il Cogitatorium di Ipazia – Avanti popolo alla Riscossa …

—  IL  COGITATORIUM  DI  IPAZIA  —

AVANTI POPOLO ALLA RISCOSSA …

Non bisogna assolutamente visitare i siti porno per gatti, perché ciò è male, parecchio; come non bisognerebbe visitare né prendere gli articoli pubblicati su certi siti e blog ormai specializzati a prendere l’apparente bene e mutarlo nel supremo male della critica distruttiva e oltraggiosa nei riguardi della Santa Chiesa e del Sommo Pontefice.

 

Autore Ipazia Gatta Romana

Autore
Ipazia Gatta Romana

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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L’eresia lefebvriana e lo stato di peccato mortale

L’ERESIA LEFEBVRIANA E LO STATO DI PECCATO MORTALE

[…] chi partecipa alle liturgie celebrate da questi vescovi e sacerdoti sprezzanti l’autorità della Chiesa ed il suo magistero e per questo sempre sottoposti a regime di sospensione; chi da loro riceve i Sacramenti; chi attraverso libri, attività pubblicistiche, conferenze e varie forme di propaganda appoggia all’interno del mondo cattolico la causa dei lefebvriani o promuove come valide le loro interpretazioni ereticali e quelle del loro fondatore; chi semina gravi errori tra il Popolo di Dio affermando che il Sommo Pontefice Francesco è «espressione dell’eresia modernista» e che il Vescovo Marcel Lefebvre avrebbe agito in «legittimo stato di necessità contro il Concilio Vaticano II e contro i Sommi Pontefici Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, come a suo tempo agì Sant’Atanasio di Alessandria contro l’eresia ariana»; non deve considerarsi affatto un difensore della vera Tradizione cattolica bensì un’anima in stato di peccato mortale.

 

Gentile Padre Ariel.

Non partecipo da anni alla Messa secondo il novus ordo. Non intendo polemizzare, anche se non sono d’accordo con molte cose che lei, in modo duro, il Padre Giovanni Cavalcoli, con stile più soft ma anch’esso duro, avete scritto sui tradizionalisti. Vi seguo lo stesso volentieri, essendo voi persone di profonda preparazione. Le domando: perché negli ultimi tempi lei se l’è presa così duramente con i Lefebvriani e la Fraternità di San Pio X? Sono un cattolico che da anni partecipa ogni domenica alle loro celebrazioni ad Albano, perché mi sento a mio agio con il rito antico e non con le pagliacciate che dobbiamo subire in molte chiese conciliariste. Ne sono contento e esco in pace con la mia coscienza dalla Messa. Dov’è il problema? E poi, Benedetto XVI, non gli ha forse ritirato anche la scomunica?  Andrea B. (Castel Gandolfo)

 

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

Rispondo mettendola anzitutto sull’avviso che non deve sentirsi in pace con la sua coscienza e per replicare ai suoi quesiti userò parte di un testo che il teologo domenicano Giovanni Cavalcoli ed io abbiamo scritto di recente, traendo da esso i necessari elementi utili per illuminarla.

marcel lefebvre 2

L’arcivescovo scismatico Marcel Lefebvre [1905-1991]

La Fraternità San Pio X costituisce un grave problema sia dottrinale che canonico. È vero che il Romano Pontefice ha liberato i quattro vescovi illecitamente consacrati da Marcel Lefebvre dal peso della scomunica, al fine di istaurare un dialogo per una loro piena riammissione nella comunione della Chiesa, ma non va dimenticato che allo stato attuale, i Vescovi ed i sacerdoti da loro ordinati, rimangono di fatto validi ma illeciti, vale a dire sospesi ipso facto dall’ordine che hanno ricevuto validamente ma illecitamente [Cf. Codice di Diritto Canonico, cann. 1382, 1383, 1015], il tutto in virtù della sussistenza di gravi problemi dottrinali irrisolti, come ha precisato nel marzo del 2009 il Sommo Pontefice Benedetto XVI affermando che costoro «Non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa» [testo QUI].

marcello semeraro

Marcello Semeraro, vescovo della Diocesi di Albano

È vero, la Chiesa ha tolto la scomunica, ma lo ha fatto per sollecitare questi scismatici al rientro nella piena comunione con Roma; non ha però mai annullata la sospensione basata non su questioni disciplinari ma su gravi problemi dottrinari. Pertanto è nostro obbligo ricordare ai fedeli che non è a loro lecito ricevere i Sacramenti da questi sacerdoti, come di recente ha ribadito il Vescovo di Albano Laziale S.E. Mons. Marcello Semeraro, sul cui territorio canonico ha sede il distretto italiano dei lefebvriani, presso i quali lei partecipa illecitamente a liturgie celebrate in totale disobbedienza alla Chiesa ed alle disposizioni date dall’Ordinario Diocesano che in un suo decreto ha precisato e chiarito:

«Qualunque fedele cattolico che richiede e riceve Sacramenti nella Fraternità San Pio X si porrà di fatto nella condizione di non essere in comunione con la Chiesa Cattolica. Una riammissione nella Chiesa Cattolica dovrà essere preceduta da un adeguato percorso personale di riconciliazione, secondo la disciplina ecclesiastica stabilita dal vescovo» [vedere QUI in fondo integrale riproduzione del documento].

Solo nel caso in cui un fedele cattolico fosse in pericolo di morte può essere validamente assolto da un sacerdote della Fraternità San Pio X, perché la Chiesa, sollecita della salvezza eterna di tutte le anime, in quel caso autorizza qualunque sacerdote, incluso un chierico sospeso a divinis, o persino scomunicato e ridotto allo stato laicale, a dare validamente l’assoluzione sacramentale [Codice di Diritto Canonico, can. 1335].

L’errore fondamentale del Vescovo Marcel Lefebvre, dal quale seguono tutti quelli dei suoi seguaci e simpatizzanti, è l’ostinata accusa rivolta al Concilio Vaticano II di «aver falsificato la Sacra Tradizione» [vedere QUI]. Una simile accusa è implicitamente ed esplicitamente di per sé eresia, giacché suppone che col Concilio la Chiesa sia uscita dal sentiero della verità rivelata, cosa che a sua volta implica la sfiducia che il Concilio, nello stabilire le sue dottrine, sia stato assistito dallo Spirito Santo, contro la promessa fatta dal Signore alla sua Chiesa di condurla alla pienezza della verità.

bernard fellay 3

il vescovo scismatico Bernard Fellay, illecitamente consacrato da Marcel Lefebvre nel 1988 ed attuale superiore generale della Fraternità San Pio X

La mia risposta è pertanto oggettiva poiché basata sugli atti dei Pontefici, sulle direttive emanate nel tempo dai competenti dicasteri della Santa Sede, sui criteri della solida dottrina cattolica e del diritto canonico, non certo su umori o valutazioni meramente soggettive. E la risposta che un sacerdote ed un teologo deve dare per imperativo di coscienza è la seguente: chi semina gravi errori tra il Popolo di Dio affermando che il Sommo Pontefice Francesco è un eretico modernista [vedere QUI, QUI] e che il Vescovo Marcel Lefebvre avrebbe agito in legittimo stato di necessità contro il Concilio Vaticano II come a suo tempo agì Sant’Atanasio di Alessandria contro l’eresia ariana; chi da loro riceve i Sacramenti, fatto salvo il disposto del canone 1335; chi all’interno del mondo cattolico semina tra il Popolo di Dio il veleno dell’errore attraverso libri, attività pubblicistiche, conferenze e varie forme di propaganda a favore della causa dei lefebvriani o promuove come valide le loro interpretazioni ereticali e quelle del loro fondatore; non può considerarsi affatto un difensore della vera Tradizione cattolica ma un’anima in stato di peccato mortale.

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Il Santo Padre Francesco mentre amministra una confessione

La invito pertanto a rivolgersi quanto prima ad un confessore per chiedere l’assoluzione previo suo pentimento e fermo proposito di non frequentare più le istituzioni e le liturgie celebrate da vescovi e sacerdoti non in comunione col Romano Pontefice; a non frequentare e a non prestare più ascolto a tutti coloro che diffondono gli errori dottrinali e le palesi eresie di questi scismatici dietro pretesti di una presunta purezza cattolica che non è affatto opera di Dio ma tutta quanta opera di Satana, il cui peccato preferito è da sempre la superbia, regina ed auriga di tutti gli altri peccati capitali.

Nelle diocesi italiane vi sono sacerdoti che nell’obbedienza ai loro vescovi in piena comunione col Vescovo di Roma celebrano come la Chiesa consente col vetus ordo missae, che racchiude in sé un patrimonio straordinario di fede e di pietà che non deve andare perduto. Esiste poi la Fraternità San Pietro che opera in piena legittimità col riconoscimento della Santa Sede ed anch’essa conserva ed offre ai fedeli la Santa Messa celebrata col venerabile messale di San Pio V [vedere QUI]. In questi casi può ricevere lecitamente i Sacramenti in piena comunione con la Chiesa universale ed il Vescovo di Roma e dirsi quindi davvero in pace con la sua coscienza, traendo da tutto ciò benefici spirituali per la edificazione della sua anima nella vita presente e per la vita eterna.

colomba della pace con giubbotto

Un murales a Betlemme, nei pressi del muro divisorio tra territorio israeliano e palestinese, in cui è raffigurata al centro di un mirino la colomba della pace che indossa un giubbotto antiproiettile. Facciamo in modo che questo non accada anche in certe diatribe intra ed extra ecclesiali

L’Isola di Patmos non conduce battaglie contro nessuno ed è nostra cristiana cura distinguere sempre bene le erronee deviazioni dal magistero della Chiesa e dalla dottrina cattolica — che come tali vanno combattute con tutte le armi della carità cristiana — dai singoli erranti che vanno invece corretti e accolti, posto che è lo stesso Signore Gesù ad affermare: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori» [Cf Mc 2, 17]. Non abbiamo quindi alcun astio verso i lefebvriani ed i loro singoli aderenti, che dobbiamo però considerare in grave errore senza ricorso ad alcun giustificante sofisma filosofico; e come pastori in cura d’anime e teologi non possiamo all’occorrenza esimerci dal ricordare ai buoni fedeli cattolici cosa è giusto e cosa è sbagliato, perché a Dio, che ci ha dato in custodia il suo Popolo, noi dovremo rispondere molto seriamente della salute delle anime a noi affidate.

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ATTI E DOCUMENTI DELLA SANTA SEDE SUL CASO LEFEBVRE E LA SUA FRATERNITÀ SCISMATICA

– «Lettre de S.S. Paul VI à Mgr Marcel Lefebvre», 29 juin 1975 [testo QUI]

– Lettera Apostolica di S.S. Paolo VI, «Nuova ammonizione a S.E. Mons. Marcel Lefebvre», 8 settembre 1975 [testo, QUI]

– S.S. Paolo VI, «Lettera a Mons. Marcel Lefebvre», 15 agosto 1976 [testo QUI]

– Discorso di S.S. Paolo VI «Sulla dolorosa vicenda di Mons. Marcello Lefebvre», 1° settembre 1976 [testo QUI]

– «Lettera Apostolica Ecclesia Dei» del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II in forma di motu proprio, 2 luglio 1988 [testo QUI].

– Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, nota esplicativa «Sulla scomunica per scisma in cui incorrono gli aderenti al movimento del Vescovo Marcel Lefebvre», 24 agosto 1996 [testo QUI].

– Congregazione per i Vescovi: «Decreto di remissione della scomunica latae sententiae ai Vescovi della Fraternità di San Pio X», 21 gennaio 2009 [testo QUI]

– «Nota della Segreteria di Stato circa i quattro Vescovi della Fraternità di San Pio X», 4 febbraio 2009 [testo QUI]

Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai Vescovi della Chiesa Cattolica riguardo alla remissione della scomunica ai 4 Vescovi consacrati dall’ Arcivescovo Lefebvre [testo, 10 marzo 2009 QUI].

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Copia del testo diramato ai presbiteri della propria Diocesi dal Vescovo di Albano sul cui territorio canonico ha sede il distretto italiano della Fraternità San Pio X

NOTIFICAZIONE AI PARROCI SULLA FRATERNITA

Preghiera per il Sommo Pontefice

PREGHIERA PER IL SOMMO PONTEFICE

Offriamo ai nostri lettori una preghiera da devoti cattolici per il Sommo Pontefice,

la roccia sulla quale Cristo Signore ha edificato la sua Chiesa [Mt 13,18]

 

papi-postconcilio

I Pontefici dell’ultimo mezzo secolo ed ultimi nella legittima successione al Principe degli Apostoli

 

 

Signore Gesù Cristo, Re e Signore della Santa Chiesa, rinnovo alla tua presenza la mia adesione incondizionata al tuo Vicario sulla terra, il Sommo Pontefice

FRANCESCO.

In lui ci hai voluto mostrare il cammino sicuro e certo che dobbiamo seguire in mezzo al disorientamento, all’inquietudine e allo sgomento.

Credo fermamente che per mezzo suo Tu ci governi, istruisci e santifichi e che sotto il suo vincastro formiamo la vera Chiesa: una, santa, cattolica e apostolica.

Concedimi la grazia di amare, di vivere e di diffondere come figlio fedele i suoi insegnamenti. Custodisci la sua vita, illumina la sua intelligenza, fortifica il suo spirito, difendilo dalle calunnie e dalla malvagità.

Placa i venti erosivi dell’infedeltà e della disobbedienza e concedici che, attorno a lui, la tua Chiesa si conservi unita, ferma nel credere e nell’operare e sia così lo strumento della tua redenzione.

Amen!

Preti in barca

Commiato di Antonio Livi

COMMIATO DI ANTONIO LIVI

Tra Antonio Livi e gli altri due padri Giovanni Cavalcoli e Ariel S. Levi di Gualdo non c’è stato alcuno screzio, solo serene e fraterne divergenze di carattere teologico e pastorale. A mano a mano si sono delineate, riguardo il problema non lieve dei lefebvriani sui quali abbiamo ritenuto di non dover soprassedere, due opinioni diverse, che potevano tranquillamente convivere assieme. Nella legittima libertà dei figli di Dio Antonio Livi ha scelto invece, con nostro grande dispiacere, di lasciare questa rivista telematica; abbiamo tentato di dissuaderlo, ma accettando infine la sua decisione. Le motivazioni sono contenute negli scritti che seguono. Al nostro illustre confratello confermiamo la nostra profonda stima e la nostra vicinanza umana e spirituale con i migliori auguri di sincero bene e grazia del Signore.

 

 

Autore Antonio Livi

Antonio Livi

[…] un teologo può rinvenire nei discorsi e nelle iniziative ecclesiastiche di mons. Marcel Lefebvre una dottrina incompatibile con il dogma dell’infallibilità del magistero, sia quando formula dei dogmi che quando si esprime con un magistero solenne e universale, come è stato per il Vaticnao II, che mons. Marcel Lefebvre (il quale pure aveva partecipato ai lavori del Concilio e ne aveva firmato i documenti finali) aveva in alcuni punti ritenuto in contraddizione con la Tradizione, ossia con l’insegnamento del magistero precedente. Ma questa legittima considerazione teologica non autorizza a porre l’ipotetico contenuto ereticale dell’ideologia di questi tradizionalisti sullo stesso piano delle eresie formalmente condannate dalla Chiesa, perché ciò genere inevitabilmente una gravissima confusione dottrinale […]

 

Per leggere il testo intero cliccare sotto

ANTONIO LIVI – come mai mi accomiato dalla Isola di Patmos

 

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Giovanni Cavalcoli OP

Autore Padre Ariel

Ariel S. Levi di Gualdo

[…] Riconosciamo che i lefebvriani sono cattolici, benché imperfetti; e sanno cos’è la fede e cos’è il dogma. Tra le loro fila ci sono anche dei tomisti. Il loro grave difetto è però noto e non meno lieve ed i loro errori sono oggettivi e non affatto «ipotetici»: la loro reiterata accusa di falso o di fallibilità alle dottrine del Concilio Vaticano II, sotto pretesto che non si tratta di nuovi dogmi solennemente definiti. Di fatto, i lefebvriani, si sono mostrasti sordi ai richiami e alle esortazioni dei Sommi Pontefici, ultime in ordine cronologico quelle del Santo Padre Benedetto XVI il quale li ha avvertiti che «per essere in piena comunione con la Chiesa devono accettare le dottrine del Concilio».

 

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CAVALCOLI & LEVI di GUALDO – Risposta al commiato di Antonio Livi

Dal prologo della Lettera agli Efesini alla storia della teologia dogmatica

 Theologica —

DAL PROLOGO DELLA LETTERA AGLI EFESINI
ALLA STORIA DELLA TEOLOGIA DOGMATICA: IL CHRISTUS TOTUS DI SANT’AGOSTINO

 

 

Può la teologia moderna stimolare allo studio del particolare perdendo di vista la comunione dell’universale che al particolare da vita? In assenza delle trascendenze metafisiche racchiuse in questo prologo paolino si potrebbe anche fare teologia, non però teologia cristologica, che è teologia della totalità; non teologia cattolica, non teologia cristiana, si potrebbe fare una teologia storica atea, una teologia senza Dio alla quale qualcuno è giunto qualche decennio fa oltre oceano ipotizzando la teologia della morte di Dio, anticipata molto prima da Friedrich Nietzsche: «Gott ist tot» Dio è morto. Bisogna però notare che Nietzsche fa affermazioni che dovrebbero essere straordinarie e preziose provocazioni alla riflessione, all’auto-esame di coscienza per ogni cristiano e alla sfida per una vera speculazione teologica: egli afferma che Dio non esiste più e che oggettivamente non può più esistere, in un ambiente così corrotto e degenerato come il nostro, nel quale noi lo abbiamo ucciso.

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

 

 

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Ariel S. Levi di Gualdo – Dal Prologo alla Lettera agli Efesini alla storia della teologia dogmatica – il Christus totus di S. Agostino

 

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

Per la Pace nella Chiesa

Theologica —

PER LA PACE NELLA CHIESA

Modernisti e lefebvriani sono entrambi impelagati nell’ideologia e prigionieri di una mentalità parziale ed unilaterale. Come Gesù Cristo, sia il modernista che il lefebvriano avverte: «Chi non è con me, è contro di me». Ma entrambi, per motivi opposti, sono al di fuori dell’alveo della sana dottrina, ciascuno ritiene di essere il vero cattolico e chi non è con lui, è il suo polo dialettico opposto […] Ora, alla radice di questi contrasti circa l’essenza dell’essere cattolico, sta ancora, dopo cinquant’anni, la gravissima questione ancora attuale, ossia quella del giusto giudizio da esprimere sul Concilio Vaticano II e sui suoi effetti nella Chiesa e, per conseguenza, quella della retta applicazione del Concilio.

Autore Giovanni Cavalcoli OP

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Giovanni Cavalcoli OP

 

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Giovanni Cavalcoli OP – Per la pace nella Chiesa


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“2001 Odissea nello spazio”, ovverosia: la fantateologia di alcuni giornalisti

«2001 ODISSEA NELLO SPAZIO », OVVEROSIA: LA FANTATEOLOGIA DI ALCUNI GIORNALISTI

 

[…] alcuni, magari con titoli, sono costretti a fare mestieri inferiori per il fatto di non trovar lavoro, e questi sono scusabili, se non proprio da compassionare. Ma capita che facciano bene il loro dovere, anche perchè chi sa fare il più, sa fare anche il meno. Un laureato in medicina può fare il portalettere. Ma un portalettere non può curare una polmonite o una cirrosi epatica. Quelli che invece sono da riprovare e che fanno maggior danno, sono gli ambiziosi e i presuntuosi, i quali danno ad intendere di saper fare o pensare al di là di quelle che sono le loro reali capacità, spesso assai limitate.

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

alberto sordi vigile urbano

il compianto Alberto Sordi nel ruolo del vigile urbano

Nella vita è importante saper intraprendere la carriera giusta, conforme alle proprie capacità, sulla base di sani criteri di discernimento, senza ambizioni e senza remore. Capita invece che ci sia chi, per vari motivi, intraprende una strada che non è la sua, confondendo la sua autentica con un’altra, che è ciò che ha scelto, ma che avrebbe fatto meglio a non scegliere, perchè così, anche se può avere qualche successo, in realtà fa danno a sè e agli altri. Certo, alcuni — magari con titoli — sono costretti a fare mestieri inferiori per il fatto di non trovar lavoro, e questi sono scusabili, se non proprio da compassionare. Ma capita che facciano bene il loro dovere, anche perchè chi sa fare il più, sa fare anche il meno. Un laureato in medicina può fare il portalettere. Ma un portalettere non può curare una polmonite o una cirrosi epatica. Quelli che invece sono da riprovare e che fanno maggior danno, sono gli ambiziosi e i presuntuosi, i quali danno ad intendere di saper fare o pensare al di là di quelle che sono le loro reali capacità, spesso assai limitate. Ma capita disgraziatamente che coloro che aspirano a farsi giudici o guide degli altri, usano, come criterio per valutare se stessi e gli altri, non la saggezza, ma l’invidia e la presunzione.

Eugenio Scalfari

un esempio eccellente: Eugenio Scalfari, liberamente e legittimamente ateo dichiarato, con gloriosa carriera di militante anticlericale nonché fondatore di un quotidiano che spesso ha aggredito in modo anche molto duro il magistero pontificio degli ultimi quattro decenni, oggi divenuto a suo modo esperto ecclesiologo

Gli esempi che si potrebbero fare sono moltissimi e toccano ogni genere di scelta, di vocazione, di professione, di mestiere, di carriera. Voglio qui fermarmi su di un fenomeno oggi diffuso, del quale hanno parlato su questa nostra rivista telematica anche i miei amici e confratelli sacerdoti Ariel S. Levi di Gualdo e Antonio Livi: la pretesa di certi giornalisti di discutere o di sentenziare categoricamente, senza appello e senza la dovuta preparazione e competenza e quindi senza il dovuto criterio di giudizio, di teologia, di questioni di fede, di ministeri e compiti ecclesiali — per esempio quello del Papa — o di affari della Chiesa. Certo non è male che grandi organi di stampa facciano tanta attenzione al Papa, alla Chiesa, a temi di dottrina e di morale, alla questione dei progressisti e dei conservatori, a nomi di teologi o Cardinali famosi, alle sorti del cristianesimo in rapporto ad altre religioni, al rapporto del Concilio Vaticano II col Magistero precedente. Ma la questione è con quanta preparazione, obbiettività e competenza e con quanta esattezza di informazioni prese da quali fonti essi formano i loro giudizi, danno i loro pareri, conoscono, riferiscono ed interpretano i fatti. Quanto, per esempio, soprattutto quelli che si dicono o sono considerati cattolici, conoscono la vera natura della Chiesa così come la Chiesa cattolica la intende? Quanto sanno distinguere, nelle attività o nel pensiero del Papa il Maestro della fede dalla guida pastorale della Chiesa dal dottore privato, secondo quei princìpi e criteri che di recente noi tre abbiamo esposto più volte su questo sito attraverso i nostri scritti? Quanto sanno distinguere la dottrina della fede dalle varie e contraddittorie opinioni dei teologi? Quanto sanno distinguere ciò che è autenticamente cattolico da ciò che non lo è? Quanto sanno distinguere ciò che è teologia nel senso scientifico da ciò che è soltanto un discorso religioso più o meno letterario o mitologico?

Melloni presso il Grande Oriente

Lo storico cattolico della Scuola di Bologna, Alberto Melloni, ad una quanto meno inopportuna conferenza presso la loggia massonica del Grande Oriente d’Italia [vedere QUI]

Diffuso per esempio è il parlare delle vicende, delle iniziative, delle opere o delle imprese della Chiesa credendo di dire l’ultima parola col considerare la Chiesa da un punto di vista puramente terreno o solo sociologico, ed ignorando la sua essenza e le sue finalità soprannaturali, come si può parlare di una società multinazionale o come se si avesse a che fare con una semplice società filantropica o umanitaria, tipo Amnesty International o Green Peace, o un partito politico immerso negli affari di questo mondo.

giornalisti cattoliciÈ urgente chiarire una volta per tutte quale dev’essere il rapporto del giornalista cattolico col teologo nel trattare degli affari della fede e della Chiesa in modo conveniente al fine di comunicare col numero più grande possibile di persone. Innanzitutto occorre che il giornalista stesso sia teologo, data la materia che deve trattare, seppur non in termini scientifici, ma comprensibili dal grande pubblico. La prima cosa che il giornalista cattolico deve fare è quindi di capire esattamente di cosa si tratta, attingere con cura a fonti sicure e attendibili, operare un discernimento alla luce del Magistero della Chiesa, dare a questa luce e sotto questa guida una valutazione obbiettiva, intelligente, spassionata ed imparziale degli avvenimenti, esporre in termini semplici e popolari le dottrine, le novità, le discussioni, le linee di condotta, le attività pastorali, e i problemi ad esse annessi, senza escludere una critica costruttiva e prudente, distinguendo l’opinabile dal certo, in modo da svolgere un’opera informativa e formativa ad un tempo, un’azione educativa e uno stimolo culturale, che possano aiutare i lettori a viver meglio la loro fede e la loro appartenenza ecclesiale, in modo costruttivo, con spirito di collaborazione, sano ottimismo, ben difesi dall’insidia dell’errore, nell’esercizio delle virtù civili e cristiane, desiderosi di perfezione evangelica.

giornali

rassegna stampa

Se esistono giornalisti che improvvisandosi teologi vanno oltre la loro competenza e invadono a volte con arroganza e vana sicumera il campo del teologo, ciò può avvenire anche perchè purtroppo esistono teologi che non hanno sufficiente stima della elevatezza della loro disciplina, ma la riducono o risolvono al livello di semplice pastorale, per giunta con coloriture sociopolitiche, a volte estremamente parziali e soggettive, fino a privare il discorso teologico della sua indipendenza, libertà ed universalità e a trasformarlo, umiliarlo ed incastrarlo come in un letto di Procuste, quasi nei limiti di una tesi o programma di partito. Non che da una teologia non possa nascere un partito politico. Basti guardare l’opera di certi grandi uomini come Ozanam, Acquaderni, Don Sturzo, Mounier, De Gasperi o Aldo Moro. Tuttavia essi per primi, nella nobiltà delle loro idee, rifiutavano di ridurre il principio teologico trascendente ed immutabile alla contingenza di una semplice opinione politica, per quanto su di esso fondata. Non che inoltre naturalmente non sia lecito e normale per il teologo esprimere opinioni, preferenze o ipotesi personali o scegliere una corrente o tendenza o scuola teologica piuttosto che un’altra o un maestro piuttosto che un altro. E d’altra parte è evidente che la teologia morale, per aver efficacia pratica, deve tradursi in teologia pastorale e la stessa teologia dogmatica o speculativa può essere efficacemente insegnata solo se il docente tien conto della pastorale dell’insegnamento di quella disciplina. Solo la teologia speculativa è fine a se stessa e va cercata per se stessa come sommo godimento dello spirito. La teologia morale e quella pastorale sono ordinate alla teologia speculativa. Il bene pratico da fare è ordinato al Bene divino da amare e contemplare. Chi non ha interessi speculativi può fare il gradasso possedendo potere e ricchezze, godendo prestigio e affermandosi sugli altri; ma in realtà è un infelice. Può anche guadagnare il mondo, direbbe Cristo, ma perde la sua anima fatta per Dio e non per affermare se stessa.

EGO

monumento all’Ego

La felicità dell’uomo non sta nel cercare un Dio che salva l’io umano alla maniera di Lutero, un Dio funzionale e subordinato all’uomo. In questo Lutero fu vittima inconsapevole di quell’ antropocentrismo egocentrico rinascimentale, che egli pure allo stato cosciente rifiutava, ma piuttosto nel cercare Dio per Dio, come diceva Santa Caterina da Siena. Il ripiegamento luterano dell’uomo su se stesso sotto pretesto del bisogno di salvezza e di umiltà nel lasciar operare Dio, è un egocentrismo più sottile ma non meno reale di quello rifiutato da Lutero consistente nel vantarsi delle proprie opere davanti a Dio. Tuttavia è sbagliato, come fa Rahner, col pretesto che la ricerca teologica e l’insegnamento della teologia richiedono una prassi, ridurre tutta la teologia a teologia pastorale, sopprimendo la caratteristica propria, la trascendenza e l’autonomia della teologia speculativa, che la distinguono dalla teologia pastorale. Una simile visione sottende la concezione rahneriana della conoscenza, la quale è ad un tempo prassi, secondo il modulo idealista fichtiano, di origine cartesiana, per il quale lo spirito produce o pone (“setzt“) l’essere stesso che conosce, identificandosi l’essere con l’idea immanente al pensiero e prodotta dal pensiero. In realtà, se la teologia morale deve avere uno sbocco nella prassi, poichè è logico che occorre mettere in pratica il bene preconosciuto dalla teoria, occorre anche ricordare il primato della teoresi sulla prassi, ovvero della speculazione sull’azione in rapporto al fine ultimo dell’uomo, che è la contemplazione della somma Verità. Per cui, se è vero che occorre sapere che cosa si deve fare per metterlo in pratica e si deve, come si suol dire, “passare dalle parole ai fatti”, è altrettanto vero che l’azione umana è finalizzata in ultima analisi, alla divina contemplazione. In tal senso la teologia speculativa è irriducibile alla pastorale. Una vita umana faccendiera orientata solo al fare, manca al suo anelito fondamentale e supremo, che è l’interesse per il fine ultimo e la conquista del sommo Bene, che è appunto la visione di Dio.

Da una teologia politicizzata e secolarizzata come quella modernista o liberazionista non c’è da meravigliarsi seDagospia esce fuori un giornalismo che tratta la teologia come fosse un pettegolezzo di corridoio o una manovra di partito o una trama reazionaria o un movimento rivoluzionario o una coalizione di arrivisti o un’espressione del potere o una sfilata di moda o lo sfogo di un dente avvelenato o una sparata pubblicitaria del matto di turno: pare, in questi casi disgraziati, che la cosa importante non sia, come invece dev’essere, illuminare, far conoscere, porre quesiti e spunti di ricerca, informare sulle nuove conquiste, ribadir valori della tradizione, aiutare a capire il Magistero, approfondire, suscitare dibattiti, incoraggiare, consolare, confortare, educare il senso critico, aprire il cuore alla speranza, far amare la Chiesa e la verità di fede, alimentare la carità e la virtù, favorire il dialogo e la concordia, risolvere i contrasti.

papalepapaleIndubbiamente, qualcuno mi dirà: ma questo è compito del vescovo! Non ci stiamo aspettando troppo da un povero giornalista? Certo; ma io non sto dicendo che tutto ciò dovrebbe essere farina del suo sacco o scaturire dalla sua mente come Minerva dalla testa di Giove. Basterebbe che il giornalista si tenesse sistematicamente a contatto con ambienti buoni della gerarchia, dei teologi o della stessa Santa Sede, senza raccogliere maldicenze, basse insinuazioni, rivelazione di segreti, accuse non verificate, chiacchiere, malignità, mormorazioni, che purtroppo possono venire anche da prelati e Cardinali. Dovrebbe avere la prudenza e il fiuto da attingere a sorgenti d’acqua salutare, zampillante per la vita eterna, lasciando stare le paludi, gli acquitrini, le sabbie mobili, il fango, le sorgenti avvelenate, anche a costo di rinunciare eventualmente a qualche buon compenso o a qualche favore.

Un grave vizio frequente nel mondo giornalistico, effetto e ad un tempo stimolo di una diffusa sfiducia nella verità, è il fattoDestra sinistra di ricondurre questioni di dottrina e di morale non alle categorie del vero e del falso, nelle quali non si crede e che vengono relativizzate, per cui non si cerca di chiarire dov’è la verità e dov’è l’errore, alla luce della ragione o della scienza o della storia o della Sacra Scrittura, della Tradizione e del Magistero della Chiesa. Tutto invece sembra far capo a due categorie tratte dalla politica: “progressisti” e “conservatori”, dove il “progresso” è approvato, ammirato, glorificato, esaltato e magnificato con lode e stima, proposto come modello da imitare; mentre il “conservare” pare oggetto di disprezzo, di ripugnanza, di condanna, di disapprovazione, di derisione e di rifiuto. È evidente che tali appellativi sostituiscono rispettivamente le nozioni del vero e del falso, del bene e del male. Ma ciò vuol dire navigare continuamente nell’incerto, nel dubbio, nell’equivoco, nell’ambiguità, nella nebbia, nell’opinabile, nel soggettivo, nelle apparenze, nel “si dice”, nel relativo, nel discutibile, nell’arbitrario, nel torbido, nel precario, nell’effimero, nel mutevole, senza venire mai a capo di nulla. Non c’è dubbio che l’opinabile, il sembrare, il videtur, l’apparenza, il fenomeno, il relativo, il mutevole hanno una dignità. Ce lo ha già insegnato Platone. Ma il medesimo grande saggio ci ha anche insegnato la suprema dignità del vero, dell’eterno e dell’immutabile, valori che sono stati pienamente assunti dalla concezione cristiana della conoscenza, come appare all’evidenza per esempio nel realismo di un San Tommaso d’Aquino.

creazionismo evoluzionismoL’accanirsi modernista ed evoluzionista contro il conservare è una grande stoltezza. Probabilmente sono proprio quei medesimi modernisti che conservano con cura i loro capitali in banca, i ricchi mobili di casa o le foto dei nobili antenati. E allora? Perchè non dovrebbe esser lodevole e doveroso conservare il depositum fidei? Con quale stoltezza si accusa il Cardinale Raymond Leonard Burke di essere “conservatore” per il semplice fatto che vuol conservare le verità di fede? Sia questo uno dei tanti esempi di una certa teologia giornalistica da strapazzo. Gli appellativi di “progressista” e “conservatore” sono di per sè del tutto innocenti e normali, giacchè nella Chiesa chiunque, entro i limiti dell’ortodossia e della disciplina ecclesiastica, è libero di preferire una tendenza conservatrice o una progressista. Ma la slealtà, per non dire la perfidia dei modernisti consiste nel dare a “conservatore” un senso spregiativo, mentre riservano a se stessi tronfiamente il titolo onorifico di “progressista”.

Bisogna dunque che i giornalisti teologi si diano una regolata, proprio al fine di svolgere meglio la loro preziosissimamessa in latino professione, che è un vera missione. Sarebbe bene pertanto che il giornalista che tratta di teologia nella stampa cattolica e non cattolica, di cose della Chiesa, di dottrine di fede e di morale, del ministero del Papa, della Santa Sede e dei vescovi, delle opere dei teologi e scrittori ecclesiastici, dei rapporti della Chiesa con la politica e con le altre religioni, di sinodi e di Concili, di sacramenti o di liturgia, di agiografia e di storia della Chiesa e diritto canonico, fossero in possesso di qualche titolo accademico in teologia, magari diocesano, e pertanto soggetti all’autorizzazione ed al controllo dell’autorità ecclesiastica.  In tal modo i giornalisti teologi, non più battitori liberi, che per ora possono inventarne ogni giorno una nuova, ma profondamente consci della loro grave responsabilità, veramente liberi sotto l’impulso dello Spirito Santo, potranno svolgere meglio il loro utilissimo servizio per il popolo di Dio e per tutti gli uomini di buona volontà, come veri membri della Chiesa, in collaborazione con la gerarchia e il Santo Padre, con i buoni teologi e tutti i fedeli impegnati nella nuova opera di evangelizzazione indetta dal Sommo Pontefice. In questa battaglia per il Regno occorre smetterla con l’armata Brancaleone e decidersi finalmente ad essere uniti e concordi sotto la guida del Vicario di Cristo per l’espansione del Regno di Dio e il trionfo di Cristo sulle potenze del male.

Fontanellato, 2 gennaio 2015

In ricordo di Vincenzo Maria Calvo

IN RICORDO DI VINCENZO MARIA CALVO

 « … una volta i padri accompagnavano i figli a prendere il treno per andare a fare il servizio militare, oggi io accompagno il figlio della mia vecchiaia a prendere la via del sacerdozio ».

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Padre Divo Barsotti, in una immagine della vecchiaia

Un giorno visitai Padre Divo Barsotti presso la Casa dei Figli di Dio a Settignano di Firenze, desideroso di approfondire temi di ecclesiologia e di storia della Chiesa che si legavano ad una mia pubblicazione data poi alle stampe anni dopo. Eravamo agli inizi dell’anno Duemila, avevo 38 anni. Il Padre Divo mi ascoltò con attenzione e m’indicò vari testi; poi mi guardò negli occhi in un modo che parve trapassarmi l’anima dicendomi in modo inaspettato: «Tu diventerai prete». Dinanzi a quel venerato sacerdote evitai di replicare con una battuta di spirito, ed in modo serio risposi: «Padre, o lei mi confonde con un’altra persona, o forse non le è chiaro che soggetto sono io». Sorrise, ed in tono quasi beffardo ribatté: «Puoi fuggire ancora, ma per poco, perché se il Signore ha deciso di prenderti, ti prenderà».

divo barsotti - vechiaia 2

Padre Divo Barsotti

Per una questione di discrezione avevo lasciata la mia fidanzata — se però devo essere sincero dovrei dire “la mia convivente” del momento — fuori da quella casa religiosa, evitando in tal modo potenziali imbarazzi legati a domande del tutto legittime, tipo ad esempio se eravamo sposati, vista la nostra età: io in cammino verso i quarant’anni lei splendida ragazza di venticinque. Uscito fuori da quella casa la mia — diciamo — fidanzata, mi domandò che impressione mi avesse fatto quell’uomo: risposi che era una persona al di sopra di tutte le righe, sicuramente un mistico, ma forse un vero e proprio visionario …

Questo accenno è già sufficiente a spiegare che fare una cronistoria del mio percorso vocazionale sarebbe cosa complessa e lunga, perché non stiamo a parlare di un soggetto entrato fanciullo in un seminario minore e consacrato sacerdote a ventiquattro anni, ma di un soggetto che — come direbbe mia madre — « … ne ha combinate più di Carlo in Francia» (1).

D’improvviso irruppe nella mia vita la grazia di Dio, prima atterrandomi poi risollevandomi; e nel risollevarmi trasformò il mio spirito ed il mio pensiero, quindi la mia esistenza. Le vocazioni degli adulti in particolare e quelle di tutti in generale, si riconoscono a prescindere dall’età da vari elementi, il principale dei quali resta per me la trasformazione: solo la grazia di Dio, liberamente accolta e lasciata operare, può infatti modificare la nostra struttura caratteriale per prepararci ad accogliere un carattere indelebile ed eterno: il sacerdozio.

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ricordi …

Nato in Toscana e poi vissuto nella gaudente Emilia Romagna, poche settimane dopo quel mio incontro col Padre Divo Barsotti decisi di spostarmi per un periodo indeterminato a Siracusa, dove di tanto in tanto mi recavo nel corso dell’estate e non solo. Avendo all’epoca mezzi economici ed entrate che potevano consentirmi un certo tenore di vita mi acquistai una casa nel cuore della Città greca, a pochi passi dall’antico Tempio di Apollo, dedicandomi ad attività editoriali, al giornalismo specialistico e ad alcuni lavori di consulenza in merito ai quali non entro poiché parte di una vita ormai morta e sepolta. Non nego che seguitai anche la mia vita da giovanotto spensierato, fino al giorno in cui, correndo con la mia moto sul tratto Catania-Siracusa, accadde qualche cosa che nello spazio di pochi secondi sovvertì completamente in mio essere ed esistere, ma soprattutto, da lì a breve, il mio divenire futuro. Non è però questa la sede per entrare in certi particolari, forse ne scriverò tra svariati anni, quando sarò un vecchio prete, analizzando me stesso come uno spettatore esterno, non certo per parlare di me, ma del mistero della grazia, del mistero della vocazione al sacerdozio e del miracolo da sempre più difficile: il miracolo della fede e della conversione, perché per poterlo realizzare Dio ha bisogno di incontrare la piena libertà dell’uomo.

Mons. Vincenzo Calvo

Vincenzo Maria Calvo

Entra così nella mia vita la particolare figura di Vincenzo Maria Calvo, presbitero siracusano, uomo di grande esperienza umana, anch’egli vocazione adulta al sacerdozio. Molti sarebbero gli aneddoti da narrare su quest’uomo dotato di grande sagacia e profondo umorismo, mi limito per ciò a narrare l’episodio legato alla sua nomina a rettore del seminario arcivescovile. L’allora arcivescovo, dopo averlo accolto come candidato al sacerdozio, lo inviò a studiare a Roma, non potendo inserire nel seminario un adulto che stava per compiere trent’anni. Lo fece iscrivere all’Università Gregoriana, all’epoca ancora cattolica, facendolo alloggiare presso una casa sacerdotale. Ovviamente stiamo parlando di quasi mezzo secolo fa, perché oggi nessuno chiamerebbe “vocazione adulta” uno che inizia il percorso formativo per il sacerdozio a 29 anni compiuti. Dopo averlo consacrato sacerdote tre anni e mezzo dopo, alle soglie dei 34 anni l’arcivescovo gli fece questa proposta: «Devo nominare il vice rettore del seminario, te la senti di accettare? In fondo, non hai mai fatti un giorno di seminario, potrebbe essere un’esperienza interessante». Il giovane Padre Vincenzo rispose: «Eccellenza, non ho forse promesso, pochi giorni fa, obbedienza a lei ed a tutti i suoi successori?». Quella proposta era di fatto una nomina a rettore del seminario, perché il rettore dell’epoca era già avanti con l’età, tanto che nel giro di breve tempo il Padre Vincenzo lo sostituì. Non avere mai fatto il seminario gli “costò” così venti lunghi e felici anni di seminario, perché per due decenni fu rettore di quella casa di formazione, che lasciò 24 anni fa, dopo essere stato colpito da un ictus cerebrale, divenendo penitenziere del Santuario della Madonna delle Lacrime.

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Vincenzo Maria Calvo nel giardino del santuario mariano di Siracusa

Dopo alcuni anni di percorso svolti col Padre Vincenzo fui accolto come candidato ai sacri ordini dall’allora Vescovo di San Marino-Montefeltro. Lasciai così Siracusa, amata città adottiva nella quale avevo ricevuto il dono della vocazione al sacerdozio, per recarmi a Roma, dove per alcuni anni si sarebbe svolta la mia formazione. Prima di partire feci una solenne promessa al Padre Vincenzo: «Se Dio mi darà la grazia di diventare sacerdote, celebrerò la prima Messa all’altare di Santa Lucia, vergine e martire siracusana». Mentre eravamo in viaggio verso l’areoporto di Catania telefonammo al Vescovo, al quale Padre Vincenzo disse: « … siamo in viaggio. Una volta i padri accompagnavano i figli a prendere il treno per andare a fare il servizio militare, oggi io accompagno il figlio della mia vecchiaia a prendere la via del sacerdozio». A Roma il vescovo mi inviò presso un pontificio ateneo dove fui ammesso ai corsi specialistici in teologia dogmatica; e non potendo mettere un quarantenne in un seminario, mi affidò ad una casa sacerdotale. E così, la storia del padre, si ripeteva di nuovo attraverso il figlio …

Mons. Calvo e Ariel

Ricordi …

La Chiesa universale festeggia la martire siracusana il 13 dicembre, giorno del suo martirio, la Chiesa particolare di Siracusa la festeggia anche la prima domenica di maggio, detta anche Santa Lucia delle quaglie (2). Io ricevetti la sacra ordinazione a Roma per la festa di San Giuseppe lavoratore, il 1° maggio. La sera stessa presi l’aereo assieme a mia madre per recarmi a Siracusa ad adempiere al mio felice voto, perché quell’anno la festa di Santa Lucia delle quaglie cadeva il giorno 2. Il mattino alle 11 concelebrai l’Eucaristia con l’Arcivescovo Metropolita di Siracusa Salvatore Pappalardo, con l’Arcivescovo emerito Giuseppe Costanzo ed il Vescovo di Caltagirone Calogero Peri che aveva ricevuto la consacrazione episcopale un mese prima, ed i presbiteri presenti nella chiesa cattedrale. La sera alle ore 19 celebrai la mia prima Santa Messa nella Chiesa di Santa Lucia alla Badia, presentato dal Padre Vincenzo all’assemblea che gremiva la chiesa.

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ricordi …

Durante questa Ottava di Natale il Padre Vincenzo mi ha chiesto di amministrargli la confessione e pochi giorni dopo, prima dell’Epifania, mi ha chiesto se potevo amministrargli l’unzione degli infermi; non perché stesse male, ma perché … «un tocco d’olio santo» — disse in tono scherzoso — «alla mia età non fa mai male a nessuno».

I ricordi delle nostre uscite mi accompagneranno nel corso della vita, incluse le nostre discussioni. L’uno con l’altro riuscivamo a dirci squisitezze colorite che non è necessario ripetere, caratterizzati entrambi da una qualità: la totale assenza di quello spirito clericale che non ci ha mai sfiorati e per il quale abbiamo sempre provato entrambi santo sprezzo cristiano.

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ricordi …

All’età di 78 anni, nella notte tra la vigilia e il giorno dell’epifania, Vincenzo Maria Calvo è passato dal sonno alla morte. Lo ha trovato al mattino il rettore del Santuario, che non vedendolo giungere per la celebrazione della Messa delle 8.30 è andato a cercarlo nella sua camera, dove ha trovato il suo corpo senza vita. Ciò che il Padre Vincenzo ed io ci siamo detti un paio di giorni prima rimane sigillato nel mio cuore. Se n’è andato tanto sereno quanto consapevole che la situazione ecclesiale odierna è di fatto intrisa di risvolti drammatici. Appena sabato sera, andando a cena presso dei cari amici che hanno un agriturismo nella riserva naturale della necropoli di Pantalica, gli dissi: «Tu hai già 78 anni, io ne ho appena compiuti 51. Visti i tempi a volte mi domando: se giungerò alla tua età, che cosa dovrò vedere?». Mi ha replicato: «Speriamo di fare il grande botto prima possibile, così che si possa ripartire quanto prima a costruire da capo sopra le macerie». Su una cosa abbiamo però sempre concordato al termine dei nostri battibecchi: sulla speranza. Quando infatti tempo fa lesse un mio articolo dedicato proprio alla teologia della speranza [vedere qui], mi disse: «Solo per questo sono felice di averti guidato verso il sacerdozio».

talare romanaQuesta sera sono andato alla veglia di preghiera, ed anche se l’aria era fresca non ho indossato la veste talale invernale ma quella da mezza stagione; la talare che lui mi regalò prima della mia ordinazione diaconale, all’interno della quale è ricamata una piccola scritta nel risvolto interno del taschino: «Dono di Padre Vincenzo». Oggi presso il Santuario della Madonna delle Lacrime di Siracusa saranno celebrate le sue esequie funebri. Assieme a me ci sarà il mio caro allievo, colui di cui oggi io sono padre, mentre il Padre Vincenzo, che era il padre del padre, era suo nonno; perché la storia si ripete per mistero di grazia, attraverso noi sacerdoti che ci trasmettiamo gli uni con gli altri il divino dono della paternità pastorale, in cammino verso il Suo Regno che non avrà fine.

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(1) L’espressione “farne più di Carlo in Francia”, vuol dire combinarne di tutti i colori e trae origine dalla vita di Carlo Magno che ebbe tra l’altro almeno 6 mogli e 20 figli.
(2) La festa di Santa Lucia delle quaglie si svolge ogni anno, la prima domenica di maggio. L’evento vuole ricordare un miracolo avvenuto durante la terribile carestia che colpì Siracusa nel 1646. Il popolo, stremato dalla mancanza di cibo, si raccolse in preghiera attorno alla sua Santa Patrona. In seguito alle preghiere arrivò poco dopo un flotta di navi cariche di grano, che venne preannunciato dal volo di uno stormo di quaglie.

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Vincenzo Calvo 1

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Antonio Livi ( 1938-2020 )
Presbitero e Teologo


( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Antonio

Approfondimento della dottrina? No, è tradimento

APPROFONDIMENTO DELLA DOTTRINA? NO, È TRADIMENTO

 

L’anti-dogmatismo non è, alla fonte, soltanto un atteggiamento irrazionale, superficiale e incoerente: è molto peggio, è qualcosa di estremamente pernicioso per la vita di fede della comunità cristiana, perché nasce da un progetto teoricamente ben strutturato che mira decisamente ad attuare nella Chiesa quelle riforme che da anni Hans Küng ed i suoi discepoli, ad esempio Enzo Bianchi, hanno teorizzato come necessarie al “cammino” della Chiesa nella storia e hanno profetizzato come di imminente realizzazione […]

Autore Antonio Livi

Autore
Antonio Livi

Il termine che si sente ripetere in questi giorni, anche dopo l’intervista di Papa Francesco a La Nación, è quello della necessità di un adeguato “approfondimento” della dottrina [vedere qui]. È la tesi di Gianni Gennari [sul Corriere della Sera] a proposito dell’auspicata “retromarcia” del Magistero sui metodi naturali: grandi cambiamenti, ma che sarebbero solo “approfondimenti” della dottrina dell’Humanae vitae. Per analogia questo schema interpretativo viene applicato alla questione “sinodale”, quella della comunione per i divorziati che si sono sposati civilmente. Peraltro questa tesi è sposata anche da Andrea Tornielli (La Stampa), che già tempo fa parlava di “approfondimenti” in riferimento alla nuova dottrina conciliare sulla libertà religiosa.

etichette

… viviamo nel mondo delle “etichette”

(c) Bodleian Libraries; Supplied by The Public Catalogue Foundation

ritratto del Sommo Pontefice Pio XI

Vedendo il ricorso a questa etichetta che i media stanno applicando ai progetti di riforma della dottrina sui sacramenti (il Matrimonio, la Penitenza e l’Eucaristia) mi sono reso conto ancora una volta di quanto sarebbe auspicabile che i giornalisti si limitassero a informare sull’attualità degli eventi ecclesiali senza continuare a confondere le idee ai cattolici con le loro interpretazioni sociopolitiche [vedere mio precedente articolo qui].

Qualsiasi etichetta apposta ai fatti della Chiesa, anche se appare giornalisticamente efficace, non aiuta affatto a capire di che cosa si tratta. L’etichetta è una pretesa di interpretazione facile e rapida, “prêt-à-porter”, ma l’effetto sull’opinione pubblica è negativo, non solo per l’inevitabile superficialità di questo genere di interpretazione ma anche e soprattutto per il messaggio che indirettamente veicola. L’«approfondimento», etichetta dalla quale sono partito, non è un’eccezione alla regola: il messaggio che con essa viene veicolato è che la Chiesa cattolica, sotto il pontificato di Papa Francesco, procede rapidamente verso un mutamento sostanziale della sua dottrina morale, e di conseguenza procede ineluttabilmente verso un mutamento radicale della sua prassi pastorale, con il plauso di tutti, credenti e non credenti.

Quelli che sono etichettati come “approfondimenti” sono dunque, nelle intenzioni di chi le sponsorizza, dei mutamenti sostanziali della dottrina fin qui insegnata dal Magistero, e andrebbero pertanto etichettati piuttosto come “rottura” con la Tradizione. Si tratta infatti di “piccoli passi” nella direzione di una normativa che andrebbe a rivoluzionare la  struttura stessa della disciplina ecclesiastica, a tal punto che – se effettivamente fossero adottati dall’autorità ecclesiastica – comporterebbero una riforma radicale della dottrina: ma non nel senso indicato da Benedetto XVI («riforma nella continuità del medesimo soggetto Chiesa») ma nel senso che papa Ratzinger considerava inaccettabile, ossia di  una vera e propria “rottura” con la Tradizione, ossia con la dottrina del Magistero, dal Concilio di Trento al Vaticano II, dall’enciclica Casti connubii di Pio XI all’esortazione apostolica Familiaris consortio di Giovanni Paolo II.

familiaris consortio

esortazione apostolica di San Giovanni Paolo II

Certo, abbiamo sentito in occasione della prima fase del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, non pochi teologi e alti prelati auspicare il superamento (cioè l’abolizione) degli insegnamenti di Paolo VI (Humanae vitae) e di Giovanni Paolo II (Familaris consortio), e poi abbiamo sentito, nella medesima occasione, altri teologi e altri prelati che hanno fatto notare che questi cambiamenti  sono in contraddizione, non con dettagli senza importanza, ma con il significato essenziale, profondo, del messaggio trasmesso dalla Chiesa in quei documenti. 

Chi scava in profondità, con la ragione teologica, per scoprire quel messaggio nella sua essenza di verità rivelata, si rende conto che una proposta che risulti in netta contraddizione con esso non è che la sua negazione. Insomma, una rivoluzione, una rottura, non certamente uno dei tanti modi con cui può avvenire ed avviene di fatto che la Chiesa progredisca nella comprensione della verità rivelata, secondo la formula, teologicamente perfetta, di una «evoluzione omogenea del dogma». «Omogenea» è quell’evoluzione che porta a una dottrina che rientra nel medesimo “genere”, ossia non propone una dottrina di altro genere, bensì la medesima dottrina arricchita di modifiche accidentali, con applicazioni pastorali. Insomma, una rottura non può essere chiamata «approfondimento».

approfondimenti

Il termine «approfondimento» è usato dai “vaticanisti”, nella loro proverbiale sudditanza psicologica al linguaggio di volta in volta prevalente nella cultura di massa, perché è il termine che si usa per i commenti e i dibattiti al margine di una notizia. Se i fatti sono separati dalle opinioni, le opinioni sono l’«approfondimento». Che così si chiama perché si ripromette di approfondire il significato di una situazione di attualità o di un fatto di cronaca, senza però l’intenzione di annullarlo. Nessun approfondimento riguardo alla “mafia capitale” finisce col negare che ci sia stata un’inchiesta della magistratura e di conseguenza uno scandalo e delle gravi ripercussioni politiche. Approfondire vuol dire andare in profondità, e andando in profondità si trova  il “nucleo aletico” di un evento o di una teoria, che è ciò che nel corso dell’analisi resta tale e quale.

Se invece cambia, non si può più parlare di «approfondimento»: si deve parlare di “rivoluzione scientifica” (Thomas Kuhn). Applicando questo criterio epistemico alle discussioni in atto in ambito ecclesiale, non si può etichettare come «approfondimento» la proposta di una riforma sostanziale, che piace a chi patrocina l’avvento della nuova “Chiesa universale” di stampo “ecumenico” e “umanistico” dove siano recepite le istanze dello scisma di Oriente e della riforma luterana.

Queste mie distinzioni possono sembrare cavilli o bizantinismi astratti di fronte a questioni così vitali e coinvolgenti come l’accesso dei cattolici divorziati alla Comunione o l’uso dei contraccettivi nel matrimonio tra fedeli. Ma – dico io –  se un giornalista o un lettore di giornali non ama addentrarsi in questa problematica teologica, si occupi di altro: nessuno gli chiede di avere un parere personale in merito alle polemiche di scuola tra teologi o in merito alle nomine e alle destituzioni di alti ecclesiastici. Se si tratta di un non credente, si disinteressi di questi problemi interni della Chiesa. Se invece è credente, si interessi solo di quello che la Chiesa insegna in queste e nelle altre materie, senza preoccuparsi di interpretare le intenzioni segrete del Papa o di giudicare se al Sinodo dei vescovi abbiano ragione i conservatori o i progressisti.

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la “scorrettezza politica” del teologo domenicano Yves Congar

Nessuno vorrà seguire il mio consiglio; ma allora, se uno intende entrare nel merito di questi problemi, l’unico criterio serio di valutazione è quello teologico, non certamente quello socio-politico, che va bene solo per la cronaca di altro genere: finanziaria, parlamentare, giudiziaria. E il criterio di valutazione deve esser fornito da persone competenti, le cui considerazioni vanno analizzate con pazienza e con l’intenzione di capire nozioni complesse, legate a premesse teoriche non immediatamente intuibili e a una massa enorme di dati storici. Se si farà questo sforzo, la prima cosa che si comprenderà è che ogni vero approfondimento della dottrina rivelata è una migliore com- prensione della sua trascendenza rispetto alle vicissitudini storico-culturali.     

Detto questo, aggiungo: l’intenzione implicita di chi parla di “approfondimenti” è di far giungere all’opinione pubblica cattolica il messaggio di una nuova pastorale che dovrebbe prescindere dal dogma: non solo ignorando nei fatti ma anche proclamandone indirettamente l’inutilità o peggio ancora la funzione negativa, di “freno” alle novità che sarebbero suggerite dallo Spirito Santo.

E qui colgo l’occasione per ripetere ancora una volta che questo anti-dogmatismo non è, alla fonte, soltanto un atteggiamento irrazionale, superficiale e incoerente: è molto peggio, è qualcosa di estremamente pernicioso per la vita di fede della comunità cristiana, perché nasce da un progetto teoricamente ben strutturato che mira decisamente ad attuare nella Chiesa quelle riforme che da anni Hans Küng ed i suoi discepoli (Enzo Bianchi) hanno teorizzato come necessarie al “cammino” della Chiesa nella storia e hanno profetizzato come di imminente realizzazione.

Queste riforme, che sono ben altro che un mero “approfondimento”, snaturerebbero la Chiesa di Cristo, facendole rinnegare quella coscienza di sé come «sacramento universale di salvezza», non tanto per gli adattamenti della sua azione pastorale alle necessità contingenti (adattamenti che peraltro sono necessari, tant’è che ci sono sempre stati) quanto per il carisma dell’infallibilità (che le consente di custodire e interpretare secondo la “mente di Cristo stesso” la verità rivelata) e per la promessa dell’indefettibilità (grazie alla quale essa è sempre stata e sarà sempre santa, cattolica e apostolica, capace di amministrare il sacramenti della grazia).

modernismo 2

… un Pontefice che aveva intuito tutto

Trovo alquanto ipocrita l’uso dell’etichetta dell’ approfondimento per propagandare una riforma della Chiesa che finisca per abolire i fondamenti dogmatici della sua fede e della sua disciplina. Perché – come ho spiegato a più riprese – non esiste una prassi che non si richiami, almeno implicitamente, a una teoria, ossia a dei principi regolatori dell’azione, a delle mete da raggiungere in quanto considerate in sé positive, apportatrici di progresso e di felicità.

L’antidogmatismo non è altro che la retorica ipocrita di chi, mentre nega al dogma la sua funzione di orientamento della coscienza religiosa, opera in vista di determinati mutamenti della Chiesa che ritiene necessari per la realizzazione della sua utopia politico-religiosa. Il dogma cattolico, che è la verità rivelata da Dio in Cristo, viene messo da parte non perché lo si considera una teoria astratta dalla quale non possa derivare una prassi “aggiornata” ma perché si è scelta una teoria diversa, anzi opposta, in base alla quale si vuole favorire una prassi riformatrice o rivoluzionaria. Insomma, ci si dichiara nemici del dogma come tale, ma in realtà si è sostenitori fanatici di un diverso dogma. 

soloviev

… uno scrittore che aveva intuito tutto

Se uno ascolta tante voci di segno progressista e riformatore, noterà che alcuni, i teologi più ascoltati, hanno il coraggio di parlare chiaramente di questi principi dogmatici, riconducibili allo storicismo, declinato in chiave dialettica secondo lo schema hegeliano del «superamento mediante la negazione» (Aufhebung) del quale ho già parlato in varie occasione (vedi quello che ho scritto su Hans Kung e la sua ecclesiologia, qui). Ma tanti mediocri discepoli e timidi accoliti di questi opinion makers ecclesiali non hanno il coraggio e la capacità intellettuale di dichiarare a quale sistema ideologico e a quali principi dogmatici si ispirano nel proporre certe mutazioni della prassi pastorale come necessarie al progresso della Chiesa nel tempo che sitiamo vivendo. Ecco che allora viene fuori l’insulso discorso della pastorale che, pur rispettando a parole la dottrina, la contraddice nei fatti. E questa contraddizione la presenta ipocritamente come «approfondimento».

 

Ottava di Natale

Gesù bambino di Pinturicchio

In notte placida

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L’articolo qui riprodotto è stato pubblicato il 21 dicembre 2014 sulla rivista telematica

La Nuova Bussola Quotidiana

    

Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Il successo del Cardinale Carlo Maria Martini [versión disponible en español]

IL SUCCESSO DEL CARDINALE
CARLO MARIA MARTINI

 

Il martinismo è ancora più insidiosamente pericoloso del rahnerismo, che ne è il fondamento teologico. Infatti, Rahner ha dei princìpi gnoseologici, logici e metafisici contrari al dogma cattolico, che Martini, assai meno dotato dal punto di vista speculativo, non ha esplicitamente assunto […]

 

Giovanni Cavalcoli OP

Giovanni Cavalcoli OP

 

 

Un bisogno urgente della Chiesa di oggi, a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II, è ancora quello di un sua retta e pienafrancobollo concilio applicazione, cosa che non esclude la necessità o l’opportunità di alcune modifiche o correzioni di alcune direttive pastorali, che soprattutto alla prova dei fatti, si sono rivelate meno prudenti o addirittura controproducenti.

Per quanto invece riguarda l’aspetto dottrinale o dogmatico del Concilio, il problema, ancora dopo tanto tempo, resta quello della retta interpretazione, a causa di un linguaggio non sempre chiaro, di alcune sue dottrine, soprattutto quelle nuove, che esplicitano e sviluppano i dati di fede tradizionali.

Il Magistero della Chiesa, in questi cinquant’anni, si è molto adoperato per spiegare il vero senso delle dottrine conciliari — basti pensare le encicliche del Beato Paolo VI o di San Giovanni Paolo II o il Catechismo della Chiesa Cattolica —; ma nel contempo non ha operato abbastanza per correggere le cattive interpretazioni, soprattutto di marca modernista, che nel corso del tempo hanno preso sempre più piede procurandosi la patente di interpretazione migliore, più moderna e avanzata di quella proposta dagli stessi Pontefici, che essa è riuscita a far apparire a molti come superata e legata alla teologia del pre-concilio.

maradiaga col sax

“Pop&Rock”. Il Cardinale Oscar Maradiaga e la nuova pastorale sassofonica. Nulla da dire: i tempi cambiano ed è bene che cambino. Senza però andare ai “tempi sospetti” del pre Concilio Vaticano II e rimanendo invece nell’ambito dei pontificati dei pontefici del post concilio, una domanda sorge spontanea: come avrebbero reagito San Giovanni XXIII ed il Beato Paolo VI, ma forse anche il  San Giovanni Paolo II degli anni Ottanta, dinanzi ad una immagine del genere? Lo avrebbero nominato membro di un gran consiglio di saggi cardinali? Meditate gente, meditate …

Purtroppo i Pontefici nel tentativo generoso di conservare il dialogo con i modernisti, non si sono sufficientemente difesi da queste accuse, sicchè è successo che essi stessi hanno in qualche modo permesso, forse per non provocare mali maggiori, che nel mondo cattolico si diffondesse e si affermasse una duplice visione della Chiesa e del cattolicesimo, quasi due correnti di pari legittimità e coesistenti nonostante i contrasti tra di esse: una corrente di maggioranza, o quanto meno assai potente ed influente a tutti i livelli della Chiesa, pastori e fedeli, con esponenti presenti nella stessa gerarchia e collegio cardinalizio, e soprattutto negli ambienti teologici e accademici, forte di potenti mezzi pubblicitari, espressione dell’interpretazione modernistica del Concilio, e una corrente di minoranza, fedele all’interpretazione dei Pontefici.

Questa corrente modernista sa nascondere bene le sue radici dirompenti e demolitrici e la sua doppiezza sotto le apparenze di un cattolicesimo moderno, colto, gradevole, moderato, accomodante, mitigato, tollerante, comprensivo, aperto, ecumenico, tranquillo ed operoso, nemico delle esagerazioni e dei fanatismi.

Un cattolicesimo signorile e garbato, barcamenante ed opportunista, astuto e manovratore, che calma le ire, attenua i contrasti, amante del pluralismo e della diversità, ammorbidisce le posizioni, evita le polemiche, le rigidezze e le puntigliosità dottrinali, conosce la buona educazione, media tra gli opposti, che tutti rispetta, tutti accetta, tutti comprende, tutti scusa, per tutti ha compassione, a tutti è aperto, tutti salva, di nessuno è nemico, di tutti è amico, almeno a parole.

sepolcri imbiancati

raffigurazione pittorica dei sepolcri imbiancati

Si tratta di una bella facciata, seducente e grandiosa, che però già ad uno sguardo attento mostra delle crepe e delle pezze, dietro alle quali non è impossibile scorgere il vuoto, il nichilismo e lo squallore. Un gigante dai piedi di argilla. E questo perchè manca un sincero amore per la verità e per i valori assoluti, manca l’onestà e la limpidezza intellettuale, mancano le basi e le certezze metafisiche, sostituite dal dubbio, dagli espedienti, dalle convenienze soggettive, dal relativismo e dal lassismo morale, dallo scetticismo, dall’accomodamento diplomatico, dall’erudizione scintillante, dalla banale bonomia, dalla finta pietà.

Quando lavoravo in Segreteria di Stato negli anni Ottanta mi parlavano del Cardinale Carlo Maria Martini come di un personaggio che pretendeva di porsi in alternativa al Papa, ed egli non si è mai smentito: fino a pochi mesi prima della morte, sul Corriere della Sera, osò affermare che la Chiesa di Ratzinger è rimasta indietro di due secoli [vedere qui]. Ancora sul medesimo quotidiano della massoneria, sempre in quel periodo, disse, con apparente contraddizione, che mai la Chiesa è andata bene come ai nostri giorni e citò Karl Rahner come esempio di grande maestro.

1985 Loreto. Il Cardinale Carlo Maria Martini

Immagine del 1985. Carlo Maria Martini, 57 anni, da cinque anni arcivescovo metropolita di Milano e da due anni cardinale. Nell’aspetto e nel modo di porgersi il porporato ha indubbiamente rappresentato una tra le più belle figure del collegio cardinazio degli ultimi cinquant’anni.

Come sappiamo, alla morte degli ultimi Papi, i grandi emissari dei poteri modernisti facevano regolarmente il nome di Martini, ma lo Spirito Santo, come era da sperare e da attendersi da parte dei buoni, è stato di diverso avviso. In altra occasione Martini disse che per salvarsi non occorre la Chiesa, ma basta lo Spirito Santo, contraddicendo in ciò il Concilio di Firenze del 1439-1442, il quale invece ha la famosa sentenza Extra Ecclesiam, nulla salus, il che, naturalmente, non vuol dire che Dio non possa salvare con mezzi a Lui solo noti, come dice il Vaticano II, chi non per sua colpa non ha sentito la predicazione del Vangelo [rimando a questo nostro articolo, qui]. Ma ciò non vuol dire che non appartenga alla Chiesa. Le appartiene senza saperlo.

Famosa poi è la tesi del Cardinale Martini, secondo la quale «c’è in noi un ateo potenziale che grida e sussurra ogni giorno le sue difficoltà a credere» [vedere qui], sicchè la fede non è certezza assoluta ed indiscutibile, ma continuo dibattito ed incertezza mai risolta tra il sì e il no. Non è difficile immaginare quale condotta morale può scaturire da idee del genere. E difatti sono note le sue posizioni lassiste in etica sessuale e il favore che egli accorda al sacerdozio della donna, al falso profetismo di Enzo Bianchi, oltre al suo ecumenismo relativista e buonista, sulla linea di quello del Cardinale Walter Kasper. Inoltre, in molte occasioni, ho avuto modo di ricevere e di udire lamentele da preti e seminaristi formati alla scuola di Milano.

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Immagine del 2002. Carlo Maria Martini, fu veramente un uomo capace di vedere lontano?

Non mettiamo in discussione la grande preparazione biblica di Martini; ma ci chiediamo a che serve tanta dottrina, se poi manca una fedeltà al Magistero della Chiesa, che dovrebbe essere esemplare in un Cardinale di Santa Romana Chiesa, senza che questo grave errore avvicini Martini al luteranesimo? Notevole è stata la sua presentazione del libro di Vito Mancuso sull’anima [vedere qui], dove il Cardinale si barcamena tra il sì e il no evitando di condannare come avrebbe dovuto con nettezza e sdegno, — ma a questo punto non poteva fare la presentazione —, gli orribili errori del falso teologo, cosa che certo ha accontentato le centinaia di migliaia di ammiratori di entrambi, ma non so quanto accontenti una netta coscienza di cattolico e di uomo ragionevole. Mi fermo qui e non vado oltre. Già questo saggio è significativo.

Il martinismo secondo me è ancora più insidiosamente pericoloso del rahnerismo, che ne è il fondamento teologico. Infatti, Rahner ha dei princìpi gnoseologici, logici e metafisici contrari al dogma cattolico, che Martini, assai meno dotato dal punto di vista speculativo, non ha esplicitamente assunto. Tuttavia Rahner possiede anche l’abilità di tradurre in termini accessibili e concetti semplificati ed addirittura popolari, assai seducenti, le sue astruse, complicate e contorte elucubrazioni pseudo trascendentali. Egli è molto abile nel relativizzare la concettualità del dogma con la sua “esperienza atematica preconcettuale” (Vorgriff) e la sua gnoseologia evoluzionista e modernista, ma poi sa usare con estrema abilità la più articolata e studiata concettualità per istillare nella mente degli sprovveduti i suoi errori. Si serve del concetto per distruggere il valore del concetto e per sostituire il concetto falso a quello vero.

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Carlo Maria Martini durante un solenne pontificale ambrosiano. Quando sedeva sulla Cattedra di Sant’Ambrogio, la sua figura incuteva una sorta di sacra venerazione

Rahner, certo, non è un esegeta ma un teologo o si picca di essere teologo o è considerato tale da coloro che non sanno che cosa è la teologia; ed a tal proposito potremmo chiedere ad Antonio Livi che cosa ne pensa. Ora è vero che il teologo non prende in considerazione i singoli temi biblici per commentarli. A lui è necessario e sufficiente citare i passi biblici sui quali fondare le sue tesi teologiche. Ma queste citazioni non hanno bisogno di essere frequenti e sistematiche, come avviene nell’esegeta o nel biblista o anche nel teologo biblico. Il teologo in senso proprio e stretto, sopratutto quello sistematico o speculativo, ossia il vero teologo che non esprima semplicemente un pensare religioso o vagamente cristiano, costruisce il suo sapere mediante rigorosi ragionamenti e saldi princìpi filosofici e metafisici, sempre sottomesso alla dottrina della Chiesa.

Ora, Rahner, benchè esplicitamente sostenitore del principio sola Scriptura, come Lutero, e trascuri la Tradizione, rarissimamente cita passi della Scrittura, perchè sa bene che quasi sempre gli sarebbero contrari; pensiamo per esempio ai passi della Scrittura che trattano dell’importanza dei concetti dogmatici, del Magistero della Chiesa, della Tradizione, dell’assolutezza dei contenuti della legge morale, del libero arbitrio, della composizione dell’uomo di anima e corpo, del merito, del peccato e della grazia, del paradiso, del purgatorio e dell’inferno, della Parusia di Cristo alla fine del mondo, del valore del sacerdozio e del sacrificio della Messa, ecc..

carlo maria martini anziano

Carlo Maria Martini anziano e ammalato, poco prima della sua scomparsa, conservava sempre la virile bellezza della sua figura ed il suo aspetto solenne.

Martini, partendo da Rahner, trattenuto ancora da un certo pudore o forse prudenza, elabora un cattolicesimo che, se non assume il panteismo rahneriano, tuttavia raccoglie il suo antropocentrismo buonistico filo-luterano, e, si noti bene, di un luteranesimo ancora più lontano dal cattolicesimo di quanto fosse lo stesso Lutero, giacchè il biblicismo martiniano è quello che Rahner esplicitamente desume da Bultmann, noto protestante liberale del secolo scorso, seguace di Heidegger come lo fu lo stesso Rahner.

Martini dunque attenua l’hegelismo rahneriano ed elabora un cattolicesimo vicino a Lutero, senza tuttavia separarsi pienamente dalle eresie di Lutero, nè da quelle di Rahner. Un cattolicesimo di compromesso che vuole essere cattolicesimo, ma senza staccarsi del tutto, per un malinteso, opportunistico e confusionistico ecumenismo, nè da Rahner, nè da Lutero. Si tratta di una falsa interpretazione dell’ecumenismo voluto dal Concilio; ma in ciò stanno le ragioni del successo del biblicismo martiniano.

Il problema posto dal martinismo è che esso, per la sua rispettabilità, il suo prestigio, la sua apparente moderazione e il suo successo internazionale, sempre in apparente armonia con la Santa Sede, si è affermato nel collegio cardinalizio costituendovi una potente corrente, che assai probabilmente appoggia quella kasperiana e degli altri cardinali filorahneriani o filomodernisti. Tuttavia è facile immaginare che all’interno del sacro collegio esista attualmente una situazione di forte disagio, data dal fatto che anche il martinismo, per quanto sia un rahnerismo mitigato e addolcito, non è del tutto libero dai princìpi corruttori e dissolventi del rahnerismo, strettamente congiunto con l’eresia luterana nei suoi ulteriori sviluppi hegeliani ed heideggeriani.

 

carlo maria martini feretro

Carlo Maria Martini fu uomo dallo sguardo malinconico, anche quando sorrideva. Elegante e ieratico, da vivo e da morto. Nel proprio aspetto sobrio ma solenne la sua figura ha sempre personificato un modello di Principe della Chiesa. Per intercessione di Sant’Ambrogio vescovo e dottore della Chiesa, di cui egli fu per oltre due decenni successore, possa riposare in pace nella grazia di Dio.

Ciò che dunque noi “ragazzi” dell’Isola di Patmos auspichiamo e per cui preghiamo è che la corrente migliore del collegio cardinalizio, che si è espressa nel recente sinodo contro la tendenza separatista, libera da tentazioni moderniste o conservatrici, voglia esser vicina al Santo Padre nel compito che con sempre maggiore urgenza gli si impone, grazie all’assistenza dello Spirito Santo e l’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa e Regina degli Apostoli, di svolgere con chiarezza, decisione, saggezza ed energia la sua insostituibile funzione di principio e garante dell’unità della Chiesa, inducendo a penitenza i peccatori, abbassando i superbi, confortando i deboli, riconciliando tra di loro le fazioni avverse, nell’ armonia tra le correnti diverse nella reciprocità dei doni ricevuti, nella vittoria sulle forze sataniche, per la comune edificazione del regno di Dio e l’irraggiamento del Vangelo a tutto il mondo.

Fontanellato, 12 dicembre 2014

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Canto d’Avvento di Rito Ambrosiano: Quoniam Tu Illuminas

Gli Autori dell’Isola di Patmos promuovono la tutela del patrimonio del buon canto e del latino liturgico