De Beatitudes en las montañas a amar a los enemigos en las llanuras

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

DALLE BEATITUDINI IN MONTAGNA ALL’AMORE PER I NEMICI IN PIANURA

«Chi usa la Parola di Gesù diversamente che agendo, da mal a Jesús, niega el sermón de la montaña, no implementa su palabra. Dal punto di vista umano ci sono infinite possibilità di intendere e di interpretare il sermone sulla montagna. Gesù conosce una sola possibilità: andare e obbedire»

 

 

 

 

 

 

 

 

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Dopo le beatitudini proclamate nel Vangelo di domenica scorsa, prosegue la lettura del sermone in pianura di Gesù redatto da Luca, nella parte in cui si accede al cuore del Suo discorso dove predomina l’etica dell’amore rivolto ai nemici, espresso nel donare gratuitamente, esente dal giudicare, propositivo quando invita a porgere un’altra guancia. Nel testo, al v. 31, è conservata la famosa «regola d’oro»: «Come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro».

L’intero discorso di Gesù, coi suoi comandi, si regge sul verbo agapao, Amaré. E i detti sono espressi secondo uno stile sapienziale con verbi soprattutto all’imperativo. Quello che alla fine emerge è il desiderio di Gesù di scardinare la logica della reciprocità. Leggiamo la pericope evangelica.

"En ese momento, Jesús dijo a sus discípulos: “A voi che ascoltate, digo: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; No condenar, y no será condenado; Perdonad y seréis perdonados. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio”» (Lc 6,27-38).

Dopo il «guai» (Lc 6, 26), speculare dell’ultima beatitudine, le parole di Gesù proseguono con una potente avversativa, «Ma a voi che ascoltate io dico» (v. 27), che apre la porta alla comprensione della sostanziale differenza della vocazione cristiana nel mondo. Al cuore di essa vi è l’amore per il nemico che forma l’inclusione dell’intero passo di Lucas 6, 27-35: «Amate i vostri nemici». Chi è il nemico nelle parole di Gesù? È colui che odia, maledice, maltratta ed esprime la sua inimicizia con la violenza fisica, con il furto, con la richiesta e la pretesa. Qualunque sia il modo di esprimersi dell’inimicizia la straordinaria proposta di Gesù che definisce la precipua differenza cristiana riposa nella risposta non violenta. Non una qualsiasi non violenza, ma una propositiva ed attiva, poiché essa, sottraendosi alla specularità, pone in essere un’azione positiva di segno opposto. Non ripetendo il gesto violento subìto il discepolo di Gesù esce dal mimetismo e dalla passività. Si tratta di fare qualcosa attivamente dopo un tempo nel quale si è subita passivamente la violenza; non ponendosi, sin embargo, di fronte all’altro come si fa in una lite o in un incontro di boxe. Non faccio quel che fa il violento, non lo tocco dove egli mi tocca e non gli permetto di toccarmi nello stesso posto. Eppure agisco a partire dal suo primo atto, vengo sul suo terreno e lì gli presento l’alterità. Questo testo ci sta dicendo cosa fare se l’obiettivo è quello di rendere possibile una relazione di alterità con qualcuno che soffre e che fa soffrire. Ciò è rappresentato emblematicamente dalle parole di Gesù sullo schiaffo che è forse il passaggio del brano più noto ed iconico: «A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra». Nel testo evangelico greco la parola usata per dire «altra guancia» non è quella che ci aspetteremmo, se ci trovassimo di fronte alla semplice simmetria: vengo colpito su una parte del volto, ti presento anche l’altra. Non è usato qui il vocabolo greco «éteros» usato nell’accezione di «ora l’uno ora l’altro». Qui il Vangelo adopera il termine «allos» che significa: otra, diverso. Non è, así pues, la seconda guancia, è una guancia altra. Non c’è una somma, prima la destra e poi la sinistra, ma occorre presentare una guancia differente. La grande novità di queste parole di Gesù rivelano che, se da un lato in una forma avversativa nello stesso tempo mite e potente, contrastano il sentire e il modo di agire mondano, dall’altro dicono che è possibile fare il bene del nemico, facendolo sentire una persona migliore, offrendogli la possibilità di emendarsi dalla violenza. Gli dico che può amarsi, perché in fondo sia l’offensore che l’offeso sono destinatari di un amore di cui non sospettavano la grandezza.

E qui ci soccorre la teologia cristiana sull’amore che ci aiuta a capire perché esso possa essere addirittura comandato, come nelle parole di Gesù. Perché il comando esprime anche una insospettata possibilità che Cristo per primo ha vissuto, non nella sola forma di provare un sentimento, ma nella concretezza delle azioni, mostrando di amare chi amabile non è, come i suoi nemici, rivelando così la fonte unica di quell’amore fino all’impossibile che è Dio Padre: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito… Gesù, sabiendo que su tiempo había llegado a pasar de este mundo al Padre, habiendo amado a los suyos que estaban en el mundo, los amó hasta el final" (Juan 3, 16; 13, 1). Così si esprimono anche diversi primi autori cristiani. Dio ha mostrato il suo amore per noi perché, mentre noi eravamo nemici e peccatori, Cristo è morto per noi (Ver Rm 5,6-11). Cristo sulla croce ha abbattuto la logica dell’inimicizia (cf.. Ef 2,14), Egli ha risposto agli oltraggi e alle violenze invocando il perdono sui suoi aguzzini (1punto 2,23; Lc 23,34). In questo senso l’amore può essere comandato, perché va inteso nella sua altezza e profondità: “Sé misericordioso, come il Padre vostro è misericordioso» (v. 36); ancor prima che nella sua estensione, anche se scopriamo che in questa rientriamo tutti, noi come il prossimo e addirittura il nemico: "Amarás a tu prójimo como a ti mismo" (MC 12,31). È anche significativo ed innovativo che Gesù abbia rielaborato, secondo Luca, la regola d’oro in forma positiva e non negativa come si trova invece in altri testi ed autori antichi: «Come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro».

Luca per definire la forza o capacità che permette di andare oltre la misura umana della reciprocità usa il termine «χάρις», curry (cf.. Lc 6,32.33.34; la Bibbia CEI traduce: «quale gratitudine vi è dovuta?»). Davvero l’amore che il cristiano riesce ad avere perfino verso il suo nemico è una grazia, è cioè un dono che viene da Dio.

Per concludere bisogna accennare a come le parole di Gesù, così esigenti, siano state variamente interpretate. Restringiamo il campo a due punti di vista. La posizione cattolica che opta per le due vie, quella della maggioranza che è invitata a seguire i precetti di Gesù e l’altra, più radicale ed esigente, per quei pochi che insieme ai precetti perseguono anche i consigli che sono lasciati alla libera opzione e richiedono uno stato di perfezione. Vi è poi la posizione dell’ortodossia luterana che ritiene «inattuale» il discorso della montagna o della pianura, poiché difficile da mettere in pratica fedelmente. Allo stesso modo della impraticabilità della legge mosaica esso mette in risalto la condizione peccatrice e dunque la necessaria apertura della fede alla grazia che salva. Giustamente a questa posizione, ma a questo punto direi anche alla cattolica, reagisce Dietrich Bonheffer nel suo libro teologico più famoso:

«Chi usa la Parola di Gesù diversamente che agendo, da mal a Jesús, niega el sermón de la montaña, no implementa su palabra. Dal punto di vista umano ci sono infinite possibilità di intendere e di interpretare il sermone sulla montagna. Gesù conosce una sola possibilità: andare e obbedire» (Sequela).

Le parole del teologo protestante interrogano ancora oggi la nostra coerenza e ci sfidano. Il discorso della pianura di Luca si può mettere in pratica, non grazie alle nostre capacità, ma con l’aiuto di Dio. L’etica cristiana è praticabile, purché tenga al centro la grazia che viene da Dio.

Dall’eremo, 23 Febrero 2025

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Los Padres de la Isla de Patmos

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Jesús resalta la fe al proponer problemas y bienvenidas

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

GESÙ METTE IN RISALTO LA FEDE PROPONENDO GUAI E BEATITUDINI

«Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. De cierto os digo: Muchos profetas y muchos justos han querido ver lo que miras, Pero no lo vieron, y escucha lo que escuchas, ma non lo ascoltarono

 

 

 

 

 

 

 

 

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In questa domenica si legge il testo delle beatitudini secondo la versione di Luca. Un brano che si differenzia da quello più noto, presente nel primo Vangelo, per il numero di beatitudini: quattro contro le otto di Matteo; e per la presenza di altrettanti «guai» che formano una precisa contrapposizione con le stesse.

Fra Angélico, las bienaventuranzas

Se a essere dichiarati «beati» sono i poveri, gli affamati, i piangenti e perseguitati, i guai si indirizzano ai ricchi, ai sazi, i ridenti e a coloro che sono lodati. Además, se le beatitudini di Matteo sono inserite nel cosiddetto Discorso della montagna (cf.. Mt 5,1), quelle di Luca sono pronunciate in un luogo pianeggiante (cf.. Lc 6,17). Leemos el texto.

"En ese momento, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne. Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, decía: “Beati voi, los pobres, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, allí, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, Rico, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. ¡ Ay de ti, che ora siete sazi, perché avrete fame. ¡ Ay de ti, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti”» (Lc 6,17.20-26).

Poiché non esiste altra pagina evangelica che abbia tanto interessato il pensiero e la cultura e sia stata oggetto di svariate interpretazioni, cercherò di mettere in evidenza il punto di vista dal quale Luca intende presentare le beatitudini di Gesù, ma anche i guai che ne seguono. Ellos, de hecho, sono necessari per spiegare le prime, le presuppongono e ne sono la loro controparte, cosicché le beatitudini, poste su questo sfondo negativo, risaltano meglio.

Subito dopo aver costituito i Dodici (Lc 6,12-16) Gesù pronuncia le beatitudini, che dunque assumono un valore particolarmente significativo per quel gruppo «ai quali diede il nome di apostoli» (Lc 6,13). Ellos, uniti a quelli che per primi seguirono Gesù, sono i destinatari immediati di queste parole: «Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva» (Lc 6,20). Però vi è anche una folla numerosa che stavolta ascolta il discorso, formata da ebrei e persone provenienti da zone non ebraiche, come le città fenicie di Tiro e di Sidone. Con questa annotazione l’evangelista non intende solo mostrare che la fama di Gesù si è estesa al di fuori dei confini di Israele, ma desidera prefigurare l’estensione post-pasquale, anche ai cosiddetti gentili, del messaggio di salvezza di Gesù. Además, poste immediatamente dopo l’annotazione che la folla «cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti» (Lc 6,19), le parole di Gesù che propongono beatitudini e guai intendono far risaltare la fede in chi lo segue e lo sta cercando, invece che la dimensione magica o interessata. Riportano le persone sulla terra e dunque sul piano delle scelte e delle responsabilità. Per questo il modo di parlare in pubblico di Gesù, come già in occasione dell’omelia nella sinagoga di Nazareth, ha un tono «kerygmatico» e pedagogico; invogliano a prendere posizione e predispongono anche a un’inevitabile divisione, poiché le parole di Gesù svelano i pensieri di molti cuori (cf.. Lc 2,34-35). Possiamo dire che la pagina evangelica che mette a diretto confronto, in un brutale vis-à-vis, poveri e ricchi, affamati e sazi, afflitti e gaudenti, perseguitati e gente ammirata, implica una necessaria scelta di campo, un’opzione che in definitiva è tra l’autosufficienza e la fiducia nel Signore, ovvero tra l’idolatria e la fede.

Di norma si pensa sia Matteo l’evangelista delle beatitudini, invece Luca nel suo scritto ne presenta ben quindici, due in più del suo collega e, fray el altro, è anche il solo che ci trasmette la beatitudine degli ascoltatori della Parola: «Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la custodiscono» (Lc 11,28). Questa è infatti la chiave per scorgere la beatitudine nelle varie situazioni vitali: ascoltare e custodire la parola e i segni di Dio, come la Vergine Maria per prima ha fatto.

En el Antiguo Testamento, in particolare nei Salmi e nella letteratura sapienziale, le beatitudini costituiscono quelle indicazioni date affinché l’uomo raggiunga il traguardo della felicità: «Beato l’uomo che non cammina in compagnia dei malvagi e nella strada dei peccatori» (Sal 1,1). Se si seguono si vivrà felici, ma se si preferisce un’altra strada iniziano i guai, che sono necessarie messe in guardia: non maledizioni, ma avvisi, come quelli che davano gli antichi profeti (Es 1,4; 5,8-24; 30,1; 33,1). Rispetto all’Antico Testamento, il Nuovo presenta a questo proposito alcune sostanziali differenze. Per Gesù non esistono particolari condizioni previe alle beatitudini, perché Egli dichiara già felici coloro che sono in una determinata situazione e non dice ad esempio: «siate poveri!». Si rivolge, chiamandolo beato, a chi povero lo è già. La beatitudine, o «macarismo» come viene definita in senso tecnico in modo da richiamare l’espressione greca, non stabilisce alcun comportamento previo perché è l’annuncio di una novità che viene da Dio e per questo difficile da cogliere a prima vista, é paradossale, non mondana e richiede la fede. In ciò risiede l’originalità e la differenza di senso che il Nuovo Testamento apporta. las bienaventuranzas, es decir, più che un’etica da mettere in pratica sono l’annuncio di una novità, un modo nuovo di vivere la vita e di pensarla, perché tutto è visto in rapporto a Dio, ovvero al suo Regno. Gastos, precisamente, potrebbe riscontrare beatitudine nei poveri, negli indigenti, nei sofferenti, nei perseguitati? O meglio ancora: come possiamo anche noi, nelle nostre personali povertà, nelle nostre sofferenze o dentro qualsiasi altra situazione faticosa, riconoscerci beati? Cosa permette di leggere una situazione e di giudicarla come benedetta e non invece una maledizione o una disgrazia? La beatitudine funziona solo per chi ha fede. Per usare un’immagine molto importante per la teologia della rivelazione, potremmo dire che servono gli occhi della fede (Por. Rousselot, Les yeux de la foi, 1910; tradicional. eso. Gli occhi della fede, Milano 1974).

Nella fede c’è la possibilità di vedere in un modo diverso, poiché essa rende capaci gli occhi di cogliere ciò che altrimenti rimane sotto la superficie. In forza della grazia il credente riconosce quei segni che Dio pone nella sua vita, de otra manera, senza la grazia, vede solo il fallimento, los muertos, hambre, desesperación. Con la fede in essi scorge, a pesar de todo, la presencia de Dios. È allora chiaro perché Gesù non pone condizioni all’essere beati. Solo una è la condizione previa: credere alla sua Parola.

Le parole di Gesù sono comprensibili alla luce del fatto che in Lui si manifesta davvero l’avvento del Regno di Dio. Beatitudini e guai sono lo sguardo di Dio su situazioni umane contraddittorie e ciò appare paradossale, poiché Egli vede ciò che l’uomo non scorge, sconvolgendo i parametri umani di valutazione. In fondo ciò che le beatitudini mettono in questione è il rapporto col presente che per alcuni si mostra pieno, soddisfacente e saturo (cf.. la Vulgata che traduce il «sazi» di Lc 6,25 con: «qui saturati estis») e per altri è desiderio ed attesa di un cambiamento. Questi sono i poveri che per la loro situazione di mancanza ed indigenza diventano i primi destinatari del Regno. La vera povertà non è l’indigenza o la miseria in sé, ma lo stato di chi, come gli עֲנָוִים (anawim i poveri e gli umili in ebraico) del Antiguo Testamento, sono capaci di accogliere Dio perché sanno di non avere nulla e di attendersi tutto da lui. Guai ai ricchi, dice jesus, quando sono schiavi delle ricchezze, perché ripongono in esse la sicurezza della vita e ritengono che il loro essere dipenda dall’avere (cf.. Lc 12,15: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, incluso si uno está en abundancia, su vida no depende de lo que posee"). Non a caso l’azione divina celebrata nel magníficat canta il Dio che «ha saziato (riempito) di beni gli affamati», mentre «ha rimandato vuoti i ricchi» (Lc 1,53). O come nel racconto metaforico di Lc 16,19-31 dove il ricco, sazio e gaudente, si contrappone a Lazzaro, pobre, hambriento, nudo, senza casa, mientras, nella prospettiva escatologica della parabola, i destini dei due sono completamente ribaltati. Quella parabola è un bel commento narrativo al discorso di Gesù che alterna beatitudini e guai.

Finalmente, la beatitudine nella povertà e nella fame non ci lascia comunque tranquilli o senza dolore per le situazioni che si rincorrono nel mondo e per la sorte di tanti, soprattutto quando a soffrire sono inermi e bambini. La fede e la fiducia in Dio, come scrive il Manzoni, non basta a tenere lontani i problemi, piuttosto «li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore». Una conclusione «trovata da povera gente», commenta lo scrittore (los novios, gorra. XXXVIII). Ma la parola beati, che noi leggiamo in greco, poiché il vangelo ci è stato trasmesso in quella lingua, Gesù l’ha pronunciata in aramaico e nella sua lingua non vuol dire solo felici, ma significa anche «dirigere, orientare, incamminarsi» e dove se non nel mondo? Non possiamo fuggire da questo mondo, bisogna starci e imparare a vedere cose che la maggior parte non vede, non tanto perché manca di un principio di fede, ma perché travolta dalla vita non ha più tempo di pensare.

C’è una particolare beatitudine ricordata da Matteo. Sono parole straordinariamente dense pronunciate da Gesù riferendosi alla capacità che abbiamo non tanto di separarci materialmente dalle cose, dal lavoro quotidiano, dalla famiglia, ma di saper vedere nel nostro ambiente, en la vida diaria, quello che superficialmente non si vede, quello che trascende la nostra visione immediata:

«Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. De cierto os digo: Muchos profetas y muchos justos han querido ver lo que miras, Pero no lo vieron, y escucha lo que escuchas, ma non lo ascoltarono!» (Mt 13, 16-17).

Dall’eremo, 16 Febrero 2025

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Los Padres de la Isla de Patmos

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Pedro, pescador experto hijo de pescadores, Lanza las redes sobre la palabra del hijo de un carpintero

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

PIETRO, Pescador experto hijo de pescadores, GETTA LE RETI SULLA PAROLA DEL FIGLIO DI UN FALEGNAME

Gesù, que era carpintero, No era un experto en pesca, Sin embargo, Simone el pescador confía en este rabino, que no le da respuestas, pero lo llama a confiar. La sua reazione davanti alla pesca miracolosa è quella dello stupore e della trepidazione: "Hombre, allontanati da me che sono un peccatore»

 

 

 

 

 

 

 

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Pietro era un ebreo credente e osservante, fiducioso nella presenza operante di Dio nella storia del suo popolo, e addolorato per non vederne l’azione potente nelle vicende di cui egli era, al presente, testigo. In tale frangente avviene il suo primo incontro con Gesù.

I Vangeli sinottici ci informano che Pietro è tra i primi quattro discepoli del Nazareno (Lc 5,1-11), ai quali se ne aggiunge un quinto, secondo il costume di ogni Rabbi di avere cinque discepoli (Lc 5,27: chiamata di Levi). Quando Gesù passerà da cinque a dodici discepoli (Lc 9,1-6), sarà infine chiara la novità della sua missione. Egli non è uno dei tanti rabbini, ma è venuto a radunare l’Israele escatologico, simboleggiato dal numero dodici, quante erano le tribù d’Israele. I Vangeli consentono di seguire passo dopo passo l’itinerario spirituale di Pietro. Il punto di partenza è la chiamata da parte di Gesù. Avviene in un giorno qualsiasi, mentre Pietro è impegnato nel suo lavoro di pescatore. Gesù si trova presso il lago di Genesaret e la folla gli fa ressa intorno per ascoltarlo. Il numero degli ascoltatori crea un certo disagio. Il Maestro vede due barche ormeggiate alla sponda; i pescatori sono scesi e lavano le reti. Egli chiede allora di salire sulla barca, quella di Simone, e lo prega di scostarsi da terra. Sedutosi su quella cattedra improvvisata, si mette ad ammaestrare le folle dalla barca. E così la barca di Pietro diventa la cattedra di Gesù. Quando ha finito di parlare, dice a Simone:

«”Prendi il largo e calate le reti per la pesca! Simone risponde: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”».

Gesù, que era carpintero, No era un experto en pesca, Sin embargo, Simone el pescador confía en este rabino, que no le da respuestas, pero lo llama a confiar. La sua reazione davanti alla pesca miracolosa è quella dello stupore e della trepidazione: "Hombre, allontanati da me che sono un peccatore» (Lc 5,8). Gesù risponde invitandolo alla fiducia e ad aprirsi ad un progetto che oltrepassa ogni sua prospettiva: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Rileggiamo questo emozionante racconto:

"En ese momento, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: "Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; pero por tu palabra echaré las redes ". Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, diciendo: "Hombre, allontanati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Y, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5,1-11).

Il racconto di Luca segue il canovaccio di MC 1,16-20 a cui si rifà, ma con inserzioni proprie e l’aggiunta di una scena che ricorda molto da vicino quella di Juan 21, dove lì è un Gesù ormai risorto a dialogare con Pietro per una definitiva chiamata a seguirlo. Mentre due domeniche fa abbiamo lasciato Gesù a Nazareth non compreso e addirittura rifiutato; qui invece le persone Lo cercano e Pietro, en particular, lascia tutto per seguire il Maestro. Fin da questo iniziale momento cogliamo la particolare attenzione e stima che l’evangelista Luca rivolge a questo discepolo; qualcosa che evidentemente aveva appreso ed ereditato dalla comunità primitiva. Notiamo infatti che, mentre in Matteo e Marco la formula di vocazione è al plurale, «Venite dietro a me, Los haré pescadores de hombres” (MC 1, 17; Mt 4,19), nel racconto lucano è alla seconda persona, De Peter. E sullo sfondo, nella pesca infruttuosa, già si intravedono metaforicamente le fatiche apostoliche delle prime comunità cristiane.

La narrazione della pesca miracolosa, de hecho, presenta i tratti di una catechesi sulla fede per mezzo della quale il Signore ribalta le situazioni umane chiuse e senza speranza. Pietro ne diventa il paradigma. Nelle sue parole, «abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla», non vi è solo amarezza e delusione per l’inane pesca, ma traluce anche un significato più forte che designa la spossatezza e la stanchezza fisica (cf.. el verbo κοπιάω (kopiao). Un’esperienza che troviamo di frequente nella Bibbia, soprattutto nei Salmi: «Sono stremato dai miei lamenti» (Sal 6, 7; cf.. también Sal 69, 4; Sal 127, 1); e che l’antico Israele più volte aveva sperimentato nel corso delle sue vicende. Vi è dunque uno spazio di delusione e di limite nel quale Dio agisce. Per quella parentela fra il presente testo e il capitolo 21 del evangelio de juan, più sopra ricordata, comprendiamo che senza la presenza del Signore i discepoli si affaticano inutilmente fino alla spossatezza. Ma Lui presente, che invita a gettare le reti nuovamente, tutto cambia. La prima trasformazione avviene nella fiducia del discepolo e qui è Pietro ad esplicitarla: «sulla tua parola calerò le reti» (Lc 5,4).

Ma di fronte alla pesca miracolosa sembra non basti lo stupore registrato (v. 9) da Luca, poiché Pietro sente di dover dire: «allontanati da me, perché sono un peccatore». Per alcuni ancora una volta dovrebbe soccorrerci il brano parallelo di Giovanni dove il dialogo fra il Risorto e Pietro, incentrato sull’amore, serve all’apostolo per guarire la ferita del rinnegamento nella notte della passione. Pero tal vez, simplemente, visto che qui l’Apostolo compare protagonista per la prima volta nel Vangelo, la richiesta di perdono è da intendersi come il riconoscimento della propria fragilità di fronte al manifestarsi della grandezza di Dio e al compimento della «sua parola». Ma ciò che ancor più colpisce è l’atteggiamento di Gesù verso il discepolo dal quale ha udito la confessione di colpevolezza. Non la sottolinea, non vi insiste, poiché essa non dice tutto della vita di Pietro, il quale dovrà passare attraverso molteplici confessioni. Gesù, più che sottolineare la peccaminosità del futuro apostolo, preferisce invitarlo alla fiducia ed alla sequela: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Qui conviene sottolineare il verbo usato da Luca per designare questa pesca di uomini e non di pesci, poiché in greco «zogreo» contiene in sé sia il vocabolo ζῷον (zoos vivos) che il verbo ἀγορεύω (agreuo, prendere a caccia o a pesca). Si tratta perciò di un prendere vivo, di un catturare lasciando vivi (cf.. vocabolario Rocci). In questo modo l’opera pastorale di Pietro e dei suoi soci (v.10), metaforicamente espressa tramite la pesca che era il loro mestiere originario – e qui torna alla mente l’abbondante pesca di Juan 21, 11: 153 grossi pesci tirati in barca, senza che la rete si divida – sarà un servizio alla vita. los que, attraverso il loro ministero, verranno raggiunti dal Vangelo, saranno attirati al Cristo, il vivente apportatore di vita: «io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Juan 10, 10).

 

Desde la ermita, 8 Febrero 2025

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Los Padres de la Isla de Patmos

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Quizás Jesús necesitaba ser limpiado y perdonado de pecados a través del bautismo.?

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

QUIZÁS JESÚS NECESITABA SER PURIFICADO Y PERDONADO DE LOS PECADOS MEDIANTE EL BAUTISMO?

La inmersión de Jesús en el Jordán es una señal que revela el destino que compartió el Verbo hecho carne: el de los pecadores. Como escribe Pablo: «El que no había conocido pecado, Dios lo trató como pecado en nuestro nombre., para que seamos justicia de Dios por medio de él.".

 

 

 

 

 

 

 

 

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Un episodio sorprendente, incluso vergonzoso, el del bautismo de jesus, lo que elimina cualquier duda sobre su historicidad.

Pietro Perugino Retablo de Sant'Agostino, bautismo de jesus, 1512

Juan en el Jordán impartió un bautismo de penitencia, según lo escrito en Lc 3,3. Jesús tal vez necesitaba ser perdonado de sus pecados? Para intentar responder, sigamos el hilo de la página del relato evangélico de este domingo, en la versión lucaniana.

"En ese momento, porque la gente estaba esperando y todo, sobre juan, Se preguntaban en sus corazones si él no era el Cristo., Juan respondió a todos diciendo: «Yo os bautizo con agua; pero viene el que es más fuerte que yo, cuyos cordones de sandalias no soy digno de desatar. Él os bautizará en Espíritu Santo y fuego".. Y aquí, mientras todo el pueblo era bautizado y Jesús, también recibió el bautismo, el estaba orando, el cielo se abrió y el Espíritu Santo descendió sobre él en forma corporal, como una paloma, y una voz vino del cielo: «Tú eres mi Hijo, el amado: He puesto mi placer en ti" (Lc 3,15-16.21-22).

En este pasaje evangélico notamos algunas peculiaridades. Sólo Lucas nos dice que Jesús recibió el bautismo de esta manera.: "cuando todo el pueblo fue bautizado" (3,21). Jesús, alineado como los demás, es el último de una larga procesión. La expresión "todo el pueblo" es típica del evangelista Lucas y no es una simple afirmación encaminada a exagerar la realidad para amplificarla.; en cambio tiene una profundidad teológica. El primer uso de esta expresión en la Biblia se encuentra en el libro del Génesis., en la historia del pecado de los habitantes de Sodoma:

«Los hombres de Sodoma se reunieron alrededor de la casa [en lote] de joven a viejo, todo el pueblo en su conjunto" (19,4).

Esta redacción recuerda la condición pecaminosa de todo un grupo de hombres, la complicidad en el pecado de una multitud específica. Lucas utiliza la expresión "todo el pueblo" para afirmar que el acontecimiento del bautismo de Jesús concierne en realidad a todo el pueblo de Israel., aquellos que fueron tocados por el testimonio de Juan el Bautista y más allá. La inmersión en las aguas del Jordán fue signo de conversión y penitencia, la actitud a la que todos fueron llamados a acoger la salvación. Pero San Lucas también parece mirar más allá del pueblo de Israel y deja entrever que es toda la humanidad la que está siendo convocada y abrazada..

En el misterio de la Navidad meditamos en la encarnación del hijo de Dios, su venida como hombre entre los hombres, asumiendo "en todo menos en el pecado" la verdadera naturaleza humana. Ponlo de esta manera, La inmersión de Jesús en el Jordán es una señal que revela el destino que compartió el Verbo hecho carne: el de los pecadores. Como escribe Pablo:

«El que no había conocido pecado, Dios lo trató como pecado en nuestro nombre., para que seamos justicia de Dios por medio de él." (2Cor 5,21).

Traducido con mayor fidelidad al texto griego., este pasaje de nuestro pasaje podría traducirse así: «Cuando todo el pueblo estaba sumergido, Incluso Jesús fue sumergido", como queriendo decir que Jesús se sumerge en la inmersión del pueblo. No sólo es miembro de su pueblo sino que se sumerge en su propia condición y es con este acto que inicia su ministerio público., demostrando su profunda solidaridad con nosotros los humanos, incluso en nuestra condición de pecadores.

Para el evangelista Lucas, entonces, El episodio del bautismo del Señor tiene una función teológica fundamental porque Jesús, incluso antes de ser tentado y luego comenzar su ministerio, comienza desde allí. Aunque este aspecto es más evidente en el Evangelio según Mateo, para el evangelista está claro que en este misterio se resumen los distintos pasos del Jordán ya completados en la historia de la salvación.. Del de Israel que huye de Egipto, para entrar en la tierra prometida, hasta su regreso de Babilonia después del exilio. El Jordán también parece fundamental para Jesús; Lo atraviesa para entrar en su misión., en una condición, al menos externamente, de penitencia. Todo quedará claro en el otro bautismo que aún le falta por recibir. (Lc 12, 50: «Tengo un bautismo en el que seré bautizado, y que ansiosa estoy hasta que se cumpla!»). Del bautismo en las aguas del Jordán al bautismo en la muerte y resurrección que es su Pascua, el Señor nunca ha dejado de sumergirse en las aguas de nuestra condición humana, a menudo pecaminosa, en las aguas turbulentas de nuestra existencia. Viene a sumergirse en nuestra pobre humanidad para depositar allí el amor infinito del Padre..

La otra peculiaridad del pasaje evangélico de hoy está representado por el hecho de que sólo Lucas nos dice que Jesús, recibió el bautismo, "él estaba orando". El propio Tercer Evangelio presta especial atención a este aspecto., ya que los momentos más decisivos del ministerio de Jesús están preparados o acompañados de una oración más intensa: su bautismo de hecho, la elección de los doce (Lc 6,12), La pregunta planteada a los Doce sobre quién es Jesús para el pueblo. (9,18), la transfiguración (9,28) y pasión (22,41-45). San Lucas no relata palabra alguna de esta oración de Jesús ni de lo que Dios le pudo haber comunicado. Sin embargo, de las palabras que bajaron del cielo, podemos entender que es una oración filial, este último aspecto es característico de la manera en que Jesús se relacionaba con Dios como Padre, Destacado aquí por Lucas y especialmente por el Cuarto Evangelio.: «Padre, ha llegado el momento: glorifica a tu Hijo para que el Hijo te glorifique a ti... Todas mis cosas son tuyas, y los tuyos son míos" (Juan 17, 1. 10). El Padre reconoce a Jesús como su hijo predilecto, con quien tiene una relación profunda que define y distingue la personalidad de Jesús desde niño: «No sabíais que en los negocios de mi Padre debo estar?» (Lc 2,49).

Finalmente, el contexto de la escena evangélica recuerda el libro del profeta Isaías y la vocación del elegido:

«Aquí está mi siervo a quien sostengo, mi elegido con quien estoy complacido. Puse mi espíritu sobre él; él traerá justicia a las naciones" (Es 42,1).

La misión del Siervo parte de la comunión y comunicación con el Padre y del don del Espíritu. El Espíritu Santo viene a dar testimonio solemne de la divinidad de Jesús en el momento de su realización., como cualquier hombre, el gesto penitencial, habiendo sufrido el bautismo de Juan. Durante su vida terrenal, Jesús nunca se mostrará tan grande como en la humildad de los gestos y de las palabras.. Una lección importante para nosotros que vemos las cosas de manera tan diferente. Seguir a Cristo significa emprender este camino de humildad, es decir, de verdad. Cristo, verdadero Dios y verdadero hombre, nos enseña la verdad de nuestro ser. También a nosotros los cristianos hemos recibido la gracia del Espíritu y también para nosotros hay una misión que realizar y un testimonio que dar.. Pedimos conocerla, cómo Jesús conoció el suyo en el Jordán y pudo vivirlo. para que esto suceda, el don del Espíritu debe pedirse siempre con insistencia:

«el comportamiento de Jesús que ora cuando viene el Espíritu, debe servir de ejemplo a los creyentes: De hecho, el don del Espíritu Santo es la petición esencial de la oración cristiana". (Gerard Rossé).

Desde la ermita, 12 Enero 2025

Bautismo del Señor

 

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Los Padres de la Isla de Patmos

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El misterio de la Navidad se encierra en un silencio que habla de la historia de la humanidad

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

IL MISTERO DEL NATALE È RACCHIUSO IN UN SILENZIO CHE PARLA ALLA STORIA DELL’UMANITÀ

Entrando anche noi nel silenzio di Betlemme e penetrando il Vangelo con amore e contemplazione scorgiamo dunque qualcosa di bello e di nuovo su Dio e su di noi, para que lo conozcamos mejor, pero también nosotros mismos, quienes somos, quale mistero alberga in noi, quale senso e valore ha la nostra vita e quella dell’intero universo.

 

 

 

 

 

 

 

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La moda nata negli Stati Uniti di festeggiare in anticipo il sesso del nascituro si è presto propagata anche da noi. Ma nessun baby shower o gender reveal party per il Santo Bambino Gesù.

Più seriamente e anche più profondamente nel Natale del Signore, soprattutto nelle tre liturgie che contraddistinguono questa Solennità, viene svelato qualcosa del mistero di Dio e dell’uomo a partire da quello fontale, sorgente di tutti i misteri storici, che è il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio. Leggiamo perciò il brano proclamato nella Messa della Notte di Natale, secondo il Vangelo di Luca:

"En aquellos días salió un edicto de César Augusto que se levantara un censo de toda la tierra. Este primer censo se hizo cuando Cirenio era gobernador de Siria.. Todos fueron a inscribirse, cada uno en su ciudad. José también, de Galilea, dalla città di Nàzaret, subió a Judea a la ciudad de David llamada Belén: de hecho, pertenecía a la casa y familia de David. Tenía que estar registrado junto con María., su novia, que estaba embarazada. Mentre si trovavano in quel luogo, tiempo vino para su alumbramiento. Y dio a luz a su primer hijo, Se envolvió en ropa Swaddling y lo acostó en un pesebre, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, Pero el ángel les dijo:: “No tengas miedo: allí, os doy nuevas de gran alegría, que será para todas las personas: hoy en día, la Ciudad de David, nace un Salvador, que es Cristo el Señor. Esta señal para ti: A encontrar al niño envuelto en pañales, adagiato in una mangiatoia”. E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”» (Lc 2,1-14).

Questo conosciutissimo ed emozionante testo proclamato come Vangelo nella Messa della Notte di Natale lascia a una prima lettura alquanto delusi. Esperaríamos, almeno dai personaggi principali, qualche parola, una spiegazione o esternazione dei loro sentimenti. Essi invece rimangono muti e tutta la scena è avvolta da un grande silenzio. Tace Giuseppe che dalla sconosciuta Nazareth sale alla più nota e significativa città di Davide denominata Betlemme, a motivo del censimento. Ma nulla dice di sé, di quel che prova o percepisce. Muta rimane Maria, la sua sposa, che l’accompagna nel viaggio e silenziosamente da alla luce il suo figlio primogenito. Non ci vengono riferiti i suoi sentimenti, cosa si muoveva nel suo cuore. Solo che partorisce fuori dell’albergo, costretta a poggiare il Bambino in una povera greppia di animali. Y, naturalmente, non si ode alcun vagito del Bambino appena nato. L’insieme della scena narrata presenta tutta una serie di umili gesti scanditi dal silenzio. Mentre sullo sfondo si proiettano le azioni del potere di Cesare Augusto che vuole che il censimento raggiunga le provincie più lontane. Anche Luca, l’evangelista scrittore, non proferisce alcun commento, come a sottolineare un’estrema misura perfino nella povertà dei mezzi espressivi. Fuori della scena emergono i pastori, intimoriti dall’apparizione di un angelo, sono ammutoliti anch’essi. Solo il messaggero celeste rompe il silenzio annunciando la grande gioia: «E’ nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore». E poi la moltitudine dell’esercito celeste loda Dio proclamandone la gloria nei cieli e la pace sulla terra degli uomini.

Il silenzio è la chiave, in quanto ogni mistero di Dio da esso scaturisce e ad esso ci riporta. Poiché non è semplice, né facile dire Dio, chi Egli sia o descriverlo, il silenzio allora sta lì a segnalare che certe realtà vanno prima di tutto contemplate e lungamente adorate. Questo ci aiuta a comprendere l’apparente e stridente contrasto fra la povertà silenziosa della scena centrale della pagina evangelica e la magnificenza di ciò che le sta intorno. In essa è contenuto il mistero di Dio che va contemplato ed adorato.

Ed è in questo contesto che si rivela, ovvero si solleva il velo sulla singolare manifestazione di Dio, la cui prima caratteristica è indubbiamente la capacità di sorprendere. Chi si sarebbe atteso da Dio un Bambino in fasce? Quale sovrabbondante messaggio Egli porta, quale luce propaga? Ad andare oltre sembra invitarci il brano evangelico, al di là delle dimesse apparenze, per scoprire la ricchezza divina che riposa non nel frastuono, sia esso il bando del censimento di allora, o tutto ciò che oggi fa audience o moltiplica i followers, bensì nella «sottile voce silenziosa» di cui Elia fece esperienza (1Re 19, 12), nella quale Dio si rivela all’anima capace di meditazione e contemplazione delle scritture e del mistero in esse contenuto.

Di seguito un secondo aspetto rivela di Dio la scena evangelica. E cioè che Egli venga qualificato da alcuni paradossi, da verità apparentemente al di là del buon senso comune e che il mondo accuratamente evita. Potrebbero essere espressi così: di fronte a Dio il piccolo appare spesso più importante del grande, il povero più del ricco, il disprezzato più di colui che è importante, il singolo più della moltitudine. Además, la povertà non è il male peggiore, dal momento che Dio l’ha permessa per il suo Figlio; todavía, ciò che sulla terra è solitudine e umiliazione, può essere grande e glorioso in cielo.

Ci accorgiamo, in modo tal, di entrare a poco a poco in una «teologia e antropologia cristiana», in un nuovo modo di capire Dio e l’uomo. In quell’abitudine, prima ricordata, di saper andare oltre scorgiamo che nel mistero di Betlemme dove tutto solo apparentemente è segreto e silenzio, parla in modo nuovo Dio all’uomo e si manifesta come Colui che ordinariamente è dalla parte del più piccolo e del più povero; come qualcuno la cui onnipotenza si mostra anzitutto nella bontà della tenerezza, nell’affidabilità e nella vicinanza ai più semplici e ai più umili. Comprendiamo così che gli siamo cari, noi fragili, deboli e poveri figli di Adamo. Tutto nella scena evangelica fa emergere dal silenzio un unico grande annuncio denso di significato: Dio ci ama gratuitamente, prima che noi lo amiamo e per il nostro bene ci viene incontro.

Entrando anche noi nel silenzio di Betlemme e penetrando il Vangelo con amore e contemplazione scorgiamo dunque qualcosa di bello e di nuovo su Dio e su di noi, para que lo conozcamos mejor, pero también nosotros mismos, quienes somos, quale mistero alberga in noi, quale senso e valore ha la nostra vita e quella dell’intero universo.

Nel mistero adorabile del Natale prendiamo coscienza che non siamo soli, che il Signore è venuto per noi e con noi rimane. Nonostante sentiamo i rombi di guerra d’intorno, il messaggio che Egli porta è quello della gioia e della pace. Una pace divina e non effimera che viene da Lui e attraversa i vissuti delle persone, delle nazioni e dei popoli.

Recentemente è stata avanzata una nuova idea nella riflessione teologica che tratta del mistero dell’incarnazione. Viene denominata «incarnazione profonda», o «radicale». Si tratta di una recente sensibilità teologica interessata a riscoprire la portata inclusiva e salvifica dell’incarnazione per l’intera creazione. Senza nulla togliere alle nuove acquisizioni, ricordiamo che su questo tema si sono confrontati in tanti, soprattutto i santi padri fin dall’antichità. E fra questi Sant’Ambrogio che commentava lo scritto dell’evangelista Luca con queste parole:

«È affinché tu potessi diventare un uomo perfetto che Gesù volle essere un bambinello. Egli fu stretto in fasce affinché tu fossi sciolto dai lacci della morte. Fu nella stalla per porre te sugli altari. Venne in terra affinché tu raggiungessi le stelle, e non trovò posto in quell’albergo affinché tu avessi nei cieli molte dimore. Egli da ricco che era si è fatto povero per noi, perché diventassimo ricchi della sua povertà. Questa indigenza di Dio è dunque la mia ricchezza e la debolezza del Signore la mia forza. Ha preferito per sé le privazioni per donare in abbondanza a tutti. Il pianto della sua infanzia in vagiti è un lavacro per me, quelle lacrime hanno lavato i miei peccati».

Feliz Navidad a todos.

Desde la ermita, 25 diciembre 2024

Dies Natalis Domini

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El diagnóstico ginecológico del doctor Luca.: "Y he aquí, concebirás en el útero"

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

DIAGNÓSTICO GINECOLÓGICO DEL DOCTOR LUCA: «Y HE AQUÍ, CONCEPTARÁS EN EL ÚTERO"

Una antigua tradición, que se remonta al apóstol Pablo, informa que Luca era médico. Una persona, así pues, más adecuado que otros para contar la concepción especial; de hecho San Lucas hace uso aquí de toda su sabiduría, tal vez incluso el profesional, pero sobre todo el teológico.

 

 

 

 

 

 

 

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El pasaje de la Anunciación, que es también la de la Vocación de María, es uno de los más bellos y profundos del evangelio de Lucas. Pero también uno de los más complejos y difíciles..

Una antigua tradición, que se remonta al apóstol Pablo (Columna 4, 14), informa que Luca era médico. Una persona, así pues, más adecuado que otros para contar la concepción especial; de hecho San Lucas hace uso aquí de toda su sabiduría, tal vez incluso el profesional, pero sobre todo el teológico. Leamos el pasaje.

"En ese momento, el ángel Gabriel fue enviado por Dios a una ciudad de Galilea, llamado nazaret, una virgen, desposada con un hombre de la casa de David;, llamado José. El nombre de la virgen era María. Entrando en la ley, dijo: “Alegrarse, lleno de gracia: el Señor es contigo;”. Ante estas palabras ella se molestó mucho y se preguntó qué sentido tenía un saludo como ese.. El ángel le dijo:: “No temas, María, porque has hallado gracia delante de Dios. Y aquí, concebirás un hijo, se le dará el nombre de Jesús. Será grande y será llamado Hijo del Altísimo.; El Señor Dios le dará el trono de su padre David, y reinará para siempre en la casa de Jacob y su reino no tendrá fin”. María dijo al ángel:: “¿Cómo sucederá esto?, porque no conozco a ningún hombre?”. El ángel le respondió: “El Espíritu Santo descenderá sobre ti y el poder del Altísimo te cubrirá con su sombra.. Por tanto, el que nacerá será santo y será llamado Hijo de Dios.. Y aquí, Isabel, su pariente, en su vejez también concibió un hijo y éste es para ella el sexto mes, que se decía que era estéril: nada es imposible para Dios”. María dijo:: “Aquí está el siervo del Señor.: que me suceda según tu palabra”. Y el ángel se alejó de ella" (Lc 1,26-38).

El Arcángel Gabriel es enviado por Dios comunicar a la Virgen María el anuncio de la inminente Encarnación. una maria, La prometida de José, se anuncia que ella será virginalmente madre del Hijo de Dios. El texto nos dice que Dios ya había preparado a María desde hacía mucho tiempo para esta misión suya., como Ella había experimentado haber sido "acogeda" (contento, Kexaritoméne) a Dio, a través de la influencia de la gracia. Este es el verdadero significado de aquello «Lleno de gracia», que aún hoy recitamos en la oración deAvemaría, pero muchas veces sin entender del todo su significado. El participio pasivo perfecto del verbo dibujos animados indica que es una acción pasada de gracia sobre María, una acción por tanto anterior a la Anunciación, a través del cual María sintió que estaba internamente orientada hacia un evento futuro aún desconocido. Santo Tomás de Aquino lo explica diciendo que experimentó dentro de sí un profundo "deseo de virginidad".; así también para San Bernardo de Claraval la gracia de María fue "la gracia de la virginidad". Orientada por esa gracia, María había sido preparada para este día: llegar a ser la madre del Hijo de Dios encarnado, pero de manera virginal.

Un nacimiento así parece paradójico y difícil de creer., tal vez incluso solo imagine. Sin embargo, San Lucas, en el texto del evangelio, nos ofrece pistas importantes para que podamos aceptar esta verdad, como nos enseña toda la Tradición. Echemos un vistazo más de cerca al versículo de Lc 1,31 que se lee en griego: "Y he aquí, concebirás en el útero". Esta adición, «en el útero», es singular, poco notado y a menudo sin traducir, como hemos visto en el texto de la CEI que hoy se proclama en la iglesia. No hay ninguno ya que parece una integración pleonástica., porque es evidente que la mujer siempre concibe en el vientre. Sin embargo, el comienzo del verso se integra bien en la descripción general de los tres momentos.:

  1. Concebirás en el útero;
  2. darás a luz un hijo;
  3. llamarás su nombre Jesús.

solo maria, a lo largo de las Escrituras, recibe el anuncio de que su concepción se producirá íntegramente "en el útero", por tanto será completamente interna y por tanto será una concepción virginal. veamos por qué.

el verso Se refiere claramente a la profecía de Isaías. 7, 14 (versión LXX), también retomado por Matteo (1,23) durante el anuncio a José en un sueño:

"Aquí la virgen tendrá en su seno y dará a luz un hijo y le pondrán por nombre Emanuel".

en san luca, ya que es un diálogo entre el Ángel y María, se utiliza la segunda persona (concebir) y el tema es claramente maría, Ya no es la virgen de Isaías ni de San Mateo.. También porque al principio de la canción., fray el altro, ya se había dicho claramente dos veces que Ella era “virgen, prometido"; y que "la virgen se llamaba María". Pero lo más sorprendente es el uso que hace Lucas del verbo. No más "tendrás en tu vientre" como en Isaías y Mateo, pero "concebirás en el útero". Una nueva expresión que va en la dirección de excluir cualquier participación masculina, por lo tanto humano, desde esta concepción. En el Antiguo Testamento una mujer "recibe en el útero" (Es 8, 3) la semilla masculina, o «tiene en su vientre» (GN 38, 25) después de tener relaciones sexuales con un hombre. Pero aquí en Lucas está claramente excluido de las palabras de María.: "No conozco a ningún hombre" (Lc 1, 34) es decir, "soy virgen". Por eso San Lucas prefiere utilizar el verbo "concebir". (sullambánein), también muy frecuente en el Antiguo Testamento, pero siempre sin la adición "en el útero". De hecho, el evangelista utiliza dos veces el verbo "concebir", con la adición aparentemente superflua de "en el útero" y lo hace únicamente refiriéndose a María. no lo hace, por ejemplo, con Isabel (Lc 1, 24.36); para María, sin embargo, sí, en este pasaje y en Lucas 2,21:

«…como le llamaban [Gesù] del ángel, antes de ser concebido en el útero".

Sólo parecen palabras, sin embargo, aquí Lucas dice que la concepción de María será verdadera., PLANTA, como sugiere el resurgimiento del verbo antiguo: concebir; aun así será nuevo, única y diferente para María, es decir, sin participación humana, masculino, totalmente virginal. Es decir, se requería un "poder" diferente., una acción fertilizante de carácter espiritual. Esto es lo que el Ángel le explicará a María ante su verdadera objeción:

«El Espíritu Santo vendrá sobre vosotros y el poder del Altísimo os cubrirá con su sombra. Por tanto, el que nazca será santo y será llamado Hijo de Dios." (v. 35).

me disculpo si, dada la solemnidad de hoy, No me centré en el Dogma de la Inmaculada Concepción, sobre su importancia histórica y teológica, sobre el pecado original por ejemplo, como se hace a menudo. Me pareció más apropiado y convincente centrarme en los fundamentos bíblicos de los que todo fluye como un manantial.. Si nota, de hecho, en el pasaje de hoy del Evangelio de la Solemnidad, una buena continuidad. Del verso de Lc 1, 28, donde a la Virgen se le da el título de «Lleno de gracia», Sabemos que María, desde hace mucho, fue preparada por gracia para su futura misión. En el momento de la Encarnación, el Ángel le trae el gran y nuevo mensaje: su próxima concepción tendrá lugar "en el útero", es decir, sin participación humana. Será, por tanto, una concepción virginal., realizado en Ella por el Espíritu Santo. Su Inmaculada Concepción está, pues, admirablemente descrita por la larga preparación de la gracia en María con vistas a la Encarnación., "en su vientre", del Hijo de Dios. Hay pues una continuidad perfecta, bien presentada por el evangelista Lucas.. María, lleno de gracia, después de haber "concebido" y haber dado a luz "santamente" (v. 35) su hijo bajo la acción del Espíritu Santo, puede presentarlo a los hombres como el Hijo de Dios, cuyo nombre es jesus. Este es el gran misterio que finalmente es revelado a los hombres.. Pero en el centro de toda la historia está la Virgen María..

En este sentido las palabras del obispo Andrés de Creta son apropiadas (+740) referirse a maria:

«El cuerpo de la Virgen es una tierra que Dios sembró, las primicias de la materia adámica divinizada por Cristo, la imagen que se asemeja a la belleza primitiva, la arcilla moldeada por las manos del artesano" (homilía 1 sobre la Dormición de la Santísima Virgen María (PG 97,1068).

Desde la ermita, 8 diciembre 2024

Solemnidad de la Santísima Virgen María Inmaculada

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Y la venida de nuestro salvador Jesucristo

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

Y LA VENIDA DE NUESTRO SALVADOR JESUCRISTO

El primer domingo de Adviento es la puerta de entrada a un nuevo año litúrgico, esta vez designado con la letra «C», en el que los pasajes del Evangelio dominical serán tomados del Evangelio de Lucas …

 

 

 

 

 

 

 

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El primer domingo de Adviento es la puerta de entrada a un nuevo año litúrgico, esta vez designado con la letra «C», en el que los pasajes del Evangelio dominical serán tomados del Evangelio de Lucas.

este escrito constituye la primera parte de una sola obra, el segundo de los cuales son los Hechos de los Apóstoles. Al construir este complejo literario, Lucas quiso mostrar que la vida de la Iglesia tiene sus raíces en Cristo y encuentra en él su centro de gravedad.. No es casualidad que los Hechos comiencen resumiendo el tercer Evangelio de esta manera.:

«En la primera historia, Teófilo, Cubrí todo lo que Jesús hizo y enseñó desde el principio hasta el día en que fue llevado al cielo., después de haber dado instrucciones a los apóstoles que había elegido por el Espíritu Santo" (Hc 1,1-2).

Y entre "lo que Jesús hizo y enseñó" existe el discurso escatológico, el de las ultimas cosas, de donde se toma el perícope de este primer domingo de Adviento. vamos a leerlo:

"En ese momento, Jesús dijo a sus discípulos: «Habrá señales en el sol, en la luna y las estrellas, y en la tierra la angustia de los pueblos ansiosos por el rugir del mar y de las olas, mientras los hombres morirán de miedo y esperando lo que sucederá en la tierra. De hecho, las potencias de los cielos serán sacudidas. Entonces verán al Hijo del Hombre viniendo en una nube con gran poder y gloria.. ¿Cuándo empezarán a pasar estas cosas?, Levántate y levanta la cabeza, porque tu liberación está cerca. Tengan cuidado con ustedes mismos, que vuestros corazones no se agobien por la disipación, borracheras y preocupaciones de la vida y que ese día no te caiga encima de repente; de hecho caerá como una trampa sobre todos los que viven sobre la faz de toda la tierra.. Vigilad en todo momento orando., para que tengas fuerzas para escapar de todo lo que está por pasar, y presentarse ante el Hijo del Hombre" (Lc 21,25-28.34-36).

el capitulo 21 del evangelio lucano, construido alrededor del discurso escatológico del capítulo 13 por marco, es un ejemplo de ese género literario presente también en otros escritos del Nuevo Testamento y en particular en el último libro del canon cristiano.: el Apocalipsis. Es una forma de presentar la realidad que no debe asustarnos, pero tampoco debemos distraernos del mensaje que lleva y a veces oculta. Para encontrar una comparación musical, es como el Un día de ira de la Misa de Réquiem por Verdi. Primero intervienen todas las cuerdas y surge la percusión., tambores y bombos. Entonces de repente detuvieron el sonido y contemplaron, finalmente, el significado de lo que se hizo:

«Velad y orad en todo momento, para que tengas fuerzas para escapar de todo lo que debe pasar, y presentarse ante el Hijo del Hombre" (Lc 21,36).

Todo este movimiento, en la canción de hoy, parte de una apreciación aparentemente inofensiva hecha por algunos discípulos, al v. 5: “Mientras algunos hablaban del templo y de las hermosas piedras y ofrendas votivas que lo adornaban, [Gesù] dijo:

“Llegarán días en que, de todo lo que admiras, no habrá piedra sobre piedra que no sea destruida".

Entonces Jesús en lugar de sintonizarnos con la cuestión estética de la belleza del templo comienza un discurso escatológico sobre la ruina del mismo y de Jerusalén, sobre las catástrofes cósmicas y el regreso del Hijo del Hombre que abarca todo el capítulo hasta el versículo sobre la vigilancia que mencionamos, que lo cierra.

A lo largo de este discurso Jesús explica que la destrucción del templo no es una señal del fin del mundo (Lc 21,5-9), pero el comienzo de los "tiempos del pueblo" (cf.. tiempos de las naciones de Lucas 21,24), cuales son los tiempos de la historia, que terminará con la venida del Hijo del Hombre. San Lucas menciona rápidamente la parusía – “Entonces verán al Hijo del Hombre viniendo en una nube con gran poder y gloria” (Lc 21,27) – ya que prefiere centrarse en las reacciones de los hombres ante los acontecimientos escatológicos. Si el énfasis está en la historia., porque es el lugar donde el creyente está llamado a la esperanza, observando y orando, en medio de las tribulaciones, La venida gloriosa del Señor es vista por Lucas a través de las reacciones que produce en los hombres.. Eventos catastróficos en la naturaleza o la historia., en el cielo o en la tierra, que será causa de angustia y confusión, de espera ansiosa, de miedo y muerte para muchos hombres; para los creyentes, en cambio, podrían ser el signo del acercamiento de la salvación: «Levántate y levanta la cabeza, porque tu liberación está cerca" (Lc 21,28). Levantar la cabeza también significa levantar los ojos y ver lo que para muchos permanece invisible., esa salvación que avanza en medio de las tribulaciones que se despliegan en el tiempo. Ese "Reino" que surge de detrás de los escombros de la historia, fundada en la promesa del Señor que permanece firme incluso en la acumulación de ruinas "sobre la tierra" (Lc 21,25). Entonces no hay pesimismo, No es necesario hacer coincidir catástrofes naturales e históricas, por devastadoras que sean., como guerras, la pandemia, crisis ecológicas, con el fin del mundo, pero tampoco cinismo, No hay escapatoria del dolor y los absurdos de la realidad para refugiarse en una visión espiritista o ingenuamente optimista..

Por San Luca a todos, creyentes y no creyentes, están expuestos al riesgo de verse abrumados y aplastados por los acontecimientos que están por suceder, especialmente los creyentes si no velan y oran (cf.. Lc 21,34). Miedos colectivos, Las ansiedades planetarias que esclavizan a hombres y mujeres., haciéndolos presa de lo que pueda pasar – «los hombres morirán de miedo y de espera de lo que sucederá en la tierra» (Lc 21,26) – constituyen un drama escatológico que afecta a toda la ecúmene (oikoúmene: Lc 21,26 cf.. «la faz de toda la tierra» por Lc 21,35), incluso los discípulos.

La exhortación a la vigilancia entonces (Lc 21,34.36) es ante todo un llamamiento a la lucidez, a la sobriedad, no buscar modos de adormecerse e inmunizarse contra el peso y el dolor de la realidad y no dejarse embotar por el "ruido" de los acontecimientos y también por la seducción de ciertas narrativas, que aprovecha los miedos y las ansiedades para distorsionar la realidad presentando una alternativa, como lo experimentamos durante el período de la pandemia o ahora con las guerras en curso. vale la pena repetir; estos acontecimientos catastróficos que serán tomados como un signo del "fin" por muchos y, por tanto, un motivo de confusión, angustia, Miedo y muerte para muchas personas., Para los creyentes podrían ser un signo de la llegada de la salvación y de un nuevo comienzo en la vida., "porque tu liberación está cerca" (Lc 21,28). El creyente se levanta en la actitud de quien posee la esperanza nacida de la Resurrección de Cristo; y gracias a las seguridades del Señor vislumbra el significado de todo lo que sucede. Jesús recuerda a los discípulos que pueden dejarse abrumar por miedos y ansiedades: «Cuídense ustedes mismos, que vuestros corazones no se agobien por la disipación, embriaguez y preocupaciones de la vida". Son palabras que recuerdan lo que el Señor ya había anunciado en una parábola., reportado en el capitulo 8 por Lucas, sobre la semilla siendo asfixiada por las preocupaciones.

Termino aquí relatando las palabras del Papa Benedicto XVI. que, comentando este pasaje del evangelio, puso en duda el testimonio cristiano, similar a una ciudad a simple vista:

«La Palabra de Dios nos lo recuerda hoy, trazar la línea de conducta a seguir para estar preparados para la venida del Señor. En el Evangelio de Lucas, Jesús dice a los discípulos.: “No dejéis que vuestro corazón se vuelva pesado de disipación, embriaguez y preocupaciones de la vida... velad en todo tiempo orando" (Lc 21,34.36). Por lo tanto, sobriedad y oración. Y el apóstol Pablo añade la invitación a "crecer y abundar en amor" entre nosotros y hacia todos, para hacer nuestros corazones firmes e irreprensibles en santidad (cf.. 1ts 3,12-13). En medio de los trastornos del mundo, o a los desiertos de la indiferencia y el materialismo, Los cristianos acogen la salvación de Dios y dan testimonio de ella con un estilo de vida diferente, como una ciudad asentada en una montaña. “En aquellos días – anuncia el profeta Jeremías – Jerusalén vivirá en paz, y ella será llamada: Señor-nuestra-justicia” (33,16). La comunidad de creyentes es signo del amor de Dios, de su justicia que ya está presente y operando en la historia pero que aún no se ha realizado plenamente, y por eso siempre hay que esperar, invocado, buscado con paciencia y coraje" (Ángelus 2.12.2012).

Desde la ermita, 1° diciembre 2024

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Los Padres de la Isla de Patmos

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La cruz de Cristo Rey con el signo del triunfo sobre sus hombros

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

LA CROCE DI CRISTO RE CHE PORTA SULLE SUE SPALLE IL SEGNO DEL TRIONFO

Cristo portò per sé la croce, y para los malvados fue una gran burla pero para los fieles un gran misterio. Cristo lleva la cruz como un rey lleva su cetro, como signo de su gloria, della sua sovranità universale su tutti. La porta come un guerriero vittorioso porta il trofeo della sua vittoria

 

 

 

 

 

 

 

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Se Domenica scorsa è stato proclamato l’annuncio della seconda venuta di Cristo «sulle nubi con grande potenza e gloria» (MC 13, 26), hoy en día, nell’ultima Domenica di questo Anno Liturgico, riapriamo il Vangelo secondo Giovanni nel punto dove viene svelata una qualità peculiare del Signore veniente, la sua regalità. Il singolare contesto, la passione del Signore, e l’interlocutore, un funzionario imperiale, rendono particolarmente intrigante la comprensione della regalità che Gesù incarna.

Ciò che il mondo rappresentato da Pilato non può capire, lo comprende invece chi con fede si apre ad una rivelazione inusitata e sorprendente. Leamos el pasaje.

"En ese momento, Pilato disse a Gesù: "Tú eres el rey de los judíos?". Jesús respondió: "Dices esto por ti mismo, o tienen otras le ha hablado de mí?". Pilato dijo: "Quizás soy judío? Tu pueblo y los principales sacerdotes me han entregado. Qué has hecho?". respondió Jesús: "Mi reino no es de este mundo; si mi reino fuera de este mundo, mis sirvientes habrían luchado para evitar que me entregaran a los judíos; pero mi reino no es de aquí”. Entonces Pilato le dijo: "Entonces eres rey?". respondió Jesús: "Lo dices: Soy un rey. Para esto he nacido y para esto he venido al mundo:: para dar testimonio de la verdad. El que pertenece a la verdad, ascolta la mia voce”» (Juan 18,33-37).

Viene descritto qui il primo dei due confronti che Pilato ebbe con Gesù all’interno del Pretorio. Essi culmineranno in quella scena centrale di tutta la narrazione della passione secondo San Giovanni, avvenuta sul Litòstroto, dove Pilato pronunciò le parole: «Ecco il vostro Re» (Juan 19,14). Per dare risalto all’importanza della scena ed alla profondità di significato delle parole pronunciate, Giovanni annoterà che in quello stesso momento venivano preparati gli agnelli della Pasqua, nel giorno di Parasceve.

Nel brano evangelico di questa domenica Pilato, senza perder tempo, arriva subito al punto e alla questione cruciale che più gli interessa: «Tú eres el rey de los judíos?». Per il Prefetto romano, rappresentante del potere imperiale, questa domanda evidenzia una preoccupazione circa il governo dei suoi territori. In occasione della Pasqua ebraica, de hecho, il Prefetto si spostava, truppe al seguito, da Cesarea a Gerusalemme, proprio per scongiurare che una sommossa potesse destabilizzare l’ordine e la pax romana. Si embargo,, come diversi commentatori fanno risaltare, l’espressione «Re dei giudei» che Pilato utilizza può essere compresa, nel nostro brano, almeno in due altri modi, diversi da quello che egli probabilmente intende. I giudei, con quell’espressione, intendevano il re messia atteso fin dall’epoca di Davide per il tempo della salvezza, investito di una missione sia religiosa che politico-nazionale. Il termine Re ha qui, por lo tanto, in tale contesto, un significato terreno e storico, con anche un’allusione ad un contenuto teologico. Nella storia biblica, ambedue sono strettamente legati e impiegati l’uno per l’altro; tanto che i due significati giocheranno un ruolo decisivo nell’accusa rivolta a Gesù.

Ma bisogna tener conto del senso che le parole devono aver avuto per Gesù, particolarmente indicativo per la comprensione della festa di oggi. Sulla bocca di Gesù questo titolo rivela un nuovo significato, che solo San Giovanni mette in luce e fa risaltare. Gesù accettando il titolo e rispondendo: "Usted dice: Io sono re», nello stesso tempo nega il significato che Pilato vuole attribuirgli, per insistere invece sulla sua speciale regalità. Gesù si rifiuta di incarnare un messianismo terreno, come quello evocato già nelle tentazioni nel deserto, in particolare nella versione lucana della prova: «Il diavolo lo condusse in alto e, mostrandogli in un istante tutti i regni della terra, el le conto: «Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me tutto sarà tuo» (Lc 4,5-7). «Tutto il mondo appartiene a Satana, che è disposto a dare a Gesù il potere su tutti i regni della terra. Pero Jesús, fin dall’inizio della sua vita pubblica, rifiuta radicalmente di fondare un regno terreno» (cf.. Ignace de La Potterie, La passione di Gesù secondo il Vangelo di Giovanni, 1993). Se la regalità di Cristo deve essere compresa in un altro modo, questo non deve portarci all’idea contrapposta, ovvero ad immaginare un Messia estraniato dal mondo. Il testo del vangelo di questa domenica va letto con attenzione. In greco, le parole di Gesù al v. 36 son, literalmente significa: «Il mio regno non è «da» questo mondo». Quanta differenza rispetto agli apocrifi. «In certi scritti gnostici ispirati dal quarto vangelo, per esempio gli Atti di Pilato, viene introdotta in questo testo la piccola modifica seguente: «Il mio regno non è «in» questo mondo»; il che ha evidentemente un significato del tutto differente e porta a una separazione tra il mondo e il regno di Dio». Le parole di Gesù invece significano che «la regalità di Cristo non si fonda sui poteri di questo mondo e non è minimamente ispirata a questi. È una sovranità nel mundo, ma che si realizza in maniera diversa dal potere terreno e attinge la sua ispirazione da un’altra fonte» (cf.. Ignace de La Potterie).

Pilato era un funzionario esperto, concreto e, a la tarea, violento e spietato. Secondo San Giovanni alle parole di Gesù, quasi sorpreso, non poté che chiedere: "Así que usted es un rey?». respondió Jesús:

"Usted dice: Soy un rey. Para esto he nacido y para esto he venido al mundo:: para dar testimonio de la verdad. El que pertenece a la verdad, oye mi voz ".

E qui che il Signore specifica il senso profondo della sua regalità e da dove scaturisce. La sua fonte è nel Padre che lo ha inviato, per divenire la via della verità e della vita. Afferma Giovanni nel Prologo:

«E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; y vimos su gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno della grazia della verità» (Juan 1, 14).

Continua poi incalzante San Giovanni:

"De su plenitud todos hemos recibido: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia della verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dios, nadie lo ha visto: el único Hijo, ¿quién es Dios y está en el Padre, es él quien ha dado a conocer " (Juan 1, 16-18).

La verità dunque che Gesù porta all’umanità come una grazia, un dono e una missione dal Padre, è la sua rivelazione. Non una semplice verità astratta ed asettica, ma la vita, la palabra, l’esistenza tutta del Signore Gesù, nella pienezza inesauribile del suo significato di amore, di salvezza e di vita nel Padre, per ogni persona che si apre ad essa e vi aderisce con la fede. In ogni uomo o donna che accoglie la verità di Cristo Egli regna nella pace. E questo nonostante la regalità del Signore sia dovuta passare attraverso il crogiuolo della passione, di cui la scena evangelica di questa domenica è il prodromo. Ma per San Giovanni, e solo per lui, proprio la passione sarà la manifestazione della regalità di Gesù: Il Cristo regna dalla Croce.

Juan, mentre racconta la passione di Cristo, non nega la realtà o la materialità degli avvenimenti che furono dolorosi. Mette però in rilievo, a differenza dei Sinottici, l’aspetto di regalità e di trionfo, di vittoria sul male e il valore salvifico, che è insito nella passione e nella morte subita da Gesù Cristo: mentre la narra ci dona anche il senso degli eventi. Questi aspetti emergono già durante il processo e poi alla crocifissione di Gesù. Alla fine del processo romano Pilato conduce Gesù di fronte alla folla e dice: «Ecce homo, Ecco l’uomo» (Juan 19,5). Gesù in quel momento indossa i simboli della regalità e oltre alla corona di spine ha ancora il mantello. Mentre i vangeli sinottici dicono che la porpora gli fu tolta causandogli dolore, nel Quarto Vangelo si ha addirittura l’impressione che Gesù vada verso la croce indossando ancora sia la porpora che la corona. E c’è un impressionante parallelismo, anche letterario, tra la scena avvenuta nel pretorio, nel luogo chiamato Gabbatà (Juan 19, 13-16), e quanto accade ai piedi della croce, sul Golgota (Juan 19, 17-22). In entrambi i casi Giovanni pone l’accento sul tema della regalità e in entrambi i casi è Pilato, cioè il detentore del più alto potere civile, che rende gli onori a Gesù. «Ecco il vostro re» dice alla folla radunata davanti al pretorio (Juan 19,14); poi sopra la croce egli fa scrivere: «Il re dei Giudei» (Juan 19,19). Esto es, di fronte al mondo, una proclamazione della regalità di Cristo fatta in tre lingue: en hebreo, la lingua di Israele, en greco, la lingua della cultura; e in latino, la lingua del potere civile. L’episodio, Una vez más, viene raccontato solo da San Giovanni. E non è un caso se nella tradizione cristiana la Via crucis, ispirata principalmente al racconto di Giovani, diventerà una via trionfale. Così pure non poche croci dipinte, come il celebre Crocifisso di San Damiano in Assisi che parlò a San Francesco, raffigurano Gesù secondo la tipologia del Christus triumphans. Giovanni scrive che Gesù esce dalla città: «Et baiulans sibi crucem». Abitualmente viene tradotto: «Portando la croce da sé». In realtà la traduzione corretta è: «Portando la croce per sé», cioè portandola come strumento della sua vittoria. San Tommaso d’Aquino conferma questa traduzione e dice: «Cristo portò per sé la croce, y para los malvados fue una gran burla pero para los fieles un gran misterio. Cristo lleva la cruz como un rey lleva su cetro, como signo de su gloria, della sua sovranità universale su tutti. La porta come un guerriero vittorioso porta il trofeo della sua vittoria». E nei primi secoli san Giovanni Crisostomo aveva già usato un’espressione analoga: «Egli portò sulle proprie spalle il segno del trionfo».

Desde la ermita, 24 Noviembre 2024

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Los Padres de la Isla de Patmos

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El cielo y la tierra pasarán pero mis palabras no pasarán.

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

EL CIELO Y LA TIERRA PASARAN, PERO MIS PALABRAS NO PASARAN

En esta condición el creyente puede, por tanto, asumir espiritualmente la dimensión de la venida del Señor en el espacio de espera.. No será angustioso ni presagio de ansiedad., bastante lleno de confianza, ya que se basa en la seguridad del Señor: "Vendré pronto"

 

 

 

 

 

 

 

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un evento determinado, pero no sabemos cuando sucederá, exige que lo esperemos. Esto es lo que se desprende del pasaje del Evangelio de este domingo. Tomado del discurso escatológico de Marcos (Gorra. 13), anuncia la venida del Señor como cierta, pero afirma que su fecha y hora son inciertas. vamos a leerlo:

"En ese momento, Jesús dijo a sus discípulos: “en esos dias, después de aquella tribulación, el sol se oscurecerá,, la luna no dará su resplandor, las estrellas caerán del cielo y los poderes que están en los cielos se trastornarán. Entonces verán al Hijo del Hombre viniendo en las nubes con gran poder y gloria. Él enviará a los ángeles para reunir a sus elegidos de los cuatro vientos, desde el extremo de la tierra hasta el extremo del cielo. De la higuera aprended la parábola: Cuando sus ramas están tiernas y brotan las hojas, sabéis que el verano está cerca. Por lo que hacer: cuando vea estas cosas, sabe que él está cerca, Está llegando. De cierto os digo: esta generación no pasará hasta que sucedan todas estas cosas. El cielo y la tierra pasarán, pero mis palabras no pasarán. Pero de aquel día y hora,, nadie sabe, ni los ángeles del cielo ni el Hijo, excepto el padre”» (MC 13,24-32).

Él gorra. 13 del evangelio de marcos Comienza con dos preguntas de los discípulos dirigidas a Jesús al salir del Templo y en el Monte de los Olivos:

«Cuando salía del templo, uno de sus discípulos le dijo: “Maestro, Mira esas piedras y qué edificios!”. Jesús le respondió: “Ves estos grandes edificios.? No quedará aquí piedra sobre piedra que no sea destruida.” (vv.1.2). «Mientras estaba en el Monte de los Olivos, sentado frente al templo, Pedro, Giacomo, Giovanni y Andrea lo interrogaron aparte.: “Cuéntanos: cuando sucederán estas cosas y cuál será la señal cuando todas estas cosas estén por cumplirse?”» (v.v.. 3.4).

Jesús no responde inmediatamente a la pregunta de los cuatro discípulos, pero mientras tanto tiene la oportunidad de hablar sobre las últimas novedades.. Las palabras de Jesús que describen la llegada de estas "últimas cosas", en "aquellos días", son un resurgimiento de los textos proféticos de Isaías, joel y daniel. ¿Quién los escuchó de la boca de Jesús?, Probablemente entendió el significado mejor que nosotros., que después de tantos años lejos nos cuesta orientarnos. En realidad, el lenguaje apocalíptico no está lejos de nuestra cultura., de hecho, está fuertemente impregnado de ello. Hay que tener en cuenta, sin embargo, que dicha lengua es un "género literario", Por lo tanto, no es un cuento histórico ni un tratado científico.. Desafortunadamente, muchos creyentes lo interpretan exactamente así., Leer los acontecimientos presentes como una realización de las palabras de Jesús.. El lenguaje escatológico tiene su propia clave y debe ser interpretado como tal.. Es un género que surge de la confluencia de la sabiduría y la corriente profética.. Especialmente cuando esto último termine, se esperará en Israel un profeta que arregle las cosas.: «Colocaron las piedras en el monte del templo en un lugar conveniente, hasta que apareció un profeta para decidir sobre ellos" (1Mac 4, 46). Después de todo, no podemos pensar que Jesús quiso decir que el fin del mundo ocurrirá exactamente como lo describió.. Y luego, estamos seguros que hablaba del "fin del mundo", y no, en cambio, de un nuevo comienzo? Porque dice que "esta generación" verá lo que anunció.

La figura central del evangelio de hoy es la del Hijo del Hombre. Mientras que anteriormente el Señor había hablado de su destino sufriente, esta vez coincide con lo que se pensaba sobre este personaje en su momento y por ende entre los discípulos. El Hijo del Hombre es una figura poderosa, casi una hipóstasis divina como la describe el profeta Daniel (7, 13-14), cuya tarea principal parece ser la del juez (Libro de los jubileos). Jesús se describe a sí mismo de esta manera., cuando responde al Sumo Sacerdote que le pregunta si es el Mesías: "Soy! Y veréis al Hijo del Hombre sentado a la diestra del Poder y viniendo entre las nubes del cielo." (MC 14,62); y estas palabras se convertirán en uno de los motivos de su condena.. Pero hoy habla del Hijo del Hombre, vinculándolo a un tema muy querido por el judaísmo., o la reunión de los desaparecidos. Asombrosamente, de hecho, para las tradiciones evangélicas esto no sucederá sólo en el "fin del mundo", pero ya se realizó en un momento particular, es decir, en la muerte del Mesías Jesús. Esto es particularmente claro en el Cuarto Evangelio cuando San Juan relata las palabras de Jesús: "Y yo, cuando soy levantado del suelo, Atraeré a todos hacia mí" (Juan 12,32). La reunión del pueblo provocada por el Hijo del Hombre está precedida por conmociones celestiales. Entonces, si miramos la forma en que el evangelista Marcos describe la muerte del Mesías, encontramos que se cumplen algunas señales que fueron anunciadas en el pasaje evangélico de hoy. Jesús había dicho que el sol se oscurecería (MC 13,24), y aquí está después de la crucifixión de Jesús, « ven al mediodía, se hizo oscuro sobre toda la tierra, hasta las tres de la tarde" (MC 15,33). mateo, amplificando la historia marciana, Luego añade que "la tierra tembló y las rocas se partieron". (Mt 27,51), una referencia a la frase de Jesús de que "las estrellas empezarán a caer del cielo" (MC 13,25). Por lo tanto, nos enfrentamos no sólo al anuncio del fin del mundo y del tiempo. que, por otra parte, ya se había entrevisto en las primeras palabras del Evangelio: «El tiempo se ha cumplido y el reino de Dios está cerca; Conviértete y cree en el Evangelio" (MC 1,15). Pero con la venida del Mesías y la muerte del Señor Jesús comienza el tiempo escatológico, el tiempo del fin, por donde pasa el escenario de este mundo: «Esto te lo digo, Hermanos: el tiempo se ha acortado... de hecho la figura de este mundo pasa!» (1Cor 7, 29-31).

En esta condición El creyente puede, por tanto, asumir espiritualmente la dimensión de la venida del Señor en el espacio de espera.. No será angustioso ni presagio de ansiedad., bastante lleno de confianza, ya que se basa en la seguridad del Señor: "Vendré pronto" (Ap 22,7). La expectativa cristiana de la segunda venida del Señor es un acto de fe. Se ramificará en las diferentes direcciones de la paciencia., de resistencia, de perseverancia y sobre todo de esperanza. Dice el apóstol Pablo: «Pero si esperamos lo que no vemos, lo esperamos con perseverancia" (esperamos pacientemente, cf.. Rm 8,25). La espera paciente se convierte incluso en motivo de dicha según el libro de Daniel: «Bienaventurado el que espera con paciencia» (dn 12,12).

Cabe subrayar que el pasaje evangélico de este domingo está enmarcado entre dos avisos casi idénticos: blepete, "mirar", "ten cuidado"; y agrupación, «mantén los ojos bien abiertos y cuídate» (MC 13,23.33). El texto se enmarca dentro de una exhortación a la vigilancia y al discernimiento. El tiempo de la historia está habitado por tribulaciones de las que habló Marcos en los versículos anteriores. (MC 13,19-20), tribulaciones que preceden al acontecimiento central del anuncio escatológico, que pondrá fin a la historia dándole un final: la venida del Hijo del Hombre. La agitación de las realidades celestiales (MC 13,24-25) dice que un evento divino esta ocurriendo, un evento del cual el Dios creador es el protagonista. Pero el sol y la luna, las estrellas y los poderes celestes también formaban parte del panteón de los antiguos romanos, entidades deificadas e ídolos; y sabemos que Marcos escribe a los cristianos en Roma. Por eso aquí no sólo se anuncia el fin del mundo, pero también el fin de un mundo, el colapso del mundo de los dioses paganos destronados por el Hijo del Hombre. Y si se afirma que el fin de la idolatría se cumplirá con el Reino de Dios establecido con la venida del Señor, también se insinúa que la práctica de los cristianos en el mundo puede representar un signo del reino de Dios; gracias a tu vigilancia, para no dejar que los ídolos reine sobre él. Anunciando su gloriosa venida, Por eso Jesús pide a los cristianos, como gesto profético, Conversión de ídolos y poderes mundanos.. Vivir la espera del Señor significa vivir en estado de conversión. Pero la conversión tiene como premisa necesaria la vigilancia.

He aquí entonces la muy dulce imagen de la higuera brotando., en todas las direcciones, ya que casi da un anticipo del resultado final cuando aparece el fruto maduro. Esta es una parábola del Señor que nos enseña cómo mirar las señales celestiales y observar las terrestres no son alternativas.. El futuro se prepara en el presente, en la tierra donde estamos plantados y donde podemos ver muchas señales de la venida gloriosa del Señor. Sólo quien sabe observar bien también puede verlos.: «De la higuera aprende la parábola: cuando su rama ya se pone tierna y echa hojas, sabes que el verano está cerca" (MC 13,28).

Desde la ermita, 17 Noviembre 2024

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Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

JESÚS AL BUEN ESCRIBA: «NON SEI LONTANO DAL REGNO DI DIO»

«Uno degli scribi e gli domandò: “¿Cuál es el primero de todos los mandamientos??". Jesús respondió: “El primero es: Escuchar, Israel! El Señor nuestro Dios es el único Señor; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: "Amarás a tu prójimo como a ti mismo". No hay otro mandamiento mayor que éstos ".

 

 

 

 

 

 

 

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Prima del brano evangelico di questa domenica Gesù ha dovuto fronteggiare diversi gruppi di avversari: Sacerdotes, scribi e anziani del popolo (Mc 11,27ss.); farisei ed erodiani (Mc 12,13ss.) infine i sadducei (Mc 12,18ss.).

Reggio di Calabria: Gesù e lo scriba, Cattedrale metropolitana di Maria Santissima Assunta

Ahora, sin embargo, Gli si accosta, él solo, un singolo membro di uno di questi gruppi. Non ha prevenzioni, né una disposizione pregiudizialmente negativa nei confronti di Gesù. Ha appena ascoltato l’ultima discussione coi sadducei sulla Risurrezione e deve averne apprezzato la sapienza. Infatti fra i due si instaura una consonanza sincera. Leamos el pasaje:

"En ese momento, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: “¿Cuál es el primero de todos los mandamientos??". Jesús respondió: “El primero es: Escuchar, Israel! El Señor nuestro Dios es el único Señor; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: "Amarás a tu prójimo como a ti mismo". Non c’è altro comandamento più grande di questi”. Lo scriba gli disse: “Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici”. Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Jesús le dijo: “Non sei lontano dal regno di Dio”. E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo». (MC 12,28-34).

La domanda posta dallo scriba: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?», nasce da un’esigenza diffusa fra gli esperti della Tora: esiste un comandamento, una sintesi dei precetti di Dio, da cui dipendono tutti gli altri? I rabbini conteranno 613 comandi nel Talmud babilonese e questa ricerca dell’essenziale, del comandamento a cui «fosse appeso» tutto il resto non è nuova. Nell’Antico Testamento erano già presenti diverse formulazioni di precetti in forma sintetica. En el Sal 15 ne sono elencati 11, en Es 33,15-16 ce ne sono 6 y así. Elaborati in seguito dai saggi d’Israele, venivano suddivisi, in particolare dalla scuola di Rabbi Hillel, in «pesanti» o «leggeri». Anche Gesù sembra accettare questa impostazione e riconosce che vi sono precetti «minimi» (Mt 5,19), che però non possono essere tralasciati.

Jesús responde citando come primo comandamento l’inizio dello Shema, la professione di fede nel Signore Dio ripetuta tre volte al giorno da ogni credente ebreo, centrale in tutta la tradizione rabbinica:

«Escucha, Israel: el Señor es nuestro Dios, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tu Dios, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,4-5).

Secondo questa preghiera l’ascolto ha un primato assoluto ed è la modalità di relazione decisiva dell’uomo nei confronti di Dio. Un ascolto obbediente sta poi alla base dell’amore verso Dio e non solo, como veremos. A ben guardare le parole del Deuteronomio, riprese da Gesù, delineano un percorso teologico, spirituale ed affettivo che partendo dall’ascolto, «Escucha, Israele», Esto lleva a la fe, «Il Signore è il nostro Dio»; dalla fede alla sua conoscenza intima, «Il Signore è uno», e dalla conoscenza all’amore: «Amerai il Signore». Questa conoscenza sempre più penetrante che contraddistingue il monoteismo ebraico e che ha influito sul Cristianesimo e poi sull’Islam è qualcosa di originale e unico nel panorama culturale e religioso del tempo. Essa non nasce da un’idea, da una riflessione filosofica, come poté succedere in Grecia, ma dall’esperienza che Dio ha agito nella storia in favore del suo popolo, salvandolo e facendo alleanza con esso. Da questa rivelazione che richiede un riconoscimento si approda al rapporto di amore per Dio, per cui noi siamo suoi e Lui è per noi. Unico e solo Dio che si ama con tutte le potenze dell’anima umana.

Pero hay más. Mentre lo scriba domanda a Gesù un solo comandamento, ecco che Lui ne avanza un secondo, citando quello dell’amore per il prossimo: "Amarás a tu prójimo como a ti mismo" (lv 19,18). La versione completa del versetto del Levitico recita:

«Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Yo soy el Señor ".

L’amore per il prossimo anche dalla tradizione precedente a Gesù veniva considerato un precetto fondamentale, que, insieme al precetto dell’amore per Dio, condensava tutta la Tora. Ma Gesù collega i due comandi, coniugando in modo indissolubile l’amore di Dio con quello per il prossimo. Per Gesù i due precetti uniscono il cielo alla terra; l’uomo a Dio e l’uomo all’uomo: l’amore «verticale» che implica amare Dio e quello «orizzontale» che chiede di amare il prossimo non possono essere più separati. Da questa risposta, por lo tanto, sembra che non possa esistere l’amore per Dio senza quello per il prossimo. Il primo comandamento implica il secondo e il secondo presuppone il primo.

È importante riflettere sulla novità, a livello dei contenuti della fede, che questo accostamento di passi biblici porta con sé. È indubbio che Gesù stabilisca una precisa gerarchia tra i due precetti, ponendo l’amore per Dio al di sopra di tutto. Al mismo tiempo, sin embargo, risalendo la volontà del Legislatore, egli discerne che amore di Dio e del prossimo sono in stretta connessione tra loro: la Legge e i Profeti sono riassunti e dipendono dall’amore di Dio e del prossimo, mai l’uno senza l’altro. Non a caso nella versione di Matteo il secondo comandamento è definito simile al primo (Mt 22,39), mientras que el evangelista Lucas incluso los une en un gran mandamiento: «Amerai il Signore Dio tuo [...] e il prossimo tuo» (Lc 10,27). En otras palabras, se è vero che ogni essere umano è creato da Dio a sua immagine (Gen 1,26-27), non è possibile pretendere di amare Dio e, al mismo tiempo, disprezzare la sua immagine sulla terra.

La tradizione cristiana ha declinato in modi diversi l’amore per Dio, esprimendolo come un movimento di ricerca, anelito o desiderio. Oppure l’amore per Lui è stato colto come un obbedire, nel senso proprio di ascoltare la sua parola e corrispondervi. È l’amore che cerca di realizzare la volontà di Dio e di vivere come Lui vuole. De todos modos, a dispetto di quel che il mondo pensa, mondo che curiosamente si lega a molti dèi e idoli, fino a esserne schiavo, l’amore cristiano è liberante perché inscritto in questa relazione con Dio che lo esalta e lo fortifica e come un polo attrae verso di sé ogni tipo di amore che l’uomo può costruire sulla terra.

Por fin, en el evangelio de Juan, Gesù compirà un ulteriore passo quando affermerà: “Amaos unos a otros como yo os he amado” (Juan 13,34; 15,12), ossia senza misura, «fino alla fine» (Juan 13,1). In questa ardita sintesi, Gesù non esplicita neppure la richiesta di amare Dio, perché sa bene che quando le persone si amano le une e le altre, nel fare questo vivono già l’amore di Dio. Questo reciproco amore diviene anche il segno riconoscibile dei discepoli di Gesù:

«De esto todos sabrán que sois mis discípulos, si os amáis unos a otros" (Juan 13,35).

A questo punto tutti si fermano, come soddisfatti, e non vanno oltre. Del resto quale argomento è più coinvolgente e totalizzante dell’amore, soprattutto se è rivolto a Dio. me gusta, en cambio, concludere ricordando ancora questo scriba che ha provocato le risposte di Gesù. El hecho de, por ejemplo, che egli abbia atteso il momento opportuno per avvicinarlo. En Fondo, dopo tutte quelle discussioni con chi voleva metterlo alla prova, Gesù poteva anche declinare e dire basta. Invece il Signore deve aver trovato la sua domanda pertinente e ne ha preso spunto per un insegnamento nuovo che ancora oggi troviamo inesauribile. Questo scriba ribatte a Gesù che ha ben parlato, ricalca le sue parole, unificandole in un unico comandamento che le ricapitola. Infine riconosce che questo comandamento supera perfino il sistema dei sacrifici e degli olocausti che, en ese momento, rappresentava un articolo importante del credo e del culto ebraico. Si merita perciò ampiamente quell’elogio di Gesù che rimarrà per sempre: «Non sei lontano dal regno di Dio».

Desde la ermita, 3 Noviembre 2024

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