Fernando Botero est décédé, rehausseur des couleurs grasses de la vie et antagoniste de l'anorexie artistique contemporaine

FERNANDO BOTERO EST MORT, ESALTATORE DEI GRASSI COLORI DELLA VITA E ANTAGONISTA DELL’ANORESSIA ARTISTICA CONTEMPORANEA

L’ispirazione, flair créatif, le génie ne sert à rien, si cette grandeur ne s'accompagne pas toujours de travail acharné et de sacrifice. Assieme a questa dedizione al lavoro c’era sempre la scelta della propria vita: «fare quello che ci piace, non smettere mai di fare quello che ti piace e che ti fa stare bene».

- Actualité -

Auteur:
Jorge Facio Lynx
Président des Editions L'île de Patmos

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Sono cresciuto all'ombra della prima scultura del maestro Fernando Botero, Torso de mujer, conosciuto da tutti come la Gorda O la gorda de Berrio in riferimento alla piazza Parque de Berrío dove era ubicata la statua prima del suo spostamento al parco tematico realizzato in onore dell’artista. Questa statua gigantesca e voluminosa fu realizzata nel 1987 e misura di 2 metri e 48 centimetri di altezza, un metro e 76 di larghezza, 1 metro e 7 centimetri di profondità.

La statua era stata installata davanti alla sede regionale della Banca dello Stato e davanti a una piazza che era una delle fermate principali dei pullman e dei taxi, oltre a essere un punto di ritrovo. La forma della scultura mi lasciava sempre stupito e mi chiedevo: «Le donne non sono così, quale donna colombiana è grassa a questo modo?!». Eppure il mio sguardo restava sempre fisso su quell’opera illuminata in un gioco di luci dal sole quando il sole sorgeva o quando tramontava.

Tous les nati negli ultimi decenni del secolo scorso si sono incantanti a osservare questa scultura mentre era in corso la trasformazione della città con la costruzione nella Città di Medellin della prima rete metropolitana della Colombia, che segnò il salto in avanti della metropoli andina da città semi industriale agricola verso il nuovo millennio che l’avrebbe proiettata verso il turismo anche artistico, grazie non ultimo proprio al maestro Fernando Botero. In alcune stazioni della metropolitana esistono opere d’arte ispirate a lui, in altre si respirano il suo spirito e stile e in una particolarmente, quella vicina alla piazza dove troneggia la sua Gorda oggi sorge un bellissimo parco artistico con diverse voluminose statue boteriane.

In quegli anni non c’era uno spazio espositivo destinato a questo grande interprete del nostro tempo, anzi non c’era proprio un vero spazio per l’arte. E per me, come per tanti altri miei connazionali, il primo riferimento al mondo delle belle arti è stato il maestro Fernando Botero, la cui creatività artistica abbiamo potuto cogliere anche di sfuggita mentre si era in attesa di qualche servizio di trasporto o di qualche persona. Aujourd'hui, le nuove generazioni, non solo possono contemplare le numerose opere sparse per la città, perché grazie al suo mecenatismo ― che fece di lui il più grande mecenate contemporaneo che la città di Medellin e la stessa Colombia abbia avuto ― favorì la creazione dei diversi spazi espositivi con opere sue e di maestri europei, precedentemente esclusi se non erano menzionati su libri di storia ed enciclopedie [1].

La figura di Fernando Botero è sempre stata per me fuori dall’ambiente artistico, modello e ricordo di una figura virile con la quale sono cresciuto, così erano i miei nonni e gli uomini della mia terra. Sempre interessati al bene della famiglia, in unione e armonia nei momenti belli come in quelli difficili e dolorosi. Una unità familiare coinvolta anche negli interessi e nelle attività del propriétaires, come hanno raccontato in diverse occasioni i figli del Maestro, quando nel ricordo del padre spiegavano che nella creazione delle proprie opere chiedeva loro di aiutarlo a dipingere la tela. Alcuni particolari sono stati poi usati da lui come decorazioni nei margini inferiori delle sue opere, altri lavori dei figli sono stati cancellati, ma in loro è rimasto il ricordo e l’insegnamento di aver aiutato il padre partecipando alle sue fatiche artistiche.

Questo tipo di uomini cercavano di alimentare la consuetudine, oggi purtroppo perduta o dimenticata, di far stare assieme la famiglia a trascorrere del tempo in un luogo specifico. Certo nel caso del maestro non si può che ammirare il suo elevato gusto per aver scelto la bellissima cittadina toscana di Pietrasanta in provincia di Lucca[2]. come l’ambiente in cui ogni volta che poteva faceva venire tutta la sua famiglia per vivere delle giornate con dei momenti pieni di affetti da ricordare per tutta la vita. Prima ancóra di elaborare il suo stile e le sue opere, uno dei principali insegnamenti che non smetteva mai di trasmettere, soprattutto ai suoi familiari e ai suoi pochi amici ― Botero era persona molto riservata ― era quello del lavoro: «c’è solo un 5% di ispirazione e 95% di sudorazione», perché nella sua ottica ogni genere di mestiere doveva essere così ben fatto e faticoso da farti sudare.

L’ispirazione, flair créatif, la genialità non servono a niente, si cette grandeur ne s'accompagne pas toujours de travail acharné et de sacrifice. Assieme a questa dedizione al lavoro c’era sempre la scelta della propria vita: «fare quello che ci piace, non smettere mai di fare quello che ti piace e che ti fa stare bene». In uno degli ultimi documentari realizzati in suo onore, l'enseignant, alla fine del filmato, guarda seduto su una sedia davanti a una piccola e semplice casetta tipica delle zone rurali della città. Parlando con l’intervistatore si lamenta della tristezza che avvertiva per la consapevolezza che presto sarebbe morto e ancora aveva molte cose da fare, e questo lo faceva stare felice. Il lavoro, quel lavoro che aveva scelto di seguire per tutta la vita, gli generava piacere, perché lo aveva scelto di fare.

Lo stile caratteristico dell’artista chiamato “boterismo”, non è costituito da figure grasse ma “voluminose” raffigurate in diversi scenari e situazione, seguendo la tradizione europea che prese vita nel Rinascimento con Michelangelo, Mantegna, Raffaello, Piero della Francesca[3]. Accompagnato nell’arte scultrice dall’ispirazione del sereno monumentalismo di Paolo Uccello. Un figurativo abbinato a una estetica colorita e amabile che trasse nei primi anni ispirazione dallo stile drammatico dei muralistas messicani Diego Rivera e José Clemente Orozco, approfondito successivamente nella sua permanenza in Europa mentre studiava nelle Accademie delle Belle Arti di San Fernando in Spagna, con studi sulle opere di Goya e Velázquez, e presso l’Accademia Fiorentina di San Marco con lo studio sulle opere di Tiziano, Giotto e Botticelli[4]. Il Maestro si proietta così negli anni Ottanta del secolo scorso con lo sviluppo dell’espansa volumetria della forma che nonostante le dimensioni “esagerate” non turba la proporzione della figura in tutte le sue caratteristiche, senza rinunciare per questo a quegli influssi che sono i tratti della sua terra colombiana, couleur vibrante, vivaci e brillanti, ispirato alla sua stessa città natale di Medellin, nota per le urbanizzazioni ricche di un cromatismo esagerato e spiccato che ricorda quello stile naif capace di trasmettere le note spensierate di una serena vita all’aria aperta, sino ai dolorosi “accenti” della violenza vista e vissuta.

Sembra che negli anni cinquanta il Maestro abbia trovato la sua dimensione stilistica quando nella realizzazione dello studio per natura morta applicò la “dilatazione” al mandolino. L’artista fu colpito visceralmente dal risultato della sua forma dilatata oltre il naturale, generando così l’evocazione di una profonda sensualità come segno di vitalità, di gioia e di prosperità che diventerà negli anni successi questo voluminoso esprimersi, caratterista originale tutta quanta sua riconosciuta a livello mondiale. Così egli descrive questo momento significativo in un’intervista del 2007:

«Quello che accadde fu molto semplice. Stavo disegnando un mandolino con un profilo molto generoso come ho imparato dagli italiani. puis, nel momento in cui ho fatto il buco nel mandolino, l’ho fatto molto piccolo. Improvvisamente, questo mandolino divenne enorme, monumentale a causa del contrasto tra il piccolo dettaglio e il contorno generoso. Ho visto che qualcosa è accaduto lì. Ho subito iniziato a cercare di visualizzare altri soggetti. Ci è voluto molto tempo – 10, 15 anni – prima di sviluppare una visione più o meno coerente di quello che volevo fare, ma all’inizio era quel piccolo schizzo ispirato al mio amore per l’arte italiana» (voir QUI).

Agli inizi degli anni settanta prende avvio la sua quotazione commerciale[5] e il favore della critica, dopo che ebbe preso residenza in Europa[6]. Fu allora che il Maestro comincia a creare sculture seguendo lo stile voluminoso che sembra uscire dalle tele per acquisire la tridimensionalità nota nelle sue opere sparse per il mondo[7].

Gli anni Ottanta, sino ai primi anni del nuovo secolo, caratterizzano la ricerca artistica del maestro con raffigurazioni e scene di violenza vissute con la guerra al narcotraffico a Medellin e il ciclo pittorico sui diversi report sulle torture praticate ai prigionerei nella prigione di Abu Ghraib da parte di membri dell’esercito degli Stati Uniti e della CIA nel corso della guerra Irak.

A prescindere dal riconoscimento pubblico e commerciale, certa forma di critica artistica non è stata mai positiva o clemente verso di lui. Sin dalle sue prime mostre negli Stati Uniti diversi critici nordamericani giudicarono in forma distruttivo ― a differenza dal pubblico che sin dai suoi primi lavori lo apprezzò profondamente ― definendo l’artista e la sua arte come «non appartenenti all’evoluzione contemporanea; figure umane semplicistiche e caricaturali inserite in contesti soleggiati di vita familiare; mancanza di serietà sulle sue sculture che lo privavano da un apposito esame critico». Sino a definirlo: «Un semplice fenomeno commerciale di un autore autoreferenziale slegato dalla realtà» (voir QUI).

Anche se questo potrebbe apparire un giudizio soggettivo o di parte, penso di poter dire che il Maestro era uno dei pochi, se non l’ultimo grande artista che in vita aveva mantenuto il grado e il valore delle sue opere a un livello molto alto. Anche a tal proposito esistono parecchie testimonianze raccontate dagli stessi familiari che ricordano di quando in passato, durante i periodi di difficolta e di ristrettezze economiche, quando era già riconosciuto per la sua bravura ma non aveva ancóra avuto riscontri economici, ricco però di tanta immaginazione, camminava per le città dove, se trovava qualche pezzo di legno o di acciaio che avesse ritenuto essergli utile, lo prendeva e usava per creare dei giocattoli per i suoi figli o degli utensili per la casa. Alla mancanza del danaro sovrabbondava quindi l’immaginazione e il desiderio di creare sempre qualcosa di nuovo e di utile.

Il Maestro era un grande appassionato di tanti sport, specialmente del calcio, uno degli sport più seguiti nella sua Colombia, in modo particolare a Medellin. Questo grande interesse verso il calcio tra i colombiani, sin dai primi anni di vita, trova riscontro nell’opera Niños jugando al futbol (bambini che giocano al calcio).

L’equitazione è rappresentata in forma indiretta su una tela che risultò essere l’opera che segnò uno dei momenti più tristi della vita dell’artista: Pedrito a caballo. Dipinto descritto dallo stesso Autore come il quadro che aveva eseguito con il più grande dolore della sua vita e per questo lo considerava l’opera che più amava e anche la sua opera maestra. Questa tela nasce dal lutto che ebbe con la morte del piccolo figlio di quattro anni in un incidente automobilistico in Spagna negli anni Settanta. Questa tela si trova nel museo della regione d’origine dell’Autore ed è un ritratto dove predomina il blu di un bambino che cavalca un cavallo giocattolo, negli angoli inferiori si raffigurano le dolorose scene del padre che vide suo figlio morto e poi la scena dei genitori in lutto dentro la casa vuota (voir QUI).

Il ciclo delle sue opere taurine realizzate principalmente negli anni Ottanta del secolo scorso, è considerato come la “confessione dell’artista”, una riflessione sulla morte e la sua presenza in un esercizio di nostalgia e di lotta sulle scene drammatiche proprie della tauromachia. Personalmente ricordo il mio periodo di studi all’Università di Salamanca, quando un professore cercando di argomentare il senso e il valore universale della tauromachia, spiegava che prima della corrida i tori vivevano liberi, forti e serviti come degli dei. Erano scelti solo gli esemplari più forti e maestosi che si erano guadagnati l’opportunità di dimostrare nell’Arena tutta la loro razza e brio, “a pari armi” tra la potenza brutta e pura del toro contra la maestria del ballo e della provocazione del torero. Al parere del professore di cultura classica, si tratta di una versione moderna della lotta tra i gladiatori, o più ancora l’evocazione moderna delle lotte dell’uomo contro le figure mitologiche e divine dell’antichità; dove la bravura dell’uomo che lotta e mette a rischio anche la stessa vita, senza nulla di scritto o definito come in gioco gestito solo dalla, della sorte.

Come spiegazione della tauromachia resa soggetto dell’arte pittorica del Maestro, restano le tradizioni della sua patria nativa. Nella stessa città di Medellin c’è un’Arena molto rinomata della zona andina, e l’apertura della stagione delle corridas segnava una data particolarmente significativa nella vita sociale dei cittadini. Se le partite di calcio erano gli epicentri della passione e gli interessi popolari della città, le giornate nell’arena con i suoi spettacoli di tauromachia erano il fulcro per le classi dell’alta borghesia cittadina.

Secondo alcune fonti vicine al maestro è stato il gusto per la tauromachia a generare nel giovane Fernando Botero l’amore per la pittura. Significativa, all’interno di questo ciclo pittorico, l’opera La cornada, huile sur toile, 1998. Emblematica dimostrazione della passione dell’artista per i tori e la sua riflessione sulla morte contraddistinta nell’espressione soddisfacente raffigurata nella faccia del torero dopo essere stato incornato. Altre opere rilevanti sono toro muriendo 1985, Muerte de Ramón Torres, 1986.

Il ciclo di opere sulle violenze in Colombia ha destato negli ambienti accademici e di critica artistica sudamericani molti interrogativi riguardo alla relazione tra realtà e arte, soprattutto come si alimentano, si allineano o si negano avvicenda arte e violenza. Per alcuni la connessione tra arte e realtà in queste opere mantiene un possibile significato solo a livello sociale in quanto la rappresentazione dell’artista costituisce una “oggettivazione” dell’esperienza per renderla accessibile a chi la contempla. En conséquence, le creazioni dell’artista, sono una necessità razionale, non una semplice voglia, né un capriccio o un bisogno psicologico. Chi guarda quelle opere è stimolato a focalizzare l’attenzione sul concreto stato della realtà sociale o del singolo individuo, senza promuovere o all’esaltare un sistema ideologico o politico che finirebbe col mettere a rischio la stessa autonomia dell’arte, facendola diventare uno strumento politico o un mezzo di dissuasione e di distrazione per chi osserva il lavoro artistico.

Altri considerano che questa connessione forma un tutt’uno che permette sia all’artista che a chi osserva le sue opere la possibilità di coglierne una posizione e un’elezione concreta di uno specifico momento storico della vita e della realtà. Creando così, non l’arbitrario senso creativo dell’estro e/o della contemplazione; ma come condizione di possibilità sia per la creatività artistica come per la cultura ed esperienza soggettiva di chi contempla. La condizione di possibilità e/o scelta diventa, comme ça, un compromesso di produzione individuale che offre un senso e una finalità alle opere d’arte come aspirazioni, motivazioni per la collettività e per la singolarità sia dell’artista come del visitatore.

Altre opinioni hanno catalogato questo ciclo pittorico come un atto edonistico di un’artista autoreferenziale che vive in un “limbo” pseudo espressionista di realismo fallito intensificato dall’accentuazione di certi aspetti particolari tramite figure grottesche che portano la gravità del conflitto armato vissuto in Colombia a una banalizzazione molto vicino alla caricatura. Lo stesso Maestro in diverse occasioni ha dovuto ritornare a parlare del suo ciclo pittorico, in una di esse disse:

«Io ho sempre espresso, e l’ho fatto sino poco tempo fa: l’arte è per dare piacere e non per infastidire o mettere in angoscia il pubblico. Chi ha visto un quadro impressionista triste? quando si è visto un Tiziano triste? un Velazquez triste? La grande pittura ha un atteggiamento positivo davanti alla vita. Io sono contrario all’arte che si trasforma in testimone del tempo come arma di combattimento. Ma davanti al dramma che si è vissuto in Colombia era arrivato il momento in cui ho sentito l’obbligo morale di lasciare una mia testimonianza sul momento irrazionale della storia del mio Paese. Non pretendo che questi dipinti possano sistemare qualcosa, anzi sono convinto che non risolveranno niente. Sono consapevole che l’arte non cambia niente, i responsabili dei cambiamenti sono unicamente i politici. Desidero solo lasciare una testimonianza come artista che ha vissuto e ha sentito la sua patria e il suo tempo. Ce serait comme dire: guardate la follia in cui si vive, speriamo che non si ripeta mai più. Io non faccio “arte impegnata”, quell’arte che aspira a trasformare le cose, a quel genere di arte non ci credo» (voir QUI)

Il ciclo di opere sul mondo femminile del maestro Botero per il numero elevato di lavori dimostra l’attenzione e l’interesse dell’artista per la donna, tematica che lui stesso considera come uno dei principali temi dell’arte universale. La scelta di rappresentare donne voluminose contrariamente al canone di magrezza imposto alle donne, non è tanto una scelta di protesta contro gli stereotipi che vengono inculcati come modello di bellezza, ma come uno stile e una convinzione personale in quanto pittore e scultore che trasforma le forme dei soggetti voluminosi in motivo di gioia. E l’arte deve generare e trasmettere sempre piacere. La voluminosità, secondo Fernando Botero, nasce nella pittura piatta durante il medioevo, ma sono stati gli artisti italiani a sviluppare il volume dal Rinascimento in poi. La voluminosità è quasi una “sorta di miracolo” che ancora permane tale e quale. Oggi questo volume ― ribadisce il Maestro ― è diventato parte della storia e della stessa percezione dell’arte. Ma è stato come un “fulmine” che ancora si vede e il cui suono ancora si sente; miracolo dal quale, encore aujourd'hui, ci siamo meravigliati. Tra le opere più significative di queste tematiche ci sono numerose tele di carattere erotico come Mujer con lapis de labios (donna con rossetto) acquarello e inchiostro su carta, 2002, Bagno, lavoro matita su carta, 2002.

Finora non esiste la cifra totale del numero delle opere dell’artista, né tanto meno un catalogo ragionato e aggiornato ― considerando anche le molte donazione di opere che negli ultimi anni il Maestro ha fatto, incluse molte opere e la maggior parte delle sue sculture più rappresentative ―, esistono ancora i cicli come quello delle violenze, ma anche una serie di dipinti del periodo giovanile ― si deve considerare che l’artista dipingeva quasi tutti i giorni dall’età dei 14 anni sino al complimento dei suoi 90 années; opere che sono proprietà privata della famiglia e non sono state catalogate. In ugual maniera, manca una dettagliata ricognizione in giro per il mondo dell’arte “boterista”; secondo la stima approssimativa si potrebbe superare le oltre 2000 opere tra tele, bozzetti, caricature e illustrazioni per giornali.

Tra le sue mostre in Italia si devono considerare: Rome, Palazzo Venezia, 2005, dove presentò al pubblico il suo ciclo pittorico con cinquanta tele che testimoniarono le urla di protesta cariche di una forza perturbante contra l’ingiustizia commessa ai prigionieri nel carcere di Abu Ghraib in Iraq. Opere dove si deve notare la cura nell’utilizzo della prospettiva che muta in base al posizionamento delle sbarre della prigione: lo spettatore viene proiettato sia all’esterno che all’interno delle celle. Tutto ciò potenzia il senso di identificazione nelle vittime, quasi come se ci fosse un’inversione di posizione tra chi osserva e chi subisce, funzionale per sentire la sofferenza altrui. Le immagini appaiono più compromettenti, profondamente disturbanti e inquietanti, tanto quanto i crimini commessi. L’urgenza artistica di esprimere la rabbia e lo sdegno provati, fece sì che l’artista colombiano si dedicasse al progetto per oltre un anno e che alla fine, secondo quanto disse lui stesso, lo ha portato a un senso di vuoto in cui non aveva più niente da dire. Suivant Palerme, Palazzo dei Normanni, 2015, considerato l’evento artistico dell’anno nella città, e nella quale lo stesso maestro Botero dichiarò che per la creazione del Giuda si ispirò a un mafioso come racchiuso in questa sua bellissima testimonianza:

«Sono stato affascinato dall’arte italiana e dall’importanza che dà alle forme e al volume. Sono stato sedotto dalla sensualità della pittura italiana, dalla sua rotondità. Adesso si prediligono forme più sottili, le donne magre, ma all’inizio del secolo si preferivano più rotonde. Una sensibilità che cambia» (voir QUI).

Dans 2016 fece una mostra itinerante con le tappe più significative a Palermo e Roma intitolata: via Crucis. La passione di Cristo in cui affrontò una delle tematiche più trattate dalla pittura sacra occidentale dal Rinascimento fino ai nostri giorni: la passione e morte di Gesù Cristo. Ciclo di con colori e forme sontuose attraverso soggetti tondeggianti e freddi. Tematica sacra ricorrente pur non considerandosi il maestro una persona religiosa, pur tuttavia riconosceva quanto il tema religioso avesse di per sé una bellissima e lunga tradizione artistica. La via Crucis, fulcro della mostra, è la rivisitazione fatta dell’artista in cui mescola le tradizioni e realtà latinoamericane con la tematica biblica, dimostrando l’importanza del dramma degli ultimi giorni di Gesù che ha segnato per sempre l’umanità intera. In questi oli Gesù appare molto umano, senza aureole, interprete della sofferenza del mondo. La ricerca del maestro è fatta sulla combinazione della verità storica mescolata ad alcune verità, come per esempio l’uso di personaggi contemporanei collegati all’immagine del Cristo che testimonia con lo stile proprio di Botero il suo essere credente ma non praticante, profondamente rispettoso della sfera del sacro senza cadere nella satira. L’approfondimento del Maestro sul soggetto drammatico ―soggetto studiato come tema preferito dell’arte fino al sedicesimo secolo ― che nel ventesimo secolo poteva avere e offrire una nuova visione secondo la sensibilità contemporanea (voir QUI).

Dans 2017, a Palazzo Forti di Verona, si è tenuta la mostra monografica per rendere omaggio ai cinquant’anni di carriera con 50 capolavori che riassumevano la dimensione onirica, fantastica e fiabesca con un eco di nostalgia tra animali, Hommes; rievocazione del suo continente natio dell’America Latina. Seguì una mostra a Bologna, a Palazzo Pallavicini, nell’autunno del 2019, avec 50 opere tra disegni realizzati a tecnica mista e acquarelli a colori con la tematica della tauromachia e il circo (voir QUI)

Resterà nella memoria e nella storia dell’arte la mostra Botero a Parma avec 47 gessi bronzi e diversi quadri al Palazzo del Governatore nel 2013. Durante, la festa di apertura il Maestro dichiarò:

«L’arte deve dare piacere al pubblico, non creare sofferenza o disturbare. Sculture e quadri devono parlare chiaro” non ci vogliono barriere alla comprensione» (voir QUI)

Esistono innumerevoli sculture del maestro Fernando Botero in giro per il mondo ma per l’amore che i Padri de L'île de Patmos nutrono verso i gatti ― fedeli compagni di fatiche e delle lunghe giornate di lavoro nella realizzazione dei loro testi ― si deve menzionare il Gato de Botero, scultura di 7 metri di larghezza per 2 metri di altezza e 2 di spessore con lunga coda e muso comico, adesso simbolo distintivo del quartiere Raval di Barcellona. Gatto mastodontico che tra il 1987, anno in cui il comune di Barcellona lo acquistò, et le 2003, cambiò di ubicazione all’interno della città per oltre quattro volte ― quasi a rappresentare i felini che giranno intorno e si spostano in continuazione fino a quando non hanno trovato il posto perfetto in cui stare, come il nostro gatto Bruno che è salito sulla scrivania del mio computer mentre vergavo queste righe sul gatto di Botero, girando prepotentemente davanti a me, impedendo alle volte la visione dello schermo o altre volte sedendosi sulla tastiera come padrone dello spazio. En fait, come è successo col Gato de Botero, deve provare i diversi posti e posizioni del corpo prima di scegliere quello che ritiene possa essere il posto più comodo, solenne e più in vista (voir QUI).

Vittorio Sgarbi in una intervista rilasciata nel giorno della morte del Maestro, riguardo alla figura di Fernando Botero lo ha definito come un artista della vita. Un pittore che in ogni sua opera rappresenta la scena di una commedia dove sia il contesto dell’opera cosi come lo stesso soggetto della tela raccontano nella loro quotidianità un canto alla vita. Questa gioia e allegria di Botero era in un certo senso rivoluzionaria contro il filo conduttore dell’arte del Novecento, soprattutto quello generato dalle avanguardie che hanno certamente e magistralmente espresso la crisi, la tragedia e il dramma dell’uomo e della civiltà dopo due guerre, con la psicoanalisi e la lotta sociale per le libertà e i diritti dei sessi. Per un verso è molto facile dipingere la tragedia, soprattutto quando si vivono situazioni di continua angoscia, mentre è molto più difficile raccontare storie, favole e magie con i colori della vita; anche da questo nasce la scelta dei modelli grassi o voluminosi. Il grasso evoca e rappresenta la felicità mentre la magrezza rappresenta la tristezza, il dramma e il dolore. Fernando Botero è un’artista che resta fedele nella tradizione per l’uso della tecnica, dei colori e anche della scelta della tematica come quella di festeggiare ed esaltare i colori della sua regione natalizia magica-fantastica.

Riguardo le parole espresse da Fernando Botero a Parma Dans le 2013, Vittorio Sgarbi ribadì che queste erano le ragioni per le quali la sua arte era diventata universale, la sua semplicità gli permetteva di raggiungere e accogliere qualsiasi tipo di uditorio e di attraversare qualsiasi periodo storico o forma di critica artistica. L’universalità del maestro Fernando Botero non solo ha superato i confini degli ambienti specificamente artistici o accademici, ma anche quelli sociali. Lo stesso artista fu consapevole di questa universalità testimoniata con le sue parole in una sua intervista, quando raccontando l’aneddoto di un suo viaggio nell’Amazonia Colombiana, trovandosi nella regione di Puerto Nariño, dentro una piccola e povera casa trovò la riproduzione di una sua opera, cosa questa che lo lascio estasiato.

Con Fernando Botero muore uno degli ultimi grandi della storia della pittura del Novecento.

 

de l'île de Patmos, 27 septembre 2023

 

REMARQUE

[1] L’ultima donazione conosciuta è di oltre 700 opere ai musei e piazze che abbelliscono la Colombia. Fernando Botero per tutta la sua vita patrocinò borse di studio destinate a talenti che potessero continuare i propri studi e all’interno della Colombia come all’estero nelle aree della musica, le arti plastiche, lettere e la letteratura. Ana Maria Escallón, autrice del libro Botero: nuove opere su tela e che ha partecipato a sostenere una delle più grandi donazioni che entrò a far parte del patrimonio nazionale, spiega questa donazione come un atto di beneficenza totale dell’artista, il quale non voleva trattenere niente con sé e per questo aveva donato tutto quello che aveva con la finalità di dare alla Colombia uno sguardo internazionale sull’arte (voir QUI).

[2] Il suo legame con l’Italia che tanto amava da considerare la sua seconda casa, e come ho scritto sopra posto adatto per condividere con i suoi figli e nipoti periodi carichi di incontri intimi e affettuosi si è concretato con la donazione al Comune di Pietrasanta dell’opera Il Guerriero, nudo di bronzo di oltre quattro metri ubicato nella Piazza Matteotti dal 1992 (voir QUI).

[3] «Io sono uno che protesta contra la pittura moderna, ma comunque uso ciò che si nasconde o c’è dietro di essa: il gioco ironico e quanto esso significa ormai riconosciuto da tutti. Io dipingo figurativo e realista, ma con senso stretto della fedeltà alla natura; mai darò una pennellata che non sia una descrizione di qualcosa di reale: una bocca, delle colline, un arbre. Ma quello che descrivo è la realtà trovata da me. Si potrebbe formulare in questo modo: Io faccio una descrizione in forma realista di una realtà non realistica» (voir QUI).

[4] L’argentina Maria Traba (1930-1983) scrittrice, critica d’arte e figura rilevante delle avanguardie degli anni settanta è stata una determinante studiosa nel riconoscimento e credibilità degli artisti colombiani e sudamericani del secolo scorso. Il lavoro teorico realizzato sulle opere di Fernando Botero è stato il primo esame critico artistico che sostentò l’operato dell’artista così da fare biglietto da visita per presentarsi alle mostre nazionali e internazionali. L’intellettuale descrisse l’arte di Fernando Botero come un «Rinascimento della pietra» per la sua concezione del blocco delle forme: «spingevano Botero verso i mostri che rappresentavano una sfida alla bellezza e alla logica, di conseguenza l’opinione del pubblico che necessita di queste due virtù “teologali” dell’arte (logica e bellezza) per quanto siano insignificanti che possano essere le figure in certi casi (sono necessarie da parte del pubblico) per dare l’assentimento a un artista e alla sua arte, ma l’arte che sfida se è vero può colpire fino all’orrore ma non passerà mai inosservata. Nessuno può non riconoscere lo scandalo provocato delle figure enormi così come della perplessità che suscitarono le azioni incongruenti che le figure mostruose realizzavano circondati da un gigantismo innocente in una immobilità sospetta o un dinamismo di congrega portando l’arte di Botero a imporsi nell’ambiente culturale» (voir QUI) [traduzione libera dell’autore a questo articolo con il parere critico aggiornato della critica d’arte che nel 1961 formulò questo giudizio solo ai lavori pittorici dell’artista ignorando tutto il lavoro successivo delle sculture che ancora non era stato intrapreso dal maestro]

[5] In diverse occasioni quando hanno chiesto al Maestro la ragione della altissima quotazione economica delle sue opere, lui stesso spiegava motivando che aveva voluto fare sempre qualcosa di locale e di specifico ma con onestà e questo, non solo ha generato una empatia da parte del grande pubblico ma anche dai collezionisti o cultori dell’arte che hanno alla fine retribuito generosamente soprattutto la sua onestà.

[6] Per l’antropologa Maria Fernanda Escallón l’arte plastica di Fernando Botero comincia a realizzarsi dal 1975 quando presse residenza a Pietrasanta in cui compie il passaggio della pittura alla scultura. Proprio come se tutto l’universo di figure monumentali sviluppato nei dipinti ha trovato eco nella tridimensionalità statuaria alimentata dalla ricchezza immaginaria procedente dalla pittura che ha donato le idee, le soluzioni e le possibilità. La scultura di Fernando Botero smonta la struttura pittorica per sintetizzare la forma nella unità della scultura (voir QUI)

[7] Le opere del Maestro si possono raggruppare in questi gruppi: religioso con Madonne, santi diavoli, ecclesiastici, suore e monache; quello dei grandi maestri in cui fa rivisitazione delle principali opere di Jan Van Eyck, Masaccio, Paolo Uccello, Andrea Mantegna, Léonard de Vinci, Lucas Cranach, Alberto Durero, Caravage, Il Grego, Velazquez, etc ..; quello delle nature morte e viventi con gli animali e specialmente le sculture voluminose degli ultimi decenni; quello dell’erotico con nudi e pratiche sessuali specialmente di scene dei postriboli; quello di politici, prime donne e militari; e per finire quello fatto da persone in generale o immaginate come famigliari, autoritratti, venditori e collezionisti d’arte, toreri.

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Più si abbassa nella società il quozient e intellettivo medio, plus il faut expliquer même les choses évidentes. L'erreur que nous, chercheurs, faisons souvent, in ambito teologico come nelle sfere di tutte le scienze più disparate, dalla medicina all’astrofisica, è di dare spesso per scontate cose che riteniamo ovvie e che di fatto lo sono, trattandosi degli elementi più rudimentali delle varie scienze o del semplice e basilare umano buonsenso. Purtroppo è necessario tenere conto che oggi si è più propensi a seguire gli influencer analfabeti e i tiktoker, inclusi preti che purtroppo si sono lanciati in questi “giochi demenziali”.

- Nouvelles de l'Église -

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In un articolo è solo possibile sintetizzare un problema, ma è già qualche cosa. puis, a chi volesse saperne di più, suggerisco la lettura del mio ultimo libro Digressioni di un prete liberale, dove dedico un capitolo di 138 pagine a questo tema, corredato di tutti i risvolti storici, teologici e giuridici (Dal Bello à Moro. La santità come il decaduto Premio Nobel? P. 127-265).

Sono rimasto perplesso quando sui vari réseaux sociaux mi sono sentito rivolgere l’accusa di aver mosso critiche al Santo Padre Francesco. In verità ho sempre difeso il suo magistero e anche la sua augusta persona, rivolgendo spesso pubblici rimproveri, duri e severi, a quei “cattolici per caso” che pensano di poter dichiarare un Romano Pontefice persino illegittimo in base ai propri umori soggettivi, cosa invero aberrante.

Nel mio precedente libro titolato provocatoriamente La tristesse de l'amour non rivolgo critiche alla esortazione apostolica post-sinodale aimer la joie, metto in luce la lunghezza eccessiva del testo e il suo linguaggio fumoso e ambiguo pieno di sociologismi inutili e fuorvianti. Chi dice il contrario mente, lo dimostra il libro stampato di cui certi detrattori hanno letto solo titolo, deducendo a seguire ciò che non contiene, dando sentenze assurde basate sul nulla.

Noto con preoccupazione che un esercito sempre più fitto di “sedicenti cattolici” confondono il mistero della fede con un emozionale “mi piace” o “non mi piace”. La totalité, che sia al negativo o al positivo, rigorosamente basato su una mancanza totale di ragione e senso critico. Per questo mi trovo spesso in questa situazione paradossale: «Sporco bergogliano eretico!» urla la recitatrice compulsiva di rosari ritenendomi colpevole di avere difeso il Santo Padre Francesco, dopo essersi messa al seguito di un prete scomunicato per eresia e scisma dimesso dallo stato clericale con sentenza data dal Romano Pontefice, capace a far credere ai suoi fragili e problematici seguaci che gli elefanti rosa volano in cielo secondo il “Vangelo” di Maria Valtorta e le “profezie” della Beata Katharina Emmerick e quelle di Santa Faustina Kowalska. Per contro eccone altri: «Come osi criticare il Santo Padre?», ciò per avere espresso semplicemente rammarico per la sua inopportuna e a mio parere nociva presenza a dei programmi televisivi condotti da soggetti che hanno sempre sparato a raffica sulla Chiesa Cattolica, o sui suoi principi etici e morali (voir QUI e QUI).

Se entro i limiti del dovuto, vescovi e teologi non avessero esercitato nella libertà dei figli di Dio quell’elemento prezioso che è la critica, soprattutto quella all’occorrenza molto decisa e severa, a partire dal Beato Apostolo Paolo che ad Antiochia fece come suol dirsi nero Pietro (cf.. Fille 2, 11-14), oggi noi non avremmo avuto i grandi concili dogmatici della Chiesa, non avremmo definito le verità della fede rivelata dal Primo Concilio di Nicea a seguire e, dopo la morte di Gesù Cristo, percepito semmai soltanto come un “messia fallito”, al presente saremmo stati nient’altro che una piccola setta eretica dell’Ebraismo, tutto questo se fosse mancato il senso critico, Qu'est-ce que ça veut dire: le motif. Foi, spiegò Sant’Anselmo d’Aosta e ribadì molti secoli dopo il Santo Pontefice Giovanni Paolo II nella sua enciclica Foi et Raison, si basa sulla ragione e deve partire di necessità dalla ragione, che comporta anzitutto l’esercizio del senso critico. È attraverso la ragione che si giunge alle porte dei grandi misteri della fede e solo allora possiamo varcare quella soglia attraverso un libero, cosciente e razionale atto di pura fede.

Più si abbassa nella società il quoziente intellettivo medio, plus il faut expliquer même les choses évidentes. L'erreur que nous, chercheurs, faisons souvent, in ambito teologico come nelle sfere di tutte le scienze più disparate, dalla medicina all’astrofisica, è di dare spesso per scontate cose che riteniamo ovvie e che di fatto lo sono, trattandosi degli elementi più rudimentali delle varie scienze o del semplice e basilare umano buonsenso. Purtroppo è necessario tenere conto che oggi si è più propensi a seguire gli influencer analfabeti e i tiktoker, inclusi preti che purtroppo si sono lanciati in questi “giochi demenziali”.

Come sempre spieghiamoci con un esempio: nombreux influencer convinti che «un nano ha il cuore troppo vicino al buco del culo» perché non hanno capito la iperbole ironica della canzone Un Giudice di Fabrizio de André, usano in senso dispregiativo la parola medioevo, ignorando che il bagaglio di arte, scienza e tecnologia di cui oggi noi disponiamo lo dobbiamo tutto al medioevo. Pas seulement, perché se oggi conosciamo gli autori classici; se la cultura, la letteratura e la filosofia greca e romana è stata tramandata sino a noi è solo grazie al medioevo, incluse le poesie più lussuriose di Valerio Gaio Catullo, che non solo la Chiesa si è ben guardata dal censurare o distruggere, perché se oggi le conosciamo è grazie a essa e ai monaci amanuensi che le hanno trascritte e tramandate nei secoli.

L’impianto del moderno diritto lo dobbiamo ai grandi glossatori bolognesi vissuti tra l’XI e il XII secolo e l’elemento fondamentale di civiltà giuridica della tutela e della legittima difesa dell’imputato lo dobbiamo proprio a quel processo inquisitorio sul quale sparano a raffica persone ignare e ignoranti circa il fatto che essere condannati dai Tribunali della Santa Inquisizione era difficilissimo. E furono proprio i tribunali dell’inquisizione a sancire un altro elemento che oggi fa parte delle giurisprudenze penali di tutti i paesi cosiddetti civili del mondo: la pena mirata al recupero e non alla punizione, attraverso la pena il condannato non va punito ma recuperato.

Pronta la replica dell’ignorante: «Erano date condanne a morte!». E qui bisogna ribadire che le condanne a morte non erano rare ma rarissime, precisando che vanno collocate e interpretate in contesti storici ai quali non sono applicabili i criteri di giudizio di oggi, basterebbe spiegare che persino la condanna a morte era un atto estremo di recupero del condannato. pas un hasard, i condannati, erano vestiti di bianco, segno della purezza, perché con la morte pagavano il proprio debito ed estinguevano la loro colpa riacquistando quella che in linguaggio cristiano si chiama “purezza battesimale”. E i loro corpi, après la mort, dovevano essere trattati con rispetto e seppelliti con riguardo.

Ribatte l’ignorante: «Giordano Bruno è stato bruciato al rogo, altro che ucciso e sepolto con rispetto!». Bien sûr. E secondo quella che era la logica sociale, politique, giuridica e anche religiosa dell’epoca fecero bene a bruciarlo al rogo. Fu lui che sbagliò con rara ostinazione. Il suo processo durò per circa 15 anni e per due volte fu annullato per risibili difetti di forma per essere iniziato nuovamente da capo. Per anni e anni fu tentato in tutti i modi di indurlo al ravvedimento, che ostinatamente rifiutò. Inutile dire e spiegare a certa gente che si nutre e si abbevera alle leggende nere che non si può valutare e poi giudicare il caso Giordano Bruno con i criteri di giudizio del nostro presente sociale, politique, giuridico e anche religioso. Sarebbe come condannare con grida di scandalo e l’applicazione del pensiero contemporaneo certe pratiche degli uomini della preistoria ritenute a nostro parere disumane e criminali.

Elementi di questo genere possono essere spiegati dal mio eminente amico medioevalista Franco Cardini, o anche dal divulgatore storico Alessandro Barbero, come da me in mia veste di studioso di scienze giuridiche, di teologia dogmatica e di storia del dogma. Oui, ma a quante persone e a quale pubblico potremmo spiegarle? I nostri numeri, per quanto si possa essere diversamente seguiti, non saranno mai equiparabili alle centinaia di migliaia, se non ai milioni di suiveurs che seguono le idiozie di certi personaggi che usano la parola medioevo a sproposito, recepita e usata da altrettanti pappagalli al loro seguito, ignari che medioevo vuol dire Alberto Magno, Anselm de Canterbury, Bernard de Clairvaux, Ildegarda à Bingen, Domenico di Guzman, François d'Assise, Bonaventure de Bagnoregio, Catherine de Sienne, Thomas d'Aquin, scotus … Il medioevo è il grande circuito delle abbazie e dei monasteri benedettini che dettero vita già prima dell’anno Mille al concetto sociale e politico di Europa. Il medioevo sono i grandi architetti e ingegneri cistercensi e certosini, che portarono l’acqua corrente in molti villaggi curando igiene e profilassi delle popolazioni locali soggette a malattie e sovente a epidemie per eccessi di sporcizia. Il medioevo ha segnato i secoli della ragione e dell’esercizio del senso critico da parte delle più brillanti menti della storia. Il medioevo è Federico II di Svevia con la Scuola aulica siciliana, Brunetto Latini, Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Giovanni Boccace. Il Medioevo giunse al suo termine con uomini come Silvio Enea Piccolomini, salito al sacro soglio col nome di Pio II, che nella sua originaria Pienza creò un prototipo di nucleo urbanistico moderno della città del futuro.

Qualcuno crede che i Medici siano i padri del Rinascimento? Soyons sérieux. la Renaissance, che ha una valenza sia teologica che sociale, fu originato dalla Chiesa dopo il grande trauma della terribile pestilenza del 1346 che sterminò metà della popolazione europea, al termine della quale si cercò di rinascere. Basterebbe andare a vedere chi furono i mecenati che commissionarono le più grandi opere rinascimentali, sia pittoriche che architettoniche: Sommi Pontefici, Cardinaux, Vescovi e intere Diocesi, altro che Lorenzo il Magnifico fatto passare per l’ideatore e il padre del Rinascimento … siamo seri!

Premessa prolissa? Il sapere e la trasmissione del sapere non è mai cosa prolissa, in questo povero mondo nel quale il conduttore di un Suivant émission de télévision sarebbe capace a chiedere a uno studioso invitato solo per riempire uno spazio di spiegare in 30 secondi la metafisica, semmai dopo avere fatto parlare per 45 minuti Mauro Corona davanti a un fiasco di vino. Ogni riferimento a Bianca Berlinguer è del tutto casuale, De toute évidence. Prolissi sono i discorsi che non dicono niente, non quelli dove in poche decine di righe sono riassunti in modo comprensibile alcuni secoli di storia, sfatando tra l’altro penose e dannose leggende nere.

Se all’emozionale si aggiunge poi la confusione assieme al condimento dell’ignoranza, se il tutto, per nostra immane disgrazia, penetra ed è fatto penetrare nella Chiesa come cavallo di Troia, a quel punto il disastro è fatto. Un disastro che da tempo ha investito anche il Dicastero delle cause dei Santi, sin da quando il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II cominciò a scardinare quella struttura sapienziale e prudenziale che aveva caratterizzato i processi per giungere a proclamare prima i beati e a seguire i santi, attraverso criteri molto rigidi e rigorosi. Con buona pace di chi oggi ha mutato la parola “rigido” e “rigoroso” in qualche cosa di negativo e spregevole. Ma del resto, nella Chiesa odierna, c’è chi usa persino la parola “dogma” e “dogmatico” in accezione negativa, purché nessuno osi dare però un calcio al culo a una zingara che cerca di rubarti il portafoglio dietro al colonnato del Bernini, perché in quel caso si rischia la scomunica peines sententiae per avere maltrattato una “sorella Rom” che ha il diritto a vivere ed esercitare la propria “cultura”, come oggi viene chiamato il furto e il borseggio: “cultura”.

Le Saint-Père Jean-Paul II intervenne non solo con una riforma del processo per le cause dei Santi, perché a seguire intervenne con varie dispense, che dopo di lui sono seguitate e si sono incrementate. Abbiamo così avuto santi dispensati dalla fase storica, santi dispensati dal miracolo, santi dispensati, come qualcuno disse ironicamente ma a giusta ragione dalla santità stessa. Lo stesso processo di Giovanni Paolo II si aprì con una clamorosa e pericolosa dispensa: la dispensa dalla fase storica. Tra l’altro per un complesso pontificato durato 26 anni e tutto prudentemente da studiare in un contesto sociale e geopolitico internazionale che definire complesso è davvero puro eufemismo. Soprattutto un pontificato unico nella storia, perché in quel lasso di tempo è crollato il mondo e sono crollate le società mondiali come sino a poco prima le conoscevamo sul piano sociale, scientifique, moral, politico e religioso. Seguendo la precedente procedura sapienziale e prudenziale, il processo di beatificazione di un Romano Pontefice non era avviato prima di 30 anni dalla morte. Lo prova l’iter processuale del Santo Pontefice Pio X che morì nel 1914, fu beatificato nel 1951 e canonizzato nel 1954. La cerimonia di canonizzazione di Pio X, avvenne quindi a 40 anni di distanza dalla sua morte. Tutt’altro l’iter di Giovanni Paolo II che a meno di nove anni dalla morte fu beatificato e poi canonizzato, con tanto di dispensa data da Benedetto XVI a quanto stabilito dal suo predecessore nel 1983 dans la constitution apostolique Divinus Perfectionis Magister che prevedeva la decorrenza di 5 anni dalla morte prima dell’apertura del processo di beatificazione.

Nella cosiddetta epoca giovanpaolista abbiamo visto elevare agli onori degli altari dei Beati e Santi che lasciano non tanto l’amaro in bocca, ma fanno correre proprio un brivido lungo la schiena, perché oltre alle regole si sono sovvertiti i criteri stessi delle ragioni che possono portare un Servo di Dio a essere prima beatificato e poi canonizzato come martire, quasi come se i pontefici degli ultimi decenni si fossero sentiti legittimati a canonizzare dei propri “santi personali” perché compatibili con le tendenze, i pensieri e le mode del presente. Un caso recente davvero eclatante è stata la beatificazione di Enrique Ángel Angelelli Carletti, Vescovo de la Roja, beatificato come martire, sebbene nel corso del tempo, due diverse inchieste affidate a delle commissioni indipendenti di esperti, una composta da studiosi argentini e una composta da studiosi americani, abbiano ribadito che si è trattato di un incidente stradale e non di un attentato ordito dal regime dittatoriale dell’epoca. A questo va aggiunto il caso di non poco conto di un sacerdote, figura chiave come testimone e collaboratore del Beato vescovo martire, che in seguito lascerà poi il sacerdozio, che offrì in un primo tempo una versione dell’incidente, poi la smentì e a seguire ancóra cadde in ulteriori contraddizioni. Prendiamo però atto che i dossi e le buche di quella strada avevano veramente in profondo e supremo odio la fede cattolica e i suoi ministri.

Per procedere a beatificare un Servo o una Serva di Dio, poi canonizzare un Beato o una Beata, occorre un miracolo accertato che costituisca un fatto scientificamente non spiegabile. Esiste però una eccezione al miracolo: le martyre, perché a essere riconosciuto in sé e di per sé come miracolo è il martirio stesso. E qui va chiarito che cosa la Chiesa, depuis le siège apostolique, ha inteso come martirio: essere uccisi in haine de la foi, ossia in supremo odio alla fede cattolica. Cela dit, se oggi qualcuno, per usare un linguaggio politico inopportuno, pensa e accusa la Chiesa di essersi spostata a sinistra, sappia che si sbaglia, perché i fatti provano il contrario: si è spostata e gettata nel meglio del peggio del vecchio inciucio democristiano.

Due concreti casi di inciucio clerico-democristiano: Santa Edith Stein e il Beato Pino Puglisi. La Stein, donna straordinaria dotata di intelligenza geniale, filosofo di levatura ineguagliabile, nata ebrea da famiglia ebrea e in seguito convertita al Cattolicesimo e divenuta monaca carmelitana, fu prelevata dai nazisti mentre si trovava presso il suo carmelo, portata nel campo di concentramento e uccisa. La Stein fu catturata perché ebrea e in quanto ebrea, quindi tale considerata dai nazisti, a prescindere che si fosse convertita e divenuta poi monaca carmelitana, cosa questa che a loro non interessava ad alcun titolo. Quindi la Stein non è morta in supremo odio alla fede cattolica, ma uccisa perché ebrea, cela signifie: nel supremo odio nutrito dai Nazisti nei confronti dell’Ebraismo e degli ebrei. In odio alla fede cattolica fu ucciso San Massimiliano Maria Kolbe, catturato in quanto sacerdote cattolico dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali e ritenuto responsabile di propaganda non gradita al regime e come tale considerato un pericoloso nemico del Nazismo. Anziché attendere il turno della sua morte si offrì di sostituire nel “pozzo della fame” un padre di famiglia, andando a morire al suo posto con un atto di eroica carità. Ma sarebbe morto in ogni caso e in ogni caso sarebbe stato un santo martire, a meno che non fosse fuggito, oppure che il campo di concentramento fosse stato liberato dagli eserciti alleati, cosa che però avvenne quattro anni dopo, Padre Massimiliano Maria Kolbe morì il 14 août 1941.

Edith Stein, donna assolutamente straordinaria è un modello altrettanto straordinario di fede, indubbio e prezioso modello di eroiche virtù che la rendono a giusto merito santa, non però santa martire, non essendo stata uccisa in odio alla fede cattolica. Et ça, en son temps, fu spiegato nei dettagli a Giovanni Paolo II da Père Peter Gumpel, il quale alla richiesta di parere fece presente nulla quaestio circa la sua beatificazione, non però come martire uccisa in haine de la foi. Per tutta risposta Giovanni Paolo II non volle però sentire ragioni, facendo prevalere una ragione di carattere puramente politico, rivelatasi poi un boomerang, perché le comunità ebraiche internazionali risposero a giusta ragione che la Chiesa era libera di beatificare e canonizzare chi voleva e quando voleva, ma che Edith Stein era stata uccisa perché ebrea e non certo perché cattolica. E avevano sacrosanta ragione.

Con il Beato Pino Puglisi, presbitero panormitano, sulla cui santità di vita non si discute, si è rasentata la farsa, nel senso più delicato del termine, proclamandolo ― udite, écouter! ― martire della criminalità organizzata. E qui sì che bisogna chiarirsi: il Padre Pino è stato ucciso dalla Mafia, che ha un preciso nome: Cosa Nostra. je me demande: gli eroici vescovi siciliani, se proprio volevano il beato martire come medaglietta al petto, perché non lo hanno presentato affinché fosse proclamato proto-martire di Mafia, o di Cosa Nostra? Perché usare il termine di criminalità organizzata, che vuol dire ambiguamente tutto e niente, quando si tratta invece di una organizzazione ben precisa, ossia mafiosa, con un nome ben preciso, ou Cosa Nostra? E chi sarebbero stati i feroci odiatori della fede cattolica, forse i mafiosi? Ma i mafiosi ― e questo i Vescovi di Sicilia dovrebbero saperlo molto bene ― sono persone devote, con i santini di Santa Lucia, Sant’Agata e Santa Rosalia dentro i portafogli, con la preghiera sulle labbra e il cero in mano nelle prime file delle processioni. Quando poi i capi clan sono stati arrestati, li hanno trovati con un unico e solo libro: la Sacra Bibbia, piena di sottolineature e pizzini, come nel caso del capo clan Bernardo Provenzano. Si quoi que ce soit, la domanda che oggi dovrebbero porsi i preti di una certa età che si dichiarano tutti allievi di Padre Pino Puglisi, dovrebbe essere questa: mentre lui da solo, come un cane sciolto, si opponeva alla prepotenza mafiosa nel suo quartiere, nous les prêtres, nelle nostre parrocchie centrali, pronti a lanciarci stilettate alle spalle pur di strappare una mozzetta da canonico del Capitolo Metropolitano o di quello della Cappella Palatina, che cosa facevamo, oltre a proclamarci post-mortem suoi allievi da degni figli del Gattopardo? Questo dovrebbero chiedersi certi preti palermitani che oggi millantano di essere stati tutti suoi allievi e discepoli, perché questo è il problema: la Mafia non avrebbe mai osato alzare la mano su un prete palermitano se non lo avesse considerato solo un fastidioso cane sciolto. Demande: posto che i mafiosi tutto sono fuorché sprovveduti, chi è che lo fece sentire un cane sciolto? Ma se tutti i preti palermitani dai 55 anni a seguire sono stati suoi allievi e discepoli, attorno a sé avrebbe dovuto avere un clero compatto ad appoggiare la sua preziosa opera, ou non? E se così fosse stato, mafia, avrebbe mai osato uccidere un prete? Ho letto gli atti di quel processo e in coscienza posso dire ― invitando chicchessia alla smentita ― che fatto salvo l’onore e l’indubbia santità del beato, su di esso possiamo ridere sopra allo stesso modo in cui tutti noi ci siamo fatti delle solenni risate sul Gattopardo di Don Giuseppe Tomasi principe di Lampedusa.

Quando in una delicata sfera, tal è la beatificazione dei beati e la canonizzazione dei Santi, ci si fa prendere la mano e l’emotività dal momento sociale o politico, volendo anche dall’opportunismo mediatico dettato dalla situazione del momento, si possono fare danni enormi, volendo irreparabili, non tanto per il presente ma per il futuro che verrà, quando gli animi emotivi si saranno placati e certe emozioni saranno morte o sostituite con altre nuove più consone a quei tempi. Sarà a quel punto che gli storici ci analizzeranno, sotto vari aspetti persino come fenomeni da baraccone, dicendo senza mezzi termini: bei superficiali che erano, quelli che ci hanno preceduti! E tutti taceranno, perché sarà vero.

Chi emotivamente guarda solo al presente, ignora la pesante eredità che lascerà al futuro. Nel mondo di domani non sarà più possibile fare come il Santo Pontefice Paolo VI che fece sparire con un colpo di penna decine di Santi con la scusa di riformare il Calendario. È cosa nota e risaputa che diversi di quei Santi non erano mai esisti, altri erano duplicati di altri Santi, altri erano figure persino imbarazzanti e come tali da dimenticare.

le mondo di oggi e quello di domani non permetterà più la caduta nell’oblio che era possibile in passato. Questo però gli emotivi che vivono il presente senza prospettiva futura purtroppo non lo sanno, per somma disgrazia dei nostri figli che verranno e che dovranno essere umiliati e irrisi a causa della superficialità dei loro padri.

de l'île de Patmos, 25 septembre 2023

 

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Ces prêtres ratés d'une Église en désarroi que certains aiment tant “racaille catholique” dont on se passerait volontiers

QUEI PRETI FALLIMENTARI DI UNA CHIESA ALLO SBANDO CHE TANTO PIACCIONO A CERTA “GENTAGLIA CATTOLICA” DI CUI FAREMMO TANTO VOLENTIERI A MENO

Sono lieto di avere dato della vergogna di prete a un confratello che si è manifestato tale, au-delà de toutes ses activités sociales et caritatives, potrebbe servigli a riflettere sul fatto che i pubblicani e i pagani compiono opere di bene e opere sociali persino più grandi delle sue. Con buona pace dei suoi Ventilateurs, rivelatisi perlopiù “gentaglia cattolica” violenta e insultante nei commenti, che vorrebbero trasformare la Chiesa di Cristo in un circo equestre, come se già non lo fosse abbastanza.

- nouvelles ecclésiales -

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Benedico Dio per i sessant’anni che ho compiuto il 19 agosto e vi confido una delle battute più ricorrenti rivolte a miei confratelli ottantenni durante i colloqui di direzione spirituale:

«Potessi fare a cambio ti darei i miei anni e mi prenderei gli anni tuoi che ti stai avviando alla fine della tua vita. Perché non oso neppure pensare che cosa dovrò vedere e soffrire come prete vivendo altri 25 O 30 anni in questa situazione di decadenza ecclesiale ed ecclesiastica ormai irreversibile, a ben considerare che da tempo abbiamo superato la soglia del non-ritorno».

Que l'Église survivra è una divina promessa di Gesù Cristo, che però ci ammonisce:

« Mais le Fils de l'homme, quand il viendra, trouver la foi sur la terre?» (Lc 18,8).

La Chiesa la troverà, ma la domanda è di rigore: quale Chiesa? Sono ormai 15 anni che in miei libri e articoli avanzo un’ipotesi che non si basa sul “mistico illuminato” che non sono, ma sulle sacre scritture: e se al suo ritorno trovasse una Chiesa mondanizzata svuotata completamente dell’essenza di Cristo e riempita di altro? Il Catechismo della Chiesa Cattolica ― questo grande sconosciuto ai “cattolici” da social al seguito di certi Pretini mode ― con chiarezza inequivocabile insegna:

« Avant la venue du Christ, l'Église doit passer par un dernier procès qui ébranlera la foi de nombreux croyants (Voir. Lc 18,1-8; Mont 24,12). La persécution qui accompagne son pèlerinage sur la terre (Voir. Lc 21,12; Gv 15,19-20) révélera le "mystère de l'iniquité" sous la forme d'une imposture religieuse qui offre aux hommes une apparente solution à leurs problèmes, au prix de l'apostasie de la vérité. La massima impostura religiosa è quella dell’Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne» (Voir. voir QUI).

Durante uno dei nostri ultimi colloqui il Cardinale Carlo Caffarra di benedetta memoria mi disse:

«Nessuno di noi conosce il giorno e l’ora (S.d.A. Mont 24,36), quindi non possiamo fare neppure vaghe ipotesi. Mais une chose est certaine: leggendo le Sacre Scritture sembrerebbe che oggi gli elementi ricorrano quasi tutti» (S.d.A. II Ts 2, 3-12).

Per trattare questo tema molto delicato prendo come esempio le buffonate di un confratello, uno tra i tanti privi di qualsiasi malizia, anzi convinti in buona fede di fare del bene, ignaro che dinanzi a Dio noi sacerdoti di Cristo non siamo però giustificati da una certa buona fede, che alla pari delle buone intenzioni può portare persino all’Inferno nei casi più gravi, perché a noi non sarà riconosciuto né il beneficio dell’ignoranza né tanto meno quello dell’ignoranza inevitabile o invincibile. Il est écrit:

"Pour ceux qui ont beaucoup donné, beaucoup sera demandé; à qui les hommes ont commis beaucoup, Il demandera plus " (Lc 12,48).

Nulla di personale verso questo presbitero genovese prontamente difeso sui réseaux sociaux da un esercito di Ventilateurs che mi hanno subissato di messaggi e commenti insultanti. Intendo usarlo solo come paradigma per raffigurare la decadenza e la sciatteria del nostro povero clero.

Ecco il fatto documentato: ce prêtre tiktoker è avvezzo da tempo a mettere in rete sue gag convinto a questo modo di attirare i c'ciovani. In uno di questi pubblici video ha superato tutti i limiti della sacerdotale e teologica decenza, pour que, essendo anch’io un cosiddetto personaggio pubblico un po’ conosciuto, altrettanto pubblicamente ho reagito, senza venire meno ai criteri evangelici della correzione fraterna (cf.. Mont 18, 15-18), perché se infatti tu decidi di fare pubblicamente lo scemo mettendo in scena uno esquisser sul mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio, ho il dovere di dirti pubblicamente che sei uno scemo, per essere buoni. Agendo così tu disonori la nostra dignità sacerdotale, che non è tua e non puoi disporne come vuoi, perché è nostra, a noi data in comodato d’uso e della quale dovremmo seriamente e gravemente rispondere a Dio.

Le immagini e le frasi parlano da sole, perché lo scemo non trova di meglio da fare che inserire questa didascalia nel suo video:

«San Giuseppe quando l’Angelo Gabriele gli annuncia che sua moglie Maria è incinta per opera dello Spirito Santo».

Sotto questa didascalia, rivestito dei paramenti sacri liturgici e con alle spalle il tabernacolo contenente il Santissimo Sacramento, le prêtre tiktoker si mette a mimare l’attore comico Carlo Verdone per rappresentare il Beato Patriarca Giuseppe che prima si gratta pensieroso la testa e poi dice «In che senso?» (Film de chanson Très bien, voir QUI).

Sulla mia pagina social ho contestato questo atteggiamento lesivo della dignità sacerdotale e il modo blasfemo in cui questo scemo ha rappresentato il mistero cardine della salvezza: l’incarnazione del Verbo di Dio fatto uomo. Bien sûr: se già più volte ho usato il termine “scemo” è per dare a questo improvvido prete tiktoker tutte le più caritatevoli attenuanti, perché tutti noi saremo pronti a giustificare e poi perdonare le stupidaggini dello scemo del villaggio, appunto perché scemo. Donc, dargli dello scemo in questo preciso contesto, è un atto di autentica carità e misericordia.

Ce sont les résultats: chiamati a raccolta i propri Ventilateurs le prêtre tiktoker li ha istigati con un suo post a smentire e quindi replicare. Quello che in linguaggio social il s'appelle Shit storm, alla lettera tempesta di merda. Et ainsi, je Ventilateurs del prete tiktoker mi hanno subissato di messaggi in cui mi si accusa di essere ― nell’ipotesi migliore e più delicata ― una vergogna di prete, un disumano, un rigido, un invidioso. Un esercito di persone ha scritto che questo prete attira tanti c'ciovani, parce que je c'ciovani con lui non si annoiano ma si divertono. Altri hanno scritto che i rigidi come me hanno le chiese vuote, altri hanno messo in dubbio che fossi persino un prete. Poteva poi mancare l’esercito delle immancabili donne pasionarie, da sempre le più violente in assoluto, salvo poi piangere e strepitare “maschilista!” se qualcuno ribatte loro? In massa si sono rivolte a me in toni con i quali non sarebbe lecito rivolgersi neppure a un ergastolano pluri-omicida, magnificando le straordinarie opere sociali e assistenziali del loro beniamino a favore dei bambini malati oncologici del Gaslini di Genova.

Non potevo rispondere a centinaia di commenti perlopiù insultanti, ho risposto solo a qualcuno, consapevole che la pletora di non-cattolici al seguito di questo prete manifestava di commento in commento sentimenti e stili che sono l’antitesi di quello che è il sentimento cattolico. Sarebbe stato davvero tempo perso mettersi a spiegar loro che fare il bene non comporta essere né bravi preti né bravi cattolici:

«Non fanno lo stesso anche i pubblicani? E se salutate soltanto i vostri fratelli, che fate di straordinario? Non fanno anche i pagani altrettanto? Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mont 5, 46-48).

Che cosa significa questa frase? Qualcosa di tanto solenne quanto terribile: il bene, cristianamente inteso, non può essere disgiunto dalla fede, dalla speranza e dalla carità (Je Cor 13, 1-13). E la fede e la carità non nascono dall’allegria e dal divertimento concesso ai c'ciovani da certi preti all’interno di chiese ridotte a circo, nascono dal mistero della croce di Cristo che sconfigge la morte e che ci rende tutti partecipi alla sua risurrezione. Questo è il cuore della nostra gioia cristiana: et resurrexit tertia die, et ascendit in coelum.

Tempo fa rifiutai il saluto a un ginecologo abortista ― ma come risaputo sono un rigido senza carità e misericordia ―, rifiutandomi di sedere a tavola con lui a una cena organizzata da vari amici clinici ai quali dissi: «Io non mi siedo al tavolo con Erode che compie ogni giorno la strage degli innocenti». Salutai e me ne andai. Atteggiamenti, questi miei, frutto sicuramente di rigidità e mancanza di misericordia verso un uomo considerato da tutti straordinario. Dovete infatti sapere che questo novello Erode faceva volontariato a favore delle donne maltrattate e nel corso dell’anno andava a prestare servizio nei paesi poveri africani, lasciandovi persino sue donazioni personali. En bref, un uomo di carità, un uomo di Dio secondo certa “gentaglia cattolica” incapace a comprendere che cosa voglia dire: «Non fanno lo stesso anche i pubblicani e i pagani?».

Come risaputo sono direttore spirituale o confessore di molti sacerdoti. Nel corso dell’ultimo anno ne ho dolorosamente e amorevolmente accompagnati due fuori dal sacerdozio, invitandoli a chiedere la dispensa dal sacro ministero e dagli obblighi del celibato. Motivo? Entrambi avevano perduto completamente la fede. À ce moment-là, in scienza e coscienza ho detto loro: «Rimanere nel sacerdozio sarebbe il sistema più sbagliato per tentare di recuperare in qualche modo un barlume di fede». J'ai eu tort, sono stato forse un rigido? Combien de temps s'arrêter à, perché poco più di un anno dopo, i dicasteri della Santa Sede preposti a trattare certi problemi riconobbero la nullità dell’ordinazione sacerdotale di uno dei due, ammettendo di fatto che non andava proprio consacrato sacerdote.

Vous connaissez, o laici “cattolici” emozional-internetici, da cosa spesso ho riconosciuto la pessima formazione al sacerdozio di certi preti, le gravi carenze di fede o le loro gravi crisi spirituali? Dal loro iper-attivismo nel sociale, dal loro essere tutti proiettati verso i c'ciovani e verso le opere sociali e caritative, pur di dare un senso alla loro carente fede o per rifuggire e non affrontare le loro gravi crisi spirituali generate a monte da una pessima o persino disastrosa formazione al sacerdozio. et parfois,, con soggetti di questo genere, ho dovuto lavorare anni, non sempre con buoni risultati, perché se il prete non lo formi prima, formarlo dopo è quasi impossibile.

Ho incominciato questo articolo dicendo la mia età, l’ho fatto per un preciso motivo che adesso vi chiarirò: leggendo i commenti rigorosamente insultanti di certi Ventilateurs del prete tiktoker, sono piombato indietro alla mia adolescenza, prendendo atto con tristezza e rammarico che certa “gentaglia cattolica” non è ancora uscita dagli infausti e nefasti anni Settanta del Novecento. In quegli anni ero adolescente ma forse già propenso ― chissà! ― a essere rigido. Pertanto ricordo bene certi c'ciovani che parlavano di Che Guevara e di Gesù Cristo confondendo l’uno con l’altro, che alle Sante Messe schitarravano e cantavano Dieu est mort Francesco Guccini, inneggiando a Friedrich Nietzsche, mentre i poveri fedeli andavano in fila a ricevere il Corpo di Cristo. Poi la sera andavano alle riunioni nella sede di Lotta Continua o di Democrazia Proletaria, tirando di tanto in tanto qualche sasso alla Polizia di Stato durante le manifestazioni. E quando tornavano all’oratorio parrocchiale parlavano di rivoluzione e dicevano che andava rivoluzionata la Chiesa, dentro la quale ― udite, écouter! ― bisognava essere allegri, perché il Cristianesimo è gioia e amore. Dans ces années, analoghi preti scemi, cercavano di attirare i c'ciovani dicendo che Cristo era un grande rivoluzionario e che la Chiesa doveva mettere al centro i c'ciovani. Gli stessi identici discorsi della gran parte dei Ventilateurs del prete tiktoker che attira i c’iovani e che fa tanto apostolato sociale, persino con i bambini malati di cancro, insomma un santo modello di sacerdotali virtù dinanzi al quale San Giovanni Maria Vianney è ben poca cosa! Quelle tristesse, quarant’anni passati invano senza che certa gente abbia capito niente, ostinata, all’occorrenza anche in modo violento, nel non voler capire che la Chiesa di Cristo è altra cosa e che ai c’iovani bisogna presentare un progetto tutt’altro che facile da realizzare nella vita:

« Entrez par la porte étroite, Car large est la porte, spacieux le chemin qui conduit à la destruction, et beaucoup être là qui entrent par:; combien étroite est la porte et combien étroit est le chemin qui mène à la vie, et peu ceux qui la trouvent!» (Mont 7, 13-14).

Tra una sua preziosa attività social-caritativa e l’altra, inclusi bimbi malati di cancro nel reparto di oncologia del Gaslini di Genova, il prete che fa gli esquisser dovrebbe ricordare che quando il vescovo lo consacrò sacerdote, ses, come a tutti noi, il a dit:

« Comprenez ce que vous faites, imitez ce que vous célébrez, conformer votre vie au mystère de la croix du Christ, le Seigneur " (Voir. Rito della Sacra Ordinazione dei Presbiteri).

Tutto questo lo scemo prete tiktoker lo ha capito così bene al punto da ironizzare sull’incarnazione del Verbo di Dio davanti al tabernacolo. Tanto per ribadire che dargli dello scemo a fronte di tutto questo è un vero atto di carità e misericordia. O per caso qualche vescovo gli ha detto di conformarsi a Carlo Verdone per attirare i c'ciovani? Pronta la replica dei Ventilateurs: «Lui riempie le chiese!». Oui, ma di che cosa le riempie? Peut-être de c'ciovani che vedono il prete simpatico anziché vedere il mistero di Cristo Dio? Con chi le riempie, forse con ex sessantottini che tutt’oggi pensano di poter riscrivere la fede e la Chiesa a loro proprio piacimento, felici oltre modo se trovano un prete di grande carità e di grande apostolato che de-sacralizza i misteri della fede?

Sono lieto di avere dato della vergogna di prete a un confratello che si è manifestato tale, au-delà de toutes ses activités sociales et caritatives, ciò potrebbe servigli a riflettere sul fatto che i pubblicani e i pagani compiono opere di bene e opere sociali persino più grandi delle sue. Con buona pace dei suoi Ventilateurs rivelatisi perlopiù “gentaglia cattolica” violenta e insultante che vorrebbero trasformare la Chiesa di Cristo in un circo equestre, come se già non lo fosse abbastanza.

La nostra missione di sacerdoti non è quella di piacere al mondo ma di combatterlo e di dire di no alle sue perversioni anti-cristiane. Lo so benissimo che sarebbe molto più comodo dire: "Oui, il est vrai, sono due uomini, mais qu'est-ce que cela signifie, basta che si amino, perché Dio è amore e misericordia, non proibizione, non giudizio, meno che mai castigo. Dieu ne punit personne, questo lo credono e lo dicono i rigidi. Dieu est amour, ama e perdona tutti». Qualcuno aggiunge anche: «Certe coppie di “uomini sposati” sono tanto sensibili e se gli diamo anche un bimbo in adozione sono più bravi e teneri di tante coppie eterosessuali». E via dicendo a seguire chi vuole intendere intenda, perché questa è la realtà del prete piacione: basta dire che il male è bene e che il bene è male e il mondo ti amerà e ti porrà sopra un piedistallo. O qualcuno pensa che alla tenera età di sessant’anni e con anni di sacerdozio alle spalle, non abbia capito cosa il mondo vuole sentirsi dire, per farsi piacere un prete e trasformarlo nel proprio idolo?

La nostra missione non è fare i jocks Regardez c'ciovani, ma di dir loro le cose che non vogliono sentirsi dire, avec tact et délicatesse, consapevoli di andare incontro al totale rifiuto della gran parte di loro e alle critiche e agli attacchi più feroci di coloro che li circondano. A partire dai loro disastrosi genitori, pronti a battere i piedi e a pretendere di avere ragione se dicono che è cosa buona e giusta che la loro figlia appena ventenne sia andata a convivere con il fidanzato, «perché oggi non è più come una volta, le cose sono cambiate e bisogna essere elastici e comprensivi», aggiungendo poi quella larvata minaccia che al vero pastore in cura di anime non dovrebbe interessare proprio niente: «Altrimenti, con il vostro modo di pensare, allontanate i c'ciovani de l'église!».

A coloro che dicono di essere cattolici è doveroso dire con chiarezza ciò che è bene e ciò che è male, per la loro vita e la salute delle loro anime, in questa nostra società al disastro soprattutto giovanile. La nostra missione è quella di impedire che in nome di un non meglio precisato “amour” le peggiori perversioni del mondo siano introdotte come un cavallo di Troia dentro la Casa di Dio dai preti social-scemi, sino a fare i buffoni davanti al tabernacolo del Santissimo Sacramento con i paramenti indosso, ironizzando sul mistero dell’Incarnazione del Verbo di Dio, mentre le nonne ex sessantottine — quelle che da giovani corsero in massa a votare per il référendum a favore dell’aborto e a seguire a firmare a favore dell’eutanasia ai banchetti di Marco Cappato — tra una botta di artrite reumatoide e un prolasso all’utero si compiacciono per i c'ciovani che in chiesa si divertono col prete figo, perché con lui tutto è gioia, oltre a quella strana idea di “amour” che tutto giustifica, a partire dai peccati peggiori, inclusi quelli che gridano al cielo.

Bien sûr, gioia e allegria. Ne è prova, a suo modo emblema, la Bienheureuse Vierge Marie, che sotto la croce era tutta un tripudio di allegrezza, mentre il Beato Apostolo Giovanni, per rallegrarla di più ancóra mentre il Cristo agonizzava, le recitava i versi dei satiri romani antenati di Carlo Verdone. Poi ci sono i rigidi che invece cantano «Mère se tenait à côté des pleurs croix, Alors que son fils», incapaci di comprendere quanto sia invece importante cantare: « Libérez la joie, Aujourd'hui, la fête est, dai, chanter avec nous, la partie ici, nous sommes ", perché «il Cristianesimo è la religione della gioia, dell’amore e della vita». Oui, ma c’è solo unpiccoloqui pro quo: alla gioia si giunge attraverso la passione d’amore della croce e alla vita, quella della beatitudine eterna — che è un premio e non un diritto dovuto — si giunge attraverso la morte, non di rado preceduta spesso anche da malattia e sofferenza. Il est écrit:

«Allora Gesù disse ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, va perdre; ma chi perderà la propria vita per causa mia, Vous trouverez”» (Mont 16.24-25).

Altro che scatenate la gioia, la festa siamo noi.Gentaglia cattolica” … "Via, loin de moi, maudit, le feu éternel, préparé pour le diable et ses anges " (Mont 25,41).

 

De Isola Patmos, 13 septembre 2023

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Je respecte Nietzsche et Saint Laurent, Je fréquente la classe moyenne supérieure et je ne visite pas les camps de Roms, assez pour ne pas devenir cardinal

J'ESTIME NIETZSCHE ET SAINT LAURENT, JE FRÉQUENCE AVEC LA HAUTE BOURGEOISE ET NE VISITE PAS LES CAMPS ROMS, QUANTO BASTA PER NON DIVENTARE CARDINALE

Le aree del Cattolicesimo cosiddetto tradizionalista o conservatore, à travers leur armée d'âmes mystiques et de défenseurs de la foi vraie et authentique, hanno mutato la parola Modernismo in sinonimo di mal absolu. Ciò alla stessa maniera in cui i comunisti sovietici avevano trasformato in sinonimo di mal absolu parole come borghesia o capitalismo.

— Storia e attualità —

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Un celebre stilista pronunciò una frase che in sé racchiude una profonda essenza evangelica, plutôt, escatologica: «Le mode passano, lo stile è eterno». Sûrement, il francese Yves Saint Laurent (1936-2008), dichiaratamente ateo, omosessuale a tutto campo con alle spalle una vita avventurosa in tutti i sensi, che dispose la dispersione delle ceneri dopo la cremazione del proprio corpo, non aveva velleità né metafisiche né escatologiche, forse neppure evangeliche. Ciò non toglie però che talvolta, le persone più impensabili, anche quelle più lontane dal vivere cristiano e dai suoi princìpi morali, possano esprimere concetti che si adattano, in modo sorprendente, o persino straordinario, al sentire cristiano e ai contenuti dei Santi Vangeli. Basterebbe semplicemente leggere certe poesie di Baudelaire, Verlaine e Rimbaud, chiamati non a caso Les poètes maudits, i poeti maledetti.

Tuonò Friedrich Nietzsche già sul finire del XIX secolo: «Dio è morto, resta morto, noi lo abbiamo ucciso» (cf.. La science Gay, n. 125). Frase che di per sé potrebbe scandalizzare un esercito di mistiche anime delicate, ma che se letta in chiave cristiana suona invece come un severo monito. Non abbiamo forse sfrattato dal nostro antico Continente Europeo l’idea stessa di Dio, dopo averlo ucciso, sino a rendere impronunciabile un concetto evidente come le innegabili radici storiche cristiane dell’Europa? Dire che l’Europa nasce da radici cristiane non è un attentato al culto idolatra del laicismo integralista, ma un dato di fatto che dovrebbe essere accettato da tutti i non credenti dotati di onestà intellettuale, che preso atto di questo dato palese hanno poi tutto il diritto di rimanere e di professarsi laici e non credenti.

Questo pensatore acuto, geniale e folle aveva anche intuito e profetizzato che l’attacco decisivo al Cristianesimo non poteva essere basato sul tema della verità ma su quello della morale cristiana. Même dans ce, aveva torto quel Nietzsche che intitolò un’opera col nome provocatorio L'Antéchrist, dove dipinge il Cristianesimo come un disastro e una perversione di cui liberarsi? Anche in questo è necessaria una particolare capacità di lettura e interpretazione speculativa sul piano filosofico e socio-ecclesiale: nel corso dei secoli gli uomini della Chiesa visibile, peut-être aujourd'hui d'une manière spéciale, non hanno per caso generato disastri e perversioni dalle quali sarebbe bene liberarsi, allo scopo primo e ultimo di tutelare la Chiesa di Cristo, il Corpo Mistico di cui egli è capo è noi membra vive? (cf.. Col 1, 8).

Tra l’Ottocento e gli inizi del Novecento nous, catholiques, rinchiusi sulle perenni difensive, dopo tutti gli accadimenti storici che fecero seguito all’evento traumatico e sanguinario della Rivoluzione Francese e dei vari governi liberali fortemente anticlericali e repressivi nei riguardi della Chiesa Cattolica, non è che per caso ci siamo imposti grossi limiti e inferte delle profonde ferite da noi stessi?

Aree del Cattolicesimo cosiddetto tradizionalista o conservatore, à travers leur armée d'âmes mystiques et de défenseurs de la foi vraie et authentique, hanno mutato la parola Modernismo in sinonimo di mal absolu. Ciò alla stessa maniera in cui i comunisti sovietici avevano trasformato in sinonimo di mal absolu parole come borghesia o capitalismo.

Al Comitato del nostro Soviet della tradizione cattolica lancio un guanto di sfida: il est vrai ou pas vrai, che gli studiosi luterani ― figli di una eresia che tale teologicamente resta e che generò nella Chiesa il secondo scisma dopo quello d’Oriente del 1054 ― speculavano sulle scienze bibliche e sulle esegesi novo testamentarie, mentre noi cattolici, in virtù della eccelsa lungimiranza del Sommo Pontefice Leone XIII o di chi per lui, eravamo intrappolati in quattro formule rancide della neoscolastica decadente? E dico a tal punto rancida e decadente che se tra il finire dell’Ottocento e gli inizi del Novecento si fossero risvegliati dalle tombe Sant’Anselmo d’Aosta, Sant’Alberto Magno e San Tommaso d’Aquino, ci avrebbero presi a calci nei denti senza un attimo di esitazione.

À une distance de 116 années dalla pubblicazione della Enciclica Nourrissage des moutons de Dominic Saint Pie X, attraverso la quale fu condannato con tutta la durezza del caso il Modernismo, vogliamo incominciare a chiederci, noi storici del dogma in modo particolare, quanto e se, quella enciclica, fu veramente lungimirante come taluni la magnificano tutt’oggi? Personalmente la ritengo un testo storicamente necessario in quel preciso contesto storico e geopolitico. Se però la speculazione sia storica che teologica, oggi non fosse ormai morta e sepolta, sarebbe necessario incominciare a porsi dei quesiti che saranno oggetto di un saggio che intendo pubblicare quanto prima: Modernisme, con tutte le sue indubbie problematicità ed errori, non fu forse anzitutto, a torto o a ragione, un movimento reattivo sviluppatosi in seno a una Chiesa i cui problemi erano quasi tutti di natura politica, specie dopo la caduta dello Stato Pontificio il 20 septembre 1870?

Merce rara l’onestà intellettuale, specie nelle anime mistiche e nei difensori della vera e autentica dottrina e tradizione. Se infatti ne avessero anche un solo briciolo, la domanda di rigore sarebbe la seguente: comment venir, dopo essere giunti alla metà del secolo scorso in situazioni teologiche pressoché disastrose, a un certo punto ci siamo accorti che, per fare studi approfonditi sulle scienze bibliche eravamo costretti a rifarci alle pubblicazioni e ai testi scientifici di autori protestanti? Lo facevamo già nei primi decenni del Novecento, ma di nascosto, per non finire sotto processo presso i tribunali ecclesiastici con l’accusa di eresia modernista.

Dovrebbero altresì chiarire, sempre le anime mistiche e i difensori della vera e autentica dottrina e tradizione, comment venir, il più grande e insuperabile commento alla Lettera ai Romani del Beato Apostolo Paolo è stato scritto e pubblicato nel 1918 dal teologo protestante Carl Barth? E si tratta di un testo al quale, volendo o no, tutti noi dobbiamo rifarci, appunto perché resta per adesso insuperabile.

Presto detto perché ciò sia avvenuto: noi teologi cattolici eravamo impegnati a grattarci i pidocchi di testa gli uni con gli altri, come una tribù di scimmie cappuccine, bivaccando su quattro formule rancide della neoscolastica decadente, con la spada della grande e lungimirante Nourrissage des moutons de Dominic che seguitò a pendere sopra le nostre teste, fino a quando il Sommo Pontefice Pio XII non cominciò ad allentare le maglie, ma soprattutto a donare alla Chiesa delle encicliche di alto spessore teologico e spirituale, anziché encicliche dettate da esigenze socio-politiche con tutti i più severi risvolti disciplinari indirizzati al clero e ai teologi.

È noto che gli squilibri generano sempre squilibri, comme ça, prima e subito dopo il Concilio Vaticano II, ma soprattutto con la stagione infausta del post-concilio, portato avanti da teologi e sedicenti tali che i documenti del Concilio non li conoscevano proprio, ciascuno ha finito col crearsi il Concilio proprio, quello da me ribattezzato in una mia opera del 2011 «il concilio egomenico degli interpreti del post-concilio».

Se il Modernismo è stata la reazione a una chiusura ermetica, la lotta a questa corrente di pensiero, finita poi sconfitta, ha generato una reazione molto peggiore: la decadenza incontrollata della speculazione teologica cattolica. E oggi siamo costretti a udire non solo teologi, ma vescovi in cattedra che pronunciano con disinvoltura delle eresie imbarazzanti. Ou mieux compris: il gesuita Antonio Spadaro, il cui spessore teologico è pari pressoché a quello di una sogliola, non solo incarna la decadenza della East India Company che a suo tempo fu la grande Compagnia di Gesù, perché è divenuto persino direttore della storica rivista La Civiltà Cattolica e può permettersi, senza richiamo alcuno, di pubblicare su le Quotidien un commento al Vangelo che avrebbe fatto impallidire l’eresiarca Ario [voir le texte QUI].

La situazione di decadente degrado che viviamo oggi nella Chiesa ha delle radici molto antiche da ricercare tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, quando è stato innescato un effetto a catena. Sino a giungere ai nostri giorni, nei quali siamo sofferenti e impotenti spettatori di un pontificato agonizzante che ci ha regalato proclami politicamente corretti, incertezze e ambiguità. Il tutto all’insegna di una vera e propria ossessione psicopatologica: pauvres et migrants, migranti e poveri …

È noto che oggi i vescovi, ma soprattutto coloro che ambiscono a diventare tali, devono provenire da non meglio precisate «periferie esistenziali» e parlare di «Chiesa in uscita». La Chiesa non è in uscita ma ormai in amministrazione controllata, con il fallimento alle porte e gli ufficiali giudiziari pronti a entrare dentro per apporre i sigilli di sequestro. Se la Chiesa si salverà ― e si salverà comunque per nostra certa fede ― sarà perché non è opera umana ma divina; perché Pietro, scelto da Cristo come pietra (cf.. Mont 16, 18-19), è poggiato sulla roccia di Cristo. E di Cristo — bene ricordarlo — Pietro è il vicario sulla terra, non è il successore, semmai un successore persino più buono e misericordioso di Cristo stesso.

Mentre altrove c’era una passerella des évêques nouvelle génération con i pasteur scollacciati, con in mano i pastorali di legno fabbricati nella bottega di Mastro Geppetto, con le croci pettorali ricavate dal pezzetto di una barca di poveri migranti affondata al largo di Lampedusa, questa domenica mattina ho celebrato la Santa Messa nella cappella di una clinica a cinque stelle, luogo nel quale solitamente sono ricoverate persone che possono pagare cifre molto elevate. Poi ho visitato tutti i malati terminali ricoverati nel reparto di oncologia. E dopo avere già amministrato nei giorni precedenti il Sacramento dell’Unzione degli Infermi e le confessioni, ho proseguito ad amministrare nuovamente confessioni a diversi pazienti, portando poi loro la Santa Comunione.

Mentre ero genuflesso dinanzi al Tabernacolo, il mio animo teologico è stato assalito da questo atroce dubbio: dans l'Église aujourd'hui, questi alto-borghesi, questi ricchi, hanno veramente un’anima? Sono anche loro figli di Dio? L'église, che si è sempre occupata di tutti, ma che oggi parla solo di poveri e migranti, des migrants et des pauvres, deve occuparsi anche di loro o no? Il Santo Padre dice in continuazione a tutti «Non dimenticatevi mai dei poveri». Mais, in dieci anni di pontificato non ha mai invitato una sola volta a non dimenticarsi anche delle anime dei ricchi. Che poi sono quei ricchi che spesso ci hanno donato le strutture caritative più importanti, o i fondi per costruirle e mantenerle, o il danaro necessario per poter portare avanti le nostre opere di apostolato. Non mi risulta che la Chiesa abbia mai costruito alcuna struttura caritativa con i soldi dei borseggiatori Rom, quelli che a Roma, être compris, hanno visitato tutte le case religiose, non ce n’è una sola che si sia salvata dai loro furti. E quando il Santo Padre li ricevette in udienza più volte, non mi risulta che in segno di riconoscenza abbiano restituito alcuna refurtiva in cambio della apostolica benedizione. Perché a rubare nelle case religiose romane, sono proprio i Rom — lo dicono i verbali della Polizia — non sono i banchieri svizzeri in trasferta a Roma, quelli trafficano in altro modo e a ben più alti livelli.

Dissipati i miei dubbi sono uscito dalla lussuosa clinica e non mi sono recato in visita a un campo rom come faceva Augusto Paolo Lojudice, oggi arcivescovo metropolita di Siena e cardinale, sono andato ospite a colazione con un insigne clinico e sua moglie presso l’esclusivo Circolo dei Canottieri Aniene, frequentato da persone che sicuramente non hanno, per la Chiesa di oggi, la dignità riconosciuta invece ai Rom.

Un prete dignitoso è bene anzitutto che si presenti con una bella veste talare addosso e che guardi all’uomo in quanto tale, a prescindere dal suo ceto e dalla sua condizione sociale, povero o ricco che sia, perché non esistono agli occhi di Dio categorie privilegiate perché appartenenti alla categoria dei poveri ideologici. Il clericalismo peggiore, il più becero e indignitoso, lo lascio di buon grado a quel povero confratello che ha intervistato più volte il Sommo Pontefice in jeans et baskets, mentre la berretta rossa la lascio di buon grado al Cardinale Augusto Paolo Lojudice, insignito di questa dignità non per particolare scienza, intelligenza e doti di governo pastorale che lo hanno portato a distinguersi tra i membri del Collegio Episcopale, ma perché portava i seminaristi del Pontificio Seminario Maggiore Romano a visitare i campi Rom.

Tutti questi sono solo i risultati finali di un grande e complesso effetto a catena partito ormai da lontano, che sarebbe bene studiare, perché solo a questo modo sarà possibile trovare una adeguata cura, non certo con una nuova Nourrissage des moutons de Dominic né con una seconda Loué oui, che volendo potrebbe essere anche intitolata Laudato no, visto lo stile consolidato del … potrebbe essere sì o forse anche no, ma forse chissà, un po’ sì e un po’ no, ma eventualmente sapete che cosa vi dico? Mettetevi d’accordo e fate voi, purché non vi dimentichiate mai dei poveri …

Più che consolazione abbiamo una certezza di fede: le mode passano, come diceva Yves Saint Laurent, ma lo stile, quello di Cristo che si è rivelato e donato, quello rimane in eterno e non passa mai.

de l'île de Patmos, 4 septembre 2023

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« Venez à l'écart, tu es seul, dans un lieu désert, et repose toi un peu". L'été est l'occasion d'établir des liens significatifs avec le Seigneur

" SE DÉTACHER, TOI SEULEMENT, DANS UN LIEU DÉSERT, E RIPOSATEVI UN PO’». L’ESTATE È L’OPPORTUNITÀ PER CREARE LEGAMI SIGNIFICATIVI CON IL SIGNORE

Voglio essere un provocatore e suggerire ai nostri Lettori di fare a meno, pendant les périodes de repos et de vacances, dei tanti giornali e quotidiani che comunemente acquistiamo per potenziare la lettura e la meditazione del Vangelo. Non sarà solo un beneficio economico ― più o meno 1,50 € risparmiato ― ma una sicura benedizione che gioverà molto alla nostra anima. Le reste, il Vangelo non è da sempre la Buona Notizia per eccellenza che nessun quotidiano potrà mai sperare di eguagliare?

- Nouvelles de l'Église -

Auteur
Ivano Liguori, ofm. Cap..

 

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Siamo ormai entrati nel pieno dell’estate che è quella stagione elettiva che ci permette di dedicarci al riposo e al recupero delle fatiche fisiche e spirituali. Nel Vangelo vediamo Gesù stesso invitare gli Apostoli, al termine di una faticosa giornata di annuncio del Regno, a riposarsi e a sostare presso di Lui per recuperare le forze [Voir. Mc 6,31]. A uno sguardo distratto il riposo non può essere interpretato solo come assenza da una fatica. Nella Sacra Scrittura, par exemple, il riposo divino dopo la settimana di Creazione [Voir. Gén 2,2] diviene la modalità con cui entrare nel riconoscimento della lode e della contemplazione del Padre per quanto è stato creato. Dio non entra in pausa, egli non è inattivo, statique, perché come Cristo stesso ci attesta: «Il Padre mio opera sempre e anch’io opero» [Voir. Gv 5, 17].

«Venite in disparte, tu es seul, dans un lieu désert, et repose toi un peu" [Voir. Mc 6,31]. Il riposo divino, che Dio vive e che generosamente porge all’uomo, diviene la ricompensa di quel lavoro di custodia del Creato ― e nel Vangelo di annuncio del Regno del Padre ― in cui è possibile contemplare, adorare e lodare il Signore. Così come è Dio per primo che nel suo gioioso «Shabbat» contempla la sua opera benedicendone la bontà intrinseca ― vide che era cosa buona ―, così l’uomo contempla e riconosce il suo Creatore che lo pone all’apice delle cose create e che lo rende benedizione (Voir. Jean-Paul II, Lettre apostolique, Meurt Domini, 1998).

Il riposo secondo la Sacra Scrittura dilata e trasmuta il tempo dell’uomo da kρόνος/kronos, momento scandito dagli appuntamenti e dal fare, dans καιρός/kairós, momento opportuno in cui l’uomo diventa il soggetto della premura di Dio che si rivela. Il tempo favorevole kairós è epifania di grazia, cosa che la Chiesa vive nella sua azione di santificazione quotidiana nell’azione liturgica. A questo proposito mi sia permesso un breve inciso di teologia liturgica. Durante la liturgia, quoi que ce soit, sarebbe bene dilatare il tempo e non restringerlo, lasciarsi guidare dal kairós e non dal kronos, dimenticare per un attimo l’orologio da polso ― in primis per il sacerdote celebrante ― insieme agli immancabili orologi che da alcuni anni sono diventati i nuovi arredi liturgici presenti in molti presbiteri.

Dobbiamo tuttavia con senso di equilibrio e di realtà, essere consapevoli che non tutti possono godere di un momento di riposo, forse perché impegnati in doveri che non è possibile procrastinare oppure perché gravati da qualche condizione che toglie alla mente anche la sola vaga possibilità di concepire un po’ di riposo o di vacanza. et pourtant, anche davanti a queste situazioni Dio desidera provvedere a ciascuno dei suoi figli come padre premuroso e suggerire un riposo che non è fatto di soli luoghi ma anzitutto di presenza, della sua presenza divina.

Sarà bene ricordare ― e ricordarci ― che da cristiani non dobbiamo cedere alla tentazione dello scoraggiamento, men che meno alla disperazione. Ricordiamoci spesso quello che il Beato apostolo Giacomo suggerisce nella sua lettera: «Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia salmeggi» [Voir. gc 5, 13-20]. I momenti di gioia ― compresi quelli di riposo e di vacanza ― sono occasioni favorevoli per elevare il canto della lode al Signore, per dirgli quanto è grande e che solo Lui è il Salvatore potente della nostra vita.

San Giacomo invita a salmeggiare perché i Salmi costituiscono la preghiera elettiva dell’uomo che cerca il Signore e che desidera vivere questa ricerca sempre, senza interruzioni, non solo quando le cose sembrano andar bene, evenienza che non coincide automaticamente con l’assenza assoluta di problemi. A questo proposito mi piace ricordare l’esempio del Serafico Padre San Francesco che compose nel 1226 la Cantique des Créatures non certamente in un momento favorevole della sua vita, anzi nel momento forse più difficile da un punto di vista della salute fisica e delle controversie interne in seno all’Ordine, eppure la sua bocca non si è mai chiusa per il dolore ma ha saputo aprirsi alla lode del Signore.

La ricerca del Signore ci apre alla lode e ci aiuta ad effondere quel gratuito senso di riconoscenza del cuore verso Dio che dispiega la sua Provvidenza e il suo braccio forte e onnipotente così come vediamo proclamare dalla Beata Vergine Maria nel canto del magnificat. È proprio nei periodi di riposo che abbiamo il privilegio di stringere legami elettivi con il Signore e conoscerlo così come egli desidera essere conosciuto da noi. Pour cette raison,, quando le nostre giornate estive saranno più libere dagli impegni lavorativi, accademici o scolastici, impariamo a convivere con la solitudine delle nostre chiese, così da riempirle di kairós. Molto più che in inverno le chiese, dans l'immobilier, vengono puntualmente disertate e sembrano perfetti deserti in cui lasciare parlare la voce del Signore. Scegliamo un orario a noi favorevole in cui sappiamo di poter restare a tu per tu con il Signore davanti al tabernacolo e lì eleviamo le nostre lodi e la nostra adorazione gratuita e riconoscente. Lasciamoci educare dallo Spirito Santo a saper abbracciare la grandezza del Signore nostro Gesù Cristo nel mistero eucaristico. Non abbiamo paura di dire con il cuore:

«Noi ti adoriamo, Santissimo Signore Nostro Gesù Cristo, qui e in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero, e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo». [Voir. F.F. 110-111].

A fronte delle diverse ore che possiamo dedicare al meritato svago, per andare al mare, in montagna o in qualche altra località favorevole, non abbiamo paura di dedicare un ora ― sì sessanta minuti dell’intera giornata ― al Signore Gesù. Sarebbe bene dividere quest’ora in due tempi di trenta minuti ciascuno, lasciando che il Signore si comunichi a noi. Se ci pensiamo l’estate è la fucina di tante parole effimere e discorsi superficiali che il tempo delle vacanze spesso acuisce. Da cristiani sentiamo forte l’imperativo a riempire la nostra vita con la Parola del Verbo fatto Carne. In quest’ora di kairós, non abbiamo paura di aprire il Vangelo. Buona cosa è la lettura del Vangelo del giorno che è possibile reperire in diversi modi sulle App dedicate o attraverso lo strumento del messalino mensile. Voglio essere un provocatore e suggerire ai nostri Lettori di fare a meno, pendant les périodes de repos et de vacances, dei tanti giornali e quotidiani che comunemente acquistiamo per potenziare la lettura e la meditazione del Vangelo. Non sarà solo un beneficio economico ― più o meno 1,50 € risparmiato ― ma una sicura benedizione che gioverà molto alla nostra anima. Le reste, il Vangelo non è da sempre la Buona Notizia per eccellenza che nessun quotidiano potrà mai sperare di eguagliare?

Per chi come me ama le passeggiate e il camminare ― quando posso riesco a fare anche 10/15 km al giorno ― è buona pratica recitare il Santo Rosario o la Preghiera del Cuore: «Signore Gesù Cristo, Fils de Dieu, aie pitié de moi, pécheur!». La camminata aiuta a sintonizzare la mente con il cuore e a trovare la giusta concentrazione per elevarsi a Dio all’interno dei contesti naturalistici, sui lungomari o in spiaggia… ma anche nei parchi in città. Non vergogniamoci di sgranare il rosario e di far vedere che lo abbiamo tra le mani. L’estate ci offre spesso una carrellata di situazioni imbarazzanti e fuori luogo e non sarà certamente un rosario stretto tra le mani a creare scandalo e a destare l’attenzione dei curiosi.

L’estate è quel tempo in cui, a causa del caldo, siamo soliti alleggerirci nel vestiario per essere così più liberi e godere di un certo salutare benessere. Se ci pensiamo, un paragone simile possiamo farlo a riguardo del Sacramento della Riconciliazione. Il peccato ci appesantisce, ci soffoca, ci impedisce di godere di Cristo sole di giustizia e verità e di vivere nella libertà battesimale dei figli. La confessione è la pratica sacramentale che toglie dalla nostra vita il peccato, quel male concreto e mortifero che soffoca il rapporto con Dio e con i fratelli. Abituiamoci a confessarci periodicamente, mantenendo una costanza abituale per essere sempre privi degli indumenti del male ed essere rivestiti della luce splendente del battesimo che fa di noi figli perdonati perché anzitutto amati.

Fonte e culmine di tutta la vita del cristiano e del discepolo è la Santa Messa. Non abbandoniamo il legame con la Pasqua settimanale nei mesi estivi. Organizziamo il nostro tempo e i nostri impegni per partecipare anzitutto alla Santa Messa domenicale e, se ne abbiamo la possibilità, non disdegniamo di andare anche in qualche altro giorno della settimana. Ricordiamoci che la lode del Signore ― così come la liturgia della Chiesa ― vive della nota della gratuità e della generosità. Non siamo avari nel desiderare l’incontro con Cristo nella celebrazione eucaristica, lui certamente non è avaro con noi quando si dona a noi nel suo preziosissimo corpo, du sang, l'âme et la divinité.

Preghiera, ascolto della Parola del Vangelo, riconciliazione e Santa Messa sono dei privilegi personali che dobbiamo tenere gelosamente e intimisticamente per noi? Absolument pas, il Signore nel mandarci ad annunciare il Regno e nella custodia del mondo che il Padre ci ha affidato non ci lascia soli. È lui stesso a fornirci l’equipaggiamento necessario per non venir meno lungo il cammino e per sostenere coloro che incontriamo e che hanno bisogno della Buona Notizia. Contemplare, adorare e lodare il Signore costituiscono la prima forma di accoglienza che ci permette di esercitare con abbondanza quella carità operosa, pastorale e vicendevole verso tutti che il beato apostolo Paolo raccomanda ai cristiani di Tessalonica [Voir. Ts 3, 12-13].

Nell’augurarci buone vacanze e buon riposo auguriamoci anzitutto di saper rimanere con Cristo Signore, è lui il vero sole benefico da cui trarre la forza per costruire legami significativi di grazia con cui aprire una nuova relazione con il Padre e i fratelli.

Sanluri, 11 août 2023

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La “carte gagnante” partie Sig. Alessandro Minutella: faire de fausses déclarations à des personnes qui ne lisent pas les documents officiels

LA « CARTE GAGNANTE » DE MR. ALESSANDRO Minutella: FAIRE DES LIEFS AUX GENS QUI NE LISENT PAS LES DOCUMENTS OFFICIELS

En l'espace de deux minutes, M.. Minutella a proféré des mensonges très graves et a répété à deux reprises que tout est écrit dans le Instrument de travail du synode. Alors il a assuré: "Je n'invente rien". Au lieu de cela, tout a été inventé: ce qu'il prétend n'est pas écrit dans le Instrument de travail et ni bénir les couples homosexuels à l'autel ni conférer le diaconat aux femmes ne sont un sujet de discussion, aussi parce qu'on ne peut pas en discuter.

- Nouvelles de l'Église -

Auteur
Simone Pifizzi

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Article au format PDF imprimable

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Ce n'est pas un mystère, parce que ce qui est de notoriété publique, que lorsqu'il y a deux ans, M.. Alessandro Minutella a parcouru les pays d'Amérique latine, notre Père Ariel S. Levi Gualdo il a informé les nonces apostoliques, qu'ayant reçu la nouvelle ils alertèrent les évêques des régions qui communiquèrent aussitôt à leur clergé la présence de ce prêtre excommunication encourue et en renvoi de l'état clérical pour hérésie et schisme, faire en sorte qu'il ne soit autorisé à accéder à aucun établissement ecclésiastique catholique.

De même en Italie, quand il commença à fréquenter les zones riches du Triveneto pour récolter des victimes, mais surtout pour gagner de l'argent, le patriarche de Venise qui préside la Conférence épiscopale de Triveneto a publié une déclaration, les évêques de la Région ont fait de même [voir QUI, QUI, QUI, QUI, QUI]. Accomplissant ainsi leur devoir de Pasteurs placés à la tête du Peuple de Dieu, ils ont averti les fidèles que quiconque suit une personne excommuniée encourt à son tour l'excommunication. automatique. Le résultat fut que pendant des semaines il se moqua et insulta tous les évêques., manipuler les faits et les situations comme d'habitude.

En Italie, les gens sont informés que ce sujet encourait d'abord l'excommunication puis la mesure extrême et rare de renvoi de l'état clérical. Donc, qui veut le suivre aveuglément et obstinément, il le fera en tout cas et indépendamment des communications des évêques et des exhortations de nous prêtres..

Mais tu ne peux pas y aller à d'autres sortes de choses, par exemple la manipulation de faits et de documents. Dans ce cas, nous avons l'obligation, pour impératif de conscience, informer nos fidèles.

Dans son délire du 1er août, M.. Minutella a prononcé des mots textuels que vous pouvez entendre sur son haut-parleur en vidéo:

"Le titre de ce soir est "Le Synode maudit et l'avenir du catholicisme". [...] ce synode s'inscrit dans la stratégie maçonnique de destruction et de changement de l'identité catholique [...] ce qu'on appelle a été préparé Instrument de travail, c'est-à-dire une sorte de plan thématique sur les questions qui seront mises sur la table au Synode, qui ont tous déjà été décidés. Avec un mensonge typique du Diable, ils font croire que ces demandes viennent d'en bas., par les gens [...] L'Instrument Labor qui a été créé sert à poser les questions. Quelles sont les questions sur la table? Allez lire leInstrument de travail et vois si j'invente quelque chose, c'est pourquoi je parle d'un "synode maudit". Les questions sur la table servent à démontrer en quoi consiste le projet, si tu vas lire leun instrument de travail tu t'en rends compte. Je suis: l'agenda arc-en-ciel, puis la bénédiction des couples gays à l'autel [...] le Synode propose l'abolition du célibat ecclésiastique, parce que les prêtres sont peu nombreux, Le pape François a déjà dit qu'il était d'accord [...] les femmes à l'autel, les diaconesses. Je ne sais pas si tu réalises dans quoi nous nous embarquons [...]» [voir la vidéo QUI].

En l'espace de deux minutes Monsieur.. Minutella a proféré des mensonges très graves et a répété à deux reprises que tout est écrit dans le Instrument de travail du synode. Alors il a assuré: "Je n'invente rien". Au lieu de cela, tout a été inventé: ce qu'il prétend n'est pas écrit dans le Instrument de travail et ni bénir les couples homosexuels à l'autel ni conférer le diaconat aux femmes ne sont un sujet de discussion, aussi parce qu'on ne peut pas en discuter. Il suffirait de rappeler que le Saint-Siège, à travers le Dicastère pour la Doctrine de la Foi, strictement interdit la bénédiction des couples de même sexe [voir document QUI]. Aussi, le Saint-Père François, à plusieurs reprises, pendant son pontificat, il a réitéré qu'il n'entendait en aucun cas remettre en question le célibat sacerdotal.

Manipuler et déformer les mots Monsieur.. Minutella déclare que le Saint-Père François, interviewé par Daniel Hadad du journal argentin de infobae, s'est déclaré favorable à l'abolition du célibat. Ce qui est absolument faux. Voyons ce que le Saint-Père a dit et comment M.. Minutella a manipulé et déformé ses propos. Le Saint-Père, à la question du célibat, il a répondu:

"C'est une ordonnance temporaire (N.d.A célibat). Ce n'est pas éternel comme l'ordination sacerdotale. Célibat, au lieu, c'est une discipline". L'intervieweur demande: « Il pourrait donc être révisé?». Le Saint-Père répond: "Oui". [voir extrait en italien sur ANSA].

Minutella répète de manière obsessionnelle être toujours deux fois docteur en théologie sacrée. Encore une fausse chose donnée à croire ceux qui ne connaissent pas le système de nos études ecclésiastiques. Le doctorat en théologie est en effet un et un seul, on n'est pas deux fois docteur en théologie sacrée. Ou peut-être qu'il pourrait y avoir quelqu'un avec un double diplôme de médecine qui prétendrait être un double médecin.? Ou un architecte, un ingénieur, un avocat qui est deux fois architecte, ingénieurs et avocats parce qu'ils ont obtenu deux diplômes? Plus encore, juste un grand bi-médecin comme lui, il ne faut pas se méprendre sur ces paroles du Saint-Père qui disait l'évidence: le célibat n'est pas un dogme de foi mais une discipline ecclésiastique qui trouve ses origines depuis la première ère apostolique, mais une discipline n'est pas éternelle, tout comme l'ordre sacerdotal sacré, qui est un sacrement indélébile qui fait de nous des prêtres pour toujours.

Comment est-il possible de manipuler les textes et par conséquent se situent à la hauteur de ces niveaux? bientôt dit: Monsieur.. Minutella s'adresse à des personnes qui ne liraient jamais ce document public de la Instrument de travail, en partie parce qu’ils souffrent d’analphabétisme fonctionnel ou numérique, en partie parce qu'ils appartiennent aux pires espèces crédules: le paresseux et crédule, ceux qui ne font même pas le moindre effort pour aller vérifier que ce document long et articulé ne contient pas d'écrit et ne dit pas du tout quoi que ce soit qui soit totalement faux M.. Minutella lui attribue.

M. Minutella montre du doigt les gens ignorants et crédules, dont beaucoup, par exemple dans le Triveneto, oui, ils sont culturellement et ecclésialement ignorants, mais en même temps ils sont pleins d'argent.

En proclamant "je n'invente rien", Monsieur.. Minutella invente tout à la place, manipuler et mentir sans vergogne, compter principalement sur l'ignorance.

Le document de Instrument de travail est traduit dans les six langues et est visible par toute personne sur le Site officiel du Saint-Siège. Allez-y et lisez-le, comprendre comment et avec quelle mauvaise foi Monsieur. Minutella invente tout ce qui n'a jamais été dit et écrit. En effet, un outil de travail contient des questions, questions et objets de discussion sur tous les sujets les plus disparates. Qui, en revanche, confond questions et sujets de travail avec réponses, ou pire avec des permis ou de nouvelles règles, des deux, l'un exclut l'autre: ou est ignorant à des niveaux paroxystiques, ou c'est de la mauvaise foi totale.

Il y a des gens qui se font avoir, mais il y a des gens qui demandent à être dupés, ils cherchent juste quelqu'un pour les arnaquer. Tellement parfois, quand ils finissent par avoir des ennuis, pour éprouver de la pitié chrétienne à leur égard, il faut faire un grand effort de cœur et de foi.

Florence, 3 août 2023

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Bénédiction épiscopale du prêtre excommunié et démis de l'état clérical avec sentence prononcée par le Siège Apostolique

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Il est très dangereux d'affirmer: "Je suis ce que je sens que je suis", car c'est imposer le monde de l'irréel, souvent même violemment

IL EST TRÈS DANGEREUX DE DÉCLARER « JE SUIS CE QUE JE SENS QUE JE SUIS », PARCE QUE C'EST IMPOSER LE MONDE DE L'IRREEL, SPESSO ANCHE IN MODO VIOLENTO

Dopo mezzo secolo di lotte femministe, enfin un garçon remporte le premier prix d'un concours de beauté pour femmes. Un successo straordinario per noi uomini!

— Storia e attualità —

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Esistono dei negri insopportabili, alcuni persino criminali pericolosi appartenenti a etnie notoriamente molto violente? Oui, ma con buona pace della semantica latina homines nigri non vanno indicati come “negri”, ma come “uomini di colore”. La parola “negro” è una espressione razzista.

Transexual, Transylvanian” – The Rocky Horror Picture Show, Jim Sharman (1975)

Penso sia lecita una domanda: come mai quando loro indicano gli Homines albi (uomini bianchi), ci chiamano “bianchi” anziché “uomini senza colore”? Questi negri detti “uomini di colore”, sono forse razzisti? Come mai è razzista dire Niger (negro) ma non lo è dire albi (bianco)? Se in qualsiasi Paese europeo, durante un diverbio, uno dicesse a un nero “sporco negro”, prima finirebbe alla gogna mediatica, poi alla sbarra dei nostri tribunali con accuse di razzismo, cosa sulla quale si può essere anche d’accordo, posto che non dovrebbe esistere un disprezzo passibile dell’accusa di razzismo e un disprezzo analogo considerato invece solo accesa espressione fuoriuscita di bocca nel corso di un diverbio, con il giudizio sostanziale e formale che varia secondo il colore della pelle indicata. O qualcuno conosce forse il caso di qualche negro svergognato su tutta la stampa politiquement correct e poi trascinato alla sbarra di un tribunale con accusa di razzismo per avere detto a qualcuno “sporco bianco”?

Volendo essere equi, forse sarebbe il caso di trascinare alla sbarra del tribunale anche l’africano che si rivolge a un europeo indicandolo come bianco, o peggio usando l’espressione razzista di “sporco bianco”. Se infatti i neri non sono neri o negri bensì “uomini di colore”, a nostra volta noi bianchi non siamo dei bianchi bensì “uomini senza colore”, o se preferiamo “uomini di colorazione non scura” o “uomini scoloriti”. Si scelga quindi tra queste tre la definizione più politicamente corretta, perché così dovremmo essere chiamati, allo stesso modo in cui un africano non è chiamato “negro” o “nero” ma “uomo di colore”.

Per quanto riguarda le varie popolazioni nere del Continente Africano, andrebbe chiarito che spesso sono molto diverse le une dalle altre, all’incirca come un europeo della Norvegia può esserlo da un europeo italiano nativo della regione Calabria. A tal proposito il vocabolario fornisce questa indicazione:

«negroide, adjectif et nom masculin et féminin [composto di negro e oide]. In antropologia fisica, ramo negro, uno dei due rami delle forme primarie equatoriali, comprendente i ceppi degli steatopigidi, dei pigmidi e dei negridi. In senso generico (e spesso sostantivato), di individuo che presenti le caratteristiche dei negri (pelle molto scura, camerrinia, prognatismo, capelli crespi, dolicocefalia)» [cf.. Enciclopedia Treccani].

Se però andiamo a leggere la enciclopedia più inaffidabile di tutto il globo terracqueo, ossia Wikipedia, dove spesso il politicamente corretto è spinto sino al parossismo e alla negazione stessa dei fondamenti delle varie scienze, incluse quelle antropologiche e biologiche, possiamo leggere:

«Il termine negroide o negride, talvolta congoide, indica una classificazione antropologica ormai obsoleta dellHomo sapiens, definibile a partire dalla forma del cranio ed altre caratteristiche craniometriche ed antropometriche: tale termine identifica gli esseri umani autoctoni dell’Africa subsahariana» [cf.. QUI].

Comment venir in modo tacito e silenzioso certe università americane danno agli studenti neri di origine afro-americana dei test di ammissione più facili rispetto a quelli dati agli studenti bianchi di origine europeo-americana? Può essere che ciò avvenga allo stesso modo in cui qualsiasi bianco di origine europeo-americana avrebbe serie difficoltà nel gareggiare in certe competizioni sportive con degli afro-americani? Peggio che mai con dei puri africani di certe particolari popolazioni del Continente Nero, notoriamente favoriti in vari sport da quella loro felice conformazione fisica che noi “uomini senza colore” non abbiamo, per nostra diversa genetica, perché in molte cose siamo inferiori a loro, dotati di capacità e risorse fisiche che noi non abbiamo, inclusa quella estensione vocale che nel canto rende certe voci uniche, tanto da essere definite voci nere o negre proprio per la loro particolarità. puis, se taluni pensano sia possibile e fattibile far gareggiare dei giapponesi con dei camerunensi in una gara di corsa in velocità col salto a ostacoli, che facciano pure, ma temo che i risultati sarebbero alquanto scontati, oltre che ridicoli. In ogni caso il problema non si porrebbe perché i giapponesi, memori delle loro grandezze ma al tempo stesso anche di quelli che potrebbero essere certi loro limiti fisici dinanzi ad altri competitori, con l’atavico senso di onore che hanno non si esporrebbero mai al pubblico ridicolo. Noi europei invece sì, perché abbiamo perduto da tempo il senso dell’umano pudore, ma più ancóra quello della vergogna.

Ciascuno è libero di affermare che i più grandi maestri del pensiero filosofico e quelli delle principali scienze esatte sono nati tutti in Congo, nel Camerun, nel Togo, in Ghana, in Liberia e nel Burkina Faso, dove gli archeologi hanno scoperto antichi siti che per ingegneria, architettura e pregio artistico superano di gran lunga quelli dell’antico Egitto e delle civiltà degli Incas e degli Aztechi, degli etruschi, les Grecs et les Romains. La cosa indubbiamente tragica è che se cose del genere qualcuno le affermasse dinanzi a una platea di esperti studiosi e specialisti, tutti taceranno e nessuno di loro farà un sospiro. nous demandons: pouquoi?

La correttezza politica più degenerata ci spinge persino a credere all’esistenza di popoli e popolazioni che non esistono più, per esempio gli egiziani e i greci. Capisco che gli uni e gli altri, considerato il patrimonio legato alle loro terre, possano vantare certe antiche origini, resta però il fatto che la civiltà egizia ― e con essa gli egizi ―, si è estinta da secoli. Coloro che dicono di essere gli attuali egizi sono una popolazione arabica; lo sono da quando i “popoli delle sabbie”, noti anche come maomettani, invasero quella regione nel VII secolo facendo tabula rasa di ciò che rimaneva di quella cultura che già da alcuni secoli aveva dato avvio a una lenta decadenza. Gli antichi egizio-maomettani erano anche amanti dei grandi falò, perché furono loro, guidati dal Califfo Omar, ad appiccare il fuoco definitivo che distrusse l’antica biblioteca di Alessandria nel 640. Come secoli e secoli dopo furono dei jihadisti musulmani a distruggere nell’agosto del 2015 l’antico sito archeologico di Palmira. È vero che i responsabili della distruzione furono degli integralisti islamisti, come si affrettarono a precisare i maestri occidentali del politicamente corretto, ma è vero altresì che questi integralisti erano comunque musulmani, degenerati e indegni quanto vogliamo, ma comunque musulmani. E al compimento di ogni loro azione criminale, incluso lo sgozzamento filmato di molte vittime cristiane, si proclamavano veri seguaci del Corano. Il tutto contrariamente ai tanto vituperati cristiani che non hanno mai distrutto gli antichi templi pagani romani e greci, li salvarono trasformandoli in chiese, facendoli giungere sino ai giorni nostri.

Fosse vera la leggenda nera che i crudeli conquérants spagnoli, con altrettanti crudeli domenicani e francescani al seguito, distrussero i templi di quelle antiche civiltà, resta comunque da capire come mai, in Messico e nel Perù i siti archeologici sono tutt’oggi integri e visibili. Perché inventare leggende nere e incolpare gli altri, pur di non dire che molte distruzioni furono fatte dalle popolazioni locali nel corso delle varie guerre civili che si susseguirono a partire dagli inizi del XX secolo, dopo che gli spagnoli cessarono di dominare quei territori come loro protettorati o colonie? Con l’invasione napoleonica nel 1808 prese avvio la disgregazione dell’impero spagnolo in Sudamerica attraverso le guerre d’indipendenza ispanoamericane, l’ultima delle quali nel 1898, nota anche come “grande disastro”. Non potendo né volendo dire che i conquistadores, giunti nelle Americhe nel XVI secolo, trovarono la civiltà azteca in stato avanzato di decadenza e che per prima cosa impedirono la prosecuzione della pratica dei sacrifici umani, si preferisce seguitare a diffondere leggende nere sugli spagnoli giunti con domenicani e francescani al seguito che imponevano in modo coatto il battesimo a intere popolazioni. Tutt’altra la verità storica: a convertire gli indigeni delle popolazioni dell’attuale Messico nel XVI secolo, a seguire quelle dell’America Latina, fu la Virgen Morenita, nota come Madonna di Guadalupe, che non fu portata dagli spagnoli, apparve al giovane azteco Juan Diego Cuauhtlatoatzin. Lo stesso nome “Guadalupe” è un termine di origine azteca che deriva da Coatlaxopeuh e significa «colei che schiaccia il serpente». Anche in questo evento gli spagnoli, assieme ai tremebondi domenicani e francescani non c’entrano niente. Si noti altresì che nella cultura azteca il Quetzalcóatl era il serpente divino che simboleggiava la conoscenza e la guerra. Donc, colei che schiaccia il serpente, in quella antica cultura simboleggia la sconfitta della guerra e l’inizio di una nuova conoscenza. Ecco chi convertì quegli antichi popoli, La Sainte Vierge, non i battesimi forzati, condannati e puniti da sempre, en outre, dal diritto ecclesiastico.

Gli attuali egiziani parlano in arabo e scrivono usando i caratteri dell’alfabeto arabo perché in verità questa era la lingua originaria che parlava nel XIII sec. a.C. il Faraone Ramses II detto il Grande, ne sono ulteriore prova le iscrizioni interne delle piramidi che abbondano di caratteri alfabetici arabici, detti non a caso: “lingua araba cuneiforme”. puis, a chi non fosse informato, basti ricordare che Maometto si ispirò ai geroglifici egizi astrali per capire bene dove costruire la Mecca.

Gli attuali greci sono fieri più che mai della loro storia, sentendosi profondamente e intimamente tali, peccato che non lo siano. Se infatti per greci intendiamo gli abitanti di quella regione geografica, rien à dire, ma tenendo conto che lo sono solo a livello geografico. Gli attuali abitanti di quella regione sono infatti greci allo stesso modo in cui gli abitanti di quel territorio chiamato Egitto sono egiziani. Donc, gli abitanti di quella regione sono eredi e discendenti degli antichi greci allo stesso modo in cui gli svedesi sono eredi e discendenti degli abitanti del Madgascar. In quella regione geografica chiamata Grecia i turchi hanno dominato per quattro lunghi secoli, du 1453 Al 1821. Gli antichi greci ci hanno lasciato un grande patrimonio d’arte che testimonia quella che era la morfologia e la conformazione fisica del tutto tipica e caratteristica degli uomini e delle donne di quell’antico popolo. Gli attuali ateniesi che vantano in lungo e in largo la loro antica grecità, dovrebbero fare i conti con un dato di fatto tanto semplice quanto evidente: che gli piaccia o meno, morfologicamente sono turchi. Qualcuno ne vuole la prova? Basta andare a passeggio per le vie di Istanbul e per quelle di Atene per appurare che tra gli abitanti dell’una e dell’altra Città non c’è differenza, perché sono uomini di ceppo turco gli abitanti di Istambul come sono turchi nella loro conformazione fisica gli abitanti di Atene, che dopo quattro secoli di dominio pretendono di spacciarsi per discendenti degli antichi greci, come se oggi avessero la conformazione e le fattezze delle sculture di Skopas, Praxitèle et Lysippe. Liberi i greco-turchi di sentirsi tali e quali ai bronzi di Riace, libero al tempo stesso qualsiasi conoscitore della storia, della antropologia e dell’arte di ridergli in faccia dinanzi a simili pretese.

Noi italiani non abbiamo di questi problemi, essendo uno dei popoli tra i più bastardi del mondo. Ecco un esempio esaustivo: in una delle nostre isole maggiori, la Sardegna, è possibile vedere figure maschili di medio-bassa statura, tarchiati e di ossatura pesante, mori di capelli e dalla pelle olivastra, che ricordano certi musulmani della casba di Algeri. Allo stesso tempo è possibile vedere uomini biondi, alti di statura e con gli occhi azzurro ghiaccio che ricordano i vichinghi della attuale Scandinavia. Com’è possibile, domandò un ingenuo milanese in vacanza proprio a un antropologo cagliaritano, che con gran senso di umorismo rispose:

«Le nostre nonne erano donne molto accoglienti e ospitali con tutti gli stranieri che hanno visitato nei secoli la nostra terra».

Il compianto Indro Montanelli, quando avevo appena 25 années, con il suo spirito fiorentino al veleno dolce mi disse:

«L’Italia ha la forma geografica di uno stivale, ma nei fatti concreti è paragonabile al letto di una puttana, sul quale tutti quanti si sono sdraiati, rendendoci il popolo più bastardo del mondo. Cosa questa dai risvolti anche molto positivi, perché come risaputo i bastardi ― si prendano come esempio i cani ― sono più intelligenti e anche più longevi rispetto a quelli di pura razza».

Intelligenti e creativi, J'ajoute, pour le meilleur ou pour le pire, ma anche in questo caso con una differenza: se affermiamo che certi napoletani hanno messo a segno furti e truffe da meritare ammirazione, non certo per il crimine, bien sûr, ma per l’ingegno geniale, questo si può dire, perché è consentito. Se invece si afferma che gran parte degli zingari ― non alcuni, ma gran parte dei cosiddetti Rom ― vivono di furti e traffici illeciti, in tal caso si è tacciati di razzismo, il tutto a prescindere dalle sentenze dei tribunali e dal continuo recupero di refurtive nei Campi Rom. Se infatti il napoletano mette a segno furti e truffe con raro ingegno, è un delinquente, se però uno zingaro ruba, in quel caso si tirano in ballo tutte le colpe, anche quelle più improbabili, della società, secondo le tesi di quello sciagurato rovinatore del pensiero giuridico europeo di Jean Jacques Rousseau, che dette vita nel XVIII secolo alla teoria del cosiddetto “buon selvaggio”. Secondo il pensiero roussoiano l’uomo in origine era unanimalebuono e pacifico e solo successivamente, corrotto dalla società e dal progresso, entrambi colpevoli, è divenuto malvagio. Un pensiero molto pericoloso che oggi va per la maggiore e che spesso porta ad affermare che coloro che delinquono lo fanno non perché hanno scelto di perseguire la via del crimine, ma perché la colpa è degli altri, o peggio della società intera.

bientôt dit: i negri violenti che mossi da impulsi tribali fanno a pezzi a colpi di machete anche donne e bambini, non agiscono per istinti criminali mossi da disumanità, perché il loro agire sarebbe la causa dell’imperialismo coloniale che li ha incattiviti. pouquoi, comme connu et connu, prima dell’arrivo dei cattivi colonizzatori nel Continente Africano, non si scannavano affatto tra di loro, ma vivevano pacifici come in un idillico Paradiso di Eden. E i colonizzatori furono a tal punto spietati e cattivi da proibire e impedire la pratica del cannibalismo diffuso in non poche tribù assieme ai sacrifici umani. Tra i tanti casi recenti che smentiscono quanti identificano l’uomo negro con il buono, la vittima e lo sfruttato dalla spregiudicatezza dell’Occidente, cito il genocidio del Ruanda che produsse a inizi anni Novanta del Novecento circa un milione di morti nelle lotte tribali tra Hutu e i Tutsi. gran parte dei quali donne e bambini.

I dati forniti in seguito dalla Banca Nazionale del Ruanda, documentarono attraverso migliaia di transazioni commerciali internazionali che circa un milione di machete usati per i massacri erano stati importati attraverso vari canali e che per la maggior parte erano di fabbricazione cinese. Le transazioni bancarie dimostrarono che furono acquistati e pagati con fondi stanziati da vari Paesi Occidentali donatori per sostenere lo sviluppo economico e sociale del Ruanda. Lo stanziamento dei fondi prevedeva che quei soldi non potessero mai essere usati per armi o altri materiali militari. L’accordo con la Banca Mondiale era più restrittivo ancóra e prevedeva che i fondi non potevano essere usati per importare neppure prodotti civili, se questi erano destinati all’uso militare o paramilitare. Dopo accurate indagini la Banca Mondiale appurò che il governo del dittatore Juvénal Habyarimana (1973-1994) fece uso dei fondi della Banca Mondiale per finanziare l’importazione di machete dalla Cina, classificandola come importazione di “prodotti civili” per uso non militare e non para-militare. Dans tous les cas, il cattivo, rimane di prassi “l’uomo bianco”, mentre “l’uomo nero” è buono, puis, se diventa cattivo, la colpa è tutta quanta dell’Occidente, non certo degli impulsi derivanti dalla sua mai assopita cultura tribale, che solo un altro genere di cultura è riuscita ad assopire e in alcuni casi persino a sconfiggere: Christianisme.

Gli arabo-egizi sono liberi di sentirsi i discendenti degli antichi faraoni come i turco-greci possono dichiararsi discendenti della antica civiltà ellenica. Possiamo trascinare alla sbarra dei tribunali chi osa dire “negro” anziché “uomo di colore”, ovviamente sorvolando sui negri che a noi ci chiamano “bianchi” con tutta la solare ovvietà del caso, perché tali siamo: bianchi. Possiamo seguitare ad avvelenare il pensiero del decadente Occidente con le teorie roussoiane e credere che l’uomo è fondamentalmente buono e che se diventa cattivo, o se delinque, la colpa non è sua ma della società liberal-capitalista.

Allo stesso modo un uomo è libero di sentirsi donna, come quella transessuale che giorni fa ha vinto in Olanda il premio di Miss Universo. Premio dinanzi al quale ammetto di essermi sbizzarrito anch’io sui réseaux sociaux l'écriture:

«Dopo mezzo secolo di lotte femministe, enfin un garçon remporte le premier prix d'un concours de beauté pour femmes. Un successo straordinario per noi uomini!».

Dinanzi a certi ostinati rifiuti della realtà, spesso esercitati in modo anche violento, talora persino a colpi di leggi o con il ricorso alle leggi sulle non meglio precisate “discriminazioni”, chiunque ragioni e intenda seguitare a farlo, sulle prime può gettarla in ridere, ma dopo una risata reattiva capirà subito che in verità ci sarebbe da piangere.

Penso sia legittimo e affatto razzista e discriminante porsi una domanda: se un uomo decide di sentirsi donna e di presentarsi a un concorso di bellezza per donne, per quanto mi riguarda è libero di farlo, così come i responsabili delle ammissioni al concorso affetti da evidente idiozia, seguiti appresso da una giuria composta da evidenti imbecilli, sono liberi sia di ammettere una trans sia di premiarla come la donna più bella. Mais, de même, dovrebbe essere altrettanto legittimo, per esempio da parte mia, porre una domanda affatto ironica, ma veramente innocente e soprattutto realistica: se alla trans olandese neo-eletta Miss Universo fosse diagnosticato un varicocele al testicolo destro e fosse necessario un intervento chirurgico, di quelli ai quali talvolta sono sottoposti anche i bambini, dove la ricoveriamo: nel reparto di ginecologia, in quanto si sente donna benché biologicamente uomo, oppure nel reparto di urologia, in quanto di fatto, benché si senta donna, è un uomo, tanto da richiedere un piccolo intervento chirurgico a un testicolo?

Qualsiasi mente raziocinante capisce bene quanto sia insidioso a livello sociale, politico e giuridico avallare la tesi che una persona non è ciò che nella sua realtà fisica e biologica è, ma ciò che sente di essere o che ritiene o vuole essere.

Le parole di Gilbert Keith Chesterton risuonano profetiche più che mai, quando nella sua opera Hérétiques scrisse nel lontano 1905:

« La grande mars de destruction intellectuelle continue. Tout sera refusée. Tout deviendra un credo. Il est raisonnablement en mesure de nier les pierres de la rue; deviendra un dogme religieux pour réaffirmer. Il est un argument rationnel qu'il prend tout plongé dans un rêve; sera une forme sensible de mysticisme dire que nous sommes tous réveillés. Les feux seront super content d'être témoin que deux plus deux égalent quatre. Épées seront dégaina pour montrer que les feuilles sont vertes en été. Nous nous trouvons défendre non seulement les vertus incroyables et l'incroyable signifiance de la vie humaine, mais quelque chose encore plus incroyable, cette immense, univers impossible à regarder nous dans le visage. Nous allons nous battre pour des miracles visibles comme si elles étaient invisibles. Nous examinerons l'herbe et le ciel impossible avec un étrange courage. Nous serons parmi ceux qui ont vu et qui ont cru ".

Et ainsi, en cas de nécessité, ricovereremo Miss Universo nel reparto di ginecologia e non in quello di urologia, anche se deve essere operata a un varicocele al testicolo destro, perché ciò che conta non è il dato di fatto oggettivo e biologico che costei abbia i testicoli; conta solo che questa trans si sente donna e rivendica il diritto a esserlo.

Stiamo precipitando nel mondo dell’irreale, ma nessuno se ne vuole accorgere, chi poi se ne accorge tace per paura o per quieto vivere, evitando così di essere accusato di omotransfobia. Perché non è vero ciò che è vero, ma è vero ciò che il soggetto vuole, ciò che sente e ciò che a lui piace.

de l'île de Patmos, 16 juillet 2023

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Le nouveau livre du Père Ariel vient de sortir et est en cours de distribution, vous pouvez l'acheter en cliquant directement sur l'image de couverture ou en entrant dans notre librairie QUI

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“Miss Univers”. L'île de Patmos traite de la beauté car c'est une expression manifeste de Dieu et de ses dons dans l'histoire humaine

“MISS UNIVERS”. L’ISOLA DI PATMOS SI OCCUPA DEL BELLO PERCHÉ È UNA ESPRESSIONE MANIFESTA DI DIO E DEI SUOI DONI NELLA STORIA DELL’UOMO

Premiazione dinanzi alla quale solo gli irriducibili omotransfobici, les représentants de la droite profasciste et des catholiques intégristes pourront soulever des objections.

— L'actualité en bref —

Auteur
Rédacteurs en chef de l'île de Patmos

 

 

 

 

 

 

 

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Una transessuale olandese è stata incoronata Miss Universo alla sfilata che si è tenuta l’8 luglio nei Paesi Bassi.

Oltre alla indubitabile e straordinaria bellezza, questa premiazione è stata anche una incoronazione per la cultura europea della inclusione delle diversità. Premiazione dinanzi alla quale solo gli irriducibili omotransfobici, les représentants de la droite profasciste et des catholiques intégristes pourront soulever des objections.

 

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de l'île de Patmos 10 juillet 2023

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.https://www.youtube.com/watch?v=ltEAQNopUYM&t=2s

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Gabriele Giordano M. Scardocci
De l'ordre des prédicateurs
Presbytère et théologien

( Cliquez sur le nom pour lire tous ses articles )
Père Gabriel

Un autre “s'est enfui de chez lui” courir avec l'hérétique schismatique excommunié et renvoyé de l'état clérical Alessandro Minutella

UN AUTRE « COUREUR DE LA MAISON » COURANT AVEC L'HÉRÉTIQUE SCHIMATIQUE EXCOMMUNIQUE ET Démissionnaire DE L'ÉTAT CLERCAL ALESSANDRO MINUTELLA

N'importe qui malgré la condamnation prononcée contre lui par l'Église, écouter la messe et recevoir les sacrements de M.. Minutella et par les prêtres qui l'ont suivi, tombant dans le crime d'hérésie et de schisme, tombe dans le péché et pèche gravement, parce que l'Église les a frappés avec une sentence.

 

Auteur:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

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Membres d'anciens ordres historiques ils ont toujours vécu avec inconfort et souffrance à cause des déviations et des trahisons de la doctrine de la foi de certains de leurs membres, surtout quand ils sombrent dans l'hérésie et le schisme.

Je regarde juste les derniers temps: les Bénédictins ont eu le cas de Giovanni Franzoni, les franciscains le cas de Léonard Boff, les jésuites le cas frappant de Alighiero Tondi. Tous les ordres et congrégations historiques ont eu certains de leurs membres qui ont causé des problèmes en s'écartant de la doctrine de la foi ou engendré des scandales publics.. Tout regret et toute douleur, indubitablement, mais en même temps, cela ne devrait même pas susciter un étonnement excessif, il suffit de penser à la trahison de Judas Iscariote.

Comme dans les meilleures familles, il peut arriver que certains enfants soient dotés des meilleures capacités humaines et morales, tandis qu'un, bien que né des mêmes parents et éduqué comme tout le monde, prends plutôt les mauvais chemins, parfois même mauvais.

C'est le cas du prêtre dominicain Vincenzo Avvinti, qui, après divers problèmes générés au sein de l'Ordre des Prêcheurs, a été frappé par la mesure extrême de renvoi - voire d'expulsion - de notre Famille Religieuse. je ne m'étendrai pas sur les raisons, pas parce qu'il ne peut pas, mais juste parce que je ne veux pas. En fait, je voudrais qu'il soit clair que pour moi, c'est une immense douleur qu'un prêtre que j'ai personnellement rencontré il y a des années et que je respectais tant pour sa qualité humaine et intellectuelle, j'ai maintenant franchi cette étape.

Malheureusement, cet ancien confrère à nous il a décidé d'ajouter dommage sur dommage et mal sur mal en suivant l'hérétique schismatique excommunié e renvoyé de l'état clérical Alessandro Minutella.

Je pense qu'il est juste d'en informer à la fois nos lecteurs et les membres du Tiers-Ordre Séculier Dominicain, rendant présent à l'un et à l'autre ce que dit saint Thomas d'Aquin dans le La question n. 82 qui depuis des années a été déformé et manipulé par M.. Minutelle:

«Et donc quiconque entend leur messe ou en reçoit les sacrements commet un péché. (Et donc quiconque entend leur messe ou en reçoit les sacrements pècheje) [voir texte latin et italien QUI].

Parce que je dis qu'il déforme et manipule ça depuis des années question? Pour le simple fait que, comme à son habitude, il découpe des morceaux hors de leur contexte et les présente en leur faisant dire ce qu'ils ne disent pas.. En fait, ce passage qu'il a cité comme un mantra, est précédé de la partie où il est dit:

«Cela diffère cependant entre les sectes susmentionnées. Car les hérétiques et les schismatiques étaient excommuniés par décision de l'Église par l'exécution de la consécration à des personnes privées.» (Il existe cependant quelques différences entre ces catégories. En effet les hérétiques, les schismatiques et les excommuniés sont privés de l'exercice de leurs pouvoirs par une sentence de l'Église).

C'est précisément la question. M. Minutelle, avec lui également l'ancien membre de l'Ordre des Prêcheurs Vincenzo Avvinti, ce sont des hérétiques schismatiques que, en tant que tels, l'Église a privés par une sentence du pouvoir d'exercer le ministère sacerdotal sacré.. Donc: «Et donc quiconque entend leur messe ou en reçoit les sacrements commet un péché» (Et donc quiconque entend leur messe ou en reçoit les sacrements pèche).

Exactement comme ça: quiconque, malgré la condamnation prononcée contre eux par l'Église, écouter la messe et recevoir les sacrements de M.. Minutella et les prêtres qui l'ont suivi, tombant également dans le crime d'hérésie et de schisme, tombe dans le péché et pèche gravement, parce que l'Église les a frappés avec une sentence.

Rester dans le respect ce qui nous est demandé par les Constitutions dominicaines, mais encore plus respectueux du salut des âmes ― qui est le but premier de notre Ordre ― j'offre cet avis à nos lecteurs en priant pour la conversion de notre ancien frère..

 

Santa Maria Novella à Florence, 10 juillet 2023

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"Malheur à vous riches car vous avez déjà reçu votre consolation". L'Italie détient le record européen du fléau de l'envie sociale

"MALHEUR À VOUS RICHES CAR VOUS AVEZ DÉJÀ REÇU VOTRE CONSOLATION". L’ITALIA DETIENE IL PRIMATO EUROPEO DELLA PIAGA DELL’INVIDIA SOCIALE

Non è la prima volta, en dix ans de pontificat, che si parte dall’uomo per giungere di riflesso a Gesù Cristo o che si parte da Gesù Cristo per mettere al centro neppure l’uomo, ma una figura di uomo privilegiato: il povero. Stile questo usato dal Vescovo Tonino Bello, di cui gli improvvidi Vescovi della Puglia aprirono la fase diocesana del processo di beatificazione, giunto oggi alla Congregazione per le cause dei Santi.

- Nouvelles de l'Église -

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Nel corso degli anni passati ho avuto più volte modo, mentre tutti tacevano, di far notare che certi richiami del Sommo Pontefice Francesco sui poveri rasentavano in parte la nevrosi ossessiva e in parte la serpeggiante ideologia. Oggi questo fatto è pubblicamente lamentato dagli stessi che ieri mi dicevano «attento», oppure «non sei opportuno e prudente», o peggio che mi rimproveravano: «Come osi criticare il Santo Padre?». Faccio notare che questi secondi si sono poi svegliati improvvisamente anni dopo, alle soglie dei settant’anni, quando hanno dovuto fare i conti con la realtà che l’agognata nomina episcopale non era giunta e che mai sarebbe giunta. Comme ça, per magico incanto, hanno scoperto che anche un Sommo Pontefice può essere oggetto di critiche e che in tal senso, l'histoire de l'église, anche quella recente, ci insegna in che modo, talora anche duro e severo, molti predecessori dell’Augusto Pontefice sono stati criticati più dentro che non fuori dalla Chiesa. Dépenser, comme moi, è uno studioso da sempre dei concili dogmatici della Chiesa ne sa qualche cosa.

le 23 juin 2023 il Santo Padre ha ricevuto in udienza un numeroso gruppo di artisti ai quali ha ricordato:

«Vorrei chiedervi di non dimenticarvi dei poveri, che sono i preferiti di Cristo, in tutti i modi in cui si è poveri oggi. Anche i poveri hanno bisogno dell’arte e della bellezza. Alcuni sperimentano forme durissime di privazione della vita; à cause de ce, ne hanno più bisogno. Di solito non hanno voce per farsi sentire. Voi potete farvi interpreti del loro grido silenzioso» [discorso integrale, QUI].

Questa esortazione è chiara nella sua costruzione e struttura: l’elemento centrale è il “povero ideologico”, mentre l’accessorio che serve per esaltarne la figura onirica e surreale è Gesù Cristo. Quindi il povero è al centro, di lato a seguire Gesù Cristo che preferisce il povero eletto a categoria privilegiata rispetto a tutti gli altri figli di Dio.

Tra quegli artisti presenti, la gran parte erano persone che considerano l’aborto una grande conquista sociale e un diritto intangibili, l’eutanasia un gesto di grande umanità verso un malato terminale, che rivendicano il “diritto” al matrimonio tra coppie dello stesso sesso e del conseguente “diritto” dell’adozione dei bambini da parte delle coppie omosessuali e il ricorso alla maternità surrogata, o cosiddetto utero in affitto. Gran parte di loro sono soggetti che saltano da una convivenza all’altra, o che dopo avere collezionato due divorzi hanno infine deciso di convivere evitando ulteriori problemi di separazioni legali, andando poi in giro per le televisioni a vantare la meraviglia delle lorofamiglie allargate” … Bien, non dico che andava fatta loro una lezione di morale cattolica, sarebbe stato inopportuno e quanto mai controproducente, Mais, costava tanto dire loro: “Cari artisti, non dimenticatevi di Gesù Cristo, dont il est le commencement, le centre et le but ultime de notre humanisme ensemble, come l’arte stessa ci ricorda nelle sue espressioni più alte e nobili». Forse costava tanto, anche perché diversi di questi artisti, che pure vivono nell’ostentazione di un lusso sfrenato, sicuramente sono usciti felici dicendo: «Finalmente, un Papa che parla dei poveri!». È infatti noto e risaputo che la Chiesa, dei poveri, ha incominciato a occuparsene solo dieci anni fa, non certo sin dalla prima epoca apostolica. Donc, tutte le nostre istituzioni, fondazioni e opere dei grandi Santi e Sante della carità che da secoli assistono famiglie povere, enfants, orphelins, disabili, anziani soli e abbandonati, sono solo delle illusioni ottiche. En vérité, dentro il Cottolengo di Torino, c’è una salon de beauté gestita dalle suore, un centro benessere a cinque stelle, non un centro di assistenza per affetti da gravi disabilità fisiche e psichiche. Le nostre Caritas, per chi non lo sapesse, nascono dopo il febbraio del 2013, perché prima non esistevano. En vérité, la stessa parola Caritas è stata inventata sotto questo pontificato. Se all’epoca l’avesse conosciuta il Beato Apostolo Paolo chissà quante riflessioni belle vi avrebbe scritto sopra, forse avrebbe persino affermato che tra tutte le virtù, le plus important, era proprio la carità [Je Cor 13, 13]. Malheureusement,, à l'époque, il concetto di carità era ignoto e il Beato Apostolo Paolo si perse quella bella occasione.

Non è la prima volta, en dix ans de pontificat, che si parte dall’uomo per giungere di riflesso a Gesù Cristo o che si parte da Gesù Cristo per mettere al centro neppure l’uomo, ma una figura di uomo privilegiato: il povero. Stile questo usato dal Vescovo Tonino Bello, di cui gli improvvidi Vescovi della Puglia aprirono la fase diocesana del processo di beatificazione, giunto oggi alla Congregazione per le cause dei Santi.

Un doveroso inciso a correzione della evidente ignoranza che serpeggia persino in certi ambienti ecclesiali ed ecclesiastici: quella in corso di Tonino Bello non è una causa di canonizzazione, come indica il sito ufficiale della Diocesi di Molfetta ma una causa di beatificazione. Per canonizzazione si intende infatti l’apertura di un processo per giungere a canonizzare un beato, ossia a proclamare santo un beato. E con questo è presto detto tutto sui tempi che corrono e che purtroppo dobbiamo subìre e vivere [cf.. QUI].

È la prima volta ― o perlomeno io non ho memoria storica in tal senso ― che viene aperto un processo di beatificazione per un Vescovo che nel corso della propria intera vita ha mostrato una inquietante ignoranza in materia di dottrina, fautore e promotore di una cristologia imbarazzante ma soprattutto non cattolica, per seguire con una mariologia rasente a volte la blasfemia del tutto involontaria. Tonino Bello, di fatto eterodosso, è stato il precursore dei vescovi sociali con la crocetta di legno al collo e il pastorale da falegnameria in mano prodotto nella bottega di Mastro Geppetto, dopo che questo celebre falegname della famosa novella di Collodi aveva costruito non un solo Pinocchio, ma tanti piccoli pinocchi episcopali fatti in serie.

Alcuni replicano: «Ma Tonino Bello era buono!». Je n'en doute pas. Ou que peut-être, Ario e Pelagio, erano cattivi? Esistono cronache in tal senso? Sainte-Augustine, che a Pelagio lo contrastò duramente [cf.. QUI], pose in discussione il suo pensiero ereticale, mica affermò che era cattivo.

Il IV Concilio Lateranense du 1215 che condannò l’eresia millenarista di Gioacchino da Fiore — con buona pace di coloro che oggi vogliono attribuire ad altri e non a lui quei pensieri — non affermò che il florense era cattivo, plutôt l'inverse! Mentre da una parte questo Concilio condannava gli errori del suo pensiero, en même temps, et pères, ribadivano le sue indubbie virtù e la sua santità di vita. Essere buoni, o essere sensibili ai poveri, non vuol dire essere uomini di solida e ortodossa dottrina, meno che mai essere santi. Un soggetto buono non è in quanto tale automaticamente in linea con la dottrina, il pensiero e il perenne magistero della Chiesa. Quello di Tonino Bello è un pensiero che abbonda di numerose e grossolane eresie, lo provano suoi scritti e pubblici discorsi. Può essere però che i Vescovi della Puglia abbiano individuato un patronato che sino a oggi era rimasto scoperto. Esiste infatti persino il patronato delle prostitute pentite, di cui è patrona Santa Margherita de Cortona, non esisteva però ancóra un Santo Patrono degli eretici. Può essere che i Vescovi della Puglia abbiano pensato in tal senso a promuovere il loro conterraneo Tonino Bello, dal quale prende poi vita quel pensiero insidioso che diversi tra noi teologi chiamiamo toninobellismo.

Nel Discorso della Montagna, noto anche come Beatitudini, Gesù Cristo afferma: «Ma guai a voi, riche, perché avete già ricevuto la vostra consolazione» [Lc 6,17-20.26].

Si tratta forse di un manifesto primigenio della futura lotta di classe? Non, in verità si tratta anzitutto di un errore di traduzione, di quelli che abbondano soprattutto nelle versioni della Conferenza Episcopale Italiana, come di recente ha fatto notare anche il nostro autore Monaco Eremita in un suo articolo [voir QUI]. Questa apertura «Ma guai a voi, ricchi», nel nostro lessico parlato suona come una minaccia. En fait, nel vocabolario italiano, la parola «guai» è indicata come una esclamazione di minaccia. Ce lo conferma la letteratura, basti pensare alla figura di Caronte, il barcaiolo che conduce i dannati nel luogo di perdizione eterna, che nell’Opera di Dante, al Canto III dell’Inferno, tuona:

"Et voici Vers nous venir dans un bateau Un vieil homme, chenu avec les cheveux, en criant: “Guai a voi, Anime prave! Non isperate mai veder lo cielo: je’ vegno per menarvi a l’altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo. E tu che secostì, anima viva, pàrtiti da cotesti che son morti”».

Nel suo significato etimologico e secondo la migliore letteratura, la parola «guai» costituisce una minaccia grave e ben precisa.

Mi si passi l’ironia: io che a suo tempo non ho fatto il Bienheureuse séminaire ― perché come adulto consacrato sacerdote quarantenne ebbi altro genere di adeguata formazione ― il greco l’ho studiato e lo conosco, al contrario dei fuoriusciti dai moderni séminaires saints nei quali al posto del greco si studia l’inglese e al posto del latino i sociologismi trasmessi dai vari formatori che offrono ai discepoli i pensieri teneri scritti sulle cartine dei Baci Perugina, anziché il solido pane dei grandi Santi Padri e dottori della Chiesa. Nel testo greco di questo Vangelo lucano è usata l’espressione Oὐαί (ouai), che non è affatto una maledizione in tono di minaccia, ma una espressione che equivale ad ahimè, o per usare un arcaismo de’, il tutto per esprimere con tenero spirito un senso di rammarico. Espressione nella quale la ricchezza è usata come paradigma per esprimere altro: l’egoismo, la mancanza di altruismo e di generosità, l’attaccamento alle cose materiali, che non sono solo il danaro, perché l’attaccamento a certi stili di vita o pensiero può essere di gran lunga più nocivo del rapporto morboso con la ricchezza materiale. Ne consegue quindi la lode «Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli» [Lc 6,17-20.26]. Lode non riferita certo al fatto che l’essere poveri è una nota di merito al punto da meritare per questo la salvezza eterna. Per poveri in spirito si intendono coloro, indistintamente ricchi o poveri di soldi, che hanno conquistato la libertà dei figli di Dio attraverso quella verità che una volta conosciuta ci farà liberi [cf.. Gv 8,28].

Che elementi di questo genere li sottovalutasse un evidente lacunoso teologico come Tonino Bello, indubbiamente è cosa grave, perché un vescovo è sommo sacerdote e maestro. Mais, se questi elementi, li ignora e sottovaluta il maestro e il custode supremo della dottrina della fede cattolica, a dir poco è inquietante. Per questo siamo allo sbando nel modo in cui ormai siamo tristemente e tragicamente ridotti.

Passiamo alla seconda e ultima parte de ce discours. Da alcune settimane le reti televisive e i giornali parlano del grande flusso di turisti in Italia, ponendo l’accento sul fatto che le strutture alberghiere e i resort che offrono servizi di extra lusso sono tutti pieni, a tal punto che non è possibile trovare posto. Le redazioni televisive Rai e Mediaset hanno sguinzagliato i loro giornalisti per riprendere e mandare in onda interviste fatte ai direttori di queste strutture che alle domande loro rivolte hanno risposto che i costi di certe suites variavano da cinque, sei, sino alla bellezza di 15.000 EUR par jour. Pochi minuti dopo venivano mandati in onda servizi fatti a varie famiglie del popolo proletario che spiegavano in che modo non potevano fare le vacanze, dato l’aumento dei prezzi, oppure che avrebbero potuto farle in clima di stretta economia improntandole sul più attento risparmio.

La cosa peggiore che si possa fare a livello giornalistico e mediatico è di fomentare l’istinto dell’invidia sociale, che in Italia non necessita di essere fomentata, perché se essa fosse uno sport, noi italiani deterremo il primato assoluto a livello europeo.

Sebbene non sia un economista e meno che mai propenso a fare il tuttologo che si lancia in mestieri che non sono i miei di pertinenza, applicando la basilare logica del buon senso comune mi rammarico dinanzi a simili servizi faziosi che istigano di fatto all’odio sociale di classe. Se infatti nel nostro Paese, centri che offrono servizi di extra lusso del genere, non hanno posti liberi e sono prenotati per tutta l’estate, ciò dovrebbe rallegrare anzitutto proprio i figli del popolo proletario. simple pourquoi: quanto personale di lavoro è richiesto di necessità per offrire servizi alberghieri a simili costi stratosferici? Per ogni suite occorrono quattro camerieri fissi che coprano ininterrottamente a due a due un servizio di 18 minerai, per non parlare del relativo personale necessario per offrire altrettanti analoghi servizi per le prime colazioni, per le seconde colazioni e le cene, per i servizi alle piscine e tutti gli altri comfort offerti. Donc, i padri, le madri, i figli e i nipoti del popolo proletario dovrebbero essere i primi a rallegrarsi, perché tutto ciò si chiama: posti di lavoro. A meno che non si preferisca al posto di lavoro il reddito di cittadinanza parassitario, quello che per alcuni anni è andato non ai bisognosi non in grado di lavorare o senza lavoro, che ne avevano sì sacrosanto diritto e che vanno aiutati e sostenuti, ma ai furbi, la più alta percentuale dei quali è risultata essere presente, putain, nella Città di Napoli, non lo hanno detto i cattivi anti-meridionalisti razzisti, ma i dati delle varie Agenzie di Stato. Perché è questo che produce il turismo di extra lusso: posti di lavoro. O qualcuno pensa che la pensioncina economica di Rimini per le vacanze economiche del popolo proletario, al costo di 70 euro al giorno camera e prima colazione, possa produrre altrettanti posti di lavoro, oltre al giro di affari che questo genere di clientela può creare attorno a queste strutture a beneficio di ristoranti, negozi di lusso o gioiellerie all’interno delle quali non si trova neppure una spilla al di sotto del costo minimo di 10.000 euro?

Ricordo alcuni decenni fa, quando ero ragazzino, le proteste di certi attivisti del popolo proletario al grido «le spiagge e le scogliere sono di tutti» e che «tutti hanno diritto a mare e sole». La lotta di classe in questione era legata al fatto che nella esclusiva e costosa zona del Monte Argentario, dans la Maremme toscane inférieure, i proprietari delle ville sulle scogliere avevano impedito l’accesso al mare al popolo proletario. Varie associazioni, tutte e di rigore di un preciso colore, cominciarono a bordare denunce, fin quando dei magistrati, forse della stessa colorazione, disposero l’apertura dei cancelli e delle recinzioni di certe proprietà, o comunque la creazione di passaggi affinché il popolo proletario potesse esercitare il diritto al mare e al sole.

Ce sont les résultats: nel giro di una stagione molte scogliere divennero méta di nutriti gruppi di persone rumorose che lasciavano poi tra gli scogli spazzatura e bottiglie di bibite, che urlavano e ascoltavano gli stereo portatili sparati al massimo volume. Un danno notevole all’ambiente e a quel delicato ecosistema, che è uno tra i più belli e incontaminati d’Italia. Gli sporchi ricconi incominciarono così a disertare la zona e ad andarsene in Sardegna o sulla Costa Azzurra. Di questo non ne risentirono né i magistrati, il cui stipendio era assicurato, né i figli del popolo operaio, anch’essi con lo stipendio di fabbrica assicurato inclusa tredicesima e quattordicesima, bensì i ristoratori, i proprietari degli stabilimenti balneari, i negozianti e i vari commercianti della zona. E se i gestori di tutte queste attività non potevano avere un certo giro di lavoro, al tempo stesso non potevano assumere personale e creare e dare posti di lavoro, perché nessuno di loro faceva cassa con i figli del popolo proletario, che si limitavano a guardare le vetrine di certi negozi o a leggere i menù di ristoranti nei quali una cena per quattro persone sarebbe costata la metà dello stipendio mensile di un operaio figlio del popolo proletario. L’ideologia ebbe sul momento la meglio, il popolo proletario ebbe diritto a sole e mare in zone costiere che non possono e non devono essere prese d’assalto dalla grande massa, salvo rovinarle. La conseguenza fu che il danno economico risultò enorme. Et ainsi, in zone nelle quali il vecchio Partito Comunista vinceva le elezioni con maggioranze superiori al 60%, fu presto invertita la rotta. Le scogliere furono nuovamente chiuse e i passaggi obbligatori eliminati. À ce moment-là, gli sporchi ricconi che producevano lavoro e ricchezza ritornarono, mentre il popolo proletario, al quale nessuno ha mai negato mare e sole, era dirottato verso località e spiagge adatte ad accogliere la gran massa di gente.

Aujourd'hui, nelle zone della vicina Capalbio, si recano in villeggiatura tutti i più ricchi fricchettoni dei Democratici di Sinistra, tutti nipotini viziati e degenerati del vecchio e glorioso Partito Comunista. E anche loro, et confiance, inclusi i migranti sbarcati clandestini a Lampedusa, non li vogliono tra i coglioni — per usare un francesismo aulico — neppure a distanza dalle recinzioni delle loro ville.

Povero non equivale a buono, esistono poveri che sono dotati di una cattiveria fuori dal comune, dai quali guardarsi, tenersi a distanza e tenerli a distanza. Come esistono ricchi che nella assoluta riservatezza fanno del bene a numerose famiglie e intere istituzioni benefiche che operano a servizio dei vari disagi sociali. L’uomo non è buono o cattivo in base alla classe o al ceto di appartenenza, ma in base alla propria natura e sensibilità umana.

Il nostro Paese dovrebbe puntare sul turismo di lusso, perché sia le Città d’arte italiane sia certe nostre zone costiere, sono ambienti e territori molto fragili e delicati da conservare e mantenere. E non possono essere presi d’assalto da masse di orde spesso barbariche né distrutti in nome dell’ideologia, con turisti cafoni che danneggiano i monumenti di Roma o che fanno il bagno dentro le fontane monumentali.

Ogni tanto qualcuno strepita che la Chiesa italiana ha messo i biglietti d’ingresso per visitare diverse storiche cattedrali e chiese monumentali. Bene hanno fatto, molto prima avremmo dovuto farlo. Ci sono infatti numerosi luoghi di culto che sono monumenti di straordinaria bellezza e altrettanta straordinaria delicatezza. Imporre un biglietto, preferibilmente anche costoso, eviterà che in città come Siena, Pisa, Venise … certi luoghi siano presi d’assalto da persone che ci entrano tanto per entrarci, non di rado anche per recarvi danni gravi e irreparabili, come possono confermare le varie Soprintendenze alle belle arti corse più volte ai ripari con lunghi, delicati e costosi restauri di opere d’arte danneggiate da idioti che si erano arrampicati da qualche parte per farsi, par exemple, fotografie spiritose, da inviare ad altrettanti amici idioti sparsi in giro per il mondo.

Pura e semplice economia del buon senso comune, applicata a un Paese come il nostro, dove abbondano ricchezze artistiche e ambientali che richiedono estrema cura e che sono tanto belle quanto fragili, oltre che facili da danneggiare per opera delle moderne orde barbariche. L’Italia è un gioiello delicato e fragile che non è fatto né mai potrà essere fatto per il turismo di massa, con buona pace delle ideologie sul popolo proletario.

de l'île de Patmos, 29 juin 2023

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