signore, ma anche la resurrezione e la vita per sempre. Non sarà solo Gesù a essere glorificato dal Padre ma anche il discepolo, il servitore che, seguendo il suo Signore, diventa suo amico (Gv 15,15).

Che cosa, alors, Gesù promette di vedere? La sua passione, morte e resurrezione, la sua glorificazione, la croce come rivelazione dell’amore vissuto fino alla fine (cf.. Gv 13,1). A ogni discepolo, proveniente da Israele o dalle genti, è dato di contemplare nella sua morte ignominiosa la gloria di chi dà la vita per amore. L’Evangelista ci permette anche di gettare uno sguardo sui sentimenti più intimi vissuti da Gesù e sulla sua coscienza filiale. Come i sinottici racconteranno l’angoscia di Gesù al Getsemani (cf.. Mc 14,32-42 e par.), nel momento che precede la sua cattura, Giovanni riporta la sua confessione: «Ora l’anima mia è turbata». Egli è turbato per quel che sta per accadere, come già si era turbato e aveva pianto alla morte dell’amico Lazzaro (cf.. Gv 11,33-35). Ma questa angoscia umanissima non diventa un inciampo posto sul suo cammino: Gesù è si tentato, ma vince radicalmente la tentazione con l’adesione alla volontà del Padre. In modo diverso dai sinottici, ma concorde con loro, per Giovanni Gesù non ha voluto salvarsi da quell’ora, né esserne esentato, ma rimane fedele alla sua missione compiendo la volontà del Padre, in unione profonda con Lui, tanto che la gloria è fra loro condivisa: "Père, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora». Ritornano alla mente le parole della Lettera agli Ebrei:

«Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui (sua reverentia), venne esaudito» (Mib 5,7).

Ma l’ora di Gesù corrisponde anche al giudizio sul mondo che non conosce l’amore del Cristo e vi si oppone:

«Ora avviene il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo è gettato fuori. Et moi, quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me»

un rimando a quel serpente innalzato da Mosè (cf.. nm 21,4-9; Gv 3,14) che salvava gli israeliti. L’«ora» messianica di Gesù espelle il principe del mondo che preferisce le tenebre del male e lascerà spazio all’autentico Re che, anche se governa da una croce, attrae tutti per amore e verso il quale bisogna rivolgere uno sguardo di fede. Ecco la vera risposta a quanti volevano, e ancora oggi vogliono, «vedere Gesù».

La pagina odierna del Vangelo è la buona notizia soprattutto per tutti quei discepoli che conoscono la dinamica del cadere a terra, del «marcire» nella sofferenza, nella solitudine e nel nascondimento. In alcune ore della vita sembra che tutta la sequela si riduca solo alla passione e alla desolazione, all’abbandono e al rinnegamento da parte degli altri, ma allora più che mai occorre guardare all’immagine del chicco di grano consegnataci da Gesù; più che mai occorre rinnovare lo sguardo della fede: «Ils regarderont celui qu'ils ont percé» (Gv 19,37).

Secondo un’antica tradizione il Vescovo Ignazio di Antiochia (35 circa – Roma, 107 environ) conobbe l’apostolo San Giovanni. Non sorprende perciò ritrovare in una sua lettera indirizzata ai cristiani di Roma, dove troverà il martirio, una concordanza di termini e di vedute con il Vangelo che oggi abbiamo letto:

«Sono frumento di Dio e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo… È meglio per me morire per Gesù Cristo che estendere il mio impero fino ai confini della terra… Il principe di questo mondo vuole portarmi via e soffocare la mia aspirazione verso Dio. Ogni mio desiderio terreno é crocifisso e non c’é più in me nessuna aspirazione per le realtà materiali, ma un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: “Vieni al Padre”».

De l'Ermitage, 17 mars 2024

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Si on n'est pas né d'en haut, il ne peut pas voir le Royaume de Dieu

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

SE UNO NON NASCE DALL’ALTO, NON PUÒ VEDERE IL REGNO DI DIO

La morale giovannea è una morale della verità: «Au lieu de cela, celui qui fait la vérité vient vers la lumière, afin qu'il paraisse clairement que ses œuvres ont été faites en Dieu". Dans la prise de conscience croissante que « sans moi tu ne peux rien faire », le conseguenze dell’essere cristiano, anche a livello morale, vengono collegate in Giovanni al tema del rimanere. Il rimanere con Gesù implica come dovere a livello di coerenza, ma prima e innanzitutto come conseguenza a livello dell’essere, vivere come Gesù: «Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato».

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Poiché il Vangelo di Marco è più breve degli altri, alcuni brani del Vangelo di Giovanni concorrono a coprire tutte le domeniche dell’anno liturgico, en particulier pendant le Carême. Sono testi che aiutano a comprendere quel mistero pasquale che si celebrerà in particolare nei giorni del «Triduo». Essi anticipano temi importanti, come quello dell’innalzamento del «Figlio dell’uomo» a cui accenna il seguente brano evangelico che si proclama nella quarta domenica di Quaresima.

Henry Ossawa Tanner: Gesù e Nicodemo, huile sur toile, 1899, Pennsylvania Academy of the Fine Arts (Etats-Unis)

« À ce moment-là, Gesù disse a Nicodèmo: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, ainsi le Fils de l'homme doit être élevé, afin que quiconque croit en lui ait la vie éternelle. En effet, Dieu a tant aimé le monde qu'il a donné le Fils unique afin que quiconque croit en lui ne soit pas perdu, mais ont la vie éternelle. Je donnai, en fait, n'a pas envoyé le Fils dans le monde pour condamner le monde, mais pour que le monde soit sauvé par lui. Celui qui croit en lui n'est pas condamné; mais ceux qui ne croient pas ont déjà été condamnés, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, Il déteste la lumière, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”» (Gv 3,14-21)

Nei Sinottici, Gesù predice che dovrà soffrire molto; annuncia che «sarà schernito, flagellato e crocifisso» (Mont 20,19) e che il terzo giorno risorgerà. Giovanni, au lieu, annunciando la passione di Gesù la presenta come una «esaltazione». Lo fa nei capitoli 3 (vv. 14-15), 8 (v. 28) e 12 (v. 32). L’ultimo è il brano più esplicito: «Quando io sarò innalzato [exaltatus] da terra attirerò tutti a me». Nel versetto precedente Gesù aveva detto: «Ora è il giudizio di questo mondo, ora il principe di questo mondo [Satan] sarà cacciato fuori». Jésus, innalzato da terra, prenderà il suo posto, divenendo re e attirando tutti a sé. Ma l’esaltazione di Gesù non avverrà in Paradiso, bensì sulla croce. Molti hanno interpretato, en fait, l’innalzamento di Gesù come un anticipo giovanneo della sua Ascensione, mentre qui si fa invece esplicito riferimento alla morte del Signore. Tutto questo potrebbe apparire sconcertante perché nel nostro brano, Entre autres, siamo all’inizio del Vangelo e non alla fine, eppure Gesù già parla della sua morte. Del resto anche nel prologo avevamo letto che: «I suoi non l’anno accolto» (Gv 1,11). E non dimentichiamo che questa è anche la Domenica «In Laetare» come proclama l’antifona d’ingresso della liturgia eucaristica. Dove trovare dunque i motivi per rallegrarsi? Evidentemente in questa verticalità evangelica che da vertigini.

Il primo ad essere sconcertato è Nicodemo, l’interlocutore di Gesù, al quale viene chiesta una rinascita dall’alto (desuper), cioè dallo Spirito effuso dall’alto. La reazione stupìta di Nicodemo ― «Come può accadere questo?» ― incontra una risposta da parte di Gesù che sconcerta anche noi:

«Se non credete quando vi ho parlato di cose della terra, come crederete se vi parlerò di cose del cielo?» (Gv 3,12).

Stando al contesto le cose terrestri consistono proprio nella dinamica di rinascita spirituale che deve avvenire in vita, ici sur terre, nell’umanità della persona che, grazie alla fede, si apre all’azione dello Spirito. Mentre le cose celesti sono il paradosso di un innalzamento che coincide con una condanna a morte e una crocifissione che, secondo Giovanni, è esaltazione e glorificazione. Ritroviamo l’eco delle parole del profeta Isaia: «Chi crederà alla nostra rivelazione(53,1); le quali seguono l’annuncio che il «servo del Signore sarà innalzato» (Est 52,13). Il verbo greco, dans versione della Settanta (LXX), ypsóo, sarà usato anche da Giovanni nel nostro testo per indicare l’innalzamento del Figlio dell’uomo. Così al cuore della fede cristiana vi è qualcosa di sorprendente specificato subito dopo: l’innalzamento del Figlio dell’uomo è l’evento che adempie e realizza in pienezza il dono che il Padre ha fatto all’umanità: il dono del Figlio. L’innalzamento sulla croce che sembra apparire come il punto più infimo della vita di Gesù, per lo sguardo di fede è il momento nel quale si nasce dall’alto, come veniva chiesto a Nicodemo: « En vérité,, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio»; grazie al dono dello Spirito che il crocifisso effonde. È qui il motivo per rallegrarci, poiché se «nessuno mai è salito al cielo se non colui che è disceso dal cielo» (Gv 3,13), l’evento che potremmo leggere come il più basso della vita di Gesù, la sua croce, diviene secondo Giovanni il momento più alto per lui e per noi: occasione di un dono che palesa tutto l’amore di Dio. Un amore che, en tant que tel, non intende minimamente condannare, ma solo salvare. Un amore gratuito e incondizionato che si può diffondere e può manifestare le sue energie in chi vi fa spazio accogliendolo in sé attraverso la fede: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito». Un dono che è verticale e asimmetrico perché non cerca reciprocità: «Comme le Père m'a aimé, così io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Gv 15,9); «Come io ho amato voi, così voi amatevi gli uni gli altri» (Gv 13,34).

Qui dobbiamo insistere sull’assoluta novità di una affermazione. Nelle altre religioni si parla per esempio della profondità del mistero di Dio, della sua grandezza, della sua eternità, della sua giustizia, etc.. Ma solo il cristianesi­mo ci insegna:

«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui […] abbia la vita eterna» (Gv 3, 16).

Una tale rivelazione trasforma la morale cristiana. Gesù ci ha lasciato un solo comandamento, che è un comandamento nuovo, quello di amarci gli uni gli altri, come lui ha amato noi (Gv 13, 34). Solo così si spiega il fatto, a prima vista paradossale, che tutta la morale giovannea è praticamente una morale della verità. Si compendia in due pre­cetti fondamentali: la fede che ci apre al Mistero e l’amore che ci fa vivere nel mistero della rivelazione. Per converso Giovanni sembra conoscere, nella sua essenzialità e semplicità ricchissime, solo due peccati: il rifiuto della fede in Gesù e l’odio del fratello.

Così la morale giovannea è una morale della verità: «Au lieu de cela, celui qui fait la vérité vient vers la lumière, afin qu'il paraisse clairement que ses œuvres ont été faites en Dieu". Dans la prise de conscience croissante que « sans moi tu ne peux rien faire », le conseguenze dell’essere cristiano, anche a livello morale, vengono collegate in Giovanni al tema del rimanere. Il rimanere con Gesù implica come dovere a livello di coerenza, ma prima e innanzitutto come conseguenza a livello dell’essere, vivere come Gesù: «Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato» (1 Gv 2,6). «Chiunque rimane in Lui non pecca; chiunque pecca non lo ha visto né l’ha conosciuto» (1Gv 3,6). Se il cristiano, comme Giovanni, rimane stupito a guardarlo, anzi se veramente rimane in Lui, allora non pecca più. In quanto chi rimane in quello stupore e in quella grazia non può peccare. È bellissimo, nella sua sinteticità, il commento di Agostino a questo versetto: «In quantum in ipso manet, in tantum non peccat». Una percezione comune soprattutto tra i padri della Chiesa orientale. Anche Ecumenio, un teologo della tradizione antiochena di Crisostomo, nel suo commento alla Prima lettera di Giovanni, écrit:

«Quando colui che è nato da Dio si è completamente dato a Cristo che abita in lui mediante la filiazione, egli resta fuori della portata del peccato».

Diventiamo impeccabili in quanto ci abbandoniamo totalmente a Gesù Cristo, in quanto rimaniamo in Lui.

Per concludere e riassumere, se mai fosse possibile, temi di così grande densità teologica ricavabili dal brano evangelico di questa domenica, riporto un brano della costituzione dogmatica La lumière:

"Christ, en fait, innalzato da terra, attirò tutti a sé; risorto dai morti, inviò sui discepoli il suo Spirito vivificante e per mezzo di lui costituì il suo corpo, l'église, quale universale sacramento di salvezza; assiso alla destra del Padre, opera incessantemente nel mondo per condurre gli uomini alla Chiesa e per mezzo di essa unirli più intimamente a sé e renderli partecipi della sua vita gloriosa nutrendoli con il suo corpo e il suo sangue».

De l'Ermitage, 10 mars 2024

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Gabriele Giordano M. Scardocci
De l'ordre des prédicateurs
Presbytère et théologien

( Cliquez sur le nom pour lire tous ses articles )
Père Gabriel

Voyagez dans la nuit avec Nicodème

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

VIAGGIO NELLA NOTTE CON NICODEMO

"Ça a donné, en fait, n'a pas envoyé le Fils dans le monde pour condamner le monde, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui»

Auteur:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

 

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Chers frères et sœurs,

nelle nostre vite abbiamo avuto momenti di grande notte e tenebra esistenziale e spirituale. In quei momenti il Signore ci è stato vicino con la sua Luce, anche se forse all’inizio non ce ne siamo accorti. In questo cammino di Quaresima possiamo ripensare a quei momenti e scoprire il senso della speranza come carità teologale. Nicodemo stesso era andato da Gesù di notte. I due hanno un lungo scambio di cui oggi effettivamente è riportata solo una parte. La sezione più importante:

Cristo e Nicodemo, opera di Pieter Crijnse Volmarijn, XVII sec.

« À ce moment-là, Gesù disse a Nicodèmo: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, ainsi le Fils de l'homme doit être élevé, afin que quiconque croit en lui ait la vie éternelle. En effet, Dieu a tant aimé le monde qu'il a donné le Fils unique afin que quiconque croit en lui ne soit pas perdu, mais ont la vie éternelle. Je donnai, en fait, n'a pas envoyé le Fils dans le monde pour condamner le monde, mais pour que le monde soit sauvé par lui. Celui qui croit en lui n'est pas condamné; mais ceux qui ne croient pas ont déjà été condamnés, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, Il déteste la lumière, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”» (Gv 3, 14-21).

Inizialmente Gesù fa riferimento al serpente nel deserto innalzato da Mosè (14-15), sostenendo con gran forza che Lui è il nuovo innalzato che donerà la vita eterna. En effet, il richiamo al serpente non era nuovo per Nicodemo. pour ici, Jésus, fa riferimento all’episodio in cui Mosè aveva preso un serpente e postolo su di un’asta liberava dalla morte gli ebrei avvelenati (cf.. nm 21,8 ss).

Ecco allora che Gesù è il Nuovo Innalzato: colui che se accolto con fede e amore libera da tutti i veleni della nostra vita. I peccati, i vizi e le fragilità. Accogliere la vita vera ed autentica è scoprire tutte le proprie potenzialità, i doni di Dio e offrirli nella carità al prossimo. Occorre dunque purificare lo sguardo della nostra fede per cercare di incontrare Gesù innalzato anche nei momenti di difficoltà e sofferenza. Anche quel momento, se vissuto con fede dona momenti di crescita: si entra nella vita nuova quando si è innalzati sulla propria croce in Lui, nei momenti cruciali de la vie.

Questo fiorire nella vita nuova in Cristo spalanca la speranza per un mondo migliore già adesso, che costruisce il Bene Comune nella Carità, e anche la speranza escatologica. La speranza cioè di essere redenti e un giorno di andare in Paradiso. Gesù stesso lo promette a Nicodemo:

"Ça a donné, en fait, n'a pas envoyé le Fils dans le monde pour condamner le monde, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

La salvezza che Gesù ci offre avviene proprio sulla croce, dans lequel, con un’opera supererogatoria ci ha riscattato dal dominio del peccato e del demonio; noi abbiamo attinto a questa salvezza direttamente nel nostro battesimo e l’abbiamo rinvigorita nella cresima.

En ce temps de Carême possiamo rinvigorire la fede e la speranza della vita eterna, sempre con degli atti di carità, ma anche con uno sguardo di speranza e di bene sulla storia che viviamo. En fait, la micro-storia personale che viviamo nella nostra quotidianità è un grande dono di grazia: Dio ci ha donato vita, libertà e vocazione personale, donc, le nostre scelte personali influiscono nella costruzione del nostro quotidiano. Il nostro quotidiano se vissuto con fede e carità ci permette di sperare di costruire una macro-storia del mondo in cui viviamo, che spalanca la strada della speranza per la vita eterna. Alors, nel nostro piccolo percorso quotidiano amiamo, crediamo e operiamo nel Bene al contempo fondiamo la speranza di una vita che sarà eternamente bella perché al cospetto di Dio. La vita eterna che sarà inaugurata dalla mattina di Pasqua in cui con Cristo saremo chiamati a nascere per non morire mai più.

La Quaresima ci purifica per imparare a sperare nell’Eterno e non più solo sulle realtà temporanee. Chiediamo al Signore di crescere sempre più nella speranza e generare sempre più un cuore effuso dal suo Santo Spirito e dall’amore mariano.

Ainsi soit-il!

Santa Maria Novella à Florence, 10 mars 2024

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Gabriele Giordano M. Scardocci
De l'ordre des prédicateurs
Presbytère et théologien

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Père Gabriel

Être scruté par le cœur de Dieu

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

ÊTRE RECHERCHÉ PAR LE CŒUR DE DIEU

Jésus scrute le cœur des hommes qui ont été témoins de ses miracles et se rend compte que leur n'est pas la vraie foi mais seulement l'émotion.. C'est une foi qui ne recherche que le sensationnalisme, ce qu’on définirait aujourd’hui comme du « fidéisme ». Jésus essaie plutôt de leur donner une foi authentique et forte..

Auteur:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

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Chers lecteurs de l'île de Patmos,

Dans cette troisième étape vers Pâques nous observons un moment très fort dans la vie de Jésus. Le seul épisode dans lequel le Seigneur semble presque utiliser des actions violentes dans lesquelles il combat la mentalité de son temps. En fait, chaque scène de combat est toujours forte pour les yeux. Pensons aux scènes de guerre décrites dans les grands ouvrages classiques commeiliade oh la Jérusalem libérée. Le combat de Jésus, Mais, il ne vise pas la guerre, mais jusqu'à ce qu'un sentiment de foi et de conversion continue naît dans le cœur de l'homme et en chacun de nous.

En ce troisième dimanche de Carême On lit le fameux passage de l'expulsion des marchands du temple en (texte de l'Evangile ICI). Une scène vraiment forte. Une manière pour le Seigneur de purifier le Temple, c'est-à-dire la maison de Dieu, des impuretés que les ventes pas toujours correctes ont été faites ici. toutefois, le temple, c'est un espace sacré dans lequel les commerçants ne peuvent vraiment pas entrer dans le but d'acheter et de vendre.

cet épisode elle est généralement appliquée à notre époque comme une condamnation du marché et des spéculations financières inhumaines qui ne respectent pas la dignité et le caractère sacré de l'homme.. Mais c'est aussi le signe que Jésus n'est pas attentif à la matérialité économique individuelle en elle-même mais comme moyen pour parvenir à une fin.. Argent, alors, pourtant nécessaire, cela ne peut jamais remplacer Dieu.

Le prochain dialogue c'est un prétexte que Jésus utilise pour annoncer sa Passion. Pour affirmer son dernier acte d'amour. Cet acte d'amour est la rédemption et la libération du péché. Et c'est aussi le Grand Signe de Jésus, plus grand que tous les autres signes, que nous devons nous aussi redécouvrir ce Carême. En fait, si l'on lit attentivement ce péricope:

« Alors qu'il était à Jérusalem pour la Pâque, pendant la fête, de nombreux, voir les signes qu'il a exécutés, ils croyaient en son nom. Jésus, il ne leur faisait pas confiance, parce qu'il connaissait tout le monde et n'avait besoin de personne pour témoigner de l'homme. Car il savait ce qu'il y a dans l'homme..

Nous comprenons comment Jésus, grâce à sa connaissance divine en guise d'éternité, il sonde le cœur des hommes qui ont été témoins de ses miracles. Et il se rend compte que leur n'est pas une vraie foi mais seulement une émotion. C'est une foi qui ne recherche que le sensationnalisme, ou ce que l’on définirait aujourd’hui comme du « fidéisme ». Jésus essaie plutôt de leur donner une foi authentique et forte..

C'est notre voyage quotidien que dans cette période difficile nous pouvons entreprendre avec courage. Aidons-nous par la prière, les sacrements et la confiance dans le Seigneur pour nous libérer d'une foi immature, émotif et fragile. Ce chemin peut également nous aider à comprendre quelles sont nos difficultés et nos distractions dans la prière et dans la pratique des œuvres de miséricorde..

Tout cela nous amènera à grandir en étant connu pour devenir progressivement de plus en plus intime avec le Seigneur. Et cette intimité sera source de joie et de satisfaction.

Nous demandons au Seigneur avoir toujours le cœur ouvert à ses inspirations d'amour et de vérité pour devenir des hommes nouveaux en Lui.

Ainsi soit-il!

Santa Maria Novella à Florence, 3 mars 2024

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Sur le Mont Thabor, les disciples reçoivent la révélation du fils de l'homme sous une forme transfigurée par la lumière divine

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

SUL MONTE TABOR I DISCEPOLI RICEVONO LA RIVELAZIONE DEL FIGLIO DELL’UOMO IN UNA FORMA TRASFIGURATA DALLA LUCE DIVINA

Nella narrazione evangelica e nel cammino quaresimale viene così aggiunto un altro quadro che aiuta a rispondere alla domanda che ponevamo all’inizio: Qui est-il? Ora è il Padre stesso che rivela l’identità profonda di Gesù non solo a chi assiste sul monte della Trasfigurazione, ma anche ai lettori e ai credenti in Cristo: Egli è il Figlio. Una teologia molto presente nei Vangeli che ci fa tornare alla mente quanto è scritto nel Primo Vangelo, quando Gesù dice: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre»

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Intraprendere il percorso quaresimale significa porsi di nuovo la domanda fondamentale su Gesù: Qui est-il? Allo stesso modo dei discepoli seduti sulla barca sballottata dalle onde, figura della Chiesa nel periodo post pasquale, che svegliato il Signore dormiente a poppa e a tempesta sedata si chiedevano: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?» (Mc 4, 41). Il racconto marciano della Trasfigurazione che si legge in questa seconda Domenica di Quaresima desidera rispondere a questa domanda.

La trasfigurazione di Cristo, opera di Giovanni Bellini, 1478. Musei Capodimonte, Naples.

« À ce moment-là, Jésus emmena Pierre avec lui, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, en marge, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendre la parole, Pietro disse a Gesù: “Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, Un pour toi, una per Mosè e una per Elia”. Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: “Questi è il Figlio mio, l'être aimé: Ecoute le!”. E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, avec eux. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti». (Mc 9,2-10)

Tutti e tre i Vangeli sinottici inseriscono la Trasfigurazione nello stesso contesto, ossia dopo l’annuncio di Gesù della sua passione. Per il lettore si crea così un ponte fra il ministero pubblico di Gesù e la morte che avverrà in Gerusalemme. Ma anche un collegamento fra la odierna proclamazione di Gesù «Figlio di Dio», che si ode dalla nube, e altre due analoghe. Quella del Battesimo, Lorsque: «Si sentì una voce dal cielo» che diceva «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (Mc 1,11); et l'autre, che si trova solo in Marco, all’inizio del Vangelo, nel primo versetto del primo capitolo: « Début de l'Evangile de Jésus-Christ, Fils de Dieu".

È molto probabile che l’episodio narrato, à l'origine, fosse un racconto di apparizione del Risorto, che Marco, il quale ha escluso dalla sua narrazione siffatti racconti, avrebbe inserito al centro del Vangelo, subito dopo la confessione messianica di Pietro, per bilanciare l’annuncio del destino di morte del Figlio dell’uomo (Mc 8, 31) con la visione prolettica della sua glorificazione (Mc 9, 2-13). Una scelta che ne avrebbe determinato la collocazione anche in Matteo e Luca. A supporto di questa ipotesi sta il fatto che nel prosieguo dei tre racconti l’incomprensione dei discepoli nei riguardi di Gesù resta intatta, malgrado alcuni fossero stati testimoni di un evento tanto eclatante. Pendant, collocato dopo la sua morte, il racconto assume un significato cruciale. È il punto di svolta. I tre discepoli ricevono la rivelazione del Figlio dell’uomo in una forma trasfigurata dalla luce divina. Dopo la sua morte, hanno la visione di Gesù collocato allo stesso livello di Mosè ed Elia, cioè di due figure bibliche già innalzate alla gloria celeste, e ascoltano la proclamazione della sua elezione divina, la stessa che risuona al momento del battesimo. Finalmente i discepoli «sanno» chi è Gesù, ed è alla luce di tale comprensione che l’episodio storico e iniziale del battesimo assume il suo «vero» significato di investitura divina.

Nel versetto che precede la scena della Trasfigurazione che oggi leggiamo nella Liturgia Gesù dice ai suoi discepoli: « En vérité je vous dis: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza» (Mc 9,1). Sei giorni dopo questo annuncio Gesù porta Pietro, Giacomo e Giovanni con sé sopra un monte alto, in un luogo appartato, e si trasfigura davanti a loro. L’episodio non solo è descritto da tutti e tre i Vangeli sinottici, ma anche dalla Seconda Lettera di Pietro. Lì l’Apostolo ricorda e scrive di essere stato testimone oculare della grandezza di Gesù:

«Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”. Questa voce noi l’abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte» (2Pt 1,16-18).

A differenza del Battesimo, dove la voce che proclama Gesù «Figlio» sembra sia stata udita solo da Lui, nella Trasfigurazione le parole sono indirizzate ai discepoli, che non possono ignorarle: «Ascoltatelo». È infatti importante che nel momento in cui Gesù annuncia la sua passione venga ribadita l’idea che Dio non abbandonerà il suo Figlio, anche se verrà consegnato per la crocifissione. Questa non offuscherà la fedeltà del Padre, cosicché anche il duro annuncio della passione e morte sono dentro il Vangelo, sono la buona notizia di cui il lettore deve essere consapevole, allo stesso modo dei discepoli che fecero quella esperienza.

Pierre, insieme ai compagni, è colui che più di tutti ha bisogno di ascoltare Gesù. Dopo la confessione di Cesarea di Filippo, ha preteso di mettersi davanti a lui per evitargli il pellegrinaggio a Gerusalemme. Gesù per questo chiama Pietro «Satana» (Mc 8,33), ma poi lo invita a salire sul monte con lui. In altre parole qui siamo di fronte alla reazione de Dieu all’incredulità di Pietro. Pas seulement. Se i discepoli devono prepararsi alla passione del loro maestro, anche Gesù ha bisogno di istruzioni per intraprendere il «suo esodo», come specificherà Luca in 9,31: Mosè aveva condotto gli ebrei fuori dall’Egitto, Elia aveva ripercorso i suoi passi, e ora il Messia, aiutato da coloro che hanno vissuto un’esperienza analoga di sofferenza e liberazione, potrà andare deciso verso Gerusalemme.

L’interpretazione tradizionale della presenza di Mosè ed Elia sul monte dice, en fait, che essi rappresenterebbero la Torà e i Profeti, ovvero tutta la Scrittura prima di Gesù. Ma oggi si pensa piuttosto che il significato della loro presenza sia importante se riferita a quanto Gesù sta vivendo nel momento in cui sale su quella montagna. Mosè ed Elia hanno vissuto eventi paragonabili alla reazione di Pietro all’annuncio della passione di Gesù di cui sopra. L’analogia tra gli eventi è data dal modo in cui Gesù interpreta il rifiuto di Pietro: come una nuova tentazione, analoga a quelle dell’inizio del suo ministero; così Mosè provò l’esperienza del vitello d’oro ed Elia quella della fuga verso l’Oreb. Questi due fatti ebbero luogo proprio su un monte, dopo un fallimento del popolo di Israele che aveva, dans le premier cas, costruito un idolo e, dans la deuxième, sostenuto i sacerdoti di Baal contro cui Elia doveva lottare. A fronte di queste due delusioni, sia Mosè che Elia chiedono a Dio di morire (cf.. Est 32,32; 1Ré 19,4), maman, in risposta, a tutti e due è concessa invece la visione di Dio. Moïse, spaventato, Mais, si nasconde nella rupe (Est 33,21-22), ed Elia si copre il volto (1Ré 19,13). Mentre allora non videro Dio, ora finalmente stanno davanti a Gesù, nella sua gloria e non si velano più il volto; non hanno più paura di lui, perché «Gesù, il «Figlio amato» del Padre (Mc 9,7), «l’eletto» (Lc 9,35), è egli stesso la visibilità del Padre: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). In lui Mosè ed Elia si incontrano, vedono Gesù nella gloria, e gli portano il loro conforto. À la fin, il Padre conferma ai tre discepoli, Pietro incluso, la strada che Gesù dovrà intraprendere» (M. Gilbert).

Nella narrazione evangelica e nel cammino quaresimale viene così aggiunto un altro quadro che aiuta a rispondere alla domanda che ponevamo all’inizio: Qui est-il? Ora è il Padre stesso che rivela l’identità profonda di Gesù non solo a chi assiste sul monte della Trasfigurazione, ma anche ai lettori e ai credenti in Cristo: Egli è il Figlio. Una teologia molto presente nei Vangeli che ci fa tornare alla mente quanto è scritto nel Primo Vangelo, quando Gesù dice: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre» (Mont 11,27).

De l'Ermitage, 24 février 2024

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Grotte Saint-Ange à Ripe (Civitella del Tronto)

 

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Seul Jésus pouvait être assez bon et miséricordieux pour guérir et guérir une belle-mère

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

SOLO GESÙ POTEVA ESSERE COSI BUONO E MISERICORDIOSO DA CURARE E GUARIRE UNA SUOCERA

«La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Il s'est approché et lui a fait se lever la main; la fièvre l'a quittée et elle les a servis. Le soir est venu, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta».

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La pericope del Vangelo di questa V Domenica del Tempo Ordinario ci racconta ancora della giornata-tipo di Gesù a Cafarnao.

« À ce moment-là, Jésus, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Il s'est approché et lui a fait se lever la main; la fièvre l'a quittée et elle les a servis. Le soir est venu, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni». (Mc 1,29-39)

Se l’utilizzo frequente in Marco dell’avverbio «subito» è servito ad accelerare il tempo narrativo, evidenziando la fretta di Gesù riguardo l’annuncio del regno; nel brano odierno, anche i luoghi qui sono presi in considerazione, come uno spazio che tende ad allargarsi sempre di più. Il movimento del racconto passa infatti dalla sinagoga della cittadina sul lago (Mc 1,29) alla casa di Pietro, poi ancora dalla casa alla strada aperta davanti alla porta del cortile della casa di Pietro (v. 33), da una città ai villaggi vicini (v. 38); enfin, dai villaggi fino a «tutta la Galilea» (v. 39). Come se tutto lo spazio, velocemente, debba essere occupato da Gesù, dal suo annuncio e dalle sue opere.

I personaggi del racconto sono i discepoli più vicini a Gesù, la suocera di Simone e soprattutto i malati. Sono questi ad impadronirsi della scena. Essi si possono trovare già dove arriva Gesù, come la suocera di Pietro, oppure vengono portati a lui; altri ancora lo cercano spontaneamente sin dall’alba, quando egli sta pregando. La malattia incornicia il nostro brano: che si tratti di una febbre o di una sofferenza più profonda, spirituale o fisica (come quella causata dagli spiriti impuri del v. 39), il vocabolario del campo semantico dell’infermità costella il racconto ed è presente in modo consistente, includendo tutta la narrazione.

«E subito gli parlarono di lei». La sollecitudine verso questa donna anziana colpisce, perché manifesta un’attenzione verso i fragili e la fede nella presenza di Gesù. La donna anziana e febbricitante non viene nascosta al Maestro come fosse un problema o qualcuno di cui vergognarsi, per cui non varrebbe la pena disturbare. Il fatto che i discepoli parlino subito della suocera di Pietro a Gesù mostra che quella donna era per loro una priorità. Non ne chiedono la guarigione, non sfruttano la presenza del Maestro ai loro fini, semplicemente indicano la donna malata: questa persona per loro è importante. Da questo si può capire il senso e il valore dell’intercessione come del parlare a favore di qualcuno. Gesù lo apprezza, tanto che fa subito qualcosa: le tende la mano, la solleva e poi la guarisce dalla sua malattia. Gesù vuol essere disturbato dai malati. Gesù apprezza e ammira l’intercessione a favore dei malati, come nel caso del centurione che intercede per il suo servo malato (Lc 7,1-10).

Il tema della malattia, dicevamo, percorre tutto il testo marciano. La sofferenza tocca ogni uomo, ma «sperimentando nella malattia la propria impotenza, l’uomo di fede riconosce di essere radicalmente bisognoso di salvezza. Si accetta come creatura povera e limitata. Si affida totalmente a Dio. Imita Gesù Cristo e lo sente personalmente vicino» (Catechismo degli Adulti, La vérité vous libèrera, 1021). È la «conversione» alla quale sono chiamati i malati sanati da Gesù, plutôt, alla quale siamo chiamati tutti noi.

Scopriamo così un altro senso delle prime parole di Gesù nel Vangelo di Marco: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15). Il tempo e lo spazio, ma anche gli uomini e le donne sono toccati dalla pienezza della presenza di Dio e il regno è quella realtà in cui è possibile l’incontro con Gesù. Gesù non compie solo attività terapeutiche, perché i suoi gesti sono accompagnati da parole, da insegnamenti. In effetti si tratta di segni per dire che il regno è vicino: i miracoli annunciano e inaugurano il regno di Dio e corrispondono alle attese di Israele, dove si credeva che il Messia sarebbe venuto con capacità taumaturgiche. Per questo motivo l’annuncio che «il regno è vicino» è complementare alla parola «convertitevi e credete al vangelo», perché le folle che accorrono da Gesù, davanti a questi gesti divini, sono chiamate a credere e a convertirsi. Se questo non accade, i miracoli non servono, come spiega Matteo in un altro passo: «Allora si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, parce qu'ils ne se sont pas repentis: Malheur à vous, Chorazin! Malheur à vous, Bethsaïde. pouquoi, si Tyr et de Sidon, ils avaient été fait les miracles qui ont été faits parmi vous, ils se sont repentis depuis longtemps, ravvolte nel cilicio e nella cenere» (Mont 11,20-21). La guarigione più grande che Dio può operare è quella dalla nostra incredulità.

Pour terminer, forse collegato a ciò che abbiamo appena detto, notiamo la piccola discrepanza fra i «tutti» che accorrono a Gesù per essere sanati (vv. 32.33.37) e i «molti» che invece, effectivement, sono guariti: «Guarì molti che erano afflitti da varie malattie» (v. 34). Ce, Mais, viene superata dal vocabolario della risurrezione usato da Marco. Infatti il verbo che Marco adopera per narrare la guarigione della suocera di Pietro — «la sollevò» del v. 31) — è molto importante nel Nuovo Testamento, perché non ricorre soltanto nei contesti delle guarigioni (Mc 2,9.11; 5,41; 9,27), ma soprattutto nel racconto della risurrezione di Lazzaro (Gv 12,1.9) e di Cristo (ad es.: À 3,15; Rm 10,9). Come Gesù è stato capace di sollevare la suocera di Simone, così sarà capace di dare la vita ai morti, à tout le monde. Si chiarisce allora la strada che vuol farci percorrere Marco per arrivare a conoscere chi è Gesù. Colui che nell’apertura del Vangelo viene definito come «Figlio di Dio» (Mc 1,1), come il Battezzatore nello Spirito Santo (v. 8), come il «Figlio prediletto» (v. 11) è finalmente svelato nel suo essere nei confronti degli uomini: è colui che è «venuto» («uscito», au sens propre, dal verbo exérchomai; cf.. v. 38) agli uomini perché lo ascoltino e siano guariti dalle loro infermità.

Il racconto della giornata di Gesù prosegue col riposo, ma poi «al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!» (Mc 1,35-37). Non sappiamo a quale luogo deserto possa riferirsi l’evangelista, ma certo non doveva essere distante dal lago. Marco ha già accennato alla preghiera di Gesù, nella forma celebrata in sinagoga. Questa preghiera mattutina e personale, come apprendiamo anche da altre tradizioni evangeliche, sembra essere il modo in cui il Signore riconduce tutto al Padre: quello che ha vissuto dalla sera precedente, quello che lo aspetterà nel giorno che continua. Così Gesù insegna ai discepoli che la preghiera è indispensabile per fare unità nella propria vita.

De l'Ermitage, 4 février 2024

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Ce jour où un démoniaque reconnut immédiatement Jésus-Christ comme puissance divine

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

QUEL GIORNO IN CUI UN INDEMONIATO RICONOBBE IMMEDIATAMENTE GESU CRISTO COME POTENZA DIVINA

«Nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, disant: “Que voulez-vous de nous, Jésus Nazaréen? Vous venez de détruire? je sais qui tu es: le saint de Dieu!”. E Gesù gli ordinò severamente: “Taci! Esci da lui!”. E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui».

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Le chant évangélique de ce dimanche forma parte di quella che viene comunemente definita la «giornata di Gesù a Cafarnao».

« À ce moment-là, Jésus, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao] il a enseigné. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Et ici, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, disant: “Que voulez-vous de nous, Jésus Nazaréen? Vous venez de détruire? je sais qui tu es: le saint de Dieu!”. E Gesù gli ordinò severamente: “Taci! Esci da lui!”. E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: “Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!”. La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea». (Mc 1,21-28).

Si tratta di una raccolta di brevi episodi che vanno da Mc 1,21 fino a 1,34 che l’Evangelista racchiude nell’arco di ventiquattro ore. Si inizia con la preghiera del mattino in sinagoga, descritta dal v. 21― preghiera celebrata ancora oggi dagli Ebrei, che prevede la proclamazione della Torah, del Profeta e il successivo sermone tenuto dal rabbino ― per arrivare al tramonto del sole, quando ormai, finito lo Shabbat, è permesso portare i malati davanti a Gesù. L’attività di Gesù è frenetica: non ha tempo se non per insegnare e per guarire. C’è un avverbio, «subito» (εὐθύς, euthys), importantissimo per Marco, che si ripete nei vv. 21.23.28 ― purtroppo non colto dalla traduzione italiana, ma presente in greco ― e addirittura dodici volte solo nel primo capitolo, quarantacinque nell’intero vangelo di Marco; sta a indicare la fretta di Gesù per il quale «il tempo è compiuto» (Mc 1,15): se il tempo è compiuto, non c’è tempo da perdere per mostrare come il Regno è arrivato tra gli uomini.

La prima attività che ci riferisce Marco su Gesù è il fatto che insegnava con autorità. Il primo miracolo, appelons ça comme ça, che compie non è una guarigione o un esorcismo, ma l’insegnamento. E, in proporzione, Marco presenta Gesù come un maestro, più degli altri Vangeli: per cinque volte usa a suo riguardo la parola didachē ― «insegnamento» ― e per dieci volte lo chiama «maestro», riferendo questo titolo solo a lui. L’insegnamento è uno dei ministeri di cui parla Paolo nella Lettera ai Romani (12,7), ed è forse la carità di cui più abbiamo bisogno in tempi in cui è difficile trasmettere la fede.

Les autres, a cui viene paragonato Gesù, sono gli scribi. Ma non hanno la sua stessa «autorità». Anche se non vengono disprezzati o diminuiti dall’Evangelista, Marco sottolinea due volte (vv. 22 e 27) che egli insegna in modo molto diverso rispetto a loro. La differenza tra lui e gli altri «rabbini» potrebbe stare a due livelli. Il primo è quello dell’autorevolezza con cui Gesù dice le cose. Leggendo i testi della tradizione rabbinica, che sono stati raccolti a partire dalla caduta del secondo Tempio, nella seconda metà del I secolo d.C., si rimane colpiti dall’attaccamento alle «tradizioni degli antichi» ― di cui parla anche Marco in 7,1-13 ― tramandate con una lunga catena di detti e di sentenze, ma soprattutto dal modo in cui queste sono elencate una dopo l’altra, come una raccolta di opinioni diverse ma dello stesso valore. La parola di Gesù invece ha un carattere più creativo ed un peso più grande: si rifà direttamente alla Legge e a Dio e, acquisendone forza, la sua parola non è mai solo un parere. Ma c’è di più e qui siamo al secondo livello dell’autorità di Gesù. Le sue non sono semplicemente parole, ma compiono ciò che dicono. Egli è il «santo di Dio» (Mc 1,24) e perciò la sua autorità esprime il potere di Dio stesso: per questo insegna, esorcizza e guarisce, ma sempre attraverso una parola che libera e salva.

Il Regno di Dio è una nuova creazione dans lequel, come già nella prima, le parole proferite autorevolmente realizzano ciò che proferiscono. Questo diventa evidente nella seconda attività che contraddistingue l’avvento del Regno in Gesù: la guarigione dei malati e gli esorcismi. Dove c’è Dio con il suo regno, lì non c’è spazio per il male e le sue potenze: se ne devono andare.

Gesù infatti non lascia parlare lo spirito immondo: «Taci», gli ordina. Non vuole che Satana apra bocca e non solo perché il diavolo è «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44). Infatti già era accaduto una volta che il serpente avesse parlato, ed ebbe inizio la triste storia del peccato dell’uomo: il serpente antico per tentare al male Adamo aveva infatti inculcato il veleno del dubbio in Eva: « Il est vrai que?» (Gén 3,1). Se allora fosse stato fatto tacere, Adamo avrebbe vinto la tentazione.

In questa parte del Vangelo secondo Marco la cristologia è centrata sull’idea che Gesù sia capace di recuperare la sorte del primo uomo. Qui, quando fa tacere il demonio e anche nella scena del deserto, ovvero nel racconto della sua tentation. Gesù viene «cacciato» in quel luogo (Mc 1,12) così come Adamo era stato «cacciato» dal paradiso (Gén 3,24), condividendone così la sventura, ma uscendo vittorioso dalla prova. Al termine di essa, registra Marco, Gesù «stava con le fiere», cioè di nuovo in pace con la creazione, come Adamo, «e gli angeli lo servivano», cioè ricevendo lo stesso onore che, secondo una tradizione rabbinica, Dio aveva dato alla sua più bella creatura, l’onore di essere nutrito dagli spiriti buoni. Jésus, enfin, appare nel Vangelo di Marco non come un bambino, come invece nei vangeli dell’infanzia di Matteo e di Luca, ma arriva sulla scena già adulto, uomo fatto, come anche Adamo era stato creato adulto.

La giornata di Cafarnao si svolge in un sabato, il giorno in cui Dio si è riposato dopo aver creato l’uomo. In questo giorno Gesù può riportare alla sua originale bellezza il mondo, per mezzo della stessa parola creatrice che ha fatto l’universo e che gli permette di esercitare la sua autorità forte; ma anche esercitando su quel giorno, il sabato, una speciale signoria. Il «Figlio dell’uomo», come ascolteremo in un’altra domenica, è «Signore anche del sabato» (Mc 2,28). Il tempo è di Dio e Gesù afferma questa sovranità sul tempo compiendo guarigioni di sabato. E sono guarigioni che toccano uomini e donne che a causa della loro malattia avevano perso la ragione stessa del tempo. Per una persona sana, lo svolgersi delle attività lungo l’arco della settimana mirava ad un compimento nel riposo sabbatico: l’incontro con Dio e con la sua parola permeava di significato e di speranza l’esistenza.

Per una persona invalida, che era esclusa dal riposo sabbatico e dallo spazio del tempio, ecco che ogni giorno della settimana si caricava del medesimo dolore e sofferenza. Le guarigioni di Gesù nel giorno di sabato interrompono questo fluire indistinto del tempo nel corpo dei malati e ridonano a uomini e donne che hanno perso il senso del tempo il suo pieno valore attraverso il sabato. La guarigione di quell’uomo «posseduto da uno spirito impuro», che quel giorno di sabato si trovava proprio lì dove era presente anche Gesù, è l’inizio di un nuovo sabato, ossia di una nuova creazione, in cui al centro c’è la vita di ogni persona da salvare. Come ha scritto il rabbino e filosofo Heshel:

«Dobbiamo sentirci sopraffatti dalla meraviglia del tempo se vogliamo essere pronti a ricevere la presenza dell’eternità in un singolo momento. Dobbiamo vivere ed agire come se il destino di tutto il tempo dipendesse da un singolo momento» (Heshel A. J, Le samedi, Garzanti, Milan 2015, p. 96).

 

De l'Ermitage, 27 janvier 2024

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