il no del Sommo Pontefice Francesco I all’ammissione degli omosessuali nei seminari? il dramma della decadenza morale del clero nasce dalla mancanza di adeguata formazione, è così che finiamo poi col ritrovarci con un esercito di checche e checchine, dive e divine all’interno del corpo ecclesiastico

— Attualità ecclesiale —

IL NO DEL SOMMO PONTEFICE FRANCESCO I ALL’AMMISSIONE DEGLI OMOSESSUALI NEI SEMINARI? IL DRAMMA DELLA DECADENZA MORALE DEL CLERO NASCE DALLA MANCANZA DI ADEGUATA FORMAZIONE, È COSÌ CHE FINIAMO POI COL RITROVARCI CON UN ESERCITO DI CHECCHE  E CHECCHINE, DIVE  E DIVINE  ALL’INTERNO DEL CORPO ECCLESIASTICO

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il raccomandare di non ammettere un gay in seminario, come di recente ha fatto il Sommo Pontefice Francesco I, è solo la parte finale di un lavoro allo stato attuale impossibile da farsi, se prima non si va a colpire con ferro e fuoco certi vescovi e potenti cardinali. Contrariamente, dire ai Vescovi d’Italia riuniti in assemblea plenaria che non bisogna ammettere in seminario persone che siano anche e solo sospettate di tendenze omosessuali, sarebbe come andare a grattare con un cucchiaino da caffè la punta di un iceberg.

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Autori
Giovanni Cavalcoli, O.P – Ariel S. Levi di Gualdo

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… i toscani ed i romani, nel mistero della Redenzione sono soggetti ad un trattamento del tutto particolare, infatti, a prescindere dalle loro opere buone, semplicemente perché toscani e perché romani, vale a dire in quanto segnati da una macchia che si aggiunge al peccato originale, devono farsi rigorosamente duemila anni di Purgatorio [nella foto: locandina del celebre giornale satirico toscano Il Vernacoliere di Livorno]

Nel lontano anno 1935, il Sommo Pontefice Pio XI emanava una lungimirante enciclica sul Sacerdozio Cattolico [Ad Catholici Sacerdotii, vedere testo QUI], dove mette in guardia da quelle forme di devastante superficialità e di mancata assunzione di responsabilità da parte dei vescovi e dei formatori. A tal proposito indica quanto si debba rifuggire «quella falsa misericordia che diverrebbe vera crudeltà verso la Chiesa» e «verso il giovane stesso». A questo scopo, nella parte dedicata a «La scelta dei candidati», così scrive il Sommo Pontefice:

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«Ma tutto questo magnifico sforzo per l’educazione degli alunni del santuario poco gioverebbe se non fosse accurata la scelta dei candidati stessi, per i quali sono eretti e amministrati i Seminari. A tale scelta tutti devono concorrere, quanti sono preposti alla formazione del clero: i Superiori, i Direttori spirituali, i Confessori, ciascuno nel modo e nei limiti propri del suo ufficio, come devono con ogni impegno coltivare la vocazione divina e corroborarla, così con non minore zelo devono distogliere ed allontanare per tempo da una via, che non è la loro, quei giovani che si scorgono sprovvisti della necessaria idoneità e si prevedono quindi non atti a sostenere degnamente e decorosamente il ministero sacerdotale. E quantunque sia molto meglio che questa eliminazione si faccia fin dal principio, perché in queste cose l’attendere ed aspettare è insieme un grave errore e un grave danno, tuttavia qualunque sia stata la causa del ritardo, si deve correggere l’errore quando lo si avverte, senza umani riguardi, senza quella falsa misericordia che diventerebbe una vera crudeltà, non solo verso la Chiesa, a cui si darebbe un ministro o inetto o indegno, ma anche verso il giovane stesso che, sospinto così sopra una falsa via, si troverebbe esposto ad essere pietra d’inciampo a sé e agli altri, con pericolo di eterna rovina. Né sarà difficile all’occhio vigile ed esperto di chi presiede al Seminario, di chi segue e studia amorosamente ad uno ad uno i giovani a sé affidati e le loro inclinazioni, non sarà difficile, diciamo, accertarsi se uno abbia o no una vera vocazione sacerdotale» [supra, testo dell’Enciclica, QUI]. 

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I fatti scandalosi in crescita in vari Paesi del mondo dei quali sempre più si ha notizia, riguardo peccati commessi da chierici dediti alla pratica dell’omosessualità, od alle molestie sessuali che variano dalla efebofilia sino all’orrendo crimine della pedofilia, ci spingono a interrogarci su quali possono essere le cause di un fenomeno tanto aberrante e contra naturam.

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L’esistenza del concubinato nel clero è un fenomeno che percorre tutta la storia della Chiesa, sino ai giorni nostri, ma in questo caso parliamo però di un agire praeter naturam. Un problema, quello della doppia vita e delle relazioni più o meno occasionali od a volte anche stabili con donne, che ha investito le gerarchie ecclesiastiche sino ai più alti livelli. Particolarmente noto a livello storico è il caso di un Sommo Pontefice concubinario, Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia. Come però dicevamo poc’anzi, in questo caso è però in gioco quello che è il rapporto sessuale fisiologicamente naturale, indubbiamente peccaminoso, ma praeter naturam. Riguardo Alessandro VI è bene chiarire che oltre alle leggende nere create prima dai luterani nel XVI secolo, in seguito quelle studiate a tavolino e poi diffuse dagli anticlericali affiliati alla nascente massoneria nel XVIII secolo, rimangono anche molti documenti straordinari, perché al di là delle sue innegabili condotte morali personali, questo Sommo Pontefice fu all’occorrenza un autentico difensore del depositum fidei, non a caso, la bolla Cum in principio del 1499 e la bolla Pastoris Aeterni del 1500 con le quali indisse l’Anno Santo, dando in esse precise indicazioni ai penitenzieri per l’acquisto della indulgenza giubilare, andrebbero lette in ginocchio e con le lacrime agli occhi.

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Ciò che invece si stenta a capire è come possa verificarsi la commissione di un peccato così grave come quello di sodomia, contro quel celibato ecclesiastico o voto di castità che si suppone esser stato desiderato, voluto, deciso e infine promesso solennemente e pubblicamente assieme all’impegno di osservanza usque ad mortem, il tutto liberamente e consapevolmente da parte di persone psicologicamente sane che hanno ricevuta una sana e regolare formazione sacerdotale e religiosa, dopo essere stati prudentemente vagliati e provati dai superiori responsabili della formazione.

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A questo quadro sconfortante c’è da aggiungere la domanda che sorge spontanea e ancor più drammatica sulla qualità dei formatori, dei docenti e degli educatori di queste persone, in primis dei vescovi, supremi moderatori e vigilanti circa la buona formazione dei loro sacerdoti, nonché la competenza e virtù dei docenti e degli educatori preposti alla loro formazione.

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Si deve infatti constatare, come abbiamo già più volte rilevato sulla nostra Isola di Patmos, che le radici profonde di questi peccati sessuali non possono non derivare dall’aver ricevuto una pessima e cattiva formazione, non basata sulle direttive del Magistero della Chiesa e sui veri maestri, ma su idee eretiche, o comunque su idee condannate dalla Chiesa, le quali propongono tra l’altro un falso concetto di Dio, dell’uomo, della fede, della grazia, della legge, del peccato, della Redenzione, della Chiesa, dei Sacramenti, del sacerdozio e dell’episcopato, come avviene per esempio nella teologia di Karl Rahner.

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Un altro fatto preoccupante, in questa vicenda, è l’atteggiamento inadeguato o imprudente dei vescovi che, o sono reticenti o minimizzano o coprono i misfatti o prendono provvedimenti inefficaci. Ma c’è di peggio: quando un corpo è invaso da metastasi e gli “oncologi” ― ovverosia i vescovi ed i formatori alla vita sacerdotale e religiosa ―, anziché bombardare le cellule cancerogene con la chemioterapia proteggono le cellule malate a danno di quelle sane, finisce con l’emergere negli spiriti retti quell’imperativo di coscienza in base al quale si è costretti a consigliare agli aspiranti al sacerdozio e alla vita religiosa di non entrare assolutamente in molti seminari e noviziati. E di questo noi siamo testimoni, a nostro modo anche protagonisti nella nostra veste di confessori e di direttori spirituali. Infatti, proprio nell’esercizio di questi delicati ministeri, ci siamo trovati più volte costretti a consigliare giovani profondamente sani e animati da autentiche vocazioni di non entrare in certe istituzioni, molte delle quali ridotte a degli autentici rifugi per omosessuali; oppure dagli omosessuali stessi direttamente gestite o indirettamente influenzate, quindi protette all’esterno dalla numerosa, devastante e potente lobby degli ecclesiastici condizionati da tendenze omosessuali o da una psicologia omosessuale — i cosiddetti gay friendly —, per causa dei quali stiamo assistendo ad una sempre più estesa omosessualizzazione del clero cattolico.

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Al riguardo, paiono plateali e dettate da grave leggerezza le dimissioni collettive dell’intero episcopato cileno a seguito dell’ennesimo scandalo in Cile. Lodevole è stata la lettera con la quale i vescovi hanno espresso pentimento, volontà di rimediare e ringraziamento al Sommo Pontefice Francesco I per la paterna attenzione che egli ha riservato alla vicenda. Tuttavia occorre però osservare che un vescovo può rinunciare alla cattedra episcopale perché conscio di colpe gravissime o perché avverte con certezza la propria sopraggiunta incapacità a continuare a svolgere convenientemente il suo ufficio. Lo stesso Sommo Pontefice Benedetto XVI, in quest’ottica, ha fatto atto di rinuncia alla Cattedra di Pietro. Pero, che un intero episcopato formato da 34 vescovi — per quanto abbia avvertito il proprio coinvolgimento nello scandalo diffuso e protrattosi per molti anni —, giunga all’inaudita gravissima decisione di dimettersi in blocco, con una compattezza che sa di cosa forzata, come potrebbe avvenire nelle proteste sindacali o in un comitato di fabbrica, più che testimoniare un atto di pentimento, dà prova di un gesto lesivo della dignità episcopale, per attirare su di sé l’attenzione del mondo. Per risolvere il problema occorre infatti ben altro da simili gesti spettacolari. I veri e più gravi responsabili avrebbero dovuto farsi avanti, non nascondersi nel mucchio dei dimissionari, ed assumersi le proprie responsabilità.

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La vera soluzione educativa è che il vescovo, prima di ammettere un candidato alla formazione al sacerdozio, verifichi veramente e seriamente che in esso sia presente una abbondante dose di testosterone maschile con la relativa psicologia maschile che ne consegue, perché l’uomo ― o se preferiamo il maschio sano ―, è il primo basilare e imprescindibile presupposto per iniziare a formare un candidato in vista del sacerdozio ministeriale. Vagliato il tutto, il vescovo deve impartire una seria formazione e svolgere una diligente vigilanza sul seminario e sul clero, affinché il candidato agli ordini sacri sia protetto e difeso dalle idee malsane e coltivi la sana dottrina, chiarisca bene il valore altissimo della vocazione sacerdotale ed episcopale e se ne innamori con tutto il cuore, con ardente desiderio di perfezione e di santità e di essere totalmente al servizio delle anime e della Chiesa. Il sacerdote veramente convinto e innamorato della propria vocazione e missione è tutto e soltanto preso dalle cose di lassù, non da quelle di questa terra. È mosso dallo Spirito, non ha tempo per soddisfare i desideri della carne.

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La vera soluzione pastorale comporta l’educazione della volontà e delle emozioni, nonché il rafforzamento dell’attaccamento al bene, la stimolazione dell’odio per il peccato, la volontà di emendarsi e di correggersi. Se il Beato Apostolo Paolo dice che la carità «tutto copre» [I Cor 13,7], egli intende riferirsi a quella delicatezza del padre che non vuol gettare il figlio in pasto al ludibrio, non lo vuole umiliare, ma al tempo stesso lo vuole correggere. Perché un padre che all’occorrenza sa richiamare, rimproverare, minacciare e castigare, esercita in questo modo la vera carità. In caso contrario, si cade in quella pericolosa falsa misericordia stigmatizzata dal Sommo Pontefice Pio XI nella sua enciclica dedicata al sacerdozio ed alla formazione al sacerdozio.

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La carità e la misericordia, sono sicuramente pronte a coprire là dov’è possibile, utile, lecito e doveroso; dove c’è da scusare o pazientare, ma non certo nel senso di coprire o di nascondere il peccato affinché non venga corretto e punito. La vera carità e la vera misericordia non devono coprire il male, ma svelare a chi di dovere ed al peccatore stesso. Dio non copre i peccati lasciandoli tali, come credeva Martin Lutero, ma li copre per misericordia in attesa di toglierli.

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La misericordia non suppone la riduzione della colpa a pena. Non c’è solo l’anima ferita, ma c’è anche quella feritrice; non c’è solo il peccatore da trattare con la dovuta misericordia, perché anche la persona gravemente offesa dal peccato merita perlomeno la stessa dose di misericordia riservata al peccatore offensore. Si deve aver pietà per chi non ce la fa, non però per chi non vuole impegnarsi perché non intende assolutamente farcela. Questo va incitato a correggersi e impegnarsi, altrimenti la misericordia, dopo essere stata svuotata del suo vero significato mistagogico, diventa connivenza e complicità, se non peggio: con la falsa misericordia si copre il peccatore e si punisce chi ha indicato la pericolosità offensiva e infettiva del suo peccato, giungendo sino a colpire la cellula sana per proteggere la cellula tumorale ed immetterla in circolo nell’organismo ecclesiale ed ecclesiastico.

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Nelle nostre considerazioni su questo tema scabroso, bisogna aggiungere che sulla base delle analisi e delle osservazioni che noi stiamo facendo e pubblicando periodicamente ormai da alcuni anni, sia riguardo la condotta sia riguardo certe idee sbagliate e pericolose del clero e dei vescovi, davanti a tutti questi fatti è sorto inevitabilmente in noi un atroce sospetto, non certo privo di fondamento teologico e giuridico, anche se non sempre corredato da precise prove, per cui siamo giunti alla conclusione che in molti casi le sacre ordinazioni di questi preti e di questi vescovi, fondate su una idea del sacerdozio falsa e falsante, siano non solo illecite ma anche invalide. A tal proposito pubblicammo in passato due studi per la nostra pagina di Theologica che potete trovare nell’archivio de L’Isola di Patmos [vedere QUI e QUI]. Due studi che per inciso mettemmo a disposizione della Congregazione per la dottrina della fede, della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti e della Congregazione per il Clero, affinché chi è preposto a vagliare certi quesiti, potesse vagliarli.

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Lo smarrimento morale, che è all’origine del fenomeno dei disordini sessuali diffusi tra i sacerdoti sino a giungere persino al crimine della pedofilia, è a sua volta causato dal concetto rahneriano dell’agire umano, che non si basa sull’accettazione dei fini essenziali della natura umana, perché egli non accetta neppure l’idea di una natura umana fissa e oggettiva, la cui felicità dipende dall’obbedienza a una legge naturale immutabile ed inviolabile stabilita dal Creatore; ma secondo lui, l’uomo e ciascuno di noi, è libero di determinare come gli pare e piace i contorni concreti e quindi l’agire della propria natura ed esistenza. Da questo ne consegue che in campo sessuale il soggetto singolo è libero di scegliere il proprio orientamento non in base a una finalità dell’attività sessuale insita nella natura, indipendentemente dal soggetto, ma in base alla ricerca del piacere sessuale, ottenuto con mezzi creati dal soggetto stesso, variabili come tali da soggetto a soggetto e tutti quanti leciti, purché piacciano al soggetto. In tal modo non esiste più una regola universale per distinguere la buona azione  dal peccato. Quindi non posso più dire che il tale commette un peccato di sodomia, di efebofilia o peggio di pedofilia, ma che il suo atto è semplicemente diverso dal mio, un atto che non devo condannare, ma comprendere e rispettare. Tutto questo ha portato ad un concetto aberrante e diabolico di cosiddetta Chiesa “accogliente” e “includente” che al proprio interno ospita tutte le cosiddette “diversità”, dopo avere sminuito il peccato e cambiato lo stesso nome al peccato, chiamandolo appunto “diversità” da accogliere e da valorizzare, che si tratti dell’eresia come dei disordini sessuali.

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Quando si dà spazio ad una simile morale, a poco valgono le geremiadi per l’omosessualità diffusa nel clero, per seguire con i casi di efebofilia e di pedofilia registrati tra i preti. Si tratta infatti, per la quasi totalità, di scandali che potevano essere evitati. E alla loro inevitabile esplosione sono state poi profuse lacrime di coccodrillo proprio da coloro che sino a prima hanno coperto e protetto i fautori di certe condotte, ma che adesso si stracciano le vesti in pubblico singhiozzando «non sapevamo» o «non avremmo mai potuto immaginare». Inutile precisare che agire in tal modo è solo grave ipocrisia, resa ulteriormente grave dal fatto che non di rado, questo esercito di prefiche episcopali e presbiterali, spesso non si è neppure limitato a coprire in modo determinato e ostinato certi immorali, perché spesso hanno fatto di peggio: più volte hanno colpito, ostracizzato ed emarginato i pochi sacerdoti che con determinazione e coraggio hanno denunciato certe situazioni prima che scoppiasse il pubblico scandalo. A tal proposito il Padre Ariel S. Levi di Gualdo avrebbe molto da dire alle autorità ecclesiastiche, alle quali più volte, sempre a proprio rischio e pericolo, ha segnalato situazioni che avrebbero dovuto essere prese per tempo e stroncate in modo deciso, anziché lasciarle fermentare e poi esplodere, con il conseguente pianto pubblico delle stesse autorità ecclesiastiche che pur essendo state informate bene e per tempo, lungi dal far qualcosa hanno poi risposto ai vari intervistatori: «non sapevamo», «non avremmo mai potuto immaginare», «l’autorità ecclesiastica, od un vescovo diocesano, non può avere tutto e tutti sotto controllo» …

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Quanto dunque dovremo ancora andare avanti nel raccogliere i frutti amari del rahnerismo? Che cosa deve accadere ancora perché il Romano Pontefice si decida ad una riforma della formazione sacerdotale secondo le direttive del Concilio Vaticano II? Il Concilio e le sue riforme non prevedono infatti il rahnerismo, ma un saggio ritorno a San Tommaso d’Aquino, come dice lo stesso Decreto conciliare sulla formazione sacerdotale Optatam totius:

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«Per illustrare integralmente quanto più possibile i misteri della salvezza, gli alunni imparino ad approfondirli per mezzo della speculazione, avendo San Tommaso per maestro» [n. 16, testo QUI].

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Mentre la Dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum educationis, afferma:

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«Indagando molto accuratamente le nuove questioni e ricerche poste dall’età che si evolve, si colga più chiaramente come fede e ragione s’incontrino nell’unica verità seguendo le orme dei dottori della Chiesa, specialmente San Tommaso d’Aquino» [n. 10, testo QUI].

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Occorre allora che l’educatore metta a disposizione dell’educando i mezzi della grazia, proponga l’esempio dei Santi, dia egli stesso esempio di virtù, lo educhi allo studio della Scrittura, alla preghiera, all’intima unione con Cristo Sommo Sacerdote, alla comunione con la Chiesa e col Romano Pontefice, alle opere della carità fraterna e della misericordia.

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Dobbiamo riconoscere onestamente che in questi cinquant’anni nei quali si sarebbero dovute mettere in atto queste sagge direttive, il Concilio è stato beffato proprio dai rahneriani che se ne considerano i continuatori, ma che in realtà hanno prima data vita al para-concilio, poi, nella stagione del post-concilio, al loro personale concilio; ma si tratta, come ripetutamente abbiamo spiegato, di un concilio mai celebrato dai Padri della Chiesa. Così è successo che invece della riforma conciliare, è risorto un modernismo che è peggiore di quello dei tempi del Santo Pontefice Pio X.

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Bisogna pertanto rifare tutto da capo e tornare a queste direttive del Concilio Vaticano II, altrimenti le cose andranno progressivamente di male in peggio in questa stagione di decadenza irreversibile. Come scrisse infatti tempo fa il Padre Ariel S. Levi di Gualdo sulle nostre pagine di Theologica: «La crisi morale del clero nasce a monte da una profonda crisi dottrinale, che di questa crisi morale è stata la grande madre partoriente» [vedere articoli, QUI, QUI].

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Il Sommo Pontefice Francesco I, parlando a porte chiuse ai Vescovi d’Italia riuniti in assemblea plenaria dal 21 al 23 maggio, ha raccomandato loro di non accogliere candidati al sacerdozio che manifestano chiare tendenze omosessuali. Ebbene, con tutto il dovuto rispetto e la più profonda venerazione per il Successore di Pietro, non possiamo che sorridere con amorevole dolore su queste parole, che denotano ancora una volta una incapacità a cogliere la portata del problema e di andare quindi alla radice del grave problema stesso. Infatti, la soluzione, non è quella di evitare l’ammissione dell’esercito di omosessuali che seguitano a essere ammessi nei seminari e nei noviziati malgrado i ripetuti richiami ed i vari documenti pubblicati dai dicasteri della Santa Sede nel corso degli ultimi dieci anni [si rimanda a questa Istruzione del 2005, QUI, ed a questo articolo QUI]; il problema si risolve destituendo i vescovi appartenenti alla lobby gay ecclesiastica che sono di fatto indefessi protettori dei preti gay, nonché incubatrici di nuovi preti altrettanto gay.

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Il Sommo Pontefice, così parlando, non si rende forse conto che negare ammissione al seminario ad un omosessuale, è solo l’atto finale, o per così dire la punta dell’iceberg? Per risolvere il problema vanno prima neutralizzati tutti quei vescovi e quei membri della curia romana che appartengono alla lobby gay e che la proteggono in tutti i modi, soprattutto a danno dei buoni sacerdoti e delle buone vocazioni.

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Per chiudere questo discorso, in sé e di per sé lungo e complesso, lasciamo alla Santità di Nostro Signore l’Augusto Pontefice Francesco I un quesito sul quale meditare, vale a dire il seguente: Beatissimo Padre, ma non vi siete proprio mai accorto che nella Città del Vaticano e nei suoi Dicasteri, tolti quegli uomini sani, straordinari e fidati che sono i membri della Gendarmeria Pontificia, ed anche quelli della Pontificia Guardia svizzera, tra i numerosi dipendenti laici, gran parte dei quali degni padri e madri di famiglia, c’è anche un numero considerevole di giovanotti assunti direttamente in casa Vostra presso vari posti d’impiego solo perché sono i boys di svariati Vostri prelati? Com’è possibile non accorgersi di ciò? Perché la cosa è così evidente, nello spazio di questo piccolo Stato sovrano che occupa appena un chilometro quadrato di territorio.

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Pertanto, il raccomandare di non ammettere un gay in seminario, è solo la parte finale di un lavoro allo stato attuale impossibile da farsi, se prima Voi non andate a colpire con ferro e fuoco certi vescovi e potenti cardinali. Contrariamente, dire ai Vescovi d’Italia riuniti in assemblea che non bisogna ammettere in seminario persone che siano anche e solo sospettate di tendenze omosessuali, sarebbe come andare a grattare con un cucchiaino da caffè la punta di un iceberg.

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Dall’Isola di Patmos, 27 maggio 2018 – Santissima Trinità

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tempo fa, un nostro Confratello Sacerdote ci inviò il video messo pubblicamente in rete dal simpatico burlone ripreso nel video stesso. Queste immagini video erano accompagnate dal seguente messaggio: «Spero tanto che sia un laico, perché purtroppo somiglia parecchio a non pochi nostri preti, quindi non vorrei che fosse uno dei nostri, come dire … uno in più tra i tanti!».

Domanda di rigore: quanti sacerdoti e devoti fedeli, ma soprattutto, quante Autorità Ecclesiastiche possono in coscienza affermare di non avere mai incontrato nel nostro clero secolare e regolare dei soggetti  simili a questo simpatico burlone, i quali però, preti, lo sono purtroppo per davvero? D’altronde, se si continua imperterriti a grattare con un cucchiaino da caffè la punta di un iceberg

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

La gnoseologia teologia di Walter Kasper, che di questi tempi si diletta anche a dare degli gnostici agli altri

— Theologica —

 LA GNOSEOLOGIA TEOLOGICA DI WALTER KASPER, CHE DI QUESTI TEMPI SI DILETTA ANCHE A DARE DEGLI GNOSTICI AGLI ALTRI

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Seguendo la dialettica hegeliana, Walter Kasper si è allontanato dal cristianesimo ancor più di Lutero, perché Lutero, almeno, aveva visto, seppur maldestramente, i rischi di una ragione superba e, seppur in modo arrogante, l’importanza fondamentale dell’obbedienza alla Parola di Dio, mentre la dialettica hegeliana trasforma Dio in un sillogismo e dissolve il Mistero nel divenire della storia.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

Il nostro modo di concepire l’agire morale e la nostra stessa condotta morale  dipendono dalla nostra concezione della realtà e da come concepiamo la conoscenza della realtà, cioè dalla nostra “gnoseologia”. Questo vale per tutti e quindi vale anche per il famoso teologo Walter Kasper. E in questo saggio vedremo come funziona in lui questo rapporto.

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Da molti decenni il Cardinale Walter Kasper, in qualità di guida delle attività ecumeniche della Chiesa, svolge un modo di fare ecumenismo, che non avvicina i fratelli separati alla piena comunione con la Chiesa, ma al contrario li lascia nei loro errori e nella loro condizione di separatezza, come se tale condizione non fosse un difetto da riparare, ma semplicemente il segno di un modo di essere cristiano diverso da quello cattolico e altrettanto legittimo, anzi complementare.

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Ma così è successo e succede che non solo i protestanti non si convertono al cattolicesimo, ma molti cattolici, attratti dagli errori di Lutero, e visto che non vengono più corretti come un tempo, e che è cessata l’opera dei cattolici di convertire i protestanti, si fanno l’idea che la Chiesa abbia corretto il suo giudizio su Lutero, ed abbia scoperto che aveva ragione lui, o che quanto meno il suo modo di concepire il cristianesimo può essere oggetto di scelta facoltativa anche per i cattolici. Così questi cattolici si sentono autorizzati a scegliere almeno qualcuna delle posizioni di Lutero, nella convinzione di poter continuare a dirsi cattolici, anzi forse pensano di potere essere considerati “progressisti” ed  “avanzati”. Ma l’insidia più sottile è il fatto che certi errori di Lutero vengono presentati come verità cattoliche, per cui molti cattolici ignari e ingenui ci cascano. E bevono il veleno senza accorgersene. Uno dei più abili operatori di questa colossale truffa è Karl Rahner.

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A questo punto occorre trovare una via di uscita a questa situazione, perché la fede cattolica si sta affievolendo, mentre è in aumento l’influsso di Lutero. Occorrerebbe pertanto che il Sommo Pontefice fermi questa interpretazione modernistica dell’ecumenismo e promuova l’attuazione dell’autentico ecumenismo, così come risulta dal vero insegnamento del Concilio.

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Il rapporto tra metafisica e dottrina della Chiesa

Nella teologia di Walter Kasper, come in ogni sistema teologico, il tutto risulta dalla coesione consequenziale delle parti tra loro connesse: se si mina il fondamento, crolla tutto il resto, come la statua della visione di Daniele [Dn 2, 21-31]. Tutto parte dalla conoscenza. Se questa è sana, tutto il resto regge; altrimenti tutto crolla. Dedichiamo allora questo saggio alla sua gnoseologia, senza mancar di far vedere la verità di questo assunto. Diciamo allora che è falso dire che «la Chiesa non sostiene una determinata metafisica» [1], giacché essa invece raccomanda da secoli quella di San Tommaso d’Aquino. Ma lo fa sulla base della convinzione che la metafisica è una scienza certa, perenne, incontrovertibile, oggettiva ed universale, sapere fondamentale, frutto immarcescibile della ragione umana come tale, adatta a tutti gli uomini e a tutte le culture, in ogni tempo e luogo.

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La Chiesa crede non in una data metafisica, ma nella metafisica come tale, così come essa non promuove la ragione di Tizio o di Caio, ma la ragione umana come tale, di qualunque persona umana, in ogni tempo e in ogni luogo. Per questo, nelle sue istituzioni educative, culturali ed accademiche, la Chiesa promuove la metafisica nella sua perfezione epistemologica e nel suo progresso, volendola esente da errori e difetti, nella libertà della discussione, della ricerca e dell’insegnamento. Essa sa bene che esistono diverse forme, sistemi od orizzonti di pensiero metafisico, alcuni validi, che essa ammette nella sue scuole, soprattutto il sistema di San Tommaso, ma poi anche quello, ad esempio, di Sant’Agostino o di Sant’Anselmo o di San Bonaventura, o di Alessandro di Hales o del Beato Duns Scoto o di Francesco Suarez; mentre altri, invece, pericolosi, essa li guarda con riserva o sospetto, come per esempio quello di Scoto Eriugena o di Guglielmo di Ockham o di Nicolò Cusano o di Marsilio Ficino, o di Campanella o di Cartesio o di Leibniz o di Wolff o del Beato Antonio Rosmini, benchè veneri la santità di quest’ultimo. Altri sistemi essa li respinge senz’altro, benché nella sua magnanimità, esorti i   teologi a recuperare in essi quanto può esserci di valido. Sono le dottrine che si trovano in contrasto col realismo della sana ragione, e che quindi contrastano con la fede, come per esempio le idee di Giordano Bruno o di Spinoza o di Kant o di Fichte, o di Schelling o di Hegel o di Gentile o di Heidegger o di Severino o di Rahner.

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Per quanto riguarda gli eretici, la Chiesa, nel momento in cui ne condanna gli errori, chiede ai teologi di evidenziare in essi quanto è rimasto del comune patrimonio di fede, nella speranza che essi si correggano e vogliano riunirsi alla Chiesa. Con tutti gli uomini, credenti e non credenti, la Chiesa dialoga sulla base della ragione naturale, al fine di introdurli, se possibile, al mistero di Cristo. Tuttavia, non esistono diverse o differenti metafisiche, così come esistono diverse o differenti opinioni. Infatti, lo ripetiamo, la metafisica è una scienza e non un’opinione, così come, per esempio, non sono opinioni la geometria, la fisica, la botanica, la geografia o l’anatomia.

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La Chiesa raccomanda l’uso della metafisica di San Tommaso d’Aquino

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La Chiesa, pertanto, tra le diverse metafisiche prodotte nel passato, a seguito dell’apparire della sistemazione teologica di San Tommaso d’Aquino nel XIII secolo, ha scelto ed ha preferito certamente una data metafisica, appunto quella di San Tommaso [2], ma non come avesse scelto un’opinione tra altre dottrine discutibili o caduche. Ciò naturalmente non vuol dire che la metafisica di Tommaso sia priva di difetti o non sia perfezionabile, o che non possa sorgerne in futuro una migliore [3]. Questa preferenza della Chiesa è motivata dal modo eccellente col quale San Tommaso sa motivare l’armonia tra ragione e fede [4], in ordine alla elaborazione di una apologetica, di una teologia razionale e di un’etica naturale, nonché all’interpretazione della Scrittura ed alla formulazione e spiegazione del dogma.

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Prima della comparsa di San Tommaso, la Chiesa si dava premura certamente che la Sacra Scrittura fosse commentata ed interpretata utilizzando sani concetti razionali e filosofici, mentre i dogmi che erano stati definiti in precedenza, come per esempio i dogmi cristologici, erano stati formulati con l’utilizzo di categorie metafisiche, dovutamente adattate, ricavate dalla filosofia greca, come del resto avevano già fatto i Santi Padri della Chiesa e Sant’Agostino servendosi della filosofia platonica per la elaborazione della loro teologia.

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Ma prima di San Tommaso non era sorto nessun teologo che fosse stato capace di organizzare con tanta sapienza tutto il sapere teologico in un unico sistema razionale. Questa esigenza cominciò a farsi sentire a partire dal XIII secolo [5]. Ci si era accorti infatti che gli insegnamenti biblici e i dogmi che la Chiesa aveva ricavato da essi, benché si trovassero sparsi in documenti che si erano susseguiti nel corso di secoli e benché molti di questi documenti avessero ad oggetto la narrazione di fatti riflettenti l’azione divina nella storia ― per esempio il passaggio dall’Antica alla Nuova Alleanza, l’Incarnazione e la Redenzione, la fondazione e lo sviluppo della Chiesa ―, contenevano però anche delle verità speculative, razionalmente collegabili tra di loro; verità universali, immutabili ed eterne, razionali e rivelate «cielo e terra passeranno; ma le mie parole non passeranno» [Mt 24, 35], verità che si riferiscono soprattutto a Dio, Che, nella sua purissima spiritualità, immutabilità ed eternità, è in Se stesso al di là dello spazio e del tempo, trascende la storia e il divenire del mondo, benché, con l’Incarnazione del Figlio di Dio, Dio abbia unito a Sé in Cristo una singola umanità nell’unità di una sola Persona divina, e per conseguenza, per il tramite di quest’uomo Gesù, abbia unito a Sé, «senza confusione» e o senza mutazione», come si deduce dal dogma cristologico di Calcedonia, ogni uomo, la storia, il tempo e il mondo.

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Per questo, il Concilio Vaticano II ha potuto dire che «con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo» [GS 22], non certamente nel senso rahneriano che tutti gli uomini siano in grazia, ma in quanto Cristo offre a tutti la possibilità di unirsi a Lui e così di salvarsi, come sappiamo bene dagli insegnamenti evangelici e dogmatici concernenti le condizioni per salvarsi. E’ quello che dice Cristo: «Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» [Gv 12,32]. Ma non tutti si lasciano attrarre.

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La Chiesa si guarda bene dall’imporre a tutto il popolo di Dio, come fosse sua dottrina ufficiale, qualunque teoria, idea o scelta mutevole, contingente o limitata al campo della particolarità o dell’opinabilità, si tratti di una tendenza politica, di una corrente culturale o artistica o di culto o devozioni o spiritualità o modo di vivere la fede e la condotta morale. Ma essa lascia in ciò a tutti piena libertà di scelta. Essa, invece, in base all’autorità che le è stata conferita da Cristo, impone assolutamente a tutti i credenti, pena la dannazione eterna, solo ciò che, per comando di Cristo, è universalmente necessario ed obbligatorio per la salvezza di tutti. Ma nessuno le impedisce di proporre anche dottrine umane ben fondate ed universalmente valide, connesse con le verità di fede, al fine di facilitarne l’apprendimento [catechesi] o di introdurre ad esse [apologetica] o di trarne delle conclusioni o di favorire lo sviluppo dogmatico [teologia speculativa o morale] o di consentire buoni commenti alla Scrittura [esegesi biblica] o di favorire la pietà e la santità [teologia spirituale].

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In nome di questa sua facoltà, che è anche suo dovere, la Chiesa raccomanda soprattutto ai pastori e ai teologi San Tommaso [6], non ovviamente perchè la sua dottrina sia necessaria alla salvezza, ma per la validità, l’utilità e l’universalità del suo pensiero in ordine ai suddetti scopi. Per questo, della dottrina dell’Aquinate, Pio XI disse che la Chiesa l’ha fatta sua, edixit esse suam. E Tommaso è stato chiamato dalla Chiesa Doctor communis Ecclesiae.

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L’analogia dell’ente secondo Kasper

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Kasper pensa di poter fare un collegamento fra analogia, dialettica e pensiero storico. L’idea non è male; ma purtroppo il risultato, come vedremo, è deludente. Egli dice:

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«La struttura dell’ “in-al di sopra di” è caratterizzante sia per l’analogia, sia per la dialettica, sia per il pensiero storico. Se ora mettiamo a confronto dialettica e analogia, questo non vuol significare che l’analogia entis sia la ‘forma del pensiero cattolica’ [7]. Non può e non potrà darsi ‘la forma di pensiero cattolica’ per la ragione che la Chiesa non ha sostenuto una determinata metafisica. La Chiesa deve testimoniare il Vangelo e certamente assolve a questo compito usando il linguaggio umano. Ha dunque bisogno, a tal fine, della filosofia come riflessione critico-metodologica e come interpretazione dell’esperienza umana dell’essere. Tale pensiero è ancora profondamente storico» [8].

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Osserviamo che è vero che l’analogia unisce e collega l’ente immanente, mondano, all’ente trascendente, divino. Ma il rapporto immanenza-trascendenza è ben distinto nel caso della dialettica e della storia. La dialettica, infatti, non conosce una trascendenza, perché resta sul piano dell’univocità e si limita all’opposizione fra l’essere e il non-essere, tra l’affermazione e la negazione. Essa resta sul piano mondano e delle opinioni. Per salire a Dio, all’intelletto non servono concetti opposti tra di loro, oltre a tutto limitati all’ambito delle apparenze, come quelli dialettici, sia perché Dio, benché trascendente, non si oppone al mondo, non è nemico del mondo, ma, al contrario, è in armonia col mondo, è in comunione con esso, avendolo creato Lui; e sia perché, per spiegare le certezze mondane, abbiamo bisogno di un fondamento primo e certissimo e non oscillante come quello dialettico. Se il fondamento vacilla, che sarà del resto?

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Per salire dunque dal mondo a Dio, occorre un concetto che, pur applicandosi al mondo, abbia la duplice qualità di essere da una parte in continuità con la nozione di Dio e quindi predicabile anche di Dio; ma dall’altra bisogna che la nozione o il livello che tale concetto raggiunge non sia troppo basso e non resti al livello dell’essere mondano, al fine di poter esprimere la trascendenza o la superiorità di Dio rispetto al mondo. Altrimenti, invece di raggiungere Dio, avremmo solo un idolo o un dio pagano. Inoltre, occorre una nozione sufficientemente universale, che sia applicabile a tutte le cose, perché Dio deve spiegare l’esistenza di tutto il mondo. Occorre dunque utilizzare il concetto più vasto e più universale che possediamo. Ma questa nozione deve anche essere sufficientemente elevata, perché non deve spiegare solo l’esistenza delle cose materiali, ma anche il mondo dello spirito. Occorre dunque che essa astragga, trascendendole, dalle cose materiali e quindi anche dallo spazio, dal tempo, dal divenire e dalla storia, per poter considerare lo spirito, che è immateriale e che, pur potendo operare nella storia, tocca però realtà e valori sovrastorici, immutabili e incorruttibili. Il semplice pensiero storico non è sufficiente per ottenere o avere un concetto di Dio. Benché infatti indubbiamente Dio abbia creato la storia e la governi, e benché Si sia incarnato in Gesù Cristo, ed abbia vissuto tra noi, resta sempre in Se stesso immutabile e al di sopra della storia e la natura umana storica di Cristo è distinta dalla natura divina.

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Peraltro, la suddetta operazione astrattiva, come dimostra il Cardinale Gaetano [9], comporta tre gradi di superamento della materia: fisico, matematico e metafisico [10]. Al termine di tale operazione, siamo in possesso della nozione che è dotata di tutti i precedenti requisiti: la nozione analogica, metafisica e trascendentale dell’ente come ente [ens ut ens] e delle sue proprietà trascendentali [unum, verum, bonum, pulchrum, res, aliquid]. Il pensiero del Gaetano è importante nel mostrare come procede l’intelletto nel raggiungere il sapere metafisico. Si tratta di un’elevazione dell’intelletto, per la quale esso, formando il concetto metafisico dell’ente, è in grado di costruire la teologia speculativa, concependo Dio come Primo e Sommo Ente. Per questo, è rimasta famosa l’esortazione del Gaetano: «Disce elevare ingenium, aliumque rerum ordinem ingredi».

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Questa è la nozione migliore per distinguere Dio e mondo e, nel contempo, per passare dal mondo a Dio e da Dio al mondo. E c’è da notare che qui il movimento intellettuale non ha nulla a che vedere con la «oscillazione», della quale parla Kasper, perché qui non si tratta di oscillare tra il sì e il no, ma di passare da un sì più basso a un altro sì supremo. Negando la possibilità dell’utilizzo di un unico concetto analogico dell’ente per congiungere Dio e mondo, Dio e storia, Kasper dimostra di fraintendere o di non aver capito che cosa è l’analogia entis, perché, certo, mentre l’ente reale è molteplice, il concetto analogico dell’ente o è uno [11] o non è niente, benché anch’esso sia internamente diversificato, appunto per riflettere la realtà molteplice dell’ente. Questa mancata percezione dell’unità dell’ente trascendentale spiega alcuni errori di Kasper.

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Primo, il rifiuto della teologia sistematica. Egli ha presente i sistemi razionalisti ed immanentistici idealisti e fa bene a rifiutarli. Ma egli sbaglia nel rifiutare il sistema come tale, che è invece un bisogno imprescindibile della ragione e della scienza. Sapientis est ordinare, come dice San Tommaso. E la teologia è una scienza e una sapienza. E come tale, la teologia non è un semplice convergere, incontrarsi e discutere fra teologi; non è un semplice scambio di opinioni; non è una semplice ricerca personale o comune. Queste certamente sono cose buone. Ma la teologia, in quanto servizio al Magistero della Chiesa e alle anime e introduzione all’accoglienza dello stesso Magistero, deve avere una forma scolastica, metodica, educativa e formativa, soprattutto in ordine alla formazione del clero. Si tratta di trasmettere ai discepoli nozioni ormai acquisite, certe e definitive, utili al ministero e alla vita di pietà, fondate sul dogma, sulla Scrittura e sulla Tradizione.

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Il problema per l’edificazione di una teologia sistematica è su quale principio fondarsi o da dove partire. L’errore degli idealisti non è stato quello di voler costruire un sistema unitario, deduttivo ed universale. L’errore è stato quello di fondarsi sul cogito cartesiano, anziché sull’ente. E la teologia sistematica si fonda appunto su Dio come Ens primum et summum, come Ipsum Esse per se subsistens.

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Così si spiega la presente dichiarazione di Kasper:

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«La teologia deve rimanere ancorata alla follia della predicazione, aperta e non chiusa al dialogo, che qui diviene rimando all’apertura e alla temporaneità della nostra situazione escatologica, e rende impossibile un ampio sistema teologico» [12].

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Questa impostazione occamistica comporta incresciose conseguenze nella teologia dogmatica, che viene privata delle sue fonti, che sono appunto gli insegnamenti della Chiesa, della Scrittura e della Tradizione. Dice Kasper:

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«Non esiste un indice ufficiale dei dogmi della Chiesa […] Perciò la domanda che talvolta viene posta ingenuamente, quanti dogmi propriamente esistano, non può avere assolutamente risposta» [13].

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Rispondiamo dicendo che non è affatto un’ingenuità chiedersi quanti e quali siano i dogmi e non è affatto impossibile, ma è di interesse vitale per la salvezza, rispondere con certezza a tale domanda, così come è del tutto legittimo chiedersi quali e quanti siano gli organi vitali del corpo umano. E a tale domanda risponde la Chiesa stessa nei suoi documenti ufficiali, soprattutto negli insegnamenti dei Papi e dei Concili. All’uopo, occorre però anzitutto possedere un giusto concetto di “dogma” [14], conforme alla dottrina cattolica, distinguendolo dai gradi superiori e da quelli inferiori del dato rivelato. Il grado supremo sono gli stessi espliciti insegnamenti del Signore contenuti nella Sacra Scrittura e nella Tradizione, che sono le fonti stesse della Rivelazione, e sono quindi i fondamenti dei dogmi [15], che invece sono interpretazioni infallibili della Parola di Dio, proposte dalla Chiesa. I dogmi sono gli articoli della fede. Esso sono riassunti nel Simbolo della Fede. Il loro numero a qualità sono contenuti nel Catechismo e sono illustrati dalla teologia dogmatica.

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Secondo, nella linea della gnoseologia occamista, che fu propria anche di Lutero, Kasper non riesce a superare e ad unificare la struttura molteplice del pensiero, segno, anche questo, che non ha compreso l’analogia dell’ente, perché appunto la nozione dell’ente è la più universale e quella che, come abbiamo visto, consente all’intelletto di congiungere Dio e il mondo. Si spiegano così la mentalità dialettica e lo storicismo di Kasper. Infatti, sia la dialettica che il pensare storico, per la loro stessa essenza, hanno a fondamento una dualità concettuale: la dialettica, fa il confronto tra il sì e il no; lo sviluppo storico, ha la dualità atto-potenza.

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Terzo, l’assunzione della dialettica hegeliana comporta due conseguenze nefaste, già presenti in essa, e cioè da una parte, una deleteria opposizione tra il vero e il vero e, dall’altra, la ipocrita sintesi [«oscillazione»] tra il vero e il falso. Le conseguenze in teologia sono gravissime, addirittura blasfeme: da una parte l’ostilità tra Dio e l’uomo, mancando una nozione di ente che colleghi l’Uno all’altro; dall’altra, un’orrenda alleanza tra Cristo e Beliar, per cui si spiega perché Cristo, quando raccomanda di non oscillare tra il sì e il no, fa presente che «il di più viene dal maligno» [Mt 5,37]. Questo «di più» è l’aggiunta di un terzo termine, la «sintesi» hegeliana del sì e del no.

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Si badi bene che la suddetta oscillazione non ha nulla a che vedere con l’oscillazione propria dello stato di dubbio, nel quale il pensiero si muove disagiato tra il sì e il no senza sapersi decidere, perché non ha ragioni né per l’uno né per l’altro. Ma il desiderio del soggetto è di trovare la verità e di fermarsi in essa, non interessa se essa è nel sì o nel no. Invece l’oscillazione dell’ipocrita è studiata e voluta, col preciso scopo di ingannare e di apparire o far apparire quello che non è. Il linguaggio dell’ipocrita non avanza una possibilità di scelta tra il sì e il no, ma pretende di affermare e negare simultaneamente. Egli si ritiene dispensato dall’osservare il principio di non-contraddizione.

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L’oscillazione della quale parla Kasper comporta dunque una trasgressione del principio di non-contraddizione, già presente nella astuta dialettica hegeliana, maestra di doppiezza, e per nulla richiesta dalla onesta e leale dialettica aristotelico-tomista [16], la quale comporta non un abbinamento, ma un semplice confronto tra l’affermazione e la negazione, al fine di chiarire, se possibile, che scelta fare, in ciò simile al dubbio, con la differenza che qui il pensiero si sposta continuamente tra i due poli, mentre nella dialettica il pensiero si ferma  debolmente e provvisoriamente in uno dei due.

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L’idea, sposata da Kasper, col pretesto del “mistero”, che Dio sia al di sopra e indipendente dal principio di non-contraddizione, ha avuto le sue prime avvisaglie nel XIII secolo con la teoria della «doppia verità», per cui ciò che è vero in filosofia può esser falso in teologia e viceversa. Guglielmo di Ockham, dal canto suo, ammette che Dio, de potentia absoluta, non fa nulla di contradditorio, ma questo può farlo nella creazione, ossia de potentia ordinata, per cui, se Lui volesse, l’adulterio potrebbe essere ad un tempo lecito e illecito.

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Ma chi crede che la contraddizione sia risolvibile in Dio, sempre col pretesto della mistica, è Nicolò di Cusa nel XV secolo, con la sua famosa coincidentia oppositorum. Osserviamo che se in Dio il sì e il no coincidono, allora vuol dire che non vale più il comando di Cristo di tenerli separati e di non congiungerli, il che ovviamente è blasfemo

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Lutero e Hegel partono da qui e purtroppo Kasper li segue nel momento in cui fa propria la dialettica hegeliana. In tal modo Dio entra in contraddizione con Se stesso e si verificano le assurdità che abbiamo visto circa la teoria kasperiana degli attributi divini. Le conseguenze morali di questa “teologia mistica” si possono immaginare e sono oggi sotto i nostri occhi. Le vedremo al termine di questo saggio.

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Sulla sua già accennata linea di pensiero, Kasper afferma altresì:

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«Il cristianesimo, per la sua universalità, non può vincolarsi a una determinata filosofia, anzi spezzerà e metterà in crisi ogni categoria filosofica. Proprio la teologia biblica, come osserva Fuhrmans, ha giustamente posto in luce che il pensiero cristiano è pensiero storico-dinamico» [17].

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Rispondiamo ricordando che il cristianesimo è una vita soprannaturale, che nasce da una verità divina rivelata da Cristo alla ragione umana, che viene coltivata, educata, purificata ed elevata dalla filosofia. Certamente, la verità cristiana non è dedotta dalla verità di ragione, né questa può avere la pretesa di fondarla o dimostrarla. Tuttavia, l’esercizio della ragione, meglio se educata dalla filosofia, è condizione indispensabile per la conoscenza e l’approfondimento della verità cristiana, la quale si aggiunge a quelle già note dalla ragione, e quindi per l’esistenza stessa del cristianesimo, il quale è stato fondato da Cristo per il bene dell’uomo, animale razionale.

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Dunque, in realtà, il cristianesimo, benché per sua essenza trascenda ogni filosofia e non sia il parto di alcuna filosofia o di alcuna mente umana, è tuttavia sostanzialmente vincolato non a una determinata filosofia, ma alla filosofia, in ordine alla sua stessa esistenza o per lo meno al suo melius esse. E il minimo che si possa dire è che il cristianesimo è vincolato all’uso della retta ragione, come condizione di possibilità dello stesso cristianesimo, perché esso è attuazione dell’uomo in quanto essere ragionevole. Nulla peraltro, in questa ottica, impedisce alla Chiesa, di scegliere, tra le varie filosofie, quella che maggiormente favorisce l’accesso della ragione alla fede. Per questo la Chiesa, come ho detto sopra, raccomanda in modo speciale la filosofia di San Tommaso.

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Il pensiero cristiano non può essere assolutamente ridotto a un «pensiero storico-dinamico» ma è anche un pensiero speculativo-sistematico, necessario alla formulazione dei dogmi ed alle scienze teologiche. Questo esclusivismo di Kasper dipende dal fatto che il suo non è un semplice onesto pensare storico, ma è un pensiero storicistico, negatore dell’immutabilità della verità, secondo il modulo modernista, già a suo tempo condannato dal Santo Pontefice Pio X.

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Il relativismo filosofico provoca il relativismo dogmatico

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Questa mancata percezione dell’universalità del sapere filosofico ridotto a una contingente molteplicità di «forme di pensiero», ossia di opinioni mutevoli, relativizza al mutare dei contesti storici non solo la teologia, ma anche il dogma, dato che la Chiesa, nel definire un dogma, utilizza nozioni della ragione naturale giustificate dalla filosofia.

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Kasper intende l’universalità del cristianesimo non come fondata su verità universali ― i dogmi della fede ―, ma su quella che egli chiama «cattolicità originaria» o «ecumenica», che abbraccia in sé, come momenti «particolari», che egli chiama «confessionali» [18], le due dogmatiche del cattolicesimo e del protestantesimo. Solo che ci si domanda quali sarebbero i contenuti di questo cattolicesimo sopradogmatico. Evidentemente anche qui c’è il retroterra del denken hegeliano, che costituisce la totalità dialettica onnicomprensiva del pensiero, che nega, sintetizza e supera in sé i momenti delle Vorstellungen, che sono i dogmi o le «confessioni» delle varie religioni positive.

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Kasper rifiuta l’idea della Chiesa come comunità diffusa nel mondo, effetto della predicazione di una verità unica ed universale — il Vangelo —, che, partendo da Roma, come centro della missione, sede del Successore di Pietro, si diffonde a cerchi concentrici nel mondo, ma come un «poliedro a molte facce» [19], ossia come una collezione o federazione di diverse interpretazioni particolari ed opinabili del Vangelo, magari in contrasto le une con le altre.

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È chiaro qui l’influsso della gnoseologia occamista [20], nella quale l’universale non irraggia da un’unità d’essenza a tutti comune ― unum in multis ―, ma è una semplice collezione di individui allo stesso livello, indipendenti l’uno dall’altro e connessi tra di loro solo in un’immagine confusa. Si tratta di un’universalità non formale o speculativa, ma meramente materiale e collettiva, come quando diciamo: un “consenso universale” per dire: “di tutti”.

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Kasper vorrebbe evidenziare il fatto del progresso dogmatico, ma lo intende alla maniera modernista, non come esplicitazione o spiegazione di una verità immutabile, ma come superamento dialettico di una tesi opposta del passato. Infatti, come vedremo, secondo lui, per interpretare la Parola di Dio, non si deve usare la filosofia di San Tommaso, ma la dialettica hegeliana.

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Per Kasper il dogma non riflette una realtà oggettiva, esterna al soggetto, ma, alla maniera idealista, «il dogma ha valore solo in quanto esprime l’interno» [21]. Esso non è una mediazione o interpretazione infallibile della Parola di Dio fatta dal Magistero della Chiesa, una volta per tutte, ma una tesi del Magistero, che dev’essere vagliata e controllata, confrontandola con la Scrittura. È il metodo di Lutero: «Il dogma ― dice Kasper ― dev’essere compreso alla luce della Testimonianza della Scrittura» [22]. Egli approva Rahner, il quale afferma che «un dogma può benissimo essere vero e tuttavia umanamente prematuro, colpevole, pericoloso, ambiguo, tentatore, temerario» [23]. Non faccio commenti. Secondo il suo linguaggio dialettico che dice e non dice, il dogma può essere ad un tempo «definitivo» e «provvisorio»:

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«Un dogma è la forma provvisoria in cui la verità escatologico-definitiva di Cristo diviene evento. Provvisorio è il termine con cui si vuole esprimere il carattere di anticipazione proprio del dogma; quindi non è da intendere proprio in opposizione a ‘definitiva’, bensì nel senso originario della parola, quale anticipo precursore degli escata» [24].

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Osserviamo ancora che l’universalità del messaggio evangelico e del dogma cattolico non è data, come crede Kasper, dalla semplice convergenza pragmatica, dialogica o dialettica, in perenne evoluzione, di una pluralità di particolari «forme di pensiero» e di modi incoerenti e contrastanti di intendere o interpretare il dogma, il Vangelo e la Tradizione, ma dalla universalità di un certo numero di precisi contenuti di fede, immutabili e assolutamente veri, universalmente condivisibili ed effettivamente e comunemente condivisi e accettati da ogni fedele.

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Bisogna dunque sostenere l’esatto opposto di quanto sostiene Kasper, e cioè che il cristianesimo, proprio per la sua universalità e per favorire al meglio tale universalità, e la sua diffusione in tutti i tempi e un tutti i luoghi,  soprattutto nelle sue forme più colte ed elevate, è istituzionalmente ed essenzialmente vincolato e debitore alla filosofia e precisamente, tra le varie filosofie, a quella o a quelle che meglio aiutano la ragione ad accedere alla conoscenza di fede. Infatti, il sapere cristiano, in quanto sapere di apertura universale, destinato a tutti gli uomini, non può che radicarsi su quanto nel sapere umano è universale, e ciò non è altro che l’effetto di quella facoltà conoscitiva che caratterizza l’uomo come uomo, ossia quella facoltà che tutti possiedono, e che è appunto la ragione. Ora, come si sa, la filosofia è appunto il supremo sapere della ragione. Essa, per dirla con San Tommaso, è il perfectum opus rationis.

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In base a quanto detto, apparirà evidente che affermare poi che il cristianesimo «spezza e mette in crisi ogni categoria filosofica» è una grave calunnia ai danni del cristianesimo, che potrà essere uscita dalle labbra di Lutero in un accesso d’ira contro la Chiesa Cattolica, ma che sorprende e scandalizza leggere nel libro di  un teologo cattolico, oltre a tutto oggi Cardinale. A smentita di questo grave falso storico di Kasper, proprio lui che tanta importanza dà alla storia, si deve dire che a «spezzare e mettere crisi ogni categoria filosofica» sono stati semmai i barbari, che nei secoli bui del Medioevo assaltavano e distruggevano le abbazie, dove i monaci conservavano i tesori della cultura classica e cristiana.

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Il «pensiero storico» secondo Kasper

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Il piano del Signore sussiste per sempre, i pensieri del suo cuore per tutte le generazioni [Sal 33,1]

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Secondo Kasper, occorrerebbe in teologia sostituire il «pensiero storico» al pensiero metafisico. Ma cosa intende egli esattamente con questa espressione, che abbiamo già incontrata? Qui troviamo il nucleo della sua gnoseologia. Il «pensiero storico», per Kasper, non è soltanto il pensiero o il sapere di colui che narra i fatti storici, ma è soprattutto il vero pensare come tale, ossia pensiero aderente alla realtà, perché per Kasper la realtà è storia. Come abbiamo già visto, il pensare storico, quindi, per lui, non è un pensare annoverabile tra altre forme di pensiero, come, per esempio, il pensiero metafisico. No. Anzi, il pensiero metafisico non è neppure un vero pensare, perché suppone come oggetto delle realtà immutabili, che non esistono, perché per Kasper, come per Eraclito, tutto muta: panta rei. E quindi, anche in campo morale non si dà una scienza o una teologia morale, che abbia ad oggetto valori o doveri assoluti, universali ed immutabili, ma anche il moralista, per essere aderente alla realtà dell’agire umano e stabilirne le norme, deve far uso del pensare storico, deve pensare «storicamente», ossia deve concepire norme variabili, mutevoli, eccepibili, condizionate, contestualizzate, perché tali sono le norme reali della condotta umana, mentre il credere che l’agire umano possa essere regolato da princìpi universali ed astratti, magari su basi metafisiche, è un’illusione deleteria, che irrigidisce l’agire togliendogli il suo proprio dinamismo, la sua libertà e la sua apertura al progresso [25].

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Ma per Kasper non muta solo l’oggetto dei concetti ― e questo può essere giusto, se si riferiscono a cose mutevoli ―, ma mutano i concetti stessi, muta il loro significato, che non è mai assoluto, ma sempre storicamente  condizionato, e quindi cambiano di significato anche i dogmi della Chiesa, in quanto formulazioni concettuali. Tale mutamento, per Kasper, oltre a comportare un’evoluzione nella storia ed una diversificazione nelle varie culture e religioni, consiste essenzialmente in una «oscillazione» o duplicità simultanea di significato tra i due poli opposti della contraddizione, perché Kasper assume la concezione hegeliana del reale come «dialettico», ossia contradditorio. Ne viene che la realtà e quindi la verità viene espressa proprio attraverso il congiungimento del sì e del no.

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Vediamo come Hegel stesso spiega questo procedimento:

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«Il compito consiste nell’attuare l’universale e nell’infondergli spirito, togliendo i pensieri determinati e solidificati. È peraltro assai più difficile render fluidi i pensieri solidificati, che render fluida l’esistenza sensibile. … I pensieri divengono fluidi, quando il puro pensare, questa immediatezza interiore, si riconosca come momento, o la pura certezza di sè astragga da sé. … Deve abbandonare il fisso nel suo autoporsi: sia il fisso del puro concreto, che è lo stesso Io in opposizione di contro al contenuto distinto, sia il fisso dei differenti, i quali, posti nell’elemento del puro pensare, partecipano di quella incondizionatezza dell’Io» [26].

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Kasper applica questo metodo in teologia, sicché, parlando degli attributi divini, ne viene che Dio è al contempo conoscibile e inconoscibile, essere e divenire, semplice e differenziato, immutabile e mutevole, eterno e temporale, impassibile e passibile, potente e impotente, finito ed infinito, immortale e mortale, celeste e mondano [27]. Kasper parla qui della Persona di Cristo ed evidentemente confonde la natura umana di Cristo con quella divina, come del resto aveva già fatto Hegel [28].

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Diamo un esempio di questo metodo dialettico hegeliano nel modo col quale Kasper vorrebbe convincerci dell’unità, in Dio, di potenza ed impotenza:

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«Dio è talmente sovrano nella sua potenza e libertà, che può anche permettersi di rinunciare a tutto senza “perdere la propria faccia”. E così la potenza si afferma proprio nell’impotenza di Dio, la sua signoria nella schiavitù, la sua vita nella morte» [29]. È talmente assurdo quello che dice, che  non vale neppure la pena di confutarlo.

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Influssi luterani

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Kasper, sulla scia di Hegel, riecheggiando l’eresia di Marcione, oppone il Dio identità e «astratto» dell’Antico Testamento al Dio «concreto» e dialettizzato [cioè trinitario] del Nuovo, ossia Cristo, sviluppa dialetticamente l’impostazione luterana del passaggio storico dal Dio adirato e punitore veterotestamentario al Dio dolce e «misericordioso» del Vangelo. Per cui fa le lodi di Lutero che, contro la cristologia «metafisica» di San Tommaso, avrebbe finalmente scoperto, dopo sedici secoli, il vero volto del Cristo evangelico. Egli infatti attribuisce a Lutero il merito di rappresentare

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«una rottura con tutta una teologia impostata su basi metafisiche. Il Riformatore non parte da un concetto filosofico di Dio per capire la croce, ma cerca di capire Dio proprio a partire dal fenomeno della croce. Questa nuova impostazione la ritroviamo espressa nella stessa “disputa di Heidelberg” del 1518: “Non è denominato degnamente teologo, colui che considera con l’intelletto le cose invisibili di Dio per mezzo delle cose fatte, ma colui che intende con l’intelletto le cose visibili e posteriori di Dio per mezzo delle sofferenze e della croce”. […] Il mistero nascosto di Dio non va situato al di là: un simile Dio speculativo non c’interessa. Noi non dobbiamo penetrare i misteri della maestà divina, ma accontentarci del Dio della croce. Dio lo possiamo trovare soltanto in Cristo; se lo cerchiamo al di fuori di lui, troveremo solo il diavolo. Partendo da queste premesse, Lutero giunge a un capovolgimento dell’intera cristologia» [30].

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È falso che «Dio lo possiamo trovare soltanto in Cristo». Dio Lo troviamo con la ragione, prima di trovarLo, e meglio, in Cristo. Lutero e con lui Kasper dimentica infatti che non potremmo sapere che Cristo è Dio, se già non sapessimo che Dio esiste, quel Dio dimostrato dalla ragione [Rm 1,20], e Che già conosceva Mosè [Es 3,14]), prima che Cristo apparisse nel mondo.

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Non si tratta affatto di «cercare Dio fuori di Cristo». Nessun cristiano di buon senso sogna una follia del genere, ma si tratta di cercare Cristo partendo da Dio, perché, se la ragione non trova anzitutto Dio, come Creatore del mondo partendo dalle cose del mondo, non trova neanche Cristo; e chi crede, come Lutero e Kasper, di trovare Cristo indipendentemente o contro una previa conoscenza razionale di Dio, incontra solo un falso Cristo, e cioè il «dio di questo mondo» [II Cor 4,4], che è il diavolo.

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Non c’è niente di male a indagare filosoficamente sulla natura divina indipendentemente dal dogma cristologico. Questa non è altro che la teologia razionale. Tale indagine è utile al dialogo interreligioso ed è utilissima per chiarire il significato del dogma cristologico, e ci preserva dal cadere nella confusione che Kasper fa fra attributi umani e attributi divini.

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Il significato e lo scopo della dialettica

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Kasper pensa che lo strumento conoscitivo della teologia sia la dialettica. Gli manca il concetto di teologia come scienza [31], e quindi come scienza speculativa. Su questo punto egli è più vicino a Lutero che ad Hegel, il quale fa coincidere la dialettica con la scienza speculativa. Oltre a ciò, il grave errore di Kasper è quello di credere che per l’interpretazione della Scrittura e del dogma sia meglio rifarsi alla concezione hegeliana della dialettica, anziché a quella aristotelica. Infatti, l’enorme vantaggio che, nell’ordine delle suddette finalità, offre la dialettica aristotelica rispetto a quella hegeliana è che, mentre la prima è una scuola di umiltà per la ragione, educandola e regolandola sul piano dell’argomentazione probabile e quindi abituandola a correggere gli eventuali errori o ad evitare false apparenze, la dialettica hegeliana, che risolve il reale nelle opposizioni del pensiero e negli effetti della volontà, incentiva la superbia del soggetto illudendolo di essere un momento della dialettica dell’ Assoluto. E sappiamo come tutta l’etica biblica non sia altro che una sfida tra l’umiltà e la superbia, tra Cristo e Beliar per la signoria sul cuore dell’uomo.

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Seguendo la dialettica hegeliana, Kasper si è allontanato dal cristianesimo ancor più di Lutero, perché Lutero, almeno, aveva visto, seppur maldestramente, i rischi di una ragione superba e, seppur in modo arrogante, l’importanza fondamentale dell’obbedienza alla Parola di Dio, mentre la dialettica hegeliana trasforma Dio in un sillogismo e dissolve il Mistero nel divenire della storia.

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Kasper insiste ancora in questi termini:

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«La Chiesa deve raccogliere la saggezza di tutti i popoli e di tutti i tempi, anche di tutte le forme di pensiero, poiché il suo annuncio è sempre più grande e oltrepassa ogni pensiero. La teologia, dunque, ha proprio il compito di distruggere ogni singola forma di pensiero, di integrarla, e di superarla in un’altra. Per questo la teologia dovrà sempre pensare dialetticamente” [32].

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Osserviamo che la teologia non è la somma di più teologie tra di loro diversificate e tanto meno contrastanti fra loro. Le teologie dei vari autori o delle varie scuole sono manifestazioni diverse della teologia come tale, ossia come scienza nella sua universalità. La teologia non deve affatto distruggere o superare alcuna singola forma di pensiero, ma al contrario riconoscerla, integrarla e valorizzarla e, nella sua accogliente universalità, deve rispettarle e promuoverle tutte e far sì che dialoghino tra di loro in una reciproca complementarità.

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La teologia deve sì pensare dialetticamente nel formulare nuove opinioni e nello scambio o critica delle medesime, ma deve soprattutto essere in continua ricerca e far opera di scienza, raggiungendo conclusioni certe e dimostrate, universalmente condivisibili, che un domani la Chiesa potrebbe elevare al rango di dogma, come è accaduto per alcune tesi della teologia tomista.

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«La dialettica, per Kasper, è soltanto la debole immagine del dialogo e traduce propriamente in un monologo ciò che normalmente avviene nel dialogo: il passaggio attraverso i molteplici aspetti della verità, che viene fissata nella sua non oggettivabilità» [33].

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Diciamo che la dialettica non è solo monological’elaborazione personale delle proprie opinioni dialettiche ―, ma anche dialogica, nel senso che essa regola la discussione o il dialogo tra due pensanti, come per esempio avviene nei Dialoghi platonici o come avviene sistematicamente, dopo l’impulso dato da Abelardo nel XII secolo, nei trattati teologici medievali, chiamati Summae, nell’uso scolastico. In essi il maestro risolve un problema, la Quaestio, attraverso il confronto di ipotesi opposte, il metodo del sic et non, per il quale il maestro motiva il suo parere scientifico od opinabile che fosse, rispondendo alle obiezioni contrarie.

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Quando per esempio San Tommaso, nella Quaestio IX della Prima Pars della Summa Theologiae si domanda se Dio è immutabile, esamina bensì alcune opinioni che sostengono che Dio diviene, ma, concluso l’esame di questi pareri, formula la sua sentenza, poggiata sulla Bibbia, che afferma con chiarezza e certezza, senza ambiguità o riserve, che Dio (a.1) e solo Dio (a.2) è assolutamente immutabile, a differenza di un Kasper o un Rahner, per i quali, in base all’ «oscillazione» dialettica, Dio è ad un tempo immutabile e mutabile.

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La dialettica hegeliana

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Kasper ispira la sua concezione della dialettica a quella di Hegel. Vediamo dunque il suo pensiero. La dialettica, per lui, è azione della «sostanza-soggetto», cioè dello «spirito» o del «sé»:

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«La sostanza è il movimento del porre se stesso o in quanto essa è la mediazione del divenir-altro-da-sé con se stesso. Come soggetto, essa è la pura negatività semplice ed è, proprio per ciò, la scissione del semplice in due parti o la duplicazione opponente; questa, a sua volta, è la negazione di questa diversità indifferente e della sua opposizione; soltanto questa eguaglianza che si ricostituisce o la riflessione entro l’esser altro in se stesso – non un’unità originaria come tale, né un’unità immediata come tale – è il vero. Il vero è il divenire di se stesso, il circolo, che presuppone e ha all’inizio la propria fine e che solo mediante l’attuazione e la propria fine è effettuale» [34].

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Ma per Hegel Dio stesso è dialettico, ossia diviene storicamente:

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«La vita di Dio … degrada fino all’insipidezza, quando mancano la serietà, il dolore, la pazienza e il travaglio del negativo. In sé quella vita è l’intatta uguaglianza ed unità con sé, che non è mai seriamente impegnata nell’esser altro e nell’estraneazione, e neppure nel superamento di questa estraneazione. Ma siffatto in sé è l’universalità astratta, nella quale, cioè, si prescinde dalla natura di esso di essere per sé e quindi, in generale, dall’automovimento della forma. … Il vero è l’intero. Ma l’intero è soltanto l’essenza che si completa mediante il suo sviluppo. Dell’Assoluto si deve dire che esso è essenzialmente risultato, che solo alla fine è ciò che è in verità; e proprio in ciò consiste la sua natura, nell’essere effettualità, soggetto e divenire se stesso» [35].

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Ancora Hegel:

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«Il fine attuato o l’effettuale esistente è movimento;  è divenire giunto al suo dispiegamento; ma proprio questa inquietudine è il Sé; ed esso è uguale a quella immediatezza e a quella semplicità del cominciamento perché è il risultato, perché è ciò che è tornato in se stesso. Ma ciò che è tornato in se stesso è appunto il Sé; e il Sé è l’eguaglianza che si rapporta a Sé» [36].

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Il movimento dialettico, per Hegel, è il moto dello spirito per il quale, nella storia, l’accidentale diventa sostanziale, il relativo diventa assoluto, la morte diventa vita, il falso diventa vero e il nulla diventa essere, in forza dell’ «immane potere del negativo», per il quale il sé oppone sé a sè e, negando questa opposizione, torna a sé. Ma l’opposizione dialettica affermazione-negazione, per Hegel, non è limitata all’ambito del pensiero e del linguaggio, ma riguarda l’essere stesso, il reale, in forza del ben noto principio idealista dell’identità dell’essere col pensiero.

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La negazione è atto dello spirito e quindi è un atto dell’intelletto, della volontà e del linguaggio. Ma siccome per Hegel l’essere è spirito, la negazione è anzitutto un atto pratico nell’ambito del reale, cioè è un annullare o, come si esprime Hegel, è un «togliere» [Aufhebung]. Ma ecco che dal nulla “magicamente” risorge l’essere.

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Ecco dunque la «magìa» della dialettica:

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«Che l’accidentale ut sic, separato dal proprio ambito, che ciò che è legato nonché reale solo nella sua connessione con altro, guadagni una sua propria esistenza determinata e una sua distinta libertà, tutto ciò è l’immane potenza del negativo; esso è l’energia del pensare, del puro io. La morte, se così vogliamo chiamare quella irrealtà, è la più terribile cosa; e tener fermo  il mortuum, questo è ciò per cui si richiede la massima forza […] Quella vita che sopporta la morte e in essa si mantiene, è la vita dello spirito. Essa guadagna la sua verità solo a patto di ritrovare sé nell’assoluta devastazione [ …] Lo spirito è questa forza sol perché sa guardare in faccia il negativo e soffermarsi presso di lui. Questo soffermarsi è la magica forza che volge il negativo nell’essere. Essa è il medesimo che sopra fu detto Soggetto, mentre nel proprio elemento dà esistenza alla determinatezza, supera l’immediatezza astratta e cioè, in genere, solo essente, ed è quindi la verace sostanza, l’essere o l’immediatezza, che non ha la medesima fuori di sé, ma è questa stessa” [37].

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Così commenta Tomas Tyn, O.P. questa dialettica di un Assoluto, effetto del «negativo» che associa la vita alla morte, l’essere al nulla. Essa promette una vana ed impossibile conciliazione tra di essi, che non può essere altro che un’oscillazione tra l’uno e l’altro, uno stare fra il sì e il no, un servire a due padroni:

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«I fronti si oppongono l’uno all’altro irriconciliati, momenti fugaci di una dialettica lacerante, che eleva se stessa a principio assoluto, dopo aver posto l’identità tra l’essere e il nulla, due nichilismi – uno equivocante» [Hegel] «d’un tutto fondato sul nulla, l’altro univocante d’un tutto che, indifferente com’è ai suoi momenti particolari, nulla di fatto riesce a fondare, perché è già, per immediata identità» [Schelling] «indifferentemente tutto – che la dialettica pretenderebbe unire in un terzo ed assoluto nichilismo, per il quale il nulla del tutto coinciderebbe col tutto del nulla» [38].

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In base alla dialettica hegeliana, che Kasper fa sua, non è mai possibile fare delle affermazioni o delle negazioni nette ed assolute, valide sempre ed in ogni caso, sia in campo dogmatico che in campo morale. Bisogna esprimersi in modo che ciò che noi diciamo possa essere interpretato nel senso opposto a quello che appare. Il nostro sì deve lasciar trasparire un no. Sotto al sì deve esserci un no. Questo giudicare doppio, con un giudizio manifesto e un altro sottostante o soggiacente o nascosto, ma non tanto da non farsi riconoscere, un giudizio opposto al primo, è detto in greco ypò-krinein, da cui il termine italiano “ipocrisia”. Per questo, il linguaggio teologico di Kasper, diventa di prammatica un vero e proprio imperativo morale. Si tratta di patteggiare col falso, nascondendolo sotto il vero, in modo che il pesciolino che ci ascolta, abboccando all’amo, ingerisce il veleno. Infatti, in base a questi princìpi e a queste vie tortuose, qualunque proposizione, anche dogmatica, è manovrabile ed equivocabile, può andar soggetta a interpretazioni contrastanti e produrre effetti morali dannosi, opposti a quelli che appaiono in  superficie.

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Ma ciò, per il dialettico hegeliano non deve creare scrupoli o turbare, anzi è cosa normale, che consente la libertà di pensiero e il pluralismo teologico, come per esempio la coesistenza di cattolicesimo e luteranesimo. Al contrario, per l’hegeliano sono proprio la precisione e l’univocità che sono segno di una visione ingenua, unilaterale e incompleta del reale, che non tiene conto della sua storicità e della sua contradditorietà dialettica.

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La doppiezza eretta a sistema

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Labbra bugiarde, parlano con cuore doppio [Sal 12,3]

Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno ed amerà l’altro o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro [Mt 6,24]

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L’opporre il no al sì può essere disobbedienza o atto di virtù. Disobbedienza, se diciamo di no a Dio. Virtù, se diciamo di no al peccato. Ma ci può essere anche la negazione teoretica, quando diciamo di no a una tesi. E anche qui ci può essere l’onesto o il disonesto: l’onesto, se diciamo di no al falso; il disonesto, se diciamo di no al vero. Cristo ci comanda di dire sì a ciò che è sì e no a ciò che è no. Non dobbiamo contraddire alla verità e dobbiamo condannare il falso. Chi sta a metà, viene dal diavolo. Questa è la doppiezza, rappresentata nella Bibbia dalla lingua biforcuta del serpente.

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Questo è il senso delle parole di San Paolo:

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«Quello che decido, lo decido secondo la carne, in maniera da dire allo stesso tempo “sì, sì” e “o, no”? Dio è testimone che la nostra parola verso di voi non è “sì” e “no”. Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che abbiamo predicato tra voi, io, Silvano e Timoteo, non fu “sì” e “no”, ma in lui c’è stato il “sì”. E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono diventate “sì”» [II Cor 1, 17-20].

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La dialettica, come abbiamo visto, gioca col sì e col no. Può essere un gioco pericoloso, quando vogliamo fare i furbi o se vogliamo ingannare gli altri. Esistono delle regole sia del ragionare dialettico che di quello scientifico. Sono ad un tempo regole logiche e regole morali. Aristotele, che curava l’onestà nel ragionare [39], ebbe premura di fare un elenco di fallacie nel pensare e nel parlare, gli «elenchi sofistici», per metterci in guardia contro la disonestà nel pensare e nel parlare, ossia contro la doppiezza e l’ipocrisia. Ora, purtroppo Kasper si dichiara ammiratore non della sana dialettica aristotelica, utilizzata da San Tommaso, ma di quella di Hegel, che è somma maestra di ambiguità, insinuazioni malevole, inganni fascinosi, sofismi, scorrettezze e disonestà nel ragionare e nel concludere.

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Kasper collega l’analogia non alla concezione tomista, ma alla dialettica di Hegel, per cui non c’è da meravigliarsi se egli, come abbiamo già visto, cade in un concetto falso dell’analogia. Riprendiamo adesso il discorso in relazione a questa doppiezza della dialettica hegeliana, la quale, ben lungi dal prestarsi ad interpretare la Scrittura, la falsifica alle radici.

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Kasper si dichiara a favore dell’analogia, ma non ne ha un concetto giusto. Egli dice:

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«L’analogia sostiene esistere fra assoluto e finito identità e differenza. Essa unisce identità e diversità, negazione e posizione in un centro oscillante. Questo centro, tuttavia, non è un concetto d’essere che comprende Dio e il mondo, cosa che potrebbe ricondurre, per la verità, a una qualche forma della filosofia dell’identità, ma significa, nel senso dell’analogia di proporzionalità, solo una corrispondenza [non identità] di proporzioni dei due analogati» [40].

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Alcune osservazioni. Dio e il mondo esistono. Eppure Dio esiste diversamente dal mondo. Si può dunque predicare l’essere nell’uno e nell’altro caso. Ma il significato dell’essere nei due casi è diverso. Dunque abbiamo un qualcosa – l’essere – che predichiamo di tutto in molti modi, sensi o significati diversi. To on pollacòs legòmenon, come diceva Aristotele. L’essere si dice in molti modi. È sempre l’essere per ciascun ente, mondo e Dio, quindi abbiamo un solo concetto, ma con una pluralità di diversi significati. Tra Dio e il mondo non c’è identità, ma somiglianza e diversità. Non sono la stessa cosa. Sono due realtà diverse, differentissime. Due cose non possono ad un tempo essere identiche e differenti. Non si può affermare e negare ad un tempo l’identità o la differenza. Dio e il mondo fanno due. Eppure sono compresi in un unico concetto analogico dell’essere. E questo perché la nozione dell’essere contiene in sé le sue differenze, senza tuttavia astrarre completamente da esse.

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L’affermazione e la negazione non entrano nell’analogia, ma nella dialettica. Nell’analogia non si tratta affatto di trovare un «centro oscillante» tra due opposti, ma semmai di spostare l’attenzione dell’intelletto fra i vari analogati, per esempio, nel considerare il concetto analogico della vita, partire dalla vita vegetativa e salire fino alla vita divina.

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Nell’analogia il sì non sta assieme col no, non si «oscilla» tra il sì e il no, perché sarebbe doppiezza, ma ogni analogato è nell’ordine del sì, così come in Cristo, che è il sommo analogato «c’è stato solo il sì» [II Cor 1,17]. L’analogia si pone sul piano della diversità, della somiglianza, della concordanza, della relazione, del confronto, della proporzione.

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Kasper ha ragione a collegarla col dialogo. Ma ha torto a collegarla con la dialettica. Quest’ultima impone una scelta tra il sì e il no, anche se giunge alla verità confrontando due tesi opposte. Il dialogo invece dice scambio, comunicazione, integrazione, correzione, arricchimento, complementarità reciproci.

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Continua Kasper:

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«L’uomo può pensare unicamente in quel duplice movimento» ― oscillatorio ―  «che significa un continuo trascendere il finito verso l’infinito e un continuo concretizzarsi dell’infinito verso il finito. Un tale pensiero dev’essere caratterizzato come pensiero storico; esso si trova in una dialettica mai conclusa di passato e di futuro, di libertà e necessità, in una dialettica disposta sempre oltre se stessa e, come tale, dev’essere circoscritto rispetto ad ogni pensiero statico. In quanto radicalizzazione della problematica trascendentale, esso coglie anche l’assoluto innanzitutto come momento interno a questa storicità» [41].

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La salita del pensiero verso il trascendente e l’universale astratto, e il ritorno nel singolare concreto ed immanente, valgono per il pensiero morale, che deve stabilire l’azione concreta, non per quello della metafisica e della teologia speculativa, che, una volta salita al cielo, contempla, nel pensiero statico, ossia stabile ed immutabile,  le «cose di lassù» [Col 3,1]. È falso dunque che l’uomo può pensare unicamente nel pensiero «storico», considerando oltre a tutto che cosa Kasper intende con questa espressione, come abbiamo già visto.

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Il concepire poi l’Assoluto come «momento interno della storicità» della coscienza, sa molto di idealismo. Certamente Dio è presente ed intimo alla coscienza di ogni uomo. Ma il presentarLo nei suddetti termini dà un’immagine falsa dello stesso Assoluto, Che sembra essere un pensiero, sia pur sublime, ma pur sempre una semplice idea umana, immanente ai limiti storici della coscienza, mentre in realtà il Dio eterno e infinito li trascende all’infinito.

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Continua Kasper:

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«Le moderne interpretazioni del principio di analogia […] fanno propria l’impostazione trascendentale e intendono l’analogia come esplicazione dell’autocompimento dello spirito, che può esprimere il finito unicamente nell’orizzonte dell’infinito non più oggettivabile e quindi non più enunciabile univocamente» [42].

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Benché si tratti di «moderne interpretazioni dell’analogia», esse tuttavia non capiscono che cosa è l’analogia, la quale non suppone alcun trascendentalismo idealista e nessun «autocompimento dello spirito», ma semplicemente la nozione analogico-trascendentale dell’ente. Per questo, il vero sapere analogico in teologia non esprime affatto «il finito unicamente nell’orizzonte dell’infinito», ma lo esprime nell’orizzonte dell’essere analogico.

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La teologia non parte affatto dal concetto di Dio, per conoscere il mondo alla luce di quel concetto; ma, al contrario, parte dall’esperienza sensibile del mondo per risalire a Dio come causa e creatore del mondo [Rm 1,20; Sap 13,5]. Non è vero che Dio non è oggettivabile, ossia conoscibile in concetti. Lo è, certo, non univocamente, ma analogicamente.

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La concezione dialettica di Dio

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Dice Kasper:

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«L’assoluto dev’essere conosciuto solo nel e con quel centro oscillante di posizione e negazione. Ciò che nella teologia scolastica viene giustapposto in modo relativamente estrinseco come via positionis e via negationis, qui diviene, invece, peculiare movimento globale del pensiero, anzi diviene l’esercizio dello spirito stesso. L’assoluto è allora conosciuto unicamente in quanto movimento dialettico dello spirito e non in un cosiddetto concetto analogo» [43].

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Kasper a un certo punto, scopre le carte e manifesta con tutta chiarezza che la sua «analogia» non è altro che uno specchietto per le allodole, che nasconde in realtà la dialettica hegeliana della sintesi tra il sì e il no, il sapere e non sapere:

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«Non è forse vero che l’uomo, anche e proprio nella sua apertura all’infinito, rimane pur sempre spirito finito? E in questo spirito finito potrà egli pensare l’infinito? O non dovrà conoscerlo e misconoscerlo allo stesso tempo?» [44].

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Come esiste una visione doppia nella vista fisica ― per esempio il vederci degli ubriachi o la miopia ―, così ne esiste una nella vista dello spirito. E come è anormale e sgradevole la prima, così è ancor più anormale e spiacevole la seconda. Questa peraltro non è inevitabile e non c’è da provarne alcun gusto, come invece pare ne provi Kasper.

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Con una vista doppia, Dio dunque appare doppio: eterno e temporale, immutabile e mutevole, impassibile e sofferente, punitore e complice del peccato, misericordioso e crudele, ecc.. Kasper fraintende completamente il rapporto fra teologia positiva e teologia negativa: non comprende che non si tratta assolutamente di affermare e negare simultaneamente lo stesso attributo divino. Ciò sarebbe quel dire sì e no, che Cristo attribuisce al diavolo. Si tratta, invece, proprio come insegna la teologia medioevale ingiustamente da lui disprezzata, proprio di separare accuratamente, senza contrapporre, il momento della teologia positiva da quello della negativa, per il fatto che la seconda si costruisce sulla base della prima, in quanto, mentre quella afferma un attributo divino nella sua assolutezza ― per es. la bontà ―, la seconda lo nega evidentemente non in quanto tale, ma, ponendosi dal punto di vista del nostro modo umano di concettualizzare e di quanto noi possiamo comprendere della bontà divina. Il metodo scolastico conserva il contenuto trascendentale del concetto di bontà, ma ne nega il modo finito col quale la bontà si realizza nelle nostre conoscenze umane [45].

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Davanti al Mistero divino, il concetto non entra in contraddizione con se stesso, ma al contrario si afferma nella sua massima potenza e assurge alla sua massima dignità, certo non col suo modo d’essere finito [46], ma nel suo contenuto teologico. Qui Hegel aveva ragione contro Schelling. E il concetto, nel momento nel quale avverte questo suo limite, si rende conto di essere infinitamente superato dal modo d’essere divino. E proprio questa esperienza gli fa capire di aver raggiunto Dio, perché, se non avvertisse di essere superato, ciò che concepisce non sarebbe Dio, ma un idolo. Su questo punto Schelling non aveva tutti i torti.

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Il Dio di Schelling e di Hegel

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Kasper propone una teologia, la quale mette assieme l’idea di Dio in Schelling con quella di Hegel, nonostante il forte contrasto che le divide. Ma entrambe derivano dalla concezione luterana di Dio, e questo spiega, secondo me, questo fatto di congiungerle. Resta comunque che, mentre Schelling punta l’attenzione sul Deus absconditus, Mistero assoluto e indifferenziato di identità ideale-reale, soggetto-oggetto, inconoscibile e indicibile, «coincidentia oppositorum», il Dio del quale si può dire tutto e il contrario di tutto, «stoltezza della predicazione», un Assoluto che, come è noto, appare ad Hegel la «notte ― come egli dice ―, nella quale tutte le vacche sono nere», Hegel considera il Dio che si fa storia ed appare nella coscienza sub contraria specie, il Deus revelatus, l’evento Cristo, il Logos, la Ragione, la Parola, il Concetto, l’«Universale concreto».

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Kasper, Per quanto riguarda Schelling, nel far sua la sua concezione, la riporta in questi termini:

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«L’infinito non oggettivo, originario, non può essere saputo oggettivamente, ma soltanto in modo assoluto. Questo sapere trascendentale, tuttavia, non sta semplicemente accanto al sapere oggettivo, ma lo comprende e lo rende possibile, non è tematizzabile in se stesso, non deve essere oggettivato e quindi falsato. Lo si scopre solo nella dialettica, in quell’oscillare e in quel passare dall’uno all’altro» [47].

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Questa conoscenza «assoluta» è sempre la dialettica, come in Hegel: la sintesi del sì e del no, dell’affermazione e della negazione, con la differenza che mentre in Hegel l’Assoluto può e deve essere concepito razionalmente e determinatamente, per cui, come dice Hegel «il Mistero è svelato», il sapere assoluto di Schelling è indifferente alle distinzioni concettuali, lasciandole nelle loro opposizioni, e quindi dà l’impressione di apprezzare l’esperienza mistica e l’oscurità divina, ma nel momento in cui questo sapere viene espresso, ricade nell’«oscillazione» tra il sì e il no, che abbiamo già vista. É in fondo la coincidentia oppositorum del Cusano, che pure abbiamo già vista.

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Anche per San Tommaso, certamente, Dio è l’Assoluto, ma ciò non impedisce che si possa avere un concetto, benché imperfetto, dell’essenza di Dio, esprimibile nel linguaggio, già in base alla ragione e ancor più grazie alla fede. Questo concetto, prodotto dalla nostra ragione, sia pur illuminata dalla fede, non può indubbiamente comprendere o abbracciare esaustivamente l’essenza divina nella sua infinità. E tuttavia la può conoscere limitatamente nella sua verità. Nel contempo, San Tommaso non nega che la nostra parola venga a mancare, quando consideriamo, soprattutto nell’esperienza della carità, l’infinita bontà divina. E quindi non nega affatto l’esperienza mistica. Ma si guarda bene dal basarla sull’oscillazione tra il sì e il no. Essa invece nasce da un sì a Dio detto con tutte le proprie forze e sulla base delle verità di fede.

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Resta comunque, come abbiamo visto, che noi possiamo concepire Dio facendo ricorso al concetto analogico dell’essere, per il fatto che la Scrittura ci insegna che Dio è «Colui Che É» [Es 3,14], quindi, come osserva San Tommaso, Dio è un Ente, la cui essenza è quella di essere assolutamente e infinitamente. In tal senso Dio è l’Infinito e l’Assoluto. Parliamo di concetto analogico, per il fatto che, come insegna la Scrittura [Sap 13,5], noi possiamo sapere che Dio esiste e quindi possiamo farcene un concetto, partendo dalla considerazione degli enti, ossia delle cose, che sono effetti della sua potenza creatrice: «Di fatti, dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l’Autore». Se infatti tutte le cose hanno in comune il fatto di esistere e di avere l’essere, un essere del quale partecipano, senza che nessuna di esse sia l’essere per essenza, la ragione ci obbliga ad ammettere che, avendo esse ricevuto l’essere, debba esistere un Essere, Che lo abbia dato loro, cioè che le abbia create, un Essere che, per spiegare l’esistenza degli enti, a sua volta non abbia ricevuto l’essere, ma che sia puro ed infinito Essere, quello che San Tommaso chiama ipsum Esse per Se subsistens, Dio.

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Una volta dunque che noi abbiamo formato la nozione universalissima  dell’essere,  siamo in grado di poter predicare l’essere sia delle cose, che di Dio, ma dobbiamo tener presente che lo predichiamo nei due casi non in senso univoco, come se di esse e di Dio l’essere si potesse predicare nello stesso senso, ma in due sensi molto diversi, ossia analogici, perché, mentre le cose hanno l’essere, ossia sono finite, Dio è l’Essere infinito. Per questo l’Aquinate dice che mentre la realtà creata è id quod habet esse, Deus est suum esse. E d’altra parte, esagerando la diversità tra la creatura e il Creatore e cadendo nell’equivocità dell’essere per un falso misticismo e senso del mistero, non si può dire che l’essere non si può predicare di Dio, in forza della “trascendenza” di Dio e della sua superiorità nei confronti di tutti i concetti umani. Questo è l’errore di Schelling, nel quale cade anche Kasper.

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Il Dio dell’idealismo proposto da Kasper oscilla tra l’equivocità e l’ univocità. Questa tendenza è in nuce già nel Dio di Lutero, che congiunge la concezione agostiniana del Dio interiore alla coscienza e luce della coscienza, fonte di verità eterne, col Dio di Ockham, che è un Dio che non tiene conto delle nostre certezze, un Dio quindi, sui cui attributi si può equivocare, perché la sua imperscrutabile e insindacabile volontà non comanda ciò che è bene, ma ciò che Egli vuole che sia bene. Per cui, se Dio permettesse l’adulterio, esso sarebbe lecito. Infatti, per Ockham, dato che non ammette l’esistenza di essenze universali, non esiste una natura umana, regolata da leggi morali universali, valide per ogni individuo, per cui il bene dell’uomo non è l’osservanza di queste leggi, ma semplicemente il fatto che ogni singolo uomo compia il volere di Dio nella sua situazione particolare e variabile da uomo a uomo. I doveri dell’uomo non sono motivati da una ragione, che non dà certezze, ma solo da opinioni, e dal solo fatto che Dio vuole così e potrebbe volere diversamente.

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Il Dio dell’idealismo approvato e raccomandato da Kasper e da lui considerato migliore e più biblico di quello di San Tommaso, è una congiunzione della concezione luterana di Dio con quella cartesiana, attraverso Kant e Fichte.

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L’agostiniano Dio nella coscienza ha un riflesso sia in Lutero che in Cartesio, ma mentre in Agostino la coscienza entra in se stessa per aprirsi alle cose esterne che conducono a Dio ed alla compagine visibile, istituzionale e sacramentale della Chiesa con a capo il Vicario di Cristo, con Lutero e Cartesio, il Dio nella coscienza diventa, per dirla con Kasper

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«il principio moderno della soggettività, il processo durante il quale l’uomo diventa cosciente della propria libertà come autonomia, e se la rende punto di partenza, misura e mezzo per un’intera concezione del reale» [48].

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Dio e la storia

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La proposta kasperiana è chiara: è quella di sostituire, nell’interpretazione della Rivelazione cristiana, la filosofia tomista con quella idealista, nonostante le secolari raccomandazioni a favore di San Tommaso fatte dai Sommi Pontefici, fino alle prescrizioni del Concilio Vaticano II e dei seguenti Pontefici, come San Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et Ratio e le ripetute condanne dell’idealismo da parte del Magistero della Chiesa sin dal XIX secolo. É evidente, altresì, in Kasper, l’intento di favorire Lutero dietro le lodi tributate a Schelling e ad Hegel.

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Prendiamo in esame alcune dichiarazioni significative di Kasper. Egli ritiene che

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«la filosofia di Hegel … offre al teologo degli strumenti concettuali che lo aiutano, più di quanto non sia stata capace la tradizione metafisica del passato, a capire l’avvenimento di Cristo e a riflettere su Dio non più in termini filosofico-astratti, bensì concretamente, a pensare cioè Dio come il Dio e Padre di Gesù Cristo» [49].

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Vediamo quali sarebbero secondo Kasper questi «strumenti concettuali», che fanno conoscere il mistero cristiano meglio di San Tommaso. Egli dice:

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«Un Dio che ora viene pensato entro l’orizzonte della soggettività, non può essere compreso come l’Esistente supremo, perfettissimo e immutabile. Si giunge così, dopo i diversi tentativi intrapresi dallo scotismo e dal nominalismo medievali, come pure da pensatori quali Meister Eckhart e Nicolò Cusano, a una de-sostanzializzazione del concetto di Dio» [50].

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Kasper loda Hegel perché è giunto a concepire l’Assoluto

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«non come sostanza ma come soggetto, in quanto si aliena nell’altro da sé» [51]. «L’Intero (Dio) non è altro che l’essenza che si compie attraverso la sua evoluzione» [52]. «Questa comprensione storica di Dio ― spiega Kasper [53] ― è mediata sul piano cristologico e raggiunge il suo apice nell’interpretazione del fenomeno della croce, nel tentativo di capire la morte di Dio»

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«L’avvenimento della croce ― continua Kasper parlando di Hegel ― è la descrizione esteriore della storia dello Spirito assoluto»[di Dio]; «per essa avviene in Dio una “scissione”»; la morte di Dio significa che egli nega se stesso: «in questa auto-alienazione la morte rappresenta il vertice massimo della finitudine, la negazione suprema e quindi anche la migliore manifestazione dell’amore di Dio» [54].

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Dice ancora Kasper:

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«Per sua stessa essenza lo Spirito assoluto pone in se stesso la sua differenza da sé. Secondo Hegel, questa è un’esegesi filosofica del detto biblico: ‘Dio è amore’» [55].

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É qui evidente un’interpretazione dialettica del Mistero della Croce, la quale nulla ha a che vedere con quanto la dottrina della Chiesa e la Scrittura insegnano sull’argomento [56].

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Conseguenze in antropologia e morale

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Se la casa è fondata sulle sabbie mobili del divenire e dell’incertezza, non c’è da stupirsi se essa non possa avere una salda struttura e garantire una sicura abitabilità. E di fatti l’antropologia kasperiana e la morale che ne discende ci lascia in balìa delle onde del mare agitato della storia, senza una meta fissa e senza un porto riparato nel quale rifugiarci, che non sia ciò che si svolge nella dialettica della nostra coscienza soggettiva. Poco ci aiuta il richiamo ad un “Assoluto” impelagato come noi nelle vicende, nelle sventure e nelle oscurità di questa vita mortale, tanto che non si capisce se è Lui che ci soccorre o noi dobbiamo soccorrere Lui.

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Dice Kasper:

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«L’uomo si trova davanti a un mistero insuperabile, anzi egli stesso è un mistero impenetrabile. Non è possibile ricavare le linee essenziali della nostra esistenza» [57].

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Non si risolve il delicatissimo problema dell’essenza dell’uomo, nonché dei fini e delle leggi della sua vita con un misticismo a buon mercato, che non è altro che una comoda ma vergognosa fuga dalle proprie responsabilità. In tal modo, si abbandona la gravissima questione morale nelle mani di qualunque ciarlatano. Per un teologo cattolico la cosa, poi, è ancora più grave, considerando il ricchissimo e millenario patrimonio dottrinale, del quale dispongono in merito l’antropologia e la morale cattolica.

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La riduzione dell’uomo, fatta da Kasper, a mera possibilità di recepire la grazia, a mero vaso della grazia, può dar l’impressione di un’alta spiritualità, ma in realtà è una schietta impostura, anzi è un’assurdità, perché la grazia è un perfezionamento della natura: se non esiste il perfezionabile, non può esistere neppure la perfezione che dovrebbe perfezionarlo.

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Dice infatti Kasper:

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«L’infinita distanza che separa l’uomo da Dio, la creatura dal suo Creatore, e la cui mediazione si preannunzia nella persona dell’uomo come interrogativo e come speranza, non può essere colmata da possibilità umane. Per sua stessa essenza questa mediazione non può provenire che da Dio. Nella sua personalità, l’uomo è soltanto grammatica, potentia oboedientialis, pura e passiva possibilità di questa mediazione» [58]. «L’antropologia è, per così dire, la grammatica di cui Dio si serve per autoesprimersi; ma la grammatica in quanto tale rimane aperta agli enunciati più diversi e trova la sua determinazione concreta soltanto nella vita umana di Gesù» [59].

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L’uomo davanti a Dio non è  solo una passiva «grammatica», ma è una creatura libera fatta a sua immagine, con ben precise finalità e regolata da ben precise leggi, della cui obbedienza deve render conto a Dio; non è un nastro registratore, ma un soggetto personale attivo, un interlocutore capace di rispondere di sì o di no, e che Dio chiama a dirgli di sì.

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Nell’etica che discende dall’antropologia kasperiana tutto è possibile e il contrario di tutto. Niente è stabile, niente è universale, niente è necessario, niente è assoluto. Ma tutto diviene, tutto è storicizzato, tutto è relativo, tutto è diversificato, tutto è contestualizzato, tutto è particolare e concreto.

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Le note conturbanti di questa etica relativista e storicista dovrebbero metterci in allarme e farci consapevoli dell’importanza delle buone basi metafisiche e teologiche della morale, se non vogliamo che la condotta umana, abbandonando le vie del Vangelo, scenda al livello dell’homo homini lupus.

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Varazze, 24 maggio 2018

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NOTE

[1] L’Assoluto nella storia nell’ultima filosofia di Schelling, Jaca Book, Milano 1986, p.492.

[2] Cf G.Cavalcoli, San Tommaso e la filosofia cristiana, in La filosofia cristiana tra Ottocento e Novecento e il Magistero di Leone XIII, in Atti del Convegno di Perugia del 29.V-1.VI 2003, a cura della Curia Arcivescovile di Perugia, Perugia 2004, pp.323-332; AA.VV., Tommaso d’Aquino e l’oggetto della metafisica, Armando Editore, Roma 2004.

[3] E’ la convinzione dei rahneriani che ormai Rahner abbia soppiantato S.Tommaso o sia il S.Tommaso del nostro tempo. Tale convinzione, con buona pace dei rahneriani, ovviamente si basa su di un fraintendimento  delle verità fondamentali della ragione e della fede.

[4] Vedi la grande enciclica di S.Giovanni Paolo II Fides et Ratio del 1998.

[5] Cf E.Gilson, Lo spirito della filosofia medioevale, Ed.Morcelliana, Brescia 1964.

[6] Alcuni testi sull’importanza e l’attualità del pensiero di S.Tommaso: G.Mattiussi, Le XXIV Tesi della filosofia di S.Tommaso d’Aquino approvate dalla Congregazione degli Studi, Tipografia della Pontificia Università Gregoriana, Roma 1947; J.Maritain, Le Docteur Angélique, Desclée De Brouwer&C.ie, Paris 1930; A.Fernandez –M.Cordovani – M.Maggiolo – R.Spiazzi, La missione del tomismo, Edizioni S.Sisto Vecchio, Roma-Napoli 1967; C.Giacon, Le grandi tesi del Tomismo, Edizioni Patron, Bologna 1967; P.Parente, Terapia Tomistica per la problematica moderna da Leone XIII a Paolo VI, Edizioni Logos, Milano 1979; J.A.Weisaheipl, Tommaso d’Aquino.Vita, pensiero, opere, Jaca Book, Milano 1988; N.Sarale, S.Tommaso d’Aquino oggi, Editrice Civiltà, Brescia 1990; A.Livi, Tommaso d’Aquino. Il futuro del pensiero cristiano, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1997; R.Spiazzi, Il pensiero di S.Tommaso d’Aquino, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1997; R.Garrigou-Lagrange, La sintesi tomista, a cura di M.Bracchi, Prefazione di A.Livi, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2015.

[7] Qui Kasper polemizza con lo Przywara.

[8] L’Assoluto nella storia, op.cit., p.492.

[9] Come è noto, il Gaetano fu incaricato da Papa Leone X di ingiungere a Lutero a ritrattarsi. Purtroppo la missione fallì perché Lutero avrebbe voluto difendersi, ma al dottissimo e pio Cardinale domenicano, obbediente al Papa, non fu concesso di discutere con Lutero. A questo punto Lutero non volle saperne di correggersi e restò attaccato alle sue idee, come poi avrebbe fatto per il resto della sua vita. Chissà che invece, se i due avessero potuto dialogare, al Gaetano non fosse stato possibile, con la sua eccezionale capacità di persuasione, ad aprirsi uno spiraglio nella coscienza di Lutero circa l’importanza della metafisica per interpretare la Parola di Dio. Cf su questo argomento interessante lo studio approfondito dello storico domenicano Charles Morerod, oggi Vescovo di Losanna, Cajetan et Luther en 1518, Fribourg en Suisse 1994.

[10] Cf J.Maritain, Sept leçons sur l’Etre et les premiers principes de la raison spéculative, Téqui, Paris 1934, pp.88-96.

[11] Non può essere in se stesso diviso o molteplice, benchè abbia molteplici significati, perché deve coprire tutta l’ampiezza e l’estensione dell’essere e fuori dall’essere non c’è che il nulla. Fu già questo l’errore di Enrico di Gand, nel sec.XIII, il quale pensava che esistessero due nozioni analogiche dell’ente simili fra di loro, una per Dio e una per il mondo. Cf E.Bettoni,  Duns Scoto filosofo, Editrice Vita e Pensiero, Milano 1966, pp.67-69.

[12] L’Assoluto nella storia, op.cit., p.504.

[13] Il dogma sotto la Parola di Dio, Herder-Morcelliana, p.48.

[14] Denz. 1507, 3020, 3074,. 3540; Catechismo della Chiesa Cattolica, n.88-90; Cf« il Codice del 1917: «Christus Dominus fidei depositum Ecclesiae concredidit, ut ipsa, Spiritu Sancto iugiter assistente, doctrinam revelatam sancte custodiret et fideliter exponeret» [Can.1322§1]; Melchior Canus, De locis theologicis, Venetiis 1786, pp.88-93; R.-M.Schultes, Historia dogmatum, c.I, Lethielleux, Paris 1922; A.Gardeil, Le donné révélé et la Théologie, Les Éditions du Cerf, Paris 1932; S.Cartechini, Dall’opinione al domma. Valore delle note teologiche, Edizioni “La Civiltà Cattolica”, Roma 1953; Y.Congar, La Foie et la Théologie, Desclée, Tournai, 1962, pp.54-71; F.Marín-Sola, La evolución homogenea del dogma católico, Madrid-Valencia 1963, cc.III e IV; G.Cavalcoli, La questione dell’eresia oggi, Edizioni Viverein, Roma 2008, pp.215-223.

[15] Cf Conc. Vat.II, Cost.Dogm. Dei Verbum,cc.II e III.

[16] Della quale parla il Maritain nelle già citate Sept Leçons, pp.45-50.

[17] L’Assoluto nella storia, op.cit., p.61.

[18] Cf Martin Lutero. Una prospettiva ecumenica, Queriniana, Brescia 2016, p.54.

[19] Egli fraintende questa immagine proposta da Papa Francesco, il quale non si riferiva all’essenza della Chiesa, il cui centro organizzativo è evidentemente il Papa, ma all’ecumenismo.

[20] Vedi l’interessante analisi della metafisica di Guglielmo di Ockham in T.Tyn Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1991, pp.243-258.

[21] Il dogma sotto la parola di Dio, Ed. Queriniana, Brescia 1968, p.47.

[22] Op.cit.,p.137.

[23] Ibid., p.65.

[24] Ibid., p.148.

[25] Per questo, l’ammissione, sostenuta dal Card.Kasper, di casi nei quali la S.Comunione potrebbe essere concessa ai divorziati risposati, non è fondata, come io ho sostenuto in questo sito, sul fatto che qui è in gioco una semplice legge ecclesiastica, ma dipende dal fatto che egli, a causa della sua gnoseologia storicistica, non può accettare l’indissolubilità del matrimonio come valore assoluto ed universale.

[26] Fenomenologia dello Spirito, La Nuova Italia, Firenze 1988, vol.I, p.27.

[27] Vedi i passi di Kasper nel mio libro Il mistero della Redenzione, Edizioni ESD, Bologna 2004, pp.321 e 325.

[28] LA  DIALETTICA NELLA CRISTOLOGIA DI HEGEL, in Sacra Doctrina, 6,1997, pp.87-140. Non si tratta di communicatio idiomatum,  perché  Kasper attribuisce l’umano non alla natura divina in quanto è unita alla natura umana nella Persona di Cristo (“Dio è morto”, “Dio soffre”), ma alla natura divina come tale. Per lui, come per Hegel, Dio è essenzialmente umano. Indipendentemente dall’uomo, Dio non è Dio. Secondo il coscienzialismo idealista, Dio è Dio nella coscienza dell’uomo e in quanto pensato dall’uomo. Tutto nella coscienza, niente fuori della coscienza. È, in fondo, il cogito cartesiano sviluppato da Fichte.

[29] Gesù il Cristo, Queriniana , Brescia 1975, p.231.

[30] Gesù il Cristo, Ed.1981, pp.250-251.

[31] A.Livi, Vera e falda teologia. Come distinguere l’autentica ”scienza della fede” da un’equivoca “filosofia della religione”, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012.

[32] L’Assoluto nella Storia, op.cit., p.493.

[33] Ibid., p.503.

[34] Fenomenologia dello Spirito, op.cit., pp. 14,15.

[35]Ibid.

[36] Ibid., p.17.

[37] Ibid., p.26. Il difetto della gnoseologia hegeliana è dato dal fatto che il punto di partenza del sapere non è dato dall’affermazione dell’evidente, ossia della cosa sensibile che fronteggia l’esperienza e la ragione, cioè l’oggetto, ma, al contrario, dalla sua negazione: l’oggetto è un opposto al soggetto, per cui il vero è dato dal fatto che il soggetto, negando l’oggetto, lo identifica di nuovo con sé. Cf il mio articolo La negazione della verità del senso comune in Hegel, in La certezza della verità, Raccolta di contributi di vari Autori a cura di Antonio Livi, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2013, pp.143-148.

[38] Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis, op.cit. p.875.

[39] È strano che Lutero abbia accusato Aristotele di essere un sofista, mentre il grande sofista era proprio lui.

[40] L’Assoluto nella storia, op.cit., pp.493-494.

[41] L’Assoluto nella storia, op.cit., pp.491-492.

[42] Ibid., p.494.

[43] Ibid., pp. 494-495.

[44] Gesù il Cristo, Ed. Queriniana, Brescia 1975, p.65.

[45] Quindi, quando Gesù dice che «solo Dio è buono» [Mc 10,18], evidentemente non nega che anche le creature siano buone [Gen 1, 10,13, 18, 21, 25] nel loro modo finito; ma semplicemente vuol dire che solo Dio è assolutamente ed infinitamente buono. Cf J.-H.Nicolas, Dieu connu comme inconnu. Essai d’une critique de la connaissance théologique, Desclée De Brouwer, Paris 1966, pp.145-146.

[46] Bisognerebbe che fosse infinito anche il modo d’essere di tale concetto. Ma qui esiste un solo Concetto adeguato, che è il Logos.

[47] L’Assoluto nella storia, op.cit., p.491.

[48] Gesù il Cristo 1981, p.253.

[49] Gesù il Cristo 1981, p.256.

[50] Ibid. p.253

[51] Ibid., p.254

[52] Ibid.

[53] Ibid.

[54] Ibid..254-255.

[55] Ibid.

[56] Vedi il mio trattato Il Mistero della Redenzione, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2004.

[57] Ibid. p.65.

[58] Ibid., p.346.

[59] Ibid., p.66.

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

È più simpatico il Colonnello Gheddafi o il Cardinale Kasper che offende l’Eucaristia e approva le eresie di Lutero?

 — Attualità ecclesiale —

È PIÙ SIMPATICO IL COLONNELLO GHEDDAFI  O IL CARDINALE KASPER CHE OFFENDE L’EUCARISTIA E APPROVA LE ERESIE DI LUTERO?

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La questione del permesso della Comunione ai protestanti è effettivamente di competenza del Diritto Canonico, ma la materia è vincolata dalla dogmatica sacramentaria e dall’ecclesiologia, mentre il Cardinale Walter Kasper purtroppo non tiene conto di questi vincoli di non poco conto, finendo con l’avallare le eresie luterane.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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PDF  articolo formato stampa

 

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il Colonnello Mu’ammar Gheddafi [1942 – 2011] leader della Libia

L’Agenzia stampa Vatican Insider riporta un’intervista realizzata da Andrea Tornielli al Cardinale Walter Kasper sulla questione della liceità della Comunione Eucaristica ai Luterani [vedere intervista, QUI]. In questione non è l’intervistatore, ma l’intervistato. Pertanto, chi stimmatizza Andrea Tornielli, come sta accadendo, commette un grave errore. Sarebbe infatti come accusare Oriana Fallaci di avere intervistato il Colonnello Gheddafi nel 1979, in una intervista memorabile rimasta nella storia del giornalismo. La Fallaci, fece solo il proprio lavoro [Vedere testo, QUI]. O come mi diceva poc’anzi il Padre Ariel S. Levi di Gualdo: «Sarebbe come se io, chiamato prima della sua morte al capezzale di un serial killer, mi rifiutassi di confessarlo». Poi, chi tra i due, il Cardinale Kasper e il Colonnello Gheddafi, sia più simpatico e meno pericoloso, questa non è cosa che riguarda ad alcun titolo questo articolo. Lasciamo assegnare il premio della simpatia ai Lettori, visto che oggi, più che mai, l’immaginazione del grottesco pare davvero andata al potere.

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Abbiamo già motivato in altri nostri scritti l’insegnamento e le direttive della Chiesa su questo delicato tema del sacramento dell’Eucaristia e della sua amministrazione, che, come dice San Giovanni Paolo II nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia del 1993: «racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa» [n.1]; l’Eucaristia «edifica la Chiesa» [c. II] ed è «il culmine di tutti i sacramenti nel portare a perfezione la comunione con Dio Padre mediante la conformità col Figlio Unigenito per opera dello Spirito Santo» [n. 34].

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È il principio generatore e propulsore, il vertice e il culmine della vita della Chiesa, in se stessa e nei singoli credenti, la ragione d’essere della sua esistenza, che dà forma alla sua essenza. È il vincolo d’amore che unisce Cristo alla sua Sposa, è l’alimento del Corpo Mistico di Cristo.

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Essa genera l’unità nella varietà; l’obbedienza nella libertà, la carità nella verità. Unisce i fratelli tra di loro e con Dio; unisce i pastori col gregge; unisce il gregge a Pietro e Pietro a Cristo. Contiene tutti i misteri della fede, tutto il tesoro dei doni dello Spirito, tutta la sorgente e la forza delle virtù e i segreti della santità. Spinge continuamente al progresso e alla riforma; dona il fervore della carità; tiene saldi nella perseveranza e nella fedeltà. Fa pregustare la gloria futura ed è pegno della vita eterna. Va assunta con devozione, retta intenzione, fede sincera ed integra, piena comunione ecclesiale, col proprio Vescovo e col Sommo  Pontefice [Ecclesia de Eucharistia, n.39], con la coscienza preparata e purificata dal peccato.

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Il Cardinale Kasper sostiene che la concessione del permesso della Comunione ai luterani è contenuta sia nel Decreto Unitatis Redintegratio del Concilio Vaticano II, sia in due encicliche di San Giovanni Paolo II. Ora, se leggiamo questi documenti, noteremo che essi sono conformi al dettato del Diritto Canonico [Can. 844 § 3-4], che ho citato e commentato in un mio precedente articolo.

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Quanto al documento conciliare, esso recita così:

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«Questa communicatio è regolata soprattutto da due principi: esprimere l’unità della Chiesa; far partecipare ai mezzi della grazia».

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Osservo che si tratta di due princìpi in tensione fra di loro, che pertanto vanno prudentemente collegati: il primo si preoccupa della Comunione con la Chiesa; il secondo bada alla salvezza  del credente. Il primo è più attento al foro esterno; il secondo, al foro interno. Nel primo è accentuata la giustizia; nel secondo, la misericordia.

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In questa materia, come rileva il Diritto Canonico, funziona l’autorità pastorale della Conferenza Episcopale o del singolo Vescovo diocesano. Il Decreto infatti precisa:

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«Circa il modo concreto di agire, avuto riguardo a tutte le circostanze di tempo, di luogo, di persone, decida prudentemente l’autorità episcopale del luogo». 

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Il Diritto concede che la Chiesa vada incontro alle richieste dei fratelli separati solo in casi di grave urgenza. Non è affatto contemplato il caso che il richiedente sia il coniuge non-cattolico. Infatti, la situazione del luterano in pericolo di morte, coniuge o non coniuge, prevista dal Diritto, è imparagonabile con quella del coniuge luterano in buona salute. Il primo, come si suppone, è in procinto di dover render conto a Dio della sua vita, mentre si suppone che il secondo abbia tempo e modo per istruirsi e correggersi sul sacramento dell’Eucaristia e di ravvedersi della precedente condotta di luterano.

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il Cardinale Kasper cita i testi delle due encicliche di Giovanni  Paolo II e dice:

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«Ut unum sint [1995] e Ecclesia de Eucharistia [2003] hanno formulato una posizione più avanzata che può essere la norma interpretativa del canone in piena sintonia con il Concilio Vaticano II. Nella prima delle due encicliche di San Giovanni Paolo II, al numero 24 [1] leggiamo: «È motivo di gioia ricordare che i ministri cattolici possano, in determinati casi particolari, amministrare i sacramenti dell’Eucaristia, della Penitenza, dell’Unzione degli infermi ad altri cristiani che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, ma che desiderano ardentemente riceverli, li domandano liberamente, e manifestano la fede che la Chiesa cattolica confessa in questi Sacramenti».

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Mentre nella seconda enciclica dello stesso Pontefice, al numero 45, leggiamo: «Se in nessun caso è legittima la concelebrazione in mancanza della piena comunione, non accade lo stesso rispetto all’amministrazione dell’Eucaristia, in circostanze speciali, a singole persone appartenenti a Chiese o Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica. In questo caso, infatti, l’obiettivo è di provvedere a un grave bisogno spirituale per l’eterna salvezza di singoli fedeli». 

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E il Cardinale commenta:

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«Le due encicliche insistono molto sull’adesione della parte protestante alla dottrina cattolica sull’eucaristia, cioè sul manifestare “la fede che la Chiesa cattolica confessaˮ, per citare lo stesso Giovanni Paolo II. Questo mi sembra molto importante, perché i sacramenti sono sacramenti della fede. Per un vero luterano, che si basa sugli scritti confessionali, la presenza reale di Cristo nell’eucaristia è ovvia […] Certo non si può richiedere a un protestante quanto si richiede normalmente ad un cattolico. Basta credere: “Questo è (est) il corpo di Cristo, dato per te”. Su questo anche Lutero ha molto insistito. Le dottrine più sviluppate sulla transustanziazione o consustanziazione, anche un fedele cattolico “normale” non le conosce…». 

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Confutazione degli errori del Cardinale Kasper

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Il Cardinale cade in un pauroso vuoto d’aria, infatti, se «non si può richiedere da un protestante quanto si richiede normalmente da un cattolico», allora bisogna dire francamente a questo protestante che non può accedere alla Comunione. Poi, l’aereo, addirittura precipita:

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«Basta credere: “Questo è (est) il corpo di Cristo, dato per te”. Su questo anche Lutero ha molto insistito. Le dottrine più sviluppate sulla transustanziazione o consustanziazione, anche un fedele cattolico “normale” non le conosce». 

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Ma credere a che cosa? Un cattolico che non conosce e accetta il dogma della transustanziazione non è un cattolico «normale», ma è cattolico ignorante, che va urgentemente istruito, affinché non cada nell’eresia e non gli capiti, come avverte San Paolo, di mangiare indegnamente il corpo del Signore, ossia di non riconoscerlo e quindi di «mangiare la propria condanna» [I Cor 11,29]. In ogni caso, se come dice il Cardinale, il protestante crede veramente alle parole «questo è il corpo del Signore», pronunciate dal sacerdote nella Messa, allora vorrà dire che crede nella transustanziazione. E se ci crede, non può seguitare a mantenere la fede luterana, dovrebbe dire: «in questo pane c’è il Signore». Ma allora vorrà dire che si è convertito al cattolicesimo.

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 Aggiunge poi il Cardinale Kasper:

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«Se queste persone, in un contesto abbastanza secolarizzato, sono dei veri fedeli che credono e sono uniti nello stesso battesimo e pertanto fanno parte dell’unica Chiesa di Cristo (anche se non in piena comunione), e inoltre sono legati nello stesso sacramento del matrimonio e rappresentano il mistero dell’unione fra Cristo e la sua Chiesa e lo vivono, sono insieme con i loro figli una chiesa domestica. È normale che sentano l’intimo desiderio di condividere anche l’eucaristia. Se condividono anche la fede eucaristica cattolica, che cosa impedisce? [cf. Atti degli Apostoli 7, 37; 10,47]».

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I testi di San Paolo non servono affatto alla tesi del Cardinale, perché trattano di altre questioni. Sappiamo invece quanto sono esigenti l’ecclesiologia e la sacramentaria del Beato Apostolo Paolo, che non ignora i gradi inferiori o imperfetti di comunione ecclesiale che sono propri dei catecumeni, ma quando si tratta della Comunione eucaristica richiede la piena comunione ecclesiale, come si evince dallo stesso termine “Comunione”.

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Paolo è maestro di ecumenismo per la sua straordinaria apertura di mente, per il suo rispetto per le diversità e per i valori della cultura greco-romana, per il senso dell’universalità del messaggio evangelico, e per la sua comprensione per le forme inferiori e per le debolezze della spiritualità umana, per la sua capacità di dialogo con tutti e di cogliere ovunque il positivo da condurre a Cristo.

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L’ecumenismo di Paolo non è però un giocare sull’equivoco, un tacere sull’errore anziché correggerlo; non è un girare a vuoto inconcludente, uno stare sempre sulla soglia della Chiesa senza mai stimolare il fratello ad entrare all’interno del santuario, ma al contrario è un fattore di autentica riconciliazione reciproca in Cristo e nella Chiesa sotto la guida di Pietro, è sempre un franco invito alla conversione e ad accettare in pienezza la verità, è un poderoso e caldo invito a sperimentare a fondo il Mistero di Cristo e della sua Chiesa.

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Riguardo poi all’invito del Papa ai Vescovi a «trovare una soluzione comune», dice il Cardinale Kasper:

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«Penso che il Papa abbia dato una risposta molto saggia. Lui è rimasto in piena sintonia con l’idea della sinodalità della Chiesa. Però ha anche segnalato che sulle questioni fondamentali non basta una maggioranza dal punto di vista canonico legale, ci vuole l’unanimità».

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Il Papa, nell’esortare i Vescovi a giungere ad una «possibile unanimità», non può certamente né aver inteso che possono concedere la Comunione nel senso inteso dal Cardinale Kasper, che comporterebbe una profanazione dell’Eucaristia, né può aver inteso che debbono accordarsi mediante una semplice votazione a maggioranza, come vorrebbero interpretare altri, pronti ad accusare il Papa di irresponsabilità, di non saper valutare la serietà della questione e di mentalità politica, ma certamente sottintende che l’accordo dovrà essere basato sulla Scrittura, sulla Tradizione, sul Diritto Canonico.

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Non si può escludere che dalla discussione dei Vescovi su questo argomento emerga una proposta al Papa di modifica delle attuali disposizioni in merito del diritto canonico, ma sempre ovviamente in consonanza con le esigenze imprescrittibili del diritto divino, per il quale non può esser lecito trattare un fratello che non è in piena comunione con la Chiesa, né intende di esserlo, come se lo fosse, né a lui può esser lecito fingere di essere in una piena comunione con la Chiesa, che egli stesso in realtà rifiuta, salvo il caso che egli intenda o desideri farsi cattolico, come è sottinteso nel caso della Comunione al protestante in pericolo di morte.

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Prosegue il Cardinale Kasper:

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«Penso all’ammonizione dell’apostolo Paolo, esaminare sé stessi per verificare se si possa mangiare e bere dall’altare [1 Cor 11,26]: un’indicazione che non è solo per i protestanti ma anche per i cattolici. Le domande iniziali sono le stesse: credo veramente al mistero eucaristico e la mia condotta di vita è in sintonia con ciò che si celebra e che è presente nell’eucaristia?».

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Il Cardinale Kasper non si rende conto della differenza che esiste qui tra il cattolico e il protestante. Mentre infatti il cattolico può certo fare una Comunione sacrilega, se si accosta alla Eucaristia in stato di peccato mortale e senza le dovute disposizioni, il luterano è privo delle necessarie disposizioni in quanto luterano, per cui, salvo il caso della buona fede, se non rimedia in anticipo togliendo queste cattive disposizioni, ma le mantiene coscientemente e volontariamente, non può non essere reo del corpo e del sangue del Signore in modo e misura ben più gravi del cattolico, che accetta il dogma dell’Eucaristia con tutte le verità di fede ed i valori morali che sono connessi ed è in piena comunione con la Chiesa, anche se con quel sacrilegio il cattivo cattolico compromette questa comunione e quindi deve riparare. Tuttavia, a differenza del protestante, che resta in una comunione solo parziale, il cattolico almeno sa cosa deve fare per recuperare la comunione incrinata e si suppone che lo faccia.

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Ancora il Cardinale Kasper:

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«Se un protestante partecipa la celebrazione eucaristica, ascolta ciò che diciamo nella preghiera eucaristica. Bisogna domandarsi: può alla fine della dossologia veramente rispondere con tutta l’assemblea: “Amen, sì credo.” Sentirà anche che nominiamo il nome del Papa e del vescovo, il che vuole dire che celebriamo in comunione con lui. Bisogna che si domandi: “Voglio veramente questa comunione?ˮ».

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Se un protestante, veramente, sinceramente, non per finta, a una Messa fa e crede tutte quelle cose, deve piuttosto chiedersi se non ha abbandonato il luteranesimo per farsi cattolico. In questo caso egli è certamente pronto, disposto e ammesso a fare la Comunione, dopo essere entrato nella comunione della fede cattolica.

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Aggiunge il Cardinale Kasper:

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«Ho incontrato molti protestanti che hanno più stima e spesso anche più amore per i Papi attuali di quanta ne hanno alcuni cattolici critici e scettici».

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Purtroppo la stima che molti protestanti hanno per il Papa attuale non ha nulla a che vedere con l’accoglienza del primato del Sommo Pontefice, Maestro infallibile della dottrina della fede, possessore delle “somme chiavi”, supremo Liturgo, Custode e Dispensatore dei Misteri celesti e dei Sacramenti della salvezza e Moderatore della divina Liturgia, ma è motivata da interessi puramente umani, ossia dal semplice fatto che Papa Francesco non li corregge nei loro errori e non li esorta a convertirsi alla Chiesa Cattolica. Ma se questi protestanti leggessero ciò che di Lutero dissero Papa Leone X o San Pio V o il Beato Pio IX o Leone XIII o San Pio X, credo che cambierebbero opinione sul papato.

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D’altra parte, è vero che certi cattolici, troppo attaccati al passato e ribelli al Concilio Vaticano II, danno un cattivo esempio di condotta nei confronti del Papa. Ma ci sono anche quelli che rivolgono al Papa, col rispetto che gli è dovuto, legittime critiche, proprio al fine di aiutarlo nella guida della Chiesa, che è il Popolo di Dio, guidata dallo Spirito, collegialmente, gregge e pastori, sub Petro et cum Petro.

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Concludiamo queste considerazioni osservando che il desiderio del coniuge luterano di ricevere la Comunione deve essere preso in seria considerazione, ma deve essere vagliato con cura, per verificare che non sia dettato da emotività psicologica, da simpatie umane, da bisogno di condivisione empatica, da istinto di imitazione, dal bisogno di essere approvati, dal desiderio di non sentirsi esclusi o di rendersi interessanti, da finzione con secondi fini e cose del genere.

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Il soggetto dovrà essere iniziato gradualmente e metodicamente, con un’opportuna catechesi, all’esperienza di quel sublime Mistero, così che vengano tolti, come indica l’Unitatis Redintegratio [n. 3], tutti quegli «ostacoli» che Lutero frappose, con la sua falsa riforma, alla degna manducazione del pane eucaristico.

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Infatti, il voler fare la Comunione pur restando luterani non ha nessun senso ed è un atteggiamento incoerente per non dire schizofrenico e che nulla ha a che vedere con l’ecumenismo. La carenza dell’ecclesiologia luterana, infatti, consiste proprio nell’assenza dei fattori più nobili e soprannaturali della realtà ecclesiale, quali sono appunto i sacramenti, tra i quali il più sacro e il più divino di tutti è appunto l’Eucaristia, introdotta dal sacramento della Penitenza, per poi giungere alla celebrazione della Messa in comunione piena con la Chiesa e il Sommo Pontefice.

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Se dunque un luterano vuol accostarsi sinceramente alla Comunione, ciò dovrà essere il segno comprovato e chiaro che egli vuole recuperare tutti quegli elementi di Chiesa e tutti quegli elementi della fede che Lutero aveva distrutto e che fanno da presupposto alla recezione dell’Eucaristia; in altre parole, sarà segno che vuol farsi cattolico. E Dio sia benedetto per questa celeste ispirazione!

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L’errore di fondo della teologia del Cardinale Kasper

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Tutto l’argomentare del Cardinale Kasper poggia su di un grave vizio di carattere gnoseologico, che ho illustrato in un mio saggio di prossima pubblicazione e dedicato alla gnoseologia del Cardinale Kasper. La spia di tale vizio è data dalle seguenti parole:

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«Certo valgono sempre i principi teologici, ma la loro applicazione concreta non si fa in un modo solo deduttivo e meccanico. Se lo facessimo, sarebbe l’eresia della gnosi, che giustamente viene denunciata dal Papa attuale». 

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Si tratta del metodo della deduzione razionale sia speculativa e morale, che per il Cardinal Kasper non è fondato sull’oggettività del reale e della verità, ma sul «principio moderno della soggettività», cioè sul cogito cartesiano «per il quale l’uomo diventa cosciente della propria libertà come autonomia e se la rende punto di partenza, misura e mezzo per un’intera concezione del reale» [cf. Gesù il Cristo, Queriniana Editrice, 1981, pag. 253]. Per conseguenza, continua il Cardinale Kasper:

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«un Dio che ora viene pensato entro l’orizzonte della soggettività non può più essere compreso come l’Essere supremo, perfettissimo e immutabile», per cui occorre una «de-sostanzializzazione del concetto di Dio».

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Pertanto, per Kasper, come per Hegel, l’essere si identifica col divenire, Dio diviene, muta, e si identifica con la storia: l’Assoluto non è sopra la storia, ma nella storia, secondo il titolo di un suo studio su Schelling [2]. Da qui la mutabilità della natura umana e della legge morale, come già denunciò San Pio X nella sua enciclica Pascendi Dominici Gregis.

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Ora il cogito cartesiano contiene in sé, come è stato dimostrato dagli studi di Fabro e di Maritain, il principio dell’idealismo e del panteismo hegeliano, come risulta da un’attenta osservazione della storia della filosofia, e per l’esplicito rifarsi a Cartesio degli idealisti e dei panteisti. Il che vuol dire che il cogito contiene già in nuce il principio del Sapere assoluto di Hegel, che è precisamente la forma più elaborata dello gnosticismo moderno.

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Se c’è da accusare quindi oggi qualcuno di gnosticismo, questi è proprio il Cardinale Kasper e niente affatto il meccanismo della deduzione logica, che applica il principio morale nei casi particolari. La legge positiva ecclesiastica ammette eccezioni, ma non la legge morale naturale, salvo il caso della epikeia, dove propriamente non si tratta di fare eccezione, ma di sospendere l’applicazione di una legge inferiore in nome dell’applicazione di una legge superiore. Invece la legge divina non ammette mai neppure la epikeia.

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La questione del permesso della Comunione ai protestanti è effettivamente di competenza del Diritto Canonico, ma la materia è vincolata dalla dogmatica sacramentaria e dall’ecclesiologia, mentre il Cardinale Walter Kasper purtroppo non tiene conto di questi vincoli di non poco conto, finendo con l’avallare le eresie luterane.

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O sacrum convivium, in quo Christus sumitur,  recolitur memoria passionis eius, mens impletur gratia et futurae gloriae nobis pignus datur [Antifona di San Tommaso d’Aquino]

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Varazze (Italy), 14 maggio 2018

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NOTE

[1] In realtà, se si va al n.24 dell’ Ut unum sint si trova un testo diverso. Il 24 invece è citato da S.Giovanni Paolo II al n.46 dell’Ecclesia de Eucharistia.

[2] L’Assoluto nella storia nell’ultima filosofia di Schelling, Jaca Book, Milano 1986.

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Who is more sympathetic: the Colonel Gaddafi, or the Cardinal Kasper who insult the Eucharist and approves Luther’s heresies?

WHO IS MORE SYMPATHETIC: THE COLONEL GADDAFI, OR THE CARDINAL KASPER WHO INSULT THE EUCHARIST AND APPROVES LUTHER’S HERESIES?

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The question of the authorization of Communion to the Protestants is in reality responsibility of canon law, but the question is however linked to dogmatics and ecclesiology, while Cardinal Kasper, unfortunately, does not take these constraints into account and thus ends up approving the Lutheran heresies.

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Author
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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Colonel Gaddafi [1942-2011] leader of Libya

The Vatican Insider news agency reports an interview by dr. Andrea Tornielli to Cardinal Walter Kasper on the question of the legitimacy of Eucharistic communion for Lutherans [see interview, HERE]. In question it is not the interviewer, but the interviewee. Therefore, those who stigmatize Andrea Tornielli, as is happening, makes a serious mistake. It would be like accusing Oriana Fallaci of having interviewed Colonel Gaddafi in 1979, in a memorable interview contained today in the history of journalism. The mrs. Fallaci, he only did his job [see text, HERE]. Or as Father Ariel S. Levi di Gualdo told me: “It would be like I was called to the bedside of a dying serial killer, and I refuse to hear his confession!” In any case, establishing who among the two, Cardinal Kasper and Colonel Gaddafi, is more amiable and less dangerous, is not a problem linked to this article. We leave it to the jury’s readers to award the sympathy prize to Cardinal Kasper or Colonel Gheddafi, because today, more than ever, the imagination of the grotesque seems to have really taken power.

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We have already motivated in our other articles the teaching and directives of the Church on this delicate theme of the sacrament of the Eucharist and of its administration, which, as Saint John Paul II says in the encyclical Ecclesia de Eucharistia of 1993: «summarizes the core of the mystery of the Church» [n. 1]; the Eucharist «builds the Church» [c. II] and is «the culmination of all the sacraments in bringing to perfection communion with God the Father through conformity with the Only Begotten Son through the work of the Holy Spirit» [n. 34].

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The Cardinal Kasper claims that the granting of the permission of the Communion to the Lutherans is contained both in the Decree Unitatis Redintegratio of the Second Vatican Council, and in two encyclicals of St. John Paul II. Now, if we read these documents, we will notice that they conform to the dictate of Canon Law [Can. 844 § 3-4], which I quoted and commented on in a previous article of mine.

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As for the conciliar document, it reads as follows:

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«This communication is governed above all by two principles: to express the unity of the Church, to participate in the means of grace”. These are two principles in tension among themselves, which therefore must be prudently connected: the first concerns communion with the Church; the second is the salvation of the believer. The first is more attentive to the external forum; the second, at the internal forum. In the first case justice is stressed, in the second case the mercy».

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In this regard, as canon law underlines, the pastoral authority of the Episcopal Conference or of the individual diocesan bishop operates. In fact, the decree states:

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«Regarding the concrete way of acting, having regard to all the circumstances of time, place and people, prudently decide the episcopal authority of the place».

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The law guarantees the Church to meet the requests of separated brothers only in cases of serious urgency. The case that the applicant is the non-Catholic spouse is not at all contemplated. In fact, the situation of the Lutheran in danger of death, spouse or non-spouse, provided by law, is incomparable with that of the Lutheran spouse not in danger of death but in good physical health. The first, as it is supposed, is about to account to God for his life, while it is supposed that the latter has time and way to educate himself and correct himself on the sacrament of the Eucharist and to repent of his previous Lutheran conduct.

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He Cardinal Kasper quotes the texts of the two encyclicals of John Paul II and says:

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«Ut unum sint [1995] and Ecclesia de Eucharistia [2003] formulated a more advanced position which may be the interpretative norm of the canon in full harmony with the Second Vatican Council». 

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In the first of the two encyclicals of St. John Paul II, the number 24 we read:

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«It is a source of joy to remember that Catholic ministers can, in special cases, administer the sacraments of the Eucharist, of Penance, of the anointing of the sick to other Christians. that they are not in full communion with the Catholic Church, but who ardently desire to receive them, to ask them freely and to show the faith that the Catholic Church confesses in these sacraments».

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While in the second Encyclical of the same Pontiff, at n. 45, we read:

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«If concelebration is not legitimate in the absence of full communion, the same does not happen with regard to the administration of the Eucharist, in particular circumstances, to individual persons belonging to Churches or Ecclesial Communities not in full communion with the Catholic Church: in this in fact, the goal is to provide for a serious spiritual need for the eternal salvation of the individual faithful».

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And the Cardinal Kasper comments:

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«The two encyclicals insist a great deal on the adhesion of the Protestant side to the Catholic doctrine on the Eucharist, that is, on “manifesting” the faith that the Catholic Church confesses”, to quote John Paul II himself. This seems very important, because the sacraments are sacraments of faith. For a true Lutheran, who is based on the confessional writings, the real presence of Christ in the Eucharist is obvious […] Certainly it is not possible to ask a Protestant what is normally required of a Catholics. Just believe: “This is (east) the body of Christ, given for you”. Luther has also insisted on this too. The more developed doctrines on transubstantiation or consubstantiation, even a “normal” Catholic faithful do not know them … ».

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Confutation of the errors of Cardinal Kasper

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In fact, the Cardinal falls into a frightful void of air, if «we can not ask a Protestant of what is normally requested by a Catholic», then we must say frankly to this Protestant who can not access the communion. Then, Cardinal Kasper’s plane crashes when he says: “Just believe:” This is (east) the body of Christ, given for you. “Luther also insisted on this: the more developed doctrines on the transubstantiation or the consubstantiation, even a “normal” faithful of the Catholic Church does not know them …».

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But “believe” that dares? A Catholic who does not know and does not accept the dogma of transubstantiation is not a “normal” Catholic, but an ignorant Catholic, who must be urgently instructed, so that he does not fall into heresy and does not understand, as Saint Paul warns, that one must not eat the body unworthily. of the Lord, because he who does this «eat his own condemnation» [1 Cor 11:29] In any case, if, as the Cardinal says, the Protestant truly believes in the words «this is the body of the Lord», pronounced by the priest at Mass, it means that he believes in transubstantiation. And if he believes in it, he can not continue to keep the Lutheran faith, he should say: «in this bread is the Lord». Then it will mean that he converted to Catholicism.

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Then adds Kasper:

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«If these people, in a fairly secularized context, are true believers who believe and are united in the same baptism and therefore are part of the one Church of Christ (though not in full communion), and are also bound in the same sacrament of marriage, and they represent the mystery of the union between Christ and his Church and live it, and they are together with their children a domestic church, it is normal that they feel the intimate desire to also share the Eucharist and the Eucharistic Faith, what prevents it?» [See Acts of the Apostles 7, 37; 10.47]. 

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The texts of St. Paul are not at all consistent with the thesis of the cardinal because they deal with other questions. On the other hand, we know how demanding ecclesiology and the sacramental dogmatics of the Blessed Apostle Paul are, who do not ignore the inferior or imperfect degrees of ecclesial communion belonging to the catechumens, but when it comes to Eucharistic communion it requires full ecclesial communion, as can be seen with the same term “communion”.

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Saint Paul is famous for his respect for the differences and for the values of the Greco-Roman culture, for the sense of the universality of the Gospel message and for his understanding of the weaknesses of human nature, for his ability to dialogue with everyone and look for the positive to be brought to Christ everybody.

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Paul’s ecumenism, however, is not a game of misunderstanding, a silence about error rather than correcting it; it is not an inconclusive emptiness, like always standing on the threshold of the Church, never encouraging the brother to enter the sanctuary, but on the contrary it is a factor of authentic reciprocal reconciliation in Christ and in the Church under the guidance of Peter, always moved by a frank invitation to conversion and to accept the truth fully, is a powerful and warm invitation to deeply experience the mystery of Christ and his Church.

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Regarding the Pope’s invitation to the Bishops to “find a common solution”, says Cardinal Kasper:

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«I think the Pope gave a very wise response, remaining in full harmony with the idea of synodality of the Church, but he also stressed that on fundamental issues the majority is not sufficient from a canonical legal point of view, it requires unanimity» .

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The Pope, in exhorting the Bishops to arrive at a “possible unanimity”, can not certainly nor have understood that they can grant communion in the sense intended by Cardinal Kasper, which would imply a profanation of the Eucharist, nor can it be understood that they must be agree with a simple majority vote, as they would like to interpret others, ready to accuse the Pope of irresponsibility, not being able to assess the seriousness of the problem because it acts politically, but certainly implies that the agreement must be based on Scripture, the tradition of canon law.

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It can not be excluded that the discussion of the Bishops on this topic demonstrates a proposal to the Pope to change the current provisions on canon law, but always obviously in harmony with the requirements of the divine law, for which it can not be lawful to treat a brother which is not in full communion with the Church, and which does not intend to be so, as if it were in full communion with the Church which he himself refuses. Unlike the case of a Protestant who wishes to become a Catholic, as in the implicit case of a Protestant who asks for the sacraments in danger of death.

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Cardinal Kasper continues his speech:

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«I think of the admonition of the apostle Paul, examining oneself to see if we can eat and drink from the altar» [1 Cor 11:26]. This warning is not only addressed to Protestants but also to Catholics, who must ask themselves: do I really believe in the Eucharistic mystery? Is my conduct of life in harmony with what is celebrated and is present in the Eucharist?

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The Cardinal Kasper does not realize the difference between Catholics and Protestants. While in reality the Catholic can certainly make a sacrilegious communion, if he approaches the Eucharist in a state of mortal sin and without the necessary spirit, the Lutheran is deprived of the necessary provisions just as Lutheran, for which, save the case of good faith, if he does not remedy in advance removing these bad dispositions, but keeping them consciously and voluntarily, he can not fail to be guilty of the body and blood of the Lord in a way serious than the Catholic, who accepts the dogma of the Eucharist with all the truths of faith and the moral values that are connected and is in full communion with the Church, even if with that sacrilege, the Bad Catholic, compromises this communion and therefore must repair. However, unlike the Protestant, who remains only in a partial communion, the Catholic at least knows what he must do to recover the cracked communion, and of course he should do it.

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Again Cardinal Kasper:

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«If a Protestant participates in the Eucharistic celebration, listen to what we say in the Eucharistic prayer, we must ask ourselves: at the end of doxology we can truly respond with the whole assembly:” Amen, yes, I believe. “If you have heard that we mention the Pope and the bishop during the Holy Mass, which means that we celebrate in communion with him, then we must ask ourselves: “Do you really want this communion?».

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I believe that if a Protestant, sincerely, in a Holy Mass does and believes all the things that Cardinal Kasper talks about, then he must ask himself whether he has not abandoned Lutheranism to become a Catholic. In this case it is certainly ready, available and admitted, after entering into the communion of the Catholic faith.

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Continue by saying Cardinal Kasper:

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«I have met many Protestants who have more esteem and often more love for the current Popes than those who have critical and skeptical Catholics».

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Unfortunately, the estimate that many Protestants today have for the Pope has nothing to do with welcoming the supremacy of the Supreme Pontiff, infallible teacher of the doctrine of the faith, guardian of the «keys given to St. Peter the Apostle», supreme master of the faith , Custodian and Dispenser of the sacred Mysteries and Sacraments of salvation, Moderator of the Divine Liturgy. Their esteem is often motivated by purely human interests, by the simple fact that Pope Francis does not correct them in their errors and does not exhort them to convert to the Catholic Church. But if these Protestants read however what Pope Leo X or Saint Pius V, the Blessed Pius IX, Leo XIII or Saint Pius X said about Luther, I think they would change their opinion about the papacy.

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On the other hand, it is true that some Catholics, too attached to the past and rebels at the Second Vatican Council, give a bad example of conduct towards the pope. But there are also those who turn to the Pope, with due respect, a legitimate critique, only to help him lead the Church, which is the People of God, guided by the Spirit and by Peter assisted by the college of the apostles.

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We conclude these considerations by observing that the desire of the Lutheran spouse to receive communion must be taken seriously, but must be carefully examined, to verify that it is not dictated by psychological emotions, human sympathies and need for empathic sharing, by instinct of imitation, by the desire not to feel excluded or to become interesting, and other things like that.

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The Protestant must be brought gradually and methodically to the Eucharist with adequate catechesis, so that they are removed, as the Unitatis Redintegratio teaches [n. 3], all those “obstacles” that Luther has interposed, with his false reform.

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In fact, the desire to make the Communion while remaining Lutheran has no sense and is an inconsistent attitude not to say schizophrenic and that has nothing to do with ecumenism. The lack of Lutheran ecclesiology, in fact, consists precisely in the absence of the noblest and supernatural factors of the ecclesial reality, such as the sacraments, among which the most sacred and the most divine of all is precisely the Eucharist, introduced by sacrament of Penance.

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Therefore, if a Lutheran wants to approach the Communion sincerely, this must be the proven and clear sign that he wants to recover all those elements of the Church and all those elements of faith that Luther had destroyed and that are a precondition for the reception of the Eucharist; in other words, it will be a sign that he wants to be Catholic. And God be blessed for this heavenly inspiration!

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The basic error of Cardinal Kasper’s theology

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All of Cardinal Kasper’s argument is based on a serious vice of a gnoseological nature, which I illustrated in a paper of my forthcoming essay dedicated to the epistemology of Cardinal Kasper. The spy of this vice is given by the following words:

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«Certainly theological principles are always valid, but their concrete application is not done in a deductive and mechanical way. If we did, it would be the heresy of gnosis, which is rightly denounced by the present Pope».

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It is the method of rational deduction both, speculative and moral, that for Cardinal Kasper is not founded on the objectivity of reality and truth, but on the «modern principle of subjectivity», that is, on the Cartesian cogito «for which man he becomes aware of his freedom as autonomy and makes it a starting point, a measure and a means for an entire conception of reality»[cf. Jesus the Christ, Queriniana Ed., 1981, pag. 253]. Consequently, Cardinal Kasper continues: «a God who is now thought within the horizon of subjectivity can no longer be understood as the supreme Being, most perfect and immutable», for which we need a «de-substantialization of the concept of God».

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Therefore, for Kasper, as for Hegel, being identifies with becoming, God becomes mute, and identifies with history: the Absolute is not above history, but in history, according to the title of one of his studies on Schelling. Hence the mutability of human nature and the moral law, as already denounced Saint Pius X in his encyclical Pascendi Dominici Gregis.

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Now the Cartesian cogito contains in itself, as the studies of Cornelio Fabro and Jacques Maritain show, the principle of Hegelian idealism and pantheism, as evidenced by a careful observation of the history of philosophy, and by the explicit reference to idealists and pantheists of Descartes. This means that the cogito already contains the principle of absolute knowledge of Hegel, which is precisely the most elaborate form of modern gnosticism.

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If today there is therefore to be accused of someone of Gnosticism, this is precisely Cardinal Kasper and not the mechanism of logical deduction, which applies the moral principle in particular cases. The positive ecclesiastical law admits exceptions, but not the natural moral law, except in the case of the epikeia, where it is not properly an exception, but suspends the application of a lower law in the name of the application of a higher law. But the divine law never even admits epikeia.

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The issue of the authorization of Communion to the Protestants is in fact responsibility of canon law, but the question is linked to dogmatics and ecclesiology, while Kasper, unfortunately, does not take these constraints into account and ends up approving Lutheran heresies.

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Varazze, May 14th 2018

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«Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» [Gv 8,32],
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La mostra dei paramenti sacri a New York: evoluzione o involuzione del messaggio cristiano cattolico alla comunità

LA MOSTRA DEI PARAMENTI SACRI A NEW YORK: EVOLUZIONE E INVOLUZIONE DEL MESSAGGIO CRISTIANO CATTOLICO ALLA COMUNITÀ

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Vero scopo della mostra a New York sembra pertanto essere il diavolo e l’acquasantaIl sacro e profano, mentre il bello ed il sacro finisce surclassato dalla volontà di far discutere, di entrare nella notizia e di far parte di un sistema gossip che ha il sapore della blasfemia, dove la sacralità finisce malamente sottomessa alla peggiore profanità mondana.

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Autore
Licia Oddo *.

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era proprio necessario?

Che l’abbigliamento, o il costume espressione di una moda, segua nel tempo il suo corso, quale branca dall’aspetto più fashion, estroso, della creatività artistica non v’è dubbio. Quando però ad essere coinvolta è la sfera religiosa e più specificatamente cattolica, sino a divenire protagonista o soggetto delle sfilate glamour, la cosa cambia, generando situazioni di fatto eclatanti e controverse. Soprattutto se promotore di una iniziativa così “singolare” è il Cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che in anteprima mondiale ha presentato nella galleria romana di Palazzo Colonna [vedere QUI e QUI], accanto alla iconica Anna Wintur, direttrice della nota rivista Vogue, l’evento «Heavenly Bodies: Fashion and the Catholic Imagination» (Corpi celesti: la moda e l’immaginazione cattolica). Oggetto di questa mostra allestita dal 10 maggio all’8 ottobre a New York nel Metropolitan Museum of Art è il dialogo tra sacro e profano, moda e paramenti sacri [vedere QUI, QUI e QUI].

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Tra i 150 abiti creati ad hoc dagli stilisti più in auge dell’ haute couture, per diffondere attraverso le loro creazioni icone cristiane, spicca la croce ricca di pietre preziose stampata sul corpetto di un abito disegnato da Gianni Versace. Immagine destinata a creare un certo scalpore, perché la croce è rappresentata al di fuori di quello che è il suo naturale ambito di culto. Nell’esposizione Met Cloister, un’ala separata del museo che comprende cinque antichi chiostri disseminati nell’ Upper Manhattan, spiccano i paramenti sacri, quaranta per l’esattezza, mai usciti prima dalle sacristie della Cappella.

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Nella sua presentazione il Cardinale Gianfranco Ravasi sostiene:

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«La veste, infatti, non è meramente un indumento che ci protegge dal freddo o dal caldo o dalla nudità, funzione per altro valida, riconosciuta già dalla Bibbia agli esordi dell’umanità. Ma, come appare chiaramente dalla creatività della moda e dal nesso linguistico tra il latino vestis, “veste”, e “investitura” ― vocabolo presente in molte lingue europee per indicare la nomina a un incarico ufficiale ― l’abito, attraverso la sua dimensione simbolica, appartiene alla stessa cultura e la esprime” […] “La sfilata della quarantina di vesti e di arredi sacri vaticani presenti nella mostra Heavenly Bodie merita, allora, di essere giustamente classificata sotto la categoria della “catholic imagination» […] La selezione offerta dalla mostra è marcata da un’indubbia qualità sontuosa: essa è stata esaltata nell’epoca barocca ma è rimasta nell’ornamentazione liturgica dei secoli successivi. Si voleva, così, per questa via proclamare la trascendenza divina, il distacco sacrale del culto dalla ferialità quotidiana, lo splendore del mistero.[cf. QUI].

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Purtroppo, il Cardinale Gianfranco Ravasi, quasi subito si contraddice nello stesso scritto quando asserisce:

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«Naturalmente incombe sempre sulla ritualità e, quindi, sull’apparato liturgico cristiano il monito di Gesù che ironizzava sugli osservanti esteriori che «allargano i loro filatteri e allungano le frange», ossia i tefillin e il tallit, componenti del culto giudaico [Mt. 23,5]. Resta, infatti, anche nel rito sacro il rischio che segnalerà lo scrittore inglese William Hazlitt nel suo saggio Del carattere clericale (1818) “Coloro che fanno del vestito una parte principale di se stessi finiscono in generale per non valere più del loro abito”. Tuttavia la bellezza e l’arte sono state per secoli inseparabili sorelle della fede e della liturgia cristiana, soprattutto nel cattolicesimo e nell’ortodossia E – come ha fatto Henri Matisse con le sue mirabili casule da lui disegnate per la cappella di Vence e ora conservate nei Musei Vaticani – questo legame dovrà continuare a rivivere e a rinnovarsi attraverso il dialogo anche con l’arte contemporanea» [cf. QUI].

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Sembra che il Cardinale corregga subito la sua versione quasi rifacendosi al motto: “insomma non prendiamoci troppo sul serio, l’abito non fa il monaco”! Ma allora che cos’ha espresso prima, riguardo al significato etimologico della parola veste?

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Volendo c’è però di più, perché affermare che sacrale non sia il riflesso di colui che l’abito lo veste, è inesatto. È infatti opportuno evidenziare che il carattere festivo espresso anche dal decoro della veste del presbitero che presiede l’Eucaristia, diventa una costante della celebrazione, come pure il modello dello stesso abito [Cf. QUI]. Ed in effetti, quando nel VII secolo la moda secolare cambia, l’abito religioso del presbitero non muta, diventando anzi caratteristico alla celebrazione alla quale esso è riservato. Nessun simbolismo vi è dunque all’origine della veste liturgica, bensì la volontà di sottolineare il rispetto dovuto, sia per la celebrazione liturgica sia per ogni altro tipo di incontro sociale. L’abito assumerà così la funzione di una divisa opportunamente indossata, che non manifesta una semplice caratteristica, ma il carattere sacro stesso, perché libera l’individuo dalle sue particolarità e lo rende “riflesso” di Colui in persona del quale egli agisce. Anche l’abito perciò si ritualizza, astraendo dal singolare e offrendo attraverso “il ruolo” una immagine trascendentale.

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Nel XIII secolo si sviluppa una simbologia che Giuseppe Braun [1] chiama tipico-rappresentativa perché in essa la persona del sacerdote rappresenta quella del Salvatore che soffre, e le vesti del sacerdote ricordano gli avvenimenti particolari della passione morte e risurrezione di Cristo. La contemplazione di questa varia simbologia sosteneva l’attenzione e la devozione dei fedeli, pazienti nell’assistere alla Santa Messa, in un ambito ricco della devozione che fa scoprire nelle cose sacre la risposta anche dottrinale ai propri bisogni spirituali.

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A rigor di logica, i secoli trascorsi che sanciscono la nostra tradizione culturale, fondata non su semplici ideali ma su precetti che evidenziano l’aspetto canonico di quella che è la religione cattolica, non può essere modificata per lasciarsi trascinare nell’oceano delle “mode” che, per quanto fonti di creatività, non hanno nulla a che vedere con la stabilità e la fondatezza di un paramento sacro della traditio catholica, nato e poi consumato per quel ruolo. Ritenere che l’abbigliamento sacro cattolico sia fenomeno sociale è una degenerazione dei costume del popolo occidentale, che vanta la tradizione millenaria di un Credo cattolico sancito nel 325 al Concilio di Nicea. Da allora, i paramenti sacri, sono assurti ad un significato preciso ricco di simbologie mistagogiche che non hanno nulla da spartire con la  moda destinata a cambiare col mutare della società e dei suoi gusti. La Chiesa, pastoralmente, segue i tempi, ma non per questo muta le verità della fede rivelata; perché la Chiesa in cammino è proiettata al di là del tempo verso una dimensione escatologica di eternità.

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In questa sfilata le modelle non sfoggiano l’abito chic, il tailleurs fashion, od il cappellino da cocktail per i pomeriggi all’aria aperta o per le serate gala, ma sono rivestite con paramenti della traditio catholica, in un ambito del tutto estraneo ed antitetico alla fede sulla quale questa traditio si edifica, finisce col figurare come una totale mancanza di rispetto verso l’arte sacra. Alla luce di tutto questo, come storico dell’arte mi corre l’obbligo di precisare che in questa “sfilata del secolo” è stato stravolto, de-qualificato e persino rivoluzionato il significato stesso di alcuni concetti fondamentali dell’arte. Se infatti pensiamo che tra i paramenti liturgici in generale, camici casule e stole, vi sono le tiare, la mitria ed i pastorali, classificati come «attributi iconografici» perché simbolicamente emblemi di riconoscimento di una data figura che occupa un ruolo di santità, è presto detto che appena questi accessori liturgici sono consegnati ad una qualsiasi figura femminile che solca una passerella, nello spettatore finisce con l’ingenerarsi una vera e propria confusione nella percezione di ciò che viene presentato alla sua vista. Non più quindi il pastorale che nella Pala di Brera  identificava  Giovanni il Battista [vedere QUI], o la mitria che identifica il vescovo, bensì accessori liturgici svuotati del loro significato mistagogico e finiti addosso ad una modella. E dinanzi a tutto questo, ci dovremmo interrogare sul ruolo svolto oggi dalla Chiesa Cattolica nella divulgazione del suo messaggio alla comunità.

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Leggiamo ancora in un articolo su questa mostra:

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«La mostra porta i visitatori a esplorare i confini tra sacro e profano: la corona di spine, trasformata in fascinator da Alexander McQueen, gli iconici capolavori dell’arte bizantina riprodotti da Dolce & Gabbana nella collezione “Monreale” autunno-inverno 2013/14. “Raccontiamo piccole storie”, spiega Bolton, curatore della mostra,  come con l’angelo di Thierry Mugler dalle ali di piume dorate o la “Giovanna d’Arco” del 1994 di John Galliano, stesa come un monumento sepolcrale di una chiesa. Sacro e profano occupano spazi separati. I prestiti del Vaticano ― tra queste le scarpe rosse di Giovanni Paolo Secondo ― sono esposti nelle sale del Constume Institute, “mostra nella mostra” rispetto al resto della rassegna dove l’iconico “Pretino” delle Sorelle Fontana evoca la surreale sfilata di moda ecclesiastica di Roma di Federico Fellini con i prelati sui pattini» [cf. QUI].

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Che sia un laico a fare uso dello stravagante binomio sacro e profano, come nel caso dello stilista, senza dubbio è curioso, oltre che inconsulto, ma soprattutto pare avere come fine quello di sbalordire l’opinione pubblica per fare scalpore e notizia con frasi di questo tipo: Santa Moda ora pro nobis «Siano lodati gli abiti e benedette le scarpe. Il nostro non è un lavoro, ma una vocazione». Così, esordiva infatti Stefano Gabbana alla fine della sfilata autunno inverno 2018, intitolata Fashion Devotion [cf. QUI]. Uno show dove in passerella erano state presentate le T-shirt con gli slogan «Santa Moda, ora pro nobis», «Fashion sinner», «Fashion Eden» e «Fashion is beauty» insieme a pantaloni stile guêpière, gonne di pizzo nero e mini dress attillati.

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Che sia però un Cardinale preposto alla presidenza di un Pontificio Consiglio della Santa Sede, ad affibbiare al generico significato del termine sacro tutti gli «strumenti» e paramenti cattolici nell’ampia spira del sacro, è invece dissacrante, non fa altro che lasciare sgomenti ed increduli. I paramenti liturgici, così definiti nella traditio catholica per differenziarli da quelli sacri in generale, intrisi di storia, valori culturali, da secoli custoditi all’interno della Sacrestia della Cappella Sistina, solcano le passerelle e finiscono indossati da chicchessia. E tutto ciò perché? Qual è il senso del messaggio cattolico?

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Mentre un tempo ciò che nel mondo artistico emergeva era proprio la competizione alla ricerca del bello all’interno dello stesso mondo ecclesiale e ecclesiastico, il post contemporaneo, richiede forse alla Chiesa un ruolo diverso? La Chiesa, per secoli grande mecenate dell’arte, sembra non essere più alla ricerca di queste espressioni del bello estetico che rappresenti il sacro ed i sacri misteri in generale, ma di ciò che fa più clamore, o peggio di ciò che fa più discutere. In tutto questo il paradosso è che la Chiesa sembra conformarsi a questo genere di volontà mondana perdendo il ruolo di maestra, per accettare i compromessi di una società che vuole a tutti i costi apparire nel modo più bizzarro possibile.

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Alla luce di questa mostra tutt’oggi in corso a New York, cosa è emerso a livello artistico, attraverso il coinvolgimento della Chiesa cattolica? Quello che sembra di fatto emergere è la cosiddetta commistione di «Stili» o di abiti che ha generata una contaminazione tra moda e fede. Tutto questo per andare forse al passo con i tempi, grazie ad una Chiesa che si piega ai capricci della società o della moda?

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Assistere alla presentazione di una mostra del genere, voluta dalla direttrice di Vogue America Anna Wintour, personaggio descritto nel film cult ad ella ispirato Il diavolo veste Prada, di cui è protagonista una donna cinicamente votata a qualsiasi azione pur di giungere allo scopo perseguito e la cui morale “irrisolta” è andare incontro al successo dimenticando i veri valori, non si concilia per niente con la Chiesa Cattolica, veste e ruolo della quale è certamente l’opposto di quello di Anna Wintour. Due figure antitetiche a confronto, tesi e antitesi. Ma la cosa stupefacente è che in questo caso sono però complici, o per usare il titolo di un altro film: Amici, complici, amanti.

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Vero scopo della mostra a New York sembra pertanto essere  il diavolo e l’acquasantaIl sacro e profano, mentre il bello ed il sacro finisce surclassato dalla volontà di far discutere, di entrare nella notizia e di far parte di un sistema gossip che ha il sapore della blasfemia, dove la sacralità finisce malamente sottomessa alla peggiore profanità mondana.

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Siracusa, 14 maggio 2018

 

 

*Storica dell’arte

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NOTE.

[1]Cf, G. Braun, I paramenti sacri. Loro uso storia e simbolismo, Marietti, Turín 1914. 

 

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En verdad os digo: ante esa damisela sacrílega del Cardenal Gianfranco Ravasi la diseñadora Donatella Versace aparece como un auténtico monumento a la virilidad masculina

— Misterios dolorosos de la Iglesia —

EN VERDAD OS DIGO: ANTE ESA DAMISELA SACRÍLEGA DEL CARDENAL GIANFRANCO RAVASI LA DISEÑADORA  DONATELLA VERSACE APARECE COMO UN AUTENTICO MONUMENTO A LA VIRILIDAD MASCULINA

 

Se podría tentar una defensa afirmando que también los heterosexuales son narcisistas, vanidosos y exhibicionistas como lo es el Cardenal Gianfranco Ravasi. Esto es verdad, pero como cualquier experto en las ciencias psicológicas puede explicar, se trata de dos modos completamente diferentes de manifestar el narcisismo, la vanidad y el exhibicionismo. De hecho, es a partir de los diferentes modos de expresar estos tres atributos que se reconoce más que nunca la personalidad del homosexual y la del heterosexual.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Artìculo para imprimir

 

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Por mucho menos, Jesucristo golpeó con el látigo a los mercaderes en el patio interior del Templo de Jerusalén. ¿Qué hubiera pasado si hubiera visto a las actrices de la antigua Judea vestidas con las insignias del Sumo Sacerdote?

En primer lugar una debida premisa: si la Autoridad Eclesiástica decide hacerme objeto de una débil admonición, deseo recordar que para hacerlo legítimamente y en conformidad con el derecho canónico, debe ante todo declarar la legitimidad y la plena oportunidad del actuar del Cardenal Gianfranco Ravasi, quien en la sacrílega muestra «Heavenly Bodies: Fashion and the Catholic Imagination», [cf. AQUI,y AQUI] celebrada en Nueva York, exhibió paramentos sagrados tomados de las sacristías históricas de la Ciudad del Vaticano que pertenecieron y fueron usados por los Sumos Pontífices. Paramentos que terminaron en una pasarela de mujeres que los desfilaron medio desnudas con mitras episcopales sobre la cabeza y, símbolos valiosos para la fe católica, colocados con realce en las partes más inapropiadas del cuerpo que eran más descubiertas que cubiertas.

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La diseñadora Donatella Versace posa junto a la triara del Beato Pontífice Pio IX

Ciertamente no es mi intención rechazar eventuales admoniciones de la legítima autoridad eclesiástica, a la cual antes de recibir el Sacramento del Orden he prometido libremente a una edad más que madura, filial y devota obediencia. Sin embargo, puesto que el objeto de mi crítica es el comportamiento públicamente imprudente de un Cardenal. Es oportuno aclarar, que yo puedo ser amonestado y sucesivamente condenado,sólo después de que la Autoridad Eclesiástica en primer lugar haya declarado legítimo y conforme a la mejor tutela de la dignidad y de la santidad de la Santa Iglesia Romana, el actuar del cardenal Gianfranco Ravasi. Demostrando y motivando que quien cayó en el error fui yo por haberlo criticado con dureza proporcional a cuanto de gravemente hizo. Si primeramente no viene aclarado esto, cualquier admonición ― o peor aún eventual condena ―,  caería bajo la invalidez que la inhabilita, por no cumplir con las disposiciones de las leyes eclesiásticas. [can. 1339-1340, can. 1341-1353, can. 1720-1728].

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Desfile …

Comencemos de un hecho: el Cardenal Gianfranco Ravasi se revela impulsado por una psicología homosexual. Esto no quiere decir ― sea claro ― que haya practicado la homosexualidad, algo que no podemos saber y ni mucho menos afirmar; porque esto en conciencia sólo lo puede saber él. A mayor razón, él pertenece a la categoría de homosexuales que en general son peores: los homosexuales reprimidos. Aquellos que se han acostumbrado a desahogar los impulsos de la libido de forma diversa, y en modo peor. De hecho, un eclesiástico animado por una psicología estructuralmente homosexual, tarde o temprano, termina por profanar la misma fe, especialmente después de haberse posicionado en lo más alto de la escala jerárquica y, cayendo al final en la megalomanía que lo lleva a pensar de ser un intocable a quien todo se concede. Y en la psicología del homosexual eclesiástico más o menos reprimido, según los diferentes casos, los tres elementos que emergen son el narcisismo, la vanidad y el exhibicionismo ostentoso y sin restricciones.

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Pregunta: Quién, entre nuestras Autoridades eclesiásticas en presencia de un equipo de especialistas en psicología clínica, sería capaz de afirmar con plena y científica certeza que Gianfranco Ravassi no es narcisista, no es vanidoso y no es exhibicionista?

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“devota” representación

Se podría tentar una defensa afirmando que también los heterosexuales son narcisistas, vanidosos y exhibicionistas como lo es el Cardenal Gianfranco Ravasi. Esto es verdad, pero como cualquier experto en las ciencias psicológicas puede explicar se trata de dos modos completamente diferentes de manifestar el narcisismo, la vanidad y el exhibicionismo. De hecho, es a partir de los diferentes modos de expresar estos tres atributos que se reconoce más que nunca la personalidad del homosexual y la del heterosexual.

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Hoy en día va de moda la limpieza de los archivos episcopales, de los de las nunciaturas apostólicas y de los de la Santa Sede. Por lo tanto, si todavía a Milán no han hecho limpiado en estos años con el fin de eliminar uno de los muchos “antecedentes penales”, debería existir no obstante un dosier en el que el entonces Arzobispo en cátedra, Cardenal Carlo María Martini, bloqueó el nombramiento episcopal de Gianfranco Ravasi, rostro ya conocido al público por sus programas de televisión. A poner un decisivo veto sobre este nombramiento episcopal también fue otro miembro del Colegio de Cardenales: el Cardenal Attilio Nicora, quien de Gianfranco Ravasi, ordenado sacerdote en el 1966, fue compañero en el Seminario de Venegono, y de este seminario sería más tarde rector en el 1970. Sucesivamente un tercer Cardenal, el sucesor de Carlo María Martini en la Cátedra de San Ambrosio, Dionigi Tettamanzi, bloqueó por segunda vez este nombramiento [ver la crónica jamás negada AQUI y AQUI]

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La saga de lo grotesco

Hago notar que el cardenal Carlo María Martini, de cuya teología y eclesiología se puede discutir mucho, era un hombre de profunda virilidad. Tanto es así que en esta figura sin duda bella y hierática, lo primero que llamaba precisamente la atención era su virilidad, después de su estructura humana viril, se percibía la del religioso jesuita, la del presbítero y la del obispo que se había construido encima. Y diciendo “no” a la hipótesis de que Gianfranco Ravasi fuera promovido obispo, el Cardenal Carlo Maria Martini sabía bien lo que hacía, aunque si por la modestia eclesiástica las motivaciones de ciertos “no”,  nunca se desarrollan sino lo justo. El hecho es que tres cardenales, dos de los cuales Ordinarios Diocesanos del entonces presbítero ambrosiano Gianfranco Ravasi; y un tercero quien fue su ex compañero de seminario, se opusieron en modo decidido a su nombramiento episcopal, blocándolo dos veces. Y de todo esto ― excepto desaparición del dosier ―, permanecería evidencia de esto sea en los archivos del arzobispado de Milán, sea en el archivo de la Congregación para los Obispos.

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Desfile …

El cardenal Gianfranco Ravasi encarna esa devastadora homosexualidad difusa como epidemia dentro de la Iglesia, la cual toca finalmente el ápice con la inevitable profanación en extraer de las sacristías monumentales de la Ciudad del Vaticano los paramentos sagrados que pertenecían a diferentes Venerables Sumos Pontífices”; para llevarlos como accesorios coreográficos en un ofensivo desfile de moda, por modelos en balanceo de cadera y con los senos al viento usando insignias episcopales.

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la corona de espinas de Nuestro Señor Jesucristo reducida a una gargantilla bajo la cabeza de una figura andrógina

Los paramentos sagrados  pertenecen a lo que son así llamados “accidentes externos” y se llaman paramentos sagrados porque vienen usados en la celebración del Santo Misterio del Sacrificio Eucarístico. Estos paramentos, como el Cardenal Gianfranco Ravasi debería saber, fueron bendecidos con las bendiciones especiales proporcionadas por el libro para las Bendiciones. Cada vez que venian usados, junto a cada pieza se recitaba una oración especial. Igualmente, como hoy en día lo hace el firmante de este artículo cuando se prepara para la Santa Misa, recitando mentalmente la oración prevista para cada pieza: el amito, el alba, el cíngulo, la estola, la casulla. Una vez revestido completamente de los paramentos sagrados recito para finalizar el acto de contrición; porque a pesar de ser imperfecto pecador como todos e indigno del Sagrado Orden Sacerdotal recibido, pueda celebrar el Sacrificio Eucarístico de la Santa Misa en comunión con la Iglesia Universal para la edificación y la salvación del Pueblo de Dios.

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Quien como yo justamente no elegido ni obispo ni creado cardenal , vive los misterios de la fe en el sagrado respeto de la sustancia divina e incluso de la de los accidentes externos quienes contribuyen como tales a la misma sustancia es decir los paramentos sagrado, en que modo puede recibir ciertas profanaciones del Cardenal Gianfranco Ravasi?

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El Cardenal Timothy Dolan non planteó ninguna cuestión, por el simple hecho de era presente, posando y sonriendo para las fotos con la diseñadora Donatella Versace

Como es posible, que el cardenal Timothy Dolan, Arzobispo Metropolitano de Nueva York en cuya jurisdicción canónica tuvo lugar este desfile irreverente; no hizo oír su voz expresando desacuerdo, indignación o enviando una nota de protesta a la Santa Sede? Por el simple hecho de que no solamente participó al evento, sino que hizo ironía mas bien digna de un borracho irlandés del siglo XVIII emigrado en las Nuevas Américas para escapar de una colonia penal, afirmando que él mismo había prestado la mitra a la exuberante bailarina:

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«La mitra se la preste yo, me la devolvió esta mañana… fue muy amable. Mis obispos auxiliares me hacían burlas por esta historia; pero yo les he dicho: “¡eh, ustedes no deben quejarse porque la cantante a cambio de la cortesía se ha ofrecido para hacer algunas confirmaciones”» [ver las declaraciones reportadas AQUI]

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Desde hace años y años que inútilmente hablo, escribo y público sobre la gran plaga del homosexualismo dentro de la Iglesia, que como me dijo durante una de nuestras últimas conversaciones poco antes de morir, el Cardenal Carlo Caffara:

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«… este flagelo ha asumido lo en todos sus aspectos son las características de una verdadera epidemia».

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Por mi parte, respondí:

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“Padre Cardenal, como muchas veces he escrito: el problema es tan dramático como por desgracia fuera de control. Estos sujetos dentro de la Iglesia, han creado una grande y potente lobby en grado de posicionar sus hombres y determinar nombramientos y carreras eclesiásticas. Pero sobre todo, de los sacerdotes homosexuales hemos pasado a los obispos homosexuales. Porque los que a finales de los años sesenta e inicio de los años setenta capitaneaban dentro de los seminarios la piadosa cofradía gay, hoy los encontramos como obispos. Y quienes a penas llegan a un puesto clave, lo primero que hacen es rodearse de sus símiles. Y al poco tiempo nos los encontramos a gestionar las diócesis dentro de las curias episcopales, las nunciaturas apostólicas y los mismos dicasterios de la Santa Sede. 

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La muestra y sus varios organizadores

Esta potente e imparable lobby, hoy más que nunca sigue indiscutible en la a reproducción de los peores elementos, colocándolos en la sección de asuntos especiales de la Secretaría de Estado o asumiéndolos en el Consejo Pontificio para la nueva evangelización. Todo esto a causa de lo que en el lejano 2011 definí como una especie de imparable «diluvio universal gay que estalló dentro de la Iglesia».

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Tan pronto como en el marzo de 2013 cambió el viento, éstos individuos abandonaron los cordones, los oros, la plata, los ricos y solemnes paramentos; de la noche a la mañana para cubrirse de pobres y de pobreza. Y a pesar de esto continúan como antes o peor que antes, haciendo deslumbrantes carreras y adquiriendo delicadas posiciones. Incluso si de ellos se ha recogido durante años dosier de noticias por lo menos perturbadoras sobre cualquier sacerdote que debería ser promovido a la dignidad episcopal. Y todos aquello que ayer fueron excluidos del nombramiento episcopal por graves motivos morales, hoy en día se están convirtiendo obispos, uno después de otro. Todos ellos con la cruz de vil hierro sobre el cuello y el pastoral de madera en mano, comprometidos a declarar a cada suspiro que “los pobres son la prioridad de la Iglesia”.

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El buen Cardenal Carlo Caffara me dio razón no una sino mil veces después, ni siquiera un mes, cuando me preparaba para regresar a Bolonia a visitarlo el 18 Septiembre 2017, después de una larga conversación telefónica el 5 Septiembre; al día siguiente al final de la mañana, murió por un ataque al corazón.

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Estaría tentado en decir: mejor así. Muchas otras cosas le fueron evitadasa él como a otros, incluyendo este desfile irreverente durante el cual Donatella Versace, ya un monstruo desfigurado por el abuso de la cirugía plástica, ante la damisela sacrílega del Cardenal Gianfranco Ravasi aparece verdaderamente como un auténtico monumento a la virilidad masculina.

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«Que nadie os engañe de ninguna manera. Primero tiene que venir la apostasía y manifestarse el Hombre impío, el Hijo de perdición, el Adversario que se eleva sobre todo lo que que lleva el nombre de Dios o es objeto de culto, hasta el extremo de sentarse él mismo en el Santuario de Dios y proclamar que él mismo es Dios. ¿No os acordáis que ya os dije esto cuando estuve entre vosotros? Vosotros sabéis qué es lo que ahora le retiene, para que se manifieste en su momento oportuno.Porque el ministerio de la impiedad ya está actuando. Tan sólo con que sea quitado de en medio el que ahora le retiene, entonces se manifestará el Impío, a quien el Señor destruirá con el soplo de su boca, y aniquilará con la Manifestación de su Venida. La venida del Impío estará señalada por el influjo de Satanás, con toda clase de milagros, señales, prodigios engañosos, y todo tipo de maldades que seducirán a los que se han de condenar por no haber aceptado el amor de la verdad que les hubiera salvado. Por eso Dios les envía un poder seductor que les hace creer en la mentira, para que sean condenados todos cuantos no creyeron en la verdad y prefirieron la iniquidad» [II Ts 2, 3-12|.

 

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La Isla de Patmos, 11 Mayo 2018

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PARA ABRIR EL VIDEO CLIKAR SOBRE LA IMAGEN  

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FEDERICO FELLINI, EN SU PELÍCULA DE 1972 “ROMA“, HABÍA LLEGADO MUCHO ANTES

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In verity I tell you: in front of that lady of Cardinal Gianfranco Ravasi, the italian stylist Donatella Versace is an authentic monument for male virility

– Sorrowful Mysteries of the Church –

IN VERITY I TELL YOU: IN FRONT OF THAT LADY OF CARDINAL GIANFRANCO RAVASI, THE ITALIAN STYLIST DONATELLA VERSACE IS AN AUTHENTIC MONUMENT FOR MALE VIRILITY

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One could attempt a defense by stating that even heterosexuals are narcissists, vain and exhibitionists like Cardinal Gianfranco Ravasi. It is true, but as any specialist in psychological science can explain, it is two completely different ways of manifesting narcissism, vanity and exhibitionism. It is in fact from the different ways of manifesting these three attributes that the personality of the homosexual and that of the heterosexual is recognized more than ever.

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Author
Ariel S. Levi di Gualdo

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for much less, Jesus Christ lashed the merchants in the inner courtyard of the Temple of Jerusalem. What would have happened if he had seen the actresses of ancient Judaea dressed with the insignia of the High Priest?

First of all a premise: if tomorrow the Ecclesiastical Authority addresses to me only one warning, I must remember that, to do so legitimately and in conformity with canon law, I must first declare the full legitimacy and opportunity of the action of Cardinal Gianfranco Ravasi, that at the exhibition The celestial bodies: fashion and Catholic imagination [cf. HERE, HERE], held in New York, allowed the display of sacred vestments taken from the historic sacristies of the Vatican City and belonged and worn by the  Supreme Pontiffs. The symbols of our faith are thus finished mixed on a catwalk of half-naked women.

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It is certainly not my intention to refuse any warning from the legitimate ecclesiastical authority, to whom, before receiving the Sacrament of the Order, I freely promised a filial and devoted obedience. However, since the object of my criticism is the public behavior of a Cardinal, it is good to clarify that I can be warned, and later also condemned, only after the Ecclesiastical Authority has first declared legitimate and in conformity with the dignity and sacredness of the Holy Roman Church the act of Cardinal Gianfranco Ravasi, whom I criticized with a hardness proportionate to the action he performed. Otherwise, any provision against me will fall into that invalidity that would render it void, since it does not respect the provisions of the ecclesiastical laws [can. 1339-1340, can. 1341-1353, can. 1720-1728].

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the stylist Donatella Versace poses next to the tiara of the Blessed Pontius IX

Let’s start with a fact: Cardinal Gianfranco Ravasi is moved by a homosexual psychology. This does not mean ― it is clear ― that he has ever practiced homosexuality, no one can say this, because he alone can know him only in his conscience. Cardinal Gianfranco Ravasi belongs to the category of repressed homosexuals, those who have become accustomed to venting the impulses of their libido in another way. In fact, an ecclesiastical animated by a structurally homosexual psychology will sooner or later end up desecrating the faith itself, especially after the rise of the hierarchy, ending up falling into that delirium of omnipotence that leads him to think of being an untouchable to whom everything is allowed. And, in the psychology of the ecclesiastical homosexual, more or less repressed according to the different cases, the three elements that emerge are narcissism, vanity and ostentatious and unbridled exhibitionism.

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fashion show

Let’s start with a fact: Cardinal Gianfranco Ravasi is moved by a homosexual psychology. This does not mean ― it is clear ― that he has ever practiced homosexuality, no one can say this, because he alone can know him only in his conscience. Cardinal Gianfranco Ravasi belongs to the category of repressed homosexuals, those who have become accustomed to venting the impulses of their libido in another way. In fact, an ecclesiastical animated by a structurally homosexual psychology will sooner or later end up desecrating the faith itself, especially after the rise of the hierarchy, ending up falling into that delirium of omnipotence that leads him to think of being an untouchable to whom everything is allowed . And, in the psychology of the ecclesiastical homosexual, more or less repressed according to the different cases, the three elements that emerge are narcissism, vanity and ostentatious and unbridled exhibitionism.

“holy” representation

Question: who, among our Ecclesiastical Authorities, before an independent team of specialists in clinical psychology, would be sure to affirm with full scientific certainty that Gianfranco Ravasi is not narcissistic, is not vain and is not an exhibitionist?

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Today the cleaning of the archives of the episcopal palaces, of those of the apostolic nunciatures and of the Holy See itself is very fashionable. Therefore, if in Milan they did not clean the archiepiscopal archive, there should always be a dossier in which the then archbishop, Cardinal Carlo Maria Martini, blocked the episcopal promotion of Gianfranco Ravasi, face already known to the general public for his presence in television. Another veto to this episcopal promotion was given by another Cardinal, the Cardinal Attilio Nicora, who was a companion in the seminary of Gianfranco Ravasi, ordained priest in 1966. Subsequently, a third Cardinal, the successor of Carlo Maria Martini on the Chair of Saint Ambrose, the Cardinal Dionigi Tettamanzi, has blocked for the second time this episcopal promotion [see the chronicle never denied HERE and HERE].

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show of the grotesque

The Cardinal Carlo Maria Martini, whose theology and ecclesiology can be widely discussed, was nevertheless a deeply virile man. So much so that in this figure, undoubtedly beautiful and hieratic, the human structure of the virile man was represented on which, therefore, the Jesuit, the priest and the bishop had been built. And saying “no” to the hypothesis that Gianfranco Ravasi was promoted to the bishop, Cardinal Carlo Maria Martini knew very well all the reasons that in the ecclesiastical world are never deepened too much. However, the fact remains that three cardinals, two of whom bishops of the then Ambrosian priest Gianfranco Ravasi and a third his former seminary companion, strongly opposed his episcopal promotion, blocking him twice. And of all this ― if some documents have not disappeared ― there remain trace both in the archives of the Archiepiscopal Curia of Milan and in that of the Congregation for Bishops.

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fashion show

The Cardinal Gianfranco Ravasi embodies that devastating homosexualism now widespread as an epidemic within the Church, which reaches its peak with the inevitable desecration; a desecration that has reached the point of extracting from the monumental sacristy of the Vatican City the sacred vestments belonging to the various Venerable Pontiffs, to bring them as choreographic accessories to an offensive parade, among young half-naked girls wearing the symbols of the sacred episcopal order.

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the crown of thorns of Jesus Christ reduced to a necklace under the head of an androgynous figure

The sacred vestments are part of what are known as “external accidents” and are called sacred because they are used for the celebration of the Sacred Mystery of the Eucharistic Sacrifice. These vestments, as Cardinal Gianfranco Ravasi should know, have been blessed with the appropriate blessings provided for by the blessing ritual. Every time they were worn, a prayer was recited on each piece. Just as I do today when I get dressed for Holy Mass, mentally reciting the prayer for each piece worn. Completely clothed with sacred garments, I recite the act of contrition, so that, although I am imperfect, sinner and unworthy of the Sacred Priestly Order received, I may celebrate the Eucharistic Sacrifice of Holy Mass in communion with the universal Church for edification and the salvation of the People of God.

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Who like me ― rightly never elected bishop and never created cardinal ―, lives the mysteries of faith in the sacred respect of their divine substance and also of those external events that contribute as such to the substance itself, including the sacred vestments, in what way accept these “bullshit” by cardinal Gianfranco Ravasi?

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Cardinal Timothy Dolan, did not raise any question, for the simple fact that he was also present, and posed smiling in photos with Donatella Versace

Why, the Cardinal Timothy Dolan, Metropolitan Archbishop of New York, in whose canonical jurisdiction this irreverent parade took place, did he not raise his voice to express disagreement and indignation, promptly sending a note of protest to the Holy See? But for the simple fact that he himself was present, and because he himself expressed himself ironically, as an eighteenth-century Irish drunk who had come to the New World to escape a penal colony. Jokingly, the cardinal replied to the journalists that the episcopal miter worn by the beautiful girl was hers and that he himself had lent it to the girl: 

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“I gave the girl the episcopal miter, she gave it back to me this morning … she was very kind, my auxiliary bishops made fun of this story, but I told them:” Hey, you guys should not complain because in exchange for my courtesy, the singer has offered to make some confirmations “» [see the statements reported, HERE].

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For years and years I have spoken in vain and written of the great scourge of homosexualism within our Catholic clergy. In one of our private speeches, shortly before his death, Cardinal Carlo Caffarra told me:

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«… this great wound has now assumed in the Church those which are in all respects the signs of a true epidemic».

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I answered these words saying:

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«Father Cardinal, as I have written several times: the problem is now dramatic and out of control: these subjects have created a powerful lobby capable of putting their men at the top of the Church, to determine ecclesiastical positions and careers. Today, from homosexual priests of the past, we have come to have homosexual bishops, because those who in the late sixties and early seventies were directing the pious gay brotherhood in the seminaries, today they have become bishops and, as soon as they reach this delicate role, they assume as collaborators similar subjects, and soon after, these subjects, we find them to manage the dioceses inside the episcopal palaces, in the apostolic nunciatures and in the dicasteries themselves of the Holy See.

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the exhibition and its various organizers

This powerful and unstoppable lobby, today more than ever, has proliferated the worst of these elements, placing them in the special affairs section of the Secretariat of State or taking them to the Pontifical Council for the new evangelization; and all this is due to what I defined in 2011 as a «universal gay flood unstoppable within the Church».

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In March 2013, however, the wind has changed, these subjects have abandoned the gold, silver and the solemn vestments from evening to morning, to cover themselves with the poor and poverty, but continuing as before and worse before, making great careers and entering into delicate positions, even if on them have been collected dossier containing news to say the least disturbing for each candidate for the episcopal dignity. And all those who yesterday had been excluded from the Episcopal elections especially for serious moral reasons, today are becoming bishops one after another; and all today carry the iron cross to the neck and the wooden pastoral stick in their hands, declaring on every occasion that «the poor are the Church’s priority».

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At those words, the good cardinal Carlo Caffarra gave me reason a thousand times, then, not even a month later, while I was preparing to return to Bologna on September 18, 2017 to visit him again, after having had a long conversation with him on September 5, the next day, late morning, he was hit by a heart attack and returned to the Father’s House.

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I would almost be tempted to say: better this way. Many other things have been spared, to him as to others, including this desecrating spectacle during which Donatella Versace, now rendered a monster disfigured by excessive abuse of plastic surgery, in front of Cardinal Gianfranco Ravasi, appears as an authentic monument to male virility.

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«Don’t let anyone deceive you in any way, for that day will not come until the rebellion occurs and the man of lawlessness is revealed, the man doomed to destruction. He will oppose and will exalt himself over everything that is called God or is worshiped, so that he sets himself up in God’s temple, proclaiming himself to be God. Don’t you remember that when I was with you I used to tell you these things? And now you know what is holding him back, so that he may be revealed at the proper time. For the secret power of lawlessness is already at work; but the one who now holds it back will continue to do so till he is taken out of the way. And then the lawless one will be revealed, whom the Lord Jesus will overthrow with the breath of his mouth and destroy by the splendor of his coming. The coming of the lawless one will be in accordance with how Satan works. He will use all sorts of displays of power through signs and wonders that serve the lie, and all the ways that wickedness deceives those who are perishing. They perish because they refused to love the truth and so be saved. For this reason God sends thema powerful delusion so that they will believe the lie and so that all will be condemned who have not believed the truth but have delighted in wickedness» [Saint Paul, II Thessalonians 2, 3-12].

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L’Isola di Patmos, 11 maggio 2018

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FEDERICO FELLINI IN HIS “ROMA” FILM (YEAR 1972), WAS ARRIVED VERY BEFORE THEM

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In verità vi dico: davanti a quella donzella sacrilega del Cardinale Gianfranco Ravasi la stilista Donatella Versace è un autentico monumento alla virilità maschile

— Misteri dolorosi della Chiesa —

IN VERITÀ VI DICO: DAVANTI A QUELLA DONZELLA SACRILEGA DEL CARDINALE GIANFRANCO RAVASI LA STILISTA DONATELLA VERSACE FIGURA COME UN AUTENTICO MONUMENTO ALLA VIRILITÀ MASCHILE 

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Si potrebbe tentare una difesa affermando che anche gli eterosessuali sono narcisisti, vanitosi ed esibizionisti come lo è il Cardinale Gianfranco Ravasi. È vero, ma come qualsiasi specialista in scienze psicologiche può spiegare si tratta di due modi completamente diversi di manifestare il narcisismo, la vanità e l’esibizionismo. È infatti proprio dai modi differenti di manifestare questi tre attributi che si riconosce più che mai la personalità dell’omosessuale e quella dell’eterosessuale.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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PDF  articolo formato stampa

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per molto meno, Gesù Cristo prese a frustate i mercanti nel cortile interno del Tempio di Gerusalemme. Cosa sarebbe accaduto se avesse visto le attricette dell’antica Giudea vestite con le insegne del Sommo Sacerdote?

Anzitutto una premessa: se l’Autorità Ecclesiastica mi rendesse oggetto anche di un flebile ammonimento, desidero ricordare che per farlo in modo legittimo e conforme alle leggi canoniche deve prima dichiarare la piena legittimità e opportunità dell’agire del Cardinale Gianfranco Ravasi, che alla mostra «Heavenly Bodies: Fashion and the Catholic Imagination» [cf. QUI, QUI], svoltasi a New York, ha esposto dei paramenti sacri presi dalle sacrestie storiche della Città del Vaticano ed appartenuti e indossati dai Sommi Pontefici; paramenti finiti mescolati su una passerella di donne che hanno sfilato mezze nude con delle mitrie episcopali in testa e con dei simboli da sempre preziosi alla fede cattolica, posti in rilievo sulle parti più inopportune dei loro corpi, più nudi che vestiti.

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la stilista Donatella Versace posa accanto alla tiara del Beato Pontefice Pio IX

Non è certo mia intenzione rigettare eventuali ammonimenti della legittima Autorità Ecclesiastica, alla quale prima di ricevere il Sacramento dell’Ordine Sacro ho promesso liberamente in età più che matura filiale e devota obbedienza. Però, siccome l’oggetto della mia critica è il pubblico comportamento di un Cardinale, è bene chiarire che io posso essere ammonito, ed in seguito persino condannato, solo dopo che l’Autorità Ecclesiastica avrà prima dichiarato legittimo e conforme alla migliore tutela della dignità e della sacralità di Santa Romana Chiesa l’agire del Cardinale Gianfranco Ravasi, dimostrando e motivando che a cadere in errore sono stato invece io per averlo criticato con una durezza proporzionata a ciò che di grave ha fatto lui. Se prima non sarà chiarito questo, ogni ammonimento ― peggio qualsiasi eventuale censura ― ricadrebbe sotto quella invalidità che la renderebbe nulla, poiché non conforme a quanto disposto dalle leggi ecclesiastiche [can. 1339-1340, can. 1341-1353, can. 1720-1728].

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sfilata …

Partiamo da un fatto: il Cardinale Gianfranco Ravasi si palesa mosso da una psicologia omosessuale. Ciò non vuol dire ― sia chiaro ― che egli abbia mai praticata l’omosessualità, cosa questa che non possiamo sapere, tanto meno affermare, perché questo in coscienza può saperlo soltanto lui. A maggior ragione egli appartiene alla categoria degli omosessuali tutto sommato peggiori: gli omosessuali repressi, quelli che si sono abituati a sfogare gli impulsi della propria libido in altro modo, ed in modo anche parecchio peggiore. Infatti, un ecclesiastico animato da una psicologia strutturalmente omosessuale, prima o poi finirà per dissacrare la fede stessa, specie dopo essersi arrampicato in alto sulla scala gerarchica ed essere infine caduto in quel delirio di onnipotenza che lo porta a pensare di essere un intoccabile al quale tutto è concesso. E, nella psicologia dell’omosessuale ecclesiastico, più o meno represso secondo i diversi casi, i tre elementi che emergono sono il narcisismo, la vanità e l’esibizionismo ostentato e sfrenato.

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Domanda: chi, tra le nostre Autorità Ecclesiastiche, dinanzi ad una equipe indipendente di specialisti in psicologia clinica, se la sentirebbe di affermare in piena e scientifica certezza che Gianfranco Ravasi non è narcisista, non è vanitoso e non è esibizionista?

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pia rappresentazione …

Si potrebbe tentare una difesa affermando che anche gli eterosessuali sono narcisisti, vanitosi ed esibizionisti come lo è il Cardinale Gianfranco Ravasi. È vero, ma come qualsiasi specialista in scienze psicologiche può spiegare si tratta di due modi completamente diversi di manifestare il narcisismo, la vanità e l’esibizionismo. È infatti proprio dai modi differenti di manifestare questi tre attributi che si riconosce più che mai la personalità dell’omosessuale e quella dell’eterosessuale.

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Oggi va molto di moda la pulizia degli archivi vescovili, di quelli delle nunziature apostoliche e di quelli della stessa Santa Sede. Pertanto, se anche a Milano non avessero fatta nel mentre pulizia allo scopo di ripulire una delle tante “fedine penali”, dovrebbe esistere sempre un fascicolo nel quale l’allora Arcivescovo in cattedra, il Cardinale Carlo Maria Martini, bloccò la nomina episcopale di Gianfranco Ravasi, volto già noto al grande pubblico per le sue rubriche televisive. A porre un deciso veto su questa nomina episcopale fu anche un altro membro del Collegio Cardinalizio, il Cardinale Attilio Nicora, che di Gianfranco Ravasi, ordinato sacerdote nel 1966, fu compagno presso il Seminario di Venegono, di cui in seguito divenne rettore nel 1970. Successivamente, un terzo Cardinale, il successore di Carlo Maria Martini sulla Cattedra di Sant’Ambrogio, Dionigi Tettamanzi, bloccò per la seconda volta questa nomina [vedere la mai smentita cronistoria QUI e QUI].

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la saga del grottesco …

Faccio notare che il Cardinale Carlo Maria Martini, sulla cui teologia ed ecclesiologia si può anche molto discutere, era però un uomo profondamente virile. Tanto che in questa figura, indubbiamente bella e ieratica, per prima cosa si coglieva per l’appunto l’uomo virile, poi, dalla struttura umana dell’uomo virile, si coglieva quella del religioso gesuita, del presbitero e del vescovo che vi era stato costruito sopra. E dicendo di “no” all’ipotesi che Gianfranco Ravasi fosse promosso vescovo, il Cardinale Carlo Maria Martini sapeva bene il fatto suo, anche se per pudore ecclesiastico, le motivazioni di certi “no”, non sono mai approfondite più di tanto. Resta comunque il fatto che tre Cardinali, due dei quali Ordinari Diocesani dell’allora Presbìtero ambrosiano Gianfranco Ravasi, ed un terzo che fu suo ex compagno di seminario, si opposero in modo deciso alla sua nomina episcopale, bloccandola per ben due volte. E di tutto questo ― salvo sparizioni di documenti ―, resterebbe traccia sia presso l’archivio della Curia Arcivescovile di Milano, sia presso quello della Congregazione per i Vescovi.

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sfilata …

Il Cardinale Gianfranco Ravasi incarna quel devastante omosessualismo diffuso ormai come un’ epidemia all’interno della Chiesa, la quale tocca infine l’apice con quella inevitabile dissacrazione giunta sino al punto di tirar fuori dalle sacrestie monumentali della Città del Vaticano i paramenti sacri appartenuti a diversi Venerati Sommi Pontefici, per portarli come accessori coreografici ad una offensiva sfilata, in mezzo alle fotomodelle scosciate con i seni al vento che indossano le insegne episcopali.

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la corona di spine di Nostro Signore Gesù Cristo ridotta a collanina sotto la testa di una figura androgina

I Paramenti sacri rientrano in quelli che sono i cosiddetti “accidenti esterni” e si chiamano sacri perché usati per la celebrazione del Sacro Mistero del Sacrificio Eucaristico. Questi paramenti, come il Cardinale Gianfranco Ravasi dovrebbe sapere, sono stati benedetti con le apposite benedizioni previste dal Benedizionale. Ogni volta che erano indossati, su ciascun pezzo era recitata un’apposita preghiera. Proprio come tutt’oggi fa il sottoscritto quando si para per la Santa Messa, recitando mentalmente la prevista preghiera per ogni singolo pezzo indossato: l’amitto, il camice, il cingolo, la stola, la pianeta o la casula. Una volta completamente rivestito dei sacri paramenti, recito infine l’atto di contrizione, affinché per quanto imperfetto, peccatore e come tutti indegno del Sacro Ordine Sacerdotale ricevuto, possa celebrare il Sacrificio Eucaristico della Santa Messa in comunione con la Chiesa Universale per la edificazione e la salvezza del Popolo di Dio.

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Chi come me ― giustamente mai eletto vescovo e mai creato cardinale, vive i misteri della fede nel sacro rispetto della loro divina sostanza ed anche di quegli accidenti esterni che concorrono come tali alla sostanza stessa, inclusi i paramenti sacri, in che modo può recepire certe trovate dissacranti del Cardinale Gianfranco Ravasi?

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il Cardinale Timothy Dolan, non ha sollevato alcuna questione, per il semplice fatto che era anch’egli presente, ed ha posato sorridente in foto con la stilista Donatella Versace

Come mai, il Cardinale Timothy Dolan, Arcivescovo metropolita di New York, nella cui giurisdizione canonica si è svolta questa dissacrante parata, non ha fatto sentire la propria voce esprimendo disaccordo e indignazione, inviando prontamente una nota di protesta alla Santa Sede? Ma per il semplice fatto che non solo lui stesso era presente, ma si è persino cimentato in ironie degne di un ubriacone irlandese del XVIII secolo emigrato nelle Nuove Americhe per sfuggire da una colonia penale, affermando che alla maggiorata scosciata la mitria che potava sulla testa l’aveva prestata proprio lui:

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«La mitria gliel’ho prestata io, me l’ha restituita stamattina … È stata molto gentile. I miei vescovi ausiliari mi stavano prendendo in giro per questa storia ma io ho detto loro: “Ehi, voi ragazzi non dovreste lamentarvi perché la cantante in cambio della cortesia si è offerta volontaria per fare alcune conferme”» [vedere le dichiarazioni riportate, QUI].

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Sono anni e anni che inutilmente parlo, scrivo e pubblico sulla gran piaga dell’omosessualismo all’interno della Chiesa, che com’ebbe a dirmi durante uno dei nostri ultimi colloqui il Cardinale Carlo Caffarra poco prima della sua morte:

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«… questa piaga ha ormai assunto quelli che in tutto e per tutto sono i connotati di una vera e propria epidemia».

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Dal canto mio replicai:

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«Padre Cardinale, come più volte ho scritto: il problema è ormai drammatico e purtroppo fuori controllo. Questi soggetti, all’interno della Chiesa, hanno creata una nutrita e potente lobby in grado di piazzare i propri uomini, di determinare nomine e carriere ecclesiastiche. Ma soprattutto, dai preti omosessuali, ormai siamo passati ai vescovi omosessuali. Perché quelli che tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta capeggiavano all’interno dei seminari la pia confraternita gay, oggi ce li ritroviamo vescovi. E appena giungono in ruoli chiave, per prima cosa si circondano di soggetti affini. E poco dopo, questi soggetti, ce li ritroviamo a gestire le diocesi dentro le curie vescovili, ce li ritroviamo nelle nunziature apostoliche e nei dicasteri stessi della Santa Sede.

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la mostra ed i suoi vari organizzatori

Questa potente e inarrestabile lobby, oggi seguita più che mai incontrastata a far proliferare i peggiori di questi elementi, piazzandoli presso la sezione affari speciali della Segreteria di Stato od assumendoli presso il Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione, il tutto a causa di quello che nel lontano 2011 ebbi a definire come una sorta di inarrestabile «nubifrocio universale scoppiato all’interno della Chiesa».

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Appena nel marzo del 2013 è però mutato vento, questi soggetti hanno abbandonato i merletti, gli ori, gli argenti ed i paramenti ricchi e solenni dalla sera alla mattina, per rivestirsi di poveri e di povertà, ma proseguendo come prima e peggio di prima, facendo folgoranti carriere e acquistando delicati posti chiave, pure se su di loro sono stati raccolti nel corso degli anni fascicoli contenenti notizie a dir poco inquietanti per qualsiasi presbìtero da promuovere alla dignità episcopale. E tutti coloro che ieri, dalla nomina episcopale, erano stati esclusi soprattutto per gravi motivi morali, oggi stanno diventando vescovi uno appresso all’altro; tutti con la crocetta di vile ferro al collo ed il pastorale di legno in mano, impegnati a dichiarare ad ogni piè sospinto che «i poveri sono la priorità della Chiesa».

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Il buon Cardinale Carlo Caffarra mi dette ragione non una ma mille volte, dopo di ché, neppure un mese dopo, mentre mi stavo accingendo a ritornare a Bologna il 18 settembre 2017 per visitarlo di nuovo, dopo avere avuto con lui un lungo colloquio telefonico il 5 settembre, il giorno dopo, nella tarda mattina, fu stroncato da un infarto.

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Sarei quasi tentato di dire: meglio così. Molte altre cose gli sono state risparmiate, a lui come ad altri, compresa questa sfilata dissacrante durante la quale Donatella Versace, resa ormai un mostro sfigurato per l’eccessivo abuso di interventi di chirurgia plastica, dinanzi a quella donzella sacrilega del Cardinale Gianfranco Ravasi figura veramente come un autentico monumento alla virilità maschile.

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«Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia e dovrà esser rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose?  E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Solo allora sarà rivelato l’empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all’apparire della sua venuta, l’iniquo, la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri,  e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una potenza d’inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità» [II Ts 2, 3-12|.

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L’Isola di Patmos, 11 maggio 2018

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FEDERICO FELLINI, NEL SUO FILM ROMA DEL 1972, ERA ARRIVATO MOLTO PRIMA …

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«Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» [Gv 8,32],
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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

L’insensata proposta dei Vescovi tedeschi e il motivo per il quale solo il cattolico può essere ammesso alla Comunione Eucaristica

— Attualità ecclesiale —

L’INSENSATA PROPOSTA DEI VESCOVI TEDESCHI E IL MOTIVO PER IL QUALE SOLO IL CATTOLICO PUÒ ESSERE AMMESSO ALLA COMUNIONE EUCARISTICA

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L’ipotesi avanzata da taluni vescovi, che il Romano Pontefice possa concedere il permesso a ministri cattolici di dare ordinariamente, seppure solo in alcuni casi di matrimoni misti, la Comunione alla parte non-cattolica o che vada incontro al desiderio di detta parte di ricevere la Comunione, è un’idea incompatibile con quanto l’Apostolo afferma circa le disposizioni interiori, morali e canoniche necessarie per ricevere convenientemente e fruttuosamente la Comunione eucaristica.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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 PDF  articolo formato stampa

 

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San Tommaso d’Aquino in preda a un inizio di colpo apoplettico

Pochi giorni fa è stata diffusa una lettera del Cardinale Willem Jacobus Eijk, Arcivescovo di Utrecht, il quale spiega per quale motivo la Chiesa cattolica non può ammettere i protestanti alla Comunione eucaristica [testo della lettera QUI]. In questo articolo riprendo e sviluppo le considerazioni del Cardinale Primate d’Olanda a partire dalle condizioni per accedere alla Comunione eucaristica.

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La Comunione eucaristica è l’espressione massima e l’alimento principale della comunione con la Chiesa del fedele cattolico, che è quel cristiano che, fra tutti gli altri fratelli separati, fruisce della piena e perfetta comunione con la Chiesa cattolica. L’accesso alla Comunione eucaristica suppone pertanto che il fedele abbia compiuto un sufficiente cammino spirituale di preparazione e di iniziazione al mistero eucaristico, che è quello grazie al quale il credente giunge alla più intima comunione con Dio e con la Chiesa possibile su questa terra. Chi desidera accostarsi alla Comunione eucaristica, deve pertanto avere una retta fede nel Mistero eucaristico; bisogna che sappia con certezza Chi è Colui che desidera ricevere nel suo cuore. Deve credere che sotto le specie del pane e del vino si nascondono le sostanze del corpo e del sangue del Signore, grazie alle parole della consacrazione. Il corpo e il sangue del Signore vengono offerti dal sacerdote nella Santa Messa, in sacrificio di impetrazione, di soddisfazione e di lode al Padre a nome della Chiesa.

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Il credente deve sapere che nell’Eucaristia c’è il Cristo totale, Capo e corpo mistico, che è la sua Sposa la Chiesa. Nell’Eucaristia, pertanto è contenuto tutto il bene della Chiesa, la sorgente e il culmine della sua vita, la pregustazione e il pegno della gloria futura. Nell’Eucaristia sono contenuti tutti i misteri della salvezza, che occorre pertanto conoscere ed accettare con fede, per poter raggiungere la salvezza. Certamente, è talmente alto questo mistero e noi siamo così in basso su questa terra, che chi di noi può dire di sentirsi veramente degno di ricevere l’Eucaristia? Per questo, prima di riceverla, proclamiamo umilmente, ma fiduciosamente: «O Signore, io non sono degno che Tu entri nella mia casa; ma di una sola parola e io sarò salvato». Così l’Eucaristia è sì una medicina, ma è soprattutto quello che Sant’Agostino chiamava il «cibo dei forti». Infatti essa non solo presuppone che il fedele sia già in grazia di Dio, ma gli dona un supplemento di forza nella lotta contro il peccato e contro Satana,  sotto il patrocinio di Maria, tipo e modello della Chiesa, Donna messianica e apocalittica che a fianco di suo Figlio, sostiene la Chiesa nella lotta contro il male lungo il corso della storia, fino alla vittoria finale della Parusia.

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Anche se non possiamo mai sentirci pienamente degni di mangiare il corpo del Signore, tuttavia San Paolo distingue un modo degno da un modo indegno di assumere l’Eucaristia [cf. I Cor 11,28], dipendente dalla nostra volontà e che quindi è in nostro potere.

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San Tommaso d’Aquino, il Dottore Eucaristico, nel commentare gli avvertimenti che San Paolo dà nel succitato passo a coloro che desiderano accostarsi alla Comunione, ci fa presente la deprecabile eventualità di uno, che assuma indegnamente il corpo del Signore. Tale eventualità si verificherebbe nel caso di uno che assumesse l’Eucaristia «non con mente devota» [1]. Questa «mancanza di devozione» [indevotio] ― spiega l’Aquinate [2] ― «può essere peccato mortale, accompagnato dal disprezzo del sacramento». Questa indegnità ― nota San Tommaso [3] ― può nascere dalla «volontà di accedere all’Eucaristia in stato di peccato mortale, che tuttavia non viene tolto dalla penitenza. Ciò avviene grazie alla contrizione, che toglie la volontà di peccare, col proposito di confessarsi e di soddisfare, quanto alla remissione della colpa ed alla pena eterna» [4]. Così facendo, il penitente ottiene la «riconciliazione con i membri della Chiesa» [5]. Ma se il peccatore non accetta il sacramento della penitenza e non si riconcilia con la Chiesa cattolica, che senso ha il suo accedere alla Comunione?

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San Tommaso precisa: «Questo sacramento è un nutrimento spirituale. Ma non viene nutrito se non chi è vivo. E quindi esso non compete ai peccatori, che non vivono in grazia» [6]. Ora, se ― come ritiene Lutero ― il sacramento della penitenza e le opere di penitenza non sono necessarie per essere in grazia, ma basta la fede di essere salvato, per cui il peccatore resta nel peccato oppure ottiene la grazia pur restando in peccato [simul iustus et peccator], con quale fronte oserà accostarsi alla Comunione non pentito e non purificato? Inoltre, osserva l’Aquinate, «l’Eucaristia è il sacramento della carità e dell’unità ecclesiale. Ma dato che il peccatore è privo della carità ed è meritatamente separato dall’unità ecclesiale, se accede al sacramento, commette una falsità nel significare una carità che non possiede» [7]. L’eretico e lo scismatico si sono o vivono separati dalla unità, effetto della carità che edifica e santifica la Chiesa.

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I PROTESTANTI SI SONO RESI INDEGNI DELL’EUCARISTIA

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visita del Sommo Pontefice Francesco I presso la Comunità Anglicana di Roma nel febbraio 2017

Occorre ricordare che la ribellione di Lutero e Calvino alla Chiesa ha distrutto alcuni punti fondamentali di dottrina e di prassi, come l’Eucaristia ed altre verità di fede strettamente connesse, quali il primato del Romano Pontefice e il Magistero della Chiesa, il sacerdozio, la Santa Messa, la Sacra Tradizione, il sacramento della penitenza, le buone opere, la vincibilità della concupiscenza, i meriti, il valore della ragione naturale e il libero arbitrio.

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Come dunque si vorrebbe, da alcune parti, che questi fratelli separati possano desiderare sinceramente, legittimamente e con cognizione di causa la Comunione o ad essi si possa dare la Comunione, quando non credono affatto o falsamente in ciò che essa significa ed implica, e la loro separazione da Roma fu motivata proprio dal rifiuto di quei punti? Certo, alcuni di essi possono essere in buona fede: ma allora non spetterà al ministro cattolico chiarire con loro le cose?

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Certo, nel mentre il sacerdote distribuisce la Comunione nel corso della Messa, può capitare, senza che lui lo sappia, che si presenti un non-cattolico o un falso cattolico. Sarà in buona fede? Sarà in cattiva fede? Che ne può sapere il ministro? Dunque può e deve dare tranquillamente la Comunione, affidandoli alla misericordia di Dio. Risponderà il fedele davanti a Dio, se è in colpa. A meno che non si presenti uno del quale il sacerdote sa con certezza che disprezza l’Eucaristia; nel qual caso deve avere la pronta saggezza di allontanarlo con ogni circospezione, fermezza e carità. Ma casi del genere sono estremamente improbabili, soprattutto se il sacerdote è noto per il suo zelo per l’Eucaristia.

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PRUDENZA PASTORALE DELLA CHIESA

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il Sommo Pontefice Francesco I riceve la “benedizione” dal Primate della Comunità Anglicana. La invalidità delle ordinazioni episcopali e quindi sacerdotali amministrate dagli anglicani, fu dichiarata dal Sommo Pontefice Leone XIII con la sua Lettera apostolica Apostolicae Curae del 1896 in quanto privi della successione apostolica [testo QUI, trad. italiana QUI]. Che benedizione sta dunque ricevendo, il Romano Pontefice?

I sacramenti sono mezzi di salvezza nei quali opera congiuntamente l’uomo con Dio, quindi nella loro amministrazione la Chiesa tiene sempre conto di questi due fattori; ma nell’evolversi dei tempi e nella varietà delle situazioni umane, essa, con prudenza pastorale, a seconda di come ritiene meglio, ora promuove maggiormente l’azione umana, ora dà maggior spazio alla grazia divina. Essa sa infatti che, se nell’opera della salvezza è ordinariamente necessario il concorso delle forze umane dell’intelletto della volontà, a volte, come per esempio nei bambini o nei neonati o negli embrioni, esse non sono ancora in grado di esercitarsi. Siccome però Dio vuole la salvezza di tutti e la salvezza è dono della grazia, Dio dispone che questi piccoli esseri, ancora incapaci di esercitare la ragione, si salvino per il solo intervento della grazia. Dato però che la grazia agisce ordinariamente attraverso il sacramento, da qui è sorto l’uso  della Chiesa di battezzare i bambini.

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Per quanto riguarda l’accesso alla Comunione, agli inizi del cristianesimo esisteva una lunga iniziazione, che si concludeva con la dichiarazione del catechista che il catecumeno, ordinariamente adulto, era ormai idoneo ad accedere alla Comunione. Ma San Pio X, come è noto, volle che fin da fanciulli i fedeli, seppur sempre preparati, potessero essere ammessi al divino banchetto.

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DIGNITÀ ALTISSIMA DELLA COMUNIONE EUCARISTICA

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il Sommo Pontefice Francesco I a Lund, in Svezia, durante i festeggiamenti dei Cinquecento anni della cosiddetta Riforma di Lutero, accanto ad una Arcivescova rivestita dei paramenti sacerdotali. Questa Signora, favorevole ad aborto, eutanasia, sperimentazioni genetiche e matrimonio tra coppie dello stesso sesso, è lesbica dichiarata, sostenitrice dell’omosessualismo e della teoria del gender, nonché unita in matrimonio con un’altra donna

La Comunione è il vertice e la fonte dell’intera vita della Chiesa e del cattolico, fons et culmen totius vitae christianae, per cui chi non fruisce di questa pienezza di comunione, chiaramente si trova in una condizione interiore che è sproporzionata alla recezione del sacramento, ossia manca della recettività o disponibilità sufficiente o adatta per poter assimilare convenientemente un cibo soprannaturale, qual è il pane eucaristico, il quale, pertanto, se è assunto con buone disposizioni,  nutre divinamente l’anima; ma se mancano tali disposizioni, e il soggetto osa comunque assumerlo,  «mangia e beve»  ― come dice San Paolo ― «la propria condanna» [I Cor 11, 29]. Infatti, la comunione con la Chiesa va soggetta a diversi gradi di perfezione, i quali sono tanto più elevati, quanto maggiori e più numerosi sono gli elementi di Chiesa che sono fatti propri dal cristiano. In tal modo si va da un grado minimo, al di sotto del quale manca qualunque comunione visibile, come per esempio la condizione dei non-cristiani o degli atei, a un grado massimo, di una comunione totale, piena e perfetta, che è quello del cattolico. In mezzo ci sono molti gradi intermedi di comunione imperfetta e parziale, più o meno vicina alla piena comunione, che sono i gradi nei quali si trovano i fratelli separati.

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Prendiamo due esempi di questi gradi inferiori di comunione: i dissidenti orientali, i cosiddetti “ortodossi”, e i luterani. Se volessimo paragonare la Chiesa Romana o la Sede di Pietro al centro di un cerchio ideale, che rappresenta la superficie o ambito o spazio dell’essere cristiano, ovvero la superficie o area della Chiesa visibile, potremmo dire che attorno al centro si danno cerchi concentrici, che gradatamente, partendo da un cerchio di minima estensione, si succedono sempre più ampli fino a costituire la circonferenza massima, la più lontana dal centro, circonferenza che rappresenta la pienezza di tutto quanto la Chiesa contiene nella sua perfezione e la costituisce nella sua essenza salda, immutabile ed incorruttibile, voluta e istituita da Cristo, quell’essenza e quell’integrità, che mai, sotto la guida di Pietro e dello Spirito Santo, potrà essere ingannata, alterata, inquinata, diminuita, disintegrata, decurtata, falsificata o distrutta dalle potenze dell’inferno. La detta circonferenza rappresenta l’estremo confine della Chiesa visibile. Chi si trovasse al di là di questo confine, sarebbe del tutto fuori della Chiesa visibile, benché, se è onesto e in buona fede, potrebbe appartenere alla Chiesa invisibile o ― il che è lo stesso ― appartenere invisibilmente e inconsciamente alla Chiesa visibile. Oppure l’immagine dei cerchi concentrici potrebbe rappresentare i diversi gradi di appartenenza alla Chiesa in un altro modo. Il cerchio minimo, il più vicino al centro, cioè alla Sede di Pietro,  rappresenterebbe la pienezza della comunione ecclesiale. Ma, mano a mano che passiamo a cerchi sempre più ampli e lontani dal centro, avremmo i gradi decrescenti di minor appartenenza, propri dei fratelli separati, fino a che, giunti al cerchio massimo, avremmo il minimo di appartenenza, oltre il quale si è fuori della Chiesa visibile.

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LA COMUNIONE EUCARISTICA È CONNESSA ALLA PIENA APPARTENENZA ALLA CHIESA

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il Sommo Pontefice Francesco I riceve in udienza un gruppo di cosiddette vescovesse luterane della Finlandia

Ora, per la stessa volontà del Signore, la piena appartenenza alla Chiesa richiede una serie di requisiti e condizioni, mancando anche uno solo di essi, nessuno può essere in piena comunione, per cui non può salvarsi, per il fatto che la salvezza si ottiene accogliendo tutte le verità di fede e tutti i mezzi della salvezza, così come un organismo vivente vive solo se in esso funzionano tutti gli organi vitali. Il che non impedisce alla misericordia divina di salvare anche coloro che, senza colpa, si trovassero non dico ad un gradino inferiore di comunione, ma addirittura totalmente al di fuori dei confini visibili della Chiesa, fino a coloro che, come dice il Concilio [Lumen Gentium, 16], non fossero giunti neppure ad una conoscenza esplicita di Dio, il che, però non significa ateismo, come erroneamente crede Rahner, giacché che senso ha che un ateo coscientemente e volontariamente  desideri il paradiso, il quale consiste nella visione di Dio?

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Come è già stato fatto notare, la questione della Comunione ai protestanti è ben diversa da quella agli ortodossi, benché nell’uno e nell’altro caso manchi nel fratello separato quella piena comunione con la Chiesa sotto la guida del Romano Pontefice, garante dell’unità della Chiesa, comunione che dà senso, autenticità e significato alla Comunione eucaristica, la quale a sua volta edifica questa unità, Comunione eucaristica che è quindi precisamente il sacramento dell’unità e della carità verso Dio e con i fratelli, come abbiamo visto in San Tommaso d’Aquino. Se dunque le Chiese ortodosse hanno conservato l’elemento dell’apostolicità e quindi i Sette Sacramenti, le comunità protestanti purtroppo lo hanno respinto e perduto e con ciò stesso hanno abolito i sacramenti o quanto meno, benché continuino a parlare di «sacramento» per il Battesimo e per la Cena, ne hanno perduto il senso autentico, giacché per loro il sacramento non produce la grazia che è significata dalla formula sacramentale, ma questa semplicemente si limita ad annunciare che la grazia è già presente.

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Altri sacramenti, come il Battesimo e il Matrimonio, non rappresentano l’unità ecclesiale tanto quanto la rappresenta l’Eucaristia. Per questo, la Chiesa non ha difficoltà a riconoscere il Battesimo dato dai protestanti o dagli ortodossi. Così pure esiste una normativa liturgico-canonica relativa ai matrimoni misti. L’attività ecumenica abbraccia vasti settori della dogmatica e della morale, che sono valori cristiani comuni a cattolici e non-cattolici. Ma la persistente presenza di eresie nelle dottrine dei fratelli separati impedisce tuttora la communicatio in sacris, la quale richiede la totale integrità della fede, perché per sua essenza, rappresenta la massima espressione di tale integrità, mancando la quale, la detta communicatio sarebbe finzione, profanazione e sacrilegio.

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Gli stessi fratelli separati seri e onesti sono i primi a rifiutare una sceneggiata del genere, giacché essi sono nati e si sono caratterizzati proprio col rifiuto netto e cosciente di quelle condizioni che rendono possibile la pratica della Comunione eucaristica. Per questo, il Diritto Canonico, nel momento in cui concede in casi speciali la Comunione al non-cattolico «ben disposto», viene a dire che può riceverla solo in quanto, almeno implicitamente o nell’intenzione, vuol farsi cattolico.

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UNA PROPOSTA INSENSATA

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il Sommo Pontefice Francesco I, in visita alla Comunità Evangelica di Roma nel novembre 2015, offre in dono un calice

L’ipotesi avanzata da taluni vescovi, che il Papa possa concedere il permesso a ministri cattolici di dare ordinariamente, seppure solo in alcuni casi di matrimoni misti, la Comunione alla parte non-cattolica o che vada incontro al desiderio di detta parte di ricevere la Comunione, è un’idea incompatibile con quanto l’Apostolo afferma circa le disposizioni interiori, morali e canoniche necessarie per ricevere in modo conveniente e fruttuoso la Comunione eucaristica. Il Papa, in quanto Pastore universale della Chiesa, ha certamente facoltà di legiferare e disciplinare l’esercizio del culto eucaristico, ma sempre nell’ambito dell’intangibile diritto divino. Cristo, infatti, dando a Pietro facoltà di «legare e di sciogliere» [Mt 16, 19], gli ha concesso un’ampia discrezionalità e un notevole potere legislativo circa le modalità particolari e mutevoli dell’amministrazione del Sacramento dell’Eucaristia, secondo circostanze di tempo, di luogo e di persone; ma naturalmente sempre nell’ambito della natura, delle condizioni, delle finalità e dei prerequisiti essenziali ed immutabili della amministrazione e recezione dello stesso Sacramento. Il che vuol dire che il Papa esercita questo potere come Pastore universale della Chiesa cattolica e quindi nei confronti di tutti e dei soli fedeli cattolici. Non esercita ovviamente un potere giurisdizionale nei confronti di quei cristiani che, per vari motivi, in varie forme o gradi, si sono sottratti nel passato a tale guida pastorale e giuridica o a causa di scismi o di eresie, anche se ciò non gli impedisce di fissare accordi ecumenici o stabilire speciali convenzioni con i fratelli separati per particolari circostanze, opportunità o necessità pastorali, e proprio anche nell’ambito della amministrazione dell’Eucaristia, senza che tuttavia ciò debba recare scandalo o pregiudizio al rispetto del Sacramento ed alla fede che ne giustifica l’esistenza.

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I motivi che vengono avanzati per la concessione della Comunione ai non-cattolici sono del tutto inconsistenti e pretestuosi. Si vorrebbe infatti invocare la pratica ecclesiale della misericordia e dell’accoglienza. Ora, bisogna dire che queste virtù, pur tanto preziose in se stesse, nella fattispecie non c’entrano per nulla ed occorre invece invocare le virtù del discernimento e della prudenza, che rendono capace il ministro di verificare se il richiedente è «ben disposto», come recita il Diritto Canonico [Can. 844 § 3].

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 LE DISPOSIZIONI DEL DIRITTO CANONICO

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il Sommo Pontefice Francesco I in visita alla Comunità Luterana di Torino nel giugno 2015, riceve in omaggio una copia della Bibbia tradotta da Martin Lutero

Al riguardo, il Diritto Canonico afferma che «i ministri cattolici amministrano lecitamente il sacramento dell’Eucaristia ai membri delle Chiese Orientali, qualora lo richiedano spontaneamente e siano ben disposti; ciò vale anche per i membri delle altre Chiese, le quali, a giudizio della Sede Apostolica, relativamente al sacramento in questione, si trovino nella stessa condizione delle predette Chiese orientali» [Can. 844 § 3]. Recita ancora il Diritto: «Se vi sia pericolo di morte o qualora, a giudizio del Vescovo diocesano o della Conferenza Episcopale, urgesse altra grave necessità, i ministri cattolici amministrano lecitamente il sacramento dell’Eucaristia anche agli altri cristiani, che non hanno piena comunione con la Chiesa cattolica, i quali non possano accedere al ministro della propria comunità e lo chiedano spontaneamente, purché manifestino circa questo sacramento la fede cattolica e siano ben  disposti» [Can. 844 § 4].

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Che vuol dire «ben disposti»? Equivale a dire, come avverte San Paolo, «in modo degno» [I Cor 11, 27]. Il che vuol dire, anzitutto saper «riconoscere il corpo del Signore» [I Cor 11,29], ossia saper vedere, con l’occhio della fede, che l’ostia consacrata sembra pane, ma non lo è: è il corpo del Signore. Ma inoltre Paolo dice che, occorre «aver esaminato se stesso» [v. 28], ossia aver verificato di essere in grazia di Dio, convinto di tutte le verità di fede, esente da colpa, animato da carità, in comunione con la Chiesa e col Papa, desideroso della santità. Ora, non tutte queste condizioni sono presenti nei fratelli separati.

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Dai Canoni del Diritto risulta però che l’esclusione dei fratelli separati dalla Comunione non è a intendersi in modo assoluto. In casi particolarmente gravi ed urgenti, se sono ben disposti, ossia se accettano la fede cattolica, possono ricevere la Comunione. Ma ciò equivale a dire: “se si convertono al cattolicesimo”,  giacché è chiaro che se invece conservano coscientemente e volontariamente gli elementi ereticali o scismatici che sono incompatibili con la Comunione, che richiede una piena comunione con la Chiesa cattolica, non possono essere in comunione con Dio.

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UN ATTEGGIAMENTO INOPPORTUNO

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… ma ecco infine realizzarsi il vero, grande e autentico MISTERO DELLA FEDE: la rituale pedicure alle Signore alla Missa in Coena Domini, quando la Chiesa universale fa memoria durante la Settimana Santa della istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio ministeriale

Il desiderio di ricevere l’Eucaristia da parte dei protestanti, non pare dettato da motivazioni autenticamente spirituali, perché altrimenti accompagnerebbero tale desiderio con quello di convertirsi al cattolicesimo, nel quale soltanto l’Eucaristia può essere compresa e vissuta; ma sembra dettato dal bisogno puramente psicologico di non sentirsi discriminati dai cattolici, da un bisogno puramente emotivo di condivisione e di sentirsi accolti, e da un’idea confusionaria e facilona dell’ecumenismo, che vien fatto consistere solo in un piacevole godersi la vita  assieme, a prescindere da questioni attinenti il vero e il falso nella fede.

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La dinamica cristiana di un matrimonio misto certamente è delicata e richiede un’attenzione pastorale prudente e comprensiva. La coppia è chiamata a vivere intensamente i valori comuni cristiani che sono rimasti nei cattolici e nei protestanti. Come prescrive il Concilio Vaticano II nella Unitatis redintegratio [n.3], la parte cattolica svolge una funzione di guida verso la pienezza dell’appartenenza alla Chiesa cattolica, nel pieno rispetto dei valori del protestantesimo. La Comunione eucaristica è una meta per la parte protestante, ma che dev’essere raggiunta assolvendo alle condizioni necessarie, che richiedono il pieno ingresso nella Chiesa Cattolica.

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Varazze, 10 maggio 2018

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NOTE

[1] Commento a I Cor 11, 27-29, in Super Epistulas Pauli Lectura, vol.I, lectio VII, n.689, Marietti, Torino 1953, p.363.

[2] Ibid.

[3] Ibid.

[4] Ibid., pp.363-364.

[5] Ibid.

[6] Ibid.

[7] Ibid.

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Lettera del Cardinale Primate d’Olanda sulla questione della Comunione Eucaristica ai protestanti proposta dalla maggioranza dei Vescovi della Germania

— Defensor fidei —

LETTERA DEL CARDINALE PRIMATE D’OLANDA SULLA QUESTIONE DELLA COMUNIONE EUCARISTICA AI PROTESTANTI PROPOSTA DALLA MAGGIORANZA DEI VESCOVI DELLA GERMANIA

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La Conferenza Episcopale Tedesca ha votato a grande maggioranza a favore di direttive che implicano che un protestante sposato con un cattolico possa ricevere l’Eucaristia dopo aver soddisfatto una serie di condizioni: deve aver effettuato un esame di coscienza con un sacerdote o con un’altra persona con responsabilità pastorali; deve aver affermato la fede della Chiesa Cattolica, oltre ad aver «desiderato di porre fine a gravi disagi spirituali e deve avere un «desiderio di soddisfare la brama per l’Eucaristia».

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Sette membri della Conferenza Episcopale Tedesca hanno votato contro queste direttive e hanno chiesto il parere di alcuni dicasteri della Curia Romana. La conseguenza è stata l’invio di una delegazione della Conferenza Episcopale Tedesca che ha parlato a Roma con una delegazione della Curia Romana, fra cui il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

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La risposta del Santo Padre, data tramite il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede alla delegazione della Conferenza Tedesca, e cioè che la Conferenza deve discutere di nuovo le bozze e tentare di raggiungere un risultato unanime, se possibile, è completamente incomprensibile. La dottrina e la prassi della Chiesa riguardanti l’amministrare il Sacramento dell’Eucaristia ai protestanti sono perfettamente chiare. Il Codice di Diritto Canonico dice al riguardo:

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«Se vi sia pericolo di morte o qualora, a giudizio del Vescovo diocesano o della Conferenza Episcopale, urgesse altra grave necessità, i ministri cattolici amministrano lecitamente i medesimi sacramenti anche agli altri cristiani che non hanno piena comunione con la Chiesa cattolica, i quali non possano accedere al ministro della propria comunità e li chiedano spontaneamente, purché manifestino, circa questi sacramenti, la fede cattolica e siano ben disposti» [Codice di Diritto Canonico, can. 844 § 4; Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1400].

Questo concerne quindi solo casi di emergenza, soprattutto in cui si tratta di un pericolo di morte.

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L’inter-comunione è, in linea di principio, soltanto possibile con i cristiani ortodossi, perché le Chiese Orientali, pur non essendo in piena comunione con la Chiesa Cattolica, hanno veri Sacramenti e soprattutto, in forza della successione apostolica, un sacerdozio e un’Eucaristia validi [Catechismo della Chiesa Catolica n. 1400, Codice di Diritto Canonico, can. 844, § 3]. La loro fede nel sacerdozio, nell’Eucaristia e pure nel Sacramento di Penitenza è uguale a quella della Chiesa Cattolica.

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Invece, i protestanti non condividono la fede nel Sacerdozio e nella Eucaristia. La maggior parte dei protestanti tedeschi è luterana. I luterani credono nella consustanziazione, che implica la convinzione che, oltre al Corpo e il Sangue di Cristo siano realmente presenti anche il pane e il vino, nel momento in cui vengono ricevuti. Se qualcuno riceve il pane e il vino senza credere questo, il Corpo e il Sangue di Cristo non sono realmente presenti. Fuori da questo momento della ricezione, vi rimangono solo il pane e il vino e non sono presenti il corpo e il sangue di Cristo.

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Ovviamente, la dottrina luterana della consustanziazione differisce essenzialmente da quella cattolica della transustanziazione che implica la fede che ciò che si riceve sotto le figure del pane e del vino, anche se amministrato a qualcuno che non crede nella transustanziazione e anche fuori del momento dell’amministrazione, rimanga il Corpo e il Sangue di Cristo perché non ci sono più le sostanze del pane e del vino.

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Per queste differenze essenziali non si deve amministrare la comunione a un protestante, anche se sposato con un cattolico, perché il protestante non vive in piena comunione con la Chiesa Cattolica e, perciò, non condivide esplicitamente la fede nell’Eucaristia. Le differenze fra la fede nella consustanziazione e quella della transustanziazione sono tanto grandi che si deve davvero esigere che qualcuno che desidera ricevere la comunione entri esplicitamente e formalmente nella piena comunione con la Chiesa Cattolica (tranne in un caso di pericolo di morte) e confermi in questo modo esplicito di accettare la fede della Chiesa Cattolica, inclusa quella nell’Eucaristia. Un esame di coscienza con un sacerdote o con un’altra persona con responsabilità pastorali non dà delle garanzie sufficienti che la persona coinvolta accetti davvero la fede della Chiesa. Accettandola, la persona può fare comunque solo una cosa: entrare nella piena comunione con la Chiesa Cattolica.

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Le bozze per le direttive della Conferenza Episcopale tedesca suggeriscono che si tratti soltanto di alcuni casi di protestanti, sposati con cattolici, che vorrebbero ricevere la comunione, facendo uso di queste direttive. Tuttavia, l’esperienza insegna che nella prassi questi numeri in genere diventeranno sempre più grandi. Protestanti, anche sposati con cattolici, vedendo altri protestanti sposati con un cattolico ricevere la comunione, penseranno di poter fare lo stesso. E alla fine anche protestanti non sposati con cattolici vorranno riceverla. L’esperienza generale con questo tipo di regolazioni dimostra che rapidamente i criteri si estenderanno. 

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Ora il Santo Padre ha fatto sapere alla delegazione della Conferenza Episcopale tedesca che deve discutere di nuovo le bozze per un documento pastorale sull’amministrazione della Comunione, tra le altre cose, e tentare di trovare unanimità. Unanimità su che cosa? Supposto che tutti i membri della Conferenza Episcopale tedesca, dopo averle discusse di nuovo, decidano all’unanimità che si può amministrare la comunione ai protestanti sposati con un cattolico (il che non succederà), questa ― pur  essendo contraria a ciò che dicono al riguardo il Codice di Diritto Canonico e il Catechismo della Chiesa Cattolica ― diventerà la nuova prassi nella Chiesa Cattolica in Germania? La prassi della Chiesa Cattolica, fondata sulla sua fede, non è determinata e non si cambia statisticamente quando una maggioranza di una Conferenza Episcopale vota in favore di questo, nemmeno facendolo all’unanimità.

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Ciò che dicono il Codice di Diritto Canonico e il Catechismo della Chiesa Cattolica sarebbero dovuti essere la reazione del Santo Padre che, come successore di San Pietro, è «il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli» [cf. Lumen Gentium n. 23]. Il Santo Padre avrebbe dovuto dare alla delegazione della Conferenza Episcopale tedesca delle direttive chiare, basate sulla retta dottrina e sulla prassi della Chiesa. Così avrebbe dovuto rispondere anche alla donna luterana che gli chiese il 15 novembre 2015 se potesse ricevere la comunione insieme al suo sposo cattolico: questo non è accettabile, invece di suggerire che lei poteva ricevere la comunione in base al suo essere battezzata, conformemente alla sua coscienza. Rinunciando a fare chiarezza, si crea una grande confusione fra i fedeli e si mette in pericolo l’unità della Chiesa. Lo fanno anche i cardinali che propongono pubblicamente di benedire relazioni omosessuali, il che è diametralmente opposto alla dottrina della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura, e cioè che il matrimonio, secondo l’ordine della creazione, esiste solo fra un uomo e una donna.

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Osservando che i vescovi e soprattutto il successore di Pietro mancano nel mantenere e trasmettere fedelmente e in unità il deposito della fede, contenuto nella sacra Tradizione e nella Sacra Scrittura, non posso non pensare all’articolo 675 del Catechismo della Chiesa Cattolica:

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«Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il “mistero di iniquità” sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità».

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X Willem Jacobus Card. Eijk

 Arcivescovo Metropolita di Utrecht

    Primate della Chiesa d’Olanda

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