«Volete andarvene anche voi?». Tra eutanasia e influencer, pensieri sparsi intorno alla charis, alla teologia della povertà e all’obbedienza della fede che edifica la Chiesa

— meditazioni sull’attualità ecclesiale —

«VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI?». TRA EUTANASIA E INFLUENCER, PENSIERI SPARSI INTORNO ALLA CHARIS, ALLA TEOLOGIA DELLA POVERTÀ E ALL’OBBEDIENZA DELLA FEDE CHE EDIFICA LA CHIESA

È evidente che se io distribuisco solo il cibo terreno, forse riuscirò a riempire lo stomaco del povero, ma lascerò vuoto il suo cuore e la sua anima. Se penso alla sola dimensione orizzontale trascurando quella verticale, rischio di creare pericolosi paradisi artificiali che trovano in alcune idee sociali ― pensiamo al reddito di cittadinanza ― la pretesa demagogica di risolvere bene tutti i problemi e di accontentare tutti.  

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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https://www.youtube.com/watch?v=zv4baUewvH8

… i moderni uomini di scienza preposti a indirizzare le altrui coscienze

Nella domenica appena trascorsa commentavo nell’omelia un bellissimo brano del Santo Vangelo [cfr. Gv 6, 60-69]. Come normalmente faccio ad ogni celebrazione domenicale, inquadro la pericope evangelica non solo da un punto di vista esegetico ma soprattutto ecclesiologico e pastorale, lasciando che la lettura cursiva del Vangelo domenicale parli ai fedeli con la forza e l’incisività della spada [Cfr. Eb 4, 12], evitando al contempo una lettura troppo tecnicistica del testo che solo in pochissimi sarebbero in grado di recepire.

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Il Vangelo di Giovanni della domenica appena trascorsa appare come la conclusione del lungo discorso sul Pane di Vita in cui Cristo mostra con chiarezza e in modo definitivo la verità su sé stesso. È di fatto una grande teofania in chiave eucaristica, in cui a partire dal segno del pane condiviso Gesù si presenta come la vera manna celeste che dal cielo si incarna nell’umana esistenza. Egli nato a Betlemme, in quel luogo che significa Casa del Pane, sfama l’uomo mortale nel suo cammino di ricerca del Dio absconditus, facendosi egli stesso pane.

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Un momento rivelativo dell’identità di Cristo, che, come ho detto, è preceduto dal necessario segno della moltiplicazione (condivisione) dei pani [Cfr. Gv 6, 1-15]. Tale segno è fondamentale per comprendere che Gesù è realmente il vero Signore che nutre il suo popolo nel pellegrinaggio terreno e non uno dei tanti potenti della terra che cerca un tornaconto personale di gloria [Cfr. Gv 6, 15]. Egli guida il nuovo popolo dell’Alleanza non più dall’Egitto alla Terra Promessa ma dal peccato alla nuova alleanza nel suo sangue che si realizza attraverso gli avvenimenti pasquali.

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Ecco perché il segno eucaristico del pane condiviso diventa essenziale per intendere la pedagogia divina e il modo con cui Dio opera la salvezza. Gesù, sebbene sia il Signore e il Maestro [Cfr. Gv 13, 14], mai si priva della collaborazione dell’uomo interpellandolo costantemente all’interno di un dialogo salvifico in cui la creatura offre al Creatore la propria pochezza frutto del suo lavoro affinché questa in Dio si moltiplichi e divenga segno pasquale di salvezza per altri fratelli dentro una logica di servizio caritatevole.

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Motivo per cui la diaconia della Charis nella Chiesa è principalmente mistero trinitario che ci permette di contemplare l’Amante, colui che è Amato e l’Amore per usare le parole di S. Agostino riferite al mistero di Dio Trinità. Ma nello stesso tempo è mistero soteriologico, in quanto la Charis è il disegno divino che ha assunto la sua forma in Gesù Cristo Salvatore e che trova la sua genesi nella Trinità come storia eterna d’amore per l’uomo (Cfr. M. Rinaldi, Dal welfare state alla welfare society. Teologia sociale e azione pastorale di Caritas italiana, Effatà, 2006, p.70].

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Da queste necessarie prerogative teologiche, capiamo come l’esercizio della Charis, non può assolutamente configurarsi come servizio umanitario o sentimentale filantropismo. Anche quando è l’uomo a operare la Charis verso un suo simile possiamo ugualmente scorgere la relazione agostiniana tripartita di Amante, Amato e Amore. L’amante è colui che agisce spinto dal Padre verso l’amato in cui si identifica il Figlio, dentro la dinamica amorosa dello Spirito Santo.

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La Charis cristiana è necessaria perché è la ratio con cui dal corpo dell’uomo si giunge alla sua anima affinché anima e corpo insieme si salvino in quell’armoniosa unità antropologica che vediamo professare ogni domenica nel Credo quando diciamo: «aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà». Cioè, aspetto la risurrezione dell’uomo nella sua totalità non solo di una sua parte. Cosa che già vediamo realizzata in Maria Santissima assunta in cielo in anima e corpo.

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Per questo motivo, se è vero che il povero ha l’esigenza di essere sfamato sulla terra, tale esigenza non può far cadere il credente nella pretestuosa utopia che pretende di sconfiggere una volta per tutte le povertà; pareggiare le scandalose disparità sociali; debellare le implacabili malattie; pacificare i popoli con una accoglienza indiscriminata; scongiurare l’ignoranza dei piccoli con verità parziali. piccoli con verità parziali.

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Anche se oggi siamo abituati a slogan populisti del tipo «nessuno resterà indietro» che abbondantemente ritroviamo sulla bocca dei politici così come dei prelati. Dobbiamo avere il coraggio di affermare che tutto questo è solo un miraggio di salvezza auto-costruita le cui conseguenze culturali e sociali sono ben note ed evidenti a tutti, specie in un periodo come quello che stiamo attraversando gravato dalla pandemia.  

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A questo proposito basterebbe richiamare alla mente le parole di Gesù che ci ammonisce: «I poveri li avete sempre con voi, ma non sempre avete me» [Mt 26, 11] espressione che orienta certamente verso un’opzione preferenziale per i poveri ma, molto di più, definisce una ben chiara gerarchia valoriale che ci porta a capire che senza di Lui, vero Dio e vero uomo, siamo troppo poveri per aiutare i poveri e incapaci di offrire una salvezza definitiva. E questa verità oggi appare piuttosto fastidiosa e mal digerita dal narcisismo umano che vuole operare senza Dio, anche quando ha la pretesa di compiere il bene.

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Questo discorso ci permette di formulare una corretta impostazione teologica della povertà che non ha nulla a che fare con il pauperismo rivoluzionario tanto caro a un certo pensiero di sinistra o accostabile alle rivendicazioni social popolari dei regimi di liberazione sudamericani, né a quel pauperismo pretestuoso di cui parlava lo stesso Giuda Iscariota, a proposito del quale rimandiamo alla nostra video lezione: L’oro dei Magi e il falso amore per i poveri di Giuda Iscariota.

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Tanto meno lo possiamo accostare agli spropositi social dei vari influencer che arringano il popolo dei followers mantenendo un tenore di vita che è lontano anni luce dalla sobrietà evangelica e che non si avvicina minimamente a quella dignitosa povertà del lavoratore o del pensionato medio italiano.

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Se vogliamo dirla tutta, questa impostazione teologica non ha nulla a che fare neanche con i vari modelli che si impongono all’opinione pubblica e che vedono, nei vari salvatori del popolo, messi bene in primo piano dal mainstream, l’inizio di un nuovo rinascimento e umanesimo laico. Perché resta evidente, in tutto questo ragionamento teologico, l’innesto con la Cristologia più pura in cui la kenosis del Verbo costituisce la spogliazione visibile e più eloquente attraverso la quale possiamo trovare «quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci mediante la sua povertà» [Cfr. 2Cor 8, 9; Benedetto XVI, Discorso alla Sessione inaugurale della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, 13 maggio 2007, 3: AAS 99 (2007), 450]. Se Cristo si spoglia della sua uguaglianza con Dio per salvarmi, io per accettare questa salvezza non posso che fare altrettanto, così come ebbe modo di fare Francesco d’Assisi davanti al vescovo [Cfr. Fonti Francescane n° 1043].

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A qualunque povero e davanti a qualsivoglia povertà, più che ancora del cibo che perisce, deve essere garantito il cibo che non perisce ma che dura per la vita eterna [Cfr. Gv 6, 22-29]. Questo non significa prestare il fianco al facile proselitismo integralista, tutt’altro, è annuncio missionario di salvezza che chiama all’azione ogni uomo di buona volontà, sia esso laico o consacrato, per annunciare tutto quello che Cristo ci ha detto e comandato [Cfr. Mt 28, 20]. Predicare Cristo non è un vanto, nemmeno un dovere ma una necessità improrogabile [Cfr. 1Cor 9, 16].

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È evidente che se io distribuisco solo il cibo terreno, forse riuscirò a riempire lo stomaco del povero, ma lascerò vuoto il suo cuore e la sua anima. Se penso alla sola dimensione orizzontale trascurando quella verticale, rischio di creare pericolosi paradisi artificiali che trovano in alcune idee sociali ― pensiamo al reddito di cittadinanza ― la pretesa demagogica di risolvere bene tutti i problemi e di accontentare tutti.   

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«Datevi da fare» [cfr. Gv 6, 27] dice Gesù, ma per farlo è necessario uscire in missione con la sua autorevolezza, sull’esempio di quei settantadue discepoli che, investiti di ogni potere, tornarono a casa pieni di gioia [cfr. Lc 10, 17] avendo constatato con mano che quando la rivelazione di Cristo raggiunge i più poveri e i più piccoli [cfr. Lc 10, 21] si instaura con potenza il Regno dei cieli.  «Datevi da fare» dice ancora Gesù, ma solo dopo aver operato una scelta decisiva e privilegiata che dia a Cristo il primato sulla nostra vita.  Gesù è il punto di rottura tra la Verità di Dio e l’illusione della verità del mondo e chi non conosce e riconosce questa Verità è destinato allo scandalo, alla confusione, alla fuga anche all’interno dalle comunità dei credenti in cui si può stare solo e soltanto seguendo le esigenze che Cristo detta.

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Ecco perché appare urgente e necessario riflettere come Chiesa su quella domanda che Cristo pone ai suoi discepoli e operare un sereno discernimento. «Volete andarvene anche voi?» [Cfr. Gv 6, 67], domanda che suona come un monito all’obbedienza della fede che non può trovare sostituti o surrogati in altre persone o ideali.

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Quanti cristiani battezzati oggi hanno il pensiero di Cristo e della Chiesa e professano un’obbedienza filiale? Pochi, anzi pochissimi. Vanno di moda i preti sindacalisti, psicologi e assistenti sociali. I cardinali elettricisti e LGBT friendly, i laici intenti nelle rivendicazioni sociali, i gruppi ecclesiali con la tessera di partito, quelli che fanno le battaglie sui social per l’amore libero e tollerante, per l’umanissima e liberante eutanasia. Quelli che ancora, dopo la caduta del Muro di Berlino, orfani del Sol dell’avvenire, sono rientrati in casa cattolica dalla finestra e ora sono additati come cristiani adulti e docenti. Infine, ci sono quelli che in nome della tradizione, forti della Messa di sempre e del latinorum, agghindati con veli di trina, pizzi e merletti sarebbero pronti anche a destituire un Papa in nome della loro fedeltà alla Chiesa. Insomma, una situazione difficilmente gestibile che molti parroci conoscono ma che non riescono a contrastare e bonificare perché il Vaffa-day non è solo prerogativa delle piazze grilline ma anche di quelle cattoliche che alla prima occasione mandano a quel paese il sacerdote, reo di avere tentato di annunciare la dura parola di Cristo che rifiuta i compromessi e impone una scelta.

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È triste dirlo ma questo genere di cattolici mai lascerà il passo a Cristo e alla sua Chiesa perché impossibilitati a professare le parole del beato apostolo Pietro «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» [Cfr. Gv 6, 68-69]. Molto meglio sarebbe per loro riconoscere i palpiti del cuore e dirigersi là, dove questo li conduce, lasciando in buon ordine la Chiesa e il Vangelo a favore di coloro che desiderano realmente conoscere e credere in Gesù ma che ne sono impediti da questi tristi figuri.

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Infatti, se da cristiani il principio per fare discernimento non è Cristo ma il principio parlamentare della maggioranza mai si instaurerà il Regno dei cieli. Se le istanze del mondo sono più appetibili di quelle del Vangelo mai si comprenderà il valore dell’obbedienza e della fede. E ancora, se la parola del Magistero è decisamente meno influente di quella dei vari Ferragnez, Saviano, Fazio, Zan e dei vari guru che giornalmente ci compaiono davanti vana è la speranza di aspettarsi un laicato serio che sappia entrare nelle pieghe del mondo annunciando la novità della Parola.

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Laconi, 28 agosto 2021

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IL sussurro delle vergini vilipese che scansano il moscerino e ingoiano il cammello. Il rabbino israeliano Rasson Arousi accusa il Sommo Pontefice di avere pronunciato frasi dispregiative sulla Torah

—  Attualità ecclesiale —

IL SUSSURRO DELLE VERGINI VILIPESE CHE SCANSANO IL MOSCERINO E INGOIANO IL CAMMELLO. IL RABBINO ISRAELIANO RASSON AROUSI ACCUSA IL SOMMO PONTEFICE DI AVERE PRONUNCIATO FRASI DISPREGIATIVE SULLA TORAH

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Questa garbata nota di protesta del Rabbino Rasson Arousi ci riporta ai tempi e alle situazioni nelle quali Cristo Dio tuonava: «Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!» (Mt 23, 24). Mentre sui testi talmudici si rivendica il “sacro” diritto a oltraggiare nei peggiori modi Gesù Cristo, la Vergine Maria e la Cristianità.

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l’opera di Ariel S. Levi di Gualdo, Erbe Amare – Il secolo del Sionismo, Iª edizione Roma 2006, ristampa Roma 2021 a cura delle Edizioni L’Isola di Patmos

Su certe tematiche ho scritto un corposo saggio nel 2006 che mi impegnò per cinque anni di ricerche meticolose e approfondite. Mi riferisco al mio libro Erbe Amare – Il secolo del Sionismo, edito in ristampa dalle Edizioni L’Isola di Patmos nel 2021.

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Veniamo al fatto di attualità: alcune autorità religiose ebraiche del divin-sionistico e paradisiaco Stato d’Israele hanno lamentato che il Sommo Pontefice, nella meditazione durante l’udienza dell’11 agosto, avrebbe espresso un invito a superare la Legge ebraica giudicandola obsoleta. Si tratta di una interpretazione ardita delle vergini vilipese che ha quasi il sapore del processo alle intenzioni.

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Il comitato verginale ebraico ha scritto al Cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani e responsabile della Commissione per i Rapporti religiosi con l’Ebraismo. Nella sua lettera, il Rabbino Rasson Arousi, Presidente della Commissione del Gran Rabbinato d’Israele per il Dialogo con la Commissione cattolica preposta al dialogo con l’Ebraismo, esprime preoccupazione per le parole del Sommo Pontefice, che a suo dire avrebbe presentato la fede cristiana come un superamento della Torah, sostenendo che quest’ultima «non dà più vita, e ciò implica che la pratica religiosa ebraica nell’era attuale è obsoleta».

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Cosa ha espresso veramente il Sommo Pontefice? Di fatto sarebbe “colpevole” d’aver commentato in questi termini la Lettera ai Galati del Beato Apostolo Paolo:

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«[…] l’Apostolo spiega ai Galati che, in realtà, l’Alleanza con Dio e la Legge mosaica non sono legate in maniera indissolubile e la Legge non è alla base dell’Alleanza perché è giunta successivamente, era necessaria e giusta ma prima c’era la promessa, l’Alleanza. Sono fuori gioco quanti sostengono che la Legge mosaica sia parte costitutiva dell’Alleanza. No, l’Alleanza è prima, è la chiamata ad Abramo. La Torah, La legge in effetti, non è inclusa nella promessa fatta ad Abramo. Non si deve però pensare che san Paolo fosse contrario alla Legge mosaica. No, la osservava. Più volte, nelle sue Lettere, ne difende l’origine divina e sostiene che essa possiede un ruolo ben preciso nella storia della salvezza. La Legge però non dà la vita, non offre il compimento della promessa, perché non è nella condizione di poterla realizzare. È un cammino che ti porta avanti verso l’incontro» [Testo integrale della catechesi].

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Se sulle parole di questa esegesi impeccabile le vergini si sono sentite violate, è solo perché non conoscono i Santi Vangeli e non intendono conoscerli e studiarli, bensì solo usarli nelle loro yeshivot ortodosse (scuole rabbiniche) per rivolgere ogni genere di insolenza al Cristianesimo e a quel grande ממזר (mamazer, bastardo) di Gesù di Nazareth, nato da una prostituta che se l’era spassata con un soldato romano. Perché questo è ciò che insegnano le vergini vilipese nelle scuole rabbiniche della rigida ortodossia, in particolare in quelle delle comunità dei Kassidim (cfr. Kallah, 1b-18b, Sanhedrin 67a, Chagigah 4b, Beth Jacobh, fol 127, Sanhedrin 103a, Sanhedrin 107b.).

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Come spiego nel mio saggio, l’Ebraismo, come l’Islam, non sono dei fenomeni unitari ma estremamente frammentati, composti da comunità e scuole di pensiero in perenne lotta tra di loro. Basti dire che alcune comunità ortodosse non consumano i cibi dichiarati כַּשְׁר (kasher, consentiti, puri) dai rabbini ortodossi di altre comunità, o le carni degli animali macellati secondo la שחיטה (Shecḥitah) la macellazione degli animali le cui carni sono consentite.

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Quando certi soloni romantici della Santa Sede mi hanno detto «abbiamo dialogato con l’Ebraismo». Per tutta risposta ho sempre chiesto: «Con quale tra i tanti ebraismi del mondo pensate di avere dialogato? Perché si va dagli ortodossi divisi in sette agli ultra-ortodossi più divisi ancora al loro interno; dalle comunità conservative a quelle riformate, dagli ebrei liberal agli ebrei ultra-liberal che hanno rabbine lesbiche che uniscono in matrimonio coppie gay. Quindi, con quale Ebraismo pensate di avere dialogato?». Perché questo è il punto: certi cattolici, soprattutto ecclesiastici e biblisti onorici, ormai ubriachi di non meglio precisati dialoghi, pronti a dialogare con tutto fuorché con ciò che è cattolico, perdono da sempre di vista che l’Ebraismo non ha una autorità centrale e una interpretazione univoca della Torah e del Talmud.

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Chiarito il tutto è presto detto: i giornali che oggi titolano che il mondo ebraico ha sollevato una protesta, forse pensano che il papato ebraico con sede nel divin-sionistico e paradisiaco Stato d’Israele abbia fatto sentire la propria voce? In verità si è levata solo la voce di un rabbino che rappresenta la propria setta facente parte della variegata galassia del frammentato e litigioso mondo ebraico. Volete una prova di tutto questo, legata proprio al divin-sionistico e paradisiaco Stato d’Israele? Presto detto: ci sono sette ebraiche legate perlopiù all’ortodossia più rigida che questo Stato non lo riconoscono, ma considerano la sua fondazione una autentica blasfemia. Tra i diversi di questi gruppi cassidici noti come haredim, i più accaniti sono i נטורי קרתא (Neturei Karta), che pur vivendo al suo interno e beneficiando di tutte le prebende che la legislazione di quel Paese riconosce ai religiosi, inclusa l’esenzione dal servizio militare obbligatorio, non ne riconoscono in alcun modo la legittimità e l’esistenza.

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Speriamo che il Cardinale Kurt Koch non sortisca fuori, per tutta risposta, con un messaggio improntato sulle scuse, perché se lo facesse offenderebbe i cattolici, quindi noi presbiteri e studiosi che abbiamo dedicata la nostra esistenza allo studio per istruire, formare e illuminare il Popolo di Dio sempre più allo sbando.

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La garbata nota di protesta del Rabbino Rasson Arousi ci riporta ai tempi e alle situazioni nelle quali Cristo Dio tuonava:

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«Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!» (Mt 23, 24).

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Proviamo adesso ad accennare a qualche cammello, perché, a parte Gesù Cristo presentato nel libello delle Toledot Yeshu come un bastardo nato dall’atto impuro di una prostituta, la figura del nostro Divino Redentore è variamente vilipesa in vari passi del Talmud Babilonese, con le vergini illibate vilipese che certe pagine le insegnano nelle Scuole rabbiniche ortodosse a sommo spregio della Cristianità. Ma c’è di più: dopo che nei secoli passati il Talmud fu dato varie volte alle fiamme per certi suoi contenuti blasfemi, i Rabbini purgarono nelle successive edizioni certe espressioni rendendole vaghe e rimandando le spiegazioni dettagliate all’insegnamento dato a voce. Poco dopo la nascita del divin-sionistico e paradisiaco Stato d’Israele, quelle espressioni blasfeme furono tutte ripristinate nella forma originaria e tutt’oggi sono fonte di insegnamento e trasmissione da parte delle principali scuole dell’ortodossia ebraica. A tal proposito, il Rabbino Rasson Arousi ha da dirci e spiegarci niente, mentre è intento a gemere per l’oltraggio alla verginità?

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Le vergini vilipese romane ― per passare a un altro cammello, tutto nostro, nostrano ― che tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del Duemila dirigevano il mensile ebraico Shalom della Comunità Ebraica di Roma, hanno massacrato in modo metodico e continuato nel tempo la figura del Sommo Pontefice Pio XII (cfr. Erbe Amare – Il secolo del Sionismo, cit. pag. 279-365), pubblicando e diffondendo falsi storici a tal punto grotteschi che diversi storici ebrei di chiara fama e reputazione scientifica intervennero da varie parti del mondo, per prendere le distanze da certe notizie nate da pura e umorale invenzione, o meglio: da palese odio verso la Cristianità. In Italia, tra i vari ebrei che intervennero a difesa della figura di Pio XII, basti menzionare Paolo Mieli, che senza esitare dichiarò: «I miei morti non li metto in conto a un non colpevole» (cfr. «In difesa di Pio XII – Le ragioni della storia», L’Osservatore Romano, edizione del 14 giugno 2009).

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Passiamo a un altro cammello partorito e poi ingoiato dalle vergini vilipese: nel 2007, S.E. Mons. Antonio Franco, Nunzio Apostolico nello Stato d’Israele, annunciò con un comunicato ufficiale che «non avrebbe partecipato a una celebrazione sulla Shoah presso il Museo Yad Vashem dove si trova collocata una foto di Pio XII con una didascalia che lo colloca tra i principali Capi di Stato razzisti» (Cfr. Erbe Amare – Il secolo del Sionismo, cit. pag. 359).

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In conclusione affermo, in scienza e coscienza, che il Rabbino Rasson Arousi è semplicemente un ignorante nel senso etimologico del termine, vale a dire: ignora e, forse, intende anche ignorare l’intera letteratura evangelica, tanto pare impegnato a filtrare il moscerino e ingoiare il cammello. La risposta alle sue risibili proteste è infatti racchiusa nel passo del Santo Vangelo dove Cristo Dio afferma:

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«Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento» (Mt 5, 17).

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Questo è esattamente ciò che il Sommo Pontefice ha ricordato facendo l’esegesi di un’epistola paolina.

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Solo un ignorante arrogante può vergare note di protesta considerandoci colpevoli di credere per fede che Cristo verbo di Dio incarnato nel ventre della Beata Vergine Maria, morto e risorto il terzo giorno, asceso al cielo e assiso oggi alla destra del Padre, sia per noi il compimento, sia per noi l’inizio, il centro e il fine ultimo escatologico del nostro intero umanesimo. La nostra fede in Cristo non può costituire un insulto per gli ebrei permalosi, specie per coloro che nella loro letteratura e nei loro insegnamenti dissacrano la Cristianità in ogni modo e in ogni forma.

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A chiunque voglia approfondire questo complesso discorso rimando alla mia opera Erbe Amare – Il secolo del Sionismo.

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dall’Isola di Patmos, 27 agosto 2021

 

 

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Da Gino Strada all’insidiosa e nebulosa strada di Karl Rahner circa la teoria dei “cristiani anonimi”

— attualità ecclesiale —

DA GINO STRADA ALL’INSIDIOSA E NEBULOSA STRADA DI KARL RAHNER CIRCA LA TEORIA DEI “CRISTIANI ANONIMI”

il concetto dei “cristiani anonimi” è fallimentare e può servire da alibi, vale a dire come una coperta calda, ma a nulla più. Rivedrei invece piuttosto, come degno di approfondimento teologico il concetto di San Giustino del Lógos spermatikòs, i semi di verità che è possibile trovare anche in altre religioni e culture ma che hanno sempre nel Cristo la ragion d’essere e preparano a un cammino di conoscenza di Lui nella fede.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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beatificazione emotiva a “cadavere caldo”

Capita a volte che siano i nostri stessi Lettori a ispirarci articoli attraverso le loro domande. Così è accaduto di recente attraverso il quesito postato da un Lettore all’articolo che ho dedicato alla morte del Dottor Gino Strada.

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Gentili Padri.

Pur ammettendo di non conoscere per intero le vicende e la storia di Gino Strada, volevo chiedere: egli non potrebbe rientrare in quella schiera di “cristiani anonimi” teorizzati da Karl Rahner? Detta in altri termini, il famoso brano evangelico del «avevo fame, e mi avete dato da mangiare». Presuppone che chi dia da mangiare, da bere, etc. debba per forza avere la fede in Cristo? Capisco che è una questione complessa e discussa, tuttavia, a mio modesto parere, l’intuizione di Rahner sui cristiani anonimi non è del tutto da rigettare. Altrimenti si dovrebbe concludere che fare il bene, compiere il bene, sia esclusivo appannaggio dei credenti, ma sappiamo tutti che non è così. Conosco credenti (per lo meno, così si definiscono) tutti rosari e Sante Messe, ma totalmente privi di carità fraterna. Per citare il Vangelo: «non chi dice: Signore! Signore! Entrerà nel Regno dei Cieli».

Andrea

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Questa domanda mi offre la possibilità di chiarire ancor meglio la questione. Anzitutto il “cristianesimo anonimo” è una teorizzazione di Karl Rahner a un concetto di grazia che pericolosamente si avvicina al relativismo. È una convinzione che può far credere che in ogni esperienza spirituale, ogni sussulto di emotività, ogni azione filantropica, ogni esperienza religiosa si nasconda un marchio di cristianità e di salvezza. Nell’esperienza pastorale che noi sacerdoti vediamo quotidianamente, questo concetto si può tradurre così:

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«Anche se non vado a Messa, non mi confesso, non prego, è sufficiente fare qualche opera buona e non odiare nessuno per essere apposto».

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Oppure, per quelli dichiaratamente atei, non credenti o semplicemente confusi la questione suona così:

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«Faccio più bene io di tanti cristiani che giudicano […] non serve essere cristiani per amare il prossimo e fare il bene […] io rispetto tutti, tollero tutti, sono per l’amore per tutti e sono più cristiano io di quelli che mangiano ostie».

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Al centro di questo modo di ragionare sta un concetto intimistico di fede, che ama ma senza compromettersi, crede ma senza schierarsi, agisce ma senza prendere posizione. Nel Santo Vangelo, invece, troviamo queste parole:

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«L’opera di Dio è questa: che crediate in colui che egli ha mandato» [Cfr. Gv 6, 29].

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Questa è una posizione ben diversa che ti porta a dare a Cristo il primato su tutta la tua esistenza e riconoscerlo come unico Salvatore [Cfr. Dichiarazione Dominus Iesus], come inizio, centro e fine ultimo del nostro intero umanesimo, non certo uno tra i tanti messo nella vetrina degli dèi delle varie credenze, perché Cristo è la totalità, l’unica via, verità e vita [Cfr. Gv 14, 6]. Credere e accettare Cristo significa anche agire come egli ha agito come vediamo nell’amore verso il nemico fino al dono totale della propria persona. Il Beato apostolo Paolo dice nella Lettera ai Romani che:

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«[…] mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi» [Cfr. Rm 5,8].

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Parole che equivalgono a dire: Cristo mi ha amato quando ancora ero, non amabile ma empio, separato da Dio. Il banco di prova, è proprio questo, è l’amore al nemico che mi porta a sacrificare la vita. E sia chiaro, questa è una cosa che si può fare solo sotto la grazia dello Spirito Santo e con un cuore libero e disinteressato.

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A parer mio il concetto dei “cristiani anonimi” è fallimentare e può servire da alibi, vale a dire come una coperta calda, ma a nulla più. Rivedrei invece piuttosto, come degno di approfondimento teologico il concetto di San Giustino del Lógos spermatikòs, i semi di verità che è possibile trovare anche in altre religioni e culture ma che hanno sempre nel Cristo la ragion d’essere e preparano a un cammino di conoscenza di Lui nella fede.

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Molto chiara su questo tema la costituzione pastorale del Concilio Vaticano II:

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«[…] l’azione salvifica di Gesù Cristo, con e per il suo Spirito, si estende, oltre i confini visibili della Chiesa, a tutta l’umanità. Parlando del mistero pasquale, nel quale Cristo già ora associa a sé vitalmente nello Spirito il credente e gli dona la speranza della risurrezione, il Concilio afferma: «E ciò non vale solamente per i cristiani ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo infatti è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale» [Cfr. Gaudium et spes, n. 22].

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La Dichiarazione Nostra Aetate, a proposito delle religioni non cristiane afferma:

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«La Chiesa Cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini. Tuttavia essa annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è “via, verità e vita” [Gv 14,6], in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose [Cfr. 2 Cor 5,18-19].

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Benché questo testo sia chiaro, all’interno del mondo cattolico ci sono purtroppo alcune frange che accusano il Concilio stesso di avere «aperto al relativismo» (!?). A questi custodi di una non meglio precisata “tradizione”, basterebbe ricordare che cosa scriveva, un secolo avanti, un Sommo Pontefice al di sopra di ogni possibile sospetto, per l’esattezza il Beato Pio IX:

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«A voi è assai noto che quelli i quali per ignoranza invincibile non conoscono la nostra religione, ma conoscono la legge naturale e i suoi precetti da Dio scolpiti nei cuori di tutti e sono disposti ad ubbidire a Dio e conducono una vita onesta, questi con l’aiuto della luce e della grazia divina possono conseguire la vita eterna; perché Dio, il quale vede, scruta e conosce le menti, gli animi, i pensieri, le disposizioni di tutti, per ragione della sua somma bontà e clemenza non può assolutamente permettere che sia punito con eterni supplizi chi non sia reo di colpa volontaria» [Enciclica Quanto conficiamur moerore, 10 agosto 1863].

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Molto altro vi sarebbe da aggiungere, ma su questo tema ha scritto in modo dettagliato e approfondito Padre Ariel S. Levi di Gualdo in un suo articolo del novembre 2014, dove anzitutto chiarisce il concetto di mezzi ordinari e mezzi straordinari di salvezza, proprio per dissipare certe nebulosità rahneriane. Meriterebbe leggerlo.

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Quanto al famoso Discorso Escatologico che troviamo in Matteo capitolo 25, esso consta di tre parabole che devono essere lette unite per capirle altrimenti si rischia di far dire al testo sacro quello che non vuol dire. Il famoso brano del giudizio [Cfr. Mt 25,31-46] in cui vengono premiati coloro che non conoscono Dio; eppure, fanno opere di misericordia. In questo caso il riferimento è ai pagani, a quelli a cui la Rivelazione non è stata ancora presentata, a coloro che seguono una morale naturale senza porsi il problema di Dio o che lo ignorano in maniera non colpevole, perché non ne hanno ricevuto l’annuncio, pertanto non lo conoscono e quindi non lo rifiutano. Casi come questi erano numerosi ai tempi della Chiesa primitiva. Oggi, questo discorso non può più porsi, in quanto a tutti è stato annunciato Cristo e tutti hanno avuto modo di accettarlo o di rifiutarlo. Se lo accetto metto a frutto i talenti ricevuti che sono di Dio e che servono affinché io lo conosca di più e lo goda pienamente [Cfr. Mt 25,14-30]; se lo rifiuto faccio come le vergini stolte [Cfr. Mt 25, 1-13] che lasciano che la loro fede si assopisca e si spenga non riconoscendo il tempo in cui lo Sposo si è presentato a loro.

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Queste tre parabole si riferiscono storicamente a tre categorie di persone: gli antichi ebrei, i cristiani e i pagani. Per concludere, il bene o l’amore non è ad dei credenti ma l’amore eroico che dona la vita sì, altrimenti se così non fosse l’esempio di San Massimiliano Kolbe non avrebbe senso. Lui che si è immolato per un padre di famiglia che in quel campo di concentramento di Auschwitz sarà stato senz’altro circondato da diversi “cristiani anonimi” e brave persone, ma nessuno di loro si è presentato per salvarlo, tranne un frate francescano, che ha agito per Cristo, con Cristo e in Cristo. E questo la dice lunga sulla differenza tra la filantropia e il grande carisma della carità.

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Laconi, 19 agosto 2021

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Buonismo filantropico e carità. Dinanzi alla morte di Gino Strada siamo chiamati a pregare, davanti alla sua opera, al suo pensiero, alla sua immagine di volto laico lasciateci il diritto di critica e di dubbio

— attualità ecclesiale —

BUONISMO FILANTROPICO E CARITÀ. DINANZI ALLA MORTE DI GINO STRADA SIAMO CHIAMATI A PREGARE, DAVANTI ALLA SUA OPERA, AL SUO PENSIERO, ALLA SUA IMMAGINE DI VOLTO LAICO LASCIATECI IL DIRITTO DI CRITICA E DI DUBBIO

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Madre Teresa di Calcutta, senza le cospicue entrate di una ONG come Emergency ― che per il solo Afghanistan ha potuto beneficiare di 60 milioni di euro in 10 anni ― è riuscita a portare nei sobborghi dell’India pace e assistenza. Ponendosi come discepola di Cristo dentro guerre sanitarie e sociali dilanianti, altrettanto spaventose e perverse come quelle combattute da Emergency. Con una differenza importante però, che molti cattolici ancora ignorano volutamente, quello che per il Dottor Gino Strada e Emergency è filantropia laica abbronzata alla luce dei riflettori, per la piccola suora albanese è nascondimento ed eroicità della Charis in cui la grazia fatta persona viene identificata con Cristo.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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Il grande cantautore genovese Fabrizio De André canta in un suo celebre brano degli anni Sessanta:

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«Quando la morte mi chiamerà, nessuno al mondo si accorgerà, che un uomo è morto senza parlare, senza sapere la verità, che un uomo è morto senza pregare, fuggendo il peso della pietà» [Il Testamento, 1966].

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La morte del Dottor Gino Strada mi ha riportato alla mente questi versi. Davanti alla morte ogni uomo resta solo. Ma, sia detto chiaramente, davanti alla morte ogni uomo resta solo davanti a Dio, che è il solo che può decretare il giusto senso è spessore a una intera esistenza, senza bisogno che in terra ci si preoccupi di organizzare il teatrino delle canonizzazioni per direttissima. Chirurgo e fondatore della potente ONG Emergency, è stato l’icona del filantropismo laico moderno, ateo e militante convinto [Cfr. QUI]. Personaggio carismatico, quanto controverso; amato e osteggiato da diversi fronti e spesso anche dagli stessi suoi colleghi medici che hanno sollevato diverse perplessità sulla sua “disinteressata attività umanitaria”.   

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Fin dalla giovinezza è stato un appassionato esponente della sinistra, zelante appartenente del Movimento Studentesco dell’Università Statale di Milano in cui ― in quegli scellerati Anni di piombo ― non si andava troppo per il sottile quando si doveva reprimere un pensiero diverso da quello politicamente imposto o si doveva mettere in riga un avversario dissidente. Lo stesso Gad Lerner ― ex manganellatore di Lotta Continua, passato poi sulle colonne del giornale padronale di Casa Agnelli e appresso alla direzione del Tg1 [Cfr. QUI, QUI] ― ricorda l’amico in quegli anni in cui Strada ha rappresentato:

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«[…] la Milano migliore e il Sessantotto migliore, è la dimostrazione che l’utopia non è ingenuità ma fede creatrice […] me lo ricordo in manifestazione con il casco in testa prima che col camice verde del medico di guerra» [Cfr. QUI].

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Non ci si sarebbe potuti aspettare nulla di diverso da una corrente marxista-leninista-stalinista-maoista come quella frequentata dal giovane Gino Strada negli anni Sessanta e Settanta del Novecento. A quanto ne sappiamo, il defunto chirurgo non ha mai rinnegato quel passato dal radicalismo burbero e litigioso, anzi ci sarebbero ragioni per credere che la sua bellicosità e tenacia filantropica, unita a una ben nota violenza verbale che di quando in quando si manifestava ai suoi oppositori, sia nata proprio in seno a quel periodo, sebbene dopo ci sia stata la conversione che dall’eskimo lo ha condotto alle colombe bianche, alle bandiere multicolori, al rispetto altrui e al ramoscello d’ulivo ultrapopulista [vedi QUI, QUI].

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La sua morte ha suscitato un coro di elogi sperticati che difficilmente ritroviamo per altri filantropi soprattutto da una certa frangia del mondo cattolico che nella persona del serafico Fra Enzo Fortunato non può che tesserne gli elogi [Cfr. QUI] e che con Don Vitaliano Della Sala non può che commuoversi al suo ricordo proponendolo come initium fidei per gli increduli e per coloro che desiderano scoprire Dio [Cfr. QUI]. Invece per Pax Christi, nota associazione nata cattolica e morta di sinistra, Gino Strada è un artigiano di pace [Cfr. QUI].

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Per carità, tutte le opinioni sono lecite e i pensieri degni di essere espressi, eppure cari Lettori, non so voi, ma a me l’intera questione non convince. E non convince perché questi testimonial cattolici di primo piano non hanno proferito verbo alle dichiarazioni di qualche tempo fa sui “lati oscuri” e sulle “zone d’ombra” di cui è stata illecitamente sospettata, se non addirittura apertamente accusata Madre Teresa di Calcutta [Cfr. QUI, QUI] che ― mi sia concesso il gioco di parole ― ha senza dubbio fatto più strada di Strada sulla via delle opere umanitarie e di carità tanto da ottenere nel 1979 il Premio Nobel per la Pace che ora vorrebbero dare postumo al dottore di Emergency [Cfr. QUI]. Purtroppo, Madre Teresa ha avuto l’imperdonabile difetto di essere stata una religiosa cattolica, nemica dichiarata del peccato e dell’ateismo laico, così come di tutti quei cavalli di battaglia cari alla sinistra moderna che se da un lato parla di pace dall’altro la toglie attraverso la sponsorizzazione dell’aborto, dell’eutanasia e la dissolvenza meticolosa dell’istituzione familiare naturale.

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Madre Teresa, senza le cospicue entrate di una ONG come Emergency ― che per il solo Afghanistan ha potuto beneficiare di 60 milioni di euro in 10 anni [Cfr. QUI] ― è riuscita a portare nei sobborghi dell’India pace e assistenza. Ponendosi come discepola di Cristo dentro guerre sanitarie e sociali dilanianti, altrettanto spaventose e perverse come quelle combattute da Emergency. Con una differenza importante però, che molti cattolici ancora ignorano volutamente, quello che per il Dottor Gino Strada ed Emergency è filantropia laica abbronzata alla luce dei riflettori, per la piccola suora albanese è nascondimento ed eroicità della Charis in cui la grazia fatta persona viene identificata con Cristo, pane eucaristico che le Suore di Carità adorano quotidianamente e lungamente prima di approcciarsi a poveri, malati ed emarginati. È questa la differenza fondamentale che passa tra Chiesa e Centro Sociale, tra carità e filantropia, tra Agape e Philia.

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Il testamento che il Dottor Gino Strada lascia al mondo è controverso e fugge il peso della cristiana pietas, come direbbe De André e, sebbene tanti cercheranno di farlo rientrare nel novero dei grandi italiani da lodare e idolatrare ― così come è stato fatto per la propagatrice del diritto all’aborto e all’eutanasia Emma Bonino [Cfr. QUI] ― noi sappiamo che le cose stanno diversamente e ci riserviamo il diritto di dissentire. Sì, lasciateci dire quello che non ci piace, lasciateci esprimere le nostre perplessità, anche davanti alle lodi del Dottor Gino Strada, permetteteci di fare il nostro personale cerimoniale austroungarico di lutto pronunciando un solenne «Ignosco» ― non lo conosco ― davanti a quel feretro, affinché venga riconosciuta quella fragilità che apre alla possibilità di redenzione anche nell’ultimo istante della vita.

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Ovviamente i più strenui assertori della correttezza e del rispetto tout court sosterranno che non è più il caso di inveire portando fuori gli scheletri del passato di un defunto. Scheletri che, diciamolo pure, oramai non troviamo più neanche dentro gli armadi perché sono esibiti bellamente in espositori e mostrati a tutti con orgoglio luciferino. E poi, la Sinistra pacifondista e politicamente corretta ha ripulito da anni il vero vissuto e quindi le biografie di numerosi loro personaggi-idolo …

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Tanta delicatezza è senza dubbio comprensibile, ed è una sorta di onore delle armi a colui che è stato sconfitto dalla morte e che, come ammonisce Jacopone da Todi in una sua lirica, pone termine ad ogni orgoglio e velleità: «Quando t’alegri, omo d’altura, va’ puni mente a la seppultura». Tuttavia, questo privilegio viene prontamente negato quando i kompagni, a cui Gino Strada ha sempre guardato con benevolenza e ispirazione, devono sbaragliare gli avversari di sempre. Allora, in questo caso, si scoprono non solo estimatori del passato di coloro a cui si vogliono fare le pulci ma anzi ne diventano interpreti e giudici stigmatizzando il peccato altrui, così come è stato tante volte nei riguardi della Chiesa e dei preti [Cfr. QUI].

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In questo caso non si perde tempo a gettare discredito sulla sacralità e sull’insensatezza della religione cristiana, riportando alla luce ogni minimo errore o scandalo pruriginoso e concludendo con Nietzsche che Dio è senza dubbio morto, così come va cantando da più di cinquant’anni il kompagno Guccini. E se giustamente di Benito Mussolini è vietato affermare che, tra gli innumerevoli disastri come dittatore, ha fatto anche cose buone; dei dittatori di sinistra restano solo le cose buone. Obliando i disastri che questo pensiero ha compiuto e che sono tanti e tali a quelli compiuti dal fascismo con la differenza della superiorità intellettuale che da diversi anni li contraddistingue.

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Abbiamo persino udito, ai vari talk show televisivi, esponenti della Sinistra impegnati a farsi beffa di qualche esponente politico che manifestava certi sentimenti cristiani ― sinceri o non sinceri questo non ci è dato sapere, non potendo nessuno di noi leggere le coscienze altrui ― perché colpevole di essere divorziato risposato. Salvo dichiarare pochi minuti dopo, nel prosieguo dei loro discorsi, che l’aborto è una grande conquista sociale e l’eutanasia un atto di “misericordia”, oppure sostenendo la legittimità del “matrimonio” tra coppie dello stesso sesso, il tutto ― ripeto ― dopo essersi fatta beffa del politico di opposizione in quanto … divorziato risposato (!?).

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La morte del Dottor Gino Strada assomiglia più a una apoteosi degli antichi imperatori romani, in cui non c’è ombra di peccato e la cui assunzione al cielo è scontata. Lui, l’uomo che ha fatto solo bene: Roma locuta, causa finita! Lui, l’uomo che è stato santificato da una certa sinistra che ha bisogno di un proprio credo, di dogmi, liturgie e ovviamente di propri santi. E chi si dovesse azzardare a muovere qualche critica, a sollevare qualche dubbio o magari ad avere un parere diverso è senza dubbio un criminale, un nemico della pace, una brutta persona, insensibile e senza cuore, insomma un autentico pezzo di merda, lemma usato più volte dal Padre della lingua italiana: «[…] vidi un col capo sì di merda lordo», scrive nella Commedia il Sommo Poeta Dante per indicare ruffiani e seduttori [Cfr. Inferno, 116].

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Così è capitato all’editorialista dell’Unità, Fabrizio Rondolino che in un suo tweet definisce Emergency «un’organizzazione politica antioccidentale mascherata da ospedale ambulante che va isolata e boicottata» [Cfr. QUI; QUI]. Rondolino non è certo quello che oggi potremmo definire un uomo di destra o un baciapile; eppure, anche lui è stato stretto alle corde e isolato per aver toccato l’intoccabile [Cfr. QUI]. Ebbene, vi sembra tutto normale? A me no. E personalmente desidero muovere i miei dubbi, portare delle critiche, sostenere la tesi dell’avvocato del diavolo. E lo faccio nei confronti del Dottor Gino Strada non come uomo ormai defunto a cui va la mia preghiera, ma al personaggio pubblico e volto mediatico della laicità verso il quale si può e si deve applicare il diritto alla critica in quanto viviamo ancora in un paese democratico.

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Perché un santo ― anche quando proviene dal laicismo ― è costretto a passare la prova delle opere, solo così potrà concedere i sospirati miracoli, solo così la sua credibilità ne risulterà rafforzata, altrimenti sarà solamente un povero martire così come usano dire gli amici bergamaschi. E allora vediamo queste opere del chirurgo Strada, analizziamo le sue virtù di Emergency. Mi permetto di dire che nel mondo e in Italia abbiamo tanti medici sconosciuti ai più che non hanno avuto la sua stessa fortuna di visibilità e di introiti ma che sono rimasti ugualmente fedeli al giuramento di Ippocrate. Medici che ritroviamo a salvare vite umane in una corsia di ospedale di provincia, dentro la guerriglia delle periferie esistenziali moderne, con turni massacranti, colleghi privi di scrupoli e di eticità, strutture fatiscenti e inadeguate, con una sanità pubblica al limite dello sbando. Medici che continuano a fare i medici in Italia, sacrificando famiglie e figli e che nelle loro ferie stanno gratuitamente negli ambulatori della Caritas di Roma o in quelli dell’Opera San Francesco per i Poveri di Milano. Che non percepiscono certo l’appannaggio di un chirurgo di guerra con esperienza, vale a dire circa 3 mila euro al mese [Cfr. QUI] ma anche qui le stime si confondono nell’indeterminatezza delle entrate di Emergency [Cfr. QUI].

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Difficilmente troverete questi medici nei salotti bene della TV, seduti su morbidi cuscini di quel politicamente corretto del kompagno Fabio Fazio. Uomini in camice bianco che non hanno il patronato di una rappresentativa e danarosa ONG alle spalle che, seppur contraria alla guerra, di fatto campa proprio grazie alla guerra e alle disgrazie altrui. Cosa che a me ricorda molto da vicino il bellissimo e significativo film di Alberto Sordi del 1974: Finché c’è guerra c’è speranza [Cfr. QUI]. Dice il Dottor Gino Strada «Io non sono pacifista, sono contro le guerre». Certo Dottore, lei ha saputo sapientemente scegliere quali guerre combattere e quali guerre evitare, dentro un calcolato doppiopesismo che qualcuno ha avuto la bontà di rilevare [Cfr. QUI] e che resta del tutto ignoto a molti suoi colleghi che, al limite del collasso, non hanno nessuna alternativa di scelta. O bere o affogare. O dobbiamo forse concludere che per essere considerati veri medici è necessario salire a bordo di una nave ONG o servire dentro un ospedale di guerra?

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L’idealismo va bene fino a un certo punto, lo comprendo e lo incoraggio in un ventenne ma dopo si rischia l’illusione dell’utopia che ha fatto affermare a Vauro Senesi:

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«[…] oggi è morto un utopista convinto che la pace sia un’utopia realizzabile con la volontà e con la passione. Oggi è morto un sognatore che tentava di praticare i sogni. Oggi è morto un realista certo che la pace non si costruisce con le armi» [Cfr. QUI].

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L’utopia è tale perché è irrealizzabile e quando l’uomo si sforza di realizzarla succedono i disastri. Gli stessi disastri di chi prova a fare Dio presumendo di eliminare con le sue proprie forze la povertà, la morte, la malattia, la guerra e sofferenza.

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Il Dottor Gino Strada ha prestato soccorso a tante persone nei territori di guerra è vero, ma non meno hanno fatto e stanno facendo i suoi colleghi in Italia salvando donne e bambini dall’aborto, malati terminali dalla dolce morte eutanasica, poveri derelitti che non possono pagarsi uno specialista che chiede dalle 200 alle 500 euro per una visita o per un esame diagnostico che non può attendere sei mesi di lista d’attesa per essere espletato.

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Santifichiamo pure le opere di Gino Strada e di Emergency purché insieme a lui ci siano anche i nomi e i cognomi di tanti altri medici sconosciuti, altrimenti rischiamo la propaganda e visibilità politica, motivo questo per cui in futuro Strada sarà ancora idolatrato. Eppure queste cose un filantropo le dovrebbe fuggire, ma che volete, non esistono più i filantropi di una volta.

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A chi parla in modo inappropriato, anzi del tutto a sproposito di carità, abbinando a un ateo dichiarato questa parola, indicata dal Beato Apostolo Paolo come la più alta e fondamentale delle virtù teologali [Cfr. I Cor 13, 13], basterebbe ricordare il severo monito di Gesù Cristo:

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«[…] se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» [Cfr. Mt 5, 46-48].

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Ecco spiegata la differenza sostanziale che corre tra il filantropismo e il buonismo ideologico e la carità cristiana, che sta assieme alla fede e alla speranza, ma che di tutte e tre è la più importante. È un messaggio non facile da far comprendere al nostro esercito di cattocomunisti confusi, ma noi Padri de L’Isola di Patmos, nell’esercizio della nostra opera apostolica, non cesseremo mai di spenderci, con tutte le nostre forze umane e spirituali, per cercare di far capire che il filantropismo buonista lo fanno anche gli atei, mentre invece, la carità, possono farla solo i veri cristiani.

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«La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene» [Rm 12, 9].

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Laconi, 16 agosto 2021

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«Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» [Gv 8,32],
ma portare, diffondere e difendere la verità non solo ha dei
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