Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

Alla radice della crisi: storia delle occasioni perdute

ALLE RADICI DELLA CRISI: STORIA DELLE OCCASIONI PERDUTE

 

Papa Benedetto, l’acuto critico di Rahner, salito al soglio pontificio, dove avrebbe avuto tutta la competenza, l’intelligenza, l’autorità e il potere di agire per la soluzione del gravissimo problema, anche lui purtroppo non ha fatto nulla e probabilmente per quei pochi allusivi interventi che ha fatto, si è tirato addosso le ire dei rahneriani, che lo hanno portato ad abdicare e quindi a rinunciare al ministero petrino. L’enciclica Lumen Fidei di Papa Francesco, completamento di quella iniziata da Benedetto, ripete luoghi comuni e ignora completamente la questione. Oggi il problema è quindi ancora aperto.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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tu es petrus

Tu es Petrus …

Il pensiero cattolico sorge di fatto e di diritto dalla congiunzione dell’attività del Magistero della Chiesa con quello dei teologi. La guida, l’interpretazione autentica e la garanzia della verità della dottrina della fede viene dal Magistero sotto la presidenza del Papa. Compito invece dei teologi è quello di indagare sulle questioni ancora aperte avanzando opinioni o ipotesi interpretative o proponendo nuove soluzioni, onde favorire il progresso della conoscenza della Parola di Dio, sottoponendo al giudizio della Chiesa le scoperte fatte e le nuove teorie.

dogma

Stampa d’epoca raffigurante l’assisa del Concilio Ecumenico Vaticano I

Il Magistero, nel custodire, proporre ed interpretare il dato rivelato e nell’approvare o respingere le dottrine nuove dei teologi, non sbaglia, in quanto gode dell’assistenza dello Spirito di Verità a lui promesso da Cristo fino alla fine del mondo. Invece le dottrine dei teologi, soprattutto quando essi trascurano di misurarsi sul Magistero o ne fraintendono gli insegnamenti, possono essere errate. Ma anche una dottrina teologica certa (theologice certum), seppur rigorosamente dedotta da princìpi di fede, non può mai pretendere di essere considerata nella Chiesa come verità di fede, perché resta sempre semplice dottrina umana, per quanto fondata sulla fede. Solo al Magistero infatti spetta, con sentenza infallibile ed irreformabile, questo gravissimo compito di determinare e definire le verità di fede per mandato di Cristo. Tuttavia, può capitare che una nuova dottrina teologica interpretativa o esplicativa del dato rivelato venga ad avere tanta importanza o validità agli occhi del Magistero, che questi la eleva alla dignità di dogma della fede.

Nell’insieme storico di fatto del pensiero cattolico occorre pertanto distinguere accuratamente i pronunciamenti dottrinali del Magistero in materia dogmatica o di fede — Papa da solo o col Concilio — dalle dottrine od opinioni correnti fra i teologi, dottrine che, data la loro opinabilità ed incertezza, possono essere legittimamente contrastanti tra di loro, senza che ciò comprometta necessariamente in nessuna di esse il dato di fede o la sana ragione. Alcune teorie possono essere più conservatrici o tradizionaliste, altre più innovative o progressiste: nulla di male, nulla di pericoloso, nulla di cui preoccuparsi, nulla di scandaloso, ma anzi fenomeno normale, fisiologico e proficuo, espressione di legittima libertà di pensiero, che comporta tra le diverse correnti o scuole arricchimento reciproco, a patto che non si spezzi la fondamentale unità, convergenza e concordia sulle verità essenziali e che non si esca fuori dai limiti della retta fede.

Dante eretici

Farinata illustra all’Alighieri la condizione degli eretici

Il regime o funzionamento normale a livello ecclesiale e collettivo del pensare cattolico comporta di diritto e di fatto, nella storia, un certo generale accordo di massima fra le posizioni del Magistero e quelle dei teologi, salvo eccezionali dolorose ed inevitabili deviazioni, che si riscontrano in teologi ribelli, solitamente caratterizzanti il fenomeno o dello scisma o dell’eresia. Questo fenomeno fu grave, macroscopico, diffuso ed impressionante per non dire tragico con la nascita del luteranesimo. Ma nella storia della Chiesa il Magistero è sempre, nel complesso, riuscito a regolare, controllare e dominare il clima o la situazione generale, sì da assicurare alla generale compagine teologica e dei fedeli una certa uniformità, coerenza ed obbedienza allo stesso Magistero, mentre i teologi, dal canto loro, si sono sempre, nell’insieme, sentiti di buon grado per non dire con fierezza rappresentanti del Magistero, sicché il fedele che desiderava conoscere la via del Vangelo e la dottrina della Chiesa poteva sempre rivolgersi al teologo, qualunque teologo, e riceveva da lui la risposta autorevole, chiara, persuasiva e sicura; trovava insomma in lui la guida fidata ed autorevole per camminare nella verità del Vangelo ed essere in comunione con la Chiesa. Chi voleva andarsene dalla Chiesa se ne andava apertamente, come del resto fece lo stesso Lutero — los von Rom! —, e non restava perfidamente ed ipocritamente a distruggerla dal di dentro fingendo di continuare ad essere cattolico e magari spavaldamente come cattolico “avanzato”. In tal modo i nemici della Chiesa, scoperti eventualmente da buoni teologi o denunciati dagli stessi fedeli, erano sollecitamente, senza interminabili tergiversazioni, dichiarati tali dall’autorità ecclesiastica, cosicché erano ben noti, e quindi i fedeli anche meno istruiti avevano modo di riconoscerli, di guardarsene e di stare alla larga, così come si distinguono i funghi buoni dai velenosi.

Pio X

il Santo Pontefice Pio X

I pastori, con la loro dottrina, fedeltà al Papa, prudenza ed amore per il gregge, sapevano smascherare questi impostori, questi anticristi, falsi cristi e falsi profeti, questi lupi travestiti da agnelli e metterli con le spalle al muro. Ricordiamo a tal proposito la stupenda enciclica Pascendi dominici gregis di San Pio X. Oggi invece gli eretici ce la fanno sotto il naso e nessuno se ne accorge, nessuno se ne dà pensiero, nessuno interviene, anzi ricevono lodi e ottengono successo, incarichi di insegnamento e chi si azzarda a far notare che il re è nudo, viene quanto meno preso in giro per non dir di peggio.

I teologi, un tempo, come sacerdoti e religiosi, in forza del loro mandato ecclesiastico, erano umilmente e diligentemente coscienti della loro missione e quindi della loro grave responsabilità davanti a Dio, ai superiori, alla Chiesa e alle anime del loro delicatissimo ufficio di dottori della verità cattolica, nè passava ad alcuno per la testa di creare dottrine soggettive ed arbitrarie, così come fa il buon medico, il quale si sente rappresentante della scienza medica e si guarderebbe bene dall’inventare pratiche personali senza fondamento scientifico. Invece purtroppo a partire dagli anni dell’immediato post concilio è iniziato un fenomeno gravissimo di scollatura fra Magistero e teologi. Molti vescovi, ingenuamente ed entusiasticamente convinti dell’avvento di una “nuova Pentecoste”, allentarono la vigilanza sostituendo la bonomia alla perspicacia, il rispetto umano allo zelo coraggioso, i propri interessi alla difesa del gregge contro i lupi, il buonismo alla bontà e scambiando per misericordia la debolezza.

Concilio Vaticano II

un’assemblea plenaria dell’assisa del Vaticano II

I teologi, soprattutto coloro che erano stati periti del Concilio (1), dal canto loro si montarono la testa e, alla maniera protestante, cominciarono a farsi credere, indipendentemente e contro il Magistero, come depositari inappellabili della Parola di Dio ed interpreti infallibili della Sacra Scrittura, nonché dei documenti del Concilio, che viceversa distorcevano in senso modernista. A questo punto abbiamo le radici della crisi della quale oggi soffriamo. Esse consistono essenzialmente in questo: che il movimento sovversivo e rivoluzionario dei teologi, quella che è passata alla storia come “contestazione del Sessantotto”, è stato scambiato da molti nel popolo di Dio e tra gli stessi pastori e teologi come una rivoluzione dottrinale operata dallo stesso Concilio, il quale avrebbe mutato dati di fede fino ad allora considerati immutabili, soprattutto circa la superiorità del cristianesimo sulle altre religioni, sul concetto di Rivelazione e della Chiesa e circa la condanna delle eresie del passato, condanna che sarebbe caduta in prescrizione.

colonnato san pietro

nuvole sulla Chiesa

In realtà le nuove dottrine conciliari, rettamente interpretate, al di là di qualche espressione non del tutto chiara, non costituivano affatto una rottura o smentita dei dogmi tradizionali, ma al contrario una loro esplicitazione ed esposizione in un linguaggio moderno, adatto ad essere compreso dall’uomo di oggi, né l’approccio del Concilio alla modernità era da intendersi alla maniera modernistica come acritica soggezione agli errori moderni, ma bensì la proposta di un sano ammodernamento o, come si diceva, “aggiornamento” del pensiero e della vita cristiani, che raccoglieva alla luce dell’immutabile Parola di Dio quanto di valido può esserci nella modernità.

Sorsero invece due tendenze ecclesiali e dottrinali che videro nelle dottrine del Concilio una rottura o mutamento rispetto alla dottrina tradizionale ed alle condanne del passato, ispirati ad una totale assunzione della modernità: quella dei lefebvriani, i quali, prendendo a pretesto che nel Concilio non si trovano nuove definizioni dogmatiche solenni, negavano l’infallibilità delle dottrine conciliari accusate di essere infette di liberalismo, illuminismo razionalista, indifferentismo, secolarismo, filoprotestantesimo ed antropocentrismo, tutti errori che erano già stati condannati dalla Chiesa nel XIX secolo e nei secoli precedenti, soprattutto al Concilio Vaticano I e a quello di Trento.

rahner fuma

il teologo gesuita tedesco Karl Rahner

L’altra corrente che apparve ed appare tuttora a molti col crisma dell’ufficialità e di interprete dell’ ammodernamento conciliare, è quella che per lungo tempo è stata chiamata o si è autoproclamata “progressista”, titolo visto da molti come altamente positivo ed ambìto, mentre tale corrente chiama con disprezzo “conservatrice”, “tradizionalista” o “integrista”, o più recentemente “fondamentalista” la corrente dei lefevriani, nella quale però include indiscriminatamente tutti coloro che non accettano il suo modernismo. Per lunghi anni questa corrente, oggi fortissima nella Chiesa, grazie soprattutto al contributo di Rahner, ha prosperato fregiandosi dell’onorevole titolo di progressista, riferimento al valore indubbio del progresso, del nuovo e del moderno, ma in realtà per i suoi eccessi sempre più scoperti ed impudenti, tipici di chi prova la falsa sicurezza di sentirsi al comando, si è sempre più rivelata come modernista, e quindi chiara falsificazione dei veri insegnamenti del Concilio, i quali se promuovono il moderno, non certo avallano il modernismo, eresia già condannata da San Pio X.

Volendo esprimerci nel linguaggio sportivo, potremmo dire che l’autorità ecclesiastica locale ed anche al vertice è stata presa “in contropiede”. Dopo il clima di dialogo e di sereno confronto intra ed extra ecclesiale creato dal carisma straordinario di San Giovanni XXIII, si era largamente sparsa la convinzione nell’episcopato e in molti ambienti teologici che ormai non esistessero più eresie o, se esistevano teologie che si scostavano dalla dottrina ufficiale del Magistero, si trattava per lo più di dottrine discutibili o espressioni di pluralismo teologico o tentativi magari un po’ audaci di innovazione da guardare con benevolenza e interesse. In realtà le cose non stavano affatto così. A cominciare dall’immediato post concilio la tendenza modernista, approfittando dell’immeritata fiducia che seppe astutamente strappare da un episcopato ingenuamente ottimista, cominciò compatta e spavalda a venire alla luce, sicura dell’impunità ed anzi con l’aureola del progressismo, quasi a realizzare un piano precedente internazionale, proveniente soprattutto dai Paesi di tradizione protestante, segretamente elaborato in precedenza.

falsi profeti

“Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?” [Mt 7, 15-20]

I pochi che segnalarono il pericolo incombente, come il Maritain, il von Hildebrand, il de Lubac e il Daniélou, non certo sospetti di conservatorismo o chiusi al nuovo, furono visti come personaggi disturbatori, uccelli del malaugurio, nostalgici dell’Inquisizione, guastafeste che, come si suol dire, rompevano le uova nel paniere. Quei “profeti di sventura”, catastrofici e scoraggianti, dai quali San Giovanni XXIII aveva intimato di guardarsi. Eppure non ci si rese conto della grave imprudenza nella quale si era caduti, abbassando la guardia, quasi che fossero scomparse le conseguenze del peccato originale, ed ormai la Chiesa e la teologia avessero iniziato una nuova era di uomini tutti di buona volontà, tutti intimamente sollecitati nel preconscio (Vorgriff) dall’esperienza divina atematica pre-concettuale, tutti cristiani anonimi anelanti a Dio, tutti oggetto della divina misericordia, secondo le mielose formule rahneriane. Nasceva quel “buonismo distruttivo” e quella falsa misericordia recentemente denunciati dal Papa nel suo discorso al sinodo dei vescovi.

Il Concilio ebbe indubbiamente un’impostazione progressista, nel senso di voler procurare alla Chiesa una nuova spinta o un nuovo slancio verso il futuro, avvalendosi dei valori del mondo moderno: il Concilio, più che sulla necessità di conservare o recuperare o restaurare il perduto, puntò sul dovere di andare avanti, di rinnovare e progredire, mutando ciò che non era più adatto o non serviva più ai nuovi tempi o alle nuove esigenze, che si intendeva preparare e soddisfare in un orizzonte escatologico. Non c’è da meravigliarsi pertanto, se la corrente assai numerosa dei Padri e dei periti che apparve maggiormente interprete del Concilio fu quella che si convenne di chiamare “progressista”, mentre quelli che facevano resistenza al nuovo o non lo comprendevano o troppo insistevano sull’immutabile e sulla tradizione, si cominciò a chiamarli con un certo accento di sopportazione e non di ammirazione, “conservatori” o “tradizionalisti”.

marcel lefebvre

L’Arcivescovo Marcel Lefebvre

Tra questi ultimi emerse, come si sa, sin di primissimi anni del post concilio la famosa figura di Monsignor Marcel Lefèbvre, che presto cominciò ad attirare un certo seguito, fino a fondare l’altrettanto famosa Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX), tuttora esistente e prospera. Monsignor Lefèbvre, sostenitore non del tutto illuminato della sacra Tradizione, che secondo lui il Concilio aveva tradito, insieme con pochissimi altri, invece di scorgere le eresie denunziate dal sant’Uffizio nella teologia dei modernisti, ebbe invece la grande sprovvedutezza di trovarle proprio nello stesso Concilio, che quindi accusò dei terribili errori già condannati dai Papi del XIX secolo, come il liberalismo, il razionalismo e l’indifferentismo.

Più di recente, negli anni Ottanta, Romano Amerio ha aggiunto alla lista dei presunti errori del Concilio la “mutazione del concetto di Chiesa”. Secondo il suo discepolo Enrico Maria Radaelli, il Concilio avrebbe invece “ribaltato” la Chiesa. Paolo Pasqualucci, dal canto suo, nota la presenza dell'”antropocentrismo”. Monsignor Brunero Gherardini vede invece nei documenti del Concilio una contraddizione col Vaticano I. Lo storico Roberto De Mattei nega poi l’infallibilità delle dottrine del Concilio sotto pretesto che in esse non c’è nessun dogma definito secondo i canoni esposti dal Concilio Vaticano I. Tutti costoro confondono le dottrine del Concilio col modernismo nato dopo di esso. Si tratta di una confusione deleteria la quale, se da una parte comporta una retta definizione di modernismo secondo il criterio offerto da San Pio X, dall’altra accusa di modernismo proprio quel Concilio Vaticano II che, a ben guardare, ne è il saggio antidoto con la sua proposta di un sana modernità alla luce del Vangelo, della dottrina della Chiesa e di San Tommaso d’Aquino, come fece per esempio Jacques Maritain.

Edward Schillebeeckx

il teologo domenicano olandese Edward Schillebeeckx

Fin dal primo sorgere del lefebvrismo Paolo VI assunse nei suoi confronti un atteggiamento molto severo, mentre restò blando e indulgente nei confronti del rahnerismo. Questo comportamento non imparziale purtroppo si è mantenuto nei Pontefici seguenti fino all’attuale. Benedetto XVI tentò un approccio ai lefebvriani col togliere la scomunica ai loro vescovi e col famoso motu proprio Summorum Pontificum. Per la verità il rahnerismo si è fatto sentire anche nella liturgia col fenomeno della profanazione del sacro e della secolarizzazione, conseguenza del falso concetto rahneriano del sacerdozio e la negazione del carattere sacrificale della Messa. Viceversa, i teologi che si riconoscevano nella corrente genericamente ed equivocamente detta “progressista”, si riunirono attorno alla rivista Concilium, tuttora esistente. Ma quando l’equivoco si chiarì ed apparve che alcuni “progressisti” in realtà erano modernisti, allora ci fu la separazione degli uni dagli altri: da una parte, i progressisti onesti e veramente fedeli al Concilio e alla Chiesa, come Ratzinger, von Balthasar, Congar, de Lubac e Daniélou, si accorsero dei criptomodernisti, come Küng, Rahner, Schillebeeckx, Schoonenberg ed altri. Fu così che gli autentici progressisti si separarono dai secondi fondando la rivista Communio. Quanto a Ratzinger, accortosi della tendenza modernista di Rahner, lo abbandonò e lo criticò severamente in Les principes de la théologie catholique (2) del 1982, un anno dopo che fu nominato Prefetto della CDF da San Giovanni Paolo II.

Alfredo ottaviani e Karol Woytila

il Cardinale Alfredo Ottaviani con il Cardinale Karol Woytila

Nel 1966 il Cardinale Alfredo Ottaviani, pro-prefetto del Sant’Uffizio, ormai divenuto Congregazione per la Dottrina della Fede, congiuntamente al Segretario, il dottissimo cristologo Pietro Parente, inviavano un’allarmata lettera (3) ai Presidenti delle Conferenze Episcopali denunciando in 10 punti una serie di gravi errori che stavano serpeggiando tra i teologi cosiddetti “progressisti”. A molti tale grave denuncia deve essere apparsa esagerata o una specie di doccia fredda; ad altri, già infetti dal modernismo, deve aver suscitato irritazione ed essere apparsa un freno reazionario o una insopportabile condanna della nuova teologia promossa dal Concilio.

La nuova Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF), guidata dal Cardinale Franjo Šeper, non dette per la verità prova di un’energia sufficiente a far fronte ai gravissimi problemi denunciati dal Cardinale Ottaviani e da Monsignor Parente, fatto poi cardinale. Questi, con la perspicacia e il coraggio che l’aveva caratterizzato negli anni precedenti, scrisse nel 1983 un aureo libretto (4), che avrebbe potuto essere il testo di un’enciclica pontificia, segnalando le eresie di numerosi teologi, come Küng, Rahner, Schillebeeckx, Schoonenberg, Hulsbosch ed altri. Purtroppo solo in piccola parte e in modo troppo blando la CDF censurò questi autori, i quali nella maggioranza poterono continuare indisturbati a diffondere i loro errori, protetti da potenti forze filoprotestanti e filomassoniche, forse clandestinamente insinuatesi nella Chiesa stessa.

Tomas Tyn 2

il giovane teologo domenicano Tomas Tyn

Sin dai primi anni del post concilio ci fu una schiera di buoni teologi e prelati, i quali si premurarono di commentare i testi conciliari nella linea del Magistero, mostrando la loro continuità col Magistero precedente, difendendoli dall’accusa di modernismo, e sottraendoli alla manipolazione dei modernisti. Tra i suddetti teologi e prelati ci furono il Cardinale Giuseppe Siri, Jacques Maritain, Yves-Marie-Joseph Congar, Henri de Lubac, Jean Daniélou, Padre Raimondo Spiazzi, Jean Guitton, Jean Galot, i teologi domenicani di Roma, di Firenze e di Bologna, ed il Collegio Alberoni di Piacenza fino al Servo di Dio Padre Tomas Tyn in anni più recenti. Purtroppo, la loro opera meritevolissima nei decenni, non del tutto ignorata dalla Santa Sede, è stata quasi sopraffatta dai due partiti avversi dei lefebvriani e dei modernisti, i primi con attaccamento ostinato e miope ad un tradizionalismo superato, i secondi, forti del successo ottenuto, con una progressiva scalata ai posti di potere nella Chiesa, cominciando nel Sessantotto col conquistare i giornalisti, i giovani, i laici, il basso clero e i religiosi e via via salendo alla conquista dei livelli superiori dell’episcopato e negli anni più recenti penetrando nello stesso collegio cardinalizio.

I segni conturbanti di ciò li abbiamo avuti di recente in occasione del sinodo dei vescovi, tanto che la parte migliore del collegio cardinalizio, capeggiata dai cardinali Gerhard Ludwig Müller e Raymond Leonard Burke, ha avvertito l’urgenza di intervenire in difesa del Magistero della Chiesa e del Papa, il quale però non pare abbia mostrato nei loro riguardi una sufficiente gratitudine per la preziosa opera da loro svolta.

Paolo VI 2

il Beato Pontefice Paolo VI

Paolo VI, al quale andò il compito gravissimo di far applicare i decreti del Concilio, si trovò subito davanti ad una situazione difficilissima, che egli stesso, come ebbe a confessare dieci anni dopo il Concilio, non prevedeva (5). I modernisti olandesi, con incredibile tempestività, pubblicarono già nel 1966, elaborato sotto l’influsso di Schillebeeckx, con l’autorizzazione del Cardinale Bernard Jan Alfrink, il famoso “Catechismo Olandese”, uscito in Italia nel 1969, che ebbe un enorme successo. Il Catechismo, non privo certo di qualità, ma che è rimasto fino ad oggi il manifesto della Chiesa modernista, conteneva numerose eresie e gravi carenze dottrinali, che Paolo VI fu costretto a far correggere da un’apposita commissione di cardinali nel 1968. Evidentemente questo Catechismo era l’attuazione di un grandioso piano segreto elaborato già durante gli anni del Concilio, durante i quali numerosi periti di orientamento modernista celarono astutamente e slealmente le loro eresie sotto un comportamento esterno corretto, dando anzi a volte un contributo dottrinale lodevole nel corso dei lavori del Concilio. Il loro morbo in loro restò allora in incubazione e venne chiaramente alla luce solo a partire dagli anni dell’immediato post concilio (6). Nel frattempo stava conquistando sempre più consensi il pensiero di Karl Rahner, il quale era stato uno dei più influenti periti del Concilio, consigliere del Cardinale Franz König. Rahner parte dal principio dell’identità dell’essere con l’essere pensato, per cui confonde l’essere come tale con l’essere divino.

panteismo

l’antica insidia panteista

In questa visuale panteistica l’essere umano è ridotto all’essere divino; il divino (la “grazia”) entra nella definizione stessa dell’essere umano, che tuttavia mantiene un aspetto storico (“l’uomo è trascendenza e storia”), che relativizza il concetto di natura umana, il sapere umano e la legge naturale, sul modello hegeliano, mentre l’essere divino è essenzialmente umano. Cristo quindi è il vertice divino dell’uomo e Dio è necessariamente Cristo. Da qui la confusione panteistica della grazia con Dio, intesa come costitutivo dell’uomo. Ogni uomo è essenzialmente e necessariamente in grazia. Essa non può essere né acquistata né perduta. Il peccato non toglie la grazia ma si annulla da sé, perché è contradditorio. Cristo salva non in quanto redentore (concetto mitico), ma in quanto fattore del passaggio dell’uomo a Dio e di Dio che diviene uomo. La fede non è dottrina o conoscenza concettuale, ma incontro con Dio, autocoscienza ed esperienza di Dio pre-concettuale ed atematica (Vorgriff). Essa comporta sul piano dell’azione un’opzione fondamentale per Dio, atto di suprema libertà, per la quale tutti si salvano indipendentemente dagli atti categoriali, empirici e finiti, propri del libero arbitrio, cognitivi e morali, buoni o cattivi, che si pongono sul piano mutevole della storia e del relativo. Da qui la relatività e mutabilità del dogma, inevitabilmente incerto e fallibile, al contrario dell’esperienza di fede comunque salvifica, che è esperienza del divenire di Dio nella storia.

catechismo olandese

una delle prime stampe del Catechismo Olandese, subito tradotto in numerose lingue e diffuso in tutto il mondo

Con l’affermarsi di queste idee di Rahner, la linea di questo Catechismo Olandese, ancora di carattere illuministico-razionalista, assunse un accento manifestamente panteistico hegeliano-heideggeriano nel “Corso fondamentale sulla fede” di Rahner, pubblicato in Germania nel 1976 e in Italia nel 1977. Questa volta nessuna commissione cardinalizia ebbe il coraggio e la saggezza di condannare questo pseudo-catechismo (7), peggiore del precedente. I modernisti, diventati sempre più potenti, cominciavano a far tacere la stessa Santa Sede. Infatti Paolo VI non prese nessun provvedimento. Non ci fu alcuna autorevole confutazione da parte di qualche esponente della Santa Sede o teologo in vista. Anche la CDF, guidata dal Cardinale Seper, non fece nulla. Rahner faceva troppa paura. Per la verità, il grave errore pastorale della Santa Sede fu a mio giudizio quello di lasciarsi prevenire dal Catechismo Olandese, dimenticando la provvidenziale e tempestiva sollecitudine della Chiesa della Riforma tridentina, la quale, immediatamente dopo il Concilio di Trento e quasi come suo documento finale e riassuntivo, pubblicò il famoso e utilissimo Catechismo Tridentino, che fondamentalmente è ancor oggi validissimo.

Paolo VI, nel corso del suo pontificato, ci ha proposto o da sé o per mezzo della CDF un notevole corpo dottrinale, che oltre a sviluppare le dottrine del Concilio, confuta anche le false interpretazioni e condanna errori insorgenti, ma non è mai stato capace di affrontare di petto ed esplicitamente il problema del rahnerismo. Anzi nominò Rahner membro della Commissione Teologica Internazionale, dalla quale poco dopo, deluso perché si vedeva respinte le sue idee, se ne uscì con tono infastidito e arrogante accusandola di conservatorismo. Paolo VI con molti saggi ed acuti interventi contro il secolarismo, lo spirito di contestazione, l’immanentismo, l’antropocentrismo, il falso carismatismo, il liberalismo, le false novità, il relativismo ed evoluzionismo dogmatico, la profanazione della liturgia, il lassismo e soggettivismo morale, ha girato più volte attorno all’obbiettivo, senza però centrarlo mai del tutto, sicché i rahneriani, con l’audacia e l’ipocrisia che li caratterizza, si sono sempre sentiti al sicuro ed autorizzati a proseguire nelle loro idee e nei loro costumi.

Paolo VI 3

il Beato Pontefice Paolo VI

Il 1974 poteva forse essere l’occasione per risolvere il problema del rahnerismo con una buona condanna dei suoi errori e l’indicazione della vera via del rinnovamento e del progresso della teologia. Ma purtroppo Paolo VI perse anche questa occasione, che era data da un grande convegno su San Tommaso d’Aquino nel VII centenario della morte, organizzato dai Domenicani, che ebbe l’adesione di ben 1500 studiosi di tutto il mondo. Per questa occasione emerse nettamente sulla scena del mondo teologico internazionale la grande figura del dottissimo e sapientissimo Padre Cornelio Fabro, il quale elaborò (8) il progetto della bellissima lettera “Lumen Ecclesiae” del Papa al Padre Vincent de Couesnongle, Maestro dell’Ordine di Frati Predicatori, dedicata a raccomandare, con dovizia di opportuni argomenti, lo studio, l’approfondimento e la diffusione del pensiero di San Tommaso d’Aquino, nonché la sua utilizzazione per il confronto con la cultura moderna, in conformità alle disposizioni del Concilio (9).

cornelio fabro

il teologo stimmatino Cornelio Fabro

Nel medesimo anno 1974 Fabro pubblicava La svolta antropologica di Karl Rahner (10), un’indagine acutissima delle radici gnoseologiche e metafisiche del pensiero di Rahner, uno studio poderoso, nel quale il teologo Stimmatino dimostrava inconfutabilmente, testi alla mano, valendosi della sua eccezionale conoscenza e di San Tommaso e dell’idealismo tedesco, l’abominevole benché fascinosa impostura con la quale Rahner, falsificando gli stessi testi tomistici, pretendeva presentare l’Aquinate, Doctor Communis Ecclesiae, come conforme ad Hegel, il cui idealismo è stato più volte condannato dalla Chiesa. Quale più chiaro tacito messaggio inviato a Paolo VI dell’assoluta necessità di non tenere i piedi su due staffe, ma del fatto che l’affermazione della verità non può non comportare la condanna dell’errore e nella fattispecie la chiara ed inequivocabile affermazione che il rinnovo e il progresso della teologia ordinato dal Concilio non doveva passare da Rahner ma da San Tommaso? E invece nulla venne da Paolo VI. L’opposizione dei buoni teologi non si scoraggiò. Consapevoli della loro responsabilità verso le anime e ligi al loro dovere di fedeltà al Magistero della Chiesa, continuarono a segnalare i pericolosi errori di Rahner, anche se purtroppo, come era da aspettarsi, il rahnerismo non è arretrato, ed anzi si è rafforzato sino ad oggi. La storia di questa terribile lotta all’interno della Chiesa l’ho brevemente narrata nel mio libro su Rahner (11), che va aggiornato per esempio con la persecuzione fatta ai Francescani dell’Immacolata, nella quale non è difficile vedere la vendetta dei rahneriani per il congresso teologico internazionale antirahneriano dei Francescani del 2007 (12).

elezione Giovanni Paolo II

prima benedizione urbi et orbi di Giovanni Paolo II

Con l’elezione di San Giovanni Paolo II si ebbe l’impressione che il papato riuscisse a prendere in mano la situazione. Il Papa nel 1981 sostituì alla guida della CDF il Cardinale Seper con il grande teologo Joseph Ratzinger, ed un immediato risultato si cominciò a notare con un atteggiamento più deciso nei confronti degli errori di Schillebeeckx e la condanna degli errori della teologia della liberazione. Ratzinger riuscì a colpire alcuni seguaci di Rahner, ma lo stesso Rahner, che morì nel 1984, rimase intoccato. Il ricchissimo insegnamento di Giovanni Paolo II corresse indubbiamente molti errori di Rahner, ma lo fece in modo solo allusivo e generico, limitandosi ad esporre la sana dottrina, senza entrare con precisione nel merito delle questioni, come fa il buon medico che fa un’analisi accurata e precisa della malattia, onde apporre l’adeguato rimedio.

Grande impresa del Papa fu la pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica nel 1992. Anche questo indubbiamente fu indirettamente un robusto antidoto contro gli errori di Rahner, benché ovviamente egli non poteva esservi nominato. Interessante come poi Papa Benedetto XVI indicò il Catechismo come criterio per discernere gli errori dei teologi. Il Papa avrebbe avuto due grandi occasioni per affrontare di petto, una volta per tutte, l’annosa ed incancrenita questione: le due grandi encicliche Veritatis splendor del 1993 e la Fides et Ratio del 1998. Solo nella prima c’è un accenno alla distinzione rahneriana, senza che Rahner sia nominato, fra il “trascendentale” e il “categoriale”, che si esprime in morale nell'”opzione fondamentale” e negli “atti categoriali”. Così, ancora negli anni 2004-2005, l’anno prima della morte del Pontefice, la lotta fra rahneriani ed antirahnriani si riaccese alla grande: con un congresso di avversari in Germania nel 2004 (13), al quale seguì, quasi risposta polemica, un convegno a suo favore all’Università Lateranense, durante il quale l’unica voce che si fece sentire in decisa opposizione fu quella di Monsignor Antonio Livi.

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Karl Rahner, brinda

Indubbiamente c’è da restare sconcertati nel constatare il successo ottenuto da Rahner, se egli è stato celebrato nella più prestigiosa delle Università Pontificie Romane. È il segno di una situazione drammatica, che sempre più urgentemente chiede di essere risanata, soprattutto considerando le disastrose conseguenze delle idee di Rahner nel campo della morale e della vita ecclesiale. In questo clima di accesa battaglia mi stupisco e ringrazio il Signore di come col permesso dei miei superiori, ai quali pure sono grato, ho potuto pubblicare il mio libro su Rahner, che ha riscosso un discreto successo, benché mi si riferisca della sorda guerra che i rahneriani gli fanno e del disprezzo del quale lo coprono. Eppure io sono sempre qua, pronto a correggere eventuali errori interpretativi e ed ascoltare ragioni in sua difesa. Ma nessuno si fa vivo.

prima benedizione urbi et orbi di Benedetto XVI

Benedetto XVI, l’acuto critico di Rahner, salito al soglio pontificio, dove avrebbe avuto tutta la competenza, l’intelligenza, l’autorità e il potere di agire per la soluzione del gravissimo problema, anche lui purtroppo non ha fatto nulla e probabilmente per quei pochi allusivi interventi che ha fatto, si è tirato addosso le ire dei rahneriani, che lo hanno portato ad abdicare e quindi a rinunciare al ministero petrino. L’enciclica Lumen Fidei di Papa Francesco, completamento di quella iniziata da Benedetto, ripete luoghi comuni e ignora completamente la questione. Oggi il problema è quindi ancora aperto. Papa Francesco non parla mai di Rahner. Ma non credo affatto che sia la soluzione migliore. Rahner è notissimo e seguitissimo. I suoi gravi errori, che continuano a far danno, sono stati dimostrati ormai da cinquant’anni da una schiera enorme di studiosi e il Magistero della Chiesa in questi cinquant’anni, nella condanna di tanti errori, lascia intravedere ancora l’ombra sinistra del rahnerismo, non assente per esempio nella corrente buonista emersa persino all’ultimo sinodo dei vescovi. Non è giunto dunque il momento di “mettere, come si suol dire, le carte in tavola”? Perché far finta di ignorare ciò che tutti sanno? Ci sono ancora dei ritardatari sedicenti progressisti che non hanno ancora capito da dove viene il male? Se invece è chiara come è chiara la sua origine e la natura, dato che peraltro esistono i rimedi, perché non prenderne atto francamente una buona volta e decidersi a curarlo, viste le sue nefaste conseguenze, dopo una diagnosi precisa e circostanziata? Forse che il male potrà andarsene da solo?

Fontanellato, 21 novembre 2014

 

Introitus Dominica Prima Adventus

Gli Autori dell’Isola di Patmos promuovono la tutela del patrimonio del buon canto e del latino liturgico

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1. Si narra che Don Giuseppe Dossetti affermasse che “il Concilio lo aveva fatto lui”. Non parliamo poi delle sparate che si sono fatte da parte della grande stampa laicista sulla parte avuta da Rahner al Concilio.
2. Edizione tedesca Erick Wewel Verlag, Muenchen 1982, edizione francese Téqui, Paris 1985.
3. Epistula ad venerabiles Praesules Conferentiarum Episcopalium, in Congregatio pro Doctrina Fidei, Documenta inde a Concilio Vaticano secundo expleto (1966-1985), Libreria Editrice Vaticana 1985.
4. La crisi della verità e il Concilio Vaticano II, Istituto Padano di Arti Grafiche, Rovigo 1983.
5. “Ci aspettavamo una nuova primavera, ed è venuta una tempesta”.
6. Sbagliano, quindi, quegli storici, come De Mattei, i quali sostengono, sulla linea di Lefèbvre, che questi periti avrebbero dato un indirizzo modernista al Concilio. E’ possibile, anzi è probabile che alcune tesi moderniste siano emerse durante i dibattiti, il che preoccupò fortemente Paolo VI, ma esse poi scomparvero al momento dei documenti finali. Così pure è sbagliata l’interpretazione del Concilio data dalla Scuola di Bologna, per la quale occorre, nei documenti ufficiali, rintracciare uno “spirito” o l’ “evento” che va oltre la lettera retrivamente conservatrice , e che non consiste altro che nelle sue idee moderniste. Sbaglia pure il card.Kasper a vedere nel Concilio delle “contraddizioni” “tensioni non risolte” tra elementi fissisti e tradizionali superati e il”nuovo”, in continua evoluzione, che non è altro che quel modernismo, per il quale egli simpatizza. Il contributo valido dato da Rahner al Concilio in collaborazione con Ratzinger è illustrato da Peter Paul Saldanha nella sua opera Revelation as “self-communication of God”, Urbaniana University Press, Rome 2005.
7. Rahner stesso non ebbe la faccia tosta di chiamarlo “catechismo”, ma in pratica è evidentissima la sua intenzione di proporre comunque un’iniziazione alla fede inficiata di gnosticismo protestante e in antitesi con quella cattolica.
8. Me lo comunicò personalmente in via confidenziale.
9. Optatam totius, 16 e Gravissimum educationis, 10.
10. Edizioni Rusconi, Milano.
11. Karl Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009, II ed.
12. Gli atti sono pubblicati in Karl Rahner. Un’analisi critica, a cura di Padre Serafino Lanzetta, Edizioni Cantagalli, Siena, 2009.
13. Gli atti sono pubblicati in Karl Rahner. Kritische Annāherungen, a cura di David Berger, Verlag Franz Schmitt, Siegbug 2004

Antonio Livi ( 1938-2020 )
Presbitero e Teologo


( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Antonio

Perché non possiamo dirci tradizionalisti ma nemmeno progressisti

— editoriali dell’Isola —

 

PERCHE NON POSSIAMO DIRCI

TRADIZIONALISTI

MA NEMMENO PROGRESSISTI

I cattolici che militano nelle diverse fazioni ideologiche ragionano e scrivono di argomenti ecclesiali con un linguaggio che ha senso solo nelle analisi sociologiche al servizio della dialettica politica, a cominciare dai termini più usati, come tradizione in opposizione e progresso, conservazione in opposizione a riforma, continuità in opposizione a rottura. Invece noi ragioniamo e scriviamo in termini unicamente teologici. Noi siamo convinti che, quando si tratta delle questioni di fondo riguardanti la vita della Chiesa, nessuno può fare un discorso serio e costruttivo che sia utile al popolo di Dio, se non ricorrendo alle categorie e ai principi della scienza teologica.

 

Autore Antonio Livi

Autore
Antonio Livi

 

Le note e i commenti sull’attualità ecclesiale che noi dell’Isola di Patmos andiamo pubblicando in questi mesi potrebberosangiovanni2.jpg sembrare, per un lettore che fosse in qualche modo prevenuto, un ennesimo contributo all’annosa polemica tra cattolici “conservatori”, o “tradizionalisti”, sia moderati che estremisti; e cattolici “progressisti”, o “riformatori”, sia moderati che estremisti. Le virgolette che ho usato per ognuna di queste etichette stanno a indicare che tali posizioni ideologiche sono qualifiche sociologiche — di sociologia della cultura e di sociologica religiosa — che alcuni si affibbiano reciprocamente in una schermaglia retorica dove scarseggia il realismo teologico e abbonda la fabulazione idealistica. In realtà nessuna di queste posizioni si trova effettivamente allo stato puro, in forma coerente e completa, in una persona singola, nella coscienza di un credente in carne e ossa che abbia a cuore le sorti della Chiesa in generale e della propria anima in particolare. Ma dell’irrealtà prodotta dalla visuale sociologistica delle cose della fede cattolica dirò più avanti.

Autore REDAZIONE dell'Isola di Patmos

L’aquila simboleggiante l’Apostolo Giovanni

Ora voglio dire che sbaglia di grosso chi ama collocare noi dell’Isola di Patmos da una parte o dall’altra di questa barricata virtuale. Io e gli altri scrittori dell’Isola di Patmos siamo accusati da taluni di essere troppo ostili ai lefebvriani e ai sedevacantisti, così come altri ci accusano di non essere abbastanza “bergogliani”  — circola in Italia questa denominazione tragicomica —, per il fatto che non ci accodiamo alle litanie di chi plaude in ogni occasione alle  — presunte — intenzioni riformistiche e/o rivoluzionarie di Papa Bergoglio. Tutti si sentono autorizzati a etichettarci, anzi pretendono che noi stessi ci auto-etichettiamo schierandoci ufficialmente da una parte o dall’altra; e siccome noi rivendichiamo il nostro sacrosanto diritto di non schierarci affatto, ecco che allora ci troviamo a essere il bersaglio del fuoco incrociato dei fanatici dell’una o dell’altra parte.
I progressisti amano ricorrere al vecchio ma retoricamente sempre utile ragionamento leninista in base al quale «chi non è rivoluzionario è complice della classe al potere». In Italia si preferisce da sempre la versione gramsciana, sostenendo che ogni intellettuale deve essere «organico alla rivoluzione». Si tratta comunque di un ragionamento che, tradotto nel “politichese” di oggi, suona così: “l’equidistanza è un modo subdolo di appoggiare la parte cui segretamente si appartiene”. Invece di tradizionalisti ci accusano di essere “normalisti”, di chiudere gli occhi alla tremenda realtà della crisi che affligge la Chiesa, ragione per cui ci giudicano irresponsabili e non esitano a sbatterci in faccia i rimproveri che la Scrittura rivolge ai cattivi pastori e ai falsi profeti: «cani muti», «ciechi che guidano altri ciechi» eccetera.

GERMANY, Bonn, "Online" - Human miniatures on a computer keyboard.

… non ci schieriamo per nessuna fazione

Noi diciamo ancora una volta che non ci schieriamo per nessuna fazione, perché siamo convinti che per essere coerentemente cattolici non è necessario essere faziosi. Anzi proprio la coerenza nella fede cattolica suggerisce di non assumere atteggiamenti e linguaggi che sono propri delle fazioni, dei partiti, delle ideologie. Tanti anni fa un santo sacerdote ammoniva a non ridurre la santa Chiesa a una delle tante chiesuole che sempre si sono formate in seno alla Chiesa e che tendono a polemizzare l’una con l’altra o cercare di fare proseliti l’una contro l’altra: diceva: «Io non sono fanatico di nessuna forma di apostolato, nemmeno di quella praticata dall’opera che io ho fondato» … Le chiesuole nuocciono all’unità della Chiesa e si oppongono alle esigenze della carità tra i suoi membri, anche quando non si costituiscono in vera e propria setta, del tipo di quelle sette che si formarono già ai primordi della Chiesa, come testimoniano le recriminazioni in proposito che leggiamo nelle lettere di san Paolo e in quelle di san Giovanni. Ogni chiesuola con propensione a diventare setta si arroga l’interpretazione infallibile della verità  — appellandosi alla Tradizione, allo spirito del Concilio o direttamente allo Spirito Santo —, ma il fanatismo non ha nulla di divino e invece è qualcosa di “umano, troppo umano”, come diceva Nietzsche a proposito di ben altro. Il fanatismo è prodotto dalle peggiori miserie dello spirito  — la presunzione, l’ambizione, l’esaltazione del gruppo di appartenenza, il particolarismo, l’esclusivismo, l’invidia sociale —, miserie che la coscienza dei singoli può riconoscere facilmente ma che poi vengono “sublimate”, direbbe Freud, quando l’individuo si appoggia psicologicamente ad altri e si forma lo “spirito di gruppo”, con il quale è facile trovare mille giustificazioni pragmatiche per le cose ingiuste che si pensano, si dicono e si fanno.

L’ideologia?

No, grazie! Se si tratta della Chiesa

preferisco la teologia

 

karl marx

il pensatore tedesco Karl Marx

Cardinale Marx

un omonimo tedesco: il Cardinale Reinhard Marx

La critica dell’ideologia è nata con Marx, e i marxisti, anche nel Novecento  — ad esempio, il francese Louis Althusser — hanno creduto di combattere e di vincere l’ideologia “borghese” con la “scienza”, che per loro era solo il marxismo. Progetto fallito, perché in politica  — o in economia politica — non c’è alcuna possibile scienza, e il marxismo, come io ebbi a scrivere tanti anni or sono, altro non è se non un’ideologia tra le altre, “l’ideologia della rivoluzione” (1). Quando invece si tratta della verità rivelata, fondamento della fede della Chiesa, allora la scienza esiste, ed è la teologia. E la teologia è la critica di ogni ideologia all’interno della Chiesa. È infatti la teologia la coscienza critica della fede cattolica, essendo basata per statuto sul presupposto della distinzione tra il dogma e l’opinione, tra verità comune a tutti i credenti e una ipotesi di interpretazione e/o di applicazione pastorale. Solo chi esamina la realtà ecclesiale con un criterio teologico è capace di distinguere un’opinione dal dogma, e solo a partire da questa distinzione può e deve criticare qualsiasi opinione, anche legittima, che voglia spacciarsi per verità assoluta, identificandosi così con il dogma. Un’opinione teologica che ignori i propri limiti deve essere criticata, perché va contro lo statuto epistemologico della teologia, assolutizzando se stessa ed escludendo le altre opinioni, anche quelle che dovrebbero essere considerate — perché lo sono — altrettanto legittime.

vera e falsa teologia

L’opera di Antonio Livi: Vera e falsa teologia

In un saggio pubblicato un paio di anni or sono dicevo che un grave peccato contro la fede comune è appunto quello che tante scuole teologiche hanno fatto, nella storia della Chiesa, assolutizzando la propria posizione e “scomunicando” quelli che ne sostengono altre (2).
Ma si può applicare, in pratica, questo criterio così rigorosamente teologico? Certamente, lo stiamo applicando noi dell’Isola di Patmos. Lo applichiamo ricavando, appunto, dalla buona teologia la necessaria distinzione tra “dogma e “opinione. Questa distinzione è classica, tant’è che ha ispirato i padri della Chiesa a formulare questo chiarissimo e utilissimo programma di dialettica ecclesiale: “In necessariis, unitas; in dubiis, libertas; in omnibus caritas!”. Ci atteniamo a questo criterio per agire sempre come cattolici senza etichette, come cattolici senza paraocchi, come cattolici non ottusi ma open minded, cioè davvero aperti con la mente e con il cuore a valorizzare ogni contributo che sembri utile alla comprensione della verità rivelata. Per questo siamo abituati a proporre ogni nostra riflessione sulla fede e sulle vicende umane della Chiesa come un’opinione tra le altre possibili, ossia come una tesi che intende essere davvero rispettosa delle altre e anche accogliente riguardo alle altre. Noi infatti non cadiamo nell’errore di fare di tutte le erbe un fascio, etichettando un autore come “amico o “nemico solo perché appartenente ad una determinata corrente teologica, a una testata giornalistica o a un certo gruppo ecclesiale, senza vagliare, caso per caso, se quello che dice in una data occasione, è plausibile. Se lo è, noi non esitiamo a citarlo o addirittura a pubblicarlo, avvertendo chi non lo dovesse capire da solo che approvare una singola tesi di una autore non significa mai “sposare” ogni sua opinione e ogni sua intenzione. Nemmeno significa sentirsi solidali o complici di tutte le cose che i suoi amici o sodali hanno fatto o vogliono fare. Si tratta di “distinguer pour unir” come diceva Maritain parando di altro (3): in questo caso, si tratta di distinguere il dogma dall’opinione, per unire sempre nella fede comune tutti coloro che a torto vengono ritenuti — o si ritengono essi stessi — separati o emarginati o esclusi per il fatto di adottare diversi punti di vista teoretici o diversi metodi pastorali legittimi, cioè compatibili con la fede della Chiesa.

radaelli

l’opera del filosofo Enrico Maria Radaelli

Il criterio che ho esposto è il medesimo criterio che mi ha portato, anche prima di partecipare all’impresa apostolica dell’Isola di Patmos, a scrivere prefazioni o postfazioni a libri di autori dei quali non condivido affatto l’ideologia ma che scrivono anche cose che mi sembrano degne di essere prese in considerazione sine ira et studio. Mi viene in mente la prefazione che ho scritto per un libro sulla preghiera del liturgista claretiano Matias Augé, che contiene idee condivisibili, anche se altrove egli si è schierato a favore di una ancora più radicale riforma liturgica secondo l’orientamento prevalente, che è quello progressista (4); così come posso menzionare le prefazioni che ho scritto per tre saggi ecclesiologici di Enrico Maria Radaelli, uno studioso laico, discepolo di Romano Amerio, che invece si dichiara tradizionalista, anche se poi, di fronte alle mie riserve, ha voluto correggere la dizione dicendosi “tradizionista”, il che non cambia la sostanza: sempre di un’ideologia si tratta (5). Ma, come ho detto, in un quadro globale di ideologia si possono trovare e valorizzare tesi di valore autenticamente teologico, e io ci tengo a valorizzarle, perché non sono accecato dal fanatismo né perseguo fini ideologici di sorta.

La serietà dei temi teologici

non ammette le semplificazioni e le generalizzazioni

che sono strumentali all’ideologia

 

Bernard fellay 2

Il Vescovo Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità di San Pio X durante un pontificale

abusi liturgici

un vescovo durante una “sceneggiata” liturgica con i clows sul presbiterio

Nei ragionamenti dei tradizionalisti e dei progressisti io vedo troppa approssimazione nella raccolta dei dati e nella loro interpretazione, così come vedo troppa acqua (eventi ecclesiali) portata al proprio mulino (interessi umani, individuali o di gruppo). Noi dell’Isola di Patmos ci asteniamo dal fare discorsi ideologici, a proposito delle vicende della Chiesa, perché sulla Chiesa vogliamo fare solo discorsi teologici. Le critiche o il disprezzo di coloro che non comprendono le ragioni della nostra neutralità in rapporto alla grande guerra tra fazioni non ci riguardano e non ci interessano. I temi che costoro affrontano (il dogma, la pastorale, la liturgia, il concilio ecumenico, il sinodo dei vescovi, le conferenze episcopali, i teologi eccetera) certamente ci interessano, ma non vogliamo affrontarli “con” loro (come fazione), almeno non “come” loro (quando parlano come esponenti di una fazione). Loro tramutano una serie di frammenti di verità (rilevamenti storici e sociologici, per la loro stessa natura provvisori e parziali) in una visione globale delle vicende mondane, ivi comprese le vicende esteriori della Chiesa cattolica. A forza di estrapolare dai fenomeni osservati qualche teoria generale (cosa che è epistemologicamente scorretta, perché in nessuna scienza è ammessa l’induzione illegittima), hanno creato personaggi ed eventi immaginari, che inducono la loro audience allo sconforto apocalittico o alla speranza messianica. Tutti ricordano le accorate riflessioni di Benedetto XVI sul concilio del media, un evento immaginario che ha fatto esultare per mezzo secolo i fans della grande Riforma filo-luterana e ha fatto piombare nella disperazione i fans della Tradizione dura e pura.

isoladipatmosAttenzione: noi dell’Isola — io in particolare — non disprezziamo né condanniamo nessuno di questi osservatori romani che hanno voluto schierarsi da un parte o dall’altra. A volte si tratta di persone intelligenti, colte e animate dalle migliori intenzioni di servizio alla Chiesa. Ma io non ho mai potuto condividere — da un punto di vista teologico — il giudizio sommario che alcuni autori hanno voluto e vogliono tuttora formulare sulla vita della Chiesa “come tale”, ritengono di aver potuto valutare adeguatamente il bene o il male che determinati eventi producono nel Corpo mistico di Cristo. Nelle opere di questi autori non mancano analisi profonde e valutazioni in gran parte condivisibili, ma io noto sempre anche la pretesa di una sintesi impossibile e dunque infondata. Mi domando: qual è il referente reale dei loro discorsi? Quando parlano di “Chiesa” o di “cattolicesimo” a che cosa concretamente si riferiscono? Noi uomini — dobbiamo ammetterlo se abbiamo nozioni teologiche di base — nulla sappiamo dei progetti di Dio e del suo intervento nel segreto delle coscienze di ogni uomo. Questa è una verità elementare che tutti gli autori cui mi riferisco in teoria ammettono; ma allora, perché immaginano di poter sapere come va e dove va la Chiesa “come tale”? Essi di fatto si limitano ad analizzare e a valutare alcune poche cose tra quelle che esteriormente appaiono nella condotta degli uomini di Chiesa, e/o nei documenti dottrinali e disciplinari, nel costume dei fedeli nelle varie parti del mondo cattolico. Sanno bene di riferirsi a poche misere evidenze empiriche, ma poi si lanciano a prospettare eventi epocali e a profetizzare una e ancora un’altra “nuova Pentecoste, oppure a diagnosticare malattie mortali per la Chiesa, ritenendo di avere tutti i dati necessari per applicare con certezza al tempo presente le profezie dell’Apocalisse sulla “grande apostasia.

Gli uni e gli altri sono liberi di congetturare in positivo o in negativo il presente e il futuro della Chiesa, ma non certamente con laideologia pretesa che tali fantasticherie siano certezze teologiche. Il linguaggio è certamente teologico, ma il messaggio è ideologico, non teologico. Occorre avere sempre presente che un messaggio è teologico se si può tradurre in questi precisi termini epistemici: è “una cosa che ha rivelato Dio”, o almeno si deduce logicamente da quello che ha rivelato. Parlare delle cose della Rivelazione “con timore e tremore” è proprio del vero credente e del vero teologo. Invece, ostentare una sicurezza senza fondamento scientifico alcuno è quello che si fa in ogni parte del mondo quando si parla di politica — il linguaggio della politica è sempre fatto di retorica su base sociologica — ed è quello che si fa in ambito teologico quando l’intentior profundior di chi tratta i problemi della Chiesa è ideologica più che teologica. Ecco allora che spetta alla teologia, per un dovere di chiarezza nei confronti dell’opinione pubblica cattolica, prendere le distanze dall’ideologia conservatrice come da quella, progressista.

vitello oro

uno dei risultati naturali più antichi dell’ideologia: il vitello d’oro

I cattolici che militano in una di queste fazioni ideologiche ragionano e scrivono di argomenti ecclesiali con un linguaggio che ha senso solo nelle analisi sociologiche al servizio della dialettica politica, a cominciare dai termini più usati, come “tradizione in opposizione e “progresso,” “conservazione in opposizione a “riforma, “continuità in opposizione a “rottura. Invece noi — lo ripeto — ragioniamo e scriviamo in termini unicamente “teologici”. Noi siamo convinti che, quando si tratta delle questioni di fondo riguardanti la vita della Chiesa, nessuno può fare un discorso serio e costruttivo — utile cioè al popolo di Dio — se non ricorrendo alle categorie e ai principi della scienza teologica. Studiare i problemi attuali della Chiesa con le categorie e con i principi della scienza teologica vuol dire essere umili — perché la teologia obbliga a rispettare i limiti della comprensione umana dei misteri rivelati, rinunciando alle pretese del razionalismo — ma è l’unico modo di evitare discorsi superficiali e frivoli, per rispondere invece alle esigenze dell’apostolato. Perché è l’apostolato ciò a cui noi miriamo sempre, prima con il ministero sacerdotale e poi anche con gli scritti. Ciò che ci muove e ci guida, come sacerdoti di Cristo, è sempre e solo la nostra responsabilità pastorale, il dovere di contribuire alla vita di fede delle persone con le quali entriamo in contatto direttamente o indirettamente.

In che cosa consiste l’approccio teologico

 

oro

“l’oro autentico non ammette aggettivi”

Il primo compito del lavoro teologico è indicare sempre, in ogni occasione e su qualsiasi argomento, quali siano gli “articuli fidei”, ossia quelle poche e certissime verità che debbono orientare il pensiero e la prassi di tutti i cattolici, a prescindere dalle libere opinioni che riguardano l’interpretazione scientifica e l’applicazione pastorale — di per sé contingente — del dogma. Per questo dicevo che il criterio teologico è l’unico capace di distinguere, nei discorsi sulle realtà ecclesiali, il dogma dall’opinione, evitando di relativizzare i dogma e assolutizzare l’opinione, come fanno le ideologie di qualsiasi tipo. Noi dunque non ci schieriamo con i conservatori o con i progressisti perché teologicamente queste denominazioni non hanno senso. Non avrebbe senso professarci “cattolici tradizionalisti” o “cattolici progressisti”, perché davanti a Dio e davanti al popolo di Dio importa solo professare la fede cattolica ed essere fedeli alla dottrina della Chiesa. Ed la fedeltà alla disciplina della Chiesa e alla sua dottrina ammette molte vie diverse, molte modalità espressive e molte declinazioni operative. Noi siamo e ci diciamo semplicemente “cattolici”. Diceva quel santo che citavo prima che “l’oro autentico non ammette aggettivi”, e infatti, se uno vende oro con qualche aggettivo vuol dire che quello che vuole spacciare per oro è qualche altra cosa. Di fronte ai problemi del dogma e della pastorale, l’unica cosa che conta è individuare, professare e difendere la verità della fede cattolica, che è comune a tutti e nella quale non ci possono essere divisioni, fazioni o partiti.

libertà di pensiero

“si ha tutto il diritto di giudicare i fatti che avvengono e le idee che circolano nella Chiesa, ma l’importante è non trasformare il giudizio su singoli fatti, verificabili e giudicabili con criteri cristiani, in un giudizio globale su persone, dottrine e istituzioni”

Ma allora, non si ha la libertà di pensiero? Non ci si può fare un’opinione sulle cose che avvengono nella Chiesa e che sono sulla bocca di tutti? Non è legittimo esprimere die giudizi di valore circa le attuali tendenze ecclesiali siano esse di riforma del papato in senso “sinodale” o di conservazione delle strutture tradizionali? Non si può essere contro la riforma liturgica di Paolo VI e a favore del “Vetus Ordo” o viceversa? Insomma, i cattolici hanno il diritto di pensare e di qualificarsi come conservatori o come progressisti? La risposata a domande del genere è scontata: certamente si ha tutto il diritto di giudicare i fatti che avvengono e le idee che circolano nella Chiesa, ma l’importante è non trasformare il giudizio su singoli fatti, verificabili e giudicabili con criteri cristiani, in un giudizio globale su persone, dottrine e istituzioni, facendo di tutte le erbe un fascio e mancando sistematicamente alla carità e alla giustizia. Soprattutto, non si può trasformare un’opinione — per sua natura ipotetica e contingente — in un sistema di pensiero apodittico. Non si può estrapolare da osservazioni empiriche di dettaglio una legge scientifica generale che travalichi ogni limite di verificabilità e ogni giustificazione epistemica. In altri termini  — in termini rigorosamente logici — non si può passare da opinioni ben circoscritte nella materia e nel tempo a un’ideologia. L’ideologia è l’arma preferita della politica ma è la negazione della consapevolezza critica che regge il lavoro di ogni scienza, anche e soprattutto della scienza teologica. Sicché può succedere che una opinione, circoscritta a uno specifico tema e dunque perfettamente legittima, tanto che chiunque la esamini spassionatamente debba considerarla ammissibile e condivisibile, diventi poi, se chi la difende si mette scriteriatamente ad assolutizzarla, un’ideologia totalizzante, che genera fanatismi. (En passant, ricordo che “fanatico” è un aggettivo con cui i teologi dell’antichità cristiana designavano i pagani che celebravano i loro culti nei boschi sacri).

Credo1

Simbolo di fede niceno-costantinopolitano

Il principio dal quale partire all’inizio di ogni ragionamento riguardante la Chiesa — per poi ripartire ogni volta che le cose si complicano e manca la chiarezza — è questo: bisogna mantenere sempre quello che per grazia di Dio noi cristiani abbiamo come criterio teologico assolutamente certo, ossia che «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità». Ma la conoscenza della verità rivelata, fede che ci salva, non è mai la fede “soggettiva” — luterana, modernista —, una verità che possa essere arbitrariamente inventata da qualcuno: è sempre e solo la fede professata dalla Chiesa, ossia il dogma. Nel dogma — il “Simbolo degli Apostoli” o il “Simbolo Niceno-costantinopolitano”, ossia il “Credo” che recitiamo la domenica nella Santa Messa — noi tutti ci riconosciamo pienamente d’accordo e siamo perfettamente uniti. Poi, a partire dal dogma, sono possibili e di fatto storicamente si producono molte “interpretazioni” teoretiche e “applicazioni” pratiche. Tali interpretazioni e applicazioni sono sempre legittime e anche utili alla vita della Chiesa se restano assolutamente fedeli al dogma dal quale partono, altrimenti si tratta di corruzione della vera fede (eterodossia) o di deviazione dalla retta via indicata da Cristo (scisma). La distinzione concettuale tra dogma e opinione teologica, tra verità indiscutibile e ipotesi ammissibile, è ardua ma necessaria, e a illustrarla in termini rigorosamente scientifici ho dedicato il mio trattato su “Vera e falsa teologia”, che i credenti avvezzi a leggere i quotidiani e le riviste “cattoliche” più che i testi di studio hanno volutamente ignorato, mentre i teologi che in quel libro ho criticato hanno cercato in tutti i modi di toglierlo dalla circolazione (6).

Perché è inutile o addirittura dannoso

l’approccio meramente sociologico

alla vita della Chiesa

 

teologia preghiera

la teologia si fa pregando

pugili

l’ideologia si fa litigando

Per chiarire ancora ciò che distingue l’approccio teologico da quello ideologico alla vita della Chiesa, faccio notare che le ideologie ecclesiali di ogni tipo — dagli estremi del tradizionalismo anti-conciliarista e del progressismo conciliarista riformatore, alle tante posizioni che si presentano come “moderate”, come una “terza via” — si basano volentieri su rilevamenti sociologici, addirittura ai dati statistici. E quanto più gli argomenti sono di questo genere, tanto più il criterio autenticamente ecclesiale viene offuscato. Io vorrei richiamare l’attenzione di chi parla e scrive di problemi ecclesiali su quanto sia inutile, quando non è proprio dannoso, l’approccio sociologico alla vita della Chiesa, perché qualunque considerazione che si basi sui dati — empirici o scientifici — della sociologia religiosa non riesce a toccare nemmeno superficialmente la realtà effettiva della vita della Chiesa. La Chiesa, infatti, è un mistero soprannaturale; della sua vita reale, ossia della grazia che santifica e salva le singole anime nella concretezza della storia umana, noi non possiamo sapere nulla e ci dobbiamo accontentare delle verità meta-storiche che Dio stesso ci ha rivelato. Non posiamo sapere con certezza, al di là delle apparenze che sono sempre ingannevoli, chi appartenga effettivamente, in questo momento, al corpo mistico di Cristo è la Chiesa, così come non possiamo pretendere di sapere quali siano concretamente i piani della Provvidenza che la governa realmente, «volgendo ogni cosa al bene di coloro che amano Dio», come è scritto nella “Lettera ai Romani”. Di ciò che realmente è un bene o un male nella vita della Chiesa noi credenti abbiamo solo qualche indizio attraverso la fede nella rivelazione divina, e poi qualche verifica sperimentale nell’esame della propria coscienza (cioè nell’esperienza mistica, anche ordinaria, che consente al credente di rilevare, alla luce della fede, gli effetti sensibili dell’azione invisibile della grazia divina), come pure nell’esperienza pastorale (cioè nei risultati visibili dell’azione apostolica volta all’incremento della fede del prossimo).

treno moderno

treno evoluto …

treno antico

treno involuto …

Il progresso o l’involuzione dei quali parlano tanto, in chiave sociologica, i progressisti e i conservatori sono tutt’al più ipotesi degne di rispetto – nel caso che le intenzioni siano davvero buone – ma non sono mai da prendere troppo sul serio, perché – ripeto – mancano di serietà scientifica, osservano solo i fenomeni di massa, giudicano situazioni che non possono valutare in profondità, nella concretezza esistenziale della vita cristiana, dove si combatte la quotidiana battaglia tra la grazia e il peccato. Anche per i progressisti e i conservatori, chiusi nei loro schemi ideologici, vale l’ammonimento dello Spirito Santo per bocca dell’Apostolo: «Parlano di ciò che non conoscono». Noi dell’Isola di Patmos, ben sapendo che dobbiamo parlare solo di ciò che conosciamo — dice san Paolo: “Credo, e per questo parlo” —, non ci facciamo i portavoce di quei profeti tristi che annunciano uno scisma imminente, e nemmeno di quei profeti ilari che annunciano l’avvento del Regno attraverso una nuova Chiesa “ecumenica e sinodale”. Noi ci dedichiamo a ricordare a tutti che la sociologia religiosa e la politica ecclesiastica forniscono dati di scarso interesse per la vita cristiana dei singoli fedeli, ai quali va annunciato, in ogni epoca e in ogni circostanza socio-politica, la verità del Vangelo sine glossa, come diceva san Francesco. O meglio, con tutte le glosse necessarie per poter distinguere quello che è l’essenziale (il dogma) da quello che è accidentale (le opinioni teologiche).

triregno

… e le porte degli inferi non prevarranno su di essa

Il riferimento costante di ogni discorso propriamente teologico non sono i movimenti delle masse anonime rilevabili sociologicamente: è la vita di fede di ogni singola persona, direttamente o indirettamente raggiungibile con il messaggio, la quale deve accogliere nel suo cuore la verità rivelata, che è la sola speranza di salvezza. Per questo ogni discorso propriamente teologico si deve basare sempre e solo sul dogma, sulla dottrina certa della Chiesa che si esprime in enunciati formali (le formule dogmatiche), che non danno adito a dubbi e non sono suscettibili di interpretazioni contraddittorie. Grazie a Dio, per quanto possano essere o sembrare sconcertanti le vicende ecclesiastiche degli ultimi decenni, tutti noi cattolici continuiamo ad avere come punto di riferimento certissimo e attualissimo il dogma, elaborato dalla tradizione ecclesiastica con un’evoluzione omogenea che parte dagli Apostoli e arriva fino all’ultimo concilio ecumenico; un dogma che tutti possono trovare chiaramente esposto e opportunamente sintetizzato nel “Catechismo della Chiesa cattolica”, che è uno dei meriti storici del papa che lo ha voluto (san Giovanni Paolo II). A chi dice stoltamente che esso è “superato” — se ne rallegra o se ne affligge — va ricordato che si tratta di un documento del magistero post-conciliare che non è stato abrogato da alcun atto ufficiale del magistero stesso, né mai può esserlo. La Chiesa è di Cristo, ricordava Benedetto XVI nel momento di rinunciare al ministero petrino, e per questo essa è indefettibile, ossia non potrà mai soccombere alle “porte degli inferi”. Sarà sempre mater et magistra. I sacerdoti Giovanni Cavalcoli, Ariel S. Levi di Gualdo ed io ne siamo certi perché lo ha detto Lui, non perché lo abbiamo sentito dire da un qualche teologo, conservatore o progressista che sia.

Introitus Dominica Secunda Adventus

Gli Autori dell’Isola di Patmos promuovono la tutela del patrimonio del buon canto e del latino liturgico

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NOTE

(1) Vedi Antonio Livi, Louis Althusser: “Pour Marx”, Emesa, Madrid 1973; Fernando Ocariz, Il marxismo, ideologia della rivoluzione, a cura di Antonio Livi, Ares, Milano 1976.
(2) Cfr Antonio Livi, Interpretazione o ri-formulazione del dogma?, in Verità della fede. Che cosa credere e a chi, a cura di Gianni Battisti, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2013, pp, 21-94.
(3) Cfr Jaques Maritain, Distinguer pour unir, ou Les Degrés du savoir, Desclée de Brouwer, Paris 1931.
(4) Antonio Livi, Presentazione, in Matias Augé, Un mistero da riscoprire: la preghiera, Paoline, Cinisello (Milano) 1992.
(5) Cfr Antonio Livi, Presentazione, in Enrico Maria Radaelli, Il mistero della Sinogoga bendata, Effedieffe, Milano 2002, pp. I-IX; Idem, Introduzione. Le disavventure di un filosofo cristiano, in Enrico Maria Radaelli, Romano Amerio. Della verità e dell’amore, Costantino Marco Editore, Lungro di Cosenza 2005, pp. VII-XXVIII; Idem, Prefazione, in Enrico Maria Radaelli, La Chiesa ribaltata. Indagine estetica sulla teologia, sulla forma e sul linguaggio del magistero di Papa Francesco, Gondolin Edizioni, Verona 2014, pp. I-XX.
(6) Cfr Antonio Livi, Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012. Vedi anche La verità in teologia. Discussioni di logica aletica a partire da “Vera e falsa teologia” di Antonio Livi, a cura di Marco Bracchi e Giovanni Covino, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2014.

Antonio Livi ( 1938-2020 )
Presbitero e Teologo


( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Antonio

Antonio Livi e Giuliano Ferrara: pastori, teologi ed atei devoti

ANTONIO LIVI E GIULIANO FERRARA:
PASTORI, TEOLOGI ED ATEI DEVOTI.
DUE MONDI E DUE LINGUAGGI DIVERSI

 

In risposta ad un articolo del quotidiano Il Foglio diretto da Giuliano Ferrara:

Nella celebre intervista concessa a Eugenio Scalfari, Bergoglio arriva a sostenere che “il Figlio di Dio si è incarnato per infondere nell’anima degli uomini il sentimento della fratellanza”. Quindi, per il Papa, che fa dell’antropocentrismo spinto e della “teologia dell’incontro” la cifra distintiva del suo pontificato, sparisce la finalità redentiva della kenosis del Figlio. Cristo si è incarnato per redimere l’uomo dalla schiavitù del peccato originale (anche questo sparito dal “magistero” bergogliano in luogo di un inaccettabile e pernicioso cainismo) e, attraverso la croce, farlo rinascere alla vita nuova della Risurrezione. Questo dice il cattolicesimo. Qui e solo qui è possibile la vera fratellanza in Cristo che non è quella umanitarista da ong e sentimentalista, tanto sbandierata quanto inaccettabile, di Papa Francesco [articolo integrale QUI].

 

Autore Antonio Livi

Autore
Antonio Livi

ferrara de Mattei

il direttore del Foglio Giuliano Ferrara e lo storico Roberto de Mattei dell’Università Europea di Roma, durante una conferenza presso la Fondazione Lepanto

Il mio amico Giuliano Ferrara dice, anche in questa occasione, cose giustissime, ma come sempre le dice da un punto di vista che non mi coinvolge. Lui e tanti altri che analizzano e commentano le azioni pubbliche e le presunte intenzioni di Papa Francesco non parlano da credenti che si rivolgono ad altri credenti ma da intellettuali; da giornalisti, sociologi, uomini politici che si rivolgono a un’indeterminata “opinione pubblica” che dovrebbe, secondo loro, essere interessati a sapere che cosa avviene nella Chiesa “vista da fuori”. Pensano che tutti, anche i credenti, dovrebbero prendere posizione ogni giorno pro o contro le novità che si registrano all’interno del mondo ecclesiastico, approvando o disapprovando ogni apparente nuovo orientamento delle gerarchie ecclesiastiche in materia di dottrina, di morale, di liturgia. Per aiutare questa indeterminata “opinione pubblica” a prendere posizione, questi opinionisti ricorrono alle medesime categorie ermeneutiche che valgono per valutare la dialettica culturale, economica e politica, ossia la lotta per il potere, le rivendicazioni di diritti ancora non rispettati, le spinte riformatrici e le resistenze conservatrici. Insomma, sono notizie e commenti che non mi interessano più di tanto, perché a me della Chiesa interessa soltanto ciò che la Chiesa veramente è.

amo la mia chiesaIl mio punto di vista, quello per cui amo la Chiesa e da sempre mi adopero per servirla fedelmente, è il punto di vista teologale, mentre Ferrara e altri galantuomini come lui guardano sì con una certa ammirazione la Chiesa, hanno sì una buona conoscenza della sua dottrina, ma quando domandi loro se credono davvero che la Chiesa sia stata voluta da Cristo, il Verbo Incarnato, per annunciare a tutti gli uomini e in ogni tempo il Vangelo della salvezza e amministrare i sacramenti della grazia, loro onestamente riconoscono che non ci credono. Tutt’al più sono credenze che apprezzano intellettualmente, ma senza farle proprie.
Invece io mi ritengo credente proprio perché ho sempre creduto e continuo a credere la Chiesa come “sacramento universale di salvezza” e faccio mia la sua dottrina perché non dubito che essa sia la verità religiosa assoluta, rivelata da Dio stesso. E nella mia azione pastorale — l’insegnamento accademico, la catechesi, la direzione spirituale — mi rivolgo logicamente a chi vede la Chiesa dal medesimo punto di vista, perché questo è ciò che qualifica, nell’intelligenza, il vero credente, ciò che lo distingue dai simpatizzanti di ogni tipo, con i quali ci può essere la massima amicizia sul piano umano ma nemmeno un po’ di condivisione dei criteri con cui essi valutano gli eventi della Chiesa.

Indro Montanelli

Indro Montanelli [Fucecchio di Firenze 1909 – Milano 2001]

Giuseppe Prezzolini

Giuseppe Prezzolini [Perugia 1882 – Lugano 1982]

Io ricordo con stima e simpatia simpatizzanti della vecchia generazione, come lo scrittore Giuseppe Prezzolini o il giornalista Indro Montanelli — due toscani, ambedue amici di Paolo VI —, i quali somigliano tanto, per intelligenza e cultura, a quelli della generazione attuale, come il filosofo Marcello Pera, amico di Benedetto XVI; e lo stesso Giuliano Ferrara, estimatore di Benedetto XVI. Conosco bene e proprio per questo non posso dire che apprezzo i simpatizzanti dell’ultima ora, come Eugenio Scalfari e Marco Pannella, vecchi ideologi del radicalismo ateo e anticlericale e ora smaniosi di sembrare amici di Papa Francesco. La professionalità politica e giornalistica di tutti costoro e l’intenzione con la quale si interessano dei pontefici e della dottrina della Chiesa meritano, in maggiore o minor grado il rispetto da parte dei credenti, così come meritano di essere rispettate le decisioni dei Papi che stabiliscono e intrattengono rapporti personali di amicizia con questi cosiddetti “atei devoti”. Ma, allo stesso tempo io — ripeto — non condivido praticamente nulla di quello che dicono, e nemmeno cerco di simulare un consenso che non può esserci. Io la Chiesa e il Papa li vedo da un diverso punto di vista, che è quello della fede, e se ne parlo con altri credenti ne parlo con una diversa intenzione, che non è quella dell’informazione giornalistica, necessariamente legata alla superficialità dei rilevamenti sociologici e all’ipersensibilità — non intolleranza ma dipendenza — nei riguardi del potere temporale, sia civile che ecclesiastico. Io ripeto sempre, perché è assolutamente vero, che qualunque considerazione basata sui dati della sociologia religiosa non sfiora nemmeno la realtà effettiva della vita della Chiesa, la quale è un mistero soprannaturale del quale noi credenti abbiamo solo qualche indizio attraverso la fede nella rivelazione divina e poi qualche verifica sperimentale nell’esame della propria coscienza — esperienza mistica, ossia dell’azione della grazia in noi — e nell’azione apostolica rivolta alla salvezza del prossimo — esperienza pastorale —.

papi postconcilio 2Per essere fedeli a Gesù Cristo servono forse tante informazioni sulle decisioni pastorali o di governo di Papa Francesco? Servono tanti confronti con i suoi predecessori e tante analisi dei suoi discorsi? È davvero indispensabile per il singolo fedele cattolico riuscire a capire quale sia il trend dei mutamenti che si stanno verificando oggi nella vita della Chiesa da un punto di vista sociologico, come per esempio le statistiche relative alle presenze a Messa, ai nuovi battesimi e ai cosiddetti “sbattezzamenti”, alla crescita o alla diminuzione delle vocazioni sacerdotali e religiose, sondaggi di opinione sulle norme di morale sessuale? Ai fini di una maggiore unione personale con Cristo è indispensabile essere al corrente di tutti i fatti di cronaca riguardanti le polemiche tra i teologi, le nomine e le destituzioni di alti prelati, insomma quelli che vengono presentati come interessanti retroscena della politica ecclesiastica?

Io ritengo, con fondati motivi pastorali, che per la vita di fede dei credenti sia indispensabile soltantolivi metafisica e senso comune possedere e incrementare una adeguata capacità di discernimento, quel sensus fidei che induce a dare poco ascolto al clamore dello scandalismo mediatico, ad evitare di essere attratti dalla vana curiositas. Mi interessa richiamare l’attenzione dei credenti ai documenti del Magistero solenne e ordinario e all’interpretazione autentica del Vangelo che essi e autorevolmente propongono. Solo così posso contribuire a evitare che la “fantateologia” dei Pastori irresponsabili e l’immagine mediatica della Chiesa, costruita sulla sola base delle sue vicende umane esteriori, si sovrapponga alla conoscenza di fede, ossia alla verità della Chiesa quale risulta dalla divina rivelazione.

Layout 1Come sacerdote, quando io parlo del Papa o degli sviluppi della dottrina cattolica ho a cuore le sorti della fede nel cuore delle singole persone, tenendo conto, necessariamente, del fatto che il racconto degli eventi ecclesiastici proposto dai media quotidianamente aumenta ogni giorno di più lo sconcerto e il disorientamento tra i fedeli. Ho collaborato l’anno scorso alla pubblicazione di un volume di vari autori — tra questi, il teologo domenicano Giovanni Cavalcoli e lo storico Roberto de Mattei — che si intitola appunto Verità della fede: che cosa credere, e a chi [Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2013, vedere QUI]. In precedenza avevo pubblicato un vera e falsa teologiatrattato scientifico intitolato Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa” [Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012, vedere QUI]. Giuliano Ferrara ha dedicato a questo libro un intero paginone del suo giornale, Il Foglio, ma lo ha etichettato, già nel titolo redazionale come espressione del pensiero di una scuola teologica tradizionale, vicina all’establishment ecclesiastico. A parte che la verità dei fatti è proprio il contrario — all’establishment ecclesiastico, fatta eccezione per Papa Benedetto XVI, il mio libro non piacque affatto —, il disinteresse di Ferrara per gli argomenti propriamente teologici del testo era scontato. Dai giornalisti non credenti, anche se assai colti e sinceramente simpatizzanti com’è il valente direttore del Foglio, non mi aspetto alcun aiuto nella mia battaglia, che è squisitamente pastorale e si rivolge all’opinione pubblica cattolica con la speranza che qualcuno, tra quanti leggono e capiscono ciò che scrivo, possa essere ri-orientato all’essenziale della fede cattolica, smettendo di dare importanza alle cronache clericali e, peggio ancora, di dare credito alle dottrine dei falsi maestri della fede.

barcaiolo. 1

Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuole approdare [Seneca, da Lettere a Lucilio, lettera 71]

Impresa ardua, direi una mission impossible, ma, oggi come ieri, ogni vera azione pastorale è come remare controcorrente, è come gettare la semenza nei solchi senza poter prevedere sapere se e in quale misura il seme germoglierà. Io so benissimo, perché vivo in mezzo alla gente, che l’opinione pubblica cattolica viene coinvolta da polemiche strumentali — suscitate cioè da interessi di potere — attorno ai discorsi del Papa e alle diverse interpretazioni che essi hanno avuto da parte di opinionisti che si dichiarano credenti ma in realtà professano, più che la fede cattolica, l’ideologia dei conservatori o dei progressisti, e che proprio per questo parlano, purtroppo, il medesimo linguaggio sociologico e politico che vien usato da quegli altri opinionisti che ho prima nominato, i quali si dichiarano non credenti e sono politicamente schierati o a destra o a sinistra e in quest’ottica osannano un papa ne criticano un altro, oppure passano dall’osannare a critica il medesimo quando le sue iniziative con sembrano andare più nel verso “giusto”. Per me, qualunque “verso” che a costoro sembri giusto a me non va bene comunque.

Io faccio un altro tipo di discorso. Ricordo ai credenti di ogni “tipo” gerarchico o cultuale, che un discorso o un gesto del Papa, chiunque egli sia, è da prendersi sul serio solo quando egli agisce presentandosi esplicitamente come supremo maestro della fede, cioè solo in quanto intende impegna formalmente l’autorità dottrinale che gli è propria. Non serve a niente stare ad analizzare l’opportunità o le intenzioni recondite delle sue quotidiane decisioni pastorali o di governo, e nemmeno è utile passare ogni giorno al setaccio i suoi discorsi occasionali, informali, omiletici, addirittura i colloqui privati.

bianchi francesco

il finto monaco Enzo Bianchi vestito da abate in udienza dal Santo Padre Francesco. Questo sedicente priore della comunità multiconfessionale di Bose non ha mai ricevuto alcun ordine sacro né alcun ministero istituito, né mai ha professato i voti religiosi, è un laico auto elettosi suprema autorità di se stesso e presso il quale non pochi vescovi italiani mandano i propri seminaristi a fare esperienze di esotica spiritualità prima di ordinarli diaconi e presbiteri

Io ho criticato spesso — sulla Bussola Quotidiana e su L’Isola di Patmos alla quale Ariel S. Levi di Gualdo ha dato vita assieme a Giovanni Cavalcoli ed a me — la tendenza modernistica e in definitiva massonica di tanti loschi figuri che lavorano per una religione mondialistica umanitaria e attribuiscono al Papa le loro idee di riforma della Chiesa, per citarne alcuni tra i più celebri: il cardinale Walter Kasper, l’arcivescovo Bruno Forte, lo pseudo monaco Enzo Bianchi, il professor Melloni con la Scuola di Bologna che si arroga l’esclusiva dell’ interpretazione del Concilio eccetera. Ma io, rivolgendomi all’opinione pubblica cattolica, non posso azzardarmi a confermare che il Papa è davvero d’accordo con loro, perché ancora non ci sono atti ufficiali del magistero pontificio che documentino seriamente questo sospetto. Se ci fossero, saremmo di fronte a un vero e proprio scisma, ma sono convinto che ciò non accadrà. La Chiesa è di Cristo ed è indefettibile.

scalfari 1

Eugenio Scalfari, fondatore e direttore di un quotidiano che sulla Chiesa Cattolica ha lanciato per decenni intere vagonate di immondizie, oggi è un devoto ateo papolatra

Io, invece di fare il profeta di sventure per la Chiesa, come coloro che gridano: «ecco che siamo pieno scisma!», o invece di arruolarmi nell’esercito dei “papolatri” del momento che annunciano «ecco finalmente l’avvento della nuova Chiesa ecumenica e sinodale!», preferisco ricordare a tutti che le valutazioni del vaticanisti, la sociologia religiosa e la politica ecclesiastica hanno un interesse del tutto marginale nella vita cristiana, dove l’essenziale è la realtà concreta della vita di fede di ogni singola persona che deve accogliere nel suo cuore la verità divina che è la sola a garantire la salvezza. Per questo dico che la vita di fede del credente non può basarsi su sospetti o arrampicamenti sugli specchi nel commentare i discorsi non esplicitamente magisteriali del Papa attuale: si deve basare sempre e solo sul dogma, che si esprime in enunciati formali non suscettibili di interpretazioni contraddittorie, vale a dire delle formule dogmatiche.

Prof. Hans KŸngTŸbingen

il sacerdote e teologo eretico Hans Küng

Per quanto possano essere o sembrare sconcertanti le azioni di Jorge Mario Begoglio, grazie a Dio tutti noi cattolici, ecclesiastici e laici, continuiamo ad avere come punto di riferimento certissimo e attualissimo il dogma, peraltro esposto e sintetizzato dal Catechismo della Chiesa Cattolica, che non è stato ancora abrogato né mai lo sarà; nessun papa e nessun concilio ecumenico o sinodo potrà infatti far propria la falsa teoria di Hans Küng secondo la quale il progresso dogmatico della Chiesa si attua mediante continue contraddizioni e superamenti dialettici, con una verità di oggi che nega quelle di ieri e così prepara il domani. Non siamo chiamati a rimpiangere Benedetto XVI od a rallegrarci che egli si sia dimesso e che al suo posto ci sia Francesco. Non possiamo pensare che quest’ultimo abbia beatificato Paolo VI e canonizzato Giovanni Paolo II per poi contraddire il loro magistero, ad esempio abolendo le norme morali della Humanae vitae e della Familiaris consortio. Nella vita e nell’opera di ogni romano pontefice ci sono sempre state ombre, oltre che tante luci, se sono poi stati canonizzati. Di loro, in ogni caso, si è servito Cristo per guidare la sua Chiesa, soprattutto con il ministero della dottrina della fede e l’efficacia soprannaturale dei sacramenti.

statua di pietro in cattedra

Statua di San Pietro sulla cattedra

Quello che il Papa fa e dice nell’esercizio del ministero petrino deve interessare tutti i fedeli — indipendentemente dalle diverse appartenenze all’interno della Chiesa, dal diverso feeling o da qualunque altra variabile sul piano umano — sempre e solo per un motivo di fede: perché Cristo stesso lo ha voluto come Pastore della Chiesa universale, ossia perché in modo eminente egli è davvero il “Vicario di Cristo”. Di conseguenza, so di poter dire e di dover dire a tutti i credenti che il Papa — chiunque egli sia in un dato momento della storia — non interessa, od interessa assai poco, come personalità umana o come “privato dottore”, cioè come semplice teologo, ma solo come supremo garante della verità divina affidata alla Chiesa dall’unico Maestro, che è Cristo. In questo senso dicevo prima che si può tranquillamente fare a meno di seguire le tante polemiche ecclesiastiche od ecclesiologiche e fidarsi dei documenti della vera fede, che sono a disposizione di tutti, ma non ovviamente sulle pagine del Foglio o della Repubblica o degli altri giornali.

Cliccare sotto per ascoltare il corale Cristo risusciti

Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

I precisi confini della infallibilità: il Sommo Pontefice come dottore privato

 — IN APPENDICE: INTERVISTA ALL’ARCIVESCOVO DI CHICAGO —

 

I PRECISI CONFINI DELLA

INFALLIBILITÀ:

IL SOMMO PONTEFICE COME

DOTTORE PRIVATO

 

Un problema delicato è dato dalle condizioni per le quali il Papa può entrare nel settore dottrinale senza essere infallibile. È allora il caso nel quale egli si esprime come dottore privato ovvero come semplice teologo. Qui egli non può valersi del carisma di Pietro, ma quello che dice dipende solo dalla sua sapienza umana, seppure fondata sulla fede. In questo campo egli può formulare opinioni o raggiungere certezze scientifiche, ma può anche errare, s’intende, teologicamente, ma non nella fede, perchè è protetto dal carisma di Pietro.

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

statua di pietro

Papale Arcibasilica di San Pietro: la statua dedicata al Principe degli Apostoli

Sull’importanza e il senso da dare agli interventi, agli insegnamenti, alle affermazioni e dichiarazioni del Sommo Pontefice Francesco, si danno oggi notevoli dissensi in campo cattolico o fra gli stessi non-cattolici i quali, come è noto, sono frequentissimi e molto diversificati nella forma e nel contenuto, indirizzati al pubblico ed ai privati più diversi, cattolici e non-cattolici, facenti uso dei mezzi di comunicazione più diversi, frutti delle moderne tecnologie, insoliti rispetto agli usi dei Papi precedenti.

Molti entusiasti di Papa Francesco, prendono tutto quello che dice con fanatismo o finta adesione, senza vaglio critico, salvo poi fare come pare a loro o strumentalizzando quanto egli dice ad usum delphini, soprattutto se accontenta le loro voglie e le loro ambizioni. Altri, attaccati allo stile dei Papi precedenti, seguono o, si potrebbe dire, lo pedinano ogni giorno passo dietro passo con sguardo occhiuto e fucile puntato, sospettandolo di essere un Papa invalido, per coglierlo in fallo alla prima sua parola insolita, scorgendo in essa con acuta dietrologia oscure trame massoniche o segrete eresie luterane, comunque idee che risentono di quel Concilio criptoereticale tale fu a dire di costoro il Concilio Vaticano II. Essi ignorano che, come accennerò più avanti, il Papa non insegna la verità di fede, ossia, come si dice, non è “infallibile” solo quando proclama o definisce solennemente o da sè o attraverso un Concilio un nuovo dogma, ma, seppure a gradi inferiori e meno autorevoli, tutte le volte che egli ci istruisce come maestro della fede.

La condizione essenziale per il valore di questi livelli inferiori è che il Papa insegni la Parola di Dio, la dottrina e il mistero di Cristo e della Chiesa, il dato rivelato (Scrittura e Tradizione), i sacramenti, le virtù cristiane, la via del Vangelo e della salvezza, le verità o i dogmi della fede, gli articoli del Credo, ci si esprima come ci si vuol esprimere, non interessa. E non interessano neppure le circostanze, le modalità e i mezzi di queste comunicazioni, dalla l’enciclica, alla lettera pastorale, al motu proprio, all’udienza generale, all’omelia della Messa, al discorso, alla intervista giornalistica o alla telefonata. L’importante è che si tratti di queste materie, direttamente o indirettamente, esplicitamente o implicitamente.

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Il Sommo Pontefice Francesco, immagini di repertorio

Un problema delicato, ed è il tema di questo articolo, è dato dalle condizioni per le quali il Papa può entrare nel settore dottrinale senza essere infallibile. È allora il caso nel quale egli si esprime come dottore privato ovvero come semplice teologo. Qui egli non può valersi del carisma di Pietro, ma quello che dice dipende solo dalla sua sapienza umana, seppure fondata sulla fede. In questo campo egli può formulare opinioni o raggiungere certezze scientifiche, ma può anche errare, s’intende, teologicamente, ma non nella fede, perchè è protetto dal carisma di Pietro.
Nel passato i Papi non ci hanno lasciato documenti che non fossero espressione del carisma di Pietro. Se prima di salire al soglio pontificio col nome di Pio II, Enea Silvio Piccolomini, come altri pontefici, avevano pubblicato loro scritti, una volta eletti Papi il loro insegnamento non fu generalmente che espressione del loro ufficio di Successori di Pietro e maestri della fede. Essi vollero cancellare l’aspetto umano del loro pensiero e non essere altro che tramiti dell’insegnamento del Vangelo.
Questo racchiudere tutta la propria attività di pensiero e di insegnamento nei limiti dell’ufficialità era probabilmente motivata nei Papi del passato dal timore che la manifestazione delle loro idee personali potesse essere scambiata per insegnamento pontificio, cosa che per la verità può effettivamente accadere nei credenti non sufficientemente preparati a distinguere pensiero teologico ed insegnamento di fede, ossia il Sommo Pontefice Francesco.

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Il Sommo Pontefice Francesco in uno dei suoi saluti spontanei informali

Diversamente invece, col secolo scorso, e precisamente con San Giovanni Paolo II, prende avvio l’uso del Papa che non si limita al suo ufficio pontificio, ma produce anche opere letterarie o teologiche sotto un profilo meramente umano. Da questo punto di vista è notevole è la trilogia cristologica di Benedetto XVI, circa la quale egli stesso invitò gli studiosi a discutere con lui. Segno evidente che egli con questi scritti non intendeva presentarsi come dottore universale ed infallibile della fede, ma semplicemente ed anche modestamente, come teologo tra i teologi, sebbene egli sia grandissimo teologo.
Credo che questo mutamento nell’attività intellettuale dei Papi sia stato motivato dal fatto che oggi la formazione culturale cattolica è maggiormente in grado di un tempo di chiarire al comune fedele la differenza tra il Papa come Papa e il Papa come dottore privato, benchè tuttavia il Papa attuale, con la varietà e l’aspetto insolito dei suoi numerosi e frequenti interventi, metta seriamente alla prova chi desidera distinguere in lui Simone – ossia Jorge Mario Bergoglio – che manifesta le proprie idee a volte discutibili, da Pietro maestro infallibile della fede.

Papa Francesco è arrivato in Brasile

Il Sommo Pontefice Francesco durante un colloquio informale con un giornalista brasiliano

Oggi appare più che mai urgente il problema di come possiamo distinguere in modo certo, adeguato e chiaro l’insegnamento di un Papa come Papa da un suo discorso o scritto teologico o letterario occasionale, improvvisato o estemporaneo. La distinzione è molto importante, poichè è evidente che mentre la parola di Pietro è vincolante e sempre vera, quanto invece pensa o dice Simone, ossia l’uomo Bergoglio, benché sempre degno di rispetto, non è detto che sia sempre indiscutibile, univoco e necessario alla salvezza. Al riguardo, possiamo rispondere innanzitutto che lo stesso Papa Francesco si premura solitamente di farcelo capire manifestando le sue intenzioni e a seconda delle circostanze. Siccome il suo ufficio ordinario è quello petrino, ordinariamente dobbiamo pensare che quanto egli esprime sia manifestazione di tale ufficio, soprattutto se si tratta di quelle materie di fede alle quali ho accennato sopra. Ma il livello di autorità del suo insegnamento lo possiamo dedurre anche dai suoi stessi contenuti e dal modo di esprimerli. Esistono infatti dottrine notoriamente teologiche e non magisteriali, dottrine che, se troviamo sulla bocca o negli scritti del Papa, sarà evidente che esprimono il suo pensiero semplicemente come dottore privato.

papa telefonini

Il Sommo Pontefice Francesco in un momento informale con dei giovani

Mettiamo per esempio che il Papa desse a Maria il titolo di “corredentrice” o che sostenesse con Sant’ Agostino che i dannati sono più numerosi dei beati o che la Sindone è veramente l’impronta del corpo di Cristo o che la Madonna appare veramente a Medjugorje o che Giuda è all’inferno o che alla resurrezione esisteranno gli animali o che gli angeli siano stati sottoposti da Dio all’inizio del mondo ad una prova di fedeltà o che il passaggio degli Ebrei dal Mar Rosso sia stato semplicemente un fenomeno miracoloso di marea favorevole o che Adamo ed Eva cacciati dal paradiso terrestre avevano un aspetto scimmiesco o che anche gli embrioni sono battezzati da Cristo o che ci sono state delle cose che Cristo non sapeva o che l’Anticristo è una singola persona o che i due “testimoni” dei quali parla l’Apocalisse sono i Santi Pietro e Paolo e così via. Tutte queste ipotesi sono indubbiamente compatibili con i dati di fede. Si tratta certo di dottrine rispettabili e probabili, ma che tuttavia non corrispondono in se stesse a delle vere e proprie verità di fede, in quanto non è possibile trovarle direttamente nè nella Scrittura nè nella Tradizione. Le fonti della Rivelazione potrebbero avallarle ma anche non avallarle. Al momento non è possibile saperlo con certezza e per questo il Magistero pontificio come tale non si pronuncia.

passaporto papa

Nel mese di febbraio 2014 il Sommo Pontefice Francesco ha voluto formalmente rinnovare il passaporto della Repubblica Argentina con il nome di Jorge Mario Bergoglio

Queste dottrine, tuttavia, grazie ad un ulteriore approfondimento teologico, potrebbero acquistare un domani un tale grado di probabilità, da divenire certezza. Per questo, è del tutto lecito sostenerle con la dovuta modestia ed è altrettanto lecito dissentire da esse con la dovuta prudenza, in attesa di un eventuale chiarimento. In tal caso il dibattito e il confronto tra le opposte opinioni, condotto nel rispetto reciproco e con metodi scientifici, aiuta a scoprire la verità, che forse però non verrà mai scoperta sino alla parusia.
Può anzi accadere che una tesi teologica ben dimostrata sia così bene accolta dalla Chiesa, tanto da salire al grado di dogma di fede definito, come è avvenuto per la tesi tomistica dell’anima unica forma corporis nel Concilio di Viennes del 1312 o dell’immortalità dell’anima nel Concilio Lateranense V del 1513.
Nulla e nessuno pertanto impedisce al Papa, come dottore privato, di inserirsi in questa ricerca e di partecipare alla discussione con gli altri teologi su di un piede di parità ed a suo rischio e pericolo, avanzando un suo modo proprio di vedere le cose e lasciandosi contestare nel caso i suoi argomenti si rivelino sbagliati o discutibili.
Può accadere inoltre che la sua opinione diventi particolarmente autorevole e persuasiva tra i teologi, ma opinione resta; per cui, benchè espressa dal Papa, non può assolutamente assurgere al livello di insegnamento pontificio ufficiale ed infallibile, si tratti di dogma definito o non definito.

papa naso clown

Il Sommo Pontefice Francesco in un momento informale in Piazza San Pietro con una coppia di sposi

Da notare che nel corso della storia i fedeli sono sempre andati soggetti ad un duplice rischio nei confronti delle idee espresse dal Papa. O quello di sottovalutarle e di diminuirne o restringerne l’autorità, con vari pretesti, o al contrario il rischio di quel fanatismo e di quella sudditanza supina, indiscreta, poco illuminata e anche interessata, che prende come indiscutibili anche le posizioni del Papa come dottore privato.
Tra i primi da tempi recenti ci sono quelli che restringono le note dell’infallibilità del magistero pontificio alle specialissime e rarissime condizioni stabilite dal Concilio Vaticano I, onde sentirsi autorizzati a negare l’infallibilità e quindi quanto meno a sospettare di falso o di falsificabilità le dottrine del Concilio Vaticano II, che sarebbero secondo loro solo “pastorali”, nonchè tutti gli insegnamenti ed interventi dei Papi postconciliari a qualunque livello o in qualunque forma, chiaramente non segnati da quelle caratteristiche.
Costoro credono all’immutabilità del dogma; ma quanto all’infallibilità del Papa e del Concilio, respingono la già citata Istruzione della Congregazione della Dottrina della Fede, aggiunta alla Lettera apostolica Ad tuendam fidem di San Giovanni Paolo II del 1998, nella quale si insegna, precisando la dottrina del Vaticano I, che il Magistero della Chiesa (Papa o Concilio), al di sotto dell’infallibilità eccezionale e solennemente definita, si esprime secondo altri due gradi inferiori di autorità, circa i quali il cattolico è certo che la Chiesa dice il vero autenticamente, definitivamente, irreformabilmente ed immutabilmente. Ora, il livello di autorità delle dottrine conciliari e dell’insegnamento dei Papi successivi fino all’attuale, appartiene a uno di questi due livelli.

General audience in Saint Peter's Square

Il Sommo Pontefice Francesco durante un momento informale in Piazza San Pietro

Altri invece, è un caso del nostro tempo, infetti da gnoseologie relativiste, soggettiviste o evoluzioniste, non credono all’infallibilità del Papa, per cui, se a loro pare che il Papa si ponga in contrasto o in rottura con dottrine precedentemente definite o tradizionali, ed il nuovo, così come lo intendono, è di loro gradimento, non si fanno scrupolo ad esaltare un Papa Francesco, che finalmente si è aggiornato, un papa “rivoluzionario”, che finalmente ha abbracciato la “modernità”, un Papa che sa “dialogare” con tutti.
Da questi fatti comprendiamo come sia facile per il fedele ed è possibile anche per un teologo imprudente, si tratti di un tradizionalista o di un progressista, giudicare non in base a criteri obbiettivi, ma ai propri gusti, per cui si nega l’infallibilità o la verità alle dottrine pontificie che non piacciono, anche se assolutamente vere; e per converso si considerano indiscutibili o “avanzate” o addirittura “rivoluzionarie” idee del Papa, fraintese e mal digerite, che il Papa ha espresso magari en passant e senza l’intenzione di insegnare verità di fede o solo per esprimere un’opinione o un’impressione personale.

Costoro, il lettore avrà già capito che sono i modernisti, in realtà, imbevuti di storicismo, non credono all’infallibilità pontificia, perchè non credono all’immutabilità della verità. Ma ciò non impedisce loro di assolutizzare come fossero dogmi certe affermazioni del Papa puramente contingenti ed occasionali, interpretate peraltro come se il Papa desse spazio alle idee moderniste.
Infatti lo storicista, come per esempio l’hegeliano, crede a suo modo nell’assoluto, solo che per lui l’assoluto non trascende la storia in un’immutabilità metafisica, ma non è altro che l’assolutizzazione dell’evento storico presente che lo interessa. Così per esempio, per la Scuola di Bologna, le dottrine del Concilio non fanno riferimento a nulla di immutabile e di sovrastorico, ma rappresentano l’evento epocale, rivoluzionario, escatologico e profetico del tempo presente. In tal senso per lo storicista, l’Assoluto stesso diviene col divenire storico. Nulla resta, nulla permane, ma tutto evolve nella storia, come storia e come Assoluto nella storia. Niente storia senza Assoluto, ma anche niente Assoluto senza storia.

papa bacia la mano

Il Sommo Pontefice Francesco durante un gesto spontaneo verso un gruppo di anziani ebrei reduci dai campi di sterminio

I modernisti non hanno rispetto del Papa come maestro della fede, per cui tendono a risolvere tutti i suoi insegnamenti in semplici opinioni teologiche, che essi quindi si permettono ora di accogliere, ora di contestare, come loro garba, come se fossero quelle di qualunque altro teologo. E questo perchè, come già faceva notare acutamente San Pio X nella Pascendi dominici gregis, essi sono dei “fenomenisti”, che sostituiscono l’apparire all’essere, ciò che sembra a ciò che è. Per loro non si danno quindi certezze oggettive, universali ed immutabili, ma tutto è opinabile, mutevole dipendente dai tempi, dai luoghi e dai punti di vista.
I modernisti si fingono discepoli ed ammiratori del Papa per qualche sua frase o gesto che sembrerebbe andar loro incontro. E purtroppo il Papa non sembra attualmente far molto per sfatare questa interpretazione e prender le distanze da questi falsi amici. Ma l’equivoco non può durare all’infinito. Presto il Papa, stanco dei loro approcci sempre più indiscreti, parlerà con voce franca e chiara. C’è da temere che a questo punto la loro finta ammirazione si muterà in odio. Questo voltafaccia del resto sarà in linea con i loro stessi camaleontici princìpi morali. E sono dell’idea che il Papa potrebbe correre pericolo per la sua stessa vita. Così, a quanto sembra, riuscirono a far morire di dolore Papa Giovanni Paolo I.
Se si tratta invece di altri argomenti, di carattere pratico o morale, a cominciare dagli atti più importanti del governo papale, alle direttive liturgiche, alle disposizioni pastorali, giuridiche, amministrative o disciplinari, qui il Papa è fallibile e può anzi mancare di virtù, di coraggio, di carità e di prudenza. Ma è sempre doveroso, se lo si ritiene utile o necessario, svolgere una critica garbata, modesta e rispettosa, come di figli verso il padre.

papa maradona

Il Sommo Pontefice Francesco durante un saluto informale al pibe de oro Diego Armando Maradona

Osserviamo a questo punto che, come emerge anche dai dotti studi di Antonio Livi ai quali rimando, la teologia è una scienza che, come tale, si accompagna all’opinione. Per questo, il Papa come dottore privato, può giungere a conclusioni teologiche scientifiche, ossia accertate e dimostrate, così come può limitarsi al campo dell’opinabile, del probabile, dell’ipotetico, dell’incerto.
La scienza ci dà l’evidenza mediata, riconducile a princìpi primi di ragione, di senso comune o di fede; ci mostra inconfutabilmente ciò che è vero. L’opinione, invece, senza potersi rifare a quei princìpi, ma basata solo sull’apparenza (δόξα, doxa), avanza argomenti probabili o, come dice Aristotele, “dialettici”, ossia che occorre verificare con ulteriori ricerche. Essi infatti hanno solo l’apparenza del vero e quindi l’opinione giunge conclusioni non certe, ma solo probabili.
La scienza è l’apparizione o la manifestazione (ϕαινόμενον fainòmenon) mediata del vero. L’opinione (δόξα) invece ci dà ciò che sembra vero (videtur). Ad un’ulteriore indagine si può scoprire o che è vero o che è falso. L’opinione si ferma all’apparenza. Solo la scienza ci fa distinguere con certezza il vero dal falso.

papa ranja

Il Sommo Pontefice Francesco saluta la Regina Ranja di Giordania durante un incontro ufficiale

La scienza è una, perchè una cosa o è o non è; non possono convivere due scienze contrapposte circa la medesima cosa. Le opinioni invece sono molte e possono legittimamente coesistere ed opporsi tra di loro, perchè di due opinioni opposte si suppone che non si sappia qual è quella vera, ma entrambe hanno l’apparenza della verità.
Da princìpi di fede è possibile ricavare in teologia l’opinione o la scienza: l’opinione, se il teologo non riesce a fare una deduzione rigorosa; la conclusione scientifica, invece, se riesce far tale deduzione. Un Papa può essere teologo nell’uno come nell’altro senso. L’infallibilità del suo carisma di maestro della fede non lo soccorre per nulla in queste indagini e in queste conclusioni, che sono rimesse invece totalmente alla sua sapienza umana, alla sua preparazione scientifica e al rigore logico del suo metodo.

Petrusgrab im Petersdom in Rom

Papale Arcibasilica di San Pietro: la Tomba del Principe degli Apostoli sotto l’Altare della Confessione

Papa Francesco non è un teologo accademico, come lo è stato Benedetto XVI, che ci ha lasciato come teologo privato preziosi libri di cristologia, ai quali ho già accennato. Papa Francesco invece è un teologo kerygmatico, un instancabile predicatore di quel Dio Incarnato, Gesù Cristo e del suo Spirito, che alimenta la sua vita intellettuale, il suo cuore, la sua passione di apostolo e di pastore, protesi alla salvezza di tutti gli uomini. Egli mi ricorda il Fondatore del mio Ordine, San Domenico di Guzmàn, del quale si diceva che “parlava o a Dio o di Dio”.
Anche per Papa Francesco, come per i Papi precedenti, occorre saper discernere il momento del suo approccio personale a Cristo, la sua sensibilità teologica, la sua devozione privata, il suo punto di vista umano particolare — che potremo anche accettare o non accettare, potremo discutere o approfondire liberamente di nostra scelta — dal maestro della fede, dal pastore e dottore universale della Chiesa, dal Vicario di Cristo, il Successore di Pietro, il Testimone della Parola di Dio, della Scrittura e della Tradizione, che infallibilmente assistito dallo Spirito Santo, predica ufficialmente e pubblicamente per mandato di Cristo richiamando tutti gli uomini alla salvezza.

Fontanellato, 23 novembre 2014

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Autore REDAZIONE

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REDAZIONE

 

L’ARCIVESCOVO EMERITO DI  CHICAGO:

«IL SANTO PADRE HA CREATO DELLE ASPETTATIVE CHE NON PUÒ SODDISFARE»

 

cardinale georgeA distanza di un paio di giorni dalla pubblicazione di questo articolo del Padre Giovanni Cavalcoli, è stata pubblicata una intervista rilasciata dal Cardinale Francis George, arcivescovo metropolita di Chicago, da poco dimesso dalla cattedra di quella arcidiocesi per gravi motivi di salute; il porporato, ammalato di cancro, si trova infatti a vivere la fase culminante della sua malattia.

L’articolo integrale in lingua originale è consultabile QUI

Riportiamo sotto, tratta dal celebre blog di Sandro Magister, la traduzione italiana dell’intervista del Cardinale che abbiamo ritenuto opportuno inserire in appendice a questo nostro articolo.


di  +Francis George, omi

Posso capire l’ansia di certe persone.  A un primo sguardo non ravvicinato, ti può sembrare che Francesco metta in discussione l’insegnamento dottrinale consolidato. Ma se guardi di nuovo, soprattutto quando ascolti le sue omelie, vedi che non è così. Molto spesso, quando lui dice certe cose, la sua intenzione è di entrare nel contesto pastorale di qualcuno che si trova preso, per così dire, in una trappola. Forse questa sua simpatia la esprime in un modo che induce la gente a chiedersi se egli sostenga ancora la dottrina. Non ho nessun motivo di credere che non lo faccia. […]

Si pone allora la domanda: perché Francesco non chiarisce queste cose lui stesso? Perché è necessario che gli apologeti sopportino il peso di dover fare ogni volta buon viso? Si rende conto delle conseguenze di alcune sue affermazioni, o anche di alcune sue azioni? Si rende conto delle ripercussioni? Forse no. Io non so se lui è consapevole di tutte le conseguenze di quelle parole e di quei gesti che sollevano tali dubbi nella mente delle persone.

Questa è una delle cose che mi piacerebbe avere la possibilità di domandargli, se mi capitasse di essere lì da lui: “Si rende conto di ciò che è successo solo con quella frase ‘Chi sono io per giudicare?’, di come è stata usata e abusata?”. Essa è stata davvero abusata, perché lui stava parlando della situazione di qualcuno che aveva già chiesto pietà e ricevuto l’assoluzione, di qualcuno da lui ben conosciuto. È una cosa completamente diversa dal parlare di qualcuno che pretende di essere approvato senza chiedere perdono. È costantemente abusata, quella frase.

Ha creato delle aspettative attorno a lui che egli non può assolutamente soddisfare. Questo è ciò che mi preoccupa. A un certo punto, coloro che lo hanno dipinto come una pedina nei loro scenari sui cambiamenti nella Chiesa scopriranno che lui non è quello che credono. Che non va in quella direzione. E allora forse diventerà il bersaglio non solo di una delusione, ma anche di un’opposizione che potrebbe essere dannosa per l’efficacia del suo magistero. […]

Personalmente, trovo interessante che questo papa citi quel romanzo: “Il padrone del mondo”. È una cosa che vorrei domandargli: “Come fa a mettere assieme quello che lei fa con quello che lei dice che sia l’interpretazione ermeneutica del suo ministero, cioè questa visione escatologica secondo cui l’Anticristo è in mezzo a noi? È questo che lei crede?”. Mi piacerebbe fare questa domanda al Santo Padre. In un certo senso, ciò potrebbe forse spiegare perché egli sembra avere tanta fretta. […] Che cosa crede il papa circa la fine dei tempi? […]

Io non lo conoscevo bene prima della sua elezione. Ho saputo di lui tramite i vescovi brasiliani, che lo conoscevano di più, e a loro ho fatto molte domande. […] Non sono andato a trovarlo da quando è stato eletto. […] Papa Francesco non lo conosco abbastanza. Certamente lo rispetto come papa, ma mi manca ancora una comprensione di che cosa intenda fare.

traduzione a cura di Sandro Magister [vedere qui]

Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

La verità assoluta. Il Santo Padre Francesco ed Eugenio Scalfari

LA VERITÀ ASSOLUTA.

IL SANTO PADRE FRANCESCO ED

EUGENIO SCALFARI

 

[…] Scalfari sembra chiedere al Papa se si può ammettere un certo relativismo delle verità. Il Pontefice avrebbe potuto polemizzare col relativismo, come ha fatto Papa Benedetto, e invece riconosce che in Dio stesso c’è un relazionarsi. Naturalmente queste parole del Papa non vanno intese in contrasto con Papa Benedetto e come approvazione del relativismo, che è un grave difetto del pensiero e della condotta morale, per il quale si “relativizza” l’assoluto non nel senso legittimo detto dal Papa, ma nel senso di fare di Dio un idolo a servizio delle proprie voglie o comunque di relativizzarlo all’uomo, quasi che l’uomo stia al di sopra di Dio […].

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

 

bocca aperta

quando dalle bocche fuoriesce di tutto e di più ancora …

Quando il Papa parla, occorre tenere il tono alto, al di sopra del gracchiare degli uccelli. L’Editrice Vaticana, come sappiamo, ha pubblicato il contenuto di alcuni colloqui avuti dal Papa con Eugenio Scalfari. Alcune espressioni del Pontefice in questa circostanza provocarono sul momento in una parte del mondo cattolico perplessità, apprensioni e meraviglia, mentre il mondo laicista gongolante ne approfittò per presentare slealmente un Pontefice vicino alle sue posizioni. Vorrei quindi limitarmi solo ad esprimere come, a mio modo di vedere, si debbono interpretare in realtà alcune parole del Papa, in modo da scorgerne la continuità col perenne insegnamento della sana ragione, della Chiesa e della fede.

Può sorprendere, innanzitutto, nelle lettera che il Papa ha scritto a Scalfari, la sua dichiarazione: «Io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità “assoluta”», quando sappiamo bene come questa espressione è tradizionale non solo nella filosofia ma anche nel linguaggio del Magistero, per indicare Dio o la verità divina; ma per capire che cosa intende dire il Papa, dobbiamo leggere le parole seguenti: no alla verità «assoluta», “nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione!”.
Da notare che qui il Papa non sta parlando della verità in generale o della verità come tale, ma della verità divina, la quale in Dio è identica all’amore (1). Dobbiamo quindi fugare un sospetto di volontarismo che potrebbe emergere da una lettura superficiale delle parole del Pontefice.

Udienza generale di Papa Francesco

Il Santo Padre durante l’udienza generale

Ciò che in questo contesto sta cuore a Papa Francesco è ricordarci che Dio è in relazione col mondo, con quel mondo che Egli ha creato liberamente per amore e ciò soprattutto mediante il mistero dell’Incarnazione. Così pure il nostro relazionarci con Lui, diverso in ciascuno di noi, fa sì che la stessa verità divina si relazioni con noi in modi diversi per ciascuno di noi.
Per questo e in tal senso la verità divina è una relazione di Dio col mondo: Dio conosce il mondo; la verità è relazione intenzionale di un soggetto con un oggetto: adaequatio intellectus et rei, come dice San Tommaso, anche se nel caso di Dio non è Lui che deve adeguarsi alle cose, ma sono le cose che sono adeguate al pensiero progettatore e creatore che Dio ha di esse.

Ma la relazione di Dio col mondo è anche amore, perché Dio ama il mondo e in Dio verità ed amore, come si è detto, s’identificano nella semplicità assoluta dell’essenza divina. Il Papa vuol concentrare l’attenzione su questo punto ed in tal senso respinge qui l’espressione “verità assoluta”.
Non possiamo immaginare infatti che il Papa non continui a considerare col linguaggio tradizionale Dio in se stesso come l’Assoluto e la Verità assoluta, perché il termine “assoluto”, entrato da alcuni secoli nel linguaggio filosofico e teologico, può essere sinonimo di “divino”, anche se è vero che non tutto ciò che è assoluto è divino, perché un ente finito può essere assoluto per un aspetto e relativo per un altro. Invece Dio è assoluto sotto ogni punto di vista: è assolutamente assoluto (2).

È ragionevole e necessario distinguere verità relative da verità assolute e dalla verità assoluta. Errato sarebbe, come sembra supporre Eugenio Scalfari, che esistano solo verità relative. È questo l’errore del relativismo, riscontrabile per esempio nella filosofia di Auguste Comte (sec. XIX), che dice: «Tutto è relativo, e questo è il solo principio assoluto» (3). Verità relativa può dirsi o in rapporto all’oggetto o in rapporto al soggetto. Se dico “oggi è mercoledì” ed è effettivamente mercoledì, questa verità è relativa all’attuale giornata di mercoledì, passata la quale quell’affermazione, in rapporto all’oggetto (che giorno è?), cessa di esistere. Infatti se dico “oggi è mercoledì”, mentre è giovedì, sono nel falso. Se invece si considera il soggetto che fa l’affermazione, questa può essere o apparire vera solo in rapporto al soggetto, ma essere falsa da un punto di vista oggettivo, o perché il soggetto è in buona fede, sbaglia senza saperlo (la cosiddetta “verità soggettiva”, “ignoranza invincibile”) o perché è in mala fede, cioè si oppone volontariamente alla verità (“ignoranza affettata o colpevole”). Da notare che, dal punto di vista morale, nel primo caso il soggetto che pecca resta innocente davanti a Dio, mentre è colpevole nel secondo caso.

Gay-pride

“signorine” in rosa confetto al gay pride … a Sodoma e Gomorra avevano più buon gusto

Così, per esempio, non è difficile dimostrare che dal punto di vista della legge morale la sodomia è oggettivamente peccato; tuttavia, data l’attuale indegna campagna di esaltazione di questo peccato, non è facile sapere se quel dato omosessuale sappia o non sappia di peccare. In tal senso il Papa pronunciò quella famosa frase: «Chi sono io per giudicare?». Siccome però la verità si regola sull’oggetto, tutti siamo obbligati a cercare la verità oggettiva, ossia il reale come è in se stesso, ma può accadere che sembri vero ciò che non lo è, per cui restiamo ingannati o ci inganniamo. E ciò o perché erriamo involontariamente o perché ci chiudiamo colpevolmente alla verità. Nel primo caso siamo scusati, nel secondo meritiamo di essere redarguiti.

Qui ha molta importanza il principio della coscienza. Quando il Papa dice che anche l’ateo deve seguire la propria coscienza, il Papa non per questo approva l’ateismo (ve lo immaginate un Papa ateo?). Papa Francesco non insegna che la coscienza individuale o soggettiva è fonte assoluta della verità, ma evidentemente si riferisce al principio della libertà di coscienza (o di religione) proclamato dal Concilio, il quale ci ricorda che anche chi erra in buona fede, tuttavia deve seguire la propria coscienza ed è innocente davanti a Dio [si veda su questo tema il precedente articolo di Ariel S. Levi di Gualdo, qui].

Per questo lo Stato e la Chiesa devono consentire all’errante uno spazio di libertà, salve naturalmente le esigenze fondamentali del bene comune. Esistono infatti valori fondamentali per la convivenza umana, la cui contravvenzione è inescusabile e che pertanto comunque deve essere impedita o riparata, sia o non sia in buona fede l’errante o il criminale. Si tratta di un principio già insegnato da San Tommaso d’Aquino, quando dice che la coscienza erronea obbliga (4), ma nel contempo è chiaro che anche il buon Aquinate ammette alla tolleranza dei limiti invalicabili.
La coscienza soggettiva della propria innocenza o del proprio buon diritto, anche se oggettivamente ed involontariamente infondata, è di grande consolazione e conforto, quando si resta isolati ed incompresi in un ambiente ostile, perseguitati da leggi ingiuste, traditi dagli amici, oppressi dai superiori, disprezzati dai sudditi, calunniati dai bugiardi, diffamati dai malevoli o maltrattati dai prepotenti a causa della verità e della giustizia.

Urna di Santa Lucia

urna contenente le spoglie di Santa Lucia vergine e martire siracusana

Questa coscienza che in tali prove sa rinunciare ai consensi ed all’appoggio umani, è quella che caratterizza la fortezza e la libertà degli eroi, dei santi e dei martiri, sia nella storia civile che in quella della Chiesa. In tal senso Cristo proclama beati i perseguitati a causa della giustizia ed annuncia ai suoi discepoli: “sarete odiati da tutti a causa del mio nome” [Mt 10.22]. Invece, chi evita accuratamente o furbescamente di non esser odiato dal mondo per amore del mondo, per non far brutta figura davanti a lui o per non avere noie, ha una coscienza sporca e farisaica o quanto meno è un vile e non è degno discepolo di Cristo, come dice il divino Maestro: “Chi si vergognerà di me e della mie parole in questa generazione adultera e peccatrice, si vergognerà di lui il Figlio dell’uomo, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi” [Mc 8,38].

È utile in questa questione dell’oggettività (assolutezza) – soggettività (relatività) della verità ricordare anche la corrispondente distinzione fra verità gnoseologica o relazione di verità come atto dell’intelletto e verità ontologia come cosa vera oggetto del conoscere. La relazione di verità, che fa riferimento al soggetto – la verità come relazione, per dirla col Papa – è di per sé assoluta e immutabile, anche se l’oggetto è mutevole: se è vero che oggi è mercoledì, e dico che oggi è mercoledì, questa proposizione, in relazione al mercoledì che è passato, resterà vera in eterno (giudizio vero), ossia in assoluto, anche se il mercoledì (oggetto del giudizio) è passato. Invece, se l’oggetto è mutevole, anche l’affermazione, proprio per essere vera, deve mutare in conformità al mutare dell’oggetto, per cui in rapporto all’oggetto la verità muta ed è relativa al mutare dell’oggetto. Se giunge il giovedì e continuo a dire che oggi è mercoledì, evidentemente sono nel falso.

Cop_SanTommaso

l’opera di Gilbert Keith Chesterton dedicata al Doctor Angelicus

Le verità relative quindi sono mutevoli, invece la verità assoluta – umana o divina – è immutabile, perché per definizione è quella verità che non prevede mutamento né nell’oggetto, né per conseguenza nel soggetto o giudizio: sono le verità oggettive, fondamentali ed universali proprie della ragione e della fede. In tal senso si dice che la verità è “una sola”, pena la negazione del principio di non-contraddizione.
Parlando di verità relativa, il Papa precisa però che non intende sostenere alcun soggettivismo. Infatti dire verità “soggettiva” (come l’abbiamo definita sopra) non significa necessariamente soggettivismo. Il soggettivismo infatti è la pretesa arbitraria ed individualistica del singolo soggetto di essere la regola della verità, quando invece, come ho detto, la regola della verità è l’oggetto (che può esser qualcosa del proprio io, questo non vuol dir nulla). Nel soggettivismo la verità non è più una sola, ma ciascuno si costruisce la propria “verità” come crede e come gli fa comodo. Le verità possono essere molte nel senso di molte cose vere, ma non come si è detto, dal punto di vista della relazione di verità.
Per capire questo, bisogna ricordare le distinzioni che ho fatto sopra. Infatti, dalla definizione che ho appena dato, risulta che soggettivismo si dà, quando il soggetto singolo pretende di essere la regola assoluta della verità, cosa evidentemente alienissima dalle intenzioni e dalle parole del Papa. Soggettivismo si ha, per esempio, nel solipsismo idealista dell’io assolutizzato e totalizzante, considerato come fonte unica della verità assoluta e di ogni altra verità (5).
È vero che nella Bibbia non si parla di “assolutezza” come attributo divino. Non esiste nemmeno la parola (6). Nemmeno S.Tommaso considera Dio come l’Absolutum, nè parla di veritas absoluta. Invano tra gli attributi divini elencati nella Summa Theologiae cercheremmo l’attributo dell’assolutezza. Tra l’altro ai tempi di Tommaso si dà solo il concreto “assoluto”, ma non l’astratto “assolutezza”.

Viceversa l’absolutum per l’Aquinate è un attributo normale per le realtà finite sostanziali, formali o materiali. Per esempio, nel campo della logica, per lui l’universale astratto è un absolutum, in quanto è atemporale, libero e indipendente (ab-solutum) dagli individui che gli sottostanno. Per capire infatti che cosa è l’assoluto, è utile considerare l’etimologia della parola, alla quale l’Aquinate strettamente si attiene. Solo col secolo XIX che in teologia, soprattutto nell’idealismo tedesco, sorge l’exploit dello “Assoluto”. Per indicare Dio, si comincia a parlarne come dell’“Absolute”. La tendenza monistica propria di Hegel risolve tutto il reale nell’Assoluto, per cui esiste solo l’Assoluto, tutto è Assoluto, tutto è nell’Assoluto, l’Assoluto è in tutto (immanentismo), in quanto tutto è Uno. E l’Assoluto appunto è Uno.

hegel 3Per Hegel un “altro” dall’Assoluto, a lui esterno, relativizzerebbe lo stesso Assoluto, perché, per distinguersi dall’Assoluto, dovrebbe avere qualcosa che l’Assoluto non ha. Ma un Assoluto che non è Tutto, non è più assoluto. Inoltre spezzerebbe l’unità dell’Uno-Tutto. Ad Hegel sfugge però che invece ,questo “altro” dall’Assoluto, può benissimo esistere come ente relativo all’Assoluto (“essere per partecipazione”, come dice San Tommaso), il che è appunto la condizione dell’essere creaturale, come è appunto nella dottrina biblica di Dio creatore del mondo, necessariamente esterno a Dio (opus ad extra), giacchè tutto ciò che c’è in Dio è Dio. Inoltre Hegel non comprende che il creato non spezza l’unità divina, perché non si pone sullo stesso piano di Dio in competizione con lui, ma infinitamente al di sotto (trascendenza divina), come immagine, effetto o segno della divinità.

Per Hegel invece, nulla esiste al di fuori dell’Assoluto, e siccome però egli non rinuncia ad ammettere anche il relativo, ecco che per lui, visto che il relativo non può esser fuori dell’Assoluto, l’Assoluto stesso è concepito come includente in sé il relativo, ossia il mondo. Dio diventa mondo e il mondo diventa Dio. Per questo in fin dei conti l’Assoluto hegeliano non è un vero Assoluto, indipendente dal relativo, ma paradossalmente, proprio per esser assoluto, per essere Dio, ospita nella sua propria essenza divina il mondo, secondo la celebre asserzione: “Dio non è Dio senza il mondo”.

hegel 2

immagine di Georg Wilhelm Friedrich Hegel ritoccata da dei ragazzi in vena di scherzi. Il termine Swag, tradotto in italiano come “bottino” o “refurtiva“, nello slang dei giovani è il degno sostituto della parola “cool” identificando quindi una persona, un capo di abbigliamento o, in generale, un oggetto che ha stile.

Per Hegel non si può dare un puro Assoluto, un Assoluto assolutamente semplice, ma l’Assoluto stesso è relativo al mondo, è “storicizzato”, benchè poi Dio venga, dal punto di vista di Hegel, ad essere relativo solo a Se stesso, dato che il mondo stesso è in Dio coincidente con l’essenza divina. Ma ciò toglie evidentemente la distinzione fra Dio e il mondo e si cade nel panteismo.

Saremmo naturalmente fuori strada se interpretassimo in questo senso le parole del Papa, il quale sa benissimo dalla fede e dalla ragione che Dio, nella sua infinita perfezione, potrebbe esistere anche senza il mondo, essendo Egli appunto l’Assoluto, l’Infinito, l’Eterno, l’Essere perfettissimo e quindi del tutto autosufficiente. Un “Assoluto” in se stesso relativo al mondo non potrebbe essere un vero Assoluto, perché relazione dice dipendenza da ciò con cui si è in relazione. Il mondo dipende da Dio ma Dio non dipende dal mondo. Dio ha relazione col mondo nel senso che lo ha creato, lo conosce e lo ama, ma non nel senso che dipenda dal mondo. Ora, come si è visto, l’indipendenza è il carattere dell’assolutezza. Se di fatto, con la creazione e ancor più con l’Incarnazione, Dio si è posto in relazione col mondo, è semplicemente perché lo ha liberamente voluto per amore del mondo, né ciò discende necessariamente o “logicamente” dall’essenza divina, come credeva Hegel.

La questione dell’ “Assoluto”, ignorata dall’illuminista Kant, balza in primo piano nella filosofia romantica di Fichte, Schelling ed Hegel. Ma per loro l’Assoluto non è più ciò che intendeva San Tommaso. Per questi, ab-solutm vuol dire bensì sciolto, libero, indipendente, autosussistente, autosufficiente, che se ne sta per conto proprio, cose che potrebbero convenire a Dio. Ma di fatto in Tommaso, come ho detto, non è un attributo divino, ma una categoria logico-ontologico-morale di tipo analogico. Se vogliamo, “assoluto” significa anche “slegato”, ma non con la sfumatura negativa che sembra possedere nelle parole del Papa, perché l’absolutum può avere legami di fatto: l’universale, per quanto in sè indipendente dall’individuale, di fatto è presente nell’individuale (unum in multis). Dio, benchè indipendente dall’uomo, ha voluto legarsi con l’uomo con un patto d’amore.

Pensiamo anche all’ “assoluzione sacramentale”. “Assolto” viene da absolutum, participio passato di absolvo, che vuol dire qui sciogliere da legami che rendono schiavo o prigioniero, ossia i legami del peccato. Chi è assolto dai peccati è libero, integro e felice. Viceversa, come si è detto, è il relativo che non si addice all’essenza divina, perché relativo dice dipendente e Dio chiaramente non dipende da nessuno. Solo nel mistero trinitario esistono relazioni divine, le Persone divine, che però non dicono dipendenza, ma si parla di “relazione” solo di origine nell’uguaglianza dell’unica natura divina. Il Figlio, per esempio, ha origine dal Padre, ma non è dipendente dal Padre come l’inferiore dipende dal superiore, o l’effetto dalla causa, ma solo perché è generato dal Padre, che gli è uguale nella comune natura divina.

gesù-bambino-3

… il Verbo si fece carne

La relazione qui non è un accidente, ma è sussistente, perché è Persona divina, per la quale la Persona relazionata è identica nella natura divina con la Persona relazionante. Per questo Dio resta l’Assoluto: Dio e la Trinità sono un unico Essere assoluto, Dio stesso. E se nella Bibbia non troviamo l’attributo dell’assolutezza, troviamo però attributi equivalenti. L’assolutezza in certo senso li riassume tutti: la libertà, l’indipendenza, la bontà, l’eternità, la totalità, l’infinità, la maestà, la perfezione, l’immutabilità. L’attributo dell’assolutezza conserva il suo valore anche se di fatto Dio ha creato un mondo, si è incarnato e quindi ha una relazione di conoscenza e d’amore nei suoi confronti. Dio infatti, creando il mondo, non muta la sua natura, per cui resta in se stesso l’Assoluto. Ma è chiaro, come si è detto – e questo certo il Papa lo sa benissimo – che Dio ha creato liberamente il mondo, liberrimo consilio, dice il Concilio Vaticano I. Poteva, se voleva, anche non crearlo. Dio che non aveva bisogno di noi, ha voluto per amor nostro in Cristo mendicare il nostro amore e chiedere un bicchier d’acqua alla samaritana. “Dio, come dice Sant’Agostino, che ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te”.

Da qui la dignità, certo, ma anche la contingenza del mondo e l’esistenza assolutamente necessaria di Dio. Se Dio non ci fosse, il mondo non esiterebbe. Mentre il mondo potrebbe non esistere, Dio non può non esistere, perchè è l’Essere stesso assoluto, è ciò che rende ragione dell’esistenza del mondo: è quindi l’assolutamente Necessario. E’ il Necesse-esse, come lo chiamava il grande metafisico musulmano Avicenna, più volte citato da San Tommaso.
Il mondo non dipende da Dio per deduzione logico-necessaria, come le proprietà del triangolo dipendono dall’essenza del triangolo, come pensava Spinoza. Ciò comporta l’esistenza in Dio dell’amore, un amore gratuito, generoso, misericordioso, di libera scelta. Il creato non discende dall’essenza divina, ma è effetto della divina volontà. Non diciamo che le proprietà del triangolo dipendono dal triangolo perché le ama, ma semplicemente per una deduzione logica dall’essenza del triangolo. Non è così che il mondo deriva da Dio, perché non proviene dalla sua essenza ma dal nulla, in forza della sua sapienza, della sua libertà, della sua bontà e della sua onnipotenza.

BIENNALE DEMOCRAZIA:INCONTRO CON EUGENIO SCALFARI

Foto di Eugenio Scalfari con goliardica scritta ad opera dei Papaboys

Eugenio Scalfari sembra chiedere al Papa se si può ammettere un certo relativismo delle verità. Il Pontefice avrebbe potuto polemizzare col relativismo, come ha fatto Papa Benedetto, e invece riconosce che in Dio stesso c’è un relazionarsi. Naturalmente queste parole del Papa non vanno intese in contrasto con Papa Benedetto e come approvazione del relativismo, che è un grave difetto del pensiero e della condotta morale, per il quale si “relativizza” l’assoluto non nel senso legittimo detto dal Papa, ma nel senso di fare di Dio un idolo a servizio delle proprie voglie o comunque di relativizzarlo all’uomo, quasi che l’uomo stia al di sopra di Dio.

È chiaro, come dice il Papa, che Dio, per porsi in relazione con noi e perchè noi possiamo porci in relazione con Lui, si presenta a noi di volta in volta nel modo adatto a ciascuno di noi. Ma un conto è affermare che Dio si pone in relazione con ciascuno di noi in modi relativi a ciascuno di noi e un conto è negare a Dio l’assolutezza intrinseca alla sua divina essenza, per farne o un prodotto dell’uomo o un fatto contingente della storia della cultura. E’ chiaro che su questo punto Papa Francesco è d’accordissimo con Papa Benedetto. E questi non avrà difficoltà a sottoscrivere le parole di Papa Francesco a Scalfari, intese come il Papa le intende ed ho cercato di spiegare.

Può esistere del resto un sano relativismo, quando si riconosce come relativo ciò che è effettivamente relativo e non se ne fa un assoluto. Ma come però esiste un relativismo deleterio, così esiste anche un altrettanto deleterio assolutismo, che esclude l’altro, esaspera i contrasti, e crea dualismi irresolubili, contrapponendo le posizioni contrarie in modo così assoluto, che appare impossibile ogni via di dialogo e di conciliazione. E’ la sciagura dell’ideologia. È questo certamente che il Papa vuol dire concludendo questa parte della sua lettera: “bisogna intendersi bene sui termini e, forse, per uscire dalle strettoie di una contrapposizione… assoluta, reimpostare in profondità la questione. Penso che questo sia oggi assolutamente necessario per intavolare quel dialogo sereno e costruttivo che auspicavo all’inizio di questo mio dire”.

È interessante come in questa dichiarazione salta fuori due volte l’ “assoluto”, una volta come aggettivo e un’altra come avverbio. Il concetto di “assoluto” infatti è presente nel nostro stesso linguaggio quotidiano. La sua applicazione teologica dipende dal significato analogico del termine, che si presta sia per indicare il mondo, sia per designare Dio. Pertanto non c’è da dubitare che il Papa sa benissimo tutto ciò. Egli però crede in quell’Assoluto, che non estremizza e confonde stoltamente e gnosticamente, in una falsa “sintesi”, le posizioni in contrasto (l’essere col non-essere, il vero col falso, il bene col male), come per esempio nella dialettica hegeliana o nel panteismo di Emanuele Severino, ma che nella sua infinita, benefica ed assoluta potenza di pace e di conciliazione unisce le anime nella verità assoluta dell’eterna beatitudine.

Fontanellato, 8 novembre 2014

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

QUANDO IN FILOFOSIA E IN TEOLOGIA

IL RELATIVISMO DIVENTA SANO E CRISTIANO

dialogando in pubblico con uno dei miei maestri …

 

Carissimo Padre Giovanni,

           visto che noi tre “ragazzi” dell’Isola di Patmos siamo da tempo nel mirino di certi “tradizionalisti” e “sedevacantisti catatonici”, volendo potrei anticiparti le loro geremiadi sul sito Pizzi&Merletti, Manipoli&ChirotecheLatino che non Conosco I Love You … e via dicendo. E ciò pure se questo tuo articolo è costruito su quella magistrale “filosofia del senso comune” tanto cara al nostro confratello Antonio Livi, quindi sul tuo profondo senso ecclesiale, pastorale, teologico e metafisico. Pur malgrado, contaci: ripeteranno ciò che hanno già detto e scritto, ecco perché questa volta desidero anticiparli, tanto trite e ripetitive sono le loro argomentazioni …
… anch’io, come ricorderai, fui accusato da costoro in modo pesante. Quando infatti sulle riviste delle associazioni gay prese a spiccare la frase «Chi sono io per giudicare?», mentre i pederasti ideologici sentenziavano: «il Papa ha aperto al mondo gay», replicai con un mio articolo invitando alla corretta recezione di quella frase del Santo Padre.

         Certo, forse il Santo Padre espresse un concetto privo di spiegazioni approfondite, come del resto facciamo spesso tutti noi quando diamo per scontate certe ovvietà, che in questo mondo non sono però così ovvie e meno che mai scontate. Ecco perché in quel mio scritto precisai: «Il Santo Padre ha espresso una verità sacrosanta: nessuno di noi può infatti giudicare la coscienza più intima e profonda dell’uomo che Dio solo può leggere e di conseguenza giudicare». Da questo nasce l’ovvietà di quella espressione del Santo Padre: «Chi sono io per giudicare?». Frase che però, da giornalisti, intellettuali e politici sul libro paga della cultura del gender, privi dei rudimenti catechetici e del basilare lessico cristiano, fu mutata in tutt’altro significato espressivo, infine capovolta in modo del tutto anti-cristiano.
In quell’occasione fui aggredito dal corifeo dei soliti noti con amenità del tipo: «progressista … cripto modernista»…

          … adesso toccherà di nuovo a te, quindi preparati a leggere: «Il Padre Giovanni Cavalcoli si arrampica sugli specchi per interpretare e mitigare le parole “ereticali” di questo “antipapa”». Mentre la verità è che tu recepisci e trasmetti in coscienza, scienza e verità le parole del Santo Padre per ciò che significano e dicono e non per ciò che non significano e non intendono dire. Certo, andrebbero sempre evitate frasi monche e frasi che potrebbero suonare ambigue ad orecchie non più disposte ad udire e recepire un linguaggio cristiano. Ed è proprio in quest’ultimo caso che noi siamo chiamati a svolgere il nostro ministero di pastori in cura d’anime e di teologi, che non è certo quello di «arrampicarsi sugli specchi», ma di ricordare cosa significano nel nostro lessico certe espressioni. Cosa che dobbiamo ricordare agli ultra laicisti come a certi “tradizionalisti” che simile modo hanno perduto anch’essi il corretto vocabolario cristiano, tanto da ergersi a giudici della coscienza “collettiva” del Collegio Episcopale in comunione con Pietro, cogliendo presunte eresie persino nei più solenni atti del supremo magistero, per esempio in quelli del Concilio Ecumenico Vaticano II, da essi vergognosamente definito “ereticale” ed “apostatico” in nome di una non meglio precisata purezza cattolica, dietro la quale si cela in verità la temibile regina di tutti e sette i peccati capitali, quella che regge come solida colonna tutti gli altri sei: la superbia.
Ecco perché reputo di estrema preziosità questo tuo articolo e ritengo che sia nostro dovere tornare, di tanto in tanto, su certe precisazioni, come tu mi hai insegnato a fare assieme ad Antonio Livi. Non a caso abbiamo dato apposta vita all’Isola di Patmos per fare teologia ecclesiale e pastorale secondo la dottrina perenne ed il magistero della Chiesa, non certo secondo le nostre soggettive umoralità. E che la grazia di Dio, alla quale vogliamo essere sempre aperti — la quale passa non ultimo anche attraverso il magistero della Chiesa e l’obbedienza alla sua apostolica autorità — ci salvi sempre dalla temibile regina: quella superbia che purtroppo sta devastando i circoli sempre più chiusi e auto-referenziali di Pizzi&Merletti, Manipoli&ChirotecheLatino che non Conosco I Love You … e che in modo non solo aberrante, ma peggio diabolico, si propongono come salvatori della Chiesa fomentando giornaliero sprezzo verso il Santo Padre, che non è affatto perfetto, che può piacere o non piacere — ed è del tutto legittimo che piaccia o non piaccia — ma come più volte abbiamo ripetuto e come non ci stancheremo mai di ripetere: egli è Pietro, che piaccia o che non piaccia. E lo è per una verità di fede dogmatica che sta alla base fondante della Chiesa edificata su Pietro per il mandato a lui conferito da Cristo in persona. Ecco perché in certi casi il piacere o il non piacere è davvero relativo nel senso più squisitamente filosofico e teologico del termine. Perchè esiste, sia in filosofia sia in teologia, anche un sano e cristiano relativismo.

            Un fraterno abbraccio sacerdotale ed un ricordo nella preghiera per me alla Beata Vergine Maria di Fontanellato.

Ariel S. Levi di Gualdo

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NOTE

(1) È tesi nota della teologia classica, per esempio in S.Tommaso, che in Dio il sapere è identico all’amare. Famoso è il dogma del Concilio di Firenze del 1442 per il quale nell’essenza divina “tutto è uno, a meno che non si tratti dell’opposizione relativa delle divine persone” (In Deo omnia sunt unum , ubi non obviat relations oppositio, Denz. 1330).
(2) Per esempio la persona umana ha un valore assoluto in quanto immagine di Dio, ma ha un valore relativo in quanto creatura finita, e soprattutto fragile e peccatrice.
(3) Ci sarebbe da domandarsi come sia possibile, se tutto è relativo, che ci sia poi un principio assoluto. Ciò testimonia come anche i relativisti più spinti non possano fare a meno di un qualche assoluto, che poi non sarà più quello vero (Dio) ma l’assolutizzazione di un valore relativo.
(4) Cf Summa Theologiae, I-II, q.19. a.6
(5) Come per esempio nella filosofia di Fichte.
(6) Ma questo non vuol dir nulla: anche la parola “persona” non esiste, eppure il mistero trinitario è uno degli insegnamenti fondamentali della Bibbia.

Dopo il Sinodo, il Papa tornerà ad indossare le scarpette rosse?

«Teologia della Speranza»

DOPO IL SINODO IL PAPA TORNERÀ AD INDOSSARE LE

SCARPETTE ROSSE?

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 […] il Santo Padre Francesco può dunque piacere o non piacere, cosa del tutto legittima, ma per divina volontà e per divina istituzione rimane il clavigero, oggetto e soggetto come tale della nostra fede e della nostra speranza: «Tu sei Pietro», quindi della nostra autentica e inesauribile devozione per il mistero che egli incarna.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Per leggere questo articolo pubblicato il 20.06.2014 cliccare sotto

Ariel S. Levi di Gualdo – Dopo il Sinodo il Papa tornerà a indossare le scarpette rosse

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

– Theologica – Creazione ed evoluzione: il metodo della scienza e della metafisica

— Theologica —

 

CREAZIONE ED EVOLUZIONE:

IL METODO DELLA SCIENZA E DELLA METAFISICA

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

 

La teoria evoluzionistica potrebbe sostituire quella creazionistica solo nel caso che si immaginasse che l’uomo tragga origine, come appunto sostiene l’evoluzionismo materialista, da una forma animale simile ed inferiore, senza soluzione di continuità fra la natura animale e la natura o specie umana, così da negare la creazione immediata dell’anima umana da parte di Dio […] L’evoluzione quindi può concordare con la dottrina della creazione, se, come avvertì a suo tempo Pio XII nell’enciclica Humani Generis del 1950, si ammette appunto che Dio crea immediatamente l’anima umana, anche ammesso o ipotizzato che essa venga infusa in un vivente infraumano precedente: «ex iam exsistente ac vivente materia»

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Giovanni Cavalcoli, OP – Creazione ed evoluzione

Theologica – Umanità e divinità di Cristo in San Massimo il Confessore

– Theologica –

MODELLI DI FEDE
UMANITÀ E DIVINITÀ DI CRISTO IN
SAN MASSIMO IL CONFESSORE

 

In quei secoli così lontani dal mondo della notizia in tempo reale, le varie eresie che prendevano vita in Oriente e nel Nord dell’Africa si sviluppavano e si diffondevano con estrema rapidità nel mondo cristiano ed in modo molto veloce raggiungevano tutti gli estremi poli della orbe cristiana.

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

 

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Ariel S. Levi di Gualdo – Massimo il confessore

Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Theologica – LA MONADE E LA TRIADE

Theologica –

LA MONADE E LA TRIADE

 

[…] al riguardo si può spendere una parola a proposito del dialogo interreligioso tra cristiani, ebrei e mussulmani. Alcuni cattolici si rifiutano di parlare di “tre religioni monoteistiche”, asserendo che il Dio trinitario dei cristiani è “diverso” da quello degli altri. Ora qui c’è un equivoco. Si confonde Dio in se stesso con la conoscenza di Dio […]

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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Giovanni Cavalcoli OP – La Monade e la Triade

 

 

Le tenebre del mondo e la “Stella del Mattino”

LE TENEBRE DEL MONDO E LA

“STELLA DEL MATTINO”*

 

[…] il Deposito della Fede è da sempre insidiato dal diavolo, ma è pure attaccato dalla superbia degli uomini. Sembra incredibile in effetti constatare quanta e quale superbia vi sia, ad esempio, in tante teorie “ teologiche” alla moda che purtroppo spesso hanno successo anche in alcuni “ uomini di Chiesa”.

 

 GIanni Battisti 1

Autore

Gianni T. Battisti

chiesa in fiamme

Una delle numerose chiese date alle fiamme dai fondamentalisti islamici

Viviamo tempi difficili, anche in ambito ecclesiale. Molti fedeli non conoscono più i fondamenti della loro Fede Cattolica, non si appassionano più alle cose di Dio. Si pratica, da parte di molti credenti, una forma di individualismo religioso — e questo anche in persone colte e preparate — che porta a trascurare le fondamentali opere di misericordia spirituale, opere che han sempre fatto parte del DNA cristiano e cattolico, opere che contribuiscono, come nessuna, alla rettitudine morale, all’edificazione spirituale ed alla salvezza delle anime.

Distratti dalle sirene mondane, lusingati dal successo e dai piaceri che il mondo sa offrire, spesso gli uomini di questo nostro tempo scelgono una religiosità “fai da te”, facile, comoda, che sa andare a braccetto con le istanze della società contemporanea materialista ed edonista e spesso, purtroppo, divengono preda di una forma deviata di sentimentalismo che allontana dalla Rivelazione e quindi dal Dio vivo e vero.

via del concilioDurante lo svolgimento degli antichi concili sappiamo che nei mercati, si dibatteva, con competenza e santo entusiasmo, circa la natura di Cristo, si ragionava cioè per altissimas causas e si vedevano le cose sub specie aeternitatis. Oggi, nella società del “benessere”, nella società “ evoluta”, il Depositum Fidei custodito nei secoli dalla Chiesa di Dio, Una, Santa, Cattolica e Apostolica è un bene trascurato dai più, bene che sarebbe invece da conservare, da coltivare, da comprender sempre meglio, da vivere. San Paolo Apostolo esorta così il discepolo da lui consacrato vescovo: «O Timoteo, custodisci il deposito» [1Tm 6,20]. In effetti il Deposito della Fede, bene davvero sublime, è sì, da sempre, insidiato dal diavolo, ma è pure attaccato dalla superbia degli uomini. Sembra incredibile in effetti constatare quanta e quale superbia vi sia, ad esempio, in tante teorie “ teologiche” alla moda che purtroppo spesso hanno successo anche in alcuni “ uomini di Chiesa”.

atanasio schiaccia ario

Pittura del XVIII secolo raffigurante il Vescovo Atanasio che schiaccia l’eresiarca Ario

È incredibile constatare altresì che tali “nuove teorie” sono in realtà, nella maggior parte dei casi — come da anni fanno notare i teologi più attenti come il domenicano Giovanni Cavalcoli — la riproposizione, in salsa contemporanea, di eresie vecchie come il cucco, eresie condannate più e più volte, peraltro, da vari concili, dal Magistero succedutosi nei secoli. Evidentemente tale spiacevole situazione fa nascere un malessere ecclesiale che serpeggia e che inquieta i buoni — il cardinale Raymond Leonard Burke ha parlato a tal proposito di “ mal di mare” — poiché il male interno sa essere più subdolo ed insidioso degli attacchi esterni, attacchi che pur ci sono in gran quantità, attacchi che pur son dolorosi e contribuiscono a rendere, a loro volta, sofferente il Corpo Mistico di Cristo e la società civile. Molti soffrono e pregano in silenzio. La confusione è grande e sembra talvolta avere la meglio.

statua san michele arcangelo

Prima della sua abdicazione dal sacro soglio il Santo Padre Benedetto XVI fece collocare una statua raffigurante San Michele Arcangelo che trafigge il Demonio, con la scritta in evidenza … non praevalebunt e la scritta sottostante: “Protettore della Città del Vaticano”. E con questo disse più o meno tutto

Il Signore tuttavia, in virtù della Sua infinita misericordia, ha sempre posto sul cammino accidentato della nostra vita dei Baluardi, delle Stelle Luminose, delle Vigili Sentinelle , dei Campioni della Fede che operano, con la loro dottrina, con le loro opere, col loro esempio, con la loro sagacia, la loro ispirazione, con il loro geniale discernimento, con l’ossequio al Magistero perenne, con la santità di vita, a servizio di Dio e della Sua Sposa Immacolata, che lavorano incessantemente in favore della vera Fede, della società e delle anime.
Anche per questo siamo grati al buon Dio che ci dona, pur tra le tante difficoltà in cui ci dibattiamo, pur tra le tempeste che spesso, come per i Santi Apostoli, sembrano sommergere la Barca di Pietro, dei veri pastori che sanno condurci a Cristo che è la Verità, Cristo Gesù che placa i marosi e sostiene la Sua Chiesa. E il Signore ci dona pure, se sappiamo chiederlo con fiduciosa preghiera, il discernimento che ci fa distinguere i buoni maestri e i pastori autentici dai tanti falsi profeti e cattivi maestri che imperversano, al giorno d’oggi, forse come non mai.

Il Signore ci custodisce. Il buon Dio custodisce la Sua Chiesa. Sappiamo che la promessa del Signore è vera. Siamo profondamente consapevoli che il male non potrà mai vincere, che Portae inferi non praevalebunt. Il Padre Celeste non ci abbandona mai. Maria che il Beato Pontefice Paolo VI, al termine del Concilio Vaticano II, ha proclamato “ Madre della Chiesa”, illumina le tenebre di questo nostro mondo come “Stella del mattino”. Lei che e’ “la nostra speranza”, ci restituisce la fiducia per ripetere ancora: “Proteggimi o Dio, in Te mi rifugio” [Sal 16,1].

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* Questo breve: scritto, con una piccola aggiunta, è apparso già in Verità della Fede, che cosa credere e a chi, a cura di Gianni T. Battisti edizioni Leonardo da Vinci Roma 2014 [vedere qui].

cliccare sotto per ascoltare un canto della tradizione popolare mariana