Onanismo e teologia: il rapporto tra metafisica e gravidanza extra uterina, mentre le nostre ostetriche estetiche abortiscono il poco che resta del sensus fidei

— Theologica —

ONANISMO E TEOLOGIA: IL RAPPORTO TRA METAFISICA E GRAVIDANZA EXTRA UTERINA, MENTRE LE OSTETRICHE ESTETICHE ABORTISCONO IL POCO CHE RESTA DEL SENSUS FIDEI

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Disseminati nella giungla della rete telematica vi sono siti e blog di “veri cattolici” e di “autentici difensori” della purezza della tradizione che citano il Jota Unum di Romano Amerio come se fosse verbum Dei, mentre i suoi allievi, veri o presunti, si beano in pindarici giri di parole dai quali emerge il sapore inconfondibile del … «Oh, cielo! Quanto mi piaccio, quanto sono estetico, quanto sono metafisico!».

 

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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le rovine della cattedrale metropolitana di Messina dopo il terremoto del 1908

Samantha con la “h” finale sospirata è una ragazza di vent’anni che due anni fa festeggiò i diciott’anni raggiungendo quota quindici fidanzati. Durante il volger della sua vita sentimentale cominciata all’età di tredici anni, ha avuto qualche piccolo incidente di percorso, cose di poco conto ma soprattutto risolvibili, che fanno parte del normale corso dell’età evolutiva. Come quando a quindici anni rimase incinta, inducendo la madre, Jessika, con la “k”, quarantadue anni, a farsi una severa auto-critica col suo terzo compagno della serie, un ragazzo di ventotto anni, detto anche toy-boy, al quale ella confida: «Michael» ― così chiamato da sua madre in onore del cantante pop Michael Jackson ― «Ammetto di avere sbagliato io, perché non mi sono preoccupata di far prendere la pillola anticoncezionale a Samy» ― diminutivo affettuoso di Samantha con la “h” finale sospirata ―. «Certo, se lei non mi avesse tenuta la cosa nascosta per giorni, le avrei fatto prescrivere subito la pillola abortiva». Il toy-boy Michael la rincuora: «Jessy» ― affettuoso diminutivo di Jessika con la “k” ― «non penso che tu abbia sbagliato. Sai, tua figlia Samy ha un fisico mozzafiato, con la pillola poteva correre il rischio che le venisse la cellulite. In fondo la cosa è stata risolta: una raschiatina, un grumo di sangue tolto, ed il problema è sparito al consultorio in un battibaleno». A quel punto Jessy si sente rincuorata e sospira al toy-boy: «Hai ragione, Miky» ― diminutivo di Michael ―, anche Sylvester mi ha dato ragione, ma non solo lui, anche Christian, il suo precedente compagno inglese, fu d’accordo  e solidale.

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terremoto di Messina del 1908

E qui per capire è necessario un inciso: Sylvester, padre di Samantha con la “h” finale sospirata, è stato il primo marito di Jessika, così chiamato da suo padre che era un culturista gonfiato di anabolizzanti e grande fan di Rocky Balboa, la celebre serie filmica interpretata da Sylvester Stallone a partire dal 1976. Dopo il matrimonio Sylvester scoprì la propria vera identità e, dopo un coming-out fatto a un famoso talk-show dinanzi a milioni di telespettatori, presente nello studio televisivo anche la moglie Jessika con la”k”, dichiarò il proprio gaysmo. Dopodiché — colpo di scena! — in quello stesso momento si alzò in piedi dal pubblico il suo primo uomo, all’epoca Christian, che egli presentò pubblicamente alla moglie come il proprio compagno. Commossa, la moglie li abbracciò tutti e due dichiarandosi contenta e augurando loro di essere tanto felici. La scena fu accompagnata da una struggente melodia di un famoso cantante morto di Aids ed icona del mondo gay, Freddie Mercury: «We are the champions […] of the world» [noi siamo i campioni del mondo].  

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terremoto di Messina del 1908

Adesso, Samantha con la”h” finale sospirata, sta facendo i propri studi universitari, ha scelto psico-pedagogia, desidera infatti divenire una paladina della teoria del gender. Suo padre, ricco architetto di grido in cammino verso i cinquant’anni d’età, nel mentre ha cambiato compagno ed oggi convive con un giovane fotomodello brasiliano nullafacente di ventidue anni, certo Ricky, così chiamato dai suoi genitori in onore di Ricky Martin, un altro gaio cantante, padre di due bimbi comprati da un utero in affitto e convolato recentemente a nozze a Puerto Rico col suo giovane compagno [cf. QUI]. Il gaio papà Sylvester è molto fiero della figlia, che sta vivendo anche una felice relazione con un nuovo compagno, certo John, originario di Bari, ma così chiamato perché suo padre e sua madre sono due fans di John Lennon, ed al figlio, attraverso questo ex dei Beatles, hanno trasmesso i loro più profondi valori di vita attraverso la canzone Imagine :

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Immagina non ci sia il Paradiso

prova, è facile

Nessun inferno sotto i piedi

Sopra di noi solo il Cielo

Immagina che la gente

viva al presente …

Immagina non ci siano paesi

non è difficile

Niente per cui uccidere e morire

e nessuna religione

Immagina che tutti

vivano la loro vita in pace …[testo originale inglese, QUI]

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I messaggi d’amore di Samantha con la “h” finale sospirata diretti al suo John, costituiscono una vera e propria apoteosi della poesia contemporanea, eccone uno per offrire a tutti la percezione di questa vena poetico-amorosa:

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da quando msidt [1], la mia vita è cambiata

xché [2] xme [3] tu6 qlc [4].

Per questo tvb tipe [5], xché 6Sxme [6].

MMT+ [7] xché tu 6 il + [8].

T tel + trd [9], mi raccomando risp al cel [10]

Vng dp [11] e cmq Cvd [12].

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Dinanzi a questa espressione così intensa di poesia amorosa, che cosa mai può essere a confronto una quartina dantesca del tipo:

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Tanto gentile e tanto onesta pare

la donna mia, quand’ella altrui saluta,

ch’ogne lingua devèn, tremando, muta,

e li occhi no l’ardiscon di guardare  [13]

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terremoto del Friuli del 1976

Si tenga conto che Samantha con la “h” sospirata finale, è una ragazza considerata oggi di cultura elevata che supera un esame dietro l’altro all’università e tra pochi anni sarà una professionista della psico-pedagogia, impegnata nel sociale e nel politico. Ovviamente, il livello delle università, degli studi universitari e degli insegnanti presso le stesse, corrisponde ed in un certo senso si è dovuto adattare a queste nuove generazioni di studenti.

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Questa è la realtà, ed in questo genere di realtà, a noi spetta il non facile compito di annunciare il Santo Vangelo a dei giovani che hanno sentito nominare in modo molto vago uno strano concetto di Chiesa e di Cristianesimo dalle parole di un famoso intellettuale italiano, Lorenzo Cherubini, in arte Jovannotti, che nella sua canzone Penso positivo, esprime il meglio della dottrina cattolica e della teologia metafisica in questo modo:

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Io credo che a questo mondo

Esista solo una grande Chiesa

Che passa da Che Guevara

E arriva fino a Madre Teresa

Passando da Malcolm X attraverso

Gandhi e San Patrignano

Arriva da un prete in periferia

Che va avanti nonostante il Vaticano

[testo intero, QUI]

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terremoto del Friuli del 1976

Questa è la società reale con la quale dobbiamo fare i conti, sebbene ciò non sembri sfiorare neppure quei quattro soloni estetici ed estetizzanti che tra codicilli, rubriche e quattro formule magiche non della grande scolastica, ma perlopiù della neo-scolastica decadente, non cessano mai di annunciare che bisogna ripartire dalla metafisica. E quando nominano la parola “metafisica”, si sentono ripieni sino al settimo cielo, perché la parola stessa li eccita a tratti in modo davvero perverso.

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Disseminati nella giungla della rete telematica vi sono siti e blog di veri cattolici e di autentici difensori della purezza della tradizione che citano il Jota Unum di Romano Amerio come se fosse verbum Dei, mentre i suoi allievi, veri o presunti, si beano in pindarici giri di parole dai quali emerge il sapore inconfondibile del … «Oh, cielo! Quanto mi piaccio, quanto sono estetico, quanto sono metafisico!».

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terremoto del Friuli del 1976

Bene, ma a Samantha con la “h” sospirata, studentessa di psico-pedagogia e domani professionista e formatrice psico-pedagogica, figlia di Jessika con la “k” felicemente accompagnata col suo nuovo boy-toy, ex moglie di Sylvester ricco architetto di grido attualmente convivente col suo nuovo ragazzo brasiliano nullafacente, chi le porta e chi le offre l’annuncio di redenzione e di salvezza del Verbo di Dio incarnato «morto e risorto, asceso al cielo e oggi assiso alla destra del Padre, che un giorno tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, ed il suo regno non avrà fine?» [cf. Simbolo di fede].

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Ma per meglio eccitare gli estetici estetizzanti della vera e pura tradizione, inseriamo anche il testo originale del Credo, visto che il greco, come il latino liturgico, piace da morire soprattutto a quei gruppuscoli di laici che non lo conoscono e che proprio per questo ne rivendicano il magico uso arcano, perché quando non si è capaci a penetrare e vivere l’essenza dei sacri misteri nella sostanza, allora si finisce con l’idolatrare gli accidenti esterni, a partire dalla stessa lingua:

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Σταυρωθέντα τε ὑπὲρ ἡμῶν ἐπὶ Ποντίου Πιλάτου,
καὶ παθόντα
καὶ ταφέντα.

 Καὶ ἀναστάντα τῇ τρίτῃ ἡμέρᾳ
κατὰ τὰς Γραφάς.

Καὶ ἀνελθόντα εἰς τοὺς οὐρανοὺς
καὶ καθεζόμενον ἐv δεξιᾷ τοῦ Πατρός.

Καὶ πάλιν ἐρχόμενον μετὰ δόξης
κρῖναι ζῶντας καὶ νεκρούς,
οὗ τῆς βασιλείας οὐκ ἔσται τέλος 

terremoto del Friuli del 1976

Questo annuncio di salvezza, a Samantha con la “h” sospirata ed a John, glielo porteranno forse i soloni dei codicilli e delle rubriche, semmai con un paio di lectiones magistrales sulla ipotesi che Sant’Agostino aveva un’impronta filosofica platonica? Ma Samantha con la “h” finale sospirata, seppur diplomata a pieni voti e oggi studentessa universitaria di psico-pedagogia, è convinta che il Krizia platonico sia solo il profumo lanciato dalla casa di moda di Maria Mandelli, nota con lo pseudonimo di Krizia [cf. QUI]. Samantha con la “h” finale sospirata non immagina neppure che il Κριτίας [Krizia] è tratto dall’ultimo dialogo incompiuto di Platone, tutto improntato sulla vanità femminile. E ciò mentre il suo nuovo ragazzo, John, anch’esso studente universitario alla facoltà di farmacia, quando pochi anni prima fu interrogato in letteratura all’esame di maturità, alla domanda su chi fosse il Tasso [cf. QUI], dopo un attimo di riflessione rispose: «l’inventore della cedrata Tassoni» [cf. QUI]. E alla facoltà di farmacia, dove anch’egli supera un esame dietro l’altro, per i docenti è un vero simpaticone, lo ricordano sempre tutti, questo barese di nome John, quando ad un esame rispose alla domanda del professore esaminatore che gli chiese «mi spieghi da dove si origina una gravidanza extra uterina», replicando dopo breve riflessione: «si origina da un rapporto anale».

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terremoto dell’Irpinia del 1980

A questi due soggetti, si può toccare il cuore e convertirli spiegando quale rapporto corre tra l’etica nicomachea di Aristotele e le speculazioni metafisiche di San Tommaso d’Aquino? Ma soprattutto, sia per convertirli sia per portarli sulla retta via della fede, dobbiamo forse renderli partecipi delle diatribe contro il teologo gesuita tedesco Karl Rahner, spiegando loro come costui riduce l’essere tomista, che è atto e perfezione, all’essere della conoscenza, identificando l’essere nell’uomo, il conoscere e l’essere conosciuto, mettendo così in piedi una riduzione antropologica della metafisica? E possiamo quindi seguitare a spiegare, a Samantha con la “h” finale sospirata ed al suo ultimo fidanzato barese chiamato John in onore del Lennon, che Karl Rahner capovolge i principi fondamentali del realismo tomistico per dare vita al principio moderno di immanenza?

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terremoto dell’Irpinia del 1980

A Samantha con la “h” finale sospirata, tra poco psico-pedagoga, convinta che il Krizia sia un profumo, ed al suo ultimo fidanzato barese, chiamato John in onore del Lennon, tra poco farmacista, convinto che una gravidanza extra uterina sia originata da un rapporto anale, per stimolarli verso un cammino di fede, che cosa dobbiamo offrire? Forse gli dobbiamo offrire gli atti del convegno contro Karl Rahner promossi anni fa dai Francescani dell’Immacolata? Dobbiamo consigliar loro la lettura dei testi del compianto Brunero Gherardini, di Serafino Lanzetta e di Roberto de Mattei, che portano avanti la tesi del Concilio Vaticano II quale concilio solo pastorale e non dogmatico? Dobbiamo forse convincerli a leggere la preziosa e ottima opera Vera e falsa teologia di Antonio Livi [cf. QUI], impegnativa da leggere persino per gli studiosi di scienze filosofiche e teologiche? O dobbiamo forse trascinarli nei dibattiti fanta-liturgici di certe menti schizofreniche, convinte che quel rozzo e semplice pescatore galileo del Beato Apostolo Pietro giungeva ad un solenne altare basilicale scortato da quattro diaconi in splendenti dalmatiche barocche, coadiuvato da vari presbiteri assistenti rivestiti di solenni piviali, acclamando sotto i gradini dell’altare «Introibo ad altare Dei», quindi aprendo il Messale dato da San Pio V nel XVI secolo e iniziando a celebrare quella che questi poveri schizofrenici della liturgia estetica ed il loro codazzo di cultori della fanta-liturgia chiamano «La Messa di sempre»?

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terremoto del friuli del 1976, funerali delle vittime

Insomma, al povero John, così chiamato in onore del Lennon, cresciuto dai genitori sul modello guida delle parole della canzone Imagine, possiamo anche perdonare di non sapere neppure come si sviluppa una gravidanza extra uterina, ma certi Signori e Signore della vera e pura traditio catholica, nei cui circoli abbondano onirici teologi e sedicenti liturgisti, non possono essere anch’essi convinti come John che una gravidanza extra uterina «si sviluppa da un rapporto anale», perché ciò vorrebbe dire, tra l’altro, non conoscere Aristotele anche nella sua qualità di biologo, sugli schemi e sulla logica del quale San Tommaso d’Aquino sviluppa il proprio metodo, da qui il suo titolo di Doctor Communis, ossia dottore universale della Chiesa. E questo titolo precisa ed indica che quella dell’Aquinate non è semplicemente una “scuola teologica” particolare, ma un patrimonio comune di tutta la Chiesa universale, ed al tempo stesso un metodo che, pur con qualche difetto e lacuna, resta tutt’oggi valido e soprattutto insuperato.

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E si noti bene che Samantha con la “h” sospirata, con tutti i suoi poetici «msidt [14], xché tu 6 il + [15]» … e via dicendo, non è neppure la peggiore. Si provi a immaginare coloro che non arrivano neppure al genere di evoluzione alla quale è giunta comunque Samantha con la “h” sospirata, che tra poco sarà dottore in psico-pedagogia e promotrice della teoria del gender.

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terremoto dell’Irpinia del 1980, le salme predisposte per la sepoltura

Io non disprezzo la scolastica e la metafisica, di cui sono cultore e studioso e che stanno entrambe alla base della mia formazione filosofica e teologica, ma siccome sono anzitutto un pastore in cura d’anime per la grazia di stato sacerdotale ricevuta, sono consapevole che il mio compito primario e fondamentale è l’annuncio del Santo Vangelo in una Europa scristianizzata e decadente nella quale le nuove generazioni non conoscono più neppure i fondamenti del Cristianesimo. E in questa situazione di sfacelo, affermare con spirito da salotto chiuso ed esclusivo che bisogna ripartire dalla metafisica e da San Tommaso d’Aquino, spiegando in modo ostinato la sola pastoralità del Concilio Vaticano II, o sostenendo il concetto aberrante di «Messa di sempre» — ciò nel senso filosofico di aberatio intellectus —, il tutto riferito ad un Messale Romano dato da un Santo Pontefice nel XVI secolo, equivale a voler usare il XXXIII Canto del Paradiso per insegnare a leggere ed a scrivere a degli adulti giunti alla maggiore età in stato di totale analfabetismo, convinti che bisogna ripartire dall’Opera di Dante Alighieri per sconfiggere la piaga dell’analfabetismo. Il tutto nella cieca noncuranza che la struttura teologica del Canto conclusivo dei tre libri della Divina Commedia non è oggi compreso neppure da coloro che insegnano e che spiegano agli studenti l’Opera del Sommo Poeta, basti solo leggere certe spiegazioni al testo stampate sui libri ad uso scolastico, od entrare in un qualsiasi liceo mentre un insegnante offre assurde spiegazioni agli studenti che durante la lezione mandano SMS, inviano foto su Istagram o whatsapp con i telefoni cellulari sotto i banchi.

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terremoto dell’Irpinia del 1980, il trasporto delle salme da parte dei Vigili del Fuoco

Affermare con compiaciuto narcisismo che bisogna ripartire dalla metafisica e da San Tommaso d’Aquino, è come pretendere di dare ad un bimbo di un anno con gravi problemi di denutrizione una bistecca alla fiorentina come pasto. Da quale San Tommaso d’Aquino dobbiamo ripartire, dovendoci oggi confrontare con un numero elevato di presbiteri e di vescovi che mostrano di non conoscere più i fondamenti del Catechismo della Chiesa Cattolica, ed il cui parlare è tutto un brulicare di sociologismi mondani? Ma ci vogliamo rendere conto, che cosa esce dalle bocche dei preti e dei vescovi, quando oggi parlano di carità, di misericordia, di poveri in spirito? Nell’ipotesi migliore esce fuori del melenso e smidollato buonismo, ed a loro insaputa ― perché ormai bisogna parlare di ignoranza del tutto inconsapevole ―, dalle loro bocche escono delle terminologie che sono proprie del linguaggio illuministico e massonico, a partire dal concetto ambivalente e del tutto distorto di “solidarietà”, che per i frammassoni è puro ed esclusivo impegno filantropico nel sociale, esattamente ciò a cui oggi la Chiesa visibile ha ridotto il senso di carità svuotato della sua trascendenza cristologica e riempito di mondanità uomocentrica.

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In questione ― ed è bene puntualizzarlo a scanso di potenziali equivoci ―, non sono certo la scolastica e l’Aquinate, che ricordo sono due metodi, che come tali richiedono una solida base, una cultura di grado elevato, ma soprattutto un linguaggio ed un allenamento mentale e di concentrazione che oggi alla gran parte degli ecclesiastici stessi non è proponibile, perché non hanno né la formazione né i mezzi per affrontare il tutto. Quando infatti mancano purtroppo basi, cultura e linguaggio, come si può affermare in modo logico e ragionevole che bisogna volare in alto nel cielo? O si può forse chiedere ad un pollo di volare come se fosse un’aquila?

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terremoto dell’Aquila del 2009, i funerali delle vittime

La scolastica ed il tomismo, nel corso dell’ultimo mezzo secolo sono stati rasi al suolo da terremoti teologici di alta magnitudo innescati prima dal para-concilio dei teologi e poi dal post-concilio Vaticano II dei falsi interpreti. Ora, tutti noi dovremmo sapere che le violenti scosse sismiche di un terremoto ad alta magnitudo, in pochi minuti possono far crollare intere città. Una volta che questo è accaduto, per poi ricostruire quelle città non basteranno certo altrettanti pochi minuti, occorreranno decenni, perché sarà necessario ripartire pressoché da zero. Quando poi si tratta di città antiche completamente distrutte, come più volte avvenuto in Italia nel corso dei secoli, non sarà neppure possibile ricostruirle più o meno tal quali, perché certe antiche opere architettoniche non sono riproducibili, salvo dar vita a un falso antico od a maldestre riproduzioni, come per esempio la neo-scolastica decadente e lo pseudo tomismo. Sicché, affermare in certi salotti-ghetto che bisogna ripartire dalla metafisica e da San Tommaso d’Aquino, forse a certi soggetti onirici dà più eccitazione di quanta ne possa dare una conturbante immagine erotica ad un adolescente in preda a tempeste ormonali, ma per altro verso denota in qual misura costoro siano mossi da uno spirito irrazionale tale da renderli incompatibili con qualsiasi vera speculazione di tipo filosofico e teologico, certi e sicuri come sono di poter ricostruire nel tempo di un balletto città intere dopo un terremoto ad alta magnitudo che le ha rase al suolo; riedificandole semmai con quattro formulette ristagnanti della neo-scolastica decadente, che nulla hanno da spartire né con la scolastica né col tomismo. Detto questo si noti anche una cosa, i vari laici cattolici che si lanciano in diatribe internetiche sul rilancio della metafisica e di San Tommaso d’Aquino, se presi e tolti dal loro mondo onorico-telematico e posti dinanzi ad una platea, alla domanda a loro rivolta: «ci chiarisca il concetto di “ente” e di “essere”, di “sostanze” e di “accidenti”», farebbero scena muta. E questo lo affermo non perché lo immagino, ma perché l’ho più volte e ripetutamente sperimentato. Non è infatti un caso che questi leoni dietro gli schermi dei computer, fuggano ad ogni genere di confronto e di dibattito pubblico, non avendo mai studiato né la metafisica né il tomismo, seppure perversamente eccitati da queste due parole magiche, di cui non conoscono però la complessa essenza strutturale, che richiede prima la costruzione di solide basi, poi anni e anni di studio.

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Ascoli Piceno, terremoto del 2016, funerali delle vittime

Tutto questo ai grandi soloni non interessa, perché in essi prevale il narcisistico senso del piacere e dell’auto-compiacimento, certi e sicuri che peccaminosa e grave è solo la masturbazione fisica di un adolescente, non la pericolosa masturbazione mentale di certi adulti, incapaci di comprendere che anche a costo di umiliare il nostro essere intellettuale e conoscitivo, o le nostre capacità speculative filosofiche e teologiche acquisite e sviluppate in molti anni di studio e di lavoro, bisogna ripartire con l’annuncio degli elementi più basilari del Catechismo della Chiesa Cattolica, ed il tutto anche con esiti molto incerti, in una società che ormai ha sviluppata avversione sociale e politica verso il Cristianesimo. Il tutto mossi dalla dolorosa consapevolezza che nella società contemporanea, il sentire e gli stessi concetti di uomo e di natura, di vita umana e di etica, di famiglia e di rapporti umani, di legge e di diritto, sono del tutto antitetici ad ogni cristiano sentire e vivere. E se qualcuno, dinanzi a questa realtà, pensa davvero di ripartire dalla metafisica e da San Tommaso d’Aquino, in tal caso sarebbe bene far correre al più presto una autoambulanza e farlo trasportare legato dentro una camicia di forza presso il più vicino centro di igiene mentale. In caso contrario, il Cristianesimo sarà mutato in una speculazione intellettuale, estetica ed estetizzante, portata avanti per il piacere masturbatorio del proprio  egoistico “io” da persone che molto più e molto peggio dei modernisti e dei rahneriani da loro tanto criticati, hanno da tempo dimenticato di essere dei pastori in cura d’anime, non degli intellettuali da salotto che se le cantano e che se la suonano tra di loro in un mondo che non solo non li vuole ascoltare, ma che volendo anche compiere lo sforzo volenteroso di ascoltarli, non ha proprio più i mezzi intellettivi per comprendere questo genere di linguaggio.

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O sempre per dirla con un altro esempio concreto: sarebbe come se io, andando a far spesa al mercato della frutta in Campo dei Fiori a Roma, mi rivolgessi al venditore con questo linguaggio: «Buondì messer mio, niuno v’ha detto ch’eziandio tenete robe novelle d’alta bontade? Ordunque, pria largitemi queste leggiadre erbette, poscia questi frutti ubertosi». Sono pressoché certo che il fruttivendolo mi risponderebbe: «Caro Padre, io vendo erbe, ma se come sembra lei usa erbe da fumo di quelle che danno alla testa, allora deve andare a comprarle da un’altra parte». A quel punto potrei forse replicare dicendo … «Mio caro, lei ha frainteso e non ha capito: bisogna ripartire dalla lingua di Dante!». Ecco, questo è esattamente ciò che fanno gli abitanti del ghetto-estetico quando affermano che bisogna ripartire dalla metafisica e da San Tommaso d’Aquino e che per salvare il depositum ed il sensus fidei bisogna celebrare la «Messa di sempre» usando la magia del latino, posto che il latino è uno strumento di salvezza molto più efficace della assoluzione dei peccati attraverso il Sacramento della confessione o del Sacramento dell’unzione degli infermi dato alle persone che stanno per morire assieme alla prevista assoluzione plenaria. Detto questo aggiungo: chi pensasse che la fede unita alle opere salva, commette un grave errore: a salvare le anime sono il latino ed il Messale della cosiddetta «Messa di Sempre» di San Pio V.

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Sempre per spiegare che cosa accade quando si perde una lingua offro anche quest’altro esempio: quei grandi padri della democrazia e di quella non meglio precisata civiltà, tali tutt’oggi si credono i britannici, dopo avere depredato certi Paesi di tutto, di che cosa infine li privarono? Li privarono della loro lingua. E tutt’oggi, in India, per comunicare tra di loro gli indiani delle varie regioni sono costretti a parlare in lingua inglese. Naturalmente, il meglio di loro stessi, gli inglesi lo hanno dato con l’apartheid in Sud Africa al canto di God Save the Queen [Dio salvi la Regina]. E oggi, nella morente società inglese — nella cui capitale si rischia di essere accoltellati per strada da due bimbi di dieci anni —, gli stessi che sino a ieri tenevano in piedi il regime dell’apartheid in Sud Africa, sono capaci a spedirti nelle galere di Sua Maestà Britannica con accuse di razzismo o della sua variante tal è la cosiddetta omofobia, se osi esprimere che la loro icona pop Elton John, sposato con un uomo e con due bimbi comprati da degli uteri in affitto, farebbe gridare allo scandalo anche gli abitanti di Sodoma e Gomorra. Ma d’altronde, paradigma della società britannica sono i gabinetti dei loro locali pubblici, dove capita di trovare un cesso alla turca sul pavimento senza neppure un piccolo lavello per lavarsi le mani. Cosa questa che denota quanto certe persone siano sporche fuori e sporche dentro, ma pur malgrado convinte di essere i padri della civiltà, forse anche dell’igiene. Il tutto sebbene agli inizi del 2000, un gruppo di studenti italiani in soggiorno a Londra col progetto Erasmus, prelevò delle arachidi e delle patatine dai contenitori portati assieme alle birre ai tavoli di uno dei tanti pub di Londra, ed appena rientrati nella “sporca” ed “incivile” Italia le fecero esaminare da un laboratorio di analisi dell’Università di Bologna, con questo sorprendente risultato: quegli alimenti contenevano tracce di ben quattordici tipi di orine diverse … God Save the Queen !

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terremoto di Amatrice del 2016, funerali delle vittime

Questa è la nefasta opera portata a compimento nel corso dell’ultimo mezzo secolo: la distruzione del linguaggio ed il radicale sovvertimento del concetto stesso di umanità. Bisogna quindi insegnare di nuovo la lingua per comunicare, per dare all’uomo «un cuore nuovo» [cf. Ez 36,26-27. 26] e trasmettere i misteri della fede, consapevoli di quanto tempo occorra per ricostruire una città rasa al suolo da un violento terremoto. Solo dopo un lungo lavoro che impegnerà diverse generazioni, il quale richiederà anzitutto santi pastori in cura d’anime e autentici servitori della teologia, potremo tentare di dire: … e adesso proviamo a ripartire dalla metafisica e da San Tommaso d’Aquino. Qualsiasi autentico pastore in cura d’anime e qualsiasi autentico teologo che non sia un vanesio onanista narcisista raffermo nello stagno della propria ego-teologia, dovrebbe capire quanto sia urgente ripartire dalle basi più fondamentali, con buona pace del Jota Unum di Romano Amerio, delle rubriche e dei codicilli dei salottieri esclusivisti che tanto si piacciono quando nei loro circoli-ghetto parlano della purezza della vera dottrina o delle più alte speculazioni metafisiche, ma che nulla annunciano del mistero della Rivelazione e della Redenzione alla società neo-pagana di un mondo ormai in stato avanzato di decadenza. E con questa società e con questo mondo, gli esclusivisti salottieri della metafisica onirica condividono un grande elemento comune: il loro amore ed il loro compiacente annegamento nell’estetica decadente.

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A chi ancora avesse dubbi circa quanto ho sin qui affermato, procedendo su delle basi logiche che chiunque può smentire attraverso altrettanta e migliore logica, potrebbe bastare semplicemente mettere a confronto questo testo:

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da quando msidt, la mia vita è cambiata

xché xme tu6 qlc.

Per questo tvb tipe, xché 6Sxme.

MMT+ xché tu 6 il +.

T tel + trd, mi raccomando risp al cel 

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con quest’altro testo:

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Dicamus ergo resumentes et cetera. Praemisso prooemio, hic Aristotiles accedit ad tractatum huius scientiae. Et dividitur in partes tres. In prima determinat de felicitate, quae est summum inter humana bona perducens ad hoc considerationem felicitatis quod est operatio secundum virtutem. In secunda parte determinat de virtutibus, ibi, si autem est felicitas operatio quaedam secundum virtutem et cetera. In tertia complet suum tractatum de felicitate, ostendens qualis et quae virtutis operatio sit felicitas […] [16]

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la cattedrale di Messina ricostruita nel 1929 dopo il terremoto del 1908 che l’aveva rasa al suolo

… e messi a confronto questi due testi, vedremo e stabiliremo da dov’è più opportuno ripartire per riportare l’annuncio del Santo Vangelo agli uomini di un mondo sempre più cieco, sordo ed avverso a tutto ciò che è racchiuso nel Mistero della Rivelazione …

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Ecco perché noi Padri de L’Isola di Patmos anche a costo di “mortificare” il nostro cosiddetto “spirito intellettuale” e speculativo ―, abbiamo deciso di ripartire da quelle basi fondamentali che comportano un attento lavoro pedagogico che richiede anzitutto estrema chiarezza e una accurata spiegazione del senso delle parole. Non bisogna infatti dare mai nulla per scontato, con i tempi che corrono oggi. Quindi non si può menzionare, per esempio la parola transustanziazione, od i termini filosofici e teologici di sostanze e accidenti, senza spiegare in modo chiaro e semplice il preciso significato di questi termini [a titolo di esempio si rimanda a Giovanni Cavalcoli, O.P. QUI]. Tutto questo sempre nella triste consapevolezza che certi termini trasposti dal lessico filosofico classico al linguaggio teologico, oggi non sono compresi persino da un elevato numero di vescovi e di sacerdoti, per non parlare di certi laici messi a insegnare il catechismo ai nostri bimbi, od agli insegnati di religione nelle scuole.

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Ovviamente, di tanto in tanto, proseguiremo a scrivere articoli più lunghi e di taglio specialistico per la nostra pagina di Theologica, ma non certo limitandoci solo a questi scritti quasi sempre complessi, per quanto chiari, diretti perlopiù ad un pubblico più specialistico.

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Solo dopo che avremo ricostruito il linguaggio potrà infatti accadere che tra alcune generazioni i nostri posteri — quando noi saremo ormai corpi dissolti dentro le tombe e le nostre anime in soggiorno nel Purgatorio —, potranno provare a dire: adesso tentiamo di ripartire dalla metafisica e da San Tommaso d’Aquino.

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dall’Isola di Patmos, 29 aprile 2018  ―  Santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa 

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NOTE

[1] Mi sono innamorata di te

[2] Perché

[3] Per me

[4] Tu sei qualcuno

[5] Ti voglio bene ti penso

[6] Sei speciale per me

[7] Mi manchi tantissimo

[8] Tu sei il migliore

[9] Ti telefono più tardi.

[10] Rispondi al cellulare.

[11] Vengo dopo

[12] Ci vediamo.

[13] Tanto nobile d’animo e tanto piena di decoro è
la donna mia, quando rivolge ad altri il saluto,
che ogni lingua diviene, tremando, muta,
e gli occhi non hanno il coraggio di guardarla [Dante, La vita nova, XXI]

[14] Mi sono innamorata di te

[15] Tu sei il migliore

[17] San Tommaso d’Aquino, Liber I lectio IV.

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Sulla transustanziazione il Sommo Pontefice Francesco conferma la tradizione

SULLA TRANSUSTANZIAZIONE IL SOMMO PONTEFICE FRANCESCO CONFERMA LA TRADIZIONE

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Il Pontefice regnante, con le parole «perché e nel pane e nel vino ci sia Gesù» intende dire che Cristo viene nel pane e nel vino non per stargli accanto o entrargli dentro, come lo zucchero nel caffè, come credeva Lutero, ma per transustanziarlo, ossia per mutarlo nel suo corpo, sicché fare la Comunione non vuol dire mangiare del pane, sia pure alla presenza di Cristo, ma mangiare il corpo di Cristo.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

PDF  articolo formato stampa

 

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il Sommo Pontefice Francesco I durante una celebrazione eucaristica

All’Udienza del 7 marzo scorso [cf. QUI] il Santo Padre ha trattato della Preghiera Eucaristica della Santa Messa e, riferendosi alla formula della consacrazione eucaristica pronunciata dal celebrante, ha avuto le seguenti parole:

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«invochiamo lo Spirito perché venga, e nel pane e nel vino ci sia Gesù. L’azione dello Spirito Santo e l’efficacia delle stesse parole di Cristo proferite dal sacerdote, rendono realmente presente, sotto le specie del pane e del vino, il suo Corpo e il suo Sangue».

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Le parole del Papa a tutta prima potrebbero sembrar avere un senso luterano, ossia che la presenza reale del corpo di Cristo nell’Eucaristia sia da intendersi, come credeva Lutero, come presenza di Gesù nel pane. In tal caso, secondo Lutero, con la consacrazione il pane non viene mutato, ossia transustanziato nel corpo di Cristo, ma il pane resta pane e vi è solo la presenza di Cristo nel pane, sia pure dopo avere invocato la discesa dello Spirito Santo.

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il Sommo Pontefice Francesco I, celebrazione eucaristica

È necessario aprire un inciso per chiarire che in teologia dogmatica, nello specifico in dogmatica sacramentaria, col termine transustanziazione [dal latino, trans-substantiatio], si indica la conversione della sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo, della sostanza del vino, nella sostanza del Sangue di Cristo. Questo termine indica il passaggio di una sostanza in un’altra. Durante la celebrazione del Sacrificio Eucaristico, sebbene le specie del pane e del vino rimangano invariate nel loro colore e sapore — e questi sono indicati in linguaggio filosofico e teologico come cosiddetti “accidenti esterni” —, la sostanza, vale a dire l’elemento sostanziale, nonostante permangano le apparenze “accidentali” del pane e del vino si trasforma nel Corpo e nel Sangue di Cristo, realmente presente, vivo e vero, in corpo, anima e divinità.

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Il Papa, con le parole «perché e nel pane e nel vino ci sia Gesù» intende dire che Cristo viene nel pane e nel vino non per stargli accanto o entrargli dentro, come lo zucchero nel caffè, come credeva Lutero, ma per transustanziarlo, ossia per mutarlo nel suo corpo, sicché fare la Comunione non vuol dire mangiare del pane, sia pure alla presenza di Cristo, ma mangiare il corpo di Cristo.

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il Sommo Pontefice Francesco I, celebrazione eucaristica

Infatti il Concilio di Trento ha spiegato che la verità della presenza reale eucaristica suppone che, dopo le parole della Preghiera Eucaristica contenenti la cosiddetta formula consacratoria, il pane non sia più pane, ma corpo di Cristo [vedere QUI], come precisa subito dopo il Pontefice. Ciò vuol dire che la spiegazione cattolica e quella luterana della presenza reale non sono, come crede Andrea Grillo [vedere QUI], due possibili spiegazioni entrambe legittime, del fatto — che è ad un tempo dogma di fede — della presenza reale, perché si escludono a vicenda secondo il principio di non-contraddizione, per cui, se è vera l’una, non può esser vera l’altra, insomma: non possono esser vere entrambe simultaneamente.

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Qui infatti non si tratta di opinioni soggettive o di apparenze o di diversità di punti di vista, come sostiene Andrea Grillo. No. Qui c’è in gioco la verità oggettiva, che deve valere per tutti ed ha diritto al consenso di tutti e che rispecchia la realtà in sé così com’è; è quindi verità universale, una per tutti e valida per tutti.

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Lutero dice infatti che il pane resta pane. La Chiesa invece dice: il pane non è più pane. Lutero dice che Cristo è nel pane. La Chiesa, invece, come riporta il Papa dice che il pane non è più pane, ma corpo di Cristo. Ora, se è vera l’una proposizione, l’altra necessariamente è falsa. A meno che non distinguiamo più il sì dal no. Ma il Concilio di Trento ci ha detto qual è quella vera. Dunque, quella luterana è falsa.

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il Sommo Pontefice Francesco I, celebrazione eucaristica

Lutero, nello spiegare le parole di Cristo «questo è il mio corpo», le interpreta come se Cristo dicesse qualcosa di diverso da quello che effettivamente dice. Vediamo allora di giustificare l’assunto. È nota la sua teoria dell’impanazione o consustanziazione: Cristo non è sotto le specie del pane transustanziato nel corpo di Cristo, ma Cristo è nel pane ed insieme col pane. Quindi, sulla mensa non c’è solo il corpo di Cristo, ma ci sono il pane e il corpo di Cristo. Non una sostanza, il corpo di Cristo, bensì due: il pane e il corpo.

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Lutero cambia le parole di Cristo. Anziché «questo è il mio corpo», gli fa dire: «Io sono in questo pane». Si vede chiaramente che Lutero purtroppo rifiuta la distinzione fra sostanza e accidenti, che serve tanto utilmente ad accogliere il dogma della transustanziazione e quindi ad interpretare rettamente le parole del Signore, in particolare il «questo» [in greco τοῦτο, in latino  hoc].

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La tesi luterana di Cristo nel pane svuota del suo significato proprio ed originale il mistero eucaristico; non dice nulla, che non corrisponda a quel che è la presenza generale di Cristo in tutte le cose. Secondo Lutero, nell’Ultima Cena Gesù non avrebbe detto nulla di speciale o di nuovo rispetto a ciò che gli Apostoli sapevano già. Mangiando il pane consacrato da Cristo, essi non mangiarono il corpo di Cristo, ma semplicemente un pane nel quale Cristo era presente, così come Egli è presente nel cuore degli uomini giusti e in tutte le creature dell’universo.

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il Sommo Pontefice Francesco I, celebrazione eucaristica

Dunque quell’hoc non è più pane, ma non è ancora il corpo fino a che Cristo non terminò di pronunciare le parole della consacrazione. Nel momento in cui pronunciò quell’hoc, stava avvenendo la transustanziazione. Essa avvenne nel corso del parlare di Nostro Signore ed a causa delle sue parole. Così pure avviene nel corso del pronunciare le parole della consacrazione da parte del sacerdote mentre le pronuncia.

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Il Santo Padre ricorda poi giustamente ed opportunamente che il corpo del Signore è nascosto sotto le «specie» del pane. Che vuol dire «specie»? Non dobbiamo pensare alla “specie” nel senso biologico o logico. La parola, che deriva dal latino species, in questo caso significa “aspetto”, “sembianza”. Una cosa può avere l’aspetto di un’altra, per cui questa cela se stessa, la sua essenza o la sua sostanza sotto quell’aspetto. Per esempio, a Pentecoste lo Spirito Santo apparve sotto l’aspetto di lingue di fuoco [cf. At 2, 4-11], al battesimo di Cristo sotto l’aspetto di una colomba [cf.   Mt 3, 13-17].

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Bisogna però qui fare attenzione a che cosa la Chiesa intende dire con la parola specie. Non intende riferirsi ad un’apparenza o sembianza ingannevole, puramente soggettiva, come potrebbe essere un sogno, un’allucinazione o un’illusione ottica. Non è che l’ostia consacrata sembri bianca, rotonda e piccola, perché essa lo è in realtà. Lo è veramente, certamente ed oggettivamente. I sensi mantengono la loro veracità, non si tratta di vane apparenze; resta la verità sensibile. L’ostia è veramente bianca, rotonda e piccola. Questo è il senso della frase dei Padri: l’ostia sembra pane, ma non è pane: è il corpo del Signore. E dicendo “sembra” — come la Chiesa spiegherà successivamente — i Padri intendono: cogliere realmente la specie, anche se la sostanza del Corpo di Cristo resta nascosta ed è vista solo con gli occhi della fede.

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Volendo usare con prudente riserva il concetto kantiano di fenomeno, potremmo dire che il credente vede nell’ostia consacrata il fenomeno del pane, ma non vede la cosa in , ossia non vede il pane. Egli però sa che la cosa in sé, ossia la sostanza del pane, non c’è, ma che al suo posto c’è il corpo di Cristo. Certamente non sarà Kant, semplice filosofo, a dargli questa certezza, ma ovviamente è la fede. Tuttavia Kant, col concetto della cosa in sé, come Aristotele col concetto della  sostanza, può aiutarci a distinguere ciò che nell’ostia colgono i sensi da ciò che intende l’intelletto.

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Lo svantaggio di Kant rispetto ad Aristotele è che mentre per Aristotele la sostanza — in greco οὐσία, ousia   è intellegibile e concettualizzabile, ossia se ne può conoscere ed esprimere l’essenza, per Kant, invece, la cosa in sé esiste, è pensata [dal greco νοούμενον], ma non è conosciuta; quindi non può essere concettualizzata, perché per Kant il concetto speculativo coglie soltanto il fenomeno, per cui la sostanza, per Kant, non può essere un dato ontologico, ma è solo empirico o al massimo è un’esigenza logica della predicazione. È evidente allora che, con un simile concetto di sostanza, in Kant non si può parlare di transustanziazione.

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Occorre dire allora che la dualità kantiana fenomeno-cosa in sé per un verso aiuta a capire l’effetto della transustanziazione, ma per un altro è sviante. Aiuta, in quanto tale dualità dice apparizione al senso — il fenomeno — di qualità sensibili che suppongono una cosa in sé inattingibile dal senso, ma solo dall’intelletto [νοούμενον]. Il fenomeno, quindi, non è pura apparenza [Schein], ma manifestazione [Erscheinung] sensibile, oggettiva, certa e verace del reale.

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il Sommo Pontefice Francesco I, celebrazione eucaristica

Ma questa dualità, per un altro verso, non aiuta, perché essa implica una cosa in sé, che è certo reale [res Ding an sich] ed indipendente dal soggetto, ma inconoscibile in se stessa, della quale è fenomeno; ma il fenomeno offre all’intelletto un oggetto proprio, che non è la cosa in sé.

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Ora le specie eucaristiche rimandano sì ad una cosa in sé, che però per il credente non è affatto inconoscibile o imprecisabile, perché è il Corpo del Signore. Se vogliamo, potremmo dire che è inconoscibile alla pura ragione, ma non alla fede. Una semplice ragione come quella del non-credente, sarebbe convinta che dietro le apparenze del pane non c’è altro che il pane. Del resto, è normale per la ragione conoscere la sostanza invisibile e impalpabile mediante gli accidenti esterni visibili e palpabili.

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il Sommo Pontefice Francesco I, celebrazione eucaristica

È soltanto la fede che ci dice che dietro gli accidenti del pane non c’è il pane ma il corpo di Cristo. Sostenere dunque che dopo la consacrazione il pane resti pane, per quanto avvalorato dalla presenza di Cristo, vuol dire in ultima analisi non credere nelle parole del Signore. Il che vuol dire che la fede si salva solo ammettendo la transustanziazione.

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Restando invece nel quadro kantiano sappiamo bensì che sotto al fenomeno c’è la cosa in sé, che potrebbe far pensare alla sostanza. Senonché, come però abbiamo detto, per Kant la cosa in sé è bensì realtà sussistente, anzi certissima ed assoluta, distinta e indipendente dall’intelletto; ma, come è noto, è inconoscibile ed indeterminabile — c’è la “cosa”, non le cose — mentre per lui la sostanza, moltiplicabile e determinabile, è solo categoria a priori dell’intelletto, che vale solo per classificare i fenomeni e per la quale l’intelletto ha bisogno di un soggetto assoluto e fisso sottostante il divenire. Inoltre, quella che la Chiesa nel caso dell’Eucaristia chiama specie, corrisponde a ciò che in metafisica ed anche nel linguaggio comune si chiama accidente, proprietà ontologica aggiuntiva all’essenza delle cose, necessaria o contingente, inamissibile o amissibile, corruttiva o perfettiva, immancabilmente presente in tutte le realtà materiali e spirituali create. L’accidente può cadere sotto il senso come sotto l’intelletto. Esso concerne ciò che della cosa o di una realtà ci appare immediatamente, per così dire alla superficie, e che emana dall’intimo o dal profondo, o dal “cuore” della cosa, detti “sostanza”, che è ciò per cui un ente finito sussiste da sé e in sé, ciò che in logica è il soggetto predicante, che parla e del quale si parla ed al quale si attribuisce il predicato, che può essere o sostanziale o accidentale. Ma dell’accidente non si predica se non sostanzializzandolo. Essa è detta appunto “soggetto”, attraverso l’uso del termine greco ὑποκείμενον [ypokèimenon], di cui fa uso Aristotele e che alla lettera significa “stare sotto”; termine poi trasposto in latino — sub-iectum  per significare che essa soggiace o fa da supporto agli accidenti.

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Sostanza e accidenti

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il Sommo Pontefice Francesco I, celebrazione eucaristica

La sostanza [2] è l’ente completo in quanto sussistente ed agente secondo la sua essenza o natura specifica [sostanza seconda] o individuale [sostanza prima]. La sostanza può essere naturale o artificiale, l’artefatto, opera della tecnica o dell’arte. Quella naturale è creata da Dio ed è formata da un’unica forma sostanziale, per esempio la forma della sostanza chimica e l’anima dei viventi. Quella artificiale è prodotto dell’uomo ed è un insieme o composto ordinato di parti di sostanze diverse. L’ostia è una sostanza artificiale.

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Esigenza profonda ed essenziale dell’intelletto è conoscere la sostanza delle cose, al di là degli accidenti magari caduchi ed effimeri, oggetto dei sensi. La sostanza è ciò che nell’ente e nel reale vi è di più consistente, di più importante, di più interessante per l’intelletto, il quale solo, e non il senso, sa cogliere la sostanza. Certo, per una conoscenza precisa e soprattutto storica e concreta, occorre conoscere anche gli accidenti, soprattutto quelli essenziali e inamissibili. Invece, nel sapere scientifico, dove interessa conoscere l’universale, conoscere l’essenziale e il fondamentale, la conoscenza dell’accidentale è di scarso interesse. Conosciamo la sostanza per il tramite degli accidenti, perché la sostanza si apprende nei suoi accidenti.

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La sostanza del pane è il pane. Ma è chiaro che quando si dice il “pane”, s’intende il pane coi suoi accidenti. Tuttavia, la sostanza del pane è realmente distinta dai suoi accidenti, anche se normalmente la sostanza sta coi suoi accidenti e questi ineriscono alla loro sostanza. La sostanza non può rimanere, di norma, senza i suoi accidenti.

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Nella transustanziazione, quindi, la sostanza del pane non resta da sola, non è annullata, come infatti insegna il dogma tridentino [3] «si converte totalmente nella sostanza del corpo di Cristo». Solo questa sostanza del corpo di Cristo non ha i suoi accidenti, perché va intesa non nel senso della sostanza del corpo di Cristo risorto e asceso al cielo, laddove soltanto ha i suoi accidenti — ossia il suo corpo glorioso che porta sempre impressi su di di esso i segni della passione —, ma è, per la potenza divina, pura sostanza esente dagli accidenti [per modum substantiae].

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il Maestro e Custode della fede in cattedra

Per questo, il corpo di Cristo presente a modo di sostanza nel Santissimo Sacramento è indipendente dal luogo, dallo spazio e dal tempo, e può quindi essere presente in tutti i tabernacoli della terra fino alla fine del mondo. Infatti, luogo, tempo e spazio sono accidenti della sostanza. Quanto agli accidenti eucaristici del pane e del vino, è da ricordare che Dio onnipotente, creatore della sostanza e degli accidenti, fa sì che essi esistano senza la loro sostanza, sostenuti nell’essere da Lui. Ed è appunto quanto avviene nell’Eucaristia.

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Siccome nel Santissimo Sacramento restano gli accidenti eucaristici, e questi accidenti entro breve tempo o per vari motivi si corrompono, all’atto della corruzione, viene meno la presenza reale, perché vengono meno gli accidenti del pane e del vino, sotto i quali c’è la presenza reale.

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Nel momento della consacrazione eucaristica avvengono dunque tre miracoli, che solo gli occhi della fede possono vedere: primo, la transustanziazione; secondo, Dio sostiene gli accidenti eucaristici privi della loro sostanza; terzo, Dio dispensa dal possesso dei propri accidenti la sostanza del corpo di Cristo Risorto sotto le specie eucaristiche.

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Ecco perché sul Corpo e il Sangue di Cristo, realmente presente dopo la Preghiera Eucaristica in anima, corpo e divinità, il Popolo di Dio acclama: mistero della fede! Annunciando la morte di Cristo e proclamando la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta.

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Varazze, 28 aprile 2018

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NOTE 

[1] Synopsis theologiae dogmaticae specialis, Desclée et Socii, Romae-Tornacii-Pariis, 1908, vol.II, p.339.

[2] Due trattati magistrali sulla nozione metafisica di sostanza: Tomas Tyn, O.P, Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009; M.-D.Philippe,OP, L’être. Recherche d’une philosophie première,Téqui, Paris 1972.

[3] Denz.1642.

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Da Lucio Battisti a Giovanni Battista, la Chiesa allo sbando: «Confusione, mi dispiace, se sei figlia della solita illusione e se fai confusione»

DA LUCIO BATTISTI A GIOVANNI BATTISTA, LA CHIESA ALLO SBANDO: «CONFUSIONE, MI DISPIACE, SE SEI FIGLIA DELLA SOLITA ILLUSIONE E SE FAI CONFUSIONE» 

La confusione sta caratterizzando la vita della Chiesa visibile, noi Padri de L’Isola di Patmos da anni ne scriviamo e chissà per quanti altri anni proseguiremo a scriverne, il tutto nella consapevolezza che oggi, l’esperienza di fede, è costretta a muoversi e purificarsi in due spazi ben precisi: il deserto e le catacombe.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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PDF  articolo formato stampa

 

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Lucio Battisti, foto di repertorio

Nel mondo delle varie arti, ci sono opere che possono trasmettere percezioni e stimoli diversi da un tempo all’altro. Caratteristica delle espressioni di vera arte è di parlare attraverso il tempo, ciò vale per la letteratura e per il teatro, la pittura e la musica. Lo stesso vale anche per i nostri sensi, in particolare per gusto e olfatto, non è infatti raro che col correr del tempo dei cibi che venivano rifiutati, per esempio nel periodo dell’infanzia, divengano in seguito molto graditi e apprezzati, o viceversa; similmente può accadere che delle essenze aromatiche che una volta piacevano, in futuro diano invece fastidio, o viceversa.

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Difficilmente ascolto la musica leggera, benché consapevole che l’Italia ha donato al mondo alcuni tra i più celebri cantautori, specie tra gli anni Sessanta e Ottanta del Novecento. Molte le canzoni dei nostri autori tutt’oggi diffuse a distanza di decenni, tradotte in numerose lingue e conosciute dal pubblico mondiale. E tra questi autori di talento, spicca Lucio Battisti. Così, ascoltando per caso la canzone «Confusione», invece di ripensare ai tempi della mia fanciullezza ―  dato che quando i miei cugini allora ventenni la cantavano io avevo nove anni, correndo all’epoca l’anno 1972 ―,  sono stato indotto ad una riflessione tutta teologia. La frase che mi ha acceso la cosiddetta “lampada” sulle parole di questa canzone è stata quella del ritornello:

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«Confusione, mi dispiace, se sei figlia della solita illusione e se fai confusione. Confusione, tu vorresti imbalsamare anche l’ultima più piccola emozione» [cf. video QUI, testo QUI]. 

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Lucio Battisti, foto di repertorio

La confusione sta caratterizzando la vita della Chiesa visibile, da anni ne scrivo e chissà per quanti altri proseguirò a scriverne, nella consapevolezza che oggi, l’esperienza di fede, è costretta a muoversi e purificarsi in due spazi precisi: il deserto e le catacombe.

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Partiamo dall’immagine del deserto, che nell’esperienza di fede non è solo un territorio, ma un preciso spazio metafisico che emerge nell’Antico Testamento, acquisendo poi un senso proprio nel Nuovo Testamento. Il deserto che l’antico Popolo d’Israele deve percorrere, segna un cammino di fede verso la speranza di una terra promessa da Dio. Gli spazi silenti e sconfinati, aiutano a percepire quanto il deserto sia un luogo di grazia e di incontro con Dio che si prende cura dell’uomo [cf. Dt 2,7]. Attraverso quelle azioni di grazia sanante e salvifica accolte dall’uomo in ascolto, Dio muta il deserto da situazione di pericolo e di morte in un luogo di salvezza e di rinascita della vita, sino a renderlo una terra fruttuosa [cf. Is 35,1.7].

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Nel Nuovo Testamento il deserto è il luogo dal quale il Precursore, Giovanni il Battista, prepara la strada al Signore, che è anzitutto via di conversione: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: “Preparate la via del Signore”, come disse il profeta Isaia» [Gv 1, 22-23]. E nel deserto, lo stesso Verbo di Dio fatto uomo, Cristo Signore, provò quelle tentazioni che in quegli stessi spazi desertici l’antico Popolo d’Israele non seppe invece vincere. Sconfiggendole, Egli mostra in che modo le insidie di Satana vadano superate attraverso l’ascolto e l’obbedienza nella fede, mutandoci in docili strumenti guidati dalla Parola di Dio che parla, apre e spazza via le sabbie dei deserti delle nostre anime.

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Lucio Battisti, foto di repertorio

Se il deserto spirituale è il luogo silenzioso nel quale la fede si accresce ed è benedetta dai doni di grazia, le moderne catacombe sono il luogo nel quale la fede si sviluppa, si manifesta e si trasmette. Quelle moderne alle quali siamo chiamati, od a volte costretti, non sono più le catacombe romane dei primi cristiani perseguitati, perché il concetto di catacomba e di persecuzione è mutato nella sua forma accidentale esterna, anche se poi, nella sostanza, la persecuzione rimane sempre la stessa. Oggi, chi conserva la fede e la vive, non è più gettato tra le belve del Colosseo durante i grandi giochi, ma ucciso dall’indifferenza del nuovo paganesimo decadente, il tutto con una differenza di non poco conto: ciò non avviene più al di fuori della Chiesa, ma dentro la Chiesa, perché quando il mondo non ci reputa neppure più meritevoli di essere sbranati, tanto ci reputa invece ridicoli, sprofondati come siamo «nella satira che tutto quanto annega nel ridicolo» [cf. mio precedente articolo, QUI], a quel punto cominciamo a sbranarci tra di noi, ignari che il Beato Apostolo Paolo ci ammonisce: «Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!» [Gal 5,15]. Per ciò le catacombe non sono più luoghi nascosti, avvolti dal silenzio e dal buio; le nostre catacombe moderne sono in mezzo alla confusione generata da un uomo che vive di effimere illusioni, dopo avere dichiarato che Dio è morto. Sono queste le parole pesanti e in parte profetiche che Friedrich Nietzsche esprime nella Parabola del folle: «Gott ist tot! Gott bleibt tot! Und wir haben ihn getötet!» [Dio è morto! Dio resta morto! E noi l’abbiamo ucciso!]. E sulla “morte di Dio” l’uomo ha imbalsamato il feticcio del superuomo, tanta è la sua paura della morte, da sempre temuta da coloro che sono completamente privi di fede, di speranza e di carità.

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Il nostro deserto metafisico e le nostre moderne catacombe, sorgono nel rumore di un mondo in confusione generato da illusioni; e se all’uomo che ha ucciso Dio e che oggi si sente fieramente libero di Dio qualcuno osa toccare i feticci delle sue grandi illusioni, ecco che egli le imbalsamerà, perché chiunque è privo di una prospettiva eterna, tenta sempre di difendersi dalle proprie paure cristallizzando il presente nel museo delle moderne mummie egizie.

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Lucio Battisti, foto di repertorio

Le due opposte sponde costituite dai cosiddetti tradizionalisti lefebvriani e per contro dai cosiddetti progressisti di marcata radice modernista e filo-luterana, nella loro antitetica diversità costituiscono il letto del fiume che raccoglie il correre delle acque stanche e inquinate della Chiesa visibile, il flusso delle quali dovrebbe essere mosso dalla purezza della grazia, non dai rifiuti tossici. Ecco allora che, la prima sponda, vorrebbe mummificare un passato che non deve passare; un passato che spesso non è neppure mai esistito, poiché frutto delle loro fantasie, in nome di una «conservazione senza progresso» [cf. Giovanni Cavalcoli, O.P, QUI]. La seconda sponda, che mira ad un «progresso senza conservazione» [cf. Giovanni Cavalcoli, O.P, supra], vorrebbe invece paralizzare per sempre un presente che non deve passare ed evolvere, rendendo di fatto statica la vita di un Corpo Mistico formato da un Popolo in cammino che con Cristo suo capo e noi membra vive dà vita alla Chiesa pellegrina sulla terra. Ecco quindi che a quel punto, la Chiesa visibile, da fiume di grazia si muta in un fiume morto.

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Il Verbo di Dio è stato chiaro e di una chiarezza senza tempo, perché la sua verità è eterna, contenendo al proprio interno la vita eterna stessa [cf.  Gv 3,36]. E con chiarezza Egli ci ha avvisati: «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia» [Gv 15, 18]. Esattamente come odiò Giovanni il Battista, che dinanzi alle opere del Prìncipe di questo mondo [cf. Gv 16,11], non tentò di mediare in alcun modo, ma con chiara decisione intimò ad Erode: «Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello» [Mc 6,18]. Il seguito della storia è noto, val però la pena ricordarla: «[…] Per questo Erodìade gli portava rancore e avrebbe voluto farlo uccidere […] Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un banchetto per i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea.  Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla ragazza: “Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò”. E le fece questo giuramento: “Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno”. La ragazza uscì e disse alla madre: “Che cosa devo chiedere?”. Quella rispose: “La testa di Giovanni il Battista”. Ed entrata di corsa dal re fece la richiesta dicendo: “Voglio che tu mi dia subito su un vassoio la testa di Giovanni il Battista” […] Subito il re mandò una guardia con l’ordine che gli fosse portata la testa» [Mc 6, 19-27].  

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Lucio Battisti, foto di repertorio

Mostrando sino alla morte di essere di Cristo e non del mondo, consapevole che essere di Cristo può comportare essere odiati dal mondo, il Battista si guardò dal mediare in modo accomodante tra Erode ed Erodiade, né omise di dire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è morale e ciò che è immorale. Che dire: forse oggi il Battista sarebbe considerato poco accogliente e per nulla includente, troppo rigorista e poco misericordioso, insomma, una sorta di vero e proprio proto-pelagiano reso arido dalle sabbie del deserto, dal miele selvatico e dalle locuste di cui a lungo si era cibato, un arido idolatra della legge …

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Dall’esperienza del Battista passiamo adesso alle parole del Battisti per capire qual è quella «illusione» che nella Chiesa visibile genere «confusione», sino a spingerla a cercare il plauso del mondo, anziché il suo odio, costasse pure come prezzo la nostra testa deposta su un vassoio dopo una danza di Salomè, per il capriccio satanico di Erodiade.

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Lucio Battisti, foto di repertorio

La «figlia della solita illusione» che fa «confusione» nasce dalla odierna incapacità di distinguere la singola persona, non di rado buona, da aggregazioni religiose, politiche o ideologiche contenenti al proprio interno errori gravi e pericolosi. Procediamo allora con gli esempi per meglio chiarire: sono io il primo ad avere ottime relazioni con singoli musulmani dotati di bontà, umanità e rispetto per il prossimo, con i quali è per me un piacere intrattenere relazioni. Ciò non può spingermi però ad un pericoloso errore: confondere il singolo scisso dal gruppo, con quelli che sono gli errori ed i pericoli contenuti nella struttura stessa dell’Islam, che non prende vita da un uomo di Dio, ma dal falso profeta Maometto. Detto questo non va dimenticato un altro passaggio di non poco conto: quando in certi periodi storici, anche recenti, in alcuni Paesi arabi furono scatenate persecuzioni contro le minoranze costituite da ebrei e cristiani, è accaduto che alcuni singoli si siano preoccupati di mettere in salvo loro amici ebrei e cristiani, però è anche accaduto che altri, sino a poco prima amici sinceri, abbiano invece denunciato dove erano stati nascosti, perché al momento in cui è stato scatenato l’odio, in loro non ha prevalso né il senso di umanità né l’amicizia, ma da una parte lo spirito tribale, dall’altra l’assoggettamento collettivo alle autorità religiose e politiche; e come la storia ci insegna e ci documenta, questi secondi hanno sempre costituito le grandi maggioranze, lo documenta soprattutto il numero dei morti, perché per fare molti morti occorrono molti carnefici e intere popolazioni che dei carnefici si fanno complici.

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Qualcuno pensa forse che io non intrattengo relazioni con esponenti del Protestantesimo, diversi dei quali molto più amabili e degni di tanti cattolici di mia conoscenza, in particolare di certi miei confratelli sacerdoti? Questo non può indurmi però ad un errore clamoroso, tale sarebbe il trasferire qualità umane e bontà del singolo su quella corrente scismatica ed ereticale che è il Protestantesimo. Infatti, che io conosca e sia in sinceri rapporti di amicizia con diversi singoli degni luterani, non implica che in modo irragionevole, surreale ed emotivo, mi metta a proclamare degne e buone le velenose eresie di Martin Lutero e dei suoi seguaci, o peggio a conferire a questo eresiarca il titolo di «riformatore» e di persona «animata da buone intenzioni».

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Lucio Battisti, foto di repertorio

Qualcuno pensa forse che io non abbia amici, anche molto cari, colmi di premure verso le loro mogli ed i loro figli, sinceri e fedeli con gli amici, con due divorzi alle spalle ed uno stile di vita totalmente opposto a ciò che sono i valori della vita cristiana? Certo che ho e che frequento questo genere di amici, ma la bontà del singolo non può portarmi però ad approvare e dichiarare buone e giuste certe condotte di vita immorali e dissolute.

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Qualcuno pensa forse che sin dalla giovinezza, specie frequentando certi ambienti della cosiddetta alta società, io non abbia conosciuto un fitto esercito di omosessuali, disseminati tra l’ambito della vecchia aristocrazia, del mondo delle arti e delle libere professioni, diversi dei quali ricolmi di amabilità, simpatia e premure umane? Certo, che li ho conosciuti. E di molti conservo anche teneri ricordi, ma ciò non può indurmi a definire la pratica dell’omosessualità come una «naturale variante delle sessualità umana», meno che mai giuste le istanze delle lobby gay, né definire legittima la estensione del matrimonio alle coppie dello stesso sesso, alla adozione dei figli da parte di queste coppie o peggio all’acquisto da parte di certi egoisti ricchi&ricchioni di bambini comprati da uteri in affitto. Nel modo gay non si può credere che con i soldi chiunque possa permettersi davvero tutto, salvo scatenare per reazione la gaia e feroce caccia alle streghe contro chiunque osi dissentire dagli agguerriti e politicizzati lobbisti di Sodoma&Gomorra, per i quali la altrui libertà di espressione e di dissenso, finisce dove costoro pretendono di imporre il proprio egoismo assieme alla loro cultura di morte a suon di schiaffi mollati al diritto naturale, con uno spirito spesso degno di una vera e propria gaystapo. Vorrei infatti fosse chiaro che due ricchi&ricchioni, tipo Elton John ed il suo marito-moglie o moglie-marito, che si acquistano due bimbi da degli uteri in affitto, non segnano il trionfo della vita, ma il trionfo della cultura della morte dell’uomo, della società e di una intera civiltà. E se io affermo questo, non è perché sono insensibile e disumano, ma perché seguo l’esempio del Battista, a cui riguardo, Cristo Dio, non affermò affatto “Ah, quant’era rigorista, poco misericordioso e proto-pelagiano”, ma su di lui disse: «Io vi dico, tra i nati di donna non c’è nessuno più grande di Giovanni […]» [Lc 7,28].

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Salomè con la testa di Giovanni il Battista, opera di Guido Reni

Con questo credo di avere illustrato, dal Battisti al Battista, l’errore venefico che ormai da decenni ha infettato la Chiesa visibile, ridotta ad un fiume che corre mosso da acque inquinate e tossiche: l’errore è di non distinguere più il peccato dal peccatore, l’errore dall’errante. Il peccato, come l’errore, ancor più l’eresia, vanno decisamente e duramente condannati, sempre, senza mai nutrire alcuna paura verso questo mondo ed i suoi figli. Diversamente invece, il peccatore e l’errante, vanno accolti e invitati nel nostro deserto, per poter udire la voce della Parola di Cristo e preparare  ad esso le strade, dopo essersi purificati dalla lordura del peccato.

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Negli ultimi anni la Chiesa visibile ha scelto invece di piacere al mondo, negando in tal modo l’essenza stessa del Vangelo, «imbalsamando» nel mondo e col mondo anche «la nostra ultima più piccola emozione», come canta il Battisti, mentre la testa del Battista è sempre lì, come eterno monito sopra un vassoio, mentre la Chiesa visibile sempre più sfigurata oggi è applaudita dai suoi più feroci e peggiori nemici di sempre, che applaudono alla sua auto-distruzione interna, al suo essere precipitata nella satira decadente, mentre quella grandissima mignotta di Erodiade continua a vendere a caro prezzo le danze di sua figlia Salomè, che non è come la tenera ragazza della canzone «Balla Linda» del Battisti: «Ti cerco e tu mi dai quel che puoi, non fai come lei, no non fai come lei, tu non prendi tutto quello che vuoi» [cf. QUI e QUI]. Erodiade vuole prendersi tutto, perché a muoverla è il Prìncipe di questo mondo, colui che «è stato precipitato, l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte» [Ap 12,10], ma che è stato vinto «per mezzo del sangue dell’Agnello e grazie alla testimonianza del loro martirio; poiché hanno disprezzato la vita fino a morire» [Ap 12, 11].

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«Confusione, mi dispiace, se sei figlia della solita illusione e se fai confusione. Confusione, tu vorresti imbalsamare anche l’ultima più piccola emozione» [cf. video QUI, testo QUI]. 

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dall’Isola di Patmos, 26 aprile 2018

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Escatologia della morte: fine e inizio eterno

—  i nostri video

ESCATOLOGIA DELLA MORTE: FINE E INIZIO ETERNO

«Noi fermamente crediamo e fermamente speriamo che, come Cristo è veramente risorto dai morti e vive per sempre, così pure i giusti, dopo la loro morte, vivranno per sempre con Cristo risorto, e che egli li risusciterà nell’ultimo giorno»

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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I Padri de L’Isola di Patmos durante le video-riprese nel Convento dei Padri Domenicani di Varazze

In questa nuova video-lezione il teologo domenicano Giovanni Cavalcoli affronta il tema della morte.

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Dal Catechismo della Chiesa Cattolica [n. 988-989]: Il Credo cristiano – professione della nostra fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, e nella sua azione creatrice, salvifica e santificante – culmina nella proclamazione della risurrezione dei morti alla fine dei tempi, e nella vita eterna. Noi fermamente crediamo e fermamente speriamo che, come Cristo è veramente risorto dai morti e vive per sempre, così pure i giusti, dopo la loro morte, vivranno per sempre con Cristo risorto, e che egli li risusciterà nell’ultimo giorno. Come la sua, anche la nostra risurrezione sarà opera della Santissima Trinità:

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«Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» [cf. Rm 8,11]. 

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  [segue il video …

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dall’Isola di Patmos, 26 aprile 2018 

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PER APRIRE IL VIDEO CLICCARE SULL’IMMAGINE 

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Canale You Tube de L’Isola di Patmos

Canale cattolico Gloria Tv 

Audio in formato MP3

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25 aprile Festa della Liberazione: «Preghiera per L’Italia del Santo Padre Giovanni Paolo II»

 

 

PREGHIERA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
PER L’ITALIA

O Dio, nostro Padre, 
ti lodiamo e ringraziamo. 
Tu che ami ogni uomo e guidi tutti i popoli 
accompagna i passi della nostra nazione, 
spesso difficili ma colmi di speranza. 
Fa’ che vediamo i segni della tua presenza 
e sperimentiamo la forza del tuo amore, che non viene mai meno. 
Signore Gesù, Figlio di Dio e Salvatore del mondo
fatto uomo nel seno della Vergine Maria, 
ti confessiamo la nostra fede. 
Il tuo Vangelo sia luce e vigore 
per le nostre scelte personali e sociali. 
La tua legge d’amore conduca la nostra comunità civile 
a giustizia e solidarietà, a riconciliazione e pace. 
Spirito Santo, amore del Padre e del figlio 
con fiducia ti invochiamo. 
Tu che sei maestro interiore svela a noi i pensieri e le vie di Dio. 
Donaci di guardare le vicende umane con occhi puri e penetranti, 
di conservare l’eredità di santità e civiltà 
propria del nostro popolo, 
di convertirci nella mente e nel cuore per rinnovare la nostra società. 
Gloria a te, o Padre, che operi tutto in tutti. 
Gloria a te, o Figlio, che per amore ti sei fatto nostro servo. 
Gloria a te, o Spirito Santo, che semini i tuoi doni nei nostri cuori. 
Gloria a te, o Santa Trinità, che vivi e regni nei secoli dei secoli. 
Amen.

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IOANNES PAULUS PP. II

15 marzo 1994 

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Che cosa sta accadendo al Sommo Pontefice Francesco? Mai come oggi Satana aveva insidiato il Papato

CHE COSA STA ACCADENDO AL SOMMO PONTEFICE FRANCESCO? MAI COME OGGI SATANA AVEVA INSIDIATO IL PAPATO

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Non si può escludere, al riguardo, che Papa Francesco attualmente sia tentato dal Demonio, maestro di quella superbia che porta all’eresia. Ciò potrebbe spiegare i frequenti richiami del Papa alla lotta contro il Demonio, cosa inusuale nei Papi, almeno degli ultimi secoli, soprattutto per le istruzioni concrete che il Pontefice impartisce, cosa che fa pensare che egli parli per esperienza diretta. Ciò è particolarmente notevole nell’Esortazione Apostolica Gaudete et exultate.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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PDF  articolo formato stampa

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Illustrazione da Lucifero. Poema di Mario Rapisardi. IV Edizione illustrata da 40 disegni di Gino De’ Bini. Roma, Edoardo Perino editore, 1887

Se una persona che stimiamo e amiamo comincia a dar segni di infedeltà nei confronti di quei valori per i quali la stimiamo e la amiamo, ovviamente non possiamo non preoccuparci, domandarci da cosa può dipendere questa decadenza e cosa possiamo fare per rimediarvi. Sentimenti simili proviamo noi cattolici nei confronti del Santo Padre, che con un certo crescendo, dà segni preoccupanti di non compiere il proprio dovere di Sommo Pastore della Chiesa.

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Comportamento e idee di Papa Francesco oggi piacciono a grandi folle, pastori e teologi attaccati a questo mondo e ad un cattolicesimo sedicente progressista, ma in realtà modernista, nonché ad ambienti non cattolici.  

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Non che il Papa insegni l’eresia, ma tuttavia egli cammina sul ciglio del burrone. Ma che cosa gli è successo? La risposta è semplice: si è lasciato prendere dal gusto del potere. Tutto il mondo, quindi, sembra dover dipendere dalla sua parola e dalla sua volontà. I suoi fans vorrebbero convincerlo che non c’è dogma, non c’è sacramento, non c’è tradizione, non c’è legge morale, non c’è istituzione della Chiesa e dello Stato, che egli non possa cambiare a sua volontà, ritenendosi sempre sotto l’influsso dello Spirito Santo.

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Un caso mai successo nella storia della Chiesa

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Lucifero, disegni di Gino De’ Bini

Ma dov’è il Papa custode, interprete e difensore del deposito della fede, supremo annunciatore del Vangelo, Sommo Sacerdote dispensatore dei sacramenti, zelante padre, giudice e medico delle anime, guida nelle vie della santità verso il regno dei cieli, garante dell’ordine, del diritto, della giustizia, della libertà, del progresso e della pace nella Chiesa, luce delle genti e salvezza del mondo?

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Non si può escludere che Papa Francesco sia tentato dal Demonio, maestro di quella superbia che porta all’eresia. Ciò potrebbe spiegare i frequenti richiami del Papa alla lotta contro il Demonio, cosa del tutto inusuale nei Sommi Pontefici, almeno degli ultimi secoli, soprattutto per le istruzioni concrete che il Pontefice impartisce, cosa che fa pensare che egli parli per esperienza diretta. Ciò è particolarmente notevole nell’Esortazione Apostolica Gaudete et exultate [testo QUI].

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In realtà è mia convinzione che mai nella storia Satana abbia sferrato contro il papato un attacco così violento e insidioso, e proprio riguardo l’ufficio più importante del Papa, che è la custodia della dottrina della fede. Tale attacco contro Papa Francesco è il culmine di un’azione che Satana ha istigato nella Chiesa a partire dall’immediato post-concilio, col suscitare un rinnovato modernismo, soprattutto nel rahnerismo, sotto pretesto del rinnovamento conciliare. 

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Lucifero, disegni di Gino De’ Bini

E così il potere delle tenebre ha ingannato l’episcopato, instillando in esso la illusoria convinzione che non fosse più necessario vigilare contro le eresie, e che il tempo delle eresie e della loro relativa condanna fosse cessato grazie al clima di dialogo avviato dal Concilio ed alla messa in opera della raccomandazione di San Giovanni XXIII di cercare ciò che unisce e non ciò che divide. Senonché, tale utile avviso, che serve a creare la pace e la concordia, fu inteso come invito a disinteressarsi delle eresie, dalle quali appunto nascono le divisioni. L’esortazione del Santo Pontefice a non dividere fu intesa come incitamento a non tener conto e quindi a non eliminare ciò che divide.

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In tal modo il rinato modernismo, non represso per tempo dai vescovi, in questi cinquant’anni si è accresciuto continuamente, fino a penetrare negli anni Ottanta nelle Facoltà Pontificie e, con Papa Benedetto XVI, nella stessa Santa Sede. In questo periodo di tempo il papato si è visto progressivamente eroso e indebolito nella lotta al modernismo per il mancato appoggio dei vescovi, tra i quali cominciò a penetrare l’astuto rahnerismo, finto sostenitore dell’episcopato, mentre in realtà lo mette contro il Papa e lo asservisce alle voglie del laicato. In tal modo, nonostante il valente Cardinale Josef Ratzinger alla Congregazione per la dottrina della fede, critico personalmente di Rahner, questa stessa Congregazione non ebbe mai la forza di condannarlo. Solo San Giovanni Paolo II nel 1993 nell’enciclica Veritatis Splendor [nn. 65-67, testo QUI] riuscì a condannare la sua dottrina morale, ma solo la sua dottrina morale.

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Un Papa peccatore ma non eretico

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Lucifero, disegni di Gino De’ Bini

Diciamo però con chiarezza: non può verificarsi il caso di un Papa eretico. Qualunque cattolico, dal Segretario di Stato in giù può essere eretico, all’infuori del Papa. L’esistenza, quindi l’essenza della Chiesa, sacramento universale di salvezza, nella sua propria immutabile ed indistruttibile identità e santità voluta e garantita da Cristo, dipende originariamente in ultima istanza dall’insegnamento dogmatico del Papa. Per questo il Concilio di Firenze del 1442 insegna che chi disobbedisce o si ribella al Papa va all’Inferno. Non aveva torto Bonifacio VIII nel dire che l’autorità del Papa è la suprema fra tutte quelle che esistono nella terra, comprese quelle temporali, in forza del detto di Cristo «ogni potere mi è stato dato in cielo e in terra» [Mt 28,18].

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Al riguardo, però, un Pontefice può peccare di temporalismo o attaccamento al potere in due modi: o con la pretesa di dirigere politicamente dall’alto del suo potere spirituale gli affari temporali, intromettendosi in essi e togliendo ai governanti politici la loro autonomia, oppure impostando l’intero ministero pontificio su di una linea meramente temporale o politica, o al massimo antropologica, lasciando in ombra il ministero apostolico e spirituale. E questo, purtroppo, è il difetto di Papa Francesco.

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Lucifero, disegni di Gino De’ Bini

Non è mai successo in tal misura nella storia della Chiesa sia la presenza in essa di eretici che restano impuniti, sia la persecuzione dei fedeli da parte di queste correnti ereticali occupanti posti di potere. Certo nella Chiesa gli eretici ci sono sempre stati, ma essi venivano regolarmente espulsi o essi stessi dichiaravano francamente di non considerarsi più cattolici.

Il Papa non dovrebbe offendersi per le critiche a lui rivolte. Volendo rifarsi, sembra, all’esempio di Cristo, che venne criticato dai farisei, egli con troppa facilità si sente in ciò simile a Cristo considerando senz’altro farisei quelli che lo criticano e giunge quasi a vantarsi di esser criticato. Sì, certo, c’è un certo farisaismo nelle critiche che gli fanno alcuni. Tuttavia, egli dovrebbe saper distinguere le critiche malevole basate su ingiusti pregiudizi nei suoi confronti, da quelle giuste e ragionevoli, delle quali invece dovrebbe tener conto, per non mostrarsi orgoglioso e permaloso.

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Ma la grazia, comunque, in questa emergenza drammatica, raggiunge tutti nella Chiesa, vescovi e Papa compresi, per mezzo dei laici, semplici fedeli, giornalisti, intellettuali, uomini politici, scrittori, filosofi, teologi, profeti e mistici. Non mancano presbìteri e religiosi. Tuttavia, la Chiesa è indistruttibile, nonostante le potenze dell’Inferno si accaniscano continuamente contro di essa. Se le cose continuano così, dobbiamo attenderci la conversione del Papa e dei vescovi grazie all’azione ed alla preghiera del Popolo di Dio.

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Lucifero, disegni di Gino De’ Bini

Tutti i membri della Chiesa terrena, il Papa incluso, finché vivono quaggiù, per quanto santificati nella Chiesa, corrono sempre il rischio di perdersi. Essi, per santificarsi, devono essere in comunione con la Chiesa, compreso il Papa, perché essa è santa e sorgente della santità, animata dallo Spirito Santo. Il Papa fruisce di quella santità della Chiesa che egli stesso amministra nei sacramenti per mandato di Cristo. E il piccolo esercito dei laici profetici, che salverà la Chiesa, dovrà anch’esso ovviamente alimentarsi ai sacramenti, nella amministrazione dei quali il sommo sacerdote è il Papa.

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Comunione con la Chiesa dunque vuol dire comunione col Papa, anche se questi può essere in peccato mortale e come tale interiormente fuori della Chiesa. Eppure il Papa, anche in queste deprecabili condizioni, resta sempre come Capo della Chiesa, principio della comunione ecclesiale, almeno giuridica.

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Lucifero, disegni di Gino De’ Bini

Sbagliano pertanto quelli che parlano di un Papa ”scismatico”. Si vede che non sanno che cos’è uno scisma. Esso è sì il separarsi dalla Chiesa, ma con ciò stesso dal Papa. Ora, il Papa evidentemente non si può separare da se stesso, né può scomunicare se stesso. Il Papa è l’unico cattolico che non può essere scomunicato. Qui però si tratta di un fatto giuridico di foro esterno. Ciò non impedisce che un Papa sia fuori della Chiesa in foro interno, in quanto in stato di peccato mortale. Se la Chiesa è santa, chi non è santo non può appartenere alla Chiesa nell’anima, ma semmai solo col corpo. O semmai per un mero fatto giuridico-funzionale. Può continuare a fare il Papa, ma certo non lo farà come deve.

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È possibile che queste considerazioni abbiano condotto Papa Francesco ad un serio esame di coscienza e ad un inizio di ravvedimento, dal quale sono scaturiti due importanti documenti, quasi programmatici, che sembrano il segno di una risalita. In questi due documenti, il primo della Congregazione per la dottrina della fede, la Lettera Deo placuit, [testo, QUI] il secondo la Costituzione apostolica Gaudete et exultate [testo QUI], sembra di dover rintracciare addirittura una nuova partenza o una nuova impostazione del pontificato di Papa Francesco, più aderente ai suoi doveri specifici ed insostituibili.

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Lucifero, disegni di Gino De’ Bini

Par di cogliere in Francesco I una chiara e decisa presa di coscienza. Si ha l’impressione ch’egli cominci ad afferrare sul serio e con decisione il senso autentico ed originale del suo essere Papa. Si ha come l’impressione di leggere nei due documenti i tradizionali “propositi” al termine di un corso di esercizi spirituali; e qui appare il Gesuita. Come se Francesco dicesse a se stesso: “adesso voglio cominciare a fare sul serio”. Un discorso che Francesco fa più per la sua anima di Successore di Pietro che non per la Chiesa sua Sposa, oggi cosi sofferente per i tradimenti dello Sposo. Un discorso programmatico per il Maestro [Deo placuit] e per il Pastore [Gaudete et exultate].

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Preghiamo per lui, perché, come dice il Papa nella Gaudete et exultate, siamo sempre in tempo a darci completamente a  Dio.

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Varazze, 24 aprile 2018

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Giovanni Cavalcoli
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Padre Giovanni

“La luce nelle tenebre”, un libro di Aldo Maria Valli su Benedetto XVI

«LA LUCE NELLE TENEBRE», UN LIBRO DI ALDO MARIA VALLI SU BENEDETTO XVI

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Valli sa bene che questo Papa è legittimo e come tale è maestro della verità di fede, ma sa anche che non ogni Papa è maestro, esempio e modello di costumi morali e in particolare nella guida della Chiesa. Nessun Papa ha insegnato alla Chiesa l’eresia. Ma un Papa, per la sua negligenza o per la sua imprudenza, può governare male la Chiesa.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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PDF  articolo formato stampa

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il vaticanista del TG1 Aldo Maria Valli, autore del libro   Uno sguardo nella notte- Ripensando Benedetto XVI [cf. QUI]

Il noto vaticanista Aldo Maria Valli da tempo sta seguendo con la massima attenzione il comportamento del presente Pontefice, come rientra nel suo lavoro e soprattutto, in riferimento alle sue convinzioni di cattolico, conosce bene e stima altamente la guida che un Papa di per sé, salvo incidenti, esercita e deve esercitare nei confronti della Chiesa, secondo il comando di Cristo  «Pasci i miei agnelli» [Gv 21,16].

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Il suo interesse per questo importante argomento, che oggi appassiona e divide tra di loro tanti cattolici, non si racchiude nei limiti del suo lavoro professionale. Anche Papa Francesco, agli inizi attira l’ammirazione e le speranze di Valli, il quale gli dedicherà alcune pubblicazioni. Sennonché, egli a un certo punto del pontificato di Francesco comincia, con altri cattolici, a restare perplesso nelle sue convinzioni dottrinali e morali di cattolico, davanti a certi atteggiamenti, scelte e discorsi del Papa, che appaiono stridere con quelle convinzioni.

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Non c’è in gioco un certo tradizionalismo che resta attaccato al passato. Valli non ha nulla a che fare con quest’area del cattolicesimo, certo non privo di aspetti positivi, ma è un progressista, che in precedenza aveva espresso pubblicamente ammirazione per il Cardinale Carlo Maria Martini. Per cui le recriminazioni lefebvriane non fanno su di lui alcuna presa. D’altra parte, Valli non parteggia neppure per l’imperante modernismo, che si è auto-nominato ”progressista”, per celare il falso rinnovamento conciliare da lui sbandierato.

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Per Valli è solo questione di veritàE la verità di fede, la Parola di Dio, il dogma non passa. È qui che il progressismo di Valli, del tutto sano e legittimo, si distingue dal falso progressismo modernista, storicista e relativista. Il vero progresso, infatti, è l’esplicitazione e lo sviluppo di ciò che dev’essere conservato immutato e inalterato. Del resto, lo stesso Ratzinger fu notoriamente ai lavori del Concilio tra i teologi progressisti; e tale egli è sempre rimasto. Ma, a un certo punto, egli si accorse del falso progressismo rahneriano, che in realtà era modernismo.

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Per Valli, quindi, essere progressista non vuol dire andare a sorbirsi una sbronza rivoluzionaria sul modello della famosa “contestazione” del 1968 [cf. Massimo Introvigne, L’altro 1968. La nascita del dissenso organizzato nella Chiesa Cattolica, QUI]. Per lui il Papa è Pietro, la salda roccia, della quale ci si può fidare e sulla quale ci si può appoggiare con sicurezza per costruire un solido edificio resistente alle tempeste [cf. Mt 16:13-20]. Valli è un progressista che mantiene la ragione lucida e sa che il progresso è progresso di quei valori assoluti o “non negoziabili”, che vanno conservati, e che il mutamento costruttivo è il perfezionamento dell’immutabile. È un progressista, non un modernista.

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Valli quindi sa che la parola di qualunque Papa può sorprendere per la sua novità; può partecipare della paradossalità del Vangelo; ma non può essere irrazionale; non è un terreno scivoloso o una sabbia mobile, nella quale si sprofonda per essere sepolti dal fango. Pietro ha certo le sue debolezze, è un peccatore come tutti noi, ma è il maestro della verità, il custode del deposito rivelato, il maestro della Parola ”che non passa”.

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Valli sa bene che questo Papa è legittimo e come tale è maestro della verità di fede, ma sa anche che non ogni Papa è maestro, esempio e modello di costumi morali e in particolare nella guida della Chiesa. Nessun Papa ha insegnato alla Chiesa l’eresia. Ma un Papa, per la sua negligenza o per la sua imprudenza, può governare male la Chiesa.

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È successo così a Valli di dover cambiar parere nel passaggio da Papa Benedetto a Papa Francesco. Se fino a Benedetto Valli si sentiva in dovere di appoggiare in pieno la linea di un Papa autenticamente riformatore, mite pastore della Chiesa, nemico coraggioso degli errori modernistici, sapiente maestro di verità, cultore del sacro nella liturgia, oppositore delle forze mondiali che vogliono porre fine alla Chiesa, ossia l’islamismo, il comunismo e la massoneria, innovatore dell’apologetica e quindi dell’attività missionaria, col porre in luce il rapporto fra la ragione la fede, prudente e zelante fautore del dialogo ecumenico, aperto all’ingresso degli acattolici nella Chiesa Romana ― vedi la conversione degli anglicani ― [cf. QUI e QUI], alieno dall’immischiare il Papato nella politica, ma attento ai doveri dei laici cattolici in politica. Adesso che Papa Francesco ha bloccato quasi tutte le sagge iniziative che Benedetto stava portando avanti, Valli giustamente non se la sente di appoggiare in pieno un pastore che sembra dialogare con i lupi anziché con le pecore.

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Che cosa sta facendo Francesco?

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Da quello che Francesco sta facendo, si ha la netta impressione che egli voglia fare il rivoluzionario rispetto a quello che hanno fatto i Papi precedenti. Quanto invece sarebbe utile per Francesco e per la Chiesa, che egli prendesse esempio da loro e proseguisse sulla pista da loro tracciata! L’errore di Papa Francesco, quello che i suoi adulatori gli presentano come titolo di una gloria inaudita, è quello di credersi un Papa più avanzato di quelli che lo hanno preceduto.

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È questa convinzione che gli impedisce di vedere in essi la loro esemplare santità o quanto meno la loro virtù. Il recente documento che ha pubblicato sulla santità, potrà servirgli a vederci più chiaro. Ma poi, un Papa più avanzato verso dove? Considerando agli atti di Francesco, non è difficile rispondere: verso il mondo moderno. È la tentazione del modernismo.

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Francesco sa apprezzare i valori della modernità. Ma si guarda dal rendersi odioso al mondo rimproverandolo del suo peccato o correggendolo dai suoi errori. L’importante, per Francesco, sembra essere l’incontrarsi col mondo, accogliere il mondo e assimilarsi al mondo. Non pare che per Francesco il compito della Chiesa sia elevare il mondo al cielo, ma semplicemente piegarsi sul mondo per sollevarlo dalle sue miserie ed accontentarlo nei suoi bisogni.

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La rievocazione dell’opera di Benedetto fatta da Valli nel suo libro Uno sguardo nella notte. Ripensando Benedetto XVI [1], è allora un chiaro messaggio indirizzato a Papa Francesco ricordandogli un Papa che non ha ceduto davanti al mondo, a costo di essere “azzannato dai lupi” [p.9]. Se dunque nei due precedenti libri: 266. Jorge Mario Bergoglio Franciscus P.P. e Come la Chiesa finì, Valli si rivolge direttamente al Papa, anche in quest’ultimo Valli pensa al Papa attuale, per presentargli in Benedetto un esempio. Al riguardo Valli cita lo splendido ritratto di Benedetto fatto da Vittorio Messori nel 2010:

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«chi lo conosce bene, sa fino a che punto nel Ratzinger professore, poi cardinal prefetto, infine Pontefice, convivano severità e misericordia, rigore e comprensione, rispetto della norma e attenzione alla singola situazione umana. C’è, in lui, l’umanità dei vecchi uomini di Chiesa, che, dal pulpito, denunciavano a voce alta il peccato; ma poi, nel confessionale, a tu per tu col peccatore concreto, interpretavano con larghezza l’invito del Cristo a capire e perdonare […] in questo figlio della vecchia Baviera cattolica, c’è quanto ha contrassegnato, appunto, il cattolicesimo autentico: il rifiuto della disumana ferocia giacobina, il rigetto della condanna senza appello, senza la pietas per la condizione umana. I tentativi attuali di trascinarlo sul banco degli imputati nulla sanno, tra molti altri errori e manipolazioni, di questa sapienza che è quella stessa che marca l’esperienza  bimillenaria della Chiesa» [p. 44].

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Invece Papa Francesco è purtroppo circondato da un gruppo di collaboratori ed amici, che formano attorno a lui una barriera, chiamata dal Cardinale Gerhard Müller «cerchio magico» [cf. QUI].

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Tuttavia dobbiamo segnalare con piacere la pubblicazione recente di due importanti documenti: la Lettera Deo Placuit della Congregazione per la dottrina della fede sugli errori moderni e la Costituzione Apostolica Gaudete et exultate sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo [vedere QUI e QUI].

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Papa Francesco, nella Gaudete et exultate, presenta opportunamente tanti modelli di Santi. Quanto sarebbe stato però persuasivo se, pensando con umiltà al proprio cammino di santificazione, egli si fosse fermato sulla figura di San Giovanni Paolo II, anche per fugare certi timori non infondati che Francesco, specialmente con la pubblicazione dell’Amoris laetitia [vedere QUI] non abbia saputo comprendere ed apprezzare appieno l’alta sapienza morale del Santo Pontefice. Resta comunque il fatto che il Papa ha imboccato la strada giusta; speriamo che continui a percorrerla e che non sia di nuovo risucchiato dagli “amici”.

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Il Papa Benedetto di Valli

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Valli raccoglie tutta l’opera di Papa Benedetto sotto il segno della verità. All’inizio del libro lo chiama il «Papa della verità». E non c’è dubbio che è sotto questo segno, che fa pensare al motto domenicano veritas, che Papa Ratzinger ha vissuto il suo pontificato, in linea con i suoi precedenti di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e la sua carriera di teologo, il quale che cosa è, se non il servitore della verità divina? Un «consacrato nella verità» [cf. Gv 17,17].

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Valli mostra molto bene come un aspetto importante dell’azione e del programma di Benedetto sia stato quello di raccogliere e dar risposta all’appello di San Giovanni Paolo II a ritrovare le radici cristiane dell’Europa. Il centro del cattolicesimo è in Europa e per questo è ovvio l’interesse che Benedetto e Giovanni Paolo hanno avuto, proprio come Pontefici, per come il cristianesimo si è diffuso in Europa e di  lì nel mondo.

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Valli si ferma a mostrare la sapienza e lo zelo con i quali Papa Benedetto in più occasioni ha insistito sulla necessità di una rivalorizzazione e di un potenziamento della ragione umana [2] nella sua apertura al trascendente ed alla fede, nell’universalità dei suoi princìpi teoretici e morali, come via per riaffermare il dialogo fra tutti gli uomini di buona volontà, quali che sia la loro religione di appartenenza.

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Non si può negare in Papa Francesco una notevole capacità di contatto umano e di comunicazione. Il suo universalismo, però, sembra dipendere più da un fattore simpatetico-emozionale, che intellettuale.

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La figura e l’opera di Benedetto che escono dal libro di Valli sono quelle di un Papa, come del resto i precedenti, costantemente sotto il tiro del mondo e dei modernisti, si tratti dell’amministrazione della Curia Romana o del problema dei pedofili, o di quello degli islamisti o della massoneria o dell’ecumenismo o del comunismo o della politica o della liturgia o dei lefevriani.

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Nonostante la aperta professione di realismo da parte di Francesco nell’enciclica Evangelii gaudium, per il quale la realtà è superiore all’idea e la recente Lettera della Congregazione per la dottrina della fede Deo placuit, che condanna il soggettivismo e l’egocentrismo dello gnosticismo e del pelagianesimo, Valli, insieme con molti altri osservatori, mette in luce la differenza di impostazione gnoseologica e pratica tra Francesco e quella di Benedetto. Mentre infatti in questi è evidente l’intellettualismo realista biblico, che fa sorgere la verità dall’obbedienza al reale, ossia dalla adaequatio intellectus et rei, fondamento e ragione dell’azione pratica, in Francesco si nota la traccia di un certo volontarismo ignaziano od occamista, per il quale il vero non dipende semplicemente dall’intelletto e dalla ragione, ma da un decisione o tendenza della volontà o un moto dell’affetto.

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Viceversa, Joseph Ratzinger aveva impostato il programma del suo papato in evidente conformità alle diffuse esigenze dei Cardinali che lo elessero quasi subito, al quarto scrutinio, tanto diffusa nel collegio cardinalizio era la preoccupata consapevolezza che il primo problema urgente che bisognava risolvere era come rimediare all’invasione di modernismo, che era ben lungi dall’essere risolto, e che stava facendo brancolare la Chiesa nella notte. Ecco dunque il senso indovinatissimo del titolo del libro di Valli. Su di un fondo nero si vedono soltanto gli occhi intelligenti e dolci di Papa Benedetto emergere dalle tenebre, non la visione del Papa di schiena della copertina del libro-intervista di Peter Seewald, che evoca quella di uno sconfitto, che se ne va mostrandoci le spalle. Niente affatto. Gli occhi di Papa Benedetto vedono nella notte, vedono laddove noi non vediamo e, nella notte, fanno luce e ci mostrano il cammino.

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Mentre dunque è stato chiaro che Papa Benedetto ha inteso far avanzare la Chiesa nella verità e nella vittoria sulla menzogna, Papa Francesco sembra risolvere tutto il progresso nell’esecuzione di consegne pratiche: la misericordia, l’accoglienza, il dialogo, la Chiesa in uscita, il poliedro, l’integrazione, il discernimento, l’accompagnamento; tutti imperativi in se stessi buoni, di facile apprendimento, che hanno già formato il “vocabolario” di Papa Francesco, ma che ne lasciano fuori altri, altrettanto importanti.

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Alla fine del confronto di Valli tra i due Papi risulta che Papa Francesco, “il rivoluzionario”,  non ha fatto avanzare la Chiesa, ma l’ha fatta retrocedere rispetto a quella di Benedetto.

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Occorre allora che Papa Francesco ― questo è il chiaro messaggio e l’appello di Valli al Santo Padre ―, libero dalle sirene moderniste e dalle promesse della massoneria, riprenda l’opera interrotta di Papa Benedetto, perché questa è la vera strada della riforma conciliare e del vero progresso della Chiesa, senza assoggettarsi al mondo, senza confondersi col mondo, senza temere l’ostilità del mondo e senza piaggerie nei confronti del mondo, perché Cristo gli ha dato la forza per salvare il mondo e di vincerlo laddove si ribella a Cristo.

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Varazze, 23 aprile 2018

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NOTE 

[1] Uno sguardo nella notte. Ripensando Benedetto XVI, Chorabooks, Hong Kong 2018.

[2] Cf pp.40-43, 46, 61-63, 72

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Abbiamo riscritto la teologia: «Anche nel Comunismo c’è del buono». È pertanto necessario evidenziare tutti i lati positivi del Marxismo e puntare su ciò che unisce nel bene e non su quello che divide nel male

ABBIAMO RISCRITTO LA TEOLOGIA: «ANCHE NEL COMUNISMO C’È DEL BUONO». È PERTANTO NECESSARIO EVIDENZIARE TUTTI I LATI POSITIVI DEL MARXISMO E PUNTARE SU CIÒ CHE UNISCE NEL BENE E NON SU QUELLO CHE DIVIDE NEL MALE

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A più riprese la Chiesa ha condannato il Comunismo. Alcuni continuano a farlo, forse perché prevenuti e privi della necessaria lucidità. Sarebbe infatti meglio, anziché condannare, cercare e prendere ciò che di buono c’è anche nel Comunismo, perché molti sono i suoi lati positivi che andrebbero messi in luce e seguiti.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Thomas Hobbes, stampa d’epoca

Tra il XVI e il XVII secolo due pensatori britannici indicati come “grandi filosofi”, le speculazioni dei quali costituiscono tutt’oggi le colonne della moderna filosofia del diritto, espressero opinioni diverse sul concetto di natura. In estrema sintesi: Thomas Hobbes [1588-1679] affermava che «l’uomo è un lupo divoratore per ogni altro uomo» [Bellum ominus contra omnes; homo, homini, lupus]. Per Hobbes, quindi, lo «stato di natura» è una guerra di ogni uomo contro tutti, posto che l’uomo ― per riassumerla in breve ―, non è naturalmente buono. Di parere diverso John Locke [1632-1704] per il quale lo stato di natura, inteso come la condizione iniziale dell’uomo, non si manifesta come un «bellum omnium contra omnes», ma come una condizione che può invece portare a una pacifica e positiva convivenza sociale.

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Se per Hobbes l’uomo è malvagio per natura perché ha paura degli altri uomini, quindi attacca per non essere attaccato, per Locke, che ha una visione più ottimistica, l’uomo non nasce corrotto né tendente al male. Se a questi due pensatori vogliamo aggiungere ciò che pensava il calvinista svizzero Jean Jacques Rousseau [1712-1778], da esso emerge che l’uomo non nasce cattivo o malvagio, ma lo diventa a causa delle istituzioni e della società, insomma … per colpa degli altri.

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John Locke, stampa d’epoca

Questi tre pensatori indicati come filosofi, erano dei socio-politologi con non lievi lacune sulla conoscenza del pensiero filosofico, delle sue grandi speculazioni e dei suoi grandi speculatori. Come però i buoni Lettori capiranno, non è questa la sede per avviare un complesso discorso su tre figure altrettanto complesse che nei tempi successivi hanno favorito più lo sviluppo di equivoci e danni che di benefici.

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Il problema della natura dell’uomo io lo analizzo da un punto di vista teologico, per l’esattezza partendo dalla teologia del peccato originale. Affermare pertanto che l’uomo nasce buono o che l’uomo nasce cattivo, è cosa in parte errata e in parte riduttiva, posto che la cattiveria è una manifestazione che nasce come conseguenza di altro. Nella mia ottica cristiana e teologica, l’uomo nasce corrotto; e questo per me è un fatto, perché con buona pace di certi venefici teologi del passato e del presente, il peccato originale non è una metafora né una allegoria, ma un fatto. Sicché, dalla innaturale corruzione dell’uomo generata come conseguenza da quel fatto, nascono tutti i peggiori effetti collaterali, anch’essi innaturali, posto che la innaturalezza, se innescata come meccanismo, produce a sua volta innaturalezza.

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Il Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili, la natura l’ha creata perfetta, non imperfetta, ed il cuore di questa perfezione era proprio l’uomo, al quale Dio affidò l’intero creato. Con la propria ribellione a Dio, l’uomo altera questo equilibrio rendendo imperfetto se stesso e l’intero creato. La conseguenza è stata l’entrata sulla scena della malattia, del dolore, del decadimento fisico e della morte. Per la natura, invece, la conseguenza è stata ch’essa è divenuta ostile all’uomo: siccità, carestie, maremoti, terremoti, eruzione di vulcani, malattie infettive, pestilenze …

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Abele e Caino, collezione Zeri

L’uomo, più che cattivo, nasce corrotto. La cattiveria, a suo modo insita nella natura umana, è la conseguenza di questa corruzione di cui è paradigma l’episodio di quei due fratelli che rappresentano lo stato in cui i nostri progenitori hanno fatta precipitare l’umanità: Abele e Caino. Se poi ci pensiamo bene, Caino non è stato soltanto il primo omicida, ma anche il primo traditore, il primo guerrafondaio. Infatti, dopo che Caino ebbe tratto in inganno suo fratello e lo uccise, Dio lo ammonì severamente dicendo: «E ora tu sei più maledetto della terra che ha aperto la sua bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando coltiverai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti e tu sarai vagabondo e fuggiasco sulla terra» [Gen 4:11-12]. Allora Caino si lamentò: «Il mio castigo è troppo grande perché io lo possa sopportare. Ecco, tu mi scacci oggi dalla faccia di questo suolo e sarò nascosto dalla tua faccia; e sarò vagabondo e fuggiasco per la terra, e avverrà che chiunque mi troverà mi ucciderà» [Gen 4:13-14]. Dio rispose: «Perciò, chiunque ucciderà Caino, egli sarà punito sette volte». E l’Eterno mise un segno su Caino affinché nessuno trovandolo, lo uccidesse. Allora Caino si allontanò dalla presenza dell’Eterno e dimorò nel paese di Nod, ad est di Eden» [Gen 4:15-16]. 

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Propendo a pensare che il marchio col quale fu segnato Caino, è un marchio che Dio ha impresso sull’intera umanità dopo che la corruzione entrata sulla scena del mondo col peccato di Adamo ed Eva, aveva prodotto i propri frutti con questo fratricidio. Certo, viene da domandarsi come mai Dio non abbia punito con la morte Caino, ma dopo averlo marchiato ordina che nessuno lo tocchi. Dinanzi a questo quesito ho sempre trovato interessante la risposta data da Victor Hugo nella sua opera L’Ultimo giorno di un condannato :

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Adamo ed Eva, stampa d’epoca

«Vendicarsi è dell’individuo, punire è di Dio. La società è tra i due. Il castigo è al di sopra di essa, la vendetta è al di sotto. Niente di così grande o di così piccolo gli si attaglia. Essa non deve punire “per vendicarsi”; deve correggere per migliorare».

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Nella disastrata Chiesa visibile odierna, dove Dio è stato ormai mutato in altro, tra buonismo imperante e misericordismo rasente il diabolico, si è sviluppato un deciso rifiuto ad usare dei termini quali «punizione» e «castigo di Dio». Negare questi due elementi equivale a negare il concetto stesso di misericordia di Dio, posto che ― come spiegò alcuni anni fa Giovanni Cavalcoli, O.P ― «Dio castiga e usa misericordia» [cf. QUI e QUI]. È infatti nella punizione e nel castigo inflitto a Caino che è racchiusa ed a suo modo segnata l’intera umanità corrotta dal peccato, ma al tempo stesso è racchiusa anche la grande misericordia di Dio, sia per il primo fratricida che per tutti noi. Assieme alla misericordia, Dio ha manifestata anche profonda tutela, tutta quanta mirata al recupero dell’uomo, di Caino e di tutti noi, ciò proprio perché «Dio castiga e usa misericordia».

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Jean Jacques Rousseau, stampa d’epoca

Nel corso del Novecento, la malvagità crudele dell’uomo si è manifestata a tal punto che per reazione, molti maestri più o meno illuminati di correnti di pensiero altrettanto più o meno illuminate, hanno cominciato a cercare e dare risposte che negano ― o tentano di negare ―, non solo la natura malvagia e crudele manifestata dall’uomo, ma che l’uomo crudele e malvagio possa provare piacere nel recare del male agli altri. In soccorso a questi maestri più o meno illuminati di correnti di pensiero altrettanto più o meno illuminate, sono corse tante nuove pseudo scienze che spaziano dai sociologismi alle varie correnti della psicoanalisi e che giungono sempre a un triste risultato: spiegare e giustificare l’atto crudele ed intrinsecamente malvagio. La mente partoriente di queste varie correnti è Jean Jacques Rousseau, secondo il quale l’uomo non nasce cattivo o malvagio, ma lo diventa a causa delle istituzioni e della società. Ciò rende pertanto necessario spostare l’attenzione sia dal malvagio sia dai suoi atti di crudele malvagità, per cercare cause e colpe altrove. Ecco allora che oggi, a quasi mezzo secolo di distanza dallo sviluppo massimo di certi pensieri pericolosi, dinanzi ad un delinquente pluri-recidivo i pubblici ministeri ed i giudici chiamati a emettere la sentenza di condanna, se ne guardano bene dal parlare di naturale o innata attitudine a delinquere. Infatti, se ai nostri giorni un ladro è colto con due complici in piena notte dentro una casa dal proprietario che detiene regolarmente un’arma da fuoco, mentre sua moglie ed i suoi figlioletti dormono; se costui, temendo le pericolose conseguenze, si difende facendo fuoco, la pubblica opinione buonista capitanata dal giornalismo politicamente corretto sospirerà: «povero ladro!». E una volta innescata questa spirale, sarà parecchio difficile spiegare a quanti credono all’uomo “potenzialmente buono” ed “in fondo buono”, che diverse volte, durante questi furti, delle bande di criminali hanno tramortito di botte il marito, poi si sono dilettati ― in quanto “fondamentalmente buoni” ―, a violentare la madre davanti ai figlioletti. Naturalmente spetterà poi al meglio dei socio-politologi spiegare ai figlioletti che l’uomo malvagio, crudele e volutamente irrecuperabile ― poiché chiuso a qualsiasi forma di umano recupero ―, non esiste.

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Queste distorsioni della realtà che generano poi distorsioni del pensiero, nascono dal rifiuto di quel mistero chiamato peccato originale al quale oggi, all’interno della stessa Chiesa Cattolica, molti teologi tendono a conferire rango di allegoria, confondendo il racconto col fatto, posto che allegorico è il racconto di Genesi, non quanto in esso contenuto, ossia il peccato originale, che, torno a ripetere, è stato un fatto di siffatta e devastante portata da trasmettere a tutta la successiva umanità ― che ovviamente di questo peccato commesso non è colpevole ―, una natura corrotta. In verità, l’uomo naturalmente buono e privo di malizia, esisteva eccome, ma in origine, prima che i nostri progenitori compissero un atto di tale gravità da compromettere la purezza e la stessa natura di quell’uomo creato a immagine e somiglianza del Dio vivente.

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Maometto, stampa d’epoca

Dal concetto d’uomo fondamentalmente buono che in quanto tale non nasce cattivo o malvagio, ma che lo diventa a causa delle istituzioni e della società, vale a dire per colpa degli altri, il passo successivo è l’idea sbagliata e non poco distruttiva del … bisogna cercare di guardare al positivo che c’è in qualsiasi uomo, di scorgere il bene, di far emergere gli elementi positivi, di cercare quello che di valido c’è persino nell’errore e quindi metterlo in luce. Ebbene, sinceramente debbo dire che quando a fare discorsi di questo genere non è un figlio dei fiori fiero del proprio ateismo, pacifista surreale, vegetariano convinto ed ecologista radicale, bensì persone di grande preparazione e alta levatura culturale filosofica e teologica, io comincio a essere veramente spaventato, specie se andiamo poi ad analizzare a che cosa ci ha portato il concetto di “fondamentalmente buono” che c’è in ciascuno, seguito dallo scellerato desiderio di cercare di far emergere il bene anche da persone molto nocive, oppure da pensieri palesemente ereticali. Partiamo dunque dall’alto per poi discendere verso il basso: il “fondamentalmente buono”, ha portato di recente il Pontefice regnante a definire l’Islam una religione di pace [cf. Padre Samir Khalil Samir, S.J, QUI], ignaro che questa decantata religione di pace racchiude al proprio interno, a livello proprio strutturale, tutti quegli elementi di violenza e di odio manifestati non da oggi, ma da sempre, a partire da Maometto, che non è un profeta, tanto meno un grande profeta, ma un falso profeta. Dinanzi a queste affermazioni, che dovrebbero essere teologicamente ovvie, ecco partire in difesa i paladini del “fondamentalmente buono” che giustificano affermando: «Bisogna cercare ciò che ci unisce e non ciò che ci divide». Detto questo si dovrebbe però spiegare: a me, Sacerdote di Cristo Dio istitutore dell’unico, solo e vero Sacerdozio, il quale ci ha dato un solo e vero Vangelo di salvezza, che cosa mi dovrebbe unire a dei propagatori di menzogne nati da un falso profeta? Ma soprattutto vorrei sapere che cosa c’è di buono in una serie di menzogne come quelle enunciate da Maometto. Dinanzi a queste obiezioni i paladini del “fondamentalmente buono” non esitano a replicare: «Di buono c’è che i musulmani riconoscono la figura di Gesù Cristo». E dinanzi a questa affermazione ho più volte replicato: «I musulmani riconoscono Gesù Cristo come un profeta minore che ha preceduto l’ultimo grande profeta che sarebbe Maometto, che ha perfezionato quel che d’imperfetto e di sbagliato c’era nell’annuncio di Gesù Cristo. E questo, per me che credo in Gesù Cristo come Verbo di Dio incarnato, come Dio fatto uomo, come generato non creato della stessa sostanza del Padre, non è un punto di unione, ma una bestemmia. E da quando, le bestemmie, costituiscono punti di unione? Forse da quando si è deciso di porle come basi del dialogo interreligioso?».

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Martin Lutero, stampa d’epoca

Dal falso profeta Maometto, possiamo passare direttamente a Martin Lutero, sul quale, sempre il Pontefice regnante, ha affermato di tutto e di più, come se mai il Concilio di Trento avesse scritto certi canoni; e se proprio li ha scritti, qualcuno pare avere stabilito di motu proprio che non sono più validi, se non con un chiaro documento pontificio, con una confusa prassi pastorale. E in quei mesi nei quali la povera Chiesa visibile ha deciso di partecipare in modo attivo ai festeggiamenti della falsa riforma luterana ― e dico falsa perché l’eresiarca Lutero non ha fatto alcuna riforma ma originato un drammatico scisma ―, si sono sentite pronunciare, pure dalla stessa Cattedra di Pietro, delle frasi aberranti: Lutero «animato da buone intenzioni», Lutero indicato come «riformatore», per seguire col suo scisma indicato come «riforma» persino in un francobollo commemorativo ufficiale emesso dalle Poste Vaticane in occasione dei Cinquecento anni del suo scisma [cf. QUI]. Non parliamo poi del numero due della Conferenza Episcopale Italiana, S.E. Mons. Nunzio Galantino, che ad un convegno promosso presso la Pontificia Università Lateranense — che per inciso è l’università del Romano Pontefice — indicò con sconcertante impudicizia questo eresiarca teutonico come … «un dono dello Spirito Santo» (!?) [cf. mio precedente articolo, QUI].

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Santa Margherita da Cortona, protettrice delle prostitute pentite, collezione Zeri

Proviamo dunque a chiarire le cose a tutte quante le anime belle, a partire soprattutto da quelle più colte che credono veramente a queste teorie pericolose ed agiscono per altrettanta pericolosa conseguenza, per esempio invitando a cercare il buono ed a mettere in luce quello che c’è di buono, ignari che nel falso non c’è nulla di vero e, se  un barlume di vero c’è, è solo perché il Demonio ne fa uso per affermare e diffondere il falso dopo avere confuso con le sue armi di dissuasione di massa gli sciocchi sapienti. Nella bestemmia non c’è nulla di positivo, c’è solo e sempre l’oltraggio a Dio. Nell’eresia non c’è niente di buono, c’è solo l’oltraggio alla verità, anche se l’eresia oggi non è chiamata più tale ed anche se ormai da mezzo secolo ci si ostina a cercare in essa quello che secondo alcune menti illuminate dovrebbe esserci di buono. Nello scisma, che è la forma più grave di frattura della comunione ecclesiale, non c’è da andare a cercare quello che ci unisce, perché cercare unità nella divisione voluta, mantenuta e, come tale, considerata giusta, equivale ad andare a cercare la verginità nelle puttane, che singolarmente possono essere anche delle donne capaci a racchiudere in sé stesse molte più tenerezze e sensibilità di tante signore dell’alta società, ma che in ogni caso rimarranno sempre delle puttane, almeno fin quando, semmai per intercessione di Santa Margherita da Cortona protettrice delle prostitute pentite [cf. QUI], non si saranno convertite scegliendo di cambiare completamente vita. Purtroppo, nella Chiesa misericordista e buonista, non ci si limita ad affermare che una singola puttana può appartenere a quelle anime elette che come ci ammonisce Cristo «vi precedono nel Regno dei Cieli» [cf. Mt 21, 28-32]; nella Chiesa visibile odierna, dove brulicano personaggi più comprensivi e più misericordiosi di Cristo stesso, ormai si è giunti di fatto ad affermare, se non in modo diretto attraverso esotiche prassi pastorali, che nel puttanesimo, ossia nella prostituzione, ci sono elementi buoni e positivi da cogliere e da valorizzare, semmai pure aggiungendo appresso che le vergini consacrate che ammuffiscono nelle case religiose sono invece delle zitelle acide, tendenti al pelagianesimo, al legalismo e via dicendo a seguire …

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Il Sommo Pontefice Pio VII arrestato e deportato da Napoleone prima a Savona e poi a Fontainebleau, stampa d’epoca

Il “fondamentalmente buono”, il vedere il bene, il cercare l’unione a tutti i costi e costi quel che costi, assieme al dialogo con quanti sono fieri dei propri errori e diffusori indomiti degli stessi all’interno della Chiesa, è una tra le più grandi insidie che ci sta corrodendo al nostro interno. E se qualcuno osa indicare il male come male, l’eresia come eresia, lo scisma come scisma, il peccato come peccato, i gravi disordini morali come gravi disordini morali, rischia di sentirti dare del legalista, del fariseo, del pelagiano, del cristiano triste, del cristiano pipistrello … ma soprattutto di sentirsi dare della persona priva di quella non meglio precisata misericordia oggi in gran voga.

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Il criterio del “fondamentalmente buono”, del “cercare il buono” assieme a “quello che ci unisce e non quello che ci divide”, se è valido deve essere applicato a tutto ed a tutti. È quindi vero che Napoleone portò la guerra in tutta Europa, che osò levare le mani sul Sommo Pontefice Pio VII catturandolo e deportandolo a Fontainebleau, certo e sicuro che avrebbe spazzata via la Chiesa dalla faccia della terra, però, a parte queste cose, noi che ne sappiamo di quanto il Bonaparte fosse di fondo buono? Ma soprattutto, quanti lati buoni c’erano nel Bonaparte? Perché guardare solo al male ed al negativo, anziché cercare in lui tutti i risvolti positivi e metterli in luce?

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Adolf Hitler con il suo amato cane da pastore

E mancavano forse dei risvolti positivi in Adolf Hitler? Molti, sbagliando perché gravati di pregiudizi, pensano solamente ad Hitler come al responsabile dell’invasione della Polonia che dette avvio alla Seconda Guerra Mondiale. Appena si nomina Hitler la mente corre ai campi di concentramento ed allo sterminio degli ebrei, ignorando che il Führer non è stato solo questo, è stato anche un uomo tenerissimo, dotato di una sensibilità profonda. Egli era solito mostrare grande affetto ai figlioletti dei membri delle S.S., vi sono documenti filmici che lo mostrano affettuoso con gli occhi accesi di tenerezza. Perché, ridurre Hitler solo a colui che permise al Dottor Josef Mengele di selezionare circa 3.000 bambini nel lager di Auschwitz-Birkenau, costretti a vivere e morire nel blocco numero 10 di questo campo di concentramento, dal quale a fine guerra ne risultavano sopravvissuti appena duecento? Hitler non è solo questo, è anche colui che verso i propri cani aveva grandi premure; e tutto lo Stato Maggiore delle S.S. lo vide piangere quando morì il suo amato pastore tedesco.

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Stalin con la figlia Svetlana

Vogliamo poi parlare di Iosif Stalin? O qualcuno pensa che Stalin sia stato solo il responsabile della morte di milioni di russi e della deportazione di altrettanti nei gulag? Perché omettere tutto quello che di buono e di positivo c’era in Stalin, che era anzitutto un padre molto amorevole? C’è un’immagine d’archivio del 1935 nella quale egli tiene tra le braccia Svetlana, la sua amata figlia, con una tenerezza che tocca il cuore; e Dio solo sa quante figlie vorrebbero essere tenute tra le braccia da un padre così amorevole.

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A più riprese la Chiesa ha condannato il Comunismo. Alcuni continuano a farlo, forse perché prevenuti e privi della necessaria lucidità. Sarebbe infatti meglio, anziché condannare, cercare e prendere ciò che di buono c’è anche nel Comunismo, perché molti sono i suoi lati positivi che andrebbero messi in luce e seguiti.

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la caduta di Lucifero, stampa d’epoca

La verità è che purtroppo si inizia puntando su ciò che unisce nel bene e non su quello che divide nel male, si prosegue cercando in ogni modo quello che di buono c’è sempre nell’uomo, senza che nessuno ― se non pochi ― si accorga che il male protetto dal buonismo e dal misericordismo ci sta distruggendo. Il problema che oggi affligge la Chiesa e dal quale a volte pare non si riesca a sortire fuori, tant’è difficile scardinare certi meccanismi, è che il bene diventa male ed il male diventa bene, la virtù diventa vizio da scacciare e il vizio virtù da accogliere e da proteggere bene al nostro interno. E questa grande inversione è opera del grande invertitore: il Demonio, giunto persino a servirsi di una non meglio precisata misericordia, in nome della quale oggi, i pastori presi ad accogliere tutto ciò che non è cattolico, accarezzano i lupi e prendono a bastonate le pecore del loro ovile, chiamandole pecore tristi e pelagiane che idolatrano il rigore della dottrina, o che peggio invocano la applicazione delle leggi ecclesiastiche, oggi soppiantate in nome del “no al legalismo!”, affinché la certezza delle leggi canoniche e la loro corretta applicazione fosse sostituita da quel libero arbitrio umorale che da sempre è fonte di ogni peggiore ingiustizia.  

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dall’Isola di Patmos, 23 aprile 2018 

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Una memorabile lettera del Sommo Pontefice ai Vescovi del Cile, meritevole per essa di essere chiamato «Francesco il grande», come grande fu Pietro sulla Via del «Quo vadis, Domine?»

UNA MEMORABILE LETTERA DEL SOMMO PONTEFICE AI VESCOVI DEL CILE, MERITEVOLE PER ESSA DI ESSERE CHIAMATO «FRANCESCO IL GRANDE», COME GRANDE FU PIETRO SULLA VIA DEL «QUO VADIS, DOMINE

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Riguardo la vicenda dei casi di pedofilia avvenuti in Cile, il Sommo Pontefice scrive ai Vescovi di quel Paese: «Per quanto mi riguarda, riconosco, e voglio che lo trasmettiate fedelmente, che sono incorso in gravi errori di valutazione e percezione della situazione, in particolare per mancanza di informazioni veritiere ed equilibrate. Fin da ora chiedo scusa a tutti quelli che ho offeso e spero di poterlo fare personalmente, nelle prossime settimane, negli incontri che avrò con rappresentanti delle persone intervistate».

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo.

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PDF  articolo formato stampa

 

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TESTO DELLA LETTERA DEL SOMMO PONTEFICE FRANCESCO I

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Il Sommo Pontefice Francesco I sulla cattedra del Vescovo di Roma 

Spesso la santità, o la non santità, quando si studiano le eroicità delle virtù di un candidato alla beatificazione si nasconde nelle piccole cose; penso di poterlo dire con un po’ di modesta esperienza, visto che sulle cause dei santi ci lavoro. È infatti dietro le piccole cose, apparentemente insignificanti, che si nasconde il grande bene, ossia la santità, oppure il grande male, ossia il Demonio.

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Nel corso della Settimana Santa che ha preceduto da pochi giorni la Pasqua di Risurrezione, dalle cronache dei Santi Vangeli abbiamo udito il racconto del rinnegamento di Pietro [cf. Mc 14, 66-72], ed abbiamo udito risuonare la frase drammatica: «E tutti i discepoli, abbandonatolo fuggirono» [cf. Mt 26, 56].

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Il Beato Apostolo Pietro stava per fuggire anche una seconda volta, nella propria vecchiaia, questa volta a Roma, ce lo narra lo stupendo racconto noto come il Quo vadis? Questo episodio, contenuto negli Atti di Pietro, narra del Beato Apostolo sulla strada della fuga da Roma, nel tentativo di poter sfuggire alle persecuzioni di Nerone. Sulla via della fuga, avrebbe incontrato in visione Cristo Signore. Secondo questo racconto Pietro pose a Gesù la domanda: «Domine, quo vadis ?» [«Signore, dove vai?»].  Il Signore Gesù rispose: «Eo Romam iterum crucifigi » [«Vengo a Roma a farmi crocifiggere di nuovo»]. A quel punto Pietro comprese che non poteva fuggire nuovamente, ma doveva tornare indietro, per affrontare il martirio.

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Per diversi secoli i Sommi Pontefici avevano tra i loro vari capi di vestiario delle scarpette color rosso vermiglio, il significato delle quali era profondo e preciso, con buona pace di certi illetterati de La Repubblica che scrissero trionfalmente: «Il Successore di Benedetto XVI rinuncia anche alle scarpe di Prada» (!?). 

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Prada … ma stiamo scherzando? O come invece suol meglio dirsi: possibile che l’ignoranza di chi presume di sapere non abbia proprio limiti, men che mai senso della umana decenza!

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Quelle scarpette rosse, che poi erano in verità delle pantofole chiuse, rappresentavano il martirio di Pietro che, retrocedendo sulla strada del Quo vadis, andò incontro al martirio, trascinato in catene sul colle Vaticano dove giunse coi piedi sanguinanti, per essere infine crocifisso. E, giunto al patibolo, non sentendosi degno di assurgere al supplizio nella stessa posizione del Verbo di Dio morto e risorto, domandò di essere crocifisso a testa all’ingiù. Così, alla fine della sua vita, all’eroismo che lo portò ad accettare la grazia del martirio, si unisce anche la suprema virtù dell’umiltà.

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Dalle cose apparentemente piccole si riconosce quindi anche il Sommo Pontefice Francesco I, il quale ha ammesso pubblicamente d’aver sbagliato nel valutare i dolorosi casi di pedofilia che hanno scosso la Chiesa Cattolica del Cile, sino a giungere ad affermare :

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«Per quanto mi riguarda, riconosco, e voglio che lo trasmettiate fedelmente, che sono incorso in gravi errori di valutazione e percezione della situazione, in particolare per mancanza di informazioni veritiere ed equilibrate. Fin da ora chiedo scusa a tutti quelli che ho offeso e spero di poterlo fare personalmente, nelle prossime settimane, negli incontri che avrò con rappresentanti delle persone intervistate» [vi invitiamo a leggere il testo integrale della lettera, QUI]

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Della storia della Chiesa si dovrebbe prendere tutto, non solo ciò che interessa per esaltare l’uomo Jorge Mario Bergoglio, o per abbattere in modo impietoso l’uomo Jorge Mario Bergoglio. Pertanto mi domando e domando: certi storici particolarmente attenti, ma anche giustamente critici verso questo pontificato che merita la sua buona dose di critiche, intendono forse presentare urbi et orbi anche l’elenco dettagliato dei Sommi Pontefici che hanno pubblicamente ammesso di avere commesso un grave errore? Perché a voler essere onesti e realisti, andrebbe detto quanti sono i fedeli servitori che seppur totalmente innocenti sono stati sacrificati affinché su di loro ricadessero le colpe del Re, che in quanto Re non può sbagliare, mai! E la lista di questi innocenti sacrificati alla pubblica gogna, sarebbe una lista lunga quanto l’Autostrada del Sole, al contrario, invece, la lista dei Re in errore, esiste?

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Per esempio: il Santo Pontefice Giovanni Paolo II ha più volte ammesso che “la Chiesa ha sbagliato”, ne ha chiesto anche più volte scusa, persino quando certe scuse non erano necessarie e opportune. Detto questo mi domando e domando: risulta forse a qualcuno che costui, in ventisei lunghi anni di pontificato, abbia pubblicamente affermato una sola volta, per esempio riguardo il vergognoso caso del fondatore dei Legionari di Cristo: «… sono incorso in gravi errori di valutazione e percezione della situazione, in particolare per mancanza di informazioni veritiere ed equilibrate»? Non mi risulta. Però, agli atti, risulta che egli abbia affermato che la Chiesa ha sbagliato, chiedendo per i suoi errori anche perdono, sia quando era opportuno sia quando non era opportuno. Ora però si presti attenzione: la Chiesa ha sbagliato, ma non ha sbagliato lui, perché non solo il Re non sbaglia mai, ma se proprio sbaglia, allora si sacrifica la testa di qualche altro per far ricadere su dei poveri terzi la colpa, la vergogna e la rabbia del popolo. E si presti attenzione al fatto che stiamo a parlare di santi, che benedicendo Dio sono e restano modelli di eroiche virtù, pur non essendo mai stati, né mai potranno esserlo, dei modelli di perfezione.

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Vi invito a meditare su questa lettera del Sommo Pontefice Francesco, che ha compiuto con essa qualche cosa di grandioso, specie se consideriamo che indurre un gesuita e un argentino ad ammettere di avere sbagliato, non è di certo la cosa più semplice del mondo. A maggior ragione vi dico: in molte altre cose il Sommo Pontefice può essere stato indotto da terze persone, o da veri e proprio delinquenti che lo circondando e che tentano di circuirlo, a lanciarsi in espressioni infelici e sbagliate, ma nessuno, ad un gesuita e ad un argentino, può convincerlo ad ammettere pubblicamente d’aver sbagliato. Pertanto, questo lodevole atto di umiltà, è tutta quanta scelta del Sommo Pontefice Francesco I, da ascrivere come tale a suo totale onore e merito.

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Questo fa di lui, per il caso in questione, un autentico grande; molto più grande in questo di molti suoi Sommi Predecessori, inclusi anche Beati e Santi Pontefici, che hanno riconosciuto davanti al mondo tutti gli errori storici, veri o presunti, della Chiesa visibile, mai però hanno ammesso in alcun modo gli errori propri; e quando hanno commesso errori gravi, a volte anche grossolani, hanno sempre lasciato che la colpa ricadesse addosso agli innocenti, ed oggi sono venerati Beati e Santi. Si, hanno chiesto perdono per errori veri o presunti commessi dalla Chiesa visibile secoli prima, però, mentre sotto i loro occhi veniva fatto scempio immane di numerose vite umane di giovani, molti dei quali destinati a rimanere segnati per tutta la vita — sempre in riferimento al discorso senza storici precedenti dei Legionari di Cristo —, il loro silenzio e la loro indifferenza è stata totale, sino a rasentare il vero e proprio cinismo. Quando poi nei loro processi di beatificazione e canonizzazione sono state sollevate serie e pertinenti questioni su certi loro errori, i richiedenti risposta sono stati spesso tacitati ed il discorso chiuso con la frase perentoria: «Il Sommo Pontefice fu ingannato!». Il problema, purtroppo, non è stato però risolto, perché per esserlo, a questa affermazione avrebbero dovuto seguire spiegazioni molto dettagliate: da chi fu ingannato, quando, come e per quali scopi. E, detto questo, forse è bene non andare oltre, perché quando l’emotività ed i sentimentalismi effimeri del momento presente e del «Santo subito!» si saranno spenti, la storia rischierà di essere molto severa con certe figure, anzi … terribilmente severa, ed a quel punto, non sarà possibile metterci in alcun modo una pezza sopra, perché ci andava messa prima.

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Amen!

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Dall’Isola di Patmos, 12 aprile 2018

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Sensazionale coming-out: «il Padre Ariel S. Levi di Gualdo e Monica Bellucci si amano», con la benedizione degli editorialisti di Avvenire

continua la saga dei buffoni, della serie … famose male da soli [cliccare sull’immagine per aprire l’articolo]

SENSAZIONALE COMING-OUT : «IL PADRE ARIEL S. LEVI di GUALDO E MONICA BELLUCCI SI AMANO», CON LA BENEDIZIONE DEGLI EDITORIALISTI DI AVVENIRE

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«… mi sono innamorato di Monica Bellucci, come lei si è innamorata di me: siamo due innamorati. Pertanto, se per esempio Monica mi dicesse che “il celibato e la castità sono una grande fesseria, a me va bene così e non la correggerei. E se infatti Monica credesse che io, come lei, penso che il celibato e la castità sono una fesseria, a me andrebbe bene così, non la correggerei. Perché essere amici non è fare proselitismo, ma trovare spazi comuni”»

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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PDF  articolo formato stampa

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la Signora Monica Bellucci

Mi chiama questa mattina il Padre Ariel S. Levi di Gualdo per sfogare il meglio del suo spirito tosco-romano:

«Buondì fratello carissimo! Tu che sei un pio domenicano di settantasei anni, non leggi la stampa erotica che giunge tutti i giorni per abbonamento al tuo convento?».

Sono rimasto ammutolito e poi replico:

«Ma dimmi un po’, il mattino, nel caffè, tu ci metti lo zucchero o le droghe allucinogene?».

Ribatte lui:

«Macché, sono stato giorni e giorni nel tuo convento e ho visto che avete un famoso giornale erotico che vi arriva per abbonamento. Altroché, l’ho visto io con i miei occhi! Se fosse vivo quel pio uomo di Dio di Cornelio Fabro mi darebbe mille volte ragione, sulla porno-natura di quel giornale che è tutto un brulicare di porno-teologi» [cf. QUI].

Ribatto:

«E tu che invece sei un Sacerdote altrettanto pio, a quale categoria di porno-teologi staresti alludendo?».

Detto fatto:

«Ah, io che pio lo so’ pe’ davero, alludo a quelli che ce pijanoperculo. Però essi nun sanno che pianoperculo, pecché so’  convinti d’esse piie sti c ….! ».

Ora, sapendo quanto il Padre Ariel si diverta con i paradossi, spesso, se non quasi sempre, assurdo-grotteschi, cerco di dargli corda e domando:

«E quale sarebbe questo giornale erotico che a tuo dire giungerebbe al mio convento a spese del mio Ordine, scritto da gente pia che, sempre come come tu dici, ce pijaperculo ?».

Ribatte lui:

«Play Boy futurity». Faccio mente locale e tra di me traduco: allora … Play Boy vuol dire alla lettera gioca ragazzo … futurity vuol dire futuro, avvenire …

Al ché domando:

«Ma che per caso ce l’hai con Avvenire?».

Risponde lui:

«Oh, yes! The newspaper published by the Italian Episcopal Conference ».

la Signora Monica Bellucci

Beh, che il Padre Ariel, scherzando in privato tiri fuori dei frasari coloriti, questo noi suoi intimi lo sappiamo, però, che quelli di Avvenire, come lui dice, ce pijno perculo, dobbiamo ammettere che purtroppo è un fatto. E capito a che cosa mirava la sua manfrina dico:

«Adesso vado in sala di lettura a leggere».

Prontamente però mi ferma:

«Aspetta, prima di andare a leggere devo rivelare a te per primo una cosa: sappi che io sono innamorato di Monica, perché di fatto, Monica ed io siamo due innamorati. Era giusto che tu lo sapessi per primo».

Io ci casco come una pera e rispondo:

«Capisco, Santa Monica, madre di Sant’Agostino, è un modello di interessanti ed eroiche virtù. Adesso, posso andare in sala di lettura a vedere questo benedetto giornale?».

E ancora lui ribatte:

«No. Perché non hai capito nulla. E non hai capito perché tu sei un elemento destinato a rivoluzionare l’intero mistero della rivelazione, infatti, oltre al Verbo di Dio e alla Beata Vergine Maria, devo prendere atto che tu sei il terzo nato senza macchia di peccato originale …».

A quel punto taccio, perché capisco che si sta preparando a spararla davvero grossa, infatti prosegue:

« … io che sono nato col peccato originale e poi con tutti gli annessi e connessi, non pensavo affatto a quella Santa Donna di Monica, madre di Aurelio di Tagaste, poi Agostino, io pensavo a Monica Bellucci».

A quel punto cerco di raccapezzarmi e domando:

«Monica Bellucci .. e chi è?».

L’avessi mai detto! Ecco che riparte:

«Te l’ho appena detto: tu sei nato senza peccato originale, per causa tua bisognerà rivedere e poi riscrivere interi capitoli della teologia, capisci?».

Mentre lui sproloquia sempre più divertito, io mi affretto a digitare sul motore di ricerca google il nome Monica Bellucci, ed ecco spuntarmi subito fuori le foto di una donna veramente molto bella. Riprendo il filo del discorso e ribatto:

«Cosa vuoi che ti dica: complimenti, è veramente una donna molto bella questa Monica Bellucci, come avrai capito io non la conoscevo».

E subito riparte il buon Padre Ariel:

la Signora Monica Bellucci

«Bene. Adesso dimmi ― sempre ammesso che tu fossi nato col peccato originale come me ―, di chi t’innamoreresti, del Santo Padre, di Eugenio Scalfari oppure di Monica Bellucci? Io mi sono innamorato di Monica Bellucci, come lei si è innamorata di me: siamo due innamorati. Pertanto, se per esempio Monica mi dicesse che “il celibato e la castità sono una grande fesseria, a me va bene così e non la correggerei. E se infatti Monica credesse che io, come lei, penso che il celibato e la castità sono una fesseria, a me andrebbe bene così, non la correggerei. Perché essere amici non è fare proselitismo, ma trovare spazi comuni”».

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Giungo ridente ma anche curioso nella sala di lettura del convento e leggo incredulo, riga dietro riga, l’articolo del povero Don Mauro Leonardi intitolato: «Perché un’amicizia non è un’intervista» [cf. QUI], dove si commenta in modo assurdo gli echi e il significato del recente colloquio fra il Papa e Scalfari, nel quale Scalfari ha riferito che il Papa avrebbe negato l’esistenza dell’inferno ed affermato la scomparsa finale delle anime malvagie, parole che paiono in qualche modo essere state smentite da un successivo comunicato della sala Stampa del Vaticano. A parte il fatto che l’Inferno è una verità di fede, il Santo Padre in altre occasioni ci ha ricordato questa verità. Il vaticanista Andrea Tornielli si è preso cura di fare un sunto su Vatican Insider ricordando alcune delle numerose menzioni fatte in tal senso dal Sommo Pontefice all’Inferno [«Le parole di Francesco sull’Inferno, eterno abisso di solitudine», vedere articolo QUI].

In questo trafiletto Leonardi si arrampica sugli specchi, anzi vuol menarci per il naso ― o come direbbe il Padre Ariel: vo’ pijacce perculo ―, per sostenere sfrontatamente una tesi assolutamente indifendibile, e cioè che tra il Papa e Scalfari ci sarebbe un’alta, intima, gratuita e libera amicizia, alla presenza dello Spirito Santo, un vero e proprio innamoramento.

Vediamo adesso punto per punto.

«Scalfari – dice Leonardi – è un innamorato di Papa Francesco». E calca la mano su questo aggettivo, già qui di per sé di dubbio gusto, paragonando «Jorge Mario ed Eugenio» a «due innamorati». Ma poi, la cosa ributtante, è la sfrontatezza con la quale Leonardi parla di «innamoramento» – anche intendendo opportunamente il senso di questa parola ―, quando è sotto gli occhi di tutti lo sconcio annoso comportamento di Scalfari nei confronti del Santo Padre, col suo disonesto abituale tentativo di strumentalizzarlo per demolire la Chiesa e distruggere il Cristianesimo. Ma ancor più meraviglia e amareggia l’ingenuità o la negligenza del Pontefice regnante nel lasciarsi strumentalizzare in questa vana amicizia per Scalfari.

la Signora Monica Bellucci

Partendo dall’ovvia constatazione che un’amicizia non è un’intervista, Leonardi, forse imbarazzato circa il problema di come interpretare plausibilmente lo sconcertante racconto di Scalfari, cerca di scansare l’ostacolo facendo deviare l’attenzione del lettore dalle dichiarazioni di Scalfari, verso il fatto «commovente» dell’amicizia tra il Papa e Scalfari, affermando che è «un’amicizia che riguarda solo loro due».

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Ma non si accorge, il povero Leonardi, di aver messo una toppa che è peggiore del buco, giacché subito il lettore di buon senso si pone due domande. Prima: se si tratta di un rapporto a due, intimo e riservato, perché mai allora Scalfari sbandiera ai quattro venti le sue favole sul Papa? Seconda: che tipo di amicizia sarebbe, quella del Papa con Scalfari, che  al Papa procura così tanti guai?

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Leonardi si sforza comunque di dare all’accaduto una qualche nobile giustificazione, presentandolo come «relazione libera e alta». In che consisterebbe l’elevatezza di tale relazione? Leonardi mette in scena addirittura lo Spirito Santo: «Il Papa con Scalfari ci parla come fa lo Spirito Santo: il Papa parla e l’amico Scalfari lo comprende nella propria lingua, con i suoi codici». Ma qui, il povero Leonardi, scambia veramente la pneumatologia con i pneumatici delle automobili, dimenticando e non tenendo in alcun conto il fatto che un colloquio nel quale si indulge all’eresia non pare essere però particolarmente elevato.

Inoltre dove sarebbe la «libertà» di questa amicizia? Cristo ci insegna che la libertà si fonda sulla verità. Il che vuol dire, per contrasto, che laddove c’è l’equivoco, la truffa, la menzogna, il rispetto umano e  la slealtà non ci può essere amicizia. E non pago Leonardi aggiunge: «E al Papa va bene così, non lo corregge. Se Eugenio crede che Jorge Mario pensi come lui che l’inferno non esiste, a Jorge Mario va bene, non lo corregge. Perché essere amici non è fare proselitismo, ma trovare spazi comuni».

A questo punto capisco come mai il Padre Ariel, amando ed essendo amato da Monica Bellucci, applicando lo stesso principio non la smentisce affatto, se questa bella donna gli dice che il celibato e la castità sono una gran fesseria.

Ma io mi domando: che amicizia è quella che non corregge l’errore dell’amico? E soprattutto in un campo così importate e delicato come l’esistenza dell’Inferno? Il correggere l’amico che sbaglia, non è forse amore? Non è forse amicizia? Inoltre, è vera amicizia da parte di Francesco permettere a Scalfari di pensare che lui, Francesco, ritenga con Scalfari che l’Inferno non esiste, quando Francesco cattolico ritiene invece l’esistenza dell’inferno verità di fede, necessaria alla sua salvezza eterna? 

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È chiaro che l’amicizia è un «trovare spazi comuni» è una «cercare l’unità», sapendo accettare inevitabili «distorsioni e contaminazioni» o cattive interpretazioni.  Ma è chiaro anche che quando ciò accade, occorre rimediare. Ed è ancora chiaro che questi spazi comuni e questa unità, per caratterizzare una vera e salutare amicizia, non possono basarsi su errate dottrine, come la negazione dell’esistenza dell’inferno, ma devono fondarsi sulla verità, ossia sulla sua affermazione.

Verificandosi allora questa incresciosa circostanza, questa «distorsione» o «contaminazione», per usare l’espressione di Leonardi, per la quale Scalfari si fa l’idea che il Papa non crede nell’Inferno, e il Papa si accorge ― al dire di Leonardi ― della eresia, lasciando però senza batter ciglio che Scalfari concepisca tale idea blasfema … ebbene mi domando: con quale faccia Leonardi fa le lodi dell’amicizia fra Francesco ed Eugenio, paragonandola a quella che corre tra gli innamorati ― come ad esempio tra il Padre Ariel S. Levi di Gualdo e Monica Belucci ― giacche «agli innamorati par di capire che quanto hanno nel cuore è l’esatto ricalco di quanto hanno nel cuore coloro che hanno dinanzi»? Insomma, questo Sacerdote, incardinato nella prelatura dell’Opus Dei, all’interno della quale non sono mai mancati ottimi Sacerdoti e valenti teologi ― si pensi solo alla qualità della Pontificia Università della Santa Croce ―, non si rende proprio conto che i misteri della fede e la teologia non sono poesia, sentimentalismi ed emotività? Non pare, al buon Leonardi, che in un caso del genere l’amicizia necessiti di essere purificata e liberata da «distorsioni e contaminazioni» o cattive interpretazioni? E non gli pare che i due «amici» non abbiano fatto nulla per rimediare a tali «distorsioni e contaminazioni» o cattive interpretazioni? Dunque, che amici sono?

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Il comunicato diramato della Sala Stampa della Santa Sede [cf. QUI], chiarisce a sufficienza che il Papa non ha negato l’esistenza dell’Inferno? Rivela che Scalfari ha mentito? Il Papa non ha nulla da dire ai modernisti ed atei che lo glorificano in tutto il mondo brindando al Papa, che finalmente, dopo duemila anni di cosiddetto terrorismo teologico, ha avuto la franchezza di accogliere la moderna esegesi biblica, come per esempio quella del Cardinale Carlo Maria Martini, dicendo che l’inferno non esiste? Eppure, con tutto ciò, è meglio credere che sia stato Scalfari a mentire nel riferire che cosa gli ha detto il Papa, piuttosto che credere che il Papa potrebbe avere mentito nella fede. Tuttavia ci chiediamo: perché il Papa, al quale certo non manca la parola, non ha chiarito personalmente che cosa ha detto a Scalfari riguardo all’esistenza dell’inferno? [vedere nostri precedenti articoli QUI e QUI].

E se, come sostiene Leonardi, «Scalfari è innamorato di Papa Francesco», starebbe in questo orribile imbroglio  «l’amicizia libera, gratuita, senza secondi fini», tra Scalfari e il Papa?  Essa, come dice Leonardi, «ci turba proprio per la libertà che sottintende» o ci turba piuttosto, mi domando io, per il torbido e la sporca astuzia che manifesta? Ma non si accorge il buon Leonardi, imbonitore degli allocchi e avvocato di chi è in mala fede, del secondo fine di Scalfari di prendersi gioco del Papa e della stessa fede cattolica? È forse vero amico lo schernitore ed è vero amico quello che permette di essere schernito?

Dove sarebbe poi la decantata «libertà»? è quella di dire bestemmie in faccia al Papa? E la «amicizia» con la quale Scalfari aumenta le vendite di Repubblica per mezzo della menzogna sacrilega calunniando l’amico Jorge Mario, sarebbe una «amicizia gratuita»?

Leonardi si rende conto di quello che sta dicendo o getta fuori le parole come quando si svuota il sacchetto della tombola, per non dire quello dell’immondizia? Le sue parole, a giudicarle con benevolenza, mi fanno venire in mente il famoso manifesto dei futuristi di Marinetti Parole in libertà, solo che il buon Marinetti non intendeva bestemmiare, ma solo far poesia.

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Leonardi vorrebbe inoltre farci credere che questa supposta sottintesa «libertà» sarebbe «la vera ragione dello scandalo di alcuni personaggi catholically correct», come se si trattasse dello scandalo farisaico di qualche arretrato bacchettone, mentre non si accorge, il povero sprovveduto, che questo incidente gravissimo ha mosso a sdegno tutta la Chiesa. E quando dico Chiesa intendo i cattolici fedeli al magistero petrino, non i modernisti che credono all’Inferno come io potrei credere al lupo mannaro, o come potrei credere al fatto che il Maestro Generale dell’Ordine Domenicano è fuggito ai Caraibi con Gina Lollobrigida vestita da fatina turchina, mentre Pinocchio piangeva disperato perché prima di partire, la fatina, lo aveva trasformato in Walter Kasper. Insomma: Leonardi confonde la libertà dei figli di Dio con la libertà degli irresponsabili.

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Un’altra enorme sciocchezza in quanto dice Leonardi sulla «amicizia» Papa-Scalfari è la seguente: «L’amicizia tra Scalfari e il Papa solleva critiche e turbamenti perché non è di parte. Non è laica e non è cattolica. È amicizia e basta». Come se l’amicizia cristiana che si suppone il Papa, come credente, abbia per Scalfari, dovesse essere un atteggiamento di «parte» o fazioso.

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Che amicizia è quella che offende la fede? Non si potrebbe oltraggiare di più la nobiltà della vera amicizia, mentre non c’è da dubitare che l’amicizia dell’ateo Scalfari sarà ben lontana da quell’apertura di cuore, che solo la fede in Dio assicura all’animo umano.

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la Signora Monica Bellucci

Non si tratta inoltre di fare proselitismo, che è un cattivo modo di annunciare il Vangelo. Ma tra l’evitare il proselitismo e il lasciare tranquillamente che l’amico Scalfari neghi l’esistenza dell’Inferno ― se è vero quanto racconta Leonardi ―, senza fare la minima obiezione, non sarebbe certo segno di autentica amicizia da parte del Papa, ma semplicemente di meschino rispetto umano, per non contrariare l’interlocutore, anche se possiamo credere che Papa Francesco non abbia voluto mettere in quell’occasione in gioco il suo ministero petrino.

Vorrei infine domandare all’arguto Don Mauro Leonardi: che razza di amicizia è questa tra il Papa e Scalfari, che ogni volta che si incontrano, Scalfari fa poi una relazione dell’incontro infangando la dignità pontificia ed obbligando la Santa Sede a smentire, mentre egli, gongolante e commosso per l’amicizia che lo lega al Papa, dà corda ai modernisti ed ai nemici della Chiesa, facendo ridere tutti gli atei del mondo? E tutto ciò proprio a poche settimane di distanza dalla solenne condanna papale delle fake-news !

E un’altra domanda me la pongo io, insieme con tutti i cattolici e gli uomini di buon senso: come mai il Papa si presta a un gioco così sporco? Che prudenza è la sua ad insistere nell’incontrare questo personaggio, che non si propone altro che di distruggere la fede cristiana e di bestemmiare il nome di Dio?

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Perlomeno, il Padre Ariel S. Levi di Gualdo, essendo un uomo con tutte le debolezze e le tentazioni che possono assalire un uomo, si è innamorato ed è amato da Monica Bellucci. E da questo loro amore non sono state mai lanciate sulla stampa internazionale delle clamorose eresie attribuite poi al Sommo Pontefice. Per questo, quello tra il Padre Ariel e la bella Monica, è un amore sul quale volendo si potrebbe discutere, visto lo stato ecclesiastico di questo presbitero innamorato che ha scelto e promesso solennemente di rimanere celibe e casto, ma di sicuro non è un «innamoramento» pericoloso come quello tra il Regnante pontefice ed Eugenio Scalfari.

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 Varazze, 8 aprile 2018 – Festa della Divina Misericordia

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