Jésus met en évidence la foi en proposant des ennuis et des béatitudes

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

GESÙ METTE IN RISALTO LA FEDE PROPONENDO GUAI E BEATITUDINI

«Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. Vraiment je te dis: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono

 

 

 

 

 

 

 

 

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In questa domenica si legge il testo delle beatitudini secondo la versione di Luca. Un brano che si differenzia da quello più noto, presente nel primo Vangelo, per il numero di beatitudini: quattro contro le otto di Matteo; e per la presenza di altrettanti «guai» che formano una precisa contrapposizione con le stesse.

Fra Angelico, Les Béatitudes

Se a essere dichiarati «beati» sono i poveri, gli affamati, i piangenti e perseguitati, i guai si indirizzano ai ricchi, ai sazi, i ridenti e a coloro che sono lodati. Aussi, se le beatitudini di Matteo sono inserite nel cosiddetto Discorso della montagna (cf.. Mont 5,1), quelle di Luca sono pronunciate in un luogo pianeggiante (cf.. Lc 6,17). Leggiamo il testo.

« À ce moment-là, Jésus, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne. Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, il a dit: “Beati voi, pauvre, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, Voici, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, riche, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Malheur à vous, che ora siete sazi, perché avrete fame. Malheur à vous, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti”» (Lc 6,17.20-26).

Poiché non esiste altra pagina evangelica che abbia tanto interessato il pensiero e la cultura e sia stata oggetto di svariate interpretazioni, cercherò di mettere in evidenza il punto di vista dal quale Luca intende presentare le beatitudini di Gesù, ma anche i guai che ne seguono. Ils, en fait, sono necessari per spiegare le prime, le presuppongono e ne sono la loro controparte, cosicché le beatitudini, poste su questo sfondo negativo, risaltano meglio.

Subito dopo aver costituito i Dodici (Lc 6,12-16) Gesù pronuncia le beatitudini, che dunque assumono un valore particolarmente significativo per quel gruppo «ai quali diede il nome di apostoli» (Lc 6,13). Ils, uniti a quelli che per primi seguirono Gesù, sono i destinatari immediati di queste parole: «Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva» (Lc 6,20). Però vi è anche una folla numerosa che stavolta ascolta il discorso, formata da ebrei e persone provenienti da zone non ebraiche, come le città fenicie di Tiro e di Sidone. Con questa annotazione l’evangelista non intende solo mostrare che la fama di Gesù si è estesa al di fuori dei confini di Israele, ma desidera prefigurare l’estensione post-pasquale, anche ai cosiddetti gentili, del messaggio di salvezza di Gesù. Aussi, poste immediatamente dopo l’annotazione che la folla «cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti» (Lc 6,19), le parole di Gesù che propongono beatitudini e guai intendono far risaltare la fede in chi lo segue e lo sta cercando, invece che la dimensione magica o interessata. Riportano le persone sulla terra e dunque sul piano delle scelte e delle responsabilità. Per questo il modo di parlare in pubblico di Gesù, come già in occasione dell’omelia nella sinagoga di Nazareth, ha un tono «kerygmatico» e pedagogico; invogliano a prendere posizione e predispongono anche a un’inevitabile divisione, poiché le parole di Gesù svelano i pensieri di molti cuori (cf.. Lc 2,34-35). Possiamo dire che la pagina evangelica che mette a diretto confronto, in un brutale vis-à-vis, poveri e ricchi, affamati e sazi, afflitti e gaudenti, perseguitati e gente ammirata, implica una necessaria scelta di campo, un’opzione che in definitiva è tra l’autosufficienza e la fiducia nel Signore, ovvero tra l’idolatria e la fede.

Di norma si pensa sia Matteo l’evangelista delle beatitudini, invece Luca nel suo scritto ne presenta ben quindici, due in più del suo collega e, Entre autres, è anche il solo che ci trasmette la beatitudine degli ascoltatori della Parola: «Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la custodiscono» (Lc 11,28). Questa è infatti la chiave per scorgere la beatitudine nelle varie situazioni vitali: ascoltare e custodire la parola e i segni di Dio, come la Vergine Maria per prima ha fatto.

Nell’Antico Testamento, in particolare nei Salmi e nella letteratura sapienziale, le beatitudini costituiscono quelle indicazioni date affinché l’uomo raggiunga il traguardo della felicità: «Beato l’uomo che non cammina in compagnia dei malvagi e nella strada dei peccatori» (Doit 1,1). Se si seguono si vivrà felici, ma se si preferisce un’altra strada iniziano i guai, che sono necessarie messe in guardia: non maledizioni, ma avvisi, come quelli che davano gli antichi profeti (Est 1,4; 5,8-24; 30,1; 33,1). Rispetto all’Antico Testamento, il Nuovo presenta a questo proposito alcune sostanziali differenze. Per Gesù non esistono particolari condizioni previe alle beatitudini, perché Egli dichiara già felici coloro che sono in una determinata situazione e non dice ad esempio: «siate poveri!». Si rivolge, chiamandolo beato, a chi povero lo è già. La beatitudine, o «macarismo» come viene definita in senso tecnico in modo da richiamare l’espressione greca, non stabilisce alcun comportamento previo perché è l’annuncio di una novità che viene da Dio e per questo difficile da cogliere a prima vista, é paradossale, non mondana e richiede la fede. In ciò risiede l’originalità e la differenza di senso che il Nuovo Testamento apporta. Les Béatitudes, c'est-à-dire, più che un’etica da mettere in pratica sono l’annuncio di una novità, un modo nuovo di vivere la vita e di pensarla, perché tutto è visto in rapporto a Dio, ovvero al suo Regno. Dépenser, pour la note, potrebbe riscontrare beatitudine nei poveri, negli indigenti, nei sofferenti, nei perseguitati? O meglio ancora: come possiamo anche noi, nelle nostre personali povertà, nelle nostre sofferenze o dentro qualsiasi altra situazione faticosa, riconoscerci beati? Cosa permette di leggere una situazione e di giudicarla come benedetta e non invece una maledizione o una disgrazia? La beatitudine funziona solo per chi ha fede. Per usare un’immagine molto importante per la teologia della rivelazione, potremmo dire che servono gli occhi della fede (P. Rousselot, Les yeux de la foi, 1910; simp. ce. Gli occhi della fede, Milan 1974).

Nella fede c’è la possibilità di vedere in un modo diverso, poiché essa rende capaci gli occhi di cogliere ciò che altrimenti rimane sotto la superficie. In forza della grazia il credente riconosce quei segni che Dio pone nella sua vita, Par ailleurs, senza la grazia, vede solo il fallimento, la morte, faim, le désespoir. Con la fede in essi scorge, nonostante tutto, la présence de Dieu. È allora chiaro perché Gesù non pone condizioni all’essere beati. Solo una è la condizione previa: credere alla sua Parola.

Le parole di Gesù sono comprensibili alla luce del fatto che in Lui si manifesta davvero l’avvento del Regno di Dio. Beatitudini e guai sono lo sguardo di Dio su situazioni umane contraddittorie e ciò appare paradossale, poiché Egli vede ciò che l’uomo non scorge, sconvolgendo i parametri umani di valutazione. In fondo ciò che le beatitudini mettono in questione è il rapporto col presente che per alcuni si mostra pieno, soddisfacente e saturo (cf.. la Vulgata che traduce il «sazi» di Lc 6,25 avec: «qui saturati estis») e per altri è desiderio ed attesa di un cambiamento. Questi sono i poveri che per la loro situazione di mancanza ed indigenza diventano i primi destinatari del Regno. La vera povertà non è l’indigenza o la miseria in sé, ma lo stato di chi, come gli עֲנָוִים (anawim i poveri e gli umili in ebraico) de l'Ancien Testament, sono capaci di accogliere Dio perché sanno di non avere nulla e di attendersi tutto da lui. Guai ai ricchi, dit Jésus, quando sono schiavi delle ricchezze, perché ripongono in esse la sicurezza della vita e ritengono che il loro essere dipenda dall’avere (cf.. Lc 12,15: "Soyez prudent et restez à l'écart de toute cupidité car, même si on est en abondance, sa vie ne dépend pas de ce qu'il possède"). Non a caso l’azione divina celebrata nel magnificat canta il Dio che «ha saziato (riempito) di beni gli affamati», mentre «ha rimandato vuoti i ricchi» (Lc 1,53). O come nel racconto metaforico di Lc 16,19-31 dove il ricco, sazio e gaudente, si contrappone a Lazzaro, pauvre, affamato, nudo, senza casa, pendant, nella prospettiva escatologica della parabola, i destini dei due sono completamente ribaltati. Quella parabola è un bel commento narrativo al discorso di Gesù che alterna beatitudini e guai.

Pour terminer, la beatitudine nella povertà e nella fame non ci lascia comunque tranquilli o senza dolore per le situazioni che si rincorrono nel mondo e per la sorte di tanti, soprattutto quando a soffrire sono inermi e bambini. La fede e la fiducia in Dio, come scrive il Manzoni, non basta a tenere lontani i problemi, piuttosto «li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore». Una conclusione «trovata da povera gente», commenta lo scrittore (Les Fiancés, casquette. XXXVIII). Ma la parola beati, che noi leggiamo in greco, poiché il vangelo ci è stato trasmesso in quella lingua, Gesù l’ha pronunciata in aramaico e nella sua lingua non vuol dire solo felici, ma significa anche «dirigere, orientare, incamminarsi» e dove se non nel mondo? Non possiamo fuggire da questo mondo, bisogna starci e imparare a vedere cose che la maggior parte non vede, non tanto perché manca di un principio di fede, ma perché travolta dalla vita non ha più tempo di pensare.

C’è una particolare beatitudine ricordata da Matteo. Sono parole straordinariamente dense pronunciate da Gesù riferendosi alla capacità che abbiamo non tanto di separarci materialmente dalle cose, dal lavoro quotidiano, dalla famiglia, ma di saper vedere nel nostro ambiente, nella vita quotidiana, quello che superficialmente non si vede, quello che trascende la nostra visione immediata:

«Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. Vraiment je te dis: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!» (Mont 13, 16-17).

Dall’eremo, 16 février 2025

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Grotte Saint-Ange à Ripe (Civitella del Tronto)

 

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Les Pères Patmos Island

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Pierre, Pêcheur expert Fils de pêcheurs, jette les filets sur la parole du fils d'un menuisier

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

PIETRO, Pêcheur expert Fils de pêcheurs, GETTA LE RETI SULLA PAROLA DEL FIGLIO DI UN FALEGNAME

Jésus, qui était charpentier, Il n'était pas un expert de la pêche, Pourtant, simone le pêcheur fait confiance à ce rabbin, Cela ne lui donne pas de réponses mais l'appelle à compter. La sua reazione davanti alla pesca miracolosa è quella dello stupore e della trepidazione: "Monsieur, allontanati da me che sono un peccatore»

 

 

 

 

 

 

 

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Pietro era un ebreo credente e osservante, fiducioso nella presenza operante di Dio nella storia del suo popolo, e addolorato per non vederne l’azione potente nelle vicende di cui egli era, al presente, témoin. In tale frangente avviene il suo primo incontro con Gesù.

I Vangeli sinottici ci informano che Pietro è tra i primi quattro discepoli del Nazareno (Lc 5,1-11), ai quali se ne aggiunge un quinto, secondo il costume di ogni Rabbi di avere cinque discepoli (Lc 5,27: chiamata di Levi). Quando Gesù passerà da cinque a dodici discepoli (Lc 9,1-6), sarà infine chiara la novità della sua missione. Egli non è uno dei tanti rabbini, ma è venuto a radunare l’Israele escatologico, simboleggiato dal numero dodici, quante erano le tribù d’Israele. I Vangeli consentono di seguire passo dopo passo l’itinerario spirituale di Pietro. Il punto di partenza è la chiamata da parte di Gesù. Avviene in un giorno qualsiasi, mentre Pietro è impegnato nel suo lavoro di pescatore. Gesù si trova presso il lago di Genesaret e la folla gli fa ressa intorno per ascoltarlo. Il numero degli ascoltatori crea un certo disagio. Il Maestro vede due barche ormeggiate alla sponda; i pescatori sono scesi e lavano le reti. Egli chiede allora di salire sulla barca, quella di Simone, e lo prega di scostarsi da terra. Sedutosi su quella cattedra improvvisata, si mette ad ammaestrare le folle dalla barca. E così la barca di Pietro diventa la cattedra di Gesù. Quando ha finito di parlare, dice a Simone:

«”Prendi il largo e calate le reti per la pesca! Simone risponde: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”».

Jésus, qui était charpentier, Il n'était pas un expert de la pêche, Pourtant, simone le pêcheur fait confiance à ce rabbin, Cela ne lui donne pas de réponses mais l'appelle à compter. La sua reazione davanti alla pesca miracolosa è quella dello stupore e della trepidazione: "Monsieur, allontanati da me che sono un peccatore» (Lc 5,8). Gesù risponde invitandolo alla fiducia e ad aprirsi ad un progetto che oltrepassa ogni sua prospettiva: "N'ai pas peur; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Rileggiamo questo emozionante racconto:

« À ce moment-là, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Jésus, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: "Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; mais sur ta parole je jetterai les filets". Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, disant: "Monsieur, allontanati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: "N'ai pas peur; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5,1-11).

Il racconto di Luca segue il canovaccio di Mc 1,16-20 a cui si rifà, ma con inserzioni proprie e l’aggiunta di una scena che ricorda molto da vicino quella di Gv 21, dove lì è un Gesù ormai risorto a dialogare con Pietro per una definitiva chiamata a seguirlo. Mentre due domeniche fa abbiamo lasciato Gesù a Nazareth non compreso e addirittura rifiutato; qui invece le persone Lo cercano e Pietro, en particulier, lascia tutto per seguire il Maestro. Fin da questo iniziale momento cogliamo la particolare attenzione e stima che l’evangelista Luca rivolge a questo discepolo; qualcosa che evidentemente aveva appreso ed ereditato dalla comunità primitiva. Notiamo infatti che, mentre in Matteo e Marco la formula di vocazione è al plurale, «Venite dietro a me, Je vous ferai pêcheurs d'hommes " (Mc 1, 17; Mont 4,19), nel racconto lucano è alla seconda persona, celle de Pierre. E sullo sfondo, nella pesca infruttuosa, già si intravedono metaforicamente le fatiche apostoliche delle prime comunità cristiane.

La narrazione della pesca miracolosa, en fait, presenta i tratti di una catechesi sulla fede per mezzo della quale il Signore ribalta le situazioni umane chiuse e senza speranza. Pietro ne diventa il paradigma. Nelle sue parole, «abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla», non vi è solo amarezza e delusione per l’inane pesca, ma traluce anche un significato più forte che designa la spossatezza e la stanchezza fisica (cf.. le verbe κοπιάω (kopiao). Un’esperienza che troviamo di frequente nella Bibbia, soprattutto nei Salmi: «Sono stremato dai miei lamenti» (Doit 6, 7; cf.. aussi Doit 69, 4; Doit 127, 1); e che l’antico Israele più volte aveva sperimentato nel corso delle sue vicende. Vi è dunque uno spazio di delusione e di limite nel quale Dio agisce. Per quella parentela fra il presente testo e il capitolo 21 de l'Évangile de Jean, più sopra ricordata, comprendiamo che senza la presenza del Signore i discepoli si affaticano inutilmente fino alla spossatezza. Ma Lui presente, che invita a gettare le reti nuovamente, tutto cambia. La prima trasformazione avviene nella fiducia del discepolo e qui è Pietro ad esplicitarla: «sulla tua parola calerò le reti» (Lc 5,4).

Ma di fronte alla pesca miracolosa sembra non basti lo stupore registrato (v. 9) da Luca, poiché Pietro sente di dover dire: «allontanati da me, perché sono un peccatore». Per alcuni ancora una volta dovrebbe soccorrerci il brano parallelo di Giovanni dove il dialogo fra il Risorto e Pietro, incentrato sull’amore, serve all’apostolo per guarire la ferita del rinnegamento nella notte della passione. Mais peut-être, simplement, visto che qui l’Apostolo compare protagonista per la prima volta nel Vangelo, la richiesta di perdono è da intendersi come il riconoscimento della propria fragilità di fronte al manifestarsi della grandezza di Dio e al compimento della «sua parola». Ma ciò che ancor più colpisce è l’atteggiamento di Gesù verso il discepolo dal quale ha udito la confessione di colpevolezza. Non la sottolinea, non vi insiste, poiché essa non dice tutto della vita di Pietro, il quale dovrà passare attraverso molteplici confessioni. Jésus, più che sottolineare la peccaminosità del futuro apostolo, preferisce invitarlo alla fiducia ed alla sequela: "N'ai pas peur; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Qui conviene sottolineare il verbo usato da Luca per designare questa pesca di uomini e non di pesci, poiché in greco «zogreo» contiene in sé sia il vocabolo ζῷον (zoos vivo) che il verbo ἀγορεύω (agreuo, prendere a caccia o a pesca). Si tratta perciò di un prendere vivo, di un catturare lasciando vivi (cf.. vocabolario Rocci). In questo modo l’opera pastorale di Pietro e dei suoi soci (v.10), metaforicamente espressa tramite la pesca che era il loro mestiere originario – e qui torna alla mente l’abbondante pesca di Gv 21, 11: 153 grossi pesci tirati in barca, senza che la rete si divida – sarà un servizio alla vita. Ceux qui, attraverso il loro ministero, verranno raggiunti dal Vangelo, saranno attirati al Cristo, il vivente apportatore di vita: «io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10, 10).

 

De l'Ermitage, 8 février 2025

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Peut-être que Jésus avait besoin d'être purifié et pardonné de ses péchés par le baptême.?

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

PEUT-ÊTRE JÉSUS DOIT ÊTRE PURIFIÉ ET PARDONNÉ DES PÉCHÉS PAR LE BAPTÊME?

L'immersion de Jésus dans le Jourdain est un signe qui révèle quel sort a partagé le Verbe fait chair: celui des pécheurs. Comme l'écrit Paul: « Celui qui n'avait connu aucun péché, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio».

 

 

 

 

 

 

 

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Un episodio sorprendente, addirittura imbarazzante, quello del battesimo di Gesù, che allontana ogni dubbio circa la sua storicità.

Pietro Perugino Pala di Sant ‘Agostino, Battesimo di Gesù, 1512

Giovanni al Giordano impartiva un battesimo di penitenza, secondo quanto scritto in Lc 3,3. Gesù aveva forse bisogno di essere perdonato dai peccati? Per tentare di rispondere, seguiamo il filo della pagina del racconto evangelico di questa Domenica, nella versione lucana.

« À ce moment-là, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Et ici, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'être aimé: in te ho posto il mio compiacimento» (Lc 3,15-16.21-22).

In questo brano evangelico notiamo alcune peculiarità. Solo Luca ci dice che Gesù ricevette il battesimo in questo modo: «quando tutto il popolo fu battezzato» (3,21). Mettendosi in fila come gli altri Gesù è l’ultimo di un lungo corteo. L’espressione «tutto il popolo» è tipica dell’evangelista Luca e non è una semplice affermazione tesa ad esagerare la realtà per amplificarla; ha invece uno spessore teologico. Il primo utilizzo di questa espressione nella Bibbia si trova nel libro della Genesi, nel racconto del peccato degli abitanti di Sodoma:

«Gli uomini di Sodoma si radunarono attorno alla casa [di Lot] dai giovani ai vecchi, tutto il popolo al completo» (19,4).

Questa dicitura richiama la condizione peccaminosa di un intero gruppo di uomini, la complicità nel peccato di una determinata moltitudine. Luca usa l’espressione «tutto il popolo» per affermare che l’evento del battesimo di Gesù riguarda in effetti tutto il popolo d’Israele, quanti sono stati toccati dalla testimonianza di Giovanni Battista e non solo. L’immersione nelle acque del Giordano era un segno di conversione e di penitenza, l’atteggiamento a cui tutti erano chiamati per accogliere la salvezza. Ma San Luca sembra guardare anche al di là del popolo di Israele e lascia trapelare che è tutta l’umanità a essere convocata e abbracciata.

Nel mistero del Natale abbiamo meditato l’incarnazione del figlio di Dio, la sua venuta come uomo tra gli uomini, assumendo «in tutto eccetto il peccato» la vera natura umana. Messa in questo modo, L'immersion de Jésus dans le Jourdain est un signe qui révèle quel sort a partagé le Verbe fait chair: celui des pécheurs. Comme l'écrit Paul:

« Celui qui n'avait connu aucun péché, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2Cor 5,21).

Reso con maggiore fedeltà al testo greco, questo passaggio del nostro brano potrebbe essere tradotto così: «Quando tutto il popolo fu immerso, anche Gesù fu immerso», come a significare che Gesù si immerge nell’immersione del popolo. Non solo è un membro del suo popolo ma si immerge nella sua stessa condizione ed è con questo atto che dà inizio al suo ministero pubblico, manifestando la sua profonda solidarietà con noi umani, perfino nella nostra condizione di peccatori.

Per l’evangelista Luca, donc, l’episodio del battesimo del Signore riveste una funzione teologica fondamentale perché Gesù, ancor prima di essere tentato e poi iniziare il suo ministero, parte da lì. Anche se questo aspetto è più evidente nel vangelo secondo Matteo è chiaro per l’evangelista che in questo mistero si riassumono i vari passaggi del Giordano già compiuti nella storia della salvezza. Da quello di Israele fuggente dall’Egitto, per entrare nella terra promessa, fino al ritorno dello stesso da Babilonia dopo l’esilio. Il Giordano appare fondamentale anche per Gesù; Egli lo attraversa per entrare nella sua missione, in una condizione, almeno esteriore, pénitentiel. Tutto si farà chiaro all’altro battesimo che Egli deve ancora ricevere (Lc 12, 50: «Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!»). Dal battesimo nelle acque del Giordano fino al battesimo nella morte e risurrezione che è la sua Pasqua, il Signore non ha mai cessato di immergersi nelle acque della nostra condizione umana spesso peccaminosa, nelle acque agitate della nostra esistenza. Viene a immergersi nella nostra povera umanità per depositarvi l’amore infinito del Padre.

L’altra peculiarità dell’odierno brano evangelico è rappresentata dal fatto che solo Luca ci dice che Gesù, ricevuto il battesimo, «stava in preghiera». Proprio il Terzo Vangelo ha un’attenzione particolare nei confronti di questo aspetto, poiché i momenti più decisivi del ministero di Gesù sono preparati o accompagnati da una preghiera più intensa: il suo battesimo appunto, la scelta dei dodici (Lc 6,12), la domanda posta ai Dodici su chi è Gesù per la gente (9,18), la trasfigurazione (9,28) e la passione (22,41-45). San Luca non riporta nessuna parola di questa preghiera di Gesù e neppure cosa Dio Gli abbia potuto comunicare. Toutefois, dalle parole scese dal cielo, possiamo comprendere che si tratti di una preghiera filiale, un aspetto quest’ultimo caratteristico del modo di rapportarsi di Gesù a Dio come Padre, rimarcato qui da Luca e soprattutto dal Quarto Vangelo: "Père, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te… Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie» (Gv 17, 1. 10). Il Padre riconosce Gesù come suo figlio prediletto, con il quale ha una relazione profonda che definisce e contraddistingue la personalità di Gesù fin da fanciullo: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49).

Infine il contesto della scena evangelica richiama il libro del profeta Isaia e la vocazione dell’eletto:

«Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni» (Est 42,1).

La missione del Servo inizia dalla comunione e comunicazione con il Padre e dal dono dello Spirito. Lo Spirito Santo giunge ad attestare in modo solenne la divinità di Gesù nel momento in cui ha compiuto, come un uomo qualsiasi, il gesto penitenziale, essendosi sottoposto al battesimo di Giovanni. Durante la sua vita terrena, Gesù non si mostrerà mai così grande come nell’umiltà dei gesti e delle parole. Un’importante lezione per noi che vediamo le cose in modo tanto diverso. Seguire Cristo significa intraprendere questo cammino di umiltà, cioè di verità. Christ, vrai Dieu et vrai homme, ci insegna la verità del nostro essere. Anche a noi cristiani è stata data la grazia dello Spirito ed anche per noi c’è una missione da compiere e una testimonianza da dare. Chiediamo di conoscerla, come Gesù ha conosciuto la sua al Giordano e di poterla vivere. Perché questo accada, il dono dello Spirito va sempre chiesto con insistenza:

«il comportamento di Gesù che prega quando viene lo Spirito, deve servire da esempio ai credenti: il dono dello Spirito Santo infatti è la domanda essenziale della preghiera cristiana» (Gérard Rossé).

De l'Ermitage, 12 janvier 2025

Battesimo del Signore

 

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Le mystère de Noël est enfermé dans un silence qui parle à l'histoire de l'humanité

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

IL MISTERO DEL NATALE È RACCHIUSO IN UN SILENZIO CHE PARLA ALLA STORIA DELL’UMANITÀ

Entrando anche noi nel silenzio di Betlemme e penetrando il Vangelo con amore e contemplazione scorgiamo dunque qualcosa di bello e di nuovo su Dio e su di noi, donc nous le connaissons mieux, mais aussi nous-mêmes, qui nous sommes, quale mistero alberga in noi, quale senso e valore ha la nostra vita e quella dell’intero universo.

 

 

 

 

 

 

 

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La moda nata negli Stati Uniti di festeggiare in anticipo il sesso del nascituro si è presto propagata anche da noi. Ma nessun baby shower O gender reveal party per il Santo Bambino Gesù.

Più seriamente e anche più profondamente nel Natale del Signore, soprattutto nelle tre liturgie che contraddistinguono questa Solennità, viene svelato qualcosa del mistero di Dio e dell’uomo a partire da quello fontale, sorgente di tutti i misteri storici, che è il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio. Leggiamo perciò il brano proclamato nella Messa della Notte di Natale, secondo il Vangelo di Luca:

« En ces jours-là parut un édit de César Auguste, que le recensement doit être de toute la terre. Ce premier recensement a été effectué lorsque Quirinius était gouverneur de Syrie. Tout le monde est allé à être inscrit, chacun dans sa ville. Joseph aussi, de Galilée, dalla città di Nàzaret, monta en Judée dans la ville de David appelée Bethléem: en fait, il appartenait à la maison et à la famille de David. Il devait être enregistré avec Maria, sa fiancée, elle était enceinte. Mentre si trovavano in quel luogo, le temps est venu pour elle à livrer. Et elle enfanta son fils premier-né, Elle enveloppé dans des vêtements emmailloter et le coucha dans une crèche, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, Mais l'ange leur dit:: “N'aie pas peur: Voici, vous annonce une grande joie, qui sont à toutes les personnes: aujourd'hui, la Ville de David, est né pour vous un Sauveur, qui est le Christ Seigneur. Ce signe pour vous: Vous trouverez un enfant enveloppé de langes, adagiato in una mangiatoia”. E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”» (Lc 2,1-14).

Questo conosciutissimo ed emozionante testo proclamato come Vangelo nella Messa della Notte di Natale lascia a una prima lettura alquanto delusi. Nous nous attendrions, almeno dai personaggi principali, qualche parola, una spiegazione o esternazione dei loro sentimenti. Essi invece rimangono muti e tutta la scena è avvolta da un grande silenzio. Tace Giuseppe che dalla sconosciuta Nazareth sale alla più nota e significativa città di Davide denominata Betlemme, a motivo del censimento. Ma nulla dice di sé, di quel che prova o percepisce. Muta rimane Maria, la sua sposa, che l’accompagna nel viaggio e silenziosamente da alla luce il suo figlio primogenito. Non ci vengono riferiti i suoi sentimenti, cosa si muoveva nel suo cuore. Solo che partorisce fuori dell’albergo, costretta a poggiare il Bambino in una povera greppia di animali. E, naturellement, non si ode alcun vagito del Bambino appena nato. L’insieme della scena narrata presenta tutta una serie di umili gesti scanditi dal silenzio. Mentre sullo sfondo si proiettano le azioni del potere di Cesare Augusto che vuole che il censimento raggiunga le provincie più lontane. Anche Luca, l’evangelista scrittore, non proferisce alcun commento, come a sottolineare un’estrema misura perfino nella povertà dei mezzi espressivi. Fuori della scena emergono i pastori, intimoriti dall’apparizione di un angelo, sono ammutoliti anch’essi. Solo il messaggero celeste rompe il silenzio annunciando la grande gioia: «E’ nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore». E poi la moltitudine dell’esercito celeste loda Dio proclamandone la gloria nei cieli e la pace sulla terra degli uomini.

Il silenzio è la chiave, in quanto ogni mistero di Dio da esso scaturisce e ad esso ci riporta. Poiché non è semplice, né facile dire Dio, chi Egli sia o descriverlo, il silenzio allora sta lì a segnalare che certe realtà vanno prima di tutto contemplate e lungamente adorate. Questo ci aiuta a comprendere l’apparente e stridente contrasto fra la povertà silenziosa della scena centrale della pagina evangelica e la magnificenza di ciò che le sta intorno. In essa è contenuto il mistero di Dio che va contemplato ed adorato.

Ed è in questo contesto che si rivela, ovvero si solleva il velo sulla singolare manifestazione di Dio, la cui prima caratteristica è indubbiamente la capacità di sorprendere. Chi si sarebbe atteso da Dio un Bambino in fasce? Quale sovrabbondante messaggio Egli porta, quale luce propaga? Ad andare oltre sembra invitarci il brano evangelico, al di là delle dimesse apparenze, per scoprire la ricchezza divina che riposa non nel frastuono, sia esso il bando del censimento di allora, o tutto ciò che oggi fa audience o moltiplica i followers, bensì nella «sottile voce silenziosa» di cui Elia fece esperienza (1Ré 19, 12), nella quale Dio si rivela all’anima capace di meditazione e contemplazione delle scritture e del mistero in esse contenuto.

Di seguito un secondo aspetto rivela di Dio la scena evangelica. E cioè che Egli venga qualificato da alcuni paradossi, da verità apparentemente al di là del buon senso comune e che il mondo accuratamente evita. Potrebbero essere espressi così: di fronte a Dio il piccolo appare spesso più importante del grande, il povero più del ricco, il disprezzato più di colui che è importante, il singolo più della moltitudine. Aussi, la povertà non è il male peggiore, dal momento che Dio l’ha permessa per il suo Figlio; c'est toujours, ciò che sulla terra è solitudine e umiliazione, può essere grande e glorioso in cielo.

Ci accorgiamo, en Modo tal, di entrare a poco a poco in una «teologia e antropologia cristiana», in un nuovo modo di capire Dio e l’uomo. In quell’abitudine, prima ricordata, di saper andare oltre scorgiamo che nel mistero di Betlemme dove tutto solo apparentemente è segreto e silenzio, parla in modo nuovo Dio all’uomo e si manifesta come Colui che ordinariamente è dalla parte del più piccolo e del più povero; come qualcuno la cui onnipotenza si mostra anzitutto nella bontà della tenerezza, nell’affidabilità e nella vicinanza ai più semplici e ai più umili. Comprendiamo così che gli siamo cari, noi fragili, deboli e poveri figli di Adamo. Tutto nella scena evangelica fa emergere dal silenzio un unico grande annuncio denso di significato: Dio ci ama gratuitamente, prima che noi lo amiamo e per il nostro bene ci viene incontro.

Entrando anche noi nel silenzio di Betlemme e penetrando il Vangelo con amore e contemplazione scorgiamo dunque qualcosa di bello e di nuovo su Dio e su di noi, donc nous le connaissons mieux, mais aussi nous-mêmes, qui nous sommes, quale mistero alberga in noi, quale senso e valore ha la nostra vita e quella dell’intero universo.

Nel mistero adorabile del Natale prendiamo coscienza che non siamo soli, che il Signore è venuto per noi e con noi rimane. Nonostante sentiamo i rombi di guerra d’intorno, il messaggio che Egli porta è quello della gioia e della pace. Una pace divina e non effimera che viene da Lui e attraversa i vissuti delle persone, delle nazioni e dei popoli.

Recentemente è stata avanzata una nuova idea nella riflessione teologica che tratta del mistero dell’incarnazione. Viene denominata «incarnazione profonda», o «radicale». Si tratta di una recente sensibilità teologica interessata a riscoprire la portata inclusiva e salvifica dell’incarnazione per l’intera creazione. Senza nulla togliere alle nuove acquisizioni, ricordiamo che su questo tema si sono confrontati in tanti, soprattutto i santi padri fin dall’antichità. E fra questi Sant’Ambrogio che commentava lo scritto dell’evangelista Luca con queste parole:

«È affinché tu potessi diventare un uomo perfetto che Gesù volle essere un bambinello. Egli fu stretto in fasce affinché tu fossi sciolto dai lacci della morte. Fu nella stalla per porre te sugli altari. Venne in terra affinché tu raggiungessi le stelle, e non trovò posto in quell’albergo affinché tu avessi nei cieli molte dimore. Egli da ricco che era si è fatto povero per noi, perché diventassimo ricchi della sua povertà. Questa indigenza di Dio è dunque la mia ricchezza e la debolezza del Signore la mia forza. Ha preferito per sé le privazioni per donare in abbondanza a tutti. Il pianto della sua infanzia in vagiti è un lavacro per me, quelle lacrime hanno lavato i miei peccati».

Joyeux Noël à tous.

De l'Ermitage, 25 décembre 2024

Dies Natalis Domini

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Les Pères Patmos Island

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Le diagnostic gynécologique du docteur Luca: « Et voici, tu concevras dans le ventre de ta mère"

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

LE DIAGNOSTIC GYNÉCOLOGIQUE DU DOCTEUR LUCA: « ET VOYEZ, CONCEPIRAI NEL GREMBO»

Un’antica tradizione, qui remonte à l'apôtre Paul, rapporte que Luca était médecin. une personne, alors, plus approprié que d'autres pour raconter la conception spéciale; en fait Saint Luc utilise ici toute sa sagesse, forse anche quella professionale, ma soprattutto quella teologica.

 

 

 

 

 

 

 

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Il brano dell’Annunciazione, che è anche quello della Vocazione di Maria, è uno dei più belli e profondi del Vangelo di Luca. Ma anche uno dei più complessi e difficili.

Un’antica tradizione, qui remonte à l'apôtre Paul (Col 4, 14), rapporte que Luca était médecin. une personne, alors, plus approprié que d'autres pour raconter la conception spéciale; en fait Saint Luc utilise ici toute sa sagesse, forse anche quella professionale, ma soprattutto quella teologica. Leggiamo il brano.

« À ce moment-là, l'ange Gabriel fut envoyé par Dieu dans une ville de Galilée, chiamata Nàzaret, une vierge, fiancée à un homme de la maison de David;, di nome Giuseppe. Le nom de la vierge était Marie. Saisie de la loi, il a dit: “Rallègrati, plein de grâce: le Seigneur est avec toi;”. A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L'ange lui dit:: “ne crains point, Marie, car tu as trouvé grâce auprès de Dieu. Et ici, concepirai un figlio, vous lui donnerez le nom de Jésus. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; Le Seigneur Dieu lui donnera le trône de David, son père et régner pour toujours sur la maison de Jacob, et son règne n'aura pas de fin”. Marie dit à l'ange: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”. Le rispose l’Angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Et ici, Elisabeth, votre parent, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: rien est impossible à Dieu”. Marie dit: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. E l’Angelo si allontanò da lei» (Lc 1,26-38).

L’Arcangelo Gabriele viene inviato da Dio per comunicare alla Vergine Maria l’annuncio dell’Incarnazione ormai prossima. A Maria, promessa sposa di Giuseppe, viene annunciato che diventerà verginalmente la madre del Figlio di Dio. Il testo ci dice che Dio aveva già preparato Maria da molto tempo per questa sua missione, in quanto Ella aveva sperimentato di essere stata «resa gradita» (mignon, Kexaritoméne) à Dieu, mediante l’influsso della grazia. Questo è il vero senso di quel «gratia plena», che ancora oggi recitiamo nella preghiera dell’Avé Maria, ma spesso senza comprenderne appieno il significato. Il participio perfetto passivo del verbo karitoo indica che si tratta di un’azione passata della grazia su Maria, un’azione dunque anteriore all’Annunciazione, per mezzo della quale Maria aveva sentito di essere interiormente orientata verso un evento futuro ancora sconosciuto. San Tommaso d’Aquino lo spiega dicendo che aveva sperimentato in sé un profondo «desiderio di verginità»; così pure per San Bernardo di Chiaravalle la grazia di Maria era «la grazia della verginità». Orientata da quella grazia Maria era stata preparata a questo giorno: diventare la madre del Figlio di Dio incarnato, ma in un modo verginale.

Un parto simile appare paradossale e difficile da credere, forse anche solo immaginare. Eppure San Luca, nel testo evangelico, ci offre importanti indizi perché noi possiamo accogliere questa verità, come tutta la Tradizione ci insegna. Vediamo da vicino il verso di Lc 1,31 che recita in greco: « Et voici, tu concevras dans le ventre de ta mère". Questa aggiunta, «nel grembo», è singolare, poco notata e spesso non tradotta, come abbiamo visto nel testo della CEI che si proclama in chiesa oggi. Non c’è in quanto sembra un’integrazione pleonastica, poiché è evidente che una donna concepisca sempre nel grembo. Eppure l’inizio del verso ben si integra nell’insieme della descrizione dei tre momenti:

  1. Concepirai nel grembo;
  2. partoriraiun figlio;
  3. gli porrai nome Gesù.

Solo Maria, in tutta la Scrittura, riceve l’annuncio che il suo concepimento si farà integralmente «nel grembo», sarà quindi completamente interiore e perciò sarà un concepimento verginale. Voyons pourquoi.

Il versetto rimanda chiaramente alla profezia di Isaia 7, 14 (Versione dei LXX), ripresa anche da Matteo (1,23) durante l’annuncio a Giuseppe in sogno:

"Voici la vergine avrà nel grembo e darà alla luce un figlio e chiameranno il suo nome Emmanuele».

In San Luca, trattandosi di un dialogo fra l’Angelo e Maria, si usa la seconda persona (concepirai) e il soggetto è chiaramente Maria, non più la vergine di Isaia o di San Matteo. Anche perché all’inizio del brano, Entre autres, era già stato detto chiaramente due volte che Lei era «una vergine, promessa sposa»; e che «la vergine si chiamava Maria». Ma la cosa più sorprendente è l’uso da parte di Luca del verbo. Non più «avrai nel grembo» come in Isaia e Matteo, ma «concepirai nel grembo». Un’espressione nuova che va nella direzione di escludere ogni partecipazione maschile, perciò umana, da questo concepimento. Nell’Antico Testamento una donna «riceve nel grembo» (Est 8, 3) il seme maschile, oppure «ha nel grembo» (gn 38, 25) dopo un rapporto con un uomo. Ma qui in Luca è chiaramente escluso dalle parole di Maria: «Non conosco uomo» (Lc 1, 34) e cioè «sono vergine». Per questo San Luca preferisce usare il verbo «concepire» (sullambánein), anch’esso molto frequente nell’Antico Testamento, però sempre senza l’aggiunta «nel grembo». L’Evangelista infatti adopera due volte il verbo «concepire», con l’aggiunta apparentemente superflua di «nel grembo» e lo fa unicamente riferendosi a Maria. Non lo fa, par exemple, con Elisabetta (Lc 1, 24.36); per Maria invece si, in questo brano e in Luca 2,21:

«…come era stato chiamato [Jésus] dall’Angelo, prima di essere stato concepito nel grembo».

Sembrano solo parole, eppure qui Luca sta dicendo che il concepimento di Maria sarà vero, corporale, come lascia intendere la ripresa dell’antico verbo: concepire; eppure sarà nuovo, unico e diverso per Maria, ovvero senza concorso umano, maschile, totalmente verginale. Richiedeva cioè una «potenza» diversa, un’azione fecondante di tipo spirituale. È quanto l’Angelo spiegherà a Maria a fronte della sua vera obiezione:

«Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio» (v. 35).

Mi scuso se, data l’odierna Solennità, non mi sono soffermato sul Dogma dell’Immacolata Concezione, sul suo significato storico e teologico, sul peccato originale per esempio, come spesso si fa. Mi è sembrato più opportuno e avvincente soffermarmi sulle basi scritturistiche da cui tutto scaturisce come una sorgente. Si nota, en fait, nel brano odierno del Vangelo della Solennità, una bella continuità. Dal verso di Lc 1, 28, dove alla Vergine viene dato il titolo di «gratia plena», sappiamo che Maria, depuis longtemps, è stata preparata dalla grazia alla sua missione futura. Al momento dell’Incarnazione, l’Angelo le porta il grande e nuovo messaggio: il suo prossimo concepimento si realizzerà «nel grembo», cioè senza concorso umano. Sarà quindi un concepimento verginale, effettuato in Lei dallo Spirito Santo. La Sua Immacolata Concezione è perciò mirabilmente descritta dalla lunga preparazione della grazia in Maria in vista dell’Incarnazione, «nel suo grembo», del Figlio di Dio. C’è quindi una perfetta continuità ben presentata dall’Evangelista Luca. Marie, piena di Grazia, dopo aver «concepito» e partorito «santamente» (v. 35) suo figlio sotto l’azione dello Spirito Santo, può presentarlo agli uomini come Figlio di Dio, il cui nome è Gesù. Questo è il mistero grande che finalmente è rivelato agli uomini. Ma al centro di tutto il racconto sta la Vergine Maria.

En ce sens risultano appropriate le parole del Vescovo Andrea di Creta (+740) riferite a Maria:

«Il corpo della Vergine è una terra che Dio seminò, le primizie della materia adamitica divinizzata da Cristo, l’immagine che rassomiglia alla bellezza primitiva, l’argilla modellata dalle mani dell’artigiano» (Homélie 1 sulla Dormizione della Beata Vergine Maria (PG 97,1068).

De l'Ermitage, 8 décembre 2024

Solennità della Beata Vergine Maria Immacolata

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Et la venue de notre sauveur Jésus-Christ

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ET ADVENTUM SALVATORIS NOSTRI IESU CHRISTI

La prima domenica di Avvento è la porta d’ingresso di un nuovo anno liturgico, cette fois désigné par la lettre «C», dans lequel les passages de l'Évangile du dimanche seront tirés de l'Évangile de Luc …

 

 

 

 

 

 

 

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La prima domenica di Avvento è la porta d’ingresso di un nuovo anno liturgico, cette fois désigné par la lettre «C», dans lequel les passages de l'Évangile du dimanche seront tirés de l'Évangile de Luc.

Cette écriture costituisce la prima parte di un’unica opera, la seconda della quale sono gli Atti degli Apostoli. Costruendo questo complesso letterario Luca ha voluto mostrare che la vita della Chiesa è radicata in Cristo e trova in lui il suo centro di gravità. Non a caso gli Atti iniziano riassumendo così il terzo Vangelo:

«Nel primo racconto, o Teofilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito santo» (À 1,1-2).

E tra «ciò che Gesù fece e insegnò» vi è il discorso escatologico, quello sulle cose ultime, da cui è tratta la pericope di questa prima domenica di Avvento. Lisons-le:

« À ce moment-là, Jésus dit à ses disciples: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo» (Lc 21,25-28.34-36).

Il capitolo 21 del Vangelo lucano, costruito attorno al discorso escatologico del capitolo 13 di Marco, è un esempio di quel genere letterario presente anche in altri scritti del Nuovo Testamento e in particolare nell’ultimo libro del canone cristiano: l'Apocalypse. È una modalità di presentare la realtà che non ci deve spaventare, ma nemmeno distoglierci dal messaggio che porta e a volte cela. Per trovare un paragone musicale, è come il Dies irae du Messa da Requiem di Verdi. Dapprima intervengono tutti gli archi ed emergono le percussioni, tamburi e grancasse. Poi cessano improvvisamente il suono ed ecco, finalement, il senso di quanto è stato eseguito:

«Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo» (Lc 21,36).

Tutto questo movimento, nel brano odierno, prende avvio da un apparentemente innocuo apprezzamento fatto da alcuni discepoli, Al v. 5: «Mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, [Jésus] il a dit:

«Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta».

Così Gesù anziché sintonizzarsi sulla questione estetica della bellezza del tempio inizia un discorso escatologico sulla rovina di esso e di Gerusalemme, sulle catastrofi cosmiche e sul ritorno del Figlio dell’Uomo che copre l’intero capitolo fino al versetto sulla vigilanza cui abbiamo accennato, che lo chiude.

In tutto questo discorso Gesù spiega che la distruzione del tempio non è segno della fine del mondo (Lc 21,5-9), ma inizio dei «tempi delle genti» (cf.. καιροὶ ἐθνῶν di Lc 21,24), che sono poi i tempi della storia, i quali avranno termine con la venuta del Figlio dell’uomo. San Luca accenna rapidamente alla parusia«Allora vedranno il Figlio dell’Uomo venire su una nube con grande potenza e gloria» (Lc 21,27) – poiché preferisce piuttosto soffermarsi sulle reazioni degli uomini dinanzi agli eventi escatologici. Se l’accento è posto sulla storia, perché è il luogo in cui il credente è chiamato a sperare, vigilando e pregando, in mezzo alle tribolazioni, la venuta gloriosa del Signore è vista da Luca framezzo le reazioni che produce sugli uomini. Gli eventi catastrofici nella natura o nella storia, in cielo o sulla terra, che saranno motivo di angoscia e smarrimento, di attesa ansiosa, di paura e morte per tanti uomini; pour les croyants, au lieu, potranno essere il segno dell’avvicinarsi della salvezza: «Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28). Sollevare la testa significa anche alzare gli occhi e vedere ciò che a molti resta invisibile, quella salvezza che avanza tra le tribolazioni che si dipanano nel tempo. Quel «Regno» che emerge da dietro le macerie della storia, fondato sulla promessa del Signore che resta salda anche nell’accumularsi delle rovine «sulla terra» (Lc 21,25). Nessun pessimismo dunque, nessun far coincidere le catastrofi naturali e storiche per quanto devastanti, come le guerre, le pandemie, le crisi ecologiche, con la fine del mondo, ma anche nessun cinismo, nessuna fuga dai dolori e dalle assurdità del reale per rifugiarsi in una visione spiritualistica o ingenuamente ottimista.

Per San Luca tutti, credenti e non, sono sottomessi al rischio di essere soverchiati e schiacciati dagli eventi che devono succedere, soprattutto i credenti se non veglieranno e non pregheranno (cf.. Lc 21,34). Le paure collettive, le angosce planetarie che schiavizzano uomini e donne, rendendoli preda di ciò che potrà accadere«gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra» (Lc 21,26) – costituiscono un dramma escatologico che investe l’intero ecumene (oikouméne: Lc 21,26 cf.. «la faccia di tutta la terra» di Lc 21,35), anche i discepoli.

L’esortazione alla vigilanza donc (Lc 21,34.36) è anzitutto appello alla lucidità, alla sobrietà, a non cercare vie di stordimento e immunizzazione dal peso e dal dolore della realtà e a non lasciarsi ottundere dal «rumore» degli eventi e anche dalla seduzione di certa narrazione, che approfitta delle paure e delle angosce per stravolgere la realtà presentandone una alternativa, come abbiamo sperimentato durante il periodo della pandemia o adesso con le guerre in corso. Vale la pena ripetere; questi eventi catastrofici che saranno colti come segno di «fine» da tanti e quindi motivo di smarrimento, angoscia, paura e morte per molte persone, per i credenti potranno essere segno dell’avvicinarsi della salvezza e nuovo inizio di vita, «perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28). Il credente si erge in piedi nell’atteggiamento di chi possiede la speranza nata dalla Risurrezione di Cristo; e forte delle rassicurazioni del Signore intravede il senso di tutto ciò che accade. Ai discepoli che possono lasciarsi sopraffare dalle paure e dalle angosce Gesù ricorda: «Attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita». Sono parole che richiamano quanto il Signore aveva già annunciato in una parabola, riportata nel capitolo 8 di Luca, a riguardo del seme che viene soffocato dalle preoccupazioni.

Termino qui riportando le parole di Papa Benedetto XVI ce, commentando questo passo del Vangelo, chiamava in causa la testimonianza cristiana, simile ad una città bene in vista:

«A questo ci richiama oggi la Parola di Dio, tracciando la linea di condotta da seguire per essere pronti alla venuta del Signore. Dans l'Evangile de Luc, Gesù dice ai discepoli: “I vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita … vegliate in ogni momento pregando” (Lc 21,34.36). Alors, sobrietà e preghiera. E l’apostolo Paolo aggiunge l’invito a “crescere e sovrabbondare nell’amore” tra noi e verso tutti, per rendere saldi i nostri cuori e irreprensibili nella santità (cf.. 1Ts 3,12-13). In mezzo agli sconvolgimenti del mondo, o ai deserti dell’indifferenza e del materialismo, i cristiani accolgono da Dio la salvezza e la testimoniano con un diverso modo di vivere, come una città posta sopra un monte. “In quei giorni – annuncia il profeta Geremia – Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia” (33,16). La comunità dei credenti è segno dell’amore di Dio, della sua giustizia che è già presente e operante nella storia ma che non è ancora pienamente realizzata, e pertanto va sempre attesa, invocata, ricercata con pazienza e coraggio» (Angélus 2.12.2012).

De l'Ermitage, 1° dicembre 2024

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La croix du Christ Roi portant le signe du triomphe sur ses épaules

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

LA CROCE DI CRISTO RE CHE PORTA SULLE SUE SPALLE IL SEGNO DEL TRIONFO

Cristo portò per sé la croce, et pour les méchants c'était un grand ridicule mais pour les fidèles un grand mystère. Le Christ porte la croix comme un roi porte son sceptre, en signe de sa gloire, della sua sovranità universale su tutti. La porta come un guerriero vittorioso porta il trofeo della sua vittoria

 

 

 

 

 

 

 

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Se Domenica scorsa è stato proclamato l’annuncio della seconda venuta di Cristo «sulle nubi con grande potenza e gloria» (Mc 13, 26), aujourd'hui, nell’ultima Domenica di questo Anno Liturgico, riapriamo il Vangelo secondo Giovanni nel punto dove viene svelata una qualità peculiare del Signore veniente, la sua regalità. Il singolare contesto, la passione del Signore, e l’interlocutore, un funzionario imperiale, rendono particolarmente intrigante la comprensione della regalità che Gesù incarna.

Ciò che il mondo rappresentato da Pilato non può capire, lo comprende invece chi con fede si apre ad una rivelazione inusitata e sorprendente. Leggiamo il brano.

« À ce moment-là, Pilato disse a Gesù: « Tu es le roi des Juifs?”. Jésus a répondu: «Tu dis ça pour toi, ou ont d'autres vous ont dit de moi?”. Pilate a dit: "Peut-être que je suis juif? Ton peuple et les principaux prêtres m'ont remis. Qu'avez-vous fait?”. Jésus répondit:: « Mon royaume n'est pas de ce monde; si mon royaume était de ce monde, mes serviteurs se seraient battus pour m'empêcher d'être livré aux Juifs; mais mon royaume n'est pas d'ici ". Alors Pilate lui dit: «Alors tu es roi?”. Jésus répondit:: "Tu l'as dit: Je suis un roi. Pour cela, je suis né et je suis venu dans le monde: témoigner de la vérité. Celui qui appartient à la vérité, ascolta la mia voce”» (Gv 18,33-37).

Viene descritto qui il primo dei due confronti che Pilato ebbe con Gesù all’interno del Pretorio. Essi culmineranno in quella scena centrale di tutta la narrazione della passione secondo San Giovanni, avvenuta sul Litòstroto, dove Pilato pronunciò le parole: «Ecco il vostro Re» (Gv 19,14). Per dare risalto all’importanza della scena ed alla profondità di significato delle parole pronunciate, Giovanni annoterà che in quello stesso momento venivano preparati gli agnelli della Pasqua, nel giorno di Parasceve.

Nel brano evangelico di questa domenica Pilate, senza perder tempo, arriva subito al punto e alla questione cruciale che più gli interessa: « Tu es le roi des Juifs?». Per il Prefetto romano, rappresentante del potere imperiale, questa domanda evidenzia una preoccupazione circa il governo dei suoi territori. In occasione della Pasqua ebraica, en fait, il Prefetto si spostava, truppe al seguito, da Cesarea a Gerusalemme, proprio per scongiurare che una sommossa potesse destabilizzare l’ordine e la pax romana. Maman, come diversi commentatori fanno risaltare, l’espressione «Re dei giudei» che Pilato utilizza può essere compresa, nel nostro brano, almeno in due altri modi, diversi da quello che egli probabilmente intende. I giudei, con quell’espressione, intendevano il re messia atteso fin dall’epoca di Davide per il tempo della salvezza, investito di una missione sia religiosa che politico-nazionale. Il termine Re ha qui, donc, in tale contesto, un significato terreno e storico, con anche un’allusione ad un contenuto teologico. Nella storia biblica, ambedue sono strettamente legati e impiegati l’uno per l’altro; tanto che i due significati giocheranno un ruolo decisivo nell’accusa rivolta a Gesù.

Ma bisogna tener conto del senso che le parole devono aver avuto per Gesù, particolarmente indicativo per la comprensione della festa di oggi. Sulla bocca di Gesù questo titolo rivela un nuovo significato, che solo San Giovanni mette in luce e fa risaltare. Gesù accettando il titolo e rispondendo: « Vous dites: Io sono re», nello stesso tempo nega il significato che Pilato vuole attribuirgli, per insistere invece sulla sua speciale regalità. Gesù si rifiuta di incarnare un messianismo terreno, come quello evocato già nelle tentazioni nel deserto, in particolare nella versione lucana della prova: «Il diavolo lo condusse in alto e, mostrandogli in un istante tutti i regni della terra, il lui a dit: «Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me tutto sarà tuo» (Lc 4,5-7). «Tutto il mondo appartiene a Satana, che è disposto a dare a Gesù il potere su tutti i regni della terra. Mais Jésus, fin dall’inizio della sua vita pubblica, rifiuta radicalmente di fondare un regno terreno» (cf.. Ignace de La Potterie, La passione di Gesù secondo il Vangelo di Giovanni, 1993). Se la regalità di Cristo deve essere compresa in un altro modo, questo non deve portarci all’idea contrapposta, ovvero ad immaginare un Messia estraniato dal mondo. Il testo del vangelo di questa domenica va letto con attenzione. In greco, le parole di Gesù al v. 36 Je suis, au sens propre: «Il mio regno non è «da» questo mondo». Quanta differenza rispetto agli apocrifi. «In certi scritti gnostici ispirati dal quarto vangelo, per esempio gli Atti di Pilato, viene introdotta in questo testo la piccola modifica seguente: «Il mio regno non è «in» questo mondo»; il che ha evidentemente un significato del tutto differente e porta a una separazione tra il mondo e il regno di Dio». Le parole di Gesù invece significano che «la regalità di Cristo non si fonda sui poteri di questo mondo e non è minimamente ispirata a questi. È una sovranità nel mondo, ma che si realizza in maniera diversa dal potere terreno e attinge la sua ispirazione da un’altra fonte» (cf.. Ignace de La Potterie).

Pilato era un funzionario esperto, concreto e, si nécessaire, violento e spietato. Secondo San Giovanni alle parole di Gesù, quasi sorpreso, non poté che chiedere: « Alors, tu es roi?». Jésus répondit::

« Vous dites: Je suis un roi. Pour cela, je suis né et je suis venu dans le monde: témoigner de la vérité. Celui qui appartient à la vérité, entend ma voix ".

E qui che il Signore specifica il senso profondo della sua regalità e da dove scaturisce. La sua fonte è nel Padre che lo ha inviato, per divenire la via della verità e della vita. Afferma Giovanni nel Prologo:

«E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; et nous avons contemplé sa gloire, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno della grazia della verità» (Gv 1, 14).

Continua poi incalzante San Giovanni:

« De sa plénitude nous avons tous reçu: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia della verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Je donnai, personne ne l'a vu: le Fils unique, qui est Dieu et est au Père, il est celui qui l'a fait connaître " (Gv 1, 16-18).

La verità dunque che Gesù porta all’umanità come una grazia, un dono e una missione dal Padre, è la sua rivelazione. Non una semplice verità astratta ed asettica, ma la vita, le mot, l’esistenza tutta del Signore Gesù, nella pienezza inesauribile del suo significato di amore, di salvezza e di vita nel Padre, per ogni persona che si apre ad essa e vi aderisce con la fede. In ogni uomo o donna che accoglie la verità di Cristo Egli regna nella pace. E questo nonostante la regalità del Signore sia dovuta passare attraverso il crogiuolo della passione, di cui la scena evangelica di questa domenica è il prodromo. Ma per San Giovanni, e solo per lui, proprio la passione sarà la manifestazione della regalità di Gesù: Il Cristo regna dalla Croce.

Giovanni, mentre racconta la passione di Cristo, non nega la realtà o la materialità degli avvenimenti che furono dolorosi. Mette però in rilievo, a differenza dei Sinottici, l’aspetto di regalità e di trionfo, di vittoria sul male e il valore salvifico, che è insito nella passione e nella morte subita da Gesù Cristo: mentre la narra ci dona anche il senso degli eventi. Questi aspetti emergono già durante il processo e poi alla crocifissione di Gesù. Alla fine del processo romano Pilato conduce Gesù di fronte alla folla e dice: «Ecce homo, Ecco l’uomo» (Gv 19,5). Gesù in quel momento indossa i simboli della regalità e oltre alla corona di spine ha ancora il mantello. Mentre i vangeli sinottici dicono che la porpora gli fu tolta causandogli dolore, nel Quarto Vangelo si ha addirittura l’impressione che Gesù vada verso la croce indossando ancora sia la porpora che la corona. E c’è un impressionante parallelismo, anche letterario, tra la scena avvenuta nel pretorio, nel luogo chiamato Gabbatà (Gv 19, 13-16), e quanto accade ai piedi della croce, sul Golgota (Gv 19, 17-22). In entrambi i casi Giovanni pone l’accento sul tema della regalità e in entrambi i casi è Pilato, cioè il detentore del più alto potere civile, che rende gli onori a Gesù. «Ecco il vostro re» dice alla folla radunata davanti al pretorio (Gv 19,14); poi sopra la croce egli fa scrivere: «Il re dei Giudei» (Gv 19,19). Questa è, di fronte al mondo, una proclamazione della regalità di Cristo fatta in tre lingue: en hébreu, la lingua di Israele, en grec, la lingua della cultura; e in latino, la lingua del potere civile. L’episodio, Encore une fois, viene raccontato solo da San Giovanni. E non è un caso se nella tradizione cristiana la Via crucis, ispirata principalmente al racconto di Giovani, diventerà una via trionfale. Così pure non poche croci dipinte, come il celebre Crocifisso di San Damiano in Assisi che parlò a San Francesco, raffigurano Gesù secondo la tipologia del Christus triumphans. Giovanni scrive che Gesù esce dalla città: «Et baiulans sibi crucem». Abitualmente viene tradotto: «Portando la croce da sé». In realtà la traduzione corretta è: «Portando la croce per sé», cioè portandola come strumento della sua vittoria. San Tommaso d’Aquino conferma questa traduzione e dice: «Cristo portò per sé la croce, et pour les méchants c'était un grand ridicule mais pour les fidèles un grand mystère. Le Christ porte la croix comme un roi porte son sceptre, en signe de sa gloire, della sua sovranità universale su tutti. La porta come un guerriero vittorioso porta il trofeo della sua vittoria». E nei primi secoli san Giovanni Crisostomo aveva già usato un’espressione analoga: «Egli portò sulle proprie spalle il segno del trionfo».

De l'Ermitage, 24 novembre 2024

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Le ciel et la terre passeront mais mes paroles ne passeront pas

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

LE CIEL ET LA TERRE PASSERONT, MA LE MIE PAROLE NON PASSERANNO

In questa condizione il credente può dunque assumere spiritualmente la dimensione della venuta del Signore nello spazio dell’attesa. Ce ne sera pas pénible ni annonciateur d’anxiété, assez plein de confiance, poiché poggia sull’assicurazione del Signore: «Io vengo presto»

 

 

 

 

 

 

 

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Un evento certo, ma di cui non si sa quando accadrà, esige che lo si attenda. È ciò che emerge dalla pagina evangelica di questa domenica. Tratta dal discorso escatologico di Marco (Casquette. 13), essa annuncia come sicura la venuta del Signore, ma afferma che la sua data e il suo momento sono incerti. Lisons-le:

« À ce moment-là, Jésus dit à ses disciples: “In quei giorni, après cette détresse, le soleil sera obscurci, la lune ne donnera plus sa lumière, les étoiles tomberont du ciel et les puissances qui sont dans les cieux seront ébranlées. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quand vous voyez ces choses, savoir qu'il est proche, è alle porte. Vraiment je te dis: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Le ciel et la terre passeront, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, personne ne sait, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre”» (Mc 13,24-32).

Il Cap. 13 del Vangelo di Marco prende avvio da due domande dei discepoli rivolte a Gesù all’uscita dal Tempio e sul Monte degli Ulivi:

«Mentre usciva dal tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: “Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!”. Jésus lui a répondu: “Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta” (vv.1.2). «Mentre stava sul monte degli Ulivi, seduto di fronte al tempio, Pierre, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte: “Di’ a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?”» (vv. 3.4).

Gesù non risponde subito alla domanda dei quattro discepoli, ma nel frattempo ha l’occasione per parlare delle ultime cose. Le parole di Gesù che descrivono l’arrivare di codeste «cose ultime», in «quei giorni», sono una ripresa di testi profetici di Isaia, Gioele e Daniele. Chi le udiva sulla bocca di Gesù, probabilmente ne comprendeva il senso meglio di noi, che dopo tanti anni di distanza facciamo fatica ad orientarci. In realtà il linguaggio apocalittico non è lontano dalla nostra cultura, anzi essa ne è fortemente permeata. Bisogna tener presente, Mais, che detto linguaggio è un «genere letterario», quindi non un racconto storico o un trattato di scienza. Purtroppo molti credenti lo interpretano proprio così, leggendo eventi presenti come realizzazione delle parole di Gesù. Il linguaggio escatologico ha una sua propria chiave e come tale va interpretato. È un genere che nasce dalla confluenza della corrente sapienziale e profetica. Soprattutto quando quest’ultima finisce si attenderà in Israele un profeta che avrebbe sistemato le cose: «Riposero le pietre sul monte del tempio in luogo conveniente, finché fosse comparso un profeta a decidere di esse» (1Mac 4, 46). Del resto non possiamo pensare che Gesù volesse dire che la fine del mondo accadrà proprio come l’ha descritta. Puis, siamo sicuri che Egli stesse parlando della «fine del mondo», et pas, au lieu, di un nuovo inizio? Perché dice che «questa generazione» vedrà quanto da lui annunciato.

La figura centrale del Vangelo odierno è quella del Figlio dell’Uomo. Mentre precedentemente il Signore aveva parlato del suo destino sofferente, stavolta dà ragione a ciò che si pensava di questo personaggio all’epoca e quindi fra i discepoli. Il Figlio dell’Uomo è una figura potente, quasi un’ipostasi divina come la descrive il profeta Daniele (7, 13-14), il cui compito principale sembra essere quello del giudice (Libro dei Giubilei). Gesù si descrive in tale modo, quando risponde al Sommo Sacerdote che gli domanda se è lui il Messia: «Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo» (Mc 14,62); e queste parole diventeranno una delle ragioni della sua condanna. Ma oggi Egli parla del Figlio dell’Uomo legandolo ad un tema caro al giudaismo, ovvero il raduno dei dispersi. Sorprendentemente, en fait, per le tradizioni evangeliche esso non avverrà soltanto alla «fine del mondo», ma si è già realizzato in un momento particolare e cioè alla morte del Messia Gesù. Ciò è particolarmente chiaro nel Quarto Vangelo quando San Giovanni riporta le parole di Gesù: "Et moi, quand je suis soulevé du sol, J'attirerai tout le monde à moi" (Gv 12,32). Il raduno delle genti operato dal Figlio dell’Uomo è preceduto da sconvolgimenti celesti. Così se andiamo a vedere il modo in cui l’Evangelista Marco descrive la morte del Messia, troviamo che alcuni segni che erano stati annunciati nel brano evangelico di oggi si compiono. Gesù aveva detto che il sole si sarebbe oscurato (Mc 13,24), ed ecco che dopo la crocifissione di Gesù, «venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio» (Mc 15,33). Matteo, amplificando il racconto marciano, aggiunge poi che anche «la terra tremò e le rocce si spaccarono» (Mont 27,51), un richiamo alla frase di Gesù per cui «gli astri si metteranno a cadere dal cielo» (Mc 13,25). Siamo quindi di fronte non solo ad un annuncio di fine del mondo e del tempo. che per altro si era già intravisto nelle parole iniziali del Vangelo: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Ma con la venuta del Messia e con la morte del Signore Gesù inizia il tempo escatologico, il tempo della fine, per cui passa la scena di questo mondo: «Questo vi dico, frères et sœurs: il tempo si è fatto breve… passa infatti la figura di questo mondo!» (1Cor 7, 29-31).

In questa condizione il credente può dunque assumere spiritualmente la dimensione della venuta del Signore nello spazio dell’attesa. Ce ne sera pas pénible ni annonciateur d’anxiété, assez plein de confiance, poiché poggia sull’assicurazione del Signore: «Io vengo presto» (App 22,7). È un atto di fede l’attesa cristiana della seconda venuta del Signore. Essa si diramerà nelle diverse direzioni della pazienza, della resistenza, della perseveranza e soprattutto della speranza. Dice l’Apostolo Paolo: «Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza» (per patientiam exspectamus, cf.. Rm 8,25). L’attesa paziente diviene persino motivo di beatitudine secondo il libro di Daniele: «Beato chi attenderà con pazienza» (dn 12,12).

Va sottolineato che il brano evangelico di questa domenica è inquadrato fra due avvertimenti quasi identici: blépete, «guardate», «state attenti»; e agrupneite, «tenete gli occhi ben aperti e abbiate cura» (Mc 13,23.33). Il testo è incastonato all’interno di un’esortazione alla vigilanza e al discernimento. Il tempo della storia è abitato da tribolazioni di cui Marco ha parlato nei versetti precedenti (Mc 13,19-20), tribolazioni che precedono l’evento centrale dell’annuncio escatologico, che porrà fine alla storia accordandole un fine: la venuta del Figlio dell’Uomo. Lo sconvolgimento delle realtà celesti (Mc 13,24-25) dice che è in atto un evento divino, un evento di cui è protagonista il Dio creatore. Ma il sole e la luna, gli astri e le potenze celesti erano anche parte del pantheon degli antichi romani, entità divinizzate ed idoli; e sappiamo che Marco scrive a cristiani di Roma. Perciò qui non è annunciata solo la fine del mondo, ma anche la fine di un mondo, il crollo del mondo degli dèi pagani detronizzati dal Figlio dell’Uomo. E se si afferma che la fine dell’idolatria si compirà con il Regno di Dio instaurato dalla venuta del Signore, si insinua anche che la prassi dei cristiani nel mondo può rappresentare un segno del regnare di Dio; grazie alla vigilanza, per non far regnare su di sé gli idoli. Annunciando la sua venuta gloriosa, Gesù chiede dunque ai cristiani, come gesto profetico, la conversione dagli idoli e dalle potenze mondane. Vivere l’attesa del Signore significa vivere in stato di conversione. Ma la conversione ha come premessa necessaria la vigilanza.

Ecco allora l’immagine dolcissima del fico che germoglia, dans tous les sens, poiché fa quasi pregustare l’esito finale quando spunterà il frutto maturo. Questa è una parabola del Signore che ci insegna come lo sguardo verso i segni celesti e l’osservazione di quelli terrestri non sono in alternativa. Il futuro si prepara nell’oggi che si vive, sulla terra dove siamo piantati e dove possiamo scorgere molti segnali della venuta gloriosa del Signore. Solo chi sa ben osservare sa anche scorgerli: «Dal fico imparate la parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l’estate è vicina» (Mc 13,28).

De l'Ermitage, 17 novembre 2024

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JÉSUS AU BON SCRIBE: «NON SEI LONTANO DAL REGNO DI DIO»

«Uno degli scribi e gli domandò: « Quel est le premier de tous les commandements?”. Jésus a répondu: « Le premier est: Écouter, Israël! Le Seigneur notre Dieu est le seul Seigneur; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: "Tu aimeras ton prochain comme toi-même". Il n'y a pas d'autre commandement plus grand que ceux-ci ".

 

 

 

 

 

 

 

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Prima del brano evangelico di questa domenica Gesù ha dovuto fronteggiare diversi gruppi di avversari: prêtres, scribi e anziani del popolo (Mc 11,27ss.); farisei ed erodiani (Mc 12,13ss.) infine i sadducei (Mc 12,18ss.).

Reggio di Calabria: Gesù e lo scriba, Cattedrale metropolitana di Maria Santissima Assunta

Maintenant, Mais, Gli si accosta, seul, un singolo membro di uno di questi gruppi. Non ha prevenzioni, né una disposizione pregiudizialmente negativa nei confronti di Gesù. Ha appena ascoltato l’ultima discussione coi sadducei sulla Risurrezione e deve averne apprezzato la sapienza. Infatti fra i due si instaura una consonanza sincera. Leggiamo il brano:

« À ce moment-là, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: « Quel est le premier de tous les commandements?”. Jésus a répondu: « Le premier est: Écouter, Israël! Le Seigneur notre Dieu est le seul Seigneur; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: "Tu aimeras ton prochain comme toi-même". Non c’è altro comandamento più grande di questi”. Lo scriba gli disse: “Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici”. Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Jésus lui a dit: “Non sei lontano dal regno di Dio”. E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo». (Mc 12,28-34).

La domanda posta dallo scriba: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?», nasce da un’esigenza diffusa fra gli esperti della Torah: esiste un comandamento, una sintesi dei precetti di Dio, da cui dipendono tutti gli altri? I rabbini conteranno 613 comandi nel Talmud babilonese e questa ricerca dell’essenziale, del comandamento a cui «fosse appeso» tutto il resto non è nuova. Nell’Antico Testamento erano già presenti diverse formulazioni di precetti in forma sintetica. Dans Doit 15 ne sono elencati 11, dans Est 33,15-16 ce ne sono 6 etc. Elaborati in seguito dai saggi d’Israele, venivano suddivisi, in particolare dalla scuola di Rabbi Hillel, in «pesanti» o «leggeri». Anche Gesù sembra accettare questa impostazione e riconosce che vi sono precetti «minimi» (Mont 5,19), che però non possono essere tralasciati.

Gesù risponde citando come primo comandamento l’inizio dello Shema, la professione di fede nel Signore Dio ripetuta tre volte al giorno da ogni credente ebreo, centrale in tutta la tradizione rabbinica:

« Écouter, Israël: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, ton Dieu, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,4-5).

Secondo questa preghiera l’ascolto ha un primato assoluto ed è la modalità di relazione decisiva dell’uomo nei confronti di Dio. Un ascolto obbediente sta poi alla base dell’amore verso Dio e non solo, comme nous allons le voir. A ben guardare le parole del Deuteronomio, riprese da Gesù, delineano un percorso teologico, spirituale ed affettivo che partendo dall’ascolto, « Écouter, Israele», Elle conduit à la foi, «Il Signore è il nostro Dio»; dalla fede alla sua conoscenza intima, «Il Signore è uno», e dalla conoscenza all’amore: «Amerai il Signore». Questa conoscenza sempre più penetrante che contraddistingue il monoteismo ebraico e che ha influito sul Cristianesimo e poi sull’Islam è qualcosa di originale e unico nel panorama culturale e religioso del tempo. Essa non nasce da un’idea, da una riflessione filosofica, come poté succedere in Grecia, ma dall’esperienza che Dio ha agito nella storia in favore del suo popolo, salvandolo e facendo alleanza con esso. Da questa rivelazione che richiede un riconoscimento si approda al rapporto di amore per Dio, per cui noi siamo suoi e Lui è per noi. Unico e solo Dio che si ama con tutte le potenze dell’anima umana.

Mais il y a plus. Mentre lo scriba domanda a Gesù un solo comandamento, ecco che Lui ne avanza un secondo, citando quello dell’amore per il prossimo: « Tu aimeras ton prochain comme toi-même » (lv 19,18). La versione completa del versetto del Levitico recita:

«Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Je suis le Seigneur".

L’amore per il prossimo anche dalla tradizione precedente a Gesù veniva considerato un precetto fondamentale, ce, insieme al precetto dell’amore per Dio, condensava tutta la Torah. Ma Gesù collega i due comandi, coniugando in modo indissolubile l’amore di Dio con quello per il prossimo. Per Gesù i due precetti uniscono il cielo alla terra; l’uomo a Dio e l’uomo all’uomo: l’amore «verticale» che implica amare Dio e quello «orizzontale» che chiede di amare il prossimo non possono essere più separati. Da questa risposta, donc, sembra che non possa esistere l’amore per Dio senza quello per il prossimo. Il primo comandamento implica il secondo e il secondo presuppone il primo.

È importante riflettere sulla novità, a livello dei contenuti della fede, che questo accostamento di passi biblici porta con sé. È indubbio che Gesù stabilisca una precisa gerarchia tra i due precetti, ponendo l’amore per Dio al di sopra di tutto. En même temps, Mais, risalendo la volontà del Legislatore, egli discerne che amore di Dio e del prossimo sono in stretta connessione tra loro: la Legge e i Profeti sono riassunti e dipendono dall’amore di Dio e del prossimo, mai l’uno senza l’altro. Non a caso nella versione di Matteo il secondo comandamento è definito simile al primo (Mont 22,39), mentre l’evangelista Luca li unisce addirittura in un solo grande comandamento: «Amerai il Signore Dio tuo [...] e il prossimo tuo» (Lc 10,27). En d'autres termes, se è vero che ogni essere umano è creato da Dio a sua immagine (Gén 1,26-27), non è possibile pretendere di amare Dio e, au même moment, disprezzare la sua immagine sulla terra.

La tradizione cristiana ha declinato in modi diversi l’amore per Dio, esprimendolo come un movimento di ricerca, anelito o desiderio. Oppure l’amore per Lui è stato colto come un obbedire, nel senso proprio di ascoltare la sua parola e corrispondervi. È l’amore che cerca di realizzare la volontà di Dio e di vivere come Lui vuole. Dans tous les cas, a dispetto di quel che il mondo pensa, mondo che curiosamente si lega a molti dèi e idoli, fino a esserne schiavo, l’amore cristiano è liberante perché inscritto in questa relazione con Dio che lo esalta e lo fortifica e come un polo attrae verso di sé ogni tipo di amore che l’uomo può costruire sulla terra.

Enfin, nel Vangelo di Giovanni, Gesù compirà un ulteriore passo quando affermerà: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 13,34; 15,12), ossia senza misura, «fino alla fine» (Gv 13,1). In questa ardita sintesi, Gesù non esplicita neppure la richiesta di amare Dio, perché sa bene che quando le persone si amano le une e le altre, nel fare questo vivono già l’amore di Dio. Questo reciproco amore diviene anche il segno riconoscibile dei discepoli di Gesù:

«Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).

A questo punto tutti si fermano, come soddisfatti, e non vanno oltre. Del resto quale argomento è più coinvolgente e totalizzante dell’amore, soprattutto se è rivolto a Dio. J'aime, au lieu, concludere ricordando ancora questo scriba che ha provocato le risposte di Gesù. Le fait, par exemple, che egli abbia atteso il momento opportuno per avvicinarlo. En conclusion, dopo tutte quelle discussioni con chi voleva metterlo alla prova, Gesù poteva anche declinare e dire basta. Invece il Signore deve aver trovato la sua domanda pertinente e ne ha preso spunto per un insegnamento nuovo che ancora oggi troviamo inesauribile. Questo scriba ribatte a Gesù che ha ben parlato, ricalca le sue parole, unificandole in un unico comandamento che le ricapitola. Infine riconosce che questo comandamento supera perfino il sistema dei sacrifici e degli olocausti che, à ce moment, rappresentava un articolo importante del credo e del culto ebraico. Si merita perciò ampiamente quell’elogio di Gesù che rimarrà per sempre: «Non sei lontano dal regno di Dio».

De l'Ermitage, 3 novembre 2024

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Cette lumière de la foi qui redonne la vue aux aveugles

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

QUELLA LUCE DELLA FEDE CHE RESTITUISCE LA VISTA AI CIECHI

I discepoli devono finalmente aprire gli occhi, surtout ceux du cœur et de la foi, voir clairement ce qui va se passer, et c'est le scandale du Messie vaincu, saisir tout son sens et sa valeur salvifique.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Vi sono molti racconti nei Vangeli, in cui si mette in evidenza la sollecitudine e la premura con cui Gesù si prende cura dei malati: egli li cura nel corpo e nello spirito e raccomanda ai suoi discepoli di fare altrettanto.

il chirurgo Grazia Pertile (À droite) durante un intervento alla retina nell’Ospedale di Negrar (Vérone)

Quando Giovanni Battista manda due suoi discepoli a chiedere un contrassegno del Messia, Gesù afferma la propria identità con le parole: « Allez rapporter à Jean ce que vous avez vu et entendu; les aveugles retrouver la vue, les boiteux marchent, les lépreux sont guéris, entendre les sourds, i morti resuscitano» (Lc 7, 22). Dans ce dimanche, trentesima del tempo ordinario, ascoltiamo proprio della guarigione di un cieco.

« À ce moment-là, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, Il était assis au bord de la route mendiait. Sentendo che era Gesù Nazareno, il se mit à pleurer et à dire: « Fils de David, Jésus, aie pitié de moi!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, mais il a crié encore plus fort: « Fils de David, aie pitié de moi!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: « Courage! Àlzati, vous appelle!». Ils, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: « Que voulez-vous que je fasse pour vous?». E il cieco gli rispose: «Rabbouni, che io veda di nuovo!». Et Jésus lui dit:: "Va, ta foi t'a sauvé ". E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada» (Mc 10,46-52).

Il Vangelo odierno ci racconta l’ultimo miracolo compiuto da Gesù durante la sua vita terrena, se non prendiamo in considerazione la menzione di Matteo: «Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì» (Mont 21,14); e l’episodio, narrato da Luca nel racconto della passione, quando Gesù risana l’orecchio del servo del sommo sacerdote colpito da uno dei suoi (Lc 22, 51).

Questa guarigione del cieco Bartimeo è emblematica, poiché nel piano narrativo del secondo Vangelo, subito dopo aver detto: «la tua fede ti ha salvato», Gesù riprende velocemente il cammino. Il verso iniziale completo che recita: «E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla» (v. 46) esprime infatti tutta la fretta di Gesù di portare a termine il suo viaggio che lo porterà a Gerusalemme dove si compirà il suo destino umano e la sua missione. Manca ancora un breve tratto in salita (cf. Lc 10,30) e il cieco ormai guarito: «prese a seguirlo per strada» (v. 52).

Tenendo così presenti questi accenni e, en particulier, che la guarigione avviene a questo punto del ministero di Gesù, in prossimità della sua passione, comprendiamo che per Marco essa possa avere un valore simbolico rilevante. Come a voler dire che i discepoli devono finalmente aprire gli occhi, surtout ceux du cœur et de la foi, voir clairement ce qui va se passer, et c'est le scandale du Messie vaincu, saisir tout son sens et sa valeur salvifique. Il racconto marciano del viaggio di Gesù ha avuto come intento principale quello di mostrare chi è Colui di cui si sta parlando. Non a caso lo scritto del secondo Vangelo è intimamente orientato verso il momento in cui il centurione romano, di fronte alla morte in croce di Gesù Cristo, dé: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39). È presso la Croce che si svela il mistero di Gesù Cristo. Secondo le intenzioni narrative di Marco l’identità di quel «Nascosto» che era Gesù (cfr il «segreto messianico) e che solo in momenti particolari, come la Trasfigurazione, si era rivelata agli occhi di pochi discepoli, à présent, al momento della crocifissione, è palesata attraverso le parole di un pagano.

Chi ha letto il Vangelo di Marco fin qui si ricorda che all’inizio del suo viaggio verso Gerusalemme Gesù aveva guarito un altro cieco. Un episodio che è stato più volte riprodotto dai pittori nel corso dei secoli, insieme a quello del cieco nato di Gv 9. Quella volta la guarigione fu alquanto macchinosa e per ben due volte il Signore dovette imporre le mani sugli occhi del cieco che iniziava a vedere pian piano. Infatti invece di vedere persone vedeva «alberi che camminano» (Mc 8,24). Maintenant, quasi alle porte della città santa, per guarire Bartimeo non serve più il gesto dell’imposizione delle mani, ma soltanto la fede è necessaria.

Si capisce così che Marco non ha solo voglia di narrare un consueto atto di potenza da parte di Gesù, maman, surtout en ce moment, fare di esso una catechesi sulla vera fede, nascosta fra le pieghe del testo e valida per i credenti d’ogni generazione. Bartimeo che grida verso Gesù, che lo invoca forte: « Fils de David, Jésus, aie pitié de moi!», mentre gli altri gli intimavano di star zitto, è l’esempio del discepolo che cerca insistentemente da Gesù la salvezza, mostrando in Lui fiducia. Questa fede di Bartimeo costringe Gesù a fermarsi, «Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!», ed è tanto forte, come la sua voce, che Gesù non ha bisogno di toccarlo, ma questa sola basta perché il miracolo avvenga: «E Gesù gli disse: "Va, ta foi t'a sauvé ". Lungo il viaggio descritto in Mc 8,22-10,52 Gesù ha insegnato ai suoi discepoli chi Egli sia, ciò che lo aspetta a Gerusalemme e cosa significhi seguire lui. Ma i più vicini a Gesù non lo hanno capito, hanno cercato piuttosto onori e primazie. Questo cieco che chiama Gesù col titolo messianico di Figlio di Davide e che interpellato si rivolge a Lui con quella variante aramaica, Rabbuni maestro mio, conservata solo qui da Marco e poi da Giovanni quando Maddalena riconosce Gesù Risorto (Gv 20, 16), esprime in questo modo il desiderio di ogni credente di alzare lo sguardo da terra, di vedere di nuovo, di sollevare la vista; la vista a questo punto della fede. Così possiamo interpretare quel verbo (ἀναβλέψω, anablepso) utilizzato da Marco per esprimere la volontà del cieco: «Rabbouni, che io veda di nuovo!».

Bartimeo ricevuto il dono della vista e della fede si incammina sulla strada di Gesù, quella che porta a Gerusalemme. Diviene l’emblema del discepolo che ha riconosciuto chi è Gesù e non si scandalizza se la sua strada lo porterà alla sofferenza e alla morte per mano delle autorità giudaiche e romane, perché grazie alla fede intravede il mistero salvifico nascosto in esse.

E da ultimo un’annotazione ormai riconosciuta da diversi esegeti. Questo cieco porta un nome curioso che non ritroviamo in alcun elenco di nomi del tempo di Gesù. Un nome per metà aramaico (bar) e per metà greco: il figlio di Timèo. Se il Vangelo di Marco, come riporta un’antica tradizione, fu scritto a Roma, diversi lettori istruiti e colti di allora non potevano non pensare al Timeo, uno dei più importanti dialoghi di Platone. È possibile che anche questo, nell’intento di Marco, sia un velato accenno. Non a caso Bartimeo si chiama così, come un greco, travestito da mendicante cieco attraverso il quale la cultura greca cerca un contatto con Gesù.

Scopriamo così che nascosta fra le pieghe di quello che inizialmente poteva apparire come l’ennesimo racconto di un miracolo, è celata la testimonianza di un’autentica fede e la ricerca sincera di un contatto fra culture. Del resto Marco ci aveva già abituato all’incontro del cristianesimo con mondi diversi. Pensiamo all’indemoniato Legione nella terra dei geraseni (Mc 5, 1) e alla donna di lingua greca che domanda a Gesù la guarigione per la figlia (Mc 7, 24-30).

L’opera di Marco, come si evince dai dati interni al testo, quali la conoscenza di diverse parole latine, è tradizionalmente ritenuta il Vangelo portato nel cuore del paganesimo, Rome, ed emanazione della predicazione di Pietro in quella città. Nella figura di quel povero cieco al bordo della strada tra Gerico e Gerusalemme vi è forse racchiusa la speranza di uomini e donne di ogni parte che desiderano vedere e credere in Gesù per seguirlo.

De l'Ermitage, 27 octobre 2024

 

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Grotte Saint-Ange à Ripe (Civitella del Tronto)

 

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