Da Gino Strada all’insidiosa e nebulosa strada di Karl Rahner circa la teoria dei “cristiani anonimi”

— attualità ecclesiale —

DA GINO STRADA ALL’INSIDIOSA E NEBULOSA STRADA DI KARL RAHNER CIRCA LA TEORIA DEI “CRISTIANI ANONIMI”

il concetto dei “cristiani anonimi” è fallimentare e può servire da alibi, vale a dire come una coperta calda, ma a nulla più. Rivedrei invece piuttosto, come degno di approfondimento teologico il concetto di San Giustino del Lógos spermatikòs, i semi di verità che è possibile trovare anche in altre religioni e culture ma che hanno sempre nel Cristo la ragion d’essere e preparano a un cammino di conoscenza di Lui nella fede.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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beatificazione emotiva a “cadavere caldo”

Capita a volte che siano i nostri stessi Lettori a ispirarci articoli attraverso le loro domande. Così è accaduto di recente attraverso il quesito postato da un Lettore all’articolo che ho dedicato alla morte del Dottor Gino Strada.

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Gentili Padri.

Pur ammettendo di non conoscere per intero le vicende e la storia di Gino Strada, volevo chiedere: egli non potrebbe rientrare in quella schiera di “cristiani anonimi” teorizzati da Karl Rahner? Detta in altri termini, il famoso brano evangelico del «avevo fame, e mi avete dato da mangiare». Presuppone che chi dia da mangiare, da bere, etc. debba per forza avere la fede in Cristo? Capisco che è una questione complessa e discussa, tuttavia, a mio modesto parere, l’intuizione di Rahner sui cristiani anonimi non è del tutto da rigettare. Altrimenti si dovrebbe concludere che fare il bene, compiere il bene, sia esclusivo appannaggio dei credenti, ma sappiamo tutti che non è così. Conosco credenti (per lo meno, così si definiscono) tutti rosari e Sante Messe, ma totalmente privi di carità fraterna. Per citare il Vangelo: «non chi dice: Signore! Signore! Entrerà nel Regno dei Cieli».

Andrea

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Questa domanda mi offre la possibilità di chiarire ancor meglio la questione. Anzitutto il “cristianesimo anonimo” è una teorizzazione di Karl Rahner a un concetto di grazia che pericolosamente si avvicina al relativismo. È una convinzione che può far credere che in ogni esperienza spirituale, ogni sussulto di emotività, ogni azione filantropica, ogni esperienza religiosa si nasconda un marchio di cristianità e di salvezza. Nell’esperienza pastorale che noi sacerdoti vediamo quotidianamente, questo concetto si può tradurre così:

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«Anche se non vado a Messa, non mi confesso, non prego, è sufficiente fare qualche opera buona e non odiare nessuno per essere apposto».

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Oppure, per quelli dichiaratamente atei, non credenti o semplicemente confusi la questione suona così:

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«Faccio più bene io di tanti cristiani che giudicano […] non serve essere cristiani per amare il prossimo e fare il bene […] io rispetto tutti, tollero tutti, sono per l’amore per tutti e sono più cristiano io di quelli che mangiano ostie».

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Al centro di questo modo di ragionare sta un concetto intimistico di fede, che ama ma senza compromettersi, crede ma senza schierarsi, agisce ma senza prendere posizione. Nel Santo Vangelo, invece, troviamo queste parole:

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«L’opera di Dio è questa: che crediate in colui che egli ha mandato» [Cfr. Gv 6, 29].

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Questa è una posizione ben diversa che ti porta a dare a Cristo il primato su tutta la tua esistenza e riconoscerlo come unico Salvatore [Cfr. Dichiarazione Dominus Iesus], come inizio, centro e fine ultimo del nostro intero umanesimo, non certo uno tra i tanti messo nella vetrina degli dèi delle varie credenze, perché Cristo è la totalità, l’unica via, verità e vita [Cfr. Gv 14, 6]. Credere e accettare Cristo significa anche agire come egli ha agito come vediamo nell’amore verso il nemico fino al dono totale della propria persona. Il Beato apostolo Paolo dice nella Lettera ai Romani che:

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«[…] mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi» [Cfr. Rm 5,8].

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Parole che equivalgono a dire: Cristo mi ha amato quando ancora ero, non amabile ma empio, separato da Dio. Il banco di prova, è proprio questo, è l’amore al nemico che mi porta a sacrificare la vita. E sia chiaro, questa è una cosa che si può fare solo sotto la grazia dello Spirito Santo e con un cuore libero e disinteressato.

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A parer mio il concetto dei “cristiani anonimi” è fallimentare e può servire da alibi, vale a dire come una coperta calda, ma a nulla più. Rivedrei invece piuttosto, come degno di approfondimento teologico il concetto di San Giustino del Lógos spermatikòs, i semi di verità che è possibile trovare anche in altre religioni e culture ma che hanno sempre nel Cristo la ragion d’essere e preparano a un cammino di conoscenza di Lui nella fede.

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Molto chiara su questo tema la costituzione pastorale del Concilio Vaticano II:

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«[…] l’azione salvifica di Gesù Cristo, con e per il suo Spirito, si estende, oltre i confini visibili della Chiesa, a tutta l’umanità. Parlando del mistero pasquale, nel quale Cristo già ora associa a sé vitalmente nello Spirito il credente e gli dona la speranza della risurrezione, il Concilio afferma: «E ciò non vale solamente per i cristiani ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo infatti è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale» [Cfr. Gaudium et spes, n. 22].

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La Dichiarazione Nostra Aetate, a proposito delle religioni non cristiane afferma:

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«La Chiesa Cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini. Tuttavia essa annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è “via, verità e vita” [Gv 14,6], in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose [Cfr. 2 Cor 5,18-19].

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Benché questo testo sia chiaro, all’interno del mondo cattolico ci sono purtroppo alcune frange che accusano il Concilio stesso di avere «aperto al relativismo» (!?). A questi custodi di una non meglio precisata “tradizione”, basterebbe ricordare che cosa scriveva, un secolo avanti, un Sommo Pontefice al di sopra di ogni possibile sospetto, per l’esattezza il Beato Pio IX:

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«A voi è assai noto che quelli i quali per ignoranza invincibile non conoscono la nostra religione, ma conoscono la legge naturale e i suoi precetti da Dio scolpiti nei cuori di tutti e sono disposti ad ubbidire a Dio e conducono una vita onesta, questi con l’aiuto della luce e della grazia divina possono conseguire la vita eterna; perché Dio, il quale vede, scruta e conosce le menti, gli animi, i pensieri, le disposizioni di tutti, per ragione della sua somma bontà e clemenza non può assolutamente permettere che sia punito con eterni supplizi chi non sia reo di colpa volontaria» [Enciclica Quanto conficiamur moerore, 10 agosto 1863].

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Molto altro vi sarebbe da aggiungere, ma su questo tema ha scritto in modo dettagliato e approfondito Padre Ariel S. Levi di Gualdo in un suo articolo del novembre 2014, dove anzitutto chiarisce il concetto di mezzi ordinari e mezzi straordinari di salvezza, proprio per dissipare certe nebulosità rahneriane. Meriterebbe leggerlo.

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Quanto al famoso Discorso Escatologico che troviamo in Matteo capitolo 25, esso consta di tre parabole che devono essere lette unite per capirle altrimenti si rischia di far dire al testo sacro quello che non vuol dire. Il famoso brano del giudizio [Cfr. Mt 25,31-46] in cui vengono premiati coloro che non conoscono Dio; eppure, fanno opere di misericordia. In questo caso il riferimento è ai pagani, a quelli a cui la Rivelazione non è stata ancora presentata, a coloro che seguono una morale naturale senza porsi il problema di Dio o che lo ignorano in maniera non colpevole, perché non ne hanno ricevuto l’annuncio, pertanto non lo conoscono e quindi non lo rifiutano. Casi come questi erano numerosi ai tempi della Chiesa primitiva. Oggi, questo discorso non può più porsi, in quanto a tutti è stato annunciato Cristo e tutti hanno avuto modo di accettarlo o di rifiutarlo. Se lo accetto metto a frutto i talenti ricevuti che sono di Dio e che servono affinché io lo conosca di più e lo goda pienamente [Cfr. Mt 25,14-30]; se lo rifiuto faccio come le vergini stolte [Cfr. Mt 25, 1-13] che lasciano che la loro fede si assopisca e si spenga non riconoscendo il tempo in cui lo Sposo si è presentato a loro.

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Queste tre parabole si riferiscono storicamente a tre categorie di persone: gli antichi ebrei, i cristiani e i pagani. Per concludere, il bene o l’amore non è ad dei credenti ma l’amore eroico che dona la vita sì, altrimenti se così non fosse l’esempio di San Massimiliano Kolbe non avrebbe senso. Lui che si è immolato per un padre di famiglia che in quel campo di concentramento di Auschwitz sarà stato senz’altro circondato da diversi “cristiani anonimi” e brave persone, ma nessuno di loro si è presentato per salvarlo, tranne un frate francescano, che ha agito per Cristo, con Cristo e in Cristo. E questo la dice lunga sulla differenza tra la filantropia e il grande carisma della carità.

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Laconi, 19 agosto 2021

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