"Viens derrière moi, Je vous ferai pêcheurs d'hommes ". Et aussitôt ils quittèrent leurs filets et le suivirent

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

« VENEZ DERRIÈRE MOI, JE VOUS FAIS DEVENIR PÊCHEURS D'HOMMES". E SUBITO LASCIARONO LE RETI E LO SEGUIRONO

Come potremmo descrivere il regno di Dio proclamato da Gesù? La principale difficulté est que Jésus n’a jamais utilisé de définition pour en parler.. Il a plutôt utilisé des paraboles et des images, paragonandolo, per rimanere sempre al Vangelo di Marco che leggeremo quest’anno, a un seminatore che getta del seme in terra o a un granello di senapa e così via.

.

 

 

 

 

 

 

 

.

Article au format PDF imprimable

.https://youtu.be/4fP7neCJapw.

.

Lasciato alle spalle il passaggio nel Vangelo secondo Giovanni di domenica scorsa, il lezionario ci riporta a Marco, OMS, terminata l’esposizione della trilogia comune ai sinottici (Jean le Baptiste, Battesimo di Gesù e la prova nel deserto), riprende la narrazione dandoci un’indicazione temporale importante che apprendiamo dall’attacco del Vangelo di oggi.

«Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, il a vu Simone et Andrea, frère de Simone, comme ils jettent leurs filets dans la mer; c'étaient en fait des pêcheurs. Jésus leur a dit: «Venite dietro a me, Je vous ferai pêcheurs d'hommes ". Et aussitôt ils quittèrent leurs filets et le suivirent. Aller un peu plus loin, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui. (Mc 1,14-20).

Scrive Marco che Gesù inizia a proclamare il regno di Dio «dopo che Giovanni fu arrestato» (Mc 1,14 cf.. aussi Mont 4,12). Molti immaginano che la cronologia dell’inizio del ministero pubblico di Gesù si sia svolta così: de Galilée, regione da cui viene, Gesù scende al Giordano per essere battezzato. Subito dopo, tenté, rimane quaranta giorni nel deserto per poi ritornare in Galilea. Ma deve invece essere passato più tempo e il punto di svolta, ciò che fa tornare Gesù in Galilea è rappresentato dall’arresto del Battista. Forse è in quel preciso momento che per Gesù giunge la consapevolezza che è ora di assumersi le sue responsabilità.

La voce che gridava nel deserto, poiché è stata messa a tacere, passa ora alla Parola che annuncia il regno. Questa interpretazione aiuta noi credenti nei momenti di difficoltà e sofferenza, come deve essere stato per Gesù l’arresto di Giovanni e ci fa proferire: bisogna fare qualcosa. È in tali situazioni che, se non vai tu, nessuno può andare al posto tuo. La chiamata che ora Gesù farà dei discepoli, l’ha vissuta in prima persona lui; il regno che annuncia l’ha visto arrivare per primo lui, anche nella dolorosa notizia che Giovanni non può più parlare.

Ma eccoci a una questione teologica importante. Come potremmo descrivere il regno di Dio proclamato da Gesù? La principale difficulté est que Jésus n’a jamais utilisé de définition pour en parler.. Il a plutôt utilisé des paraboles et des images, paragonandolo, per rimanere sempre al Vangelo di Marco che leggeremo quest’anno, a un seminatore che getta del seme in terra (Mc 4,26) o a un granello di senapa (Mc 4,31) etc. Il regno, dit Jésus, non solo è vicino, ma bisogna accoglierlo come fanno i bambini (Mc 10,15) ed entrarci dentro, anche se non è così facile, soprattutto se si hanno molte ricchezze (Mc 10,23). È presente, cioè qui o vicino, ma è anche futuro, come quello in cui Gesù berrà, avec nous, il vino nuovo, altro vino rispetto a quello dell’ultima sua cena (Mc 14,25). La teologia cristiana ha elaborato a proposito una formula, quella del «già» ma «non ancora», quasi un ossimoro che dice però come il regno possiamo già ereditarlo e viverci, anche se non è ancora compiuto. Non è ancora esteso a tutti gli uomini, maman, come insegna il documento del Concilio Vaticano II La lumière «è già presente in mistero» con la Chiesa (cf.. n. 5).

En ce sens Gesù si distingue dalle due principali concezioni sul regno che circolavano nel giudaismo del suo tempo. Egli infatti non ha inventato questa idea, già nota all’Antico Testamento (cf. 1Cr 28,5) e non l’ha applicata né a quel modo di pensare che vedeva il regno come una realtà «nazionalistica», tutta presente, da attuare magari ad ogni costo, né tanto meno alla concezione opposta, di tipo apocalittico, che vedeva il regno possibile solo come una realizzazione futura che negava il presente. Se vogliamo rintracciare questi due estremi nella storia dell’umanità, potremmo dire che il materialismo si è spesso fondato sull’illusione che tutto potesse risolversi qui, à présent; ma dall’altra parte è facile riconoscere in certi movimenti spiritualistici la svalutano del presente, considerato in modo negativo.

Gesù ha invece usato l’idea di regno per dire anzitutto che è arrivato e quindi ci si può entrare. Ma per farlo bisogna cambiare mentalità, modo di ragionare e pensare; per dirlo con le parole di Gesù: «convertirsi» (Mc 1,15). « Que ton règne!», prega ancora la Chiesa, aujourd'hui, après deux mille ans. Il regno c’è già, ma deve ancora essere accolto come un dono e trovato lì anche dove si fatica a vederlo.

In conformità dunque con l’attesa escatologica giudaica, ma con la differenza decisiva però che non più di attesa si tratta, il Regno di Dio è l’effetto dell’evento messianico annunciato da Gesù e in lui presente. Il pieno dispiegamento della sua sovranità redentrice non si è ancora realizzato, ma il tempo della fine è giunto e dunque per parlare in modo appropriato non c’è più sviluppo storico, bensì ricapitolazione di tutta la storia chiamata a giudizio.

«È questo il contenuto dell’«evangelo di Dio» quale ci è sinteticamente riferito dalla tradizione più antica raccolta da Marco: «Il tempo è compiuto ed è vicino il Regno di Dio: convertitevi, e credete nell’evangelo» (1,14-15). Ciò che qui viene annunciata è l’ora (la kairós) del compimento definitivo, l’avvento promesso del Regno, la grande svolta del mondo inaugurata da Gesù di cui sta per compiersi l’ultimo atto con la sua parusia. Evidentemente qui non può essere il Gesù storico a parlare, bensì il Risorto predicato dall’evangelista, che segna con precisione il tempo della fine tra resurrezione e parusia, come un evento unico in cui tutto il tempo, tutta la storia si condensa, ivi compresa la vita stessa di Gesù. Per questo ora, a differenza dell’escatologia giudaica, occorre «fede nell’evangelo», cioè in Gesù Cristo, nel Messia, che è presente come colui che è venuto e che viene. Tutto dunque in forza di questa fede precipita e si concentra nel presente, non vi è più oscillazione tra passato e futuro, tradizione e attesa; ma solo l’ora attuale in cui il passato è redento e il futuro è solo desiderio del compimento: «Vieni Signore Gesù» (App 22, 20).[1]

Il Vangelo prosegue descrivendo la fretta di Gesù di portare ad attuazione la sua parola sul regno, perché “il tempo è compiuto”. Il concetto emerge molto chiaramente nel Vangelo di Marco, dove abbonda l’avverbio euthus (εὐθὺς), «subito», ripetuto decine di volte. Tale sollecitudine trova una prima applicazione nella chiamata dei quattro discepoli (vv. 16-20) e nell’episodio dell’insegnamento nella sinagoga di Cafarnao, accompagnato dalla liberazione di un indemoniato (dimanche prochain). Jésus, con gesti e con parole, mostra davvero come il regno è arrivato, e lo dice: ai discepoli (appena chiamati a sé) e alla sua gente (nella sinagoga). Ecco che allora il regno può essere solo uno spazio in cui Dio è presente, Colombe, précisément, solo lui regna. Le altre potenze non possono fare altro che riconoscerne l’autorità («Io so chi tu sei: il santo di Dio» di Mc 1,24) e sottomettersi.

I padri della Chiesa erano colpiti dal modo in cui Gesù chiamò i primi a seguirlo: rilevano che erano persone semplici e illetterate (Origène), che probabilmente avranno obiettato con la loro inadeguatezza (Eusebio); noi ci stupiamo anche del fatto che questi «subito» lascino le reti lo seguano (cf.. Mc 1,18), ma soprattutto per il fatto che ancora oggi, après tant d'années, Gesù ancora «passi accanto» (Mc 1,16) alle nostre situazioni, al nostro quotidiano, alle nostre reti, e ci inviti a seguirlo per stare con lui.

Ciascuno di noi viene chiamato lì dove si trova e ogni inizio ha sempre un prima che lo ha preparato su cui poi si innesta una novità, un cambiamento: come il seme che è stato seminato ha una forma diversa dalla pianta che poi germoglierà, così anche noi siamo presi dal Signore a partire dalle nostre storie e dal nostro oggi per far sviluppare quelle potenzialità di bene e di vita che sono racchiuse nel «piccolo seme» della nostra vita e che solo il Signore può dischiudere e trasformare con la forza e la fantasia del suo Spirito. A noi è chiesta l’attenzione alla sua voce che chiama, l’abbandono filiale e fiducioso alle sue parole, e la prontezza nel rispondere senza dilazioni nel tempo o attaccamenti al «già», a quel noto e conosciuto che ci rassicura ma anche rischia di bloccarci: «E subito lasciarono le reti e lo seguirono».

 

De l'Ermitage, 21 janvier 2024

 

REMARQUE

[1] Gaeta G., Le temps de la fin, N'importe quel, 2020

.

.

Grotte Saint-Ange à Ripe (Civitella del Tronto)

 

.

Visitez les pages de notre boutique de livres QUI et soutenez nos éditions en achetant et en distribuant nos livres.

.

______________________

Chers lecteurs,
ce magazine nécessite des frais de gestion auxquels nous avons toujours été confrontés uniquement avec vos offres gratuites. Ceux qui souhaitent soutenir notre travail apostolique peuvent nous envoyer leur contribution par le moyen pratique et sûr Pay Pal en cliquant ci-dessous:

Ou si vous préférez, vous pouvez utiliser notre
compte bancaire au nom de:
Éditions L'île de Patmos

n Agence. 59 De Rome
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Pour les virements bancaires internationaux:
Code SWIFT:
BAPPIT21D21

Si vous effectuez un virement bancaire, envoyez un mail à la rédaction, la banque ne fournit pas votre e-mail et nous ne pourrons pas vous envoyer de message de remerciement:
isoladipatmos@gmail.com

Nous vous remercions du soutien que vous souhaitez offrir à notre service apostolique.

Les Pères Patmos Island

.

.

.

.

.

Gabriele Giordano M. Scardocci
De l'ordre des prédicateurs
Presbytère et théologien

( Cliquez sur le nom pour lire tous ses articles )
Père Gabriel

Une maîtrise charitable: "Rabbin, où vous vivez? Viens et vois"

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

UNE MAÎTRISE CHARITABLE: "RABBIN, OÙ VOUS VIVEZ? VENITE E VEDETE»

Scriveva Isaac Newton «Più imparo, plus je réalise combien de choses je ne sais pas". Aujourd'hui, il semble que beaucoup ne veulent pas apprendre même s'ils sont certains et sûrs de savoir.

 

Auteur:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

.

Article au format PDF imprimable

 

 

 

Chers lecteurs de l'île de Patmos,

uno degli atteggiamenti più naturali che tutti abbiamo è quello della ricerca. Quando siamo bambini ci domandiamo spesso il perché delle cose. Crescendo troviamo poi delle risposte, e continuamente rinnoviamo questa nostra ricerca del senso della verità nelle cose. Scriveva Isaac Newton «Più imparo, plus je réalise combien de choses je ne sais pas".

Dans l'Évangile d'aujourd'hui Gesù ci mostra due uomini in ricerca e la via da seguire per trovare la risposta definitiva. La risposta è molto bella: andare con Lui e vedere dove dimora il Signore.

«Gesù allora si voltò e, osservando che [Giovanni e due discepoli] lo seguivano, il leur dit:: “Che cosa cercate?”. Ils lui ont répondu: “Rabbì — che, tradotto, significa maestro — , où vous vivez?”. Il leur a dit: “Venite e vedrete”».

Troviamo dunque una scena molto bella. Giovanni, Andrea e un altro discepolo di cui non sappiamo il nome si muovono seguendo Gesù. Lui se ne accorge e li interroga. Rispondono e così lo riconoscono come maestro e vogliono sapere dove abita. Ed è allora che Gesù li invita a venire e vedere.

È un dialogo vivido e forte fra i tre e Gesù. Il Signore con il suo sguardo umano divino coglie un cuore e una mente pronti a cercare la casa di Dio. Pronti a cercare quel luogo dove possono trovare la verità che schiude il loro mistero e quello di Dio.

Gesù è davvero maestro per loro perché in quanto figlio di Dio può condurre Andrea, Giovanni e l’altro discepolo ad una maestria, ad una conoscenza che diventa amore. Una conoscenza di Dio che gli permette di amare in modo concreto e pratico sé stessi e gli altri.

In questo incontro ci siamo anche noi. Potremmo dire che siamo simboleggiati da quel discepolo innominato. Quello senza nome è colui che ascolta e chiede a Gesù qual è la sua dimora oggi nel 2024.

Il Signore chiede a tutti noi di cercarlo innanzitutto nella Chiesa, jea sua dimora principale, perché in essa si vive e si celebra l’Eucarestia, cioè la presenza reale di Gesù in corpo, du sang, l'âme et la divinité. Se seguiamo e vediamo Gesù nella Chiesa che celebra l’Eucarestia, e dunque ci rende partecipi attivamente nell’Incontro con Lui, tutti possiamo crescere anche nell’imparare la comunione con il prossimo. pouquoi, en vigueur, la seconda dimora dove possiamo incontrare Gesù oggi, è proprio il nostro prossimo. Tutti noi infatti siamo tempio dello Spirito Santo e tempio dell’Eucarestia. Perciò impariamo a guardare nel prossimo sofferente e bisognoso, quello stesso Gesù che ci chiede aiuto.

Così dobbiamo innanzitutto imparare ad ascoltare la voce di Gesù che oggi domanda ai nostri cuori “Cosa cercate?”. Domandiamoci se i nostri desideri sono santi, giusti e buoni, e davvero sentiremo il Signore invitarci a camminare sui sentieri dell’Eternità.

Chiediamo al Signore il dono di una ricerca che ci porti alla vita autentica, la vita in Lui e nella sua Chiesa, per diventare ricercatori della Luce Eterna.

 

Santa Maria Novella à Florence, 14 janvier 2024

.

.

Abonnez-vous à notre chaîne Jordan du club théologique réalisé par le Père Gabriele en cliquant sur l'image

 

LES DERNIERS EPISODES SONT DISPONIBLES DANS L'ARCHIVE: QUI

.

Visitez les pages de notre boutique de livres QUI et soutenez nos éditions en achetant et en distribuant nos livres.

.

.

.

______________________

Chers lecteurs,
ce magazine nécessite des frais de gestion auxquels nous avons toujours été confrontés uniquement avec vos offres gratuites. Ceux qui souhaitent soutenir notre travail apostolique peuvent nous envoyer leur contribution par le moyen pratique et sûr Pay Pal en cliquant ci-dessous:

Ou si vous préférez, vous pouvez utiliser notre
compte bancaire au nom de:
Éditions L'île de Patmos

n Agence. 59 De Rome
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Pour les virements bancaires internationaux:
Code SWIFT:
BAPPIT21D21

Si vous effectuez un virement bancaire, envoyez un mail à la rédaction, la banque ne fournit pas votre e-mail et nous ne pourrons pas vous envoyer de message de remerciement:
isoladipatmos@gmail.com

Nous vous remercions du soutien que vous souhaitez offrir à notre service apostolique.

Les Pères Patmos Island

.

.

.

Le divin provocateur Jésus aux Apôtres: "Qu'est-ce que tu cherches??»

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

LE DIVIN PROVOTEUR JÉSUS AUX APÔTRES: "QU'EST-CE QUE TU CHERCHES?»

Questo primo incontro di Gesù coi suoi primi discepoli è un intreccio di sguardi e di testimonianze che convergono verso il Signore. Le profond mystère de sa personne commence à se révéler, ainsi que les noms des premiers followers. Tanto significativo dovette essere questo momento che ne conservarono anche l’orario: le quattro del pomeriggio, l’ora decima.

.

 

 

 

 

 

 

 

.

Article au format PDF imprimable

.https://youtu.be/4fP7neCJapw.

 

Nel Vangelo di questa II domenica del tempo ordinario Lisons: «In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, il a dit: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, il leur dit:: "Qu'est-ce que tu cherches??». Ils lui ont répondu: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, où vous vivez?». Il leur a dit: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro». (Gv 1,35-42).

La Chiesa ha compreso l’unità dei tre misteri che hanno attinenza con la rivelazione di Gesù, e li ha legati già nell’antica antifona dei Secondi Vespri del giorno dell’Epifania:

«Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo: oggi la stella ha guidato i magi al presepio, oggi l’acqua è cambiata in vino alle nozze, oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano per la nostra salvezza, alleluia».

Quest’anno il terzo mistero che attiene alla manifestazione di Gesù è annunciato sempre tramite il Vangelo secondo San Giovanni, ma invece che l’episodio di Cana, la liturgia propone quello della prima manifestazione di Gesù ai discepoli, a seguito della indicazione di Giovanni Battista che lo definisce come «Agnello di Dio».

L’episodio evangelico si colloca al terzo giorno della settimana inaugurale del ministero di Gesù, settimana che culminerà nella manifestazione della sua gloria a Cana davanti ai suoi discepoli che «credettero in lui» (Gv 2,11). Il testo offre la versione giovannea della chiamata dei primi discepoli narrata dalla tradizione sinottica, ma con differenze rimarchevoli. Giovanni presenta uno schema in cui è fondamentale la mediazione di un testimone che confessa la fede in Gesù e conduce altri all’incontro con lui: è così per Giovanni Battista nei riguardi di due suoi discepoli (1,35-39), per Andrea nei confronti di Simon Pietro (1,40-41), per Filippo che si rivolge a Natanaele. In particolare Giovanni Battista che, dopo una testimonianza negativa su di sé («Io non sono il Cristo») e una positiva su Gesù («Ecco l’Agnello di Dio»), rivela davanti a due suoi discepoli l’identità di colui di cui egli è stato il precursore e li conduce a farsi discepoli di Gesù. Colui che era stato inviato da Dio come testimone del Verbo «perché tutti credessero per mezzo di lui» (1,7) adempie così il suo mandato lasciando che i suoi discepoli diventino di Gesù, chiedendo che aderiscano a lui.

Che siamo di fronte alla manifestazione di un mistero è segnalato anche dallo “schema di rivelazione”, spesso usato dall’evangelista nella sua opera e che si può riassumere nelle tre fasi del vedere, dire e proferire l’avverbio: «Ecco». Il brano evangelico si apre, comme ça, con Giovanni che «fissa lo sguardo» (1,36) su Gesù e dice: «Ecco l’Agnello di Dio» e si chiude con Gesù che «fissando lo sguardo» (1,42) su Simon Pietro gli dice: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni, sarai chiamato Cefa – che significa Pietro». Ça parle de, dans les deux cas, di uno sguardo intenso, un vedere in profondità, un discernere l’identità di una persona. La vocazione non è solo una chiamata come nei sinottici, ma anche uno sguardo come qui in Giovanni. Lo sguardo, come e forse più della voce è comunicazione e rivelazione. In Giovanni Il verbo più neutro è scorgere, βλέπειν (Blepein). Lo troviamo per la scena iniziale del battesimo al Giordano. Giovanni Battista scorge Gesù che viene a lui e dice: «Ecco l’agnello di Dio». Ma si nota già in questo episodio un passaggio dallo scorgere al contemplare (Gv 1,32) e poi all’«ho visto» di Gv 1,34, come in Gv 14,9.

Alla forma verbale più completa arriviamo in Gv 14,9, dove il verbo «vede­re» verrà usato al perfetto: έώρακα (Eoraka). Applicato a Gesù, descrive ciò che lo sguardo attento e stupito ha scoperto in lui e di cui si conserva nella memoria la scoperta. Possiamo osservare che ogni volta che Giovanni usa questo verbo «ho visto» (e ne conservo la memoria) Gesù viene riconosciuto come il luogo santo dove Dio si manifesta, il tempio della presenza divina, la maison, ovvero la dimora in cui Dio stesso abita. In un tale contesto diventa chiaro il senso del versetto di Gv14,9: « Celui qui m'a vu a vu le Père ». Aver visto Gesù e conservarne la visione interiore nella memoria vuol dire riconoscere Gesù come il luogo di inabitazione del Padre, presente nel suo Figlio come in una dimora. À cause de ce, ritornando al brano evangelico di questa domenica, bisogna dire che in modo adeguato la versione rinnovata della Bibbia CEI del 2008 ha tradotto il v.38 con: «Rabbì dove dimori?» e non «dove abiti?» come era nella precedente versione, data la presenza del verbo μένεις (Menein) che riveste nel quarto Vangelo una importanza particolare. Il tema del dimorare corre, en fait, come un filo rosso attraverso tutto il quarto Vangelo, arricchendosi progressivamente. Allargando lo sguardo all’insieme del Vangelo e provando a tirare le fila del nostro discorso possiamo affermare che lo stesso evan­gelista in 1,14 ci invita a comprendere che nell’uomo Gesù — il Verbo fatto carne «pieno della grazia della verità» in cui i testimoni hanno «contemplato la gloria dell’unigenito» — c’era un mistero, «insondabilmente nascosto» ma che ci viene manifestato «simbolicamente» (Saint Maxime le Confesseur). È il mistero dell’«unigenito venuto da presso il Padre», che «è venuto a mettere la sua tenda in mezzo a noi». Così egli diventa la dimora del Padre (Gv 14,10), il nuovo tempio della presenza di Dio (Gv 2,21; cf.. Gv 4,20-24). Un bellissimo brano di san Massimo il Confessore, sep­pur difficile, dice l’essenziale:

«Il Signore […] è diventato precursore di se stesso; è diventato tipo e simbolo di se stesso. Simbolicamente fa conoscere se stesso attraverso se stes­so. Cioè conduce tutta la creazione, partendo da se stesso in quanto si manifesta, ma per condurla a se stesso in quanto è insondabilmente nascosto».

Forse più intellegibile e nello stesso tempo mirabile è questa frase di Guglielmo di Saint-Thierry, l’amico di San Bernardo, che interpretò in senso spirituale e trinitario la domanda dei primi discepoli:

"Maestro, où vous vivez? Vieni e vedi, disse Egli. Non credi che io sono nel Padre, e che il Padre è in me? Grazie a te, seigneur! […] Noi abbiamo trovato il tuo luogo. Il tuo luogo è il Padre; c'est toujours, il luogo del Padre sei tu. Tu sei dunque localizzato a partire da questo luogo. Ma questa localizzazione, che è la tua, […] è l’unità del Padre e del Figlio»[1].

Questo primo incontro di Gesù coi suoi primi discepoli è un intreccio di sguardi e di testimonianze che convergono verso il Signore. Le profond mystère de sa personne commence à se révéler, ainsi que les noms des premiers followers. Tanto significativo dovette essere questo momento che ne conservarono anche l’orario: le quattro del pomeriggio, l’ora decima. Così iniziamo a conoscere Andrea fratello di Simon Pietro, (1,42) che da Gesù riceve la vocazione a diventare «roccia» (questo significa «Cefa»), in mezzo ai suoi fratelli. Chi è l’altro discepolo che era insieme a Andrea? Possiamo ipotizzare che sia «il discepolo amato». Egli è colui che, presente alla croce di Gesù, vedendo Gesù morire come Agnello a cui non viene spezzato alcun osso (Gv 19,33.36) «testimonia perché voi crediate» (Gv 19,35), proprio come Giovanni Battista testimonia di Gesù, dopo averlo visto e indicato come Agnello di Dio perché tutti credano (Gv 1,34.36.37). Il parallelismo tra Gv 1,38 («Voltatosi Gesù e vedendo essi che lo seguivano dice loro») e Gv 21,20-21 («Voltatosi, Pietro vede il discepolo che Gesù amava che seguiva … e dice a Gesù») mostra che accanto a Pietro, agli inizi della sequela e dopo la Pasqua, c’è, con ogni probabilità, il discepolo amato che ha seguito l’Agnello con fedeltà fin dagli inizi. E Pietro, mentre viene costituito pastore delle pecore del Signore e invitato nuovamente a seguire Gesù come pecora egli stesso (cf.. Gv 10,4), riceve la rivelazione che la sequela dell’Agnello e il ministero pastorale trovano il loro esito nel dare la vita per le pecore, nel glorificare Dio con il martirio. Questa sarà la testimonianza di Pietro: nella morte di croce l’apostolo si troverà là dove è stato il suo Signore: «Se uno mi vuol servire mi segua e dove sono io, là sarà anche il mio servo» (Gv 12,26).

De l'Ermitage, 13 janvier 2024

 

REMARQUE

[1] GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, La contemplation de Dieu. L’oraison de Dom Guillaume, Paris, Éd. Du Cerf, 1959 (Col. Sources Chrétiennes, n.61), 124-125.

.

.

Grotte Saint-Ange à Ripe (Civitella del Tronto)

 

.

Visitez les pages de notre boutique de livres QUI et soutenez nos éditions en achetant et en distribuant nos livres.

.

______________________

Chers lecteurs,
ce magazine nécessite des frais de gestion auxquels nous avons toujours été confrontés uniquement avec vos offres gratuites. Ceux qui souhaitent soutenir notre travail apostolique peuvent nous envoyer leur contribution par le moyen pratique et sûr Pay Pal en cliquant ci-dessous:

Ou si vous préférez, vous pouvez utiliser notre
compte bancaire au nom de:
Éditions L'île de Patmos

n Agence. 59 De Rome
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Pour les virements bancaires internationaux:
Code SWIFT:
BAPPIT21D21

Si vous effectuez un virement bancaire, envoyez un mail à la rédaction, la banque ne fournit pas votre e-mail et nous ne pourrons pas vous envoyer de message de remerciement:
isoladipatmos@gmail.com

Nous vous remercions du soutien que vous souhaitez offrir à notre service apostolique.

Les Pères Patmos Island

.

.

.

.

.

Gabriele Giordano M. Scardocci
De l'ordre des prédicateurs
Presbytère et théologien

( Cliquez sur le nom pour lire tous ses articles )
Père Gabriel

Dans la seigneurie du Christ Roi de l'Univers, soyez de petits rois

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

DANS LA SEIGNEURIE DU CHRIST ROI DE L'UNIVERS POUR ÊTRE PETITS ROIS

Oscar Wilde a écrit: "L'égoïsme ne consiste pas à vivre comme on veut mais à exiger que les autres vivent comme bon nous semble"

 

Auteur:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

.

Article au format PDF imprimable

 

 

Chers lecteurs de l'île de Patmos,

L'année liturgique se termine, C'est notre dernier de l'année catholique. L'année liturgique se termine par une grande fête, celui de Jésus Christ qui est Roi de l'Univers.

Aujourd'hui, la monarchie ce n'est plus une forme de gouvernement généralement adoptée dans le monde entier, où la république est préférée. C'est pourquoi la figure du « roi » nous échappe, sinon peut-être pour le récent couronnement du roi Charles d'Angleterre. Jésus est le Roi de l'univers entier et de nos vies. Mais pas comme le roi d'Angleterre, de Suède ou de Belgique. Sa monarchie ne s'exerce pas dans un gouvernement politique. C'est une monarchie d'amour qui exprime son trône de gloire, son exposition de visibilité maximale dans la croix; aujourd'hui ce trône de gloire est réalisé pour nous, dans la compassion de Jésus. Nous l'avons lu au début de passage de l'Évangile d'aujourd'hui:

"Quand le Fils de l'homme viendra dans sa gloire [...] il s'assiéra sur le trône de sa gloire. Tous les peuples seront rassemblés devant lui. Il séparera les uns des autres, comment le berger sépare les brebis des chèvres, et il placera les brebis à sa droite et les chèvres à sa gauche. ».

Ici l'image du roi se conjugue avec celle du berger. En effet, le berger, il a également un rôle dirigeant dans le monde agricole. C'était un monde et une culture proches de l'imaginaire dans lequel Jésus parle. Voici donc ceux de droite qui sont bénis par le Père. Ceux de gauche ne le font pas. En effet, le bienheureux du Père, ce sont ceux qui ont accueilli les pauvres et les nécessiteux dans les différentes situations de besoin qu'exprime Jésus. Tandis que ceux qui seront dans le feu éternel, ils n'étaient pas attentifs et compatissants envers ces pauvretés matérielles et spirituelles. Ainsi Jésus nous montre et nous demande de l'imiter comme Roi dans l'Amour concret., en charité active, ce qu'il voulait faire envers toutes les personnes qu'il rencontrait: Nicodème, l'aveugle de Jéricho, le démoniaque de Gerasa et autres rencontres. Le Seigneur a toujours accompli toutes ces grandes œuvres avec un acte de compassion et de tendresse., avec un cœur vraiment humain et vraiment divin. Un petit cœur christologique pour un grand amour.

De là vient le fondement des œuvres de miséricorde pour nous matériel et corporel. Le monsieur, alors, Il nous demande de le suivre, notre roi, dans la vie catholique précisément parce que nous opérons avec un amour concret et attentif pour les autres, en essayant de les regarder avec tendresse. Essayer de regarder notre prochain comme si c'était Jésus lui-même qui, tout petit, nous demande ce service. Nous devenons des petits rois en Jésus petit roi de l'Univers.

Au contraire à la place, nous trouvons ceux qui iront dans le feu éternel. Parce qu'ils ont complètement échappé à la logique de l'amour et de la compassion. Alors, les chèvres à gauche sont les gens enfermés dans l'égoïsme, dans la dimension d'une attention unique à ses propres besoins et exigences. Le risque que nous courons lorsque nous oublions la pratique des œuvres de miséricorde est que nous ne reconnaissons plus seulement les autres., mais de ne pas reconnaître le besoin de Dieu dans la vie. Ainsi, les méchants dans le feu éternel sont ceux qui ne reconnaissent pas la centralité de la Seigneurie de Dieu dans la vie., du Roi des rois, sans que nous ne pouvons rien faire. La tension vers l'égoïsme est donc une substitution, un couronnement de soi comme roi, exigeant que l'Univers et Dieu s'inclinent devant nous.

Oscar Wilde a écrit: "L'égoïsme ne consiste pas à vivre comme on veut mais à exiger que les autres vivent comme bon nous semble".

Nous demandons au Seigneur d'être accueilli sur son trône et sa monarchie d'amour, et soyez désormais témoins que l'Amour authentique existe, et nous vivons en communion avec le Père, le Fils et l'Esprit Saint.

Ainsi soit-il!

Santa Maria Novella à Florence, 25 novembre 2023

.

.

Abonnez-vous à notre chaîne Jordan du club théologique réalisé par le Père Gabriele en cliquant sur l'image

 

LES DERNIERS EPISODES SONT DISPONIBLES DANS L'ARCHIVE: QUI

.

Visitez les pages de notre boutique de livres QUI et soutenez nos éditions en achetant et en distribuant nos livres.

.

.

.

______________________

Chers lecteurs,
ce magazine nécessite des frais de gestion auxquels nous avons toujours été confrontés uniquement avec vos offres gratuites. Ceux qui souhaitent soutenir notre travail apostolique peuvent nous envoyer leur contribution par le moyen pratique et sûr Pay Pal en cliquant ci-dessous:

Ou si vous préférez, vous pouvez utiliser notre
compte bancaire au nom de:
Éditions L'île de Patmos

n Agence. 59 De Rome
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Pour les virements bancaires internationaux:
Code SWIFT:
BAPPIT21D21

Si vous effectuez un virement bancaire, envoyez un mail à la rédaction, la banque ne fournit pas votre e-mail et nous ne pourrons pas vous envoyer de message de remerciement:
isoladipatmos@gmail.com

Nous vous remercions du soutien que vous souhaitez offrir à notre service apostolique.

Les Pères Patmos Island

.

.

.

Notre Seigneur Jésus Christ Roi de l'Univers: une royauté bâtie sur la charité

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

NOTRE SEIGNEUR JÉSUS-CHRIST ROI DE L'UNIVERS: UNE ROYALITÉ CONSTRUITE SUR LA CHARITÉ

Cette page de l'Évangile proclamée aujourd'hui dans nos églises est si splendide, que chaque commentaire semble le gâcher un peu. Mieux vaut le laisser tel quel, simplement, indiquer aux gens que la vie humaine n'est jamais concevable sans l'autre. Tragédie alors le conflit ne sera pas, altérité, la différence mais plutôt les deux extrêmes qui nient cette relation: confusion et séparation

.

 

 

 

 

 

 

 

 

.

Article au format PDF imprimable

.https://youtu.be/4fP7neCJapw

.

 

Dans un apologue court mais célèbre par titre Le Noël de Martin l'écrivain russe Léon Tolstoï1 il a parlé de l'homme, un cordonnier nommé Martin, qui avait mystérieusement rencontré le Seigneur chez les nécessiteux qui passaient devant sa boutique pendant la journée et citait expressément la page de L'Évangile de ce dimanche.

Saint Martin donne une partie de son manteau aux pauvres (peinture, élément global) de Bartolomeo Vivarini (seconde. XV)

La littérature ce n'était pas le seul art que cette merveilleuse page de Matteo a inspiré, il suffit de penser aux fresques de Buonarroti dans la Chapelle Sixtine. Lisons-le:

« À ce moment-là, Jésus dit à ses disciples: «Quand le Fils de l'homme viendra dans sa gloire, et tous les anges avec lui, il s'assiéra sur le trône de sa gloire. Tous les peuples seront rassemblés devant lui. Il séparera les uns des autres, comment le berger sépare les brebis des chèvres, et il placera les brebis à sa droite et les chèvres à sa gauche. Alors le roi dira à ceux qui sont à sa droite: "Allez, bénis de mon Père, recevez en héritage le royaume préparé pour vous depuis la création du monde, parce que j'avais faim et tu m'as donné quelque chose à manger, J'avais soif, et vous me avez donné à boire;, J'étais un étranger et tu m'as accueilli, nu et tu m'as habillé, malade et vous me avez visité, J'étais en prison et tu es venu me rendre visite". Alors les justes lui répondront: "Monsieur, quand nous t'avons vu affamé et t'avons nourri, tu as soif et nous t'avons donné à boire? Quand t'avons-nous déjà vu un étranger et t'avons-nous accueilli, ou nu, et vous vêtira? Quand t'avons-nous déjà vu malade ou en prison et sommes-nous venus te rendre visite?”. Et le roi leur répondra: « En vérité, je vous le dis: tout ce que tu as fait à un de mes plus petits frères, tu me l'as fait". Alors il dira aussi à ceux de gauche: "Via, loin de moi, maudit, le feu éternel, préparé pour le diable et ses anges, parce que j'avais faim et tu ne m'as rien donné à manger, J'avais soif, et vous me donné à boire, J'étais un étranger et tu ne m'as pas accueilli, nu et tu ne m'as pas habillé, malade et en prison et vous me avez visité ". Ensuite, il sera: "Monsieur, quand nous t'avons vu affamé ou assoiffé ou un étranger ou nu ou malade ou en prison, et nous ne vous avons pas servi?”. Puis il leur répondra: « En vérité, je vous le dis: tout ce que tu n'as pas fait même à l'un d'entre eux, tu ne me l'as pas fait. Et ils vont: ceux-ci à la torture éternelle, mais les justes à la vie éternelle".

Avec la chanson d'aujourd'hui ça se termine non seulement, concernant la liturgie, l'année liturgique en cours, qui laisse place à l'Avent, mais aussi l'enseignement de Jésus dans l'Évangile selon Matthieu. En effet, immédiatement après notre péricope, l'évangéliste commence le récit de la passion, mort et résurrection de Jésus, avec ces mots: "Une fois toutes ces discussions terminées, Jésus dit à ses disciples " (Mont 26,1). Jésus enseignera désormais d’une autre manière, surtout avec les gestes et l'obéissance au Père dans l'épreuve suprême de la croix. C'est pour cette raison que le péricope d'aujourd'hui revêt une importance particulière, le dernier discours prononcé par Jésus dans Matthieu, sans compter, l'invitation du Ressuscité à faire des disciples et à baptiser en 28,18-19, et les quelques mots importants prononcés pendant la passion, à partir du dernier repas.

Solo en passant il faut le dire aussi que malgré une pratique interprétative consolidée qui commence avec les Pères de l'Église et qui conduit à définir la scène comme le jugement « universel », à partir du XVIIIe siècle, les nombreux bons indices du texte sont soulignés, pas seulement lexical, croire qu'au lieu d'un jugement pour l'ensemble humanité, le texte implique, au contraire, un jugement seulement pour les païens, mais il n'est pas possible dans ce contexte de rendre cette interprétation explicite car cela prendrait trop de place.

La scène du jugement est exclusivement matthéenne, et il est magistralement construit, avec l'utilisation de divers expédients tels que la répétition, utile pour la mémorisation. Il existe de nombreuses comparaisons que l'on peut faire avec le langage et le symbolisme apocalyptiques en vigueur à l'époque de Jésus qui apparaissent de temps en temps dans la littérature canonique - Daniel et l'Apocalypse - mais aussi dans la littérature apocryphe.. Les données originales, révolutionnaire, au lieu, la nouveauté qu'apporte le discours de Jésus est que le même juge, le roi, se considérer comme l'objet de telles actions: «J'avais faim et je tu as nourri", ou, "pas moi tu as nourri". Cela crée un effet de surprise aussi bien chez ceux qui lui ont fait preuve de miséricorde que chez ceux qui l'ont nié.. Alors que dans l'Ancien Testament le jour du Seigneur est décrété par Dieu lui-même et donc Il est le seul à juger, dans la logique du Nouveau Testament, c'est Jésus, le Messie, qui peut intervenir dans ce jugement. Par conséquent Dieu exécutera le jugement, mais ça en nuce cela se produit déjà dans la manière dont nous avons eu des relations avec son Fils dans ce monde, à Jésus présent dans les pauvres qui avaient faim et soif et qui étaient ou non secourus par nous. C'est pourquoi à la fin des temps, ce sera le Christ, l'agneau, prendre le livre de notre vie, ce que même nous ne sommes pas capables de lire et de comprendre pleinement, et d'ouvrir ses sceaux (cf.. App 5).

Ce qui frappe alors, c'est la vision grandiose qui embrasse l'humanité toute entière s'accompagne du regard posé sur chacun et, en particulier, sur ces gens qui sont normalement les plus invisibles: pauvre, les gens malades, les prisonniers, affamé, soif, étrangers, nu. Ce n'est pas un hasard si notre texte les qualifie de « minimes » (vv. 40.45). Charité envers les nécessiteux, le geste de partage si simple, Humain, du quotidien, pour tout le monde, croyants et non-croyants, il devient celui sur lequel s'exerce le jugement final. L'exemple de Martin de Tours, d'après la narration hagiographique de Sulpicius Sévère2, c'est emblématique. Après avoir divisé son manteau avec l'épée pour couvrir la nudité d'un pauvre mendiant aux portes d'Amiens, dans un hiver rigoureux, Martin a eu une vision dans un rêve du Christ lui disant: « Martin, tu m'as couvert de ton manteau". Le Christ s'identifie aux pauvres, comme dans notre page évangélique.

Cette page de l'Évangile est si splendide proclamé aujourd'hui dans nos églises, que chaque commentaire semble le gâcher un peu. Mieux vaut le laisser tel quel, simplement, indiquer aux gens que la vie humaine n'est jamais concevable sans l'autre. Tragédie alors le conflit ne sera pas, altérité, la différence mais plutôt les deux extrêmes qui nient cette relation: confusion et séparation3. Les autres, surtout si j'en ai besoin, ce ne seront pas un enfer pour moi mais une bénédiction: «Tu es béni parce que…». Deux célèbres pièces théâtral, un de Sartre4 avec la célèbre expression à l'intérieur: « L'enfer est d'autres personnes »; l'autre de Pirandello, Habiller le nu5, qui dans le titre fait directement référence à notre passage évangélique, ils nous disent de façon dramatique qu'en n'excluant pas l'Autre de notre monde, le problème serait facilement résolu et l'enfer cesserait d'exister.. Ces auteurs ont compris, au contraire, constater l’impossibilité d’une existence qui exclut l’Autre. Autrement dit, l’enfer, c’est les autres, parce qu'on ne peut pas échapper à l'altérité, on se rend compte que l'Autre détient le secret de son être et, tandis que, que sans l'Autre cet être ne serait pas possible.

Le Seigneur Jésus aussi, même dans son dernier discours, nous a encore une fois surpris en donnant un nouveau sens aux « œuvres de miséricorde », déjà connu dans le judaïsme contemporain, où ils étaient, Mais, compris comme une sorte de imitation de Dieu, dans le sens de faire pour les autres ce que Dieu lui-même a fait pour l'homme. Cependant, ils n’avaient pas prévu que le juge éternel se cachait derrière des existences très humbles., désavantagé et vaincu. Dans l'autre, chez son frère, il y a Jésus qui avait dit à ses disciples: «Celui qui vous accueille me souhaite la bienvenue, et celui qui m'accueille accueille celui qui m'a envoyé... Celui qui donne ne serait-ce qu'un seul verre d'eau froide à boire à l'un de ces petits parce qu'il est disciple, en vérité, je vous le dis: il ne perdra pas sa récompense ". Alors que désormais il étend cette vision à toute l'humanité – panta ta ethné, toutes les nations du v.22: "Tout ce que tu as fait à un seul de mes plus jeunes frères, tu me l'as fait". Parce que, comme le dit un ancien hymne utilisé dans la liturgie du Jeudi Saint: «Où la charité et l'amour, Dieu est là».

Joyeux dimanche tout le monde!

De l'Ermitage, 25 novembre 2023

 

REMARQUE

[1] La refonte de Tolstoï est apparue pour la première fois de manière anonyme dans le magazine “Russe rabocij” (L'ouvrier russe), Non.. 1 du 1884, avec le titre “Djadja Martyn” (Oncle Martyn). Dans 1886 l'histoire, avec le titre “Là où il y a l'amour, il y a Dieu”, il a été inclus dans un volume publié à Moscou par Posrednik avec huit autres, le tout avec la signature de Léon Tolstoï

[2] Sévère Sulpicius,La vie de Martin, informatique, 2003

[3] Michel de Certeaux, Jamais sans l'autre. Voyage dans la différence, 1983

[4] J.P.. Sartre, Porte fermée, Bompiani, Milan 2013

[5] Pirandello L., Masques nus. Volume. 5: Henri IV – Mme Morli, Un et deux – Habiller le nu, Mondadori, 2010

 

 

Grotte Saint-Ange à Ripe (Civitella del Tronto)

 

.

Visitez les pages de notre boutique de livres QUI et soutenez nos éditions en achetant et en distribuant nos livres.

.

______________________

Chers lecteurs,
ce magazine nécessite des frais de gestion auxquels nous avons toujours été confrontés uniquement avec vos offres gratuites. Ceux qui souhaitent soutenir notre travail apostolique peuvent nous envoyer leur contribution par le moyen pratique et sûr Pay Pal en cliquant ci-dessous:

Ou si vous préférez, vous pouvez utiliser notre
compte bancaire au nom de:
Éditions L'île de Patmos

n Agence. 59 De Rome
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Pour les virements bancaires internationaux:
Code SWIFT:
BAPPIT21D21

Si vous effectuez un virement bancaire, envoyez un mail à la rédaction, la banque ne fournit pas votre e-mail et nous ne pourrons pas vous envoyer de message de remerciement:
isoladipatmos@gmail.com

Nous vous remercions du soutien que vous souhaitez offrir à notre service apostolique.

Les Pères Patmos Island

.

.

.

.

.

Nous devrions réfléchir davantage au péché de perdre du temps

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

NOUS DEVONS RÉFLÉCHIR PLUS SUR LE PÉCHÉ DE PERTE DE TEMPS

Quelle que soit la manière dont vous voulez les comprendre, puisque tout conte parabolique est ouvert à une pluralité d'interprétations, les talents resteront un don gratuit qui ne peut être gardé pour soi, ça ne cache pas non plus, mais il faut le multiplier. Ils révèlent que Dieu, plus qu'un maître, il se montre Père envers nous les enfants et offre au fil du temps beaucoup de ces grâces à chacun de nous et à nos communautés.

.

 

 

 

 

 

 

 

.

Article au format PDF imprimable

.https://youtu.be/4fP7neCJapw

.

Un cadeau peut être offert pour mille raisons, même les non nobles parfois. Mais il a une caractéristique indubitable de son côté: il révèle l'identité de celui qui offre et de celui qui le reçoit. L'Évangile de ce dimanche présente un donateur très spécial, qui n'accorde pas un seul cadeau, mais plutôt tout son bien. Lisons:

« À ce moment-là, Jésus a raconté cette parabole à ses disciples: «Il arrivera comme à un homme qui, partir en voyage, il appela ses serviteurs et leur donna ses biens. À l'un d'eux, il a donné cinq talents, à deux autres, à un autre, selon les capacités de chaque; puis il est parti. Aussitôt celui qui avait reçu cinq talents alla les utiliser, et j'en ai gagné cinq de plus. Celui qui avait reçu deux, il en a gagné deux de plus. Celui qui n'avait reçu qu'un seul talent, il est allé faire un trou dans le sol et y a caché l'argent de son maître. Après un long moment, le maître de ces serviteurs revint et voulut régler ses comptes avec eux.. Celui qui avait reçu cinq talents se présenta et en apporta cinq autres., disant: "Monsieur, tu m'as donné cinq talents; Voici, J’en ai gagné cinq de plus”. "Bien, bon et fidèle serviteur - lui dit son maître -, tu as été fidèle en peu, Je te donnerai le pouvoir sur beaucoup de choses; participe à la joie de ton maître". Alors celui qui avait reçu deux talents s'avança et dit: "Monsieur, tu m'as donné deux talents; Voici, J’en ai gagné deux de plus”. "Bien, bon et fidèle serviteur - lui dit son maître -, tu as été fidèle en peu, Je te donnerai le pouvoir sur beaucoup de choses; participe à la joie de ton maître". Finalement, celui qui n'avait reçu qu'un seul talent s'est également présenté et a dit: "Monsieur, Je sais que tu es un homme dur, qui moissonnez là où vous n'avez pas semé et rassemblez là où vous n'avez pas dispersé. J'ai eu peur et je suis allé cacher ton talent dans le sol: voici ce qui est à toi". Le maître lui répondit: « Serviteur méchant et paresseux, tu savais que je récolte là où je n'ai pas semé et que je rassemble là où je n'ai pas dispersé; tu aurais dû confier mon argent aux banquiers et ainsi, revenir, J'aurais retiré le mien avec intérêts. Alors enlève son talent, et donne-le à celui qui a les dix talents. Parce que n'importe qui a, il sera donné et sera en abondance; mais à ceux qui n'ont pas, même ce qu'il a lui sera enlevé. Et jette le serviteur inutile dehors dans l'obscurité; il y aura des pleurs et des grincements de dents". (Mont 25,14-30).

Le chant évangélique de ce dimanche ajoute une précision au sens de la vigilance qui avait déjà été présenté dans la parabole des dix vierges (Mont 25,1-13). Là-bas, être vigilant, c'était être prévoyant, être prêt, sois prêt, équipez-vous de ce dont vous avez besoin, en tenant compte d'une longue attente. Maintenant, dans la parabole des talents, la vigilance se définit comme attention et responsabilité dans la vie quotidienne et s'exprime comme fidélité dans les petites choses ("tu as été fidèle en un temps": Mont 25,21.23).

Tout d’abord, rappelons quelle est la fonction de la parabole. Cette forme de communication implique souvent l'utilisation d'un langage hyperbolique, un cadre paradoxal, avec des exagérations délibérées qui peuvent même scandaliser en raison de la violence impliquée. Cela nous affecte, qui, le châtiment du méchant serviteur. Mais la fin est aussi surprenante, comme cela arrive souvent dans les contes fictifs paraboliques, présente une vraie tournure: le talent est retiré à ceux qui n’en ont qu’un et donné à ceux qui en ont déjà plusieurs. La question se pose chez le lecteur: quel maître est celui qui se permet d'humilier ainsi son serviteur, qui a finalement agi avec prudence?

On a dit que la vigilance elle ne concerne pas seulement l'attente eschatologique mais affecte pleinement le rapport au quotidien, avec ses réalités quotidiennes. La parabole de Matthieu, qui a un parallèle quelque peu différent et plus complexe avec Lucas 19,11-27, il s'inscrit certainement dans un contexte eschatologique - le v.30 le place à l’horizon du jugement final: "Jetez le serviteur inutile dans les ténèbres, il y aura des pleurs et des grincements de dents" - mais cela ne fait que réitérer que ce jugement final se prépare ici et maintenant, à l'heure actuelle de l'histoire, quelque chose qui sera montré dans toutes ses preuves dans la parabole du Jugement dernier (Mont 25,31-46) dimanche prochain. Là apparaîtra clairement l'autorité eschatologique des petits et des pauvres.. Le jugement final sera fondé sur les actions de charité et de justice réalisées en leur faveur ou omises.. Le quotidien se révèle ainsi comme le lieu eschatologique par excellence, parce que c'est le temps qu'on nous donne. Ainsi la parabole après la répartition des talents[1] de manière personnalisée, proportionné aux capacités des destinataires, se déroule entre "l'immédiat" (v.15) de ceux qui les rentabilisent et le après « longtemps » (v.19) du retour du maître. En plus, ça ne semble pas important, au moins dans cette histoire, la quantité de cadeaux reçus, puisque les deux domestiques vaillants, bien qu'ils aient reçu des talents à des degrés divers, cependant, ils recevront la même récompense. Ce qui est important, c'est le temps dont la durée fait ressortir la vérité des gens., de leurs comportements, de leur succession et de leur responsabilité. Le passage du temps est révélateur; en effet, les deux premiers serviteurs ont immédiatement compris que c'était le premier grand cadeau dont ils pouvaient profiter et ne l'ont pas gaspillé en le jetant..

Nous devrions réfléchir davantage au péché de perdre du temps. Si le troisième serviteur y avait pensé, il en aurait profité, car au final la récompense serait la même que celle des deux premiers serviteurs qui avaient reçu plus. Mais comme nous l'avons dit plus haut, le don est, ainsi que le temps passé, révélant les personnages de cette parabole. Le donateur aussi, même si Jésus le cache dans un premier temps derrière un homme anonyme (v.14), c'est clairement Dieu qui sera en effet appelé plus tard « Seigneur » (Kyrie, Dieu Seigneur v.20.22.24). Lui seul est capable de donner toutes ses choses en cadeau [2], de manière préventive et inattendue, notamment envers les destinataires qui, aussi entreprenants soient-ils, restent des serviteurs. Certains pères de l'Église voulaient voir derrière le don des talents celui de la Parole de Dieu., en souvenir de la parabole de la bonne graine qui porte du fruit selon le sol qu'elle trouve. Irénée de Lyon, mort en 202 D.C., il y a vu le don de la vie, accordé par Dieu aux hommes. Quelle que soit la manière dont vous voulez les comprendre, puisque tout conte parabolique est ouvert à une pluralité d'interprétations, les talents resteront un don gratuit qui ne peut être gardé pour soi, ça ne cache pas non plus, mais il faut le multiplier. Ils révèlent que Dieu, plus qu'un maître, il se montre Père envers nous les enfants et offre au fil du temps beaucoup de ces grâces à chacun de nous et à nos communautés. La capacité de les reconnaître et de les faire fructifier est la qualité des serviteurs intrépides qui savent aussi prendre des risques..

Le point de la parabole mais ce n'est pas d'ordre économique, c'est-à-dire dans la capacité de tirer des bénéfices de l'investissement du capital, parce que la récompense, dans ce sens, il aurait dû être proportionné au mérite et à la taille des actifs accumulés. Au lieu de cela, il s’agit d’agir instantanément et de ne pas rester inerte dans le temps imparti.. En tenant compte du fait que le maître-Seigneur reviendra et demandera raison («il expose la raison» traduit la Vulgate) de la façon dont les domestiques auront agi. Ils découvriront qu'à ses yeux ce qui comptait c'était la bonté et la fidélité dans l'action et que ce qui semblait beaucoup n'était en réalité que très peu comparé à la récompense.: "Bien, bon et fidèle serviteur - lui dit son maître -, tu as été fidèle en peu, Je te donnerai le pouvoir sur beaucoup de choses; participe à la joie de ton maître".

La parabole devient ainsi une invitation aux disciples et pour que les communautés ne restent pas immobiles et enchantées face aux difficultés des temps actuels, prêt à agir à tout moment, conscient des dons reçus et que celui qui nous est offert est le moment propice. Les défis que cela pose et les conditions culturelles modifiées ne devraient pas nous effrayer ou nous inciter à nous contenter de ce qui est déjà fait ou à nous enivrer du militantisme comme une fin en soi.. La parabole demande aux chrétiens de prendre conscience, responsabilité, audace et surtout créativité, toutes les réalités condensées en mots: sois bon et fidèle.

Finalement, nous nous sommes demandé d'abord parce que le maître, protagoniste de la parabole, il a si mal traité le troisième serviteur. Ce qui frappe dans cette histoire, c'est justement l'idée que le domestique se faisait de lui.. Alors que les deux premiers serviteurs n'avaient pas besoin d'y penser, presque comme s'il était automatique pour eux que si le propriétaire vous fait un cadeau, il soit immédiatement rentabilisé, l'autre serviteur développe plutôt sa propre idée, on pourrait dire sa théologie, qui bloque son action, parce que l'idée de la peur le domine. Piégé dans cette image qu'il a de son maître, celui d'un homme dur et prétentieux, bien qu'il ait à sa disposition le grand don d'un talent, il est incapable de lui faire confiance. Et ce sera son vrai drame.

Son inaction il sera jugé de manière parallèle aux bons et fidèles, mais aussi méchant et paresseux. S'il avait au moins ouvert un compte d'épargne, il aurait reçu les revenus d'intérêts, mais il a préféré enterrer son cadeau et pour cette raison, quand il n'y a plus de temps pour agir, au moment du jugement, il sera livré aux pleurs et aux grincements de dents, une expression biblique qui indique l'échec de sa vie[3].

La foi qui fonctionne est importante dans le vocabulaire du premier Évangile. Jésus parle de la foi de ceux qui croient en lui pour être guéris, celui du centurion (8,10), du paralytique (9,2), de la femme hémorragique (9,22), des deux aveugles (9,29), la Cananea (15,28), et encourage son équipe, jamais critiqué pour avoir "peu de foi", avoir plus (cf.. 6,30).

Notre parabole cela pourrait donc vouloir dire quelque chose sur le fait de croire ou de ne pas croire en Dieu dans le temps intermédiaire qui sépare du jugement. Le troisième serviteur, mal, il n'a plus la foi, il l'a perdu avec le temps: il a oublié que ce qui lui avait été confié devait être investi pour qu'il porte du fruit pour le maître, mais aussi en sa faveur: c'est donc devenu inutile (v.30). Que la parabole traite du don de la foi, il peut aussi être indirectement déduit d'un autre texte du Nouveau Testament, où saint Paul dit que ce don est mystérieusement personnalisé, tout comme dans la parabole que raconte Jésus:

«Pour la grâce qui m'a été donnée, Je dis à chacun de vous: ne vous valorisez pas plus que ce qui est approprié, mais évaluez-vous avec sagesse et justice, chacun selon la mesure de foi que Dieu lui a donnée" (Rm 12,3).

Pour conclure on pourrait se demander: Quelle vision avons-nous de Dieu? Le vindicatif, exigeant et dur qui suscite la peur ou celui qui libère, positif qui nous fait agir avec confiance et sans crainte, comment Jésus l'a vécu et nous a enseigné?

De l'Ermitage, 19 novembre 2023

 

REMARQUE

1 Le talent, ce qui signifiait aussi « ce qui est pesé, c'était une unité de poids d'environ 30-40 kg. correspondant à six mille deniers. Parce qu'un denier, selon ce que Matthieu lui-même explique dans 20,2 (Matteo est très précis dans son utilisation des pièces, et dans son évangile plusieurs types sont répertoriés), c'est le montant du salaire pour une journée de travail, nous entendons ici une grosse somme donnée aux domestiques pour la gestion

2 Dans la parabole des vignerons meurtriers, il n'hésite pas à envoyer aussi son Fils (Mont 21,37)

3 "Encore, le royaume des cieux est comme un filet jeté dans la mer, qui ramasse toutes sortes de poissons. Quand c'est plein, les pêcheurs le ramènent à terre, ils s'assoient, ils ramassent les bons poissons dans les paniers et jettent les mauvais. Ce sera donc à la fin du monde. Les anges viendront séparer le mal du bien et les jetteront dans la fournaise ardente, Il y aura des pleurs et des grincements de dents " (Mont 13,47-50).

 

 

 

Grotte Saint-Ange à Ripe (Civitella del Tronto)

 

.

Visitez les pages de notre boutique de livres QUI et soutenez nos éditions en achetant et en distribuant nos livres.

.

______________________

Chers lecteurs,
ce magazine nécessite des frais de gestion auxquels nous avons toujours été confrontés uniquement avec vos offres gratuites. Ceux qui souhaitent soutenir notre travail apostolique peuvent nous envoyer leur contribution par le moyen pratique et sûr Pay Pal en cliquant ci-dessous:

Ou si vous préférez, vous pouvez utiliser notre
compte bancaire au nom de:
Éditions L'île de Patmos

n Agence. 59 De Rome
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Pour les virements bancaires internationaux:
Code SWIFT:
BAPPIT21D21

Si vous effectuez un virement bancaire, envoyez un mail à la rédaction, la banque ne fournit pas votre e-mail et nous ne pourrons pas vous envoyer de message de remerciement:
isoladipatmos@gmail.com

Nous vous remercions du soutien que vous souhaitez offrir à notre service apostolique.

Les Pères Patmos Island

.

.

.

.

.

Gabriele Giordano M. Scardocci
De l'ordre des prédicateurs
Presbytère et théologien

( Cliquez sur le nom pour lire tous ses articles )
Père Gabriel

L'amour qui vient de la charité est le fondement du christianisme

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

L’AMORE CHE NASCE DALLA CARITÀ È IL FONDAMENTO DEL CRISTIANESIMO

Gesù ci insegna che non esiste un amore verso Dio che sia grandissimo, dévoué et authentique, et que cela ne devienne pas amour envers notre prochain. Un amour de la charité qui signifie donc agir selon des œuvres concrètes et réelles, per aiutare anche l’altro a crescere nella santità. Perciò come dicevano i provenzali, nell’amore o si cresce o si diminuisce.

 

Auteur:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

.

Article au format PDF imprimable

 

 

Chers lecteurs de L'île de Patmos,

«C'est évident: je’Amore cresce o diminuisce e mai rimane uguale”. Questa bellissima frase troviamo in un antico Codice D’Amore Provenzale. In questa massima è raccolta una delle leggi fondamentali dell’amore che è la crescita continua nella donazione di sé all’altro e a Dio. L’amore è esperienza comune che tutti nella nostra vita abbiamo provato almeno una volta. Il fondamento, donc, del nostro amore umano, quale amore di carità e di tenerezza è sempre l’amore di Dio che essendo eterno, chiede di amare di un amore eterno anche a noi.

Questo caposaldo è racchiuso Dans le Vangelo di questa XXX Domenica del Tempo Ordinario, dove viene enunciata la legge fondamentale del Cristianesimo. Una vera e propria rivoluzione copernicana all’interno dell’Ebraismo e del mondo greco- romain. Una novità assoluta dove il centro di tutto è il rapporto d’amore fra Dio e l’uomo.

Ancora una volta troviamo i farisei tutti uniti a tenere conciliabolo contro Gesù Cristo. La settimana scorsa gli è andata male, quando avevano mandato gli erodiani per provare a metterlo contro i romani. Questa volta inviano un dottore della Legge, un esperto che gli pone una domanda trappola. Lequel 613 precetti ebraici (halakà) ritieni più importante, secondo la gerarchia ebraica? Anche questa è una domanda a trabocchetto, secondo la fallacia della falsa dicotomia. Fra i 613 precetti esisteva infatti una gerarchia e importanza. Al di là di ricordare o meno questa scala gerarchica ― che per Gesù era semplice ― la trappola consisteva nell’ascoltare la risposta di Gesù, qualsiasi sarebbe stata la risposta, ribattere che il precetto citato era invece quello meno importante. De cette façon,, si voleva screditare e mostrare l’assenza di legame di Gesù con la tradizione ebraica e con Dio. Gesù ancora una volta si disimpegna da questa trappola argomentativa. E sfrutta la situazione per offrire il centro e il nucleo centrale dell’insegnamento del cristianesimo. Gesù risponde:

«”Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, et de toute ton âme et de tout ton esprit”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Vous aimerez votre prochain comme vous-même”. Sur ces deux commandements dépendent toute la Loi et les Prophètes ".

La novità consiste innanzitutto nella formulazione di questi due precetti. Il primo è preso da Deuteronomio 6,5 ed è legato insieme alla legge di Santità che troviamo in Levitico 19,18. Ecco allora il legame inscindibile fra l’amore per Dio e per il prossimo già presente e prefigurato nell’Antico Testamento e viene poi così esplicitato e annunciato da Gesù. Questa risposta rompe qualsiasi contro-risposta. Ed è una risposta ancora valida per noi oggi.

Gesù ci insegna che non esiste un amore verso Dio che sia grandissimo, dévoué et authentique, et que cela ne devienne pas amour envers notre prochain. Un amour de la charité qui signifie donc agir selon des œuvres concrètes et réelles, per aiutare anche l’altro a crescere nella santità. Perciò come dicevano i provenzali, nell’amore o si cresce o si diminuisce. Si cresce nell’amore verso Dio perché le opere di misericordia alimentano continuamente la nostra scelta di fede che è una relazione con il Tu eterno di Dio, perennemente innamorato della sua creazione e dunque della umanità. En même temps, amare di carità è scegliere di impegnarsi responsabilmente nella Chiesa, perché tutti gli altri credenti possano incontrare Cristo tramite noi. Se si smette di amare, anche la nostra vita e la nostra gioia, a poco a poco si affievoliscono. Così anche la nostra persona diviene sempre più chiusa in sé stessa. Gesù ci chiede di mettere in circolo il nostro amore autentico e tenero.

Nous demandons au Seigneur la forza e il coraggio di aziono generose e misericordiose, per crescere tutti uniti nel sentiero di santità che porta alla vita eterna.

Ainsi soit-il.

Santa Maria Novella à Florence, 29 octobre 2023

.

.

Abonnez-vous à notre chaîne Jordan du club théologique réalisé par le Père Gabriele en cliquant sur l'image

 

LES DERNIERS EPISODES SONT DISPONIBLES DANS L'ARCHIVE: QUI

.

Visitez les pages de notre boutique de livres QUI et soutenez nos éditions en achetant et en distribuant nos livres.

.

.

.

______________________

Chers lecteurs,
ce magazine nécessite des frais de gestion auxquels nous avons toujours été confrontés uniquement avec vos offres gratuites. Ceux qui souhaitent soutenir notre travail apostolique peuvent nous envoyer leur contribution par le moyen pratique et sûr Pay Pal en cliquant ci-dessous:

Ou si vous préférez, vous pouvez utiliser notre
compte bancaire au nom de:
Éditions L'île de Patmos

n Agence. 59 De Rome
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Pour les virements bancaires internationaux:
Code SWIFT:
BAPPIT21D21

Si vous effectuez un virement bancaire, envoyez un mail à la rédaction, la banque ne fournit pas votre e-mail et nous ne pourrons pas vous envoyer de message de remerciement:
isoladipatmos@gmail.com

Nous vous remercions du soutien que vous souhaitez offrir à notre service apostolique.

Les Pères Patmos Island

.

.

.

"Tu aimeras ton prochain comme toi-même". Sur ces deux commandements dépendent toute la Loi et les Prophètes "

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

«AMERAI IL TUO PROSSIMO COME TE STESSO» DA QUESTI DUE COMANDAMENTI DIPENDONO TUTTA LA LEGGE E I PROFETI

Gesù andò subito oltre con la sorprendente novità che non ha riscontri nella letteratura giudaica antica: « Tu aimeras ton prochain comme toi-même ». Ils, revenir à la volonté du Législateur, discerne che amore di Dio e del prossimo stanno in una relazione inscindibile tra loro: l’uno non sussiste senza l’altro.

.

 

 

 

 

 

 

 

.

Article au format PDF imprimable

.https://youtu.be/4fP7neCJapw

.

Nel lezionario, tralasciata la discussione con i sadducei a proposito della risurrezione, si giunge, col vangelo di questa XXX Domenica del tempo ordinario, ad una nuova diatriba che si apre con Gesù interrogato dai suoi avversari, maman, Encore une fois, per metterlo alla prova.

« À ce moment-là, je farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: "Maestro, dans la loi, qual è il grande comandamento?». Elle lui a répondu: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente». Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: "Tu aimeras ton prochain comme toi-même". Sur ces deux commandements dépendent toute la Loi et les Prophètes ". (Mont 22,34-40)

Sono gli ultimi giorni di Gesù nella città santa di Gerusalemme, prima dell’arresto e della passione, ed egli sa che il cerchio intorno a sé si sta stringendo sempre più. Nella nostra pagina di Vangelo entrano di nuovo in scena i farisei, e tra loro un dottore della Legge, un teologo diremmo noi, un esperto delle sante Scritture, che nuovamente si rivolge a lui chiamandolo: Rabbi (Maestro, διδάσκαλε). Infatti non si era mai vista una cosa del genere, che un carpentiere si fosse messo in testa di insegnare e dare consigli sulla Torah, su come si onori Dio, su cosa sia lecito e cosa proibito. La cosa non era ben vista come attestò Ben Sira al principio del terzo secolo a.C: «Chi è libero dalla fatica diventerà saggio»1; e nei Vangeli non si parla mai di una scuola esegetica di Gesù. Le sorprendenti interpretazioni della Torah, che gli permettono di contrastare le insidie dialettiche degli avversari, non verranno replicate dai suoi discepoli. Se Gesù viene chiamato rabbi (maestro) è per la sua autorità e per la capacità di approfondire la Scrittura in modo creativo. Non è però il genere d’insegnante che formi allievi, per trasmettere loro i propri metodi esegetici. Mentre nel giudaismo rabbinico, che si affermerà dopo la distruzione del secondo Tempio nel 70, l’allievo è destinato a sostituire e, si possible, a superare in sapienza il maestro, i discepoli di Gesù rimarranno per sempre tali, senza la possibilità di emularlo in campo intellettuale.

Proprio i rabbini avevano individuato nella Legge, la Torah, oltre le dieci parole (Est 20,2-17), ben 613 precetti, per cui la domanda posta a Gesù sembra pertinente e verteva sulla semplificazione: "Maestro, dans la loi, qual è il grande comandamento?». Era un argomento dibattuto come testimonia questa risposta rabbinica: «Rabbi Simlaj disse:

«Sul monte Sinai a Mosè sono stati enunciati 613 comandamenti: 365 negativi, corrispondenti al numero dei giorni dell’anno solare, e 248 positif, corrispondenti al numero degli organi del corpo umano… Poi venne David, che ridusse questi comandamenti a 11, comme il est écrit [nel Sal 15]… Poi venne Isaia che li ridusse a 6, comme il est écrit [in Is 33,15-16]… Poi venne Michea che li ridusse a 3, comme il est écrit: «Che cosa ti chiede il Signore, se di non praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio? » (Moi 6,8) … Poi venne ancora Isaia e li ridusse a 2, comme il est écrit: «Così dice il Signore: Osservate il diritto e praticate la giustizia» (Est 56,1) … Infine venne Abacuc e ridusse i comandamenti a uno solo, comme il est écrit: «Il giusto vivrà per la sua fede» (Ab 2,4)» (Talmud babilonese, Makkot, 24une).

Jésus a répondu ponendo in evidenza, Encore une fois, la sua capacità di far riferimento a ciò che è fondamentale e proponendo a seguire una sorprendente novità, legando un secondo comandamento al principale, dichiarandoli simili e facendo di ambedue una corda sulla quale sta in equilibrio tutta la struttura dei rimanenti comandi, anzi l’intero complesso della Parola di Dio. Se da essa si distaccano cadono a terra. Questo è il senso del verbo kremamai ― κρέμαμαι ― del verso v.40, ovvero essere appeso, sospeso, penzolare; che è stato reso con dipendere: «Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Dove trovò Gesù il fondamento per giustificare la grandezza del primo comandamento? Nella preghiera, nella fattispecie quella dello Shemà (Ascolta) che apriva e chiudeva la giornata dell’ebreo religioso e in particolare quella di shabbat, il sabato:

« Écouter, Israël: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua vita e con tutta la tua mente» (Dt 6,4-5). E chiosò: «Questo è il grande e primo comandamento».

Poi Gesù andò subito oltre con la sorprendente novità che non ha riscontri nella letteratura giudaica antica: « Tu aimeras ton prochain comme toi-même » (lv 19,18). Ils, revenir à la volonté du Législateur, discerne che amore di Dio e del prossimo stanno in una relazione inscindibile tra loro: l’uno non sussiste senza l’altro. Il comando di amare il prossimo è, nel Vangelo di Matteo, il testo veterotestamentario più citato: si trova anche in Mont 5,43 e 19,19. Significa che Gesù aveva insistito su questo precetto, ma anche che per Matteo era particolarmente necessario ricordarlo ai credenti in Cristo, quando questi non verranno più capiti ed accolti dalla loro stessa gente; Malheureusement, anche dai loro stessi fratelli ebrei.

Non a caso nel nostro testo il secondo comandamento è definito pari ― ὁμοία ― al primo, con la stessa importanza e lo stesso peso, mentre l’evangelista Luca li unisce addirittura in un solo grande comandamento: «Amerai il Signore Dio tuo… e il prossimo tuo» (Lc 10,27). Gesù compie così un’audace e decisiva innovazione, e lo fa con l’autorità di chi sa che non si può amare Dio senza amare le persone.

L’amore essendo un sentimento umano non si può dire che rappresenti un proprium du chrétien, lo è invece la fede in Gesù, le Christ, Figlio del Padre che si è rivelato. E al cuore di questo processo c’è la manifestazione di Dio come amore. Come tutti sanno gli autori del Nuovo Testamento che hanno esplorato la profondità di questo mistero sono Paolo e Giovanni. Proprio quest’ultimo, in una sua lettera affermerà che «Dio è amore» (1Gv 4,8.16) e che «ci ha amati per primo» (1Gv 4,19). San Paolo ci farà dono dell’inno alla carità (1Cor 13). Tutte queste parole rivolte in prima istanza ai discepoli di Gesù di ogni tempo, sono ormai il segno distintivo di chi crede in lui, tanto da far affermare allo stesso Giovanni: «Se uno dice: Io amo Dio e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello» (1Gv 4,20-21). E questo perché il riferimento sarà sempre a Gesù che pose se stesso come termine di paragone: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: si vous avez de l'amour l'un pour l'autre" (Gv 13,35); ovvero quell’amore che mette in pratica “il comandamento nuovo”, cioè ultimo e definitivo, da lui lasciatoci: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 13,34; 15,12).

Per tornare all’esempio della corda sospesa il cristiano si troverà sempre a camminare su questa via sottile evitando di non sporgersi troppo da un lato perdendo l’equilibrio dell’altro. L’amore verso Dio e verso il prossimo si mantiene in costante equilibrio e l’uno e l’altro non costituiscono l’emblema di una stagione. Anche se adesso, dans l'Eglise, si pone l’accento maggiormente sulla solidarietà e sull’accoglienza dei poveri e dei miseri, il cristiano sarà sempre un “uomo per tutte le stagioni”2. E secondo l’insegnamento di Gesù ci sarà sempre qualcuno che percorrendo la non sorvegliata scesa che da Gerusalemme porta a Gerico potrà correre il rischio di ritrovarsi mezzo morto: l’amore compassionevole sarà la risposta (Lc 10,25-37).

Anche Sant’Agostino sembra pensarla così:

«Enunciando i due precetti dell’amore, il Signore non ti raccomanda prima l’amore del prossimo e poi l’amore di Dio, ma mette prima Dio e poi il prossimo. Ma siccome Dio ancora non lo vedi, meriterai di vederlo amando il prossimo. Ama dunque il prossimo, e mira dentro di te la fonte da cui scaturisce l’amore del prossimo: ci vedrai, in quanto ti è possibile, Je donnai. Comincia dunque con l’amare il prossimo. Spezza il tuo pane con chi ha fame, e porta in casa tua chi è senza tetto; se vedi un ignudo, vestilo, e non disprezzare chi è della tua carne. Facendo così, che cosa succederà? Allora sì che quale aurora eromperà la tua luce (Est 58,7-8). La tua luce è il tuo Dio. Egli è per te luce mattutina, perché viene a te dopo la notte di questo mondo. Egli non sorge né tramonta, risplende sempre… Amando il prossimo e interessandoti di lui, tu camminerai. Quale cammino farai, se non quello che conduce al Signore Iddio, a colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo lo abbiamo sempre con noi. Porta dunque colui assieme al quale cammini, per giungere a Colui con il quale desideri rimanere per sempre»3.

de l'Ermitage, 29 octobre 2023

.

REMARQUE

1 [Contadini, fabbri, vasai, e tutti i lavoratori manuali che si affaticano giorno e notte per un compenso] «Senza di loro non si costruisce una città, nessuno potrebbe soggiornarvi o circolarvi. Ma essi non sono ricercati per il consiglio del popolo nell’assemblea non hanno un posto speciale, non siedono sul seggio del giudice e non conoscono le disposizioni della legge. Non fanno brillare né l’istruzione né il diritto,
non compaiono tra gli autori di proverbi, ma essi consolidano la costruzione del mondo,e il mestiere che fanno è la loro preghiera» (Monsieur 38,24. 33-34)

2 Sylvester R. S., le “Man for All SeasonsAgain: Robert Whittington’s Verses to Sir Thomas More, Huntington Library Quarterly, Volume. 26, Non. 2,1963, pp. 147-154.

3 Agostino d’Ippona, Commento al Vangelo di san Giovanni, Homélie 17, 7-9 (voir QUI)

 

 

 

Grotte Saint-Ange à Ripe (Civitella del Tronto)

 

.

Visitez les pages de notre boutique de livres QUI et soutenez nos éditions en achetant et en distribuant nos livres.

.

______________________

Chers lecteurs,
ce magazine nécessite des frais de gestion auxquels nous avons toujours été confrontés uniquement avec vos offres gratuites. Ceux qui souhaitent soutenir notre travail apostolique peuvent nous envoyer leur contribution par le moyen pratique et sûr Pay Pal en cliquant ci-dessous:

Ou si vous préférez, vous pouvez utiliser notre
compte bancaire au nom de:
Éditions L'île de Patmos

n Agence. 59 De Rome
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Pour les virements bancaires internationaux:
Code SWIFT:
BAPPIT21D21

Si vous effectuez un virement bancaire, envoyez un mail à la rédaction, la banque ne fournit pas votre e-mail et nous ne pourrons pas vous envoyer de message de remerciement:
isoladipatmos@gmail.com

Nous vous remercions du soutien que vous souhaitez offrir à notre service apostolique.

Les Pères Patmos Island

.

.

.

.

.

Gabriele Giordano M. Scardocci
De l'ordre des prédicateurs
Presbytère et théologien

( Cliquez sur le nom pour lire tous ses articles )
Père Gabriel

Le royaume de Dieu vous sera enlevé et donné à un peuple qui en produira les fruits.

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

A VOI SARÀ TOLTO IL REGNO DI DIO E SARÀ DATO A UN POPOLO CHE NE PRODUCA I FRUTTI

Oggi il Nuovo Popolo di Dio siamo tutti noi, c'est-à-dire que nous nous sommes unis dans son baptême, que Dieu demande de porter du fruit, donc devenir fructueux. De cette manière, chacun de nous devient le gardien et le protecteur de cette vigne., che è la nostra Chiesa Cattolica e la Chiesa locale in cui siamo attivi.

 

Auteur:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

.

Article au format PDF imprimable

 

 

Chers lecteurs de L'île de Patmos,

siamo tutti nati e cresciuti all’interno di una nazione e una città. Questo essere insieme ad altri ha costruito un pola nostra identità. Siamo diventati “Io” grazie anche a molti “Tu”, nostri concittadini. Siamo poi stati battezzati e così inseriti all’interno di una comunità ecclesiale particolare e in generale, figli della Chiesa Cattolica. Siamo stati così affidati a una comunità particolare, una Chiesa locale costituita innanzitutto dalla nostra famiglia. Oggi siamo adulti, ci viene chiesto di essere coloro che costruiscono e custodiscono la Chiesa. Questa è la sintesi del Evangile d'aujourd'hui.

I vignaioli omicidi, catechismo francese illustrato del XX sec.

Ancora una volta Gesù decide di proporre questo insegnamento in parabole. Così racconta una parabola un poviolenta, si nous voulons. Il padrone di un terreno consegna la propria vigna a dei contadini perché la coltivino e portino frutto. Giunto il momento di ritirare il raccolto, invia diversi servi: prima pochi, poi molti. Questi vengono uccisi. Infine viene ucciso l’ultimo inviato, cioè il figlio del padrone.

A questo punto Gesù dialoga con gli anziani e i capi del popolo circa la sorte di questi contadini. Essi gli offrono una risposta che sembra chiara: al ritorno dello stesso padrone, i contadini omicidi verranno puniti e uccisi. Citando il salmo 118, celeberrimo, Gesù offre loro la risposta definitiva:

« Je dis: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti»

La risposta di Gesù è fortissima: non saranno più solo i capi del popolo ebraico e i sacerdoti a mantenere l’alleanza con Dio. Ci sarà un nuovo regno di Dio, una nuova vigna, dunque un nuovo popolo di Dio che sarà fecondo e porterà frutti.

Gesù viene dunque a gettare le basi della Sua Chiesa, che riceverà e manterrà l’ultima ed Eterna Alleanza, il Nuovo ed Eterno Patto fra Dio e l’uomo. Dunque un Nuovo Popolo di Dio, che non coinciderà esclusivamente con i circoncisi.

En fait, oggi il Nuovo Popolo di Dio siamo tutti noi, c'est-à-dire que nous nous sommes unis dans son baptême, que Dieu demande de porter du fruit, donc devenir fructueux. De cette manière, chacun de nous devient le gardien et le protecteur de cette vigne., che è la nostra Chiesa Cattolica e la Chiesa locale in cui siamo attivi. Questa fecondità si realizza in diversi modi: innanzitutto con la pratica della carità e delle opere di misericordia spirituali e materiali. Anche l’esercizio delle virtù teologali e cardinali, con gli altri e in comunione con Dio, è un altro modo di essere fecondi. Perché la fecondità e fruttuosità è donare la grazia dell’amicizia e dell’amore di Dio agli altri. La bellezza della nostra fede ci chiede poi di donare questa grazia secondo una fecondità che è originale e tutta propria: dunque tutti noi diventiamo fruttuosi perché chiamati con la nostra bellezza ed unicità. Questa è una via bellissima con cui Dio ci chiede di essere parte della Chiesa: né dominanti né passivi ma fruttuosi. Aperti al progetto di Dio ma senza per questo diventare robot.

Come scriveva John Stuart Mill: «Tutte le cose buone che esistono sono frutto dell’originalità».

Chiediamo al Signore di diventare quel nuovo popolo di Dio in grado di entrare nella preghiera silenziosa, ascoltare la voce del Tu Eterno di Dio, e portare questa voce in un mondo che cerca l’amore senza fine.

Ainsi soit-il

Santa Maria Novella à Florence, 8 octobre 2023

.

.

Abonnez-vous à notre chaîne Jordan du club théologique réalisé par le Père Gabriele en cliquant sur l'image

 

LES DERNIERS EPISODES SONT DISPONIBLES DANS L'ARCHIVE: QUI

.

Visitez les pages de notre boutique de livres QUI et soutenez nos éditions en achetant et en distribuant nos livres.

.

.

.

______________________

Chers lecteurs,
ce magazine nécessite des frais de gestion auxquels nous avons toujours été confrontés uniquement avec vos offres gratuites. Ceux qui souhaitent soutenir notre travail apostolique peuvent nous envoyer leur contribution par le moyen pratique et sûr Pay Pal en cliquant ci-dessous:

Ou si vous préférez, vous pouvez utiliser notre
compte bancaire au nom de:
Éditions L'île de Patmos

n Agence. 59 De Rome
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Pour les virements bancaires internationaux:
Code SWIFT:
BAPPIT21D21

Si vous effectuez un virement bancaire, envoyez un mail à la rédaction, la banque ne fournit pas votre e-mail et nous ne pourrons pas vous envoyer de message de remerciement:
isoladipatmos@gmail.com

Nous vous remercions du soutien que vous souhaitez offrir à notre service apostolique.

Les Pères Patmos Island

.

.

.

De l'homo Sapiens aux paysans meurtriers de la vigne du Seigneur

Homilétique des Pères de l'île de Patmos

DAL’HOMO SAPIENS AI CONTADINI ASSASSINI NELLA VIGNA DEL SIGNORE

I nostri antenati sapiens quando iniziarono a domesticare quelle specie animali e quei pochi semi che ancora ritroviamo sulla nostra tavola non potevano immaginare il particolare legame che si sarebbe creato fra l’uomo e la coltivazione della vite. Un rapporto che sa di alleanza e perciò di passione, di cura e perfino di amore. Ricordo i contadini che ho conosciuto, quando volevano esprimere la fatica del loro specifico lavoro dicevano: «La terra è bassa!». Perché non solo ti devi chinare verso di essa, ma anche assecondarla e lavorarla con grande fatica.

.

 

 

 

 

 

 

 

.

Article au format PDF imprimable

.https://youtu.be/4fP7neCJapw

.

Gli storici dell’evoluzione dicono che il passaggio all’agricoltura per la nostra specie ebbe inizio in un periodo che va dal 9500 all’8500 a.C. in una regione collinosa situata tra la Turchia sudorientale, l’Iran occidentale e il Vicino Oriente. Prese il via lentamente e in un’area geografica piuttosto ristretta. Il frumento e le capre furono domesticati approssimativamente intorno al 9000 C.A.; piselli e lenticchie intorno all’8000 a.C.; gli ulivi nel 5000 C.A.; i cavalli nel 4000 C.A.; e la vite nel 3500 a.C. Proprio del terreno che dalla vite prenderà nome di vigna parlerà Gesù nel brano evangelico di questa ventisettesima domenica del tempo ordinario.

« À ce moment-là, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: «Avranno rispetto per mio figlio!». Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: «Costui è l’erede. Le sien, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!». Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Ils lui ont répondu: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». Et Jésus leur dit:: «Non avete mai letto nelle Scritture: «La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi»? Par conséquent je vous dis: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (Mont 21,33-43).

I nostri antenati sapiens quando iniziarono a domesticare quelle specie animali e quei pochi semi che ancora ritroviamo sulla nostra tavola non potevano immaginare il particolare legame che si sarebbe creato fra l’uomo e la coltivazione della vite. Un rapporto che sa di alleanza e perciò di passione, di cura e perfino di amore. Ricordo i contadini che ho conosciuto, quando volevano esprimere la fatica del loro specifico lavoro dicevano: «La terra è bassa!». Perché non solo ti devi chinare verso di essa, ma anche assecondarla e lavorarla con grande fatica. Quando invece iniziavano a parlare della vigna e del vino che avevano spillato il discorso cambiava, il ricordo della fatica e della dedizione sparivano: apparivano ripagati, diventavano orgogliosi del frutto della vite ricavato e perciò gelosi della loro vigna. È possibile che questa esperienza primordiale abbia ispirato gli autori biblici, in particolare i profeti, quando cantarono in più occasioni lo speciale legame fra l’agricoltore e la vigna in quanto allegoria dell’alleanza fra Dio e il suo popolo Israele. Il brano indubbiamente più famoso è quello riportato nella prima lettura di questa domenica tratto dal profeta Isaia:

«Je veux chanter pour mon bien-aimé mon chant d'amour pour sa vigne. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, au lieu, acini acerbi. Et maintenant, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici fra me e la mia vigna. Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?» (Est 5,1-4).

Così quando Gesù iniziò a raccontare gli ascoltatori intesero istantaneamente di cosa stesse parlando a differenza nostra che quella immediatezza l’abbiamo persa e necessitiamo di molte spiegazioni. Infatti la comprensione della parabola detta “dei vignaioli omicidi” ha rappresentato un momento significativo nella storia dell’esegesi cristiana. C’è stato un tempo, non molto distante dal nostro, in cui si è pensato che il versetto «Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» costituisse una vera punizione per Israele e un attacco da parte di Gesù al giudaismo, cosicché la Chiesa non fosse da considerarsi come un nuovo Israele subentrato al vecchio, mais le vrai1, come l’aveva pensato Dio fin dall’inizio. Ma in tutto il Vangelo di Matteo quest’attacco non si evince e così quella interpretazione è oggi ritenuta obsoleta. Come pure l’idea discendente dalla precedente che Israele in quanto popolo fosse stato rifiutato da Dio. Certo Gesù stava parlando nel tempio rivolgendosi agli anziani e ai capi dei sacerdoti e le sue parole riportavano la pesante punizione causata dal rifiuto degli emissari del padrone della vigna. Essi erano quegli inviati di cui parlerà in Mont 23,34: «Perciò ecco, io mando a voi profeti, sapienti e scribi: de ces, alcuni li ucciderete e crocifiggerete, altri li flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città». Soprattutto Gesù annunciò l’uccisione del figlio. Ma si stava rivolgendo ai chef religieux, quelli che chiamerà guide cieche (cf.. Mont 23,16) e poiché ora la parabola è presente nel Vangelo quelle parole varranno sempre per la Chiesa ed i suoi responsabili. In particolare la vigna che è l’Israele santo di Dio, il popolo eletto, non sarà incendiata o devastata come la città di cui si parlerà nella parabola seguente (Mont 22,7) ma anzi è lì pronta per dare frutti buoni; solo, non saranno gli attuali vignaioli a coglierli: la vigna, il popolo dell’alleanza, verrà affidata ad altri contadini. Perciò tutte le parabole di Gesù e questa in particolare vanno considerate come opere aperte. Rinchiuderle dentro un’unica interpretazione, comme un letto di Procuste, farebbe loro torto perché il valore sta nell’inquietudine che continueranno a suscitare, unita alle domande che incalzeranno la fede dei discepoli e la loro sequela, affinché siano continuamente spronate.

Gesù iniziò il racconto dicendo che c’era un uomo, un proprietario ― il termine oikodespotes (οἰκοδεσπότης) può significare anche un padre di famiglia, infatti la Vulgata tradusse: Homo erat pater familias ― che piantò una vigna e la dotò di tutto il necessario, quindi l’affidò a dei vignaioli e partì. Il verbo apodemeo (ἀποδημέω à partir duquel ἀπεδήμησεν du v.33) indica qualcuno che va fuori della patria, all’estero, allontanandosi dalla propria abitazione. Quest’uomo partì portando con se il pensiero e il ricordo della vigna, così quando venne il tempo dei frutti mandò dei servi a richiederli, ma furono brutalmente trattati dagli affidatari. Evidentemente si erano convinti nell’animo che il padrone essendosene andato si fosse anche scordato della vigna e che questa ormai fosse loro, così se l’erano accaparrata sostituendosi al vero proprietario. Ma in fondo questi rivendicava solo i frutti, non stava pretendendo la proprietà. Con una pazienza che parrà incredibile se non fosse ascritta a Dio egli inviò di nuovo servi in numero maggiore e pure questi subirono la stessa sorte dei precedenti. I lettori del Vangelo che a questo punto già sentiranno montare la rabbia per il sopruso, speranzosi di vedere il ristabilimento della giustizia anche con l’uso della forza, si troveranno impreparati e spiazzati nel leggere che il padre starà per mettere a repentaglio la vita del suo proprio figlio. Ma il proprietario della vigna, ormai lo sappiamo, è un padre fuori dell’ordinario, come dirà la preghiera di colletta di questa domenica: Egli aggiunge «quello che la preghiera non osa sperare». Così non mandò altri emissari come rappresentanti, ma inviò direttamente suo figlio mosso da un’intima speranza: «Avranno rispetto per mio figlio!».

Sappiamo come le cose andarono a finire, è inutile ripeterlo. Il particolare dell’omicidio compiuto al di fuori della vigna rimase scolpito nella memoria degli autori del nuovo testamento e così lo menzionarono quando si trattò di raccontare la morte di Gesù (cf.. Mc 15,20; Mont 27,31, Mib 13,12) oppure quella di Stefano (cf.. À 7,58). Il figlio espulso dalla vigna fu il segno tangibile del rifiuto della volontà divina e della sostituzione che quei contadini vollero perseguire: «Costui è l’erede. Le sien, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!».

Le successive parole di Gesù introdotte dalla domanda circa la sorte di quei vignaioli omicidi si prenderanno tutta l’attenzione e, come abbiamo più su riportato, anche quella della futura esegesi, facendo passare sotto silenzio un particolare non di poco conto a cui Gesù aveva accennato e che potrebbe rappresentare invece il cuore della parabola, quello che illuminandola le dà senso, ancor più della stessa eliminazione e sostituzione dei vignaioli malvagi. Questo particolare fa riferimento al pensiero del padrone della vigna che si aspettava rispetto verso il figlio inviato. Il verbo entrepo, εντρέπω du v. 37 nella forma attiva significa mutare, monnaie, tornare di senno e in quella passiva, come sta nel Vangelo: commuoversi, portare rispetto, esitare. La Vulgata scelse aver timore e riportò: “Verebuntur filium meum“. In qualsiasi modo si voglia tradurre quel desiderio esplicitato, è chiaro che il padrone della vigna non si attendeva la morte violenta del figlio. Quello era il suo sogno, il sogno di Dio. Nel Vangelo di Matteo già Giuseppe e poi i Magi (cf.. Mont 1,20; 2,12-13) prestando ascolto a un sogno poterono salvare Gesù. Avevano così compiuto la volontà di Dio. Cosa sarebbe accaduto se Pilato avesse ascoltato il sogno della moglie (cf.. Mont 27,19) narrato nel racconto della passione: egli avrebbe risparmiato Gesù dalla condanna? Quella frase della parabola, apparentemente innocente, mette in crisi alcune facili e inappropriate teologie della redenzione. In essa vi leggiamo non solo la speranza che Israele si converta, ma anche che il figlio venga risparmiato.

Naturalmente senza dimenticare che per tre volte Gesù mostrerà di salire volontariamente, liberamente e consapevolmente a Gerusalemme (cf.. Mont 16,21-23), dove vi avrebbe incontrato la morte che accetterà ancora più decisamente nel Getsemani: «avvenga la tua volontà» (Mont 26,42). Addirittura Matteo rilesse la sua consegna alla luce delle Scritture: «Tutto questo è avvenuto perché si compissero le Scritture dei profeti» (Mont 26,56). Non si potrebbe però pensare, sempre nella logica del racconto matteano, che il progetto iniziale non fosse questo, quanto piuttosto quello di cui parlerà lo stesso Gesù ― in verità dopo tutti e tre gli annunci della passione ― accennando a una palingenesi (cf.. Mont 19,282 e 25,31-46); che egli avrebbe voluto far avanzare restaurando l’Israele di Dio? Quando il piano però cominciò a deteriorarsi, allora Gesù, come il figlio della parabola, mostrerà di amare tanto la sua vigna al punto di morire per essa. Ci torna in mente il commento di Sant’Ambrogio: "Baume, vigna meritevole di un custode così grande: ti ha consacrato non il sangue del solo Nabot ma quello di innumerevoli profeti, e anzi quello, tanto più prezioso, versato dal Signore»3. La parabola, alors, che insistette sulla misericordia del padrone, lasciò emergere anche sullo sfondo l’offerta gratuita del figlio.

Questa parabola risuona certamente come un giudizio di Dio, non però sul popolo d’Israele, ma su quei capi del popolo che hanno rigettato e condannato Gesù. Matteo, en fait, registrerà subito dopo la loro reazione; cercarono di catturarlo ma ebbero paura della folla e per questo rimandarono di qualche giorno il loro piano, attendendo una situazione più propizia (nella notte e nel Getsemani, dove non ci sarà la folla dei suoi seguaci; cf.. Mont 26,47-56). Avevano infatti compreso che quella parabola individuava proprio in loro i vignaioli omicidi. Ma la parabola dice che questo sarà pure il giudizio sulla Chiesa, soprattutto sui suoi capi. La vigna è stata tolta a quei capi di Israele e data una nuova collettività umana (éthnos, senza articolo del v.43): la comunità dei poveri nello spirito, dei miti che, secondo la promessa del Signore, ils hériteront de la terre (cf. Mont 5,5; Doit 37,11), a quel popolo umile e povero costituito erede per sempre dal Signore (cf. Sof 3,12-13; Est 60,21; Allemagne 30,3).

È molto importante sul piano teologico capire che la funzione della forma matteana della parabola non è quella di esaltare il cristianesimo rispetto al giudaismo, ma piuttosto di lasciare aperta la risposta alla rinnovata offerta di riconciliazione fatta dal Cristo innalzato. Dans un sens, la Chiesa si trova in una posizione analoga a quella d’Israele. In un altro senso, Toutefois, essa ha già fatto esperienza del miracoloso intervento di Dio. La pietra scartata costituisce ora la testata d’angolo. Sarà questa generazione di cristiani ad accogliere il regno di Dio e a produrre frutti di giustizia, oppure esso le sarà tolto per essere affidato ad un’altra? Il già citato Ambrogio di Milano vedeva che il pericolo di incorrere nel castigo è per tutti, anche per i cristiani: «Il vignaiolo è senza alcun dubbio il Padre onnipotente, la vite è Cristo, e noi siamo i tralci: ma se non portiamo frutto in Cristo veniamo recisi dalla falce del coltivatore eterno»4. A dit ceci, è chiaro che la parabola è cristologica e teologica. Il figlio del padrone della vigna è caratterizzato con quegli attributi, come l’idea dell’eredità, che sono tipici del linguaggio di Gesù quando voleva parlare di sé e del suo rapporto col padre; la sua morte fuori delle mura della città ovviamente ricorderà la fine del Messia. Ma la parabola dice molto anche a proposito del Padre: il suo giudizio, stranamente, tarda ad arrivare; Dio è rappresentato addirittura come fin troppo paziente. Qualsiasi ascoltatore del racconto, ai tempi di Gesù, sarebbe rimasto colpito da quella che potrebbe sembrare una debolezza di carattere. Quel Dio invece sa aspettare e continua a sperare in un cambiamento dei suoi vignaioli che potrebbero addirittura «rispettare suo figlio» (cf.. Mont 21,37). Diversamente da quanto facciamo noi Dio non si lascia demoralizzare da un rifiuto, insiste nella sua proposta di salvezza, Egli non vuole mai la morte del peccatore, ma che questi si converta e viva.

Vorrei concludere ricordando che la pregnanza di questa parabola fu colta in modo particolare da Benedetto XVI, in un momento che immaginiamo fu carico di emozione e di grande timore per lui. Dalla loggia della Basilica di San Pietro la sera della sua elezione così parlò di se stesso:

«Hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare e agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere»5.

Joyeux dimanche tout le monde.

de l'Ermitage, 8 octobre 2023

 

 

 

1 Trilling W., Il vero Israele. Studi sulla teologia del Vangelo di Matteo, Piemme, 1992

2 « Et Jésus leur dit:: “«In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele”».

3 Sant'Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca, New City 1978.

4 Sant'Ambrogio, au. cit.

5 Voir: https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2005/april/documents/hf_ben-xvi_spe_20050419_first-speech.html

 

 

Grotte Saint-Ange à Ripe (Civitella del Tronto)

 

.

Visitez les pages de notre boutique de livres QUI et soutenez nos éditions en achetant et en distribuant nos livres.

.

______________________

Chers lecteurs,
ce magazine nécessite des frais de gestion auxquels nous avons toujours été confrontés uniquement avec vos offres gratuites. Ceux qui souhaitent soutenir notre travail apostolique peuvent nous envoyer leur contribution par le moyen pratique et sûr Pay Pal en cliquant ci-dessous:

Ou si vous préférez, vous pouvez utiliser notre
compte bancaire au nom de:
Éditions L'île de Patmos

n Agence. 59 De Rome
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Pour les virements bancaires internationaux:
Code SWIFT:
BAPPIT21D21

Si vous effectuez un virement bancaire, envoyez un mail à la rédaction, la banque ne fournit pas votre e-mail et nous ne pourrons pas vous envoyer de message de remerciement:
isoladipatmos@gmail.com

Nous vous remercions du soutien que vous souhaitez offrir à notre service apostolique.

Les Pères Patmos Island

.

.

.

.

.