L’ecclesiologia storicista di Hans Küng
L’ECCLESIOLOGIA STORICISTA DI HANS KÜNG
[…] Küng rappresenta l’inventore degli schemi concettuali che reggono le tante proposte rivoluzionarie avanzate in questi mesi da teologi ed esponenti dell’episcopato mondiale in occasione del Sinodo straordinario sulla famiglia indetto da Papa Francesco.
Il teologo svizzero Hans Küng, nella sua lunga vicenda umana e intellettuale, non ha mai dismesso il suo “abito di scena”, che è quello del “cattivo maestro” in polemica con il magistero autentico della Chiesa cattolica. I suoi temi prediletti sono quelli che ieri venivano riproposti dall’arcivescovo di Milano, cardinale Carlo Maria Martini, e oggi vengono volgarizzati dalla letteratura pseudo-profetica di Enzo Bianchi. Sono la riforma della Chiesa, l’abolizione del primato pontificio, una “nuova” morale indirizzata ad attuare la “rivoluzione sessuale” sessantottina — di stampo freudiano-marxista —, la concessione del sacerdozio alle donne, l’eutanasia. Ultimamente Küng, ammalato di Parkinson, è giunto ad annunciare l’intenzione di ricorrere egli stesso al suicidio assistito, a imitazione del cardinal Martini.
La carriera di Küng inizia negli anni Sessanta con interventi significativi nella fase preparatoria del Concilio. Con l’andar del tempo, le sue posizioni di aperta contestazione hanno trovato sempre più spazio sui giornali, con articoli o con interviste mirate su questo o su quel tema, conquistando cosi una significativa notorietà non solo dentro i circoli teologici, ma anche presso il grande pubblico. Uno degli snodi della sua battaglia polemica e stata ed è la virulenta contestazione dell’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI: l’ideale sacramentale — e perciò certamente divino, ma proprio per questo misterioso — della famiglia e della procreazione cristiane viene ridotto da Küng a restaurazione medievale, fino ad accusare il documento paolino e le successive affermazioni dei pontefici sul tema, «la causa principale della diffusione dell’Aids nel mondo».
La polemica di Küng, negli anni, ha investito innanzitutto il pontificato di san Giovanni Paolo II [vedere qui, qui, qui] e poi di Benedetto XVI [vedere qui, qui] il primo considerato reazionario, il secondo addirittura scismatico. Ma è sul beato Paolo VI, il papa che portò a compimento il Vaticano II, che infierì la polemica del teologo svizzero, che non poteva tollerare la sua genuina intuizione riformatrice del Concilio, alla quale opponeva una chiave di lettura fuorviante — perché storicistica e umanistica — che faceva leva sul «concilio dei mass media», come acutamente ebbe poi a dire Benedetto XVI.
Küng rappresenta l’inventore degli schemi concettuali che reggono le tante proposte rivoluzionarie avanzate in questi mesi da teologi ed esponenti dell’episcopato mondiale in occasione del Sinodo straordinario sulla famiglia indetto da Papa Francesco. Sarà dunque istruttivo tracciare un profilo dottrinale dell’ecclesiologia del teologo svizzero. L’ecclesiologia di Hans Küng merita infatti di essere ben conosciuta perché oggi essa non ha un peso teologico marginale, anzi costituisce proprio l’ideologia filosofico-religiosa dominante in ambito cattolico. Le categorie concettuali e le fonti letterarie principali sono quelle della Riforma luterana e della filosofia religiosa di matrice luterana, rappresentata nell’Ottocento dal sistema idealistico di Georg Friedrich Hegel e nel Novecento dalla «dogmatica ecclesiale» — die Kirchliche Dogmatik — di Karl Barth. I capisaldi di questa ideologia filosofico-religiosa sono rappresentati dallo storicismo e dalla dialettica immanentistica. La Chiesa cattolica viene così interpretata come un momento storico della dialettica dello Spirito — inteso, questo, non tanto come lo Agion Pneuma del dogma cattolico quanto piuttosto come «der Geist» di Hegel —, la quale mira a uno svolgimento nel prossimo futuro che vedrà, come prima tappa, l’abbattimento delle barriere dottrinali tra cattolici e protestanti — con la piena accettazione della concezione luterana della «giustificazione per sola grazia» — e la costituzione di una sola “Chiesa di Cristo” (ecumenismo). Infine, come seconda e definitiva tappa, la costituzione di una “Chiesa universale” su base esclusivamente etico-politica (la «Weltethik»). Tale ideologia pervade oggi, come sottofondo ben identificabile a un’attenta analisi concettuale, la maggior parte delle proposte, dottrinali o pastorali, dei teologi cattolici più in vista, a cominciare da Karl Rahner, che lo stesso Hans Küng considera un maestro e un modello nell’adottare in teologia la dialettica di Hegel (1).
Questi teologi cattolici, molti dei quali divennero vescovi, esercitarono una ben documentata influenza sui lavori del Vaticano II, per poi assumere il ruolo (arbitrario) degli unici interpreti autorevoli del Concilio nel successivo cinquantennio, fino ad arrivare, oggi, alla preparazione e allo svolgimento dei lavori del duplice Sinodo sulle possibili modifiche della prassi pastorale in relazione ai problemi delle famiglie.
Figura di spicco di questa corrente teologica è il cardinale Walter Kasper, sostenuto da gran parte dell’episcopato tedesco e in Italia da altri teologi divenuti cardinali come Dionigi Tettamanzi e Gianfranco Ravasi. La sua tesi più caratteristica, in linea con le proposte teologico-morali di Hans Küng, è la necessità di accelerare il processo di riforma della Chiesa con un più deciso adattamento alla coscienza morale degli «uomini del nostro tempo» e l’allineamento con la prassi delle comunità ecclesiali protestanti e ortodosse. Nel suoi discorsi il Leitmotiv è la necessità di de-dogmatizzare la Chiesa cattolica, cominciando da una nuova pastorale della famiglia separata e indipendente dalla dottrina sui sacramenti, provvisoriamente non abolita ma tenuta in disparte (2). In Italia, l’ideologia ecclesiologica di Hans Küng, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto “ecumenico”, è divulgata e incessantemente riproposta da Enzo Bianchi, “priore” della comunità di Bose, molto ascoltato dalla maggioranza dei vescovi e anche presso la Santa Sede (3).
I PRESUPPOSTI DOTTRINALI DEL PROGETTO
KUNGHIANO DI RIFORMA DELLA
CHIESA CATTOLICA
Per comprendere bene, nei suoi contenuti teorici e nella sua portata pratica, l’ecclesiologia di Hans Küng, è indispensabile accennare ad alcuni dati biografici, sulla scorta delle opere nelle quali il teologo svizzero ha narrato il processo della sua formazione intellettuale (4). Da questi dati risulterà assai chiaramente l’indole luterano-idealistica delle sue intenzioni riformatrici e del suo ideale di vita ecclesiale cattolica, sulla base della sua particolare concezione del sacerdozio e della pastorale, presenti in ogni sua opera, dalla giovanile Rechtfertigung alle opere della maturità come Existiert Gott? e al “manifesto” conclusivo della “Chiesa futura”, ossia il Projekt Weltethos.
Hans Küng, nato nel 1928, si forma in un ambiente dove si pratica di fatto un certo “dialogo inter-religioso”, per via del contatto quotidiano, nella stessa classe, con cattolici, protestanti ed ebrei (5). Anche se aveva pensato di diventare medicoo architetto, «tendeva a qualcosa che fosse insieme più spirituale e più concreto, più utile ai giovani, perciò decise di diventare sacerdote e teologo cattolico» (6). In seguito, tali tendenze diverranno molto più accentuate, avranno cioè più evidenza e risonanza nella sua produzione. Lo dimostrano opere come Wahrhaftigkeit e Christ sein, e poi la sua attività romana come assistente spirituale di impiegati e a Sursee come predicatore in ospedale (7).
Giunto a Roma, nel 1948, Küng entra come seminarista al Pontificio Collegio Germanico e studia filosofia e teologia all’Università Gregoriana. Al Germanico, in quegli anni, vi si trovavano studiosi quali Emerich Coreth, Wilhelm Klein, W. Kern, tutti impegnati nello studio della filosofia hegeliana. Proprio in quel periodo, nel 1952, Coreth aveva dato alle stampe un suo saggio, intitolato Das dialektische Sein in Hegels Logik. Come afferma lo stesso Küng, da lui egli imparò a interpretare la spiritualità sacerdotale e lo zelo pastorale in termini storicistici e dialettici, in opposizione frontale con le direttive dottrinali del Magistero di Pio XII, che includevano anche la raccomandazione di non abbandonare la metafisica e la logica insite nella tradizione teologica cattolica:
«Probabilmente non avrei resistito in quei sette anni senza il mio padre spirituale al Collegio Germanico, Padre Wilhelm Klein, il quale – preparato da una molteplice attività come professore di filosofia, come provinciale della provincia gesuita della Germania del Nord e come visitatore per la Compagnia di Gesù dalla Scandinavia fino al Giappone – portava con sé un orizzonte di vedute raro e molto ampio […]. Egli era anche l’uomo che per primo mi rese attento riguardo a molti problemi filosofici e teologici scottanti. Con lui parlavo soprattutto di Hegel e poi di Karl Barth. E a lui per primo mostravo i miei brevi manoscritti teologici, che redigevo da solo e che egli per lo più prima stroncava nel modo più tagliente per poi costringermi ad un pensare veramente dialettico, che includesse già nella sintesi anche il contrario» (8).
E fu proprio Klein che indusse «in maniera decisiva» il giovane Küng a scegliere come argomento di tesi dottorale la teologia barthiana. In un altro suo libro, Küng, nel ringraziare per l’aiuto ricevuto nella stesura del testo, ricorda con gratitudine Coreth, Klein, Kern come suoi «venerabili maestri al Collegio Germanico-Ungarico in Roma», che, insieme ad altri, «mi hanno dato suggerimenti decisivi per la mia teologia in generale e per la comprensione di Hegel in particolare» (9).
Negli anni che vanno dal 1951 in poi Küng si dedica principalmente allo studio della teologia dialettica di Barth, e sul teologo di Basilea redige nel 1955 la tesi di Licenza sotto la guida di uno dei suoi professori di dogmatica alla Gregoriana, cioè Maurizio Flick, che poi sarebbe divenuto famoso per la sua teoria sulla riduzione del dogma del peccato originale a mero mito delle origini. E a Barth Küng riconosce poi di essere riconoscente per avergli consentito di comprendere la valenza propriamente teologica della filosofia di Hegel, cancellando quindi non solo la distinzione tra teologia cattolica e teologia luterana ma anche tra teologia e filosofia. Rechtfertigung. Die Lehre Karl Barths und eine katholische Besinnung è la prima opera di Küng e dimostra la passione con cui il teologo di Tübingen si dedicò ad assimilare il pensiero barthiano nei sette anni di permanenza al Collegio Germanico; lo stesso Karl Barth volle poi sottolinearlo pubblicamente:
«La mia gioia proviene anzitutto dall’apertura e dalla fermezza con la quale lei, al Collegio Germanico di Roma […] quale coraggioso compatriota ha studiato pure i miei libri ed ha chiarito dialetticamente a se stesso il fenomeno teologico che vi riscontrava» (10).
Altro autore studiato con passione era de Lubac, allora al centro di inevitabili polemiche per il suo libro Surnaturel. Études historiques (Paris 1946) che metteva in discussione la dottrina tradizionale circa la gratuità dell’ordine soprannaturale. Tali dispute, insieme a quelle su altri problemi relativi al poligenismo, all’evoluzionismo, al comunismo, condussero alla decisa presa di posizione di Pio XII con l’enciclica Humani generis (1950). Lo studioso cattolico Antonio Russo, dell’Università di Trieste, ammiratore di Henri de Lubac e di conseguenza molto comprensivo nei riguardi di Küng, dipinge a tinte fosche la situazione dottrinale, pastorale e disciplinare della Chiesa pre-conciliare, immedesimandosi nella visione della Chiesa che era tipica dei progressisti, e con loro del giovane seminarista svizzero Hans Küng:
«In quegli stessi anni, poi, il clima spirituale dominante a Roma è tutt’altro che aperto alle novità. Riviste come La Civiltà Cattolica ospitano non di rado articoli come Perenne vitalità del Papato; Azione pacificatrice del Papato nelle età antiche; Azione pacificatrice e caritatevole del Papato nell’età contemporanea; Il Vaticano faro di progresso culturale. Si scomunicano i comunisti e chi offre loro appoggio; si indicono solenni pellegrinaggi, atti di devozione mariana e di “entusiasmi addirittura plebiscitari”; si proclama il dogma dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, l’Anno Santo del 1950, l’Anno Mariano del 1954. Il giovane teologo, comunque, vive continuamente a contatto sia con la “teologia romana” sia con l’ambiente spirituale e culturale del Germanico, trovandosi a disagio e in pericolo di far naufragare la sua conversio romana. Tanto che le sue letture si orientano verso l’approfondimento di posizioni e autori come Hegel, de Lubac, ma soprattutto di Karl Barth, il cui studio lo plasmerà in maniera duratura, perché gli aprirà “den Zugang zur evangelischen Theologie”, spingendolo ad appassionarsi per la teologia» (11).
Come si vede, l’influsso ricevuto da Küng nei primi anni della sua formazione è di stampo decisamente luterano, e luterana è la concezione di Chiesa e di teologia ecclesiale che fin dagli inizi orienta i suoi studi. Il risultato è un metodo teologico che procede a partire dalla sostanziale eliminazione del magistero ecclesiastico – soprattutto quello pontificio – come criterio di base per l’interpretazione scientifica della fede. Anche la vita concreta della Chiesa – la liturgia, la pietà popolare – è vista come “da fuori”, come qualcosa da superare o eliminare del tutto perché appartenente alla “Chiesa del passato”, che deve lasciare spazio alla “Chiesa del futuro”.
Küng avverte un aspro fastidio verso il culto mariano che la Chiesa professa e pratica, e conseguentemente è portato a svalutare, non solo della devozione popolare ma anche un solenne pronunciamento dogmatico come quello del 1954 relativo all’Assunzione in Cielo, in corpo e anima, della Beata Vergine Maria. Avendo disconosciuto la potestas docendi della Chiesa gerarchica, Küng al posto del Magistero adotta come criterio-guida per la teologia, ossia per l’interpretazione di quella che Küng chiama sempre «der christlischer Glaube» (mai «der katholischer Glaube»), il pensiero del luterano Karl Barth, il quale a sua volta introduce Küng a una pratica della teologia ispirata esclusivamente alla dialettica hegeliana.
LE CONSEGUENZE TEOLOGICHE
DELL’ADOZIONE DELLA DIALETTICA
HEGELIANA
Occorre rilevare a questo punto che queste premesse metodologiche fanno sì che il discorso sulla Chiesa svolto da Küng non sia propriamente teologico: nessuna delle sue tesi può essere considerata – da un punto di vista rigorosamente critico-epistemologico – come ipotesi scientificamente ammissibili, come una quaestio teologica disputata, perché il metodo da lui seguito non è affatto quello proprio della teologia ecclesiale ma è piuttosto quello di una “filosofia religiosa”, nel senso preciso che io do a questo termine nel mio trattato su Vera e falsa teologia (12). e che il pensiero di Küng sia da considerare mera “filosofia religiosa” dipende non solo dal fatto che si ispira alla dialettica di Hegel – il quale esplicitamente riduce la teologia cristiana alla filosofia, e questa a una «Phanomenologie des Geistes» (13) – , ma anche dal fatto che nemmeno il pensiero di Barth trascende gli angusti limiti metodologici della “filosofia religiosa”; infatti, come ebbi a ribadire anche in un dialogo epistemologico con Brunero Gherardini (14), il presupposto luterano della «sola Scriptura», con l’esclusione a priori del magistero ecclesiastico dalla determinazione scientifica dell’oggetto della teologia (che altro non può essere se non la fede della Chiesa), fa sì che ciò che lo studioso denomina «der christlischer Glaube» o «das Wort Gottes» resti indeterminato, o comunque determinato soltanto da scelte soggettive, e quindi ridotto a dati ricavabili solo dall’incerta fenomenologia della coscienza individuale o storico-comunitaria, quella che è deputata a interpretare la Scrittura senza bisogno di un magistero ecclesiastico. Ora, non si può elaborare una scienza senza la chiara determinazione del suo specifico oggetto, al quale dipende poi l’adozione del metodo più adeguato a interpretarlo. Una teologia che non abbia per oggetto la fede della Chiesa (e non il «sentimento di fede» soggettivo di qualcuno, all’interno o al di fuori della Chiesa) non può essere considerata “teologia” nel senso cattolico del termine, ossia come teologia ecclesiale. E, all’interno di tale teologia, l’ecclesiologia di chi non collega direttamente ed essenzialmente la fede della Chiesa al magistero della Chiesa si riduce a un ambiguo discorso religioso che poi finisce per adottare i temi e i modi retorici di una a ideologia socio-politica, come è avvenuto con le ultime opere di Hans Küng, come Projeckt Weltethos, che ben poco si differenziano, nella sostanza, da analoghe opere di propaganda dell’ideologia universalistica di ispirazione teosofica o massonica. Infatti, per esplicita ammissione di Küng, solo a seguito dell’incontro con le opere di Barth:
«wurde mir klar, was Theologie als Wissenschaft sein kann. Barths kritischkonstruktive Auseinandersetzung mit der gesamten christlichen Tradition […] setzte für mich bleibende Masstäbe theologischen Denkens und Handelns» (15).
Per dirla in termini ancora più espliciti, e anche più rigorosi dal punto di vista epistemologico, l’ecclesiologia di Hans Küng non va considerata come “una teologia con qualche errore”: essa è piuttosto la negazione stessa della “teologia come scienza” (die Theologie als Wissenschaft), in quanto il modo di riferirsi alla Chiesa di Cristo – quel mistero della fede cristiana che la scienza teologica dovrebbe assumere come proprio oggetto specifico e prendere in esame – mostra chiaramente che Küng si riferisce ad altro. Quando parla di “ecumenismo”, sembra che si riferisca semplicemente a qualcosa di sociologicamente rilevabile – che egli individua nel “minimo comun denominatore” delle varie “confessioni di fede” elaborate dalle comunità cristiane. Questo qualcosa di sociologicamente rilevabile gli serve poi – proprio come fa Hegel nel disegnare le sue sintesi storiche della coscienza religiosa – per elaborare il progetto della “religione universale”, che segnerebbe il superamento della Chiesa cattolica e di tutte le altre confessioni cristiane, nell’unità dialettica con l’Islam, con il buddismo, con l’induismo e anche con l’ateismo. Le richieste che oggi Küng avanza per accelerare la “riforma della Chiesa” (l’annullamento di fatto del magistero ecclesiastico e soprattutto del primato del Papa, la sinodalità nel governo della Chiesa, abolizione del celibato ecclesiastico, l’ammissione delle donne al sacerdozio ordinato, il riconoscimento del matrimonio omosessuale, l’accettazione dell’eutanasia eccetera) non sono altro che la preparazione di ciò che ineluttabilmente avverrà domani, quando si realizzerà pienamente il destino insito nell’essenza stessa della Chiesa come fenomeno (= manifestazione momentanea) dello Spirito. Nulla di diverso, sia nei termini che nei concetti, da quello che Hegel diceva nell’opera giovanile Lo spirito del cristianesimo e il suo destino; ma nulla di simile a quello che è un discorso propriamente teologico, che inizia con l’accettazione senza riserve della verità rivelata (il dogma) e continua con l’elaborazione di ipotesi di interpretazione razionale che hanno come strumento privilegiato la metafisica. Come giustamente aveva osservato all’inizio del Novecento Réginald Garrigou-Lagrange, in polemica con i modernisti e con i teologi cattolici convinti di poter conciliare il dogma con l’evoluzionismo di Bergson, la verità della fede, contenuta nelle “formule dogmatiche”, non può essere compresa dai credenti se non sulla base delle evidenze del “senso comune”, che sono sostanzialmente di natura metafisica e che a loro volta costituiscono la premessa razionale per l’interpretazione scientifica del dogma, ossia per la teologia (16). In effetti, senza la metafisica e senza la logica che ad essa è intrinsecamente collegata, soprattutto senza il principio di non-contraddizione, il dogma non è più la verità divina custodita dalla Chiesa ma può e deve essere contraddetto dialetticamente, in conformità con i mutamenti culturali e sociali (17). Questo è quanto arriva a sostenere Küng in die Kirche (1967) e in Unfehlbar? Eine Anfrage (1970):
«Ogni formula di fede, non solo nell’individuo ma anche nella chiesa intera, resta imperfetta, incompleta, enigmatica […] questa frammentarietà non si fonda soltanto sul carattere spesso polemico e angusto delle formule dottrinali della chiesa, ma sul carattere necessariamente dialettico di ogni umana affermazione della verità […]. Ogni proposizione può essere vera e falsa» (18).
Sicché non sorprende che la Congregazione per la dottrina della fede emanasse il seguente monitum:
«La Congregazione per la dottrina della fede adempiendo il proprio compito di promuovere e tutelare la dottrina della fede e dei costumi in tutta la chiesa ha sottoposto all’esame le due opere del professore Hans Küng, La chiesa e Infallibile? Una domanda, che sono state pubblicate in diverse lingue. Con due diverse lettere, datate rispettivamente 16 maggio 1971 e 12 luglio 1971, la congregazione notificò all’autore le difficoltà che trovò nelle sue opinioni e lo pregò che spiegasse per iscritto come tali opinioni non contraddicano la dottrina cattolica. Con una lettera del 4 luglio 1973 la congregazione offerse al professore Küng una ulteriore possibilità di spiegare le proprie idee mediante un colloquio. Con una sua lettera del 4 settembre 1974 il prof. Küng tralasciò anche questa possibilità. D’altra parte con le sue risposte non provò che alcune opinioni circa la chiesa non contraddicano la dottrina cattolica ma continuò a sostenerle anche dopo la pubblicazione della dichiarazione Mysterium ecclesiae. Perciò affinché non rimangano dubbi circa la dottrina che la Chiesa Cattolica professa e perché la fede dei cristiani non sia in alcun modo offuscata, questa sacra congregazione, richiamando la dottrina del magistero esposta nella dichiarazione Mysterium ecclesiae dichiara: Nelle opere sopradette del prof. Hans Küng sono contenute alcune opinioni che, in diverso grado, si oppongono alla dottrina della Chiesa Cattolica che deve essere professata da tutti i fedeli. Notiamo soltanto le seguenti di maggior rilievo prescindendo ora da un giudizio circa alcune altre che il prof Küng difende. L’opinione che pone almeno in dubbio lo stesso dogma di fede della infallibilità della Chiesa e lo riduce ad una certa fondamentale indefettibilità della Chiesa nella verità, con la possibilità di errare nelle sentenze che il magistero della Chiesa in modo definitivo insegna di credere, contraddice la dottrina definita dal concilio vaticano I e confermata dal concilio vaticano II. Un altro errore che pregiudica gravemente la dottrina del prof. Küng riguarda la sua opinione sul magistero della Chiesa. In realtà egli non si attiene al genuino concetto del magistero autentico secondo il quale i vescovi sono nella chiesa “dottori autentici, cioè rivestiti dell’autorità di Cristo e che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella vita pratica”; infatti “l’ufficio di interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa è affidato al solo magistero vivo della Chiesa”. Anche l’opinione già insinuata dal prof. Küng nel libro La Chiesa e secondo la quale l’eucarestia, almeno in casi di necessità, può essere consacrata validamente da battezzati privi dell’ordine sacerdotale, non può accordarsi con la dottrina dei concili Lateranense IV e Vaticano II» (19).
Nel 1979 a Hans Küng venne revocata la missio canonica relativa l’insegnamento della teologia cattolica.
UN GIUDIZIO DEL MAGISTERO SULL’ECCLESIOLOGIA
STORICISTICA
L’ecclesiologia storicistica di Hans Küng, divulgata da tanti autori di saggistica teologica, ha trovato una puntuale condanna in una nota della Congregazione per la dottrina della fede. Essa riguarda direttamente non il teologo svizzero ma un suo epigono indiano, il gesuita Anthony De Mello. Nel documento della Congregazione, reso noto nel 1998 — lo stesso anno in cui Papa Giovanni Paolo II pubblicava l’enciclica Fides et ratio — si legge che nelle opere di De Mello si osserva:
«un progressivo allontanamento dai contenuti essenziali della fede cristiana. Alla rivelazione avvenuta in Cristo egli sostituisce una intuizione di Dio senza forma né immagini, fino a parlare di Dio come di un puro vuoto. […] Le religioni, inclusa quella cristiana, sono uno dei principali ostacoli alla scoperta della verità. Questa verità, d’altronde, non viene mai definita nei suoi contenuti precisi. Pensare che il Dio della propria religione sia l’unico è, semplicemente, fanatismo. “Dio” viene considerato come una realtà cosmica, vaga e onnipresente. Il suo carattere personale viene ignorato e in pratica negato».
Si tratta della concezione hegeliana dell’Assoluto che non è trascendente, non è personale, ma si identifica con il divenire dialettico dello Spirito e quindi con la Storia. La Chiesa cattolica, una volta negato il valore assoluto della verità rivelata, è relativizzata e ridotta a momento transitorio dello sviluppo della coscienza di un’umanità destinata all’unità globalizzata su base etica. Cristo – dice ancora il documento firmato da Josef Ratzinger – viene a essere considerato «come un maestro accanto ad altri. […] Non viene riconosciuto come il Figlio di Dio ma semplicemente come colui che ci insegna che tutti gli uomini sono figli di Dio».
In questa denuncia del Magistero ritrovo la condanna a priori di quell’ umanesimo ateo che ho rilevato tante volte negli scritti di un altro epigono del teologo svizzero, ossia Enzo Bianchi, che arriva a qualificare Cristo come semplice “creatura” [Ndr. Vedere precedente articolo di Antonio Livi, qui].
NOTE
- Cfr Hans Küng, Menschwerdung Gottes. Eine Einfürung in Hegels theologisches Denken als Prolegomena zu einer künftigen Christologie, Verlag Herder, Freiburg – Basel – Wien 1970, p. 643: «Nella teologia cattolica più recente è stato Karl Rahner ad aprire nuovi orizzoni […]. Lo spirito insigne che aleggia sullo sfondo di questo approfondimento […] altri non è se non Hegel, anche se non mancano nemmeno influssi heideggeriani. I suoi sporadici tentativi di distanziarsi da Hegel in argomenti secondari non fanno che confermare questo fatto» (traduzione mia).
- Vedi Antonio Livi, in La Nuova Bussola Quotidiana, 10 ottobre 2014.
- Vedi Antonio Livi, in La Nuova Bussola Quotidiana, 10 febbraio 2012.
- Cfr Hans Küng, Erkämpfte Freiheit. Erinnerungen, München 2002; Idem, Umstrittene Wahrheit. Erinnerungen, München 2007.
- Cfr Hans Küng, La giustificazione, trad. it. di T. Federici, Editrice Queriniana, Brescia 1969, p. 21.
- Hans Küng. Weg und Werk, a cura di Häring und K. J. Kuschel, Piper Verlag, München 1978, p. 123.
- Cfr Hans Küng, intervista ad A. W. Scheiwiller, “Unbequeme Eidgenossen: Hans Küng der kirchentreue Reformator”, in Woche, 14 giugno 1972, p. 23.
- Hans Küng. Weg und Werk, cit., p. 128.
- Hans Küng, Incarnazione di Dio in Hegel. Prolegomeni per una futura cristologia, trad. it., Queriniana, Brescia 1970, p. 10.
- Karl Barth, Geleitbrief, in Hans Küng, Rechtfertigung. Die Lehre Karl Barths und eine katholische Besinnung, Johannes Verlag, Einsiedeln 1957 cit.; trad. it: Lettera all’autore, in Hans Küng, La giustificazione, cit., p. 8.
- Antonio Russo, «Hans Kung e la teologia come scienza», in Studium, 106 (2010), pp.185-206, qui p. 188.
- Cfr Antonio Livi, Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012.
- Vedi Antonio Livi, Vera e falsa teologia, cit., pp. 141-148.
(14) Cfr Antonio Livi, Qualche chiarimento, in dialogo con estimatori e critici, in Verità della teologia. Discussioni di logica aletica a partire da “Vera e falsa teologia”, di Antonio Livi, a cura di Marco Bracchi e di Giovanni Covino, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2014, pp. 167-185.
(15) Hans Küng. Weg und Werk, cit., p. 137.
(16) Cfr Réginald Garrigou-Lagrange, Le Sens commun, la philosophie de l’être et les formules dogmatiques, Beauchesne, Parigi 1912; trad. it.: Il senso commune, la filosofia dell’essere e le formule dogmatiche, a cura di Antonio Livi e di Mario Padovano, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2013.
(17) Vedi in proposito Antonio Livi, Razionalità della fede nella Rivelazione. Un’analisi filosofica alla luce della logica aletica, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2005.
(18) Hans Küng, Die Kirche, Herder, Freiburg im Breisgau 1967, p. 397.
(19) Congregazione per la dottrina della fede, Monitum, 15 febbraio 1975.
BIBLIOGRAFIA
Louis Bouyer, «Ecumenismo senza scavalcamenti», in Studi cattolici, 13 (1969), pp. 30-35.
Pier Carlo Landucci, «Ecco Hans Küng», in Studi cattolici, 22 (1979), pp. 549-54.
Luigi Iammarrone, Hans Küng eretico. Eresie cristologiche nell’opera “Christ sein”, Edizioni Civiltà, Brescia 1977.
Luigi Iammarrone, Teologia e cristologia. “Dio esiste”, di Hans Küng, Edizioni Quadrivium Genova 1982.
Antonio Livi, «Dogma e Magistero dopo il “caso Küng”», in Studi cattolici, 24 (1980), pp. 171-177.
Antonio Livi, Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”, seconda edizione aumentata, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012, pp. 241-246.
Emanuele Samek Lodovici, «Il dogma infallibile di Han Küng», in Studi cattolici, 16 (1971), pp. 171-177.
Emanuele Samek Lodovici, «La via a Hegel di Hans Küng», in Studi cattolici, 16 (1971), pp. 243-251.
Cliccare qui sotto per ascoltare un canto della tradizione popolare
Grazie, ho molto apprezzato questo articolo. Però…capisco che Kung ha studiato nel pontificio collegio germanico, con professori che lo hanno profondamente influenzato.
Domande: ma chi ha permesso a questi professori “protestanti” di insegnare in un collegio cattolico?
Non c’è un controllo in entrata dei vari docenti?
Come poteva un giovane resistere a tale lavaggio del cervello?
Chi ha fatto far carriera a Tettamanzi e a Ravasi?
Non sono gli stessi Papi contestati?
Insomma se ti tiri in casa satana, come puoi pensare che non svolga bene il suo lavoro “diabolico” di divisore? Lei può spiegarmi questa propensione “masochista” dei nostri Papi che si tirano in casa i loro avversari? (e li pagano pure…).
Perché Bianchi viene invitato dappertutto? fino in Vaticano? Come possiamo noi piccoli capire, se le nostre guide abbracciano i “lupi”? C’è qualcosa che non capisco della sua esposizione e cioè il ruolo attivo del mondo cattolico,(quello che conta, il Papa per esempio) in questa situazione. Con profonda stima.
Risponde Antonio Livi
Complimenti per il buon senso e anche per il criterio di fede che Le ha fatto scrivere questa domanda. La risposta è che tante azioni dei Papi sono suggerite o anche obbligate da tante circostanze materiali che noi non possiamo conoscere, e che costituiscono una materia sulla quale solo Dio può giudicare (se cioè siano azioni dettate da prudenza pastorale oppure da debolezza o da compromessi del potere pontificio con altri poteri). Insomma, a noi spetta solo giudicare dell’ortodossia e dell’ammissibiltà di un messaggio rivolto ai cristiani: di fronte a una dottrina proposta da un teologo dobiamo vedere (da soli o consigliati da esperti) se va d’accordo con la dottrina della Chiesa, ossia con il dogma. Poi, riguardo agli atti di governo dei papi, a noi spetta soltanto di ubbidire alle cose che veramente e formalmente essi comandano, e di credere alle cose che formalmente essi affermano essere rivelate da Dio.
Del resto (ossia del pettegolezzo che imperversa sui giornali ad opera di vescovi chiacchieroni ed esibizionisti, dei quali si fanno eco i vaticanisti, tutti politicizzati) non ci deve importare nulla. Dio ci chiede conto solo di credere fermamente al dogma e di rispettare la legittitma autorità della Chiesa, lì dove essa agisce con l’intenzione e con l’efficacia di una legge ecclesiastica (non con le allusioni o i discorsi lanciati in giro con ambiguità o per interposta persona).
Una amica pittrice invia questo pensiero come commento all’articolo di Antonio Livi:
La teologia aiuta
a comprendere Dio.
Ma la teologia non riesce
a comprenderlo tutto,
è un recipiente insufficiente.
Lo comprende un po’ alla volta,
e la sua conoscenza cresce nel tempo
aggiungendo nuovi tasselli.
Un solo tassello però
non è la Verità,
al contrario,
un solo frammento di Pane
è la Verità.