L’OPOSSUM IGNORA CHE UNA SUORA PUÒ DIVENTARE TRANQUILLAMENTE GOVERNATORE DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO, COME GIÀ LO FU GIULIO SACCHETTI
Questa velenosa macchietta, nella sua dose di veleno quotidiano torna a prendersela con laici e laiche ai quali sono affidati certi uffici, a partire da Suor Raffaella Petrini, di cui è stata preannunciata la nomina a governatore
– Le brevi dei Padri de L’Isola di Patmos –
Autore Teodoro Beccia
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Assieme alle Prefiche anonime della sua fantomatica redazione, oggi l’Opossum tuona contro Suor Raffaella Petrini, Segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, tacciandola, tra le varie, d’esser «nota al Governatorato per il suo atteggiamento superbo e pieno di sé» (cfr. QUI).
A noi Padri de L’Isola di Patmos risulta però l’esatto contrario: Suor Raffaella è stata già apprezzata in passato per le sue grandi capacità e il suo equilibrio presso Propaganda Fide, lasciando di sé un ottimo ricordo in quel dicastero.
Questa velenosa macchietta che si paventa come il più grande esperto di diritto canonico e di diritto vaticano ― “competenze” rigorosamente esercitate su un blog di Gossip&Veleni al di fuori delle mura della piccola Città Stato dove non è propriamente persona gradita, salvo affermare «noi in Vaticano … qua in Vaticano …» ―, nella sua dose di veleno quotidiano torna a prendersela con laici e laiche ai quali sono affidati certi uffici, a partire da Suor Raffaella, di cui è stata preannunciata la nomina a governatore.
La nomina di una donna a prefetto di un dicastero e quella di una donna alla carica di governatore dello Stato della Città del Vaticano, sono due questioni totalmente diverse che tra loro non hanno alcun genere di connessione. Nel primo caso, come tra poco spiegherò in un mio lungo articolo di taglio giuridico, siamo di fronte a un ufficio che richiede di necessità la figura di un ministro in sacris, come si può evincere già dal suo nome: Dicastero per i religiosi; nel secondo caso, invece, siamo di fronte a un ufficio di carattere puramente politico-amministrativo, senza alcun genere di implicazione religiosa e gerarchico-ecclesiale.
foto d’archivio, 1960, al centro davanti ai sediari che portano il Sommo Pontefice Giovanni XXIII Don Giulio Sacchetti marchese di Castelromano, nominato nel 1968 governatore dello Staro della Città del Vaticano dal Sommo Pontefice Paolo VI
L’ignorantissimo Opossum che con totale disinvoltura elargisce a ecclesiastici e laici titoli quali «idioti», «incapaci», «incompetenti», «falliti irrisolti» … dimentica che per oltre tre decenni (1968-2001), Governatore dello Stato della Città del Vaticano fu Don Giulio Sacchetti marchese di Castelromano, un laico coniugato e padre di più figli, straordinario servitore della Chiesa e del Papato. Quindi? Già, dimenticavo: «… noi in Vaticano … qua in Vaticano …»
Velletri di Roma, 20 gennaio 2025
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I Padri dell’Isola di Patmos
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https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2023/09/padre-Teodoro-foto-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Teodorohttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Teodoro2025-01-20 16:40:172025-01-30 09:04:01L’Opossum ignora che una suora può diventare tranquillamente governatore dello Stato della Città del Vaticano, come già lo fu Giulio Sacchetti
DALLA BADESSA MITRATA DI CONVERSANO ALLA SUORA PREFETTO DEL DICASTERO PER I RELIGIOSI
La tendenza a separare i poteri d’ordine e di giurisdizione si fonda su molte disposizioni pontificie del passato, che hanno avallato atti di governo senza potere d’ordine, per esempio il governo di alcune badesse dal Medioevo sino ai tempi moderni, o di alcuni vescovi che hanno governato diocesi senza essere ordinati.
Il 6 gennaio scorso, solennità dell’Epifania di Nostro Signore Gesù Cristo, Suor Simona Brambilla, finora segretario del Dicastero per gli istituti di Vita Consacrata e le società di Vita Apostolica, è stata nominata prefetto dello stesso dicastero dal Sommo Pontefice Francesco.
Suor Simona Brambilla era segretario del dicastero dal 7 ottobre 2023; seconda donna a ricoprire questo incarico dopo la nomina nel 2021 di Suor Alessandra Smerilli al Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Il Romano Pontefice ha scelto come Pro-prefetto del dicastero Ángel Fernández Artime, 65 anni, creato cardinale nel Concistoro del 30 settembre 2023. Con questa nomina, rilanciata in un baleno dalle agenzie di stampa mondiali, il Pontefice ha inteso creare una struttura dirigenziale senza precedenti presso il Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, nominando una suora prefetto e un cardinale pro-prefetto.
In perfetta coerenza logica con le azioni del Romano Pontefice, tale scelta non fa che ricalcare il solco segnato dalla riforma della Curia romana già presente nella Costituzione Praedicate Evangelium, merita però di essere chiarita dal punto di vista giuridico e da quello teologico. Un esempio iniziale potrà aiutarci a introdurre il tema per poi chiarire il problema. In precedenza, già lo scorso 9 gennaio 2023, il Pontefice aveva nominato un nuovo Abate territoriale dell’Abbazia di Montecassino, posto a capo della comunità monastica più antica dell’Occidente. Sebbene non consacrato vescovo, l’abate cassinense ― o per essere precisi l’arciabate ― riceve ratione officii tutte le facoltà di governo di un vescovo. Nulla di nuovo se non per il fatto che il Pontefice ha scelto di promuovere alla carica di abate, di per sé elettiva da parte della sua comunità, un monaco laico non costituito nell’ordine sacro del presbiterato, ordinato poi sacerdote solo dopo la nomina abbaziale.
Senza voler entrare nel merito della discussione circa l’opportunità di una nomina pontificia per una carica che more solito prevede una elezione, resta necessario analizzare la complementarietà, o meno, tra potestà d’ordine e potestà di giurisdizione. Rivalorizzando la tradizione teologica antica, orientale e occidentale, il Vaticano II ha messo l’accento sull’unità della «sacra potestas», pur senza voler prendere posizione sul valore ecclesiologico della distinzione tra il potere di ordine e quello di giurisdizione introdotta dalla canonistica prima del XII secolo. Sussistono, infatti, elementi teologici che orientano verso una concezione unitaria della potestas sacra, ovvero: il principio della sacramentalità dell’episcopato di cui al can. 129 §1C.J.C.
Vi sono nella Chiesa due poteri, lasciati da Nostro Signore Gesù Cristo, e due gerarchie che ne derivano, le quali si incrociano e si sovrappongono in parte, ma che restano ben distinte nelle loro attribuzioni e nelle loro fonti. Il primo tra i due è la potestas sanctificandi, che si riceve e si esercita tramite il Sacramento dell’Ordine nei suoi vari gradi (ministeri istituiti, sacerdozio ed episcopato: e er Vescovo si intende chi ha ricevuto la consacrazione episcopale), e che consiste principalmente nel potere di consacrare l’Eucaristia e, mediante questa e gli altri Sacramenti, dare la grazia alle anime. Poiché la fonte di questo potere è un Sacramento, l’autore diretto ne è Nostro Signore stesso, ex opere operato: i ministri ne sono solo gli strumenti. Atto più alto di questo potere è la consacrazione del Corpo e del Sangue di Cristo. In questo, Vescovo e Sacerdote, sono uguali. La potestas regendi, o potere di giurisdizione, che comprende in sé il potere spirituale di governare e di insegnare (infatti si insegna legittimamente e con autorità solo ai propri sudditi). Se consideriamo la Chiesa come societas, secondo il diritto classico, essa deve avere un’autorità capace di legiferare e di guidare, oltre che di punire e correggere. Questo potere, che Nostro Signore ugualmente possiede al supremo grado, è da Lui trasmesso direttamente solo al Successore del Beato Apostolo Pietro al momento dell’accettazione dell’elezione, e da lui stesso trasmesso in vari modi al resto della Chiesa. Non ha di per sé alcun legame con il potere d’ordine, benché generalmente i due poteri convivano negli stessi soggetti, o addirittura, come per il Papa e i Vescovi diocesani, vi sia obbligo morale di riunire in sé i due poteri. In questo senso Vescovo è colui che ha ricevuto dal Papa il potere di governare una diocesi.
Questa dottrina sulla distinzione di origine dei due poteri è insegnata senza ambiguità possibile in una quantità impressionante di documenti magisteriali: ultima fra di essi l’enciclica Mystici Corporisdi Pio XII (1943), ripresa nelle successive Ad Sinarum gentes (1954) e Ad Apostolorum Principis (1958). I Vescovi governano la loro diocesi in nome del Cristo, «id tamen dum faciunt, non plane sui jurissunt, sed sub debita Romani Pontificis auctoritate positi, quamvis ordinaria jurisdictionis potestate fruantur, immediate sibi ab eodem Pontifice impertita» («tuttavia quando lo fanno, non lo fanno affatto per diritto proprio, ma posti sotto la debita autorità del Romano Pontefice, benché godano di un potere di giurisdizione ordinario, dato loro immediatamente dallo stesso Pontefice») (DS. 3804). L’unico al mondo a ricevere tale potere di giurisdizione direttamente da Dio è il Pontefice Romano, come affermava il Codice di Diritto Canonico del 1917 al can.109:
«Qui in ecclesiastica hierarchia cooptantur […] in gradibus potestatis ordinis constituuntur sacra ordinatione; in supremo pontificatu, ipsometjure divino, adimpleta conditione legitimae electionis ejusdem que acceptationis; in reliquis gradibus jurisdictionis, canonica missione» («Coloro che sono annoverati nella gerarchia ecclasiastica […] sono costituiti nei gradi del potere d’ordine con la sacra ordinazione; nel supremo Pontificato, per lo stesso diritto divino, compiute le condizioni della legittima elezione e dell’accettazione di questa; nei restanti gradi del potere di giurisdizione, con la missione canonica»).
nemmeno il Romano Pontefice riceve tale potere dalla consacrazione episcopale, ma indipendentemente da essa. Nel corso della storia c’è stata quindi un’ampia, complessa e talvolta controversa riflessione sul rapporto tra il potere degli ordini, che si riceve con l’ordinazione e che permette di amministrare alcuni Sacramenti ― come presiedere l’Eucaristia ― e il potere di governo, che dà autorità su una parte del Popolo di Dio, come una diocesi, un ordine religioso o anche una parrocchia. Per molto tempo si è creduto che i due poteri fossero distinti e che fosse possibile esercitarli separatamente; anche San Tommaso d’Aquino condivideva questa posizione.
Per quanto riguarda la Curia romana, si riteneva che tutti coloro che vi svolgevano il loro servizio ricevessero il loro potere direttamente dal Romano Pontefice, che conferiva loro l’autorità indipendentemente dal fatto che fossero ordinati o meno. Questo valeva anche per i cardinali, la cui autorità derivava dalla creazione papale e non per via sacramentale. Questo approccio ha caratterizzato la storia della Chiesa per lungo tempo, tanto che ci sono stati cardinali che non erano sacerdoti, ad esempio il Cardinale Giacomo Antonelli, segretario di Stato vaticano dal 1848 al 1876, era stato ordinato diacono, ma non era un sacerdote. Più indietro nel tempo, ci sono stati cardinali nominati in giovane età che hanno ricevuto gli ordini solo dopo molto tempo, e persino papi che erano solo diaconi al momento della loro elezione al soglio pontificio.
Alcuni abati del passato non erano nemmeno stati ordinati sacerdoti e governavano una circoscrizione ecclesiastica, oppure c’erano figure che a noi risultano quanto meno anacronistiche ma che rispondevano a questa logica, come i vescovi eletti che governavano diocesi senza aver ricevuto la consacrazione episcopale ma solo in virtù della loro elezione, problema questo al quale porrà fine il Concilio di Trento attraverso l’obbligo della residenza. Altri esempi sono le cosiddette badesse mitrate, “donne con il bastone pastorale”, di cui accenneremo a seguire.
Nel tempo è emerso un altro approccio che risale alla Chiesa del primo millennio: Il potere di governo è strettamente legato al Sacramento dell’ordine sacro, per cui non è possibile esercitare l’uno senza l’altro se non entro certi limiti, che sono piuttosto ristretti.Per questo motivoil Santo Pontefice Giovanni XXIII, nel 1962,con il motu proprio Cum Gravissima decise che tutti i cardinali dovessero essere ordinati vescovi
Questo è l’approccio del Concilio Vaticano II, che si ritrova, ad esempio, nella Costituzione Dogmatica Lumen Gentiumal n. 21, nella Nota esplicativa al n. 2, e nei due Codici di Diritto Canonico, quello latino del 1983 e quello orientale del 1990. Nel III capitolo (nn. 18-23) e nella Nota praevia si sostiene che la consacrazione episcopale è fonte del potere di governo e non solo del potere d’ordine, facendo leva sulla sacramentalità dell’episcopato. Per il Concilio di Trento, infatti, il sacerdozio conferito dal Cristo agli Apostoli e ai loro successori è detto «potere […] di consacrare, offrire e amministrare il suo Corpo e il suo Sangue, oltre che di rimettere e ritenere i peccati» (DS 1764); in particolare i Vescovi «che sono succeduti in luogo degli Apostoli […] sono superiori ai preti, e possono amministrare il Sacramento della cresima, ordinare i ministri della Chiesa, e compiere molte altre cose» (DS 1768). Ecco dunque gli effetti dell’Ordinazione tali che ci sono descritti dal Concilio di Trento: un potere legato al Corpo fisico del Cristo e all’amministrazione dei Sacramenti, e assolutamente non al governo esterno della Chiesa. Lumen gentium afferma che la consacrazione episcopale «conferisce pure, con l’ufficio di santificare, gli uffici di insegnare e governare, i quali però, per loro natura, non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica con il Capo e colle membra del Collegio».
Chiunque sia validamente consacrato Vescovo possiede, secondo Lumen gentium, entrambi i poteri; il Sommo Pontefice interviene solo per determinare l’esercizio del potere di governo, non per conferirlo. In mancanza di questo intervento del Papa, non sappiamo se l’esercizio della giurisdizione sarebbe invalido o soltanto illecito: la Nota praevia afferma di non voler entrare nella questione, anche se si può supporre che sarebbe solo illecito, come per il potere d’ordine. Inoltre, secondo il n. 22 la consacrazione episcopale avrebbe come effetto anche l’ingresso nel Collegio episcopale, corpo che secondo Lumen gentiumavrebbe il potere supremo accanto a quello del Papa da solo: la Nota praevia precisa che tale soggetto del potere universale esiste sempre, ma che entra in azione solo quando il Papa lo convoca. Lo stesso numero 22 dice che per appartenere al Collegio occorre anche il legame gerarchico, tuttavia non è chiaro se questa sia una vera causa di appartenenza al Collegio o una semplice condizione. Il potere di governo, che esula dall’ordine sacramentale, sarebbe effetto del Sacramento ex opere operato, quindi del Cristo direttamente, come anche l’appartenenza al detto Collegio, che pur essendo soggetto del potere supremo cum Petro et sub Petro, resterebbe un soggetto distinto da Pietro solo e riceverebbe il potere che esercita non ex Petro ma ex Christo, come appare chiaramente dalla stessa Nota praevia.
Il Vaticano II ha autorevolmente ribadito che l’episcopato è un sacramento e che con la consacrazione episcopale si entra a far parte del Collegio episcopale che insieme al Papa e sotto la sua autorità, è il soggetto della suprema potestà su tutta la Chiesa. Questa tesi è chiaramente difficile da conciliare con il dettato del Vaticano I, che condanna
«[…] quelli che affermano che tale primato non fu dato immediatamente e direttamente al Beato Pietro, ma alla Chiesa e tramite questa a lui come ministro della Chiesa stessa».
Tesi diversa da quella che poi ha prevalso in Lumen gentium: qui il soggetto del potere supremo è uno, il Collegio, benché non si escluda che il Papa possa agire solo. L’eco di questa tesi si fa sentire anche nel numero 22 di Lumen gentium, quando si afferma che il Papa esercita il potere a due titoli: in forza del suo ufficio e come Capo del Collegio. Si ammette dunque che almeno in alcuni casi il Papa sia solo il rappresentante del Collegio.
Questa riflessione si ritrova nelle due documenti di riforma della Curia romana che hanno seguito il Concilio Vaticano II: La costituzione Regimini Ecclesiae Universae di Paolo VI (1967) e la Pastor Bonus di Giovanni Paolo II (1988). Giovanni Paolo II delineò la Curia in congregazioni e pontifici consigli, che in termini laici potrebbero essere definiti come “ministeri con portafoglio” e “ministeri senza portafoglio”.
Le congregazioni dovevano essere governate da cardinali perché partecipavano alle decisioni della Chiesa universale con il Papa, quindi, i loro capi, dovevano avere il rango di primi consiglieri del Papa. I pontifici consigli, invece, potevano essere guidati anche da arcivescovi, ma in ogni caso da ministri ordinati perché dovevano comunque essere in rapporto di collegialità con il vescovo di Roma – cioè il Papa.
Il diritto canonico distingue la potestà di governo in tre categorie: la potestà legislativa in ragione della quale si pongono in essere leggi, decreti generali e privilegi; la potestà esecutiva che consente di porre in essere decreti generali esecutivi, istruzioni e atti ammnistrativi singolari e su concessione della competente autorità legislativa decreti generali e privilegi; la potestà giudiziale che consente di porre in essere le sentenze e i relativi atti preparatori.
Negli ordinamenti statali vige il principio della separazione delle potestà che permette di ripartire le funzioni di governo (parlamento, governo, tribunali) affinché (Locke-Montesquieu) il loro esercizio sia libero da influenze reciproche. Nell’ordinamento canonico vige il principio della distinzione delle potestà e quindi della loro unità. Le tre funzioni sono annesse agli uffici capitali sia universali che particolari. Tuttavia accanto ad essi l’ordinamento canonico prevede ulteriori uffici in cui risultano titolati persone o collegi a cui è annessa una sola delle potestà citate. La distinzione tra le potestà non ha lo scopo di limitare l’esercizio di ciascuna nei confronti dell’altra ma consente di individuare atti di natura diversa affinché sia promosso il bene comune della Chiesa.
L’organizzazione della Chiesa si fonda sul principio della gerarchia degli uffici, molti dei quali non sono qualificabili come uffici di governo, in quanto non dotati di potestas gubernandi. Quando la potestà di governo è annessa a un ufficio, si qualifica come ordinaria, distinta da quella delegata perché data direttamente alla persona tramite mandato, senza attribuzione di un ufficio specifico.
La potestà ordinaria può essere propria o vicaria. Nel primo caso è esercitata in “nome proprio” dal titolare; è vicaria se è esercitata da un soggetto che agisce a nome del titolare dell’ufficio. A livello universale, gli uffici ai quali è annessa una potestà ordinaria propria o vicaria sono: Romano Pontefice, Collegio episcopale, le congregazioni della Curia, il Pontificio consiglio dei Laici, i tribunali apostolici. A livello particolare sono: i vescovi diocesani e i capi delle prelature abbaziali o territoriali, i vicari e prefetti apostolici, amministratori apostolici, Ordinari personali (tranne quelli per gli anglicani), ordinario della prelatura personale, vicari generali, episcopali e giudiziali, parroci; metropoliti, concili particolari, conferenze episcopali e loro consigli permanenti; i superiori e i capitoli degli istituti religiosi e società clericali di vita apostolica di diritto pontificio.
Il can. 134 §1 attribuisce la qualifica di Ordinario ai titolari di tre diversi uffici: l’ufficio che si caratterizza per l’intera potestà di governo (legislativa, esecutiva e giudiziale), Romano Pontefice, Vescovi diocesani ed equiparati; l’ufficio caratterizzato dalla potestà ordinaria vicaria ed esecutiva (vicari generali ed episcopali delle diocesi); uffici attribuiti ai superiori maggiori degli istituti religiosi e delle società di vita apostolica. Lo stesso can. 134 §2 attribuisce la qualifica giuridica di ordinario del luogo ai primi due tipi di ordinari. La qualifica di ordinario del luogo è legata al carattere territoriale delle circoscrizioni ecclesiastiche.
La potestà delegata è distinta dalla potestà ordinaria perché è affidata alla persona (can 131), in quanto titolare di un ufficio ma non come parte integrante di esso. In questo caso la potestà è circoscritta alle facoltà assegnate alla persona mediante un mandato di delega. Sia il romano pontefice che i vescovi possono, mediante delega, ampliare le facoltà di un vescovo diocesano o di un vicario al di là di quelle acquisite mediante ufficio. Da qui la differenza tra le due potestà. Quella ordinaria è oggettiva, esiste in sé indipendentemente dal soggetto che deve solo possedere i requisiti definiti per ricevere l’ufficio; la seconda dipende dalla scelta di un soggetto titolare che decide di concederne una parte.
La costituzione apostolica Praedicate Evangelium, con cui il Sommo Pontefice Francesco ha riformato la Curia nel 2022, si è sostanzialmente discostata da questo approccio giuridico e teologico. Non si distingue più tra congregazioni e pontifici consigli, che vengono tutti definiti dicasteri; non c’è più differenza su chi può essere il capo del dicastero, una carica che può essere quindi conferita anche a un laico. Tuttavia, nel presentare la riforma della Curia il 21 marzo 2022, l’allora Padre Gianfranco GhirlandaS.J. ― creato cardinale da Sommo Pontefice Francesco nel concistoro del 27 agosto 2022 ― spiegò che c’erano ancora alcuni dicasteri in cui era opportuno che fosse un cardinale a guidarli e fece notare che la «costituzione non abroga il Codice di Diritto Canonico, che stabilisce che nelle questioni che riguardano i chierici sono i chierici a giudicare». Questo è il centro della questione: ci sono uffici che possono essere esercitati solo per nomina pontificia o ci sono uffici che, nonostante la nomina pontificia, possono essere esercitati solo se si è ordinati?
La domanda emerge quando un Cardinale pro-prefetto supporta una Suora prefetto. Il Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica ha diverse competenze, che sono in genere atti di governo che possono essere esercitati senza l’ordinazione sacerdotale. Ma lo stesso dicastero, spesso è chiamato a gestire e dirimere problemi che riguardano chierici ordinati in sacris. Probabilmente si è pensato che queste decisioni possano essere gestite, in maniera residuale, da almeno un membro che abbia ricevuto la sacra ordinazione, da affiancare al Prefetto. Per questo è stata creata la figura del pro-prefetto, che sembra però essere usata in modo improprio. Il documento Praedicate Evangelium descrive due pro-prefetti che sono a capo delle due sezioni del Dicastero per l’Evangelizzazione. Questo perché i due pro-prefetti guidano le sezioni del dicastero “al posto” (cioè, pro-) del Papa, che è considerato il prefetto del dicastero.
In altri casi è stato nominato pro-prefetto un prelato che non aveva ancora il grado per ricoprire formalmente la carica. Ad esempio, quando Angelo Sodano fu nominato Segretario di Stato vaticano il 1° dicembre 1990, era ancora un arcivescovo. Fu quindi nominato pro-segretario di Stato perché la Costituzione Apostolica Pastor Bonus prevedeva che il segretario di Stato fosse sempre un cardinale. Sodano mantenne il titolo di pro-segretario di Stato fino al concistoro del 28 giugno 1991, quando fu creato cardinale e assunse formalmente il titolo di segretario di Stato a partire dal 1° luglio 1991.
Il pro-prefetto Ángel Fernández Artime è però già cardinale e non esercita la giurisdizione al posto del Papa. Semmai lavora a fianco della Suora prefetto. Il suo ruolo è più che altro quello di co-prefetto, quindi resta da vedere se il Santo Padre nominerà un segretario per il dicastero per capire l’organigramma definitivo. La scelta di affiancare un ecclesiastico al prefetto rispecchia il modus operandidi alcuni ordini religiosi, che hanno alla loro guida dei “fratelli” (laici consacrati), ma che sono nominati accanto a figure con autorità sacramentale. Il Sommo Pontefice avrebbe quindi scelto di seguire una strada già percorsa dalle congregazioni religiose per il governo della Chiesa. Non è una novità. Anche il Santo Padre Francesco, ad esempio, è intervenuto nella crisi di governo dell’Ordine di Malta proprio operando sull’Ordine come se fosse solo un’entità religiosa e monastica, imponendo autoritariamente le nuove costituzioni nel settembre 2022 e stabilendo che il Romano Pontefice deve confermare l’elezione del Gran Maestro.
Anche il Consiglio dei Cardinali, istituito da Papa Francesco all’inizio del suo pontificato nel 2013, assomiglia al consiglio generale che sostiene il governo del Generale dei Gesuiti. Molte di queste impostazioni sono date dal principale consigliere giuridico del Pontefice regnante, il Cardinale Gianfranco Ghirlanda, anch’egli gesuita, che ha seguito personalmente la riforma dell’Ordine di Malta e la riforma della Curia, oltre a varie altre riforme, come quella degli statuti dei Legionari di Cristo.
Il Santo Padre Francesco ha stabilito un’innovazione nella Curia romana abbandonando i criteri del governo della Curia a favore piuttosto di quelli delle congregazioni religiose. Ci troviamo di fronte a una piccola rivoluzione, o semplicemente a un uso improprio dei termini che potrebbe causare una grave confusione? Sappiamo che la carica di pro-prefetto del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica non è prevista dalla costituzione Praedicate Evangelium. Non è stato precisato come sarà il rapporto di poteri e competenze tra il nuovo prefetto e il pro-prefetto. Tuttavia, parlare di un rapporto di subordinazione con un cardinale che sarebbe il “secondo in grado” del prefetto non sembra una lettura corretta.
La distinzione tra ordine e giurisdizione è il risultato di una riflessione, durata quasi un millennio, tesa a risolvere due problemi fondamentali: quello della validità degli atti sacramentali posti dai ministri, che avessero rotto con la comunione ecclesiale; quello della validità delle ordinazioni assolute, che prevalse nella prassi della Chiesa latina malgrado la proibizione del Concilio di Calcedonia. La questione non riguardò tanto la possibilità che un vescovo scomunicato potesse essere posto a capo di una diocesi, quanto piuttosto che potesse continuare ad amministrare i Sacramenti, fino a quando Graziano e i decretisti non riuscirono progressivamente a distinguere nell’attività dei ministri due poteri: un potere di ordine e un potere di giurisdizione, diversi sia per la modalità di trasmissione che per la loro stabilità e funzione. E tutto sommato la Costituzione Praedicate Evangeliumprocede proprio su questo binario della distinzione: assume implicitamente l’opzione di non considerare il sacramento dell’Ordine come l’origine del potere di giurisdizione, ma di attribuirlo esclusivamente alla missio canonica data dal Romano Pontefice, che conferirebbe così una delega dei suoi propri poteri a chiunque eserciti una funzione di governo nella Curia romana e nella Chiesa, sia esso ordinato o meno.
La questione maggiormente dibattuta pare essere l’esercizio della potestà di giurisdizione nell’ambito extra-sacramentale. Al di fuori dell’ambito sacramentale, il Codice del 1983 sembra considerare, almeno dal profilo terminologico, la potestas iurisdictionis come un potere che possiede un contenuto materiale proprio, distinto da quello della potestas ordinis. Il Codice utilizza due differenti termini: il termine «facultas» nell’ambito sacramentale, e quello di «potestas» nell’ambito extra-sacramentale, quasi come a dare due significati diversi allo stesso potere di giurisdizione, uno formale ed uno contenutistico, secondo che esso operi nel primo o nel secondo ambito. Quanto alla riforma della Curia, essa pare presentare una rivoluzione radicale all’interno dell’Ordinamento, una sorta di sottolineatura della domanda circa l’origine della potestà di giurisdizione: comprendere se si tratta di volontà divina (immediata) inscritta nel sacramento dell’Ordine che fonda i poteri di santificare, insegnare e governare o si tratta piuttosto d’una determinazione della Chiesa (mediata) conferita al Successore di Pietro in virtù del suo mandato di pastore universale con la speciale assistenza dello Spirito Santo.
La tendenza a separare i poteri d’ordine e di giurisdizione si fonda su molte disposizioni pontificie del passato, che hanno avallato atti di governo senza potere d’ordine, per esempio il governo di alcune badesse dal Medioevo sino ai tempi moderni, come nel noto e celebre caso della Badessa di Conversano, definita Monstrum Apuliae, o di alcuni vescovi che hanno governato diocesi senza essere ordinati, o ancora alcune licenze concesse dal Supremo Legislatore a semplici sacerdoti per ordinare altri preti senza essere vescovi. Si potrebbe allungare l’elenco dei fatti che mostrano come il potere di governo non dipenda intrinsecamente dal potere d’Ordine, quanto piuttosto da un’altra fonte, che si identifica poi con la missio canonica conferita dal Romano Pontefice. La nuova Costituzione andrebbe forse oltre il can. 129 §2 C.J.C., ovvero interpreterebbe a pieno quella collaborazione del laicato nell’esercizio della medesima potestà di giurisdizione. Partendo da questa osservazione, il nocciolo della questione può ricondursi a ciò che regola i rapporti tra la natura della Chiesa come istituzione divino-umana e le strutture di governo che le consentono di adempiere la sua missione a servizio della salvezza del mondo. Si può dunque affermare che la comunione ecclesiale comporta una dimensione gerarchica che corrisponde al mistero trinitario così come ci viene rivelato. Tutto quanto fin ora detto, seppure in maniera estremamente sintetica, porterebbe a dire che la potestà di giurisdizione non dipende esclusivamente dalla potestà di ordine.
Una cosa possiamo affermare con malcelata sicurezza: la nomina di una Suora alla carica di Prefetto (che, resterebbe come suora sottoposta alla sua diretta Superiora religiosa ma, allo stesso tempo, gerarchicamente “superiora della sua Superiora”, con rischio concreto di cortocircuitare le competenze) e la contestuale nomina di un Cardinale alla carica di pro-prefetto, non fa altro che confermare la cifra stilistica alla quale questo pontificato ci ha ormai abituato da 12 anni in avanti: l’importante è provocare e generare processi. Cosa che potrebbe anche risultare affascinante, se non per il fatto che, come tutti i giuristi, non possiamo fare a meno di considerare che i processi, proprio per una questione di giustizia equità e di rispetto delle parti, non possono durare in eterno, perché, prima o poi, delle due l’una:o giungono a sentenza o vengono archiviati.
Velletri di Roma, 19 gennaio 2025
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https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2023/09/padre-Teodoro-foto-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Arielhttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Ariel2025-01-19 10:11:392025-01-22 23:44:34Dalla Badessa mitrata di Conversano alla Suora prefetto del Dicastero per i religiosi
AI CONFINI CLERICALI CON LA REALTÀ: LA DONNA SOFFRE DELL’INVIDIA FREUDIANA DEL PENE, L’OPOSSUM DELL’INVIDIA DI MATTEO BRUNI DIRETTORE DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE
Non rivolgo eziandio siffatte domande per me, ma per un amico privo di cultura canonistica. Incurante che se l’Opossum si irrita non esita a scrivere lettere di fuoco, con allegate lezioncine di diritto canonico, ai vescovi dei Padri de L’Isola di Patmos.
– Il cogitatorio di Ipazia ne “Le brevi” dei Padri de L’Isola di Patmos –
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Autore Ipazia Gatta Romana
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Domando per un amico privo di cultura canonistica: come mai l’Opossum, quando gioca a fare l’agenzia di informazione vaticana che tal proprio non è, nell’annunciare certe nomine pubblicate dal bollettino della Sala Stampa della Santa Sede diretta dal di lui vituperato e pluri-insultato Matteo Bruni, ergo fatte passare come se la Sala Stampa fosse il suo blogghetto di Gossip&Veleni, in buon clericalese sciorina: «Il Santo Padre ha nominato Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Maurino Piacente membro attivo della Pontificia Accademia di Cultura Romanesca ‘mo pijatelo ‘ndercul … il Santo Padre ha eletto alla sede vescovile di Gaianain partibus infidelium et molliculumil Rev.mo Presbitero Marco Parrucchino da Montefeltro …», salvo perdere però tutto questo buon clericalese quando si tratta di nominare il Romano Pontefice indicato come “Bergoglio”, oppure l’Arciprete della papale arcibasilica di San Pietro indicato come “Mauro Gambetti”, oppure “il Gambetti”, senza indicarlo affatto come Sua Eminenza Reverendissima il Signor cardinale Mauro Gambetti, oggetto da alcuni anni dei suoi continui insulti (vedere QUI). Come mai, queste formali e sostanziali discrepanze?
Non rivolgo eziandio siffatte domande per me, ma per un amico privo di cultura canonistica. Incurante che se l’Opossum si irrita non esita a scrivere lettere di fuoco, con allegate lezioncine di diritto canonico, ai vescovi dei Padri de L’Isola di Patmos, ai quali è fin troppo chiaro che a questo mondo, secondo la ardita teoria freudiana, la donna soffrirebbe dell’invidia del pene maschile, mentre altri sembrano invece soffrire dell’invidia del prete.
dall’Isola di Patmos, 15 gennaio 2025
Beata Vergine Maria Gattara, protettrice dei gatti cattolici
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I Padri dell’Isola di Patmos
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https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2023/01/ipazia-tondo-piccolo.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Ipaziahttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngIpazia2025-01-15 12:47:162025-01-15 14:56:22Ai confini clericali con la realtà: la donna soffre dell’invidia freudiana del pene, l’Opossum dell’invidia di Matteo Bruni direttore della Sala Stampa della Santa Sede
FORSE GESÙ AVEVA BISOGNO DI ESSERE PURIFICATO E PERDONATO DAI PECCATI MEDIANTE IL BATTESIMO?
l’immersione nel Giordano da parte di Gesù è un segno che rivela quale sorte ha condiviso la Parola fatta carne: quella dei peccatori. Come scrive Paolo: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio».
Un episodio sorprendente, addirittura imbarazzante, quello del battesimo di Gesù, che allontana ogni dubbio circa la sua storicità.
Pietro Perugino Pala di Sant ‘Agostino, Battesimo di Gesù, 1512
Giovanni al Giordano impartiva un battesimo di penitenza, secondo quanto scritto in Lc 3,3. Gesù aveva forse bisogno di essere perdonato dai peccati? Per tentare di rispondere, seguiamo il filo della pagina del racconto evangelico di questa Domenica, nella versione lucana.
«In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Lc 3,15-16.21-22).
In questo brano evangelico notiamo alcune peculiarità. Solo Luca ci dice che Gesù ricevette il battesimo in questo modo: «quando tutto il popolo fu battezzato» (3,21). Mettendosi in fila come gli altri Gesù è l’ultimo di un lungo corteo. L’espressione «tutto il popolo» è tipica dell’evangelista Luca e non è una semplice affermazione tesa ad esagerare la realtà per amplificarla; ha invece uno spessore teologico. Il primo utilizzo di questa espressione nella Bibbia si trova nel libro della Genesi, nel racconto del peccato degli abitanti di Sodoma:
«Gli uomini di Sodoma si radunarono attorno alla casa [di Lot] dai giovani ai vecchi, tutto il popolo al completo» (19,4).
Questa dicitura richiama la condizione peccaminosa di un intero gruppo di uomini, la complicità nel peccato di una determinata moltitudine. Luca usa l’espressione «tutto il popolo» per affermare che l’evento del battesimo di Gesù riguarda in effetti tutto il popolo d’Israele, quanti sono stati toccati dalla testimonianza di Giovanni Battista e non solo. L’immersione nelle acque del Giordano era un segno di conversione e di penitenza, l’atteggiamento a cui tutti erano chiamati per accogliere la salvezza. Ma San Luca sembra guardare anche al di là del popolo di Israele e lascia trapelare che è tutta l’umanità a essere convocata e abbracciata.
Nel mistero del Natale abbiamo meditato l’incarnazione del figlio di Dio, la sua venuta come uomo tra gli uomini, assumendo «in tutto eccetto il peccato» la vera natura umana. Messa in questo modo, l’immersione nel Giordano da parte di Gesù è un segno che rivela quale sorte ha condiviso la Parola fatta carne: quella dei peccatori. Come scrive Paolo:
«Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2Cor 5,21).
Reso con maggiore fedeltà al testo greco, questo passaggio del nostro brano potrebbe essere tradotto così: «Quando tutto il popolo fu immerso, anche Gesù fu immerso», come a significare che Gesù si immerge nell’immersione del popolo. Non solo è un membro del suo popolo ma si immerge nella sua stessa condizione ed è con questo atto che dà inizio al suo ministero pubblico, manifestando la sua profonda solidarietà con noi umani, perfino nella nostra condizione di peccatori.
Per l’evangelista Luca, allora, l’episodio del battesimo del Signore riveste una funzione teologica fondamentale perché Gesù, ancor prima di essere tentato e poi iniziare il suo ministero, parte da lì. Anche se questo aspetto è più evidente nel vangelo secondo Matteo è chiaro per l’evangelista che in questo mistero si riassumono i vari passaggi del Giordano già compiuti nella storia della salvezza. Da quello di Israele fuggente dall’Egitto, per entrare nella terra promessa, fino al ritorno dello stesso da Babilonia dopo l’esilio. Il Giordano appare fondamentale anche per Gesù; Egli lo attraversa per entrare nella sua missione, in una condizione, almeno esteriore, di penitenza. Tutto si farà chiaro all’altro battesimo che Egli deve ancora ricevere (Lc 12, 50: «Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!»). Dal battesimo nelle acque del Giordano fino al battesimo nella morte e risurrezione che è la sua Pasqua, il Signore non ha mai cessato di immergersi nelle acque della nostra condizione umana spesso peccaminosa, nelle acque agitate della nostra esistenza. Viene a immergersi nella nostra povera umanità per depositarvi l’amore infinito del Padre.
L’altra peculiarità dell’odierno brano evangelico è rappresentata dal fatto che solo Luca ci dice che Gesù, ricevuto il battesimo, «stava in preghiera». Proprio il Terzo Vangelo ha un’attenzione particolare nei confronti di questo aspetto, poiché i momenti più decisivi del ministero di Gesù sono preparati o accompagnati da una preghiera più intensa: il suo battesimo appunto, la scelta dei dodici (Lc 6,12), la domanda posta ai Dodici su chi è Gesù per la gente (9,18), la trasfigurazione (9,28) e la passione (22,41-45). San Luca non riporta nessuna parola di questa preghiera di Gesù e neppure cosa Dio Gli abbia potuto comunicare. Tuttavia, dalle parole scese dal cielo, possiamo comprendere che si tratti di una preghiera filiale, un aspetto quest’ultimo caratteristico del modo di rapportarsi di Gesù a Dio come Padre, rimarcato qui da Luca e soprattutto dal Quarto Vangelo: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te… Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie» (Gv 17, 1. 10). Il Padre riconosce Gesù come suo figlio prediletto, con il quale ha una relazione profonda che definisce e contraddistingue la personalità di Gesù fin da fanciullo: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49).
Infine il contesto della scena evangelica richiama il libro del profeta Isaia e la vocazione dell’eletto:
«Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni» (Is 42,1).
La missione del Servo inizia dalla comunione e comunicazione con il Padre e dal dono dello Spirito. Lo Spirito Santo giunge ad attestare in modo solenne la divinità di Gesù nel momento in cui ha compiuto, come un uomo qualsiasi, il gesto penitenziale, essendosi sottoposto al battesimo di Giovanni. Durante la sua vita terrena, Gesù non si mostrerà mai così grande come nell’umiltà dei gesti e delle parole. Un’importante lezione per noi che vediamo le cose in modo tanto diverso. Seguire Cristo significa intraprendere questo cammino di umiltà, cioè di verità. Cristo, vero Dio e vero uomo, ci insegna la verità del nostro essere. Anche a noi cristiani è stata data la grazia dello Spirito ed anche per noi c’è una missione da compiere e una testimonianza da dare. Chiediamo di conoscerla, come Gesù ha conosciuto la sua al Giordano e di poterla vivere. Perché questo accada, il dono dello Spirito va sempre chiesto con insistenza:
«il comportamento di Gesù che prega quando viene lo Spirito, deve servire da esempio ai credenti: il dono dello Spirito Santo infatti è la domanda essenziale della preghiera cristiana» (Gérard Rossé).
Dall’Eremo, 12 gennaio 2025
Battesimo del Signore
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Grotta Sant’Angelo in Ripe (Civitella del Tronto)
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I Padri dell’Isola di Patmos
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(English text after the Italian / texto español posterior al engles)
IL SANTO PADRE NOMINA UNA DONNA PREFETTO DEL DICASTERO PER I RELIGIOSI AFFIANCATA DA UN CARDINALE COME PRO-PREFETTO
Non è difficile capire chi sia stato il consigliore, sappiamo che da sempre il canonista gesuita Gianfranco Ghirlanda, oggi cardinale, sostiene che «la potestà di governo nella Chiesa non viene dal Sacramento dell’Ordine, ma dalla missione canonica».
– Le brevi dei Padri de L’Isola di Patmos –
Autore Teodoro Beccia
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Fratelli cristiani separati dalla Chiesa Cattolica appartenenti alla Comunità anglicana ci hanno esortati più volte:
«Non mettete mai le donne in ruoli di governo ecclesiale, non fate l’errore nostro, altrimenti ne pagherete tutte le conseguenze».
la fantasiosa e leggendaria figura della Papessa Giovanna
Per aiutare coloro che non accettarono l’istituzione delle donne-prete, peggio quella episcopesse, il Sommo Pontefice Benedetto XVI emanò la Costituzione apostolica Anglicanorum coetibus, contenente istruzione circa l’istituzione di ordinariati personali per anglicani che entrano nella piena comunione con la Chiesa Cattolica.
Andando più indietro nel tempo, gli ortodossi invitati come osservatori al Concilio Vaticano II, a diversi nostri Padri che premevano per l’abolizione del celibato sacerdotale dissero:
«Voi che avete il celibato sacerdotale, tenetelo. Altrimenti rischiate di fare la nostra fine: buona parte dei problemi che i nostri vescovi sono costretti ad affrontare e risolvere sono originati dai litigi tra preti fomentati dalle loro mogli, o da litigi tra le mogli dei preti».
Il Sommo Pontefice Francesco ha nominato Prefetto del Dicastero per i religiosi una suora, Simona Brambilla, affiancata come pro-prefetto dal Cardinale Ángel Fernández Artime,S.D.B (Cfr. Bollettino ufficiale). E qui merita ricordare che il prefetto è il titolare del dicastero, mentre il pro-profetto è un luogotenente, ossia il vice del prefetto, preposto come tale a svolgere funzioni vicarie come sue delegato.
Non è difficile capire chi sia stato il consigliore, sappiamo che da sempre il canonista gesuita Gianfranco Ghirlanda, oggi cardinale, sostiene che «la potestà di governo nella Chiesa non viene dal Sacramento dell’Ordine, ma dalla missione canonica». Affermando in tal modo «l’uguaglianza fondamentale tra tutti i battezzati, anche se nella differenziazione e complementarietà […] che fonda la sinodalità» (cfr. QUI).
Applicando lo stesso principio, si potrebbe tranquillamente sostenere la liceità a nominare Suor Pasquina della Bela Madunina Arcivescovo metropolita di Milano, esercitando come tale la potestà di governo della Diocesi Ambrosiana, che secondo il Ghirlanda non viene dal Sacramento dell’Ordine. Dopodiché, affinché vi sia qualcuno preposto a esercitare anche le necessarie potestà sacramentali proprie dell’episcopato, basterà nominare all’Arcivescovo Suor Pasquina della Bela Madunina un vescovo ausiliare, semmai il Reverendo Abbondio Che te Brillet de Lontan. Perché questo è ciò che in concreto è stato fatto con la nomina della Suora a prefetto del dicastero e del Cardinale a pro-prefetto. Ciò detto, dinanzi a cotanta evidenza, qualsiasi altro commento sarebbe solo un inutile spreco di tempo e parole.
Velletri di Roma, 7 gennaio 2025
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THE HOLY FATHER APPOINTS A WOMAN PREFECT OF THE DICASTERY FOR RELIGIOUS, SUPPORTED BY A CARDINAL AS PRO-PREFECT
Is’t difficult to understand who was the inspirer, the Jesuit canonist Gianfranco Ghirlanda, now cardinal, whit always maintained: «the power of government in the Church does not come from the Sacrament of Orders, but from the canonical mission».
— The short articles by Fathers the Patmos Island —
Author Teodoro Beccia
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Christian brothers separated from the Catholic Church belonging to the Anglican Community have repeatedly urged us:
«Never put women in roles of ecclesial government, do not make our mistake, otherwise you will pay all the consequences».
The imaginative and legendary figure of Popesse Joan
To help those who did not accept the institution of women priests, worse than women bishops, the Supreme Pontiff Benedict XVI issued the Apostolic Constitution Anglicanorum coetibus, containing instructions on the institution of personal ordinariates for Anglicans who enter into full communion with the Catholic Church.
Going back in time, the Orthodox invited as observers to Second Vatican Council, told several of our Fathers who pushing for the priestly celibacy abolition:
«You who have priestly celibacy, keep it. Otherwise you risk ending up like us: many part of the problems that our bishops are forced to resolve originate from quarrels between priests fomented by their wives, or from quarrels between the wives of priests».
The Supreme Pontiff Francis has appointed as Prefect of the Religious Dicastery for Religious a nun, Simona Brambilla, supported as pro-prefect by Cardinal Ángel Fernández Artime, S.D.B (See Official Bulletin). And here is necessary remembering that the prefect is the head of the dicastery, the pro-profect is a lieutenant, that is, the vice-prefect, appointed to carry out vicarious functions as delegate.
Is’t difficult to understand who was the inspirer, the Jesuit canonist Gianfranco Ghirlanda, now cardinal, whit always maintained: «the power of government in the Church does not come from the Sacrament of Orders, but from the canonical mission». Thus affirming «the fundamental equality between all the baptized, even if in differentiation and complementarity […] which founds synodality» (see HERE).
Applying this principle, one could support the legitimacy of appointing Sister Playful Metropolitan Archbishop of Milan, and exercising the power of government of the Ambrosian Diocese, which according to Ghirlanda does not come from the Sacrament of Orders. After that, in order for there to be to also exercise the sacramental powers proper to the episcopate, it will be enough to appoint an auxiliary bishop to the Archbishop Sister Playful, perhaps the Reverend Placid of the Good Lamb. This is has been with the appointment of the Sister as prefect of the dicastery and of the Cardinal as pro-prefect. In the face of this evidence, any other comment only be a waste of time and words.
Velletri of Rome, 7 January 2025
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EL SANTO PADRE NOMBRA A UNA MUJER PREFECTO DEL DICASTERIO PARA LOS RELIGIOSOS APOYADA POR UN CARDENAL COMO PRO-PREFECTO
No es difícil comprender quién fue el inspirador, siempre hemos sabido que el canonista jesuita Gianfranco Ghirlanda, hoy cardenal, sostiene que «el poder de gobierno en la Iglesia no proviene del Sacramento Orden, sino de la de misión canónica».
— Artículos breves de los Padres de la Isla de Patmos —
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Autor Teodoro Beccia
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Hermanos cristianos separados de la Iglesia católica pertenecientes a la Comunidad anglicana nos han exhortado repetidas veces:
«Nunca pongáis a mujeres en funciones de gobierno eclesiástico, no cometáis nuestro error, de lo contrario pagaréis todas las consecuencias».
Para ayudar a quienes no aceptaron la institución de mujeres sacerdotes, peor aún la de las episcopesas, el Sumo Pontífice Benedicto XVI emitió la Constitución Apostólica Anglicanorum coetibus, que contiene instrucciones sobre el establecimiento de ordinariatos personales para los anglicanos que entran en plena comunión con la Iglesia católica.
Yendo más atrás en el tiempo: los ortodoxos invitados como observadores al Concilio Vaticano II, dijeron a varios de nuestros Padres que presionaban por la abolición del celibato sacerdotal:
«Vosotros que tenéis el celibato sacerdotal, conservadlo. De lo contrario, corréis el riesgo de acabar como nosotros: buena parte de los problemas que nuestros obispos se ven obligados a afrontar y resolver tienen origen en peleas entre sacerdotes fomentadas por sus esposas, o de peleas entre las esposas de los sacerdotes».
El Sumo Pontífice Francisco ha nombrado a una monja, Simona Brambilla, Prefecto del Dicasterio para los Religiosos, apoyada como Pro-Prefecto por el Cardenal Ángel Fernández Artime, S.D.B. (Cfr. Boletín Oficial). Y aquí conviene recordar que el prefecto es el titular del dicasterio, mientras que el pro-prefecto es un adjunto nombrado como tal para desempeñar funciones vicarias en cuanto delegado.
No es difícil comprender quién fue el inspirador, siempre hemos sabido que el canonista jesuita Gianfranco Ghirlanda, hoy cardenal, sostiene que «el poder de gobierno en la Iglesia no proviene del Sacramento Orden, sino de la de misión canónica». Afirmando así «la igualdad fundamental entre todos los bautizados, aunque en la diferenciación y complementariedad […] que funda la sinodalidad» (Cfr. AQUÍ).
Aplicando el mismo principio, se podría sostener con seguridad que es licito nombrar a Sor Pasquina del Corazón Gozozo de Jesús Arzobispo Metropolitano de Milán, ejerciendo como tal la potestad de gobierno de la Diócesis Ambrosiana, que según Ghirlanda, no proviene del Sacramento del Orden. Después, para que haya alguien responsable de ejercer las necesarias potestades sacramentales propias del episcopado, bastará con nombrar un obispo auxiliar del arzobispo Sor Pasquina, por si acaso el reverendo Temeroso del Santo Cordero. Porque esto es de hecho, lo que se hizo con el nombramiento de la religiosa como prefecto del dicasterio y del cardenal como pro-prefecto. Dicho esto, ante tanta evidencia, cualquier otro comentario sería una pérdida inútil de tiempo y de palabras.
Velletri, Roma, 7 de enero de 2025
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Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.
I Padri dell’Isola di Patmos
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https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2023/09/padre-Teodoro-foto-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Teodorohttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Teodoro2025-01-07 23:32:252025-02-04 17:51:48Il Santo Padre nomina una donna prefetto del Dicastero per i religiosi affiancata da un cardinale come pro-prefetto, ossia suo vice
(English text after the Italian / texto español posterior al engles)
IL PROBLEMA È CHE IL SANTO PADRE È PRIVO DI PROTEZIONI A TUTELA DELLE SUE STESSE ESPRESSIONI INFELICI
Proteggere il Sommo Pontefice vuol dire anzitutto proteggere la Chiesa di Cristo e l’istituto del papato che non è un bene disponibile appartenente a chi lo ha ricevuto, come ai vescovi non appartiene l’episcopato e a noi preti non appartiene il sacerdozio.
Ormai ci abbiamo fatto il callo: nessuno come questo Pontefice aveva mai bersagliato sacerdoti, religiosi e religiose.
Il problema non sono i toni di rimprovero, perché anche il suo Sommo Predecessore Pio XI scrisse nel 1935 una memorabile enciclica sulle derive e le inadeguatezze del clero, la Ad catholici sacerdotii, ma lo fece con amore di padre e cuore di pastore. Francesco non si limita a rimproverarci, perché ci irride. E ogni volta che lo fa, tutte le sinistre internazionali e la frange del laicismo più radicale gioiscono dinanzi alle battute del primo Sommo Pontefice della storia che prende pubblicamente in giro i suoi sacerdoti, religiosi e religiose (tema questo trattato anche nel mio libro: Digressioni di un prete liberale).
Nulla da dire che certe suore possano avere «la faccia da aceto» (cfr. QUI), come ha affermato il Santo Padre, dopo averle già esortate in passato a «non essere zitelle acide» (cfr. QUI). E ce ne sono di zitelle acide, lo sappiamo, da sempre. Il problema è però altro: sono questi gli argomenti e i linguaggi di un Sommo Pontefice le cui parole fanno poi il giro del mondo?
Il Santo Padre, per sua scelta e volontà, è privo di tutti quei meccanismi di difesa con i quali la tanto disprezzata Curia Romana ha sempre protetto i suoi predecessori. Proteggere il Sommo Pontefice vuol dire anzitutto proteggere la Chiesa di Cristo e l’istituto del papato che non è un bene disponibile appartenente a chi lo ha ricevuto, come ai vescovi non appartiene l’episcopato e a noi non appartiene il sacerdozio. Mentre su tutti noi incombe il severo monito:
«A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più (Lc 12, 48)».
E questo vale soprattutto per l’Augusto successore del Beato Apostolo Pietro, che più di tutti noi ha ricevuto molto, facce da aceto a parte …
Dall’Isola di Patmos, 5 gennaio 2025
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THE HOLY FATHER ISN’T PROTECTED FROM THE RISKS HIS UNHAPPY EXPRESSIONS, THIS IS THE PROBLEM
Protecting the Supreme Pontiff means first of all protecting the Christ’s Church and the institution of the papacy which is not an available good belonging those who received it, just as the episcopate does not belong to bishops and the priesthood does’t belong to us priests.
— The short articles by Fathers the Patmos Island —
By now we are used to it: no one like this Pontiff has ever targeted priests, men and women religious.
The problem is not the tone of reproach, because even his Supreme Predecessor Pius XI wrote a memorable encyclical in 1935 on the inadequacies of the clergy (see: Ad catholici sacerdotii), but he did it with the love of a father and the heart of a shepherd. Francis does’t limit himself to reproaching us, because he mocks us. And every time he does so, the entire international left and the fringes of the most radical secularism rejoice at the jokes of the first Supreme Pontiff in history who publicly mocks his priests, men and women religious (this topic is discussed also in my book: Digressions a Liberal Priest, currently available only in Italian).
Nothing to say that certain nuns may have «vinegar faces» (consult here), as the Holy Father stated, after having already urged them in the past «not to be sour spinsters» (consult here). The problem is something else: are these the arguments and languages of a Supreme Pontiff whose words go around the world?
The Holy Father, by his own choice, is deprived of all those defense mechanisms with which the much despised Roman Curia has always protected its predecessors. Protecting the Supreme Pontiff means first of all protecting the Church of Christ and the institution of the papacy which is not an available good belonging to those who received it, just as the episcopate does not belong to bishops and the priesthood does not belong to us priests. While the severe warning looms over all of us:
«Much will be required of the person entrusted with much, and still more will be demanded of the person entrusted with more» (Lukas, 12, 48).
And this is especially true for the successor of the Blessed Apostle Peter, who has received more than all of us, faces of vinegard aside …
From the Island of Patmos, 5 Jannuary 2025
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EL PROBLEMA ES QUE EL SANTO PADRE YA NO TIENE LAS PROTECCIONES PARA PROTEGER SUS INFELICES EXPRESIONES
Proteger al Sumo Pontífice significa, ante todo, el proteger la Iglesia de Cristo y la institución del papado, que no es un bien disponible que pertenece a quien lo recibe, así como el episcopado no pertenece a los obispos y el sacerdocio no nos pertenece a nosotros.
— Artículos breves de los Padres de la Isla de Patmos —
Ya nos hemos acostumbrado: nadie ha atacado nunca a sacerdotes, religiosos y religiosas, como este Pontífice.
El problema no son los tonos de reproche, porque su Sumo Predecesor Pío X en el 1933 escribió una memorable encíclica sobre las desviaciones e insuficiencias del clero, la Ad catholici sacerdotii, pero lo hizo con el amor de un padre y el corazón de un pastor.
Francisco no sólo se limita a regañar, sino que se burla de nosotros. Y cada vez que lo hace, toda la izquierda internacional y los grupos más radicales del laicismo se alegran de las bromas del primer Sumo Pontífice de la historia que se burla públicamente de sus sacerdotes, religiosos y religiosas. Tema que también trato en mi libro: Digressioni di un prete liberale (Digresiones de un sacerdote liberal).
No se puede negar que algunas monjas tienen “cara de vinagre”, como afirmó el Santo Padre (noticias aquí), después de haberlas exhortado en pasado a «no ser solteronas agrias» (noticias aquí). Y si hay solteronas amargas, siempre lo hemos sabido. Sin embargo, el problema es otro: ¿son estos los argumentos y los lenguajes de un Sumo Pontífice cuyas palabras dan la vuelta al mundo?
El Santo Padre, por propia elección y voluntad, está desprovisto de todos aquellos mecanismos de defensa con los que la tan despreciada Curia Romana siempre había protegido a sus predecesores. Proteger al Sumo Pontífice significa, ante todo, el proteger la Iglesia de Cristo y la institución del papado, que no es un bien disponible que pertenece a quien lo recibe, así como el episcopado no pertenece a los obispos y el sacerdocio no nos pertenece a nosotros. Mientras la severa advertencia se cierne sobre todos nosotros:
«A todo aquel a quien se le ha dado mucho, mucho se le pedirá; a quien mucho se le ha confiado, mucho más se le exigirá (Lc 12, 48)”.
Y esto se aplica sobre todo al Sucesor del beato Apóstol Pedro más que a todos nosotros, quien ha recibido mucho, dejando de lado las caras avinagradas…
Desde la Isla de Patmos, 5 de enero de 2025
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I Padri dell’Isola di Patmos
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https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2019/01/padre-Aiel-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Arielhttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Ariel2025-01-05 20:00:162025-01-15 11:07:38Il problema è che il Santo Padre è privo di protezioni a tutela delle sue stesse espressioni infelici
(English text after the Italian / texto español posterior al engles)
IL TERZO GIORNO DEL NUOVO ANNO SI RICORDA LA MEMORIA DEL SANTISSIMO NOME DI GESÚ, DINANZI AL QUALE OGNI GINOCCHIO SI PIEGHI
La salvezza, quella vera che recupera l’uomo, non si trova negli inciuci politici o ecclesiastici, nei discorsi di fine d’anno dei potenti del mondo o nei loro gesti scenografici e demagogici di pauperismo e misericordismo, spesso così vuoti e artificiosamente prodotti dai sofismi della furberia umana.
— Le brevi dei Padri de L’Isola di Patmos —
Autore Ivano Liguori, Ofm.Cap.
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Il calendario liturgico proprio della famiglia francescana propone ogni nuovo anno, nel terzo giorno del mese di gennaio, la memoria del Santissimo Nome di Gesù.
Storicamente sappiamo che fu Papa Clemente VII nel 1530 ad autorizzare, per tutto l’Ordine Francescano, la recita dell’Ufficio del Santissimo Nome di Gesù. Questo grazie soprattutto a una particolare devozione al Santo Nome che divenne prerogativa dell’Ordine francescano – ahimè molto prima delli boni gesuiti – ma anche soprattutto grazie all’apostolato e allo zelo di San Bernardino da Siena e dai beati confratelli Alberto da Sarteáno e Bernardino da Feltre.
La pratica e la devozione del Santissimo Nome di Gesù si diffuse molto rapidamente e con tanto slancio e fervore che ben presto venne istituita una festa liturgica propria. Lo Spirito Santo che lavorò misteriosamente nel cuore dei miei antichi confratelli, padri del nostro beneamato Ordine, realizzò pastoralmente quello che il beato apostolo Paolo scrisse nella sua Lettera ai Filippesi (cf. Fil 2,10-11):
«perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre».
Ricordare questa verità dogmatica, liturgica e pastorale sul Santissimo Nome di Gesù è particolarmente significativa all’inizio di ogni nuovo anno, tenuto conto che il 2025 è anche un anno giubilare. Nella vita di un cristiano tutto dovrebbe essere centrato e orientato su Gesù, il cui nome significa «Il Signore salva». È quanto mai necessario ribadire che nella vita dell’uomo – non importa se credente o meno – tutto chiede salvezza, ogni dimensione del suo essere e del suo esistere chiama quotidianamente a una salvezza olistica di tutto l’intero dell’umano. E la salvezza, quella vera che recupera l’uomo, non si trova negli inciuci politici o ecclesiastici, nei discorsi di fine d’anno dei potenti del mondo o nei loro gesti scenografici e demagogici di pauperismo e misericordismo, spesso così vuoti e artificiosamente prodotti dai sofismi della furberia umana. La salvezza che recupera e redime non è neanche quella di un clericalismo del compromesso o di un giubileo senza la verità della colpa e la certezza di una redenzione che invita alla conversione.
Davanti al Santissimo Nome di Gesù possiamo solo piegare ogni ginocchio, con la speranza che dopo di quello anche il cuore, la mente e tutto l’uomo si pieghi alla signoria di Gesù Cristo, l’unica che è in grado di chiedere e donare la salvezza piena e duratura.
Buon anno.
Sanluri, 2 gennaio 2025.
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ON THE THIRD DAY OF THE NEW YEAR WE REMEMBER THE HOLY NAME OF JESUS, BEFORE WHICH EVERY KNEE GENUFLECTS
And salvation, the true one that recovers man, is not found in political or ecclesiastical intrigues, in the end-of-year speeches of the world’s powerful or in their scenographic and demagogic gestures of pauperism and false mercy, often so empty and artificially produced from the sophisms of human cunning.
— The short articles by Fathers the Patmos Island —
Author Ivano Liguori, Ofm.Cap.
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The liturgical calendar of the Franciscan family proposes every new year, on the third day of January, the memory of the Most Holy Name of Jesus.
Historically we know that it was the Holy Father Clement VII in 1530 who authorized, for the entire Franciscan Order, the recitation of the Office of the Most Holy Name of Jesus. This is thanks above all to a particular devotion to the Holy Name which became the prerogative of the Franciscan order ― alas long before the good Jesuits ― but also all thanks to the apostolate and zeal of Saint Bernardino of Siena, the Blesseds Albert from Sarteáno and Bernardino from Feltre.
The pious practice and devotion to the Most Holy Name of Jesus spread rapidly and with enthusiasm and fervor that a liturgical feast of its own was soon established. The Holy Spirit who worked mysteriously in the hearts of my ancient brothers, fathers of our beloved Order, realized pastorally what the Blessed Apostle Paul wrote in his Letter to the Philippians (cf. Phil 2,10-11):
«So that at the name of Jesus every knee should bow, in heaven, on earth and under the earth; and let every tongue proclaim that Jesus Christ is Lord, to the glory of God the Father».
Remembering this dogmatic, liturgical and pastoral truth about the Most Holy Name of Jesus is particularly significant at the beginning of each new year, taking into account that 2025 is also a Jubilee year. In the life of a Christian everything should be centered and oriented on Jesus, whose name means “The Lord saves”. It is more necessary than ever to reiterate that in the life of man ― no matter whether he is a believer or not ― everything asks for salvation, every dimension of his being and existence calls daily to a holistic salvation of the entire human being.
And salvation, the true one that recovers man, is not found in political or ecclesiastical intrigues, in the end-of-year speeches of the world’s powerful or in their scenographic and demagogic gestures of pauperism and false mercy, often so empty and artificially produced from the sophisms of human cunning. The salvation that recovers and redeems is not even that of a clericalism of compromise or of a jubilee without the truth of guilt and the certainty of a redemption that invites conversion.
Before the Most Holy Name of Jesus we can only bend every knee, with the hope that after that also the heart, the mind and the whole man will bend to the lordship of Jesus Christ, the only one who is able to ask and give the full and lasting salvation.
Happy New Year.
Sanluri, 2 January 2025
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EN EL TERCER DÍA DEL AÑO NUEVO RECORDAMOS LA MEMORIA DEL SANTO NOMBRE DE JESÚS, ANTE EL CUAL TODA RODILLA SE DOBLA
La verdadera salvación que recupera al hombre, no se encuentra en las intrigas políticas o eclesiásticas, en los discursos de fin de año de los poderosos del mundo o en sus gestos escenográficos y demagógicos de pauperismo y falsa misericordia, a menudo tan vacíos y artificialmente producidos por los sofismas de la astucia humana.
— Artículos breves de los Padres de la Isla de Patmos —
Autor Ivano Liguori, Ofm.Cap.
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El calendario litúrgico propio de la familia franciscana propone cada nuevo año, el tercer día de enero, la memoria del Santísimo Nombre de Jesús.
Históricamente sabemos que fue el Santo Padre Clemente VII, en 1530, quien autorizó el rezo del Oficio del Santísimo Nombre de Jesús para toda la Orden Franciscana. Esto se debió principalmente a una particular devoción al Santo Nombre que se convirtió en prerrogativa de la Orden Franciscana — por desgracia, mucho antes que los Jesuitas buenos —, pero sobre todo, gracias al apostolado y al celo de San Bernardino de Siena y de los Beatos cohermanos Alberto de Sarteáno y Bernardino de Feltre.
La práctica y devoción del Santísimo Nombre de Jesús se extendió muy rápidamente con tal ímpetu y fervor que pronto se estableció una fiesta litúrgica propia. El Espíritu Santo, que obró misteriosamente en el corazón de mis antiguos cohermanos, los padres de nuestra querida Orden, cumplió pastoralmente lo que el bienaventurado Apóstol Pablo escribió en su Carta a los Filipenses (cf. Flp 2, 10-11)
«que al nombre de Jesús se doble toda rodilla en el cielo, en la tierra y debajo de la tierra; y toda lengua proclame que Jesucristo es el Señor, para gloria de Dios Padre».
Recordar esta verdad dogmática, litúrgica y pastoral sobre el Santísimo Nombre de Jesús es particularmente significativo al comienzo de cada nuevo año, teniendo en cuenta que el 2025 es también año jubilar. En la vida del cristiano todo debe estar centrado y orientado en Jesús, cuyo nombre significa «El Señor salva». Es tan necesario como siempre reiterar que en la vida del hombre — sea creyente o no — todo reclama salvación, cada dimensión de su ser y de su existencia reclama diariamente una salvación integral de todo el ser humano. Y la salvación, la verdadera salvación que recupera al hombre, no se encuentra en las intrigas políticas o eclesiásticas, en los discursos de fin de año de los poderosos del mundo o en sus gestos escenográficos y demagógicos de pauperismo y falsa misericordia, a menudo tan vacíos y artificialmente producidos por los sofismas de la astucia humana. Tampoco la salvación que recupera y redime es la de un clericalismo de compromiso o la de un jubileo sin la verdad de la culpa y la certeza de una redención que invita a la conversión.
Ante el Santísimo Nombre de Jesús sólo cabe doblar toda rodilla, con la esperanza de que después se doble también el corazón, la mente y el hombre entero ante el señorío de Jesucristo, el único capaz de pedir y dar la salvación plena y duradera.
Feliz Año Nuevo.
Sanluri, 2 de Enero 2025
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