Ele vai transfigurar nosso corpo mortal para a imagem de seu corpo glorioso – Ele transfigurará nosso corpo mortal por imagem de seu corpo glorioso

(Texto em inglês depois do italiano)

 

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

EGLI TRASFIGURERÀ IL NOSTRO CORPO MORTALE A IMMAGINE DEL SUO CORPO GLORIOSO

"Maestro, É bom estarmos aqui. Vamos fazer três cabanas, um para você, Um para Moisés e outro para Elìa ". Ele não sabia, Mas, O que ele disse …

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La tradizione ha conservato l’episodio, giustamente famoso, della Trasfigurazione di Gesù sul monte, dove si ripete l’epifania celeste del battesimo, stavolta a beneficio di pochi discepoli.

Il racconto, nella sua attuale collocazione durante la vita di Gesù, oscura in parte il significato dell’evento, perché è Gesù stesso a condurre i discepoli sul monte dove subisce una trasfigurazione temporanea presentata come preannuncio del destino di morte e resurrezione che lo attende. È molto probabile che in origine si trattasse di un racconto di apparizione del Risorto, che Marco, il quale ha escluso dalla sua narrazione quei racconti, avrebbe inserito al centro del Vangelo, subito dopo la confessione messianica di Pietro, per bilanciare l’annuncio del destino di morte del Figlio dell’uomo (MC 8, 31) con la visione prolettica della sua glorificazione (MC 9, 2-13); una scelta che ne avrebbe determinato la collocazione anche in Matteo e Luca. A supporto di questa ipotesi sta il fatto che nel prosieguo dei tre racconti l’incomprensione dei discepoli nei riguardi di Gesù resta intatta, malgrado alcuni fossero stati testimoni di un evento tanto eclatante. Enquanto, collocato dopo la sua morte, il racconto assume un significato cruciale.

I tre discepoli ricevono, in uno stato di allentamento della coscienza vigile ― «gravati dal sonno», Pietro «non sa quel che dice» ― la rivelazione del Figlio dell’uomo in una forma trasfigurata dalla luce divina. È il punto di svolta: i discepoli, depois de sua morte, hanno la visione di Gesù collocato allo stesso livello di Mosè ed Elia, cioè di due figure bibliche già innalzate alla gloria celeste e ascoltano la proclamazione della sua elezione divina, la stessa che risuona al momento del battesimo. Finalmente i discepoli «sanno» chi è Gesù, ed è alla luce di tale comprensione che l’episodio storico del battesimo assume il suo «vero» significato di investitura divina. Tra i numerosi racconti di apparizioni del Risorto, quello della Trasfigurazione rappresenta, assim, nel modo più eloquente il processo attraverso il quale alcuni discepoli hanno raggiunto una comprensione superiore riguardo il significato della vicenda umana di Gesù dopo lo shock della sua morte. Leggiamolo:

“Cerca de oito dias depois desses discursos, Jesus levou Pedro consigo, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. E aqui, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; mãe, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: "Maestro, É bom estarmos aqui. Vamos fazer três cabanas, um para você, una per Mosè e una per Elìa”. Ele não sabia, Mas, O que ele disse. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, quem disse: “Questi è il Figlio mio, o escolhido; escute ele!”. Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto» (LC 9,28-36).

Il brano della trasfigurazione, come già all’inizio accennato, è tra i più difficili da leggere e da collocare all’interno del percorso storico della vita di Gesù. Esso è ricco di suggestioni perché presenta molte e ricche allusioni ad avvenimenti e racconti dell’Antico Testamento.

L’annotazione temporale, collocata all’inizio, «otto giorni dopo», mentre gli altri sinottici riportano: «sei giorni dopo», collega il racconto con quanto è appena accaduto. Gesù ha terminato il suo primo annuncio della passione, mãe, almeno secondo Matteo e Marco, ma non Luca, ha anche ricevuto una cocente delusione da Pietro. Se poco prima l’aveva riconosciuto come Messia, ora invece gli consiglia, prendendolo da parte, di non recarsi a Gerusalemme, perché il Cristo non avrebbe dovuto morire. Simone, sulla bocca di Gesù, diviene come Satana. Per questa ragione molti commentatori moderni aggiungono all’interpretazione tradizionale che vede nella presenza di Mosè ed Elia accanto a Gesù un significato teologico, essi incarnerebbero la Legge ed i Profeti, anche un’altra motivazione. Questi due personaggi porterebbero a Gesù quella consolazione di cui aveva bisogno. Le biografie di Elia e Mosè, na verdade, ci riportano quanto i due hanno dovuto passare e ciò fa si che conoscano quanto Gesù sta per attraversare. Ambedue hanno vissuto prove ardite fino a chiedere a Dio perfino di morire. Mosè in É 32,32 subito dopo la vicenda del vitello d’oro si rivolge al Signore implorando il perdono per il suo popolo: «se tu perdonassi il loro peccato… Altrimenti, cancellami dal tuo libro che hai scritto!». Elia in 1Ré 19,4: «Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei mie padri». Tutti e due infine hanno avuto cocenti delusioni, per le quali è loro concessa la visione di Dio (cf.. É 33,21-22; 1Ré 19,13).

La presenza dei due personaggi non è dunque solo per i discepoli, ma è la consolazione per il Figlio che sta per andare a Gerusalemme. Gesù deve essere confortato e rafforzato riguardo il suo «esodo», ovvero il suo futuro prossimo; allo stesso modo farà l’angelo al Getsemani, secondo il racconto di Luca, nel momento della lotta estrema (LC 22,43-44).

Os três evangelhos sinóticos provano a spiegare quanto è accaduto sul Tabor, il monte della Galilea dove, sin dal 348, secondo Cirillo di Gerusalemme, sarebbe avvenuta la Trasfigurazione e descrivono a loro modo quella trasformazione. Sia Matteo che Marco usano un verbo al passivo, il cosiddetto «passivo teologico»: «fu trasformato»; il che lascia intendere che implicitamente fu Dio ad agire. para Marco, em particular, la Trasfigurazione riveste un ruolo importante per l’economia del suo scritto. Per lui non si tratta solo di ascoltare Gesù, "Este é o meu Filho, o amado: escute ele!» (MC 9, 7), ma anche di accogliere che Egli è veramente il Figlio. Pietro, dentro MC 8, 29, si era fermato ad una identificazione parziale, riconoscendo Gesù solamente come Messia: «Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo». La voce sul Tabor, em vez de, rimarca che Gesù è effettivamente il Figlio, secondo il nome che già Gli era stato conferito al battesimo. Questo elemento, por si, non ha riscontro invece nel racconto di Matteo, dove Pietro aveva già visto in Gesù sia il Messia che il Figlio: "Tu és o Cristo, o Filho do Deus vivo " (MT 16,16).

Per l’evangelista Luca, no fim, la Trasfigurazione non è solo un momento di consolazione per Gesù o il modo in cui Pietro deve comprendere chi fosse Gesù ed il suo destino. Luca introduce anche il motivo della gloria che si manifesta. Solo questo evangelista, na verdade, insiste per due volte su questo termine: «gloria» (v. 31 e 32). In tal modo Gesù, sul monte, prefigurando ai discepoli quello che sarà il suo destino, dopo il suo «esodo», lascia intendere che esso si compirà anche per loro, e per noi. L’annuncio della passione e morte di Gesù non è mai completo se ad esso non è associato quello della gloria, della risurrezione. Così anche la nostra sorte di credenti in Lui si compirà quando anche il nostro corpo, nossas vidas, saranno trasfigurate e anche noi, come già Pietro, Giovanni e Giacomo, vedremo il Risorto «così come egli è» (1GV 3, 2), non solo nella sua forma umana, ma nella sua più completa realtà. La trasformazione di Gesù è lo svelamento della personalità profonda di Gesù, quella dell’eletto, del Figlio unigenito ed è anche profezia della nostra futura trasformazione.

A ragione di ciò vorrei sottolineare quanto sia ricorrente, nel brano odierno, il verbo vedere, che torna più volte ed in diverse forme (v. 27.30.31.36), così come il termine: Escute (v. 35). Essi descrivono bene la condizione attuale dei credenti che, graças à fé, possono vedere il Signore presente nei piccoli, nel prossimo o nei sacramenti dove, come scriveva Leone Magno: «è passato ciò che era allora visibile nel nostro Salvatore» (sermões 74,2). E oltre che vedere, lo possono anche ascoltare grazie alla Chiesa che ancora imbandisce la mensa della Sua parola.

para terminar, un ultimo dettaglio. Leggendo i brani della Trasfigurazione, solo Luca ci fornisce almeno un motivo per cui Gesù sale sul monte, ossia per pregare e la preghiera è, incidentalmente, anche uno degli impegni quaresimali più rilevanti. Luca è fra gli evangelisti colui che più degli altri insiste su questo aspetto e lascia pregare Gesù anche quando gli altri vangeli non lo dicono: al battesimo (LC 3,21: "Jesus, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera»); prima di scegliere i Dodici (LC 6,12: «In quei giorni egli se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio»); está aqui, para a Transfiguração: “Cerca de oito dias depois desses discursos, Jesus levou Pedro consigo, João e Tiago e subiram ao monte para orar" (LC 9,28).

Qualche giorno prima, secondo Marco e Matteo, Gesù aveva ricevuto uno smacco, proprio da Pietro. Luca ci passa sopra e racconta solo l’annuncio della passione e le dure esigenze che da quello discendono per il discepolo: «Se alguém quiser vir atrás de mim, você nega a si mesmo, toma a sua cruz todos os dias e segue-me » (LC 9, 23). Ma la reazione a tutto questo per Gesù è la preghiera che diviene l’occasione per fare unità, per raccogliere i sentimenti più intimi e lasciarsi guidare da Dio, anche se si dovranno attraversare le tempeste della vita. Alla fine dell’esperienza rimane solo una voce. La notazione finale del brano che riporta: «restò Gesù solo», «fu trovato solo» (inventus est Iesus solus); parla della condizione di Gesù anche durante la Trasfigurazione, ovvero durante la preghiera che i discepoli faticano a reggere. Sul monte della Trasfigurazione, dove è salito «per pregare», Gesù è solo, anche «mentre prega». La fatica dei discepoli, espressa da almeno tre annotazioni, ci suggerisce, per via negativa, tre tappe di una iniziazione, tre momenti di un cammino per entrare nel mistero della preghiera di Gesù. I discepoli sono gravati dal sonno, le loro palpebre cadono, gli occhi si chiudono e trapela la fatica anche somatica del pregare. Quindi Pietro pronuncia parole che appaiono confuse, tangenziali a ciò che è avvenuto. Afinal, tutti vengono presi da paura. Il loro non dire niente a nessuno con cui si chiude il racconto (LC 9,36) sembra il possibile inizio di qualcosa di nuovo e di positivo. Questo silenzio potrebbe essere il loro cominciare a custodire una solitudine interiore, indizio del pregare, ovvero capacità di ripensare e meditare gli eventi successi e cercarne un senso davanti a Dio. Come Maria che custodiva parole e fatti riguardanti suo figlio Gesù volgendoli e rivolgendoli nel suo cuore (cf.. LC 2,19.51).

bom domingo a todos!

do eremitério, 16 Março 2025

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Homiletics the Fathers of The Isle of Patmos

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HE WILL TRANSFIGURE OUR MORTAL BODY BY IMAGE OF HIS GLORIOUS BODY

«Master, it is good for us to be here. Let us put up three shelters — one for you, one for Moses and one for Elijah». He did not know what he was saying

 

 

 

 

 

 

 

 

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The old Tradition has preserved the famous episode of the Transfiguration of Jesus on the mountain, where the celestial epiphany of baptism is repeated, this time for the benefit of a few disciples.

The story, in its current location during the life of Jesus, partly obscures the meaning of the event, because it is Jesus himself who leads the disciples to the mountain where he undergoes a temporary transfiguration presented as a preannouncement of the destiny of death and resurrection that awaits him. It is very likely that it was originally a story of the appearance of the Risen One, which Mark, who excluded those stories from his narrative, would have inserted at the center of the Gospel, immediately after Peter’s messianic confession, to balance the announcement of the destiny of death of the Son of Man (Mk 8:31) with the proleptic vision of his glorification (Mk 9:2-13); a choice that would have determined its placement also in Matthew and Luke. Supporting this hypothesis is the fact that in the continuation of the three stories the disciples’ misunderstanding of Jesus remains intact, despite the fact that some of them had witnessed such a sensational event. While, placed after his death, the story takes on a crucial meaning.

The three disciples receive, in a state of slackening of waking consciousness ― «burdened by sleep», Peter «does not know what he is saying» ― the revelation of the Son of Man in a form transfigured by divine light. This is the turning point: the disciples, after his death, have the vision of Jesus placed on the same level as Moses and Elijah, two gloriosus biblical figures already raised to heavenly glory and they hear the proclamation of his divine election, the same one that resounds at the moment of baptism. Finally the disciples “conhecer” who Jesus is, and it is in the light of this understanding that the historical episode of the baptism takes on its “verdadeiro” meaning of divine investiture. Among the numerous accounts of apparitions of the Risen One, that of the Transfiguration therefore represents in the most eloquent way the process through which some disciples have reached a superior understanding regarding the meaning of the human story of Jesus after the shock of his death. Let us read it:

«About eight days after Jesus said this, he took Peter, John and James with him and went up onto a mountain to pray. As he was praying, the appearance of his face changed, and his clothes became as bright as a flash of lightning. Two men, Moses and Elijah, appeared in glorious splendor, talking with Jesus. They spoke about his departure, which he was about to bring to fulfillment at Jerusalem. Peter and his companions were very sleepy, but when they became fully awake, they saw his glory and the two men standing with him. As the men were leaving Jesus, Peter said to him, “Master, it is good for us to be here. Let us put up three shelters — one for you, one for Moses and one for Elijah” (He did not know what he was saying). While he was speaking, a cloud appeared and covered them, and they were afraid as they entered the cloud. A voice came from the cloud, saying, “This is my Son, whom I have chosen; listen to him”. When the voice had spoken, they found that Jesus was alone. The disciples kept this to themselves and did not tell anyone at that time what they had seen» (Página 9, 28-36).

The passage of the Transfiguration, as already mentioned at the beginning, is among the most difficult to read and to place within the historical path of Jesuslife. It is rich in suggestions because it presents many and rich allusions to events and stories of the Old Testament.

The temporal annotation, placed at the beginning, «eight days later», while the other synoptics report: “six days later”, connects the story with what has just happened. Jesus has finished his first announcement of the passion, mas, at least according to Matthew and Mark, but not Luke, he has also received a bitter disappointment from Peter. If shortly before he had recognized him as the Messiah, now instead he advises him, taking him aside, not to go to Jerusalem, because the Christ should not have died. Simon, in the mouth of Jesus, becomes like Satan. For this reason many modern commentators add another motivation to the traditional interpretation that sees a theological meaning in the presence of Moses and Elijah next to Jesus, they would embody the Law and the Prophets. These two characters would bring Jesus the consolation he needed. The biographies of Elijah and Moses, na verdade, tell us what the two had to go through and this makes them know what Jesus is about to go through. Both have experienced daring trials to the point of even asking God to die. In Exodus 32:32, immediately after the story of the golden calf, Moses turns to the Lord, imploring forgiveness for his people: «if you would forgive their sinBut if not, blot me out of your book which you have written!» Elijah in 1 Kings 19:4: «Take my life, for I am no better than my fathers». Finalmente, both have had bitter disappointments, for which they are granted the vision of God (Exodus 33:21-22; 1 Kings 19:13).

The presence of the two characters is therefore not only for the disciples, but is the consolation for the Son who is about to go to Jerusalem. Jesus must be comforted and strengthened regarding hisexodus”, or his near future; the angel will do the same in Gethsemane, according to Luke’s account, at the moment of the extreme struggle (Página 22:43-44).

The three Synoptic Gospels try to explain what happened on Tabor, the mountain in Galilee where, according to Cyril of Jerusalem, the Transfiguration took place since 348, and they describe that transformation in their own way. Both Matthew and Mark use a passive verb, the so-calledtheological passive”: “he was transformed”; which implies that implicitly it was God who acted. For Mark, in particular, the Transfiguration plays an important role in the economy of his writing. For him it is not just a matter of listening to Jesus: «This is my beloved Son; listen to him!» (Mk 9:7), but also of accepting that He is truly the Son. Peter, in Mk 8:29, had stopped at a partial identification, recognizing Jesus only as the Messiah: «Peter answered him, You are the Christ». The voice on Tabor, no entanto, emphasizes that Jesus is indeed the Son, according to the name that had already been given to Him at baptism. This element, in itself, has no correspondence in Matthew’s account, where Peter had already seen in Jesus both the Messiah and the Son: «You are the Christ, the Son of the living God» (MT 16:16).

For the evangelist Luke, finally, the Transfiguration is not only a moment of consolation for Jesus or the way in which Peter must understand who Jesus was and his destiny. Luke also introduces the motif of the glory that manifests itself. Only this evangelist, na verdade, insists twice on this term: «glory» (v. 31 e 32). In this way Jesus, on the mountain, prefiguring to the disciples what will be his destiny, after his “exodus”, lets it be understood that it will also be fulfilled for them, and for us. The announcement of the passion and death of Jesus is never complete if it is not associated with that of glory, of the resurrection. Thus also our destiny as believers in Him will be fulfilled when our body, our life, will be transfigured and we too, like Peter, John and James, will see the Risen One «just as he is» (1 JH 3:2), not only in his human form, but in his most complete reality. The transformation of Jesus is the unveiling of the profound personality of Jesus, that of the chosen one, of the only-begotten Son and is also a prophecy of our future transformation.

For this reason, I would like to emphasize how recurrent, in today’s passage, the verb to see is, which comes back several times and in different forms (in the verses 27, 30, 31, 36), as well as the term: to listen (in the verse 35). They describe well the current condition of believers who, thanks to faith, can see the Lord present in the little ones, in their neighbor or in the sacraments where, as Leo the Great wrote: “what was then visible in our Savior has passed away” (sermões 74, 2). And in addition to seeing, they can also listen to him thanks to the Church that still prepares the table of His word.

Finalmente, one last detail. Reading the passages of the Transfiguration, only Luke gives us at least one reason why Jesus goes up the mountain, isso é, to pray and prayer is, incidentally, also one of the most important Lenten commitments. Among the evangelists, Luke is the one who insists more than the others on this aspect and lets Jesus pray even when the other Gospels do not say so: at the baptism (Lucas 3:21: «When Jesus also had been baptized, he was praying»); before choosing the Twelve (Lucas 6:12: «In those days he went out to the mountain to pray, and spent the whole night in prayer to God»); and here, at the Transfiguration: «About eight days after these sayings, Jesus took with him Peter and John and James and went up the mountain to pray» (Lucas 9: 28).

A few days earlier, according to Mark and Matthew, Jesus had received a setback, precisely from Peter. Luke passes over it and only tells of the announcement of the passion and the harsh demands that descend from it for the disciple: «If anyone would come after me, let him deny himself and take up his cross daily and follow me» (Lucas 9:23). But the reaction to all this for Jesus is prayer, which becomes the occasion to create unity, to gather the most intimate feelings and let oneself be guided by God, even if one has to go through the storms of life. At the end of the experience only one voice remains.

The final notation of the passage that reports: «Jesus remained alone», «he was found alone» (latin: «inventus est Iesus solus»); speaks of Jesuscondition even during the Transfiguration, isso é, during the prayer that the disciples struggle to sustain. On the mountain of the Transfiguration, where he went up «to pray», Jesus is alone, even «while praying». The fatigue of the disciples, expressed by at least three annotations, suggests to us, in a negative way, three stages of an initiation, three moments of a journey to enter into the mystery of Jesusprayer. The disciples are burdened by sleep, their eyelids fall, their eyes close and the somatic fatigue of praying shines through. Then Peter pronounces words that appear confused, to what has happened. Finalmente, everyone is gripped by fear. Their not saying anything to anyone with which the story ends (Página 9:36) seems the possible beginning of something new and positive. This silence could be their beginning to guard an interior solitude, a sign of prayer, or the ability to rethink and meditate on the events that happened and seek a meaning before God. Like Mary, who guarded words and facts about her son Jesus, in her heart (Lucas 2:19.51).

Happy Sunday to everyone!

from the Hermitage, Março 16, 2025

 

 

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Caverna de Sant'Angelo em Maduro (Civitella del Tronto)

 

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Os Padres da Ilha de Patmos

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De beatitudes nas montanhas a amar os inimigos nas planícies

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

DALLE BEATITUDINI IN MONTAGNA ALL’AMORE PER I NEMICI IN PIANURA

«Chi usa la Parola di Gesù diversamente che agendo, dá errado a Jesus, nega o sermão na montanha, não implementa sua palavra. Dal punto di vista umano ci sono infinite possibilità di intendere e di interpretare il sermone sulla montagna. Gesù conosce una sola possibilità: andare e obbedire»

 

 

 

 

 

 

 

 

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Dopo le beatitudini proclamate nel Vangelo di domenica scorsa, prosegue la lettura del sermone in pianura di Gesù redatto da Luca, nella parte in cui si accede al cuore del Suo discorso dove predomina l’etica dell’amore rivolto ai nemici, espresso nel donare gratuitamente, esente dal giudicare, propositivo quando invita a porgere un’altra guancia. Nel testo, ai v. 31, è conservata la famosa «regola d’oro»: «Come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro».

L’intero discorso di Gesù, coi suoi comandi, si regge sul verbo agapao, amar. E i detti sono espressi secondo uno stile sapienziale con verbi soprattutto all’imperativo. Quello che alla fine emerge è il desiderio di Gesù di scardinare la logica della reciprocità. Leggiamo la pericope evangelica.

"Naquela época, Jesus disse aos seus discípulos: “A voi che ascoltate, eu digo: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; Não condene, e você não será condenado; Perdoe, e você será perdoado. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio”» (LC 6,27-38).

Dopo il «guai» (LC 6, 26), speculare dell’ultima beatitudine, le parole di Gesù proseguono con una potente avversativa, «Ma a voi che ascoltate io dico» (v. 27), che apre la porta alla comprensione della sostanziale differenza della vocazione cristiana nel mondo. Al cuore di essa vi è l’amore per il nemico che forma l’inclusione dell’intero passo di Lucas 6, 27-35: «Amate i vostri nemici». Chi è il nemico nelle parole di Gesù? È colui che odia, maledice, maltratta ed esprime la sua inimicizia con la violenza fisica, con il furto, con la richiesta e la pretesa. Qualunque sia il modo di esprimersi dell’inimicizia la straordinaria proposta di Gesù che definisce la precipua differenza cristiana riposa nella risposta non violenta. Non una qualsiasi non violenza, ma una propositiva ed attiva, poiché essa, sottraendosi alla specularità, pone in essere un’azione positiva di segno opposto. Non ripetendo il gesto violento subìto il discepolo di Gesù esce dal mimetismo e dalla passività. Si tratta di fare qualcosa attivamente dopo un tempo nel quale si è subita passivamente la violenza; non ponendosi, Mas, di fronte all’altro come si fa in una lite o in un incontro di boxe. Non faccio quel che fa il violento, non lo tocco dove egli mi tocca e non gli permetto di toccarmi nello stesso posto. Eppure agisco a partire dal suo primo atto, vengo sul suo terreno e lì gli presento l’alterità. Questo testo ci sta dicendo cosa fare se l’obiettivo è quello di rendere possibile una relazione di alterità con qualcuno che soffre e che fa soffrire. Ciò è rappresentato emblematicamente dalle parole di Gesù sullo schiaffo che è forse il passaggio del brano più noto ed iconico: «A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra». Nel testo evangelico greco la parola usata per dire «altra guancia» non è quella che ci aspetteremmo, se ci trovassimo di fronte alla semplice simmetria: vengo colpito su una parte del volto, ti presento anche l’altra. Non è usato qui il vocabolo greco «éteros» usato nell’accezione di «ora l’uno ora l’altro». Qui il Vangelo adopera il termine «allos» che significa: outro, diferente. Non è, assim, la seconda guancia, è una guancia altra. Non c’è una somma, prima la destra e poi la sinistra, ma occorre presentare una guancia differente. La grande novità di queste parole di Gesù rivelano che, se da un lato in una forma avversativa nello stesso tempo mite e potente, contrastano il sentire e il modo di agire mondano, dall’altro dicono che è possibile fare il bene del nemico, facendolo sentire una persona migliore, offrendogli la possibilità di emendarsi dalla violenza. Gli dico che può amarsi, perché in fondo sia l’offensore che l’offeso sono destinatari di un amore di cui non sospettavano la grandezza.

E qui ci soccorre la teologia cristiana sull’amore che ci aiuta a capire perché esso possa essere addirittura comandato, come nelle parole di Gesù. Perché il comando esprime anche una insospettata possibilità che Cristo per primo ha vissuto, non nella sola forma di provare un sentimento, ma nella concretezza delle azioni, mostrando di amare chi amabile non è, come i suoi nemici, rivelando così la fonte unica di quell’amore fino all’impossibile che è Dio Padre: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito… Gesù, sabendo que seu tempo havia chegado para passar deste mundo para o Pai, tendo amado os seus que estavam no mundo, ele os amou até o fim" (GV 3, 16; 13, 1). Così si esprimono anche diversi primi autori cristiani. Dio ha mostrato il suo amore per noi perché, mentre noi eravamo nemici e peccatori, Cristo è morto per noi (CF. ROM 5,6-11). Cristo sulla croce ha abbattuto la logica dell’inimicizia (cf.. Ef 2,14), Egli ha risposto agli oltraggi e alle violenze invocando il perdono sui suoi aguzzini (1PT 2,23; LC 23,34). In questo senso l’amore può essere comandato, perché va inteso nella sua altezza e profondità: “Seja misericordioso, come il Padre vostro è misericordioso» (v. 36); ancor prima che nella sua estensione, anche se scopriamo che in questa rientriamo tutti, noi come il prossimo e addirittura il nemico: "Amarás o teu próximo como a ti mesmo" (MC 12,31). È anche significativo ed innovativo che Gesù abbia rielaborato, secondo Luca, la regola d’oro in forma positiva e non negativa come si trova invece in altri testi ed autori antichi: «Come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro».

Luca per definire la forza o capacità che permette di andare oltre la misura umana della reciprocità usa il termine «χάρις», caril (cf.. LC 6,32.33.34; la Bibbia CEI traduce: «quale gratitudine vi è dovuta?»). Davvero l’amore che il cristiano riesce ad avere perfino verso il suo nemico è una grazia, è cioè un dono che viene da Dio.

Per concludere bisogna accennare a come le parole di Gesù, così esigenti, siano state variamente interpretate. Restringiamo il campo a due punti di vista. La posizione cattolica che opta per le due vie, quella della maggioranza che è invitata a seguire i precetti di Gesù e l’altra, più radicale ed esigente, per quei pochi che insieme ai precetti perseguono anche i consigli che sono lasciati alla libera opzione e richiedono uno stato di perfezione. Vi è poi la posizione dell’ortodossia luterana che ritiene «inattuale» il discorso della montagna o della pianura, poiché difficile da mettere in pratica fedelmente. Allo stesso modo della impraticabilità della legge mosaica esso mette in risalto la condizione peccatrice e dunque la necessaria apertura della fede alla grazia che salva. Giustamente a questa posizione, ma a questo punto direi anche alla cattolica, reagisce Dietrich Bonheffer nel suo libro teologico più famoso:

«Chi usa la Parola di Gesù diversamente che agendo, dá errado a Jesus, nega o sermão na montanha, não implementa sua palavra. Dal punto di vista umano ci sono infinite possibilità di intendere e di interpretare il sermone sulla montagna. Gesù conosce una sola possibilità: andare e obbedire» (Sequela).

Le parole del teologo protestante interrogano ancora oggi la nostra coerenza e ci sfidano. Il discorso della pianura di Luca si può mettere in pratica, non grazie alle nostre capacità, ma con l’aiuto di Dio. L’etica cristiana è praticabile, purché tenga al centro la grazia che viene da Dio.

Do eremitério, 23 fevereiro 2025

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Os Padres da Ilha de Patmos

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Jesus destaca a fé, propondo problemas e beatitudes

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

Jesus destaca a fé, propondo problemas e beatitudes

«Abençoados são seus olhos porque eles vêem e seus ouvidos porque eles ouvem. Em verdade vos digo:: Muitos profetas e muitos justos queriam ver o que você olha, Mas eles não viram isso, E ouça o que você ouve, Mas eles não o ouviram!»

 

 

 

 

 

 

 

 

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Neste domingo, lemos o texto das beatitudes De acordo com a versão de Luca. Uma música que difere do mais conhecido, presente no primeiro evangelho, Para o número de beatitudes: Quatro contra os oito de Matteo; e para a presença de tantos "problemas" que formam um contraste preciso.

Fra Angelico, as bem-aventuranças

Se os pobres são declarados "abençoados", os famintos, chorando e perseguido, Os problemas são direcionados para os ricos, para a sazi, a rindo e para aqueles que são elogiados. além disso, Se as batidas de Matteo estiverem incluídas no So -chamado Discurso da montanha (cf.. MT 5,1), Os de Luca são pronunciados em um lugar plano (cf.. LC 6,17). Vamos ler o texto.

"Naquela época, Jesus, desceu com os doze, Ele parou em um lugar plano. Havia uma grande multidão de seus discípulos e grande multidão de pessoas de toda a Judéia, de Jerusalém e da costa do tiro e Sidòne. E ele, Alzàti seus olhos para seus discípulos, ele disse: “Abençoado você é, pobre, Porque o seu é o reino de Deus. Abençoado você é, que você agora está com fome, Porque você ficará satisfeito. Abençoado você é, Que grito, Porque você vai rir. Abençoado você é, Quando os homens estão lá agora e quando o banem e o insultam e desprezam seu nome como infame, Por causa do filho do homem. Alegrar -se naquele dia e exultar porque, lá, Sua recompensa é ótima no céu. Da mesma maneira, na verdade eles agiram seus pais com os profetas. Mas ai para você, rico, Porque você já recebeu seu consolo. Ai de você, O que você está sabendo agora, Porque você estará com fome. Ai de você, Isso agora ri, Porque você ficará com dor e chorar. Dificuldade, Quando todos os homens dizem bem sobre você. Da mesma maneira, na verdade eles agiram seus pais com os falsos profetas”» (LC 6,17.20-26).

Já que não há outra página evangélica quem tem pensamento e cultura tão interessados ​​e tem sido objeto de várias interpretações, Vou tentar destacar o ponto de vista do qual Luca pretende apresentar as batidas de Jesus, Mas também os seguintes problemas. Elas, na verdade, Eles são necessários para explicar o primeiro, Eles assumem e são seus equivalentes, para que as batidas, colocado neste fundo negativo, eles se destacam melhor.

Imediatamente após ter formado os doze (LC 6,12-16) Jesus pronuncia as batidas, que, portanto, assumem um valor particularmente significativo para o grupo "ao qual ele deu o nome de apóstolos" (LC 6,13). Elas, Unido àqueles que primeiro seguiram Jesus, são os destinatários imediatos dessas palavras: “Hyd seus olhos para os discípulos dele, ele disse " (LC 6,20). Mas há também uma grande multidão que ouve o discurso desta vez, composto por judeus e pessoas de áreas não judeus, Como as cidades fenícias de tiro e Sidone. Com esta anotação, o evangelista não pretende apenas mostrar que a fama de Jesus se estendeu para fora das fronteiras de Israel, mas deseja prefigurar a extensão pós-instância, também para o tipo de So So, da mensagem de salvação de Jesus. além disso, colocado imediatamente após a anotação de que a multidão "tentou tocá -lo, Porque uma força saiu dele que curou todos " (LC 6,19), As palavras de Jesus que propõem beatitudes e problemas pretendem destacar a fé naqueles que o seguem e estão procurando por ele, em vez da dimensão mágica ou interessada. Relatar pessoas à Terra e, portanto, em termos de escolhas e responsabilidades. Por esse motivo, a maneira de falar em público de Jesus, Como já na ocasião da homilia na sinagoga de Nazaré, Tem um "Kerygmatic" e um tom pedagógico; Eles incentivam a assumir uma posição e também predispor a uma divisão inevitável, Desde que as palavras de Jesus revelam os pensamentos de muitos corações (cf.. LC 2,34-35). Podemos dizer que a página evangélica que coloca a comparação direta, em um brutal Vis à Vis, pobre e rico, faminto e satisfeito, Afflitti e Jungle, pessoas perseguidas e admiradas, implica uma escolha necessária de campo, Uma opção que, em última análise, é entre auto -suficiência e confiança no Senhor, ou entre idolatria e fé.

Como regra, Matteo é considerado o evangelista das batidas, Em vez disso, Luca apresenta quinze em sua escrita, dois mais do que seu colega e, O outro irmão, É também o único que transmite a felicidade dos ouvintes da palavra: "Abençoados são aqueles que ouvem a Palavra de Deus e a mantêm" (LC 11,28). Essa é de fato a chave para ver a felicidade nas várias situações vitais: Ouça e mantenha a palavra e os sinais de Deus, Como a Virgem Maria primeiro fez.

No Antigo Testamento, Em particular nos salmos e na literatura sapiential, As batidas constituem as indicações dadas para que o homem atinja a linha de chegada da felicidade: "Abençoado é o homem que não entra na companhia dos iníquos e na rua dos pecadores" (Vontade 1,1). Se você seguir você vai viver feliz, Mas se você preferir outra estrada, os problemas começam, que eles são necessários para avisar: não maldições, mas avisos, como aqueles que deram aos profetas antigos (É 1,4; 5,8-24; 30,1; 33,1). Comparado ao Antigo Testamento, O novo apresenta algumas diferenças substanciais a esse respeito. Para Jesus, não há condições específicas para as batidas, Porque ele já declara feliz aqueles que estão em uma certa situação e não dizem por exemplo: "Seja pobre!». Vira, Chamando -o de abençoado, Para aqueles que já são pobres. Para felicidade, ou "macarismo", como é definido em um sentido técnico para recordar a expressão grega, Ele não estabelece nenhum comportamento antes, porque é o anúncio de uma novidade que vem de Deus e, por esse motivo, é difícil entender à primeira vista, é paradossale, não é mundano e requer fé. Nisso está a originalidade e a diferença de significado que o Novo Testamento traz. as bem-aventuranças, a saber, Mais do que uma ética para colocar em prática, eles são o anúncio de uma novidade, uma nova maneira de viver a vida e pensar nisso, Porque tudo é visto em relação a Deus, ou para seu reino. Despesas, precisamente, poderia encontrar felicidade nos pobres, no indigente, no sofrimento, no perseguido? Ou melhor ainda: Como também podemos, Em nossa pobreza pessoal, em nossos sofrimentos ou em qualquer outra situação cansativa, Reconheça -nos abençoados? O que permite que você leia uma situação e julgue como abençoada e não uma maldição ou um infortúnio? A felicidade funciona apenas para aqueles que têm fé. Usar uma imagem muito importante para a teologia da revelação, Poderíamos dizer que os olhos da fé são necessários (P. Rousselot, Os olhos da fé, 1910; Trad.. isto. Os olhos da fé, Milão 1974).

Na fé, existe a possibilidade de ver de uma maneira diferente, já que torna os olhos capazes de entender o que de outra forma permanece sob a superfície. Em virtude da graça, o crente reconhece aqueles sinais que Deus coloca em sua vida, por outro lado, sem graça, Ele só vê o fracasso, o morto, fome, o desespero. Com a fé neles, ele vê, apesar de tudo, A presença de Deus. Fica claro por que Jesus não coloca condições para ser abençoado. Apenas um é a condição antes: acredite em Sua Palavra.

As palavras de Jesus são compreensíveis À luz do fato de que o advento do reino de Deus realmente se manifesta nele. Beatitudes e problemas são o olhar de Deus em situações humanas contraditórias e isso parece paradoxal, Desde que ele vê o que o homem não vê, perturbando os parâmetros de avaliação humana. Afinal, o que as batidas colocadas em questão é o relacionamento com o presente que, para alguns shows, satisfatório e saturado (cf.. a vulgata que traduz o "sazi" de LC 6,25 com: «que estão satisfeitos») E para outros, é o desejo e aguardando uma mudança. Estes são os pobres que por sua situação de falta e indigência se tornam os primeiros destinatários do reino. A verdadeira pobreza não é indigência ou miséria, Mas o estado de quem, como o Nuvens (Anawim Os pobres e humildes em hebraico) do Antigo Testamento, Eles são capazes de dar as boas -vindas a Deus porque sabem que não têm nada e esperar tudo dele. Ai para os ricos, diz Jesus, Quando eles são escravos de riqueza, Porque eles colocam a segurança da vida neles e acreditam que o ser deles depende de ter (cf.. LC 12,15: “Tenha cuidado e mantenha -se longe de qualquer copo porque, mesmo se um estiver em abundância, sua vida não depende do que ele possui"). Não é por acaso que a ação divina celebrada em Magnificat O Deus que "satisfeito canta (preenchido) de mercadorias famintas ", enquanto "ele adiou o rico vazio" (LC 1,53). Ou como na história metafórica de LC 16,19-31 onde os ricos, Sazio e Gaudent, se opõe a Lazzaro, pobre, com fome, nu, morador de rua, enquanto que, na perspectiva escatológica da parábola, Os destinos dos dois são completamente derrubados. Essa parábola é um bom comentário narrativo sobre o discurso de Jesus que alterna beatitudes e problemas.

Finalmente, felicidade na pobreza e fome No entanto, não nos deixa quieto ou sem dor para as situações que se perseguem no mundo e pelo destino de muitos, Especialmente quando eles sofrem são desarmados e crianças. Fé e confiança em Deus, Como Manzoni escreve, Não basta manter os problemas afastados, Em vez, e os torna úteis para uma vida melhor ". Uma conclusão "encontrada por pessoas pobres", Comentários sobre o escritor (Os noivos, boné. Xxxviii). Mas a palavra abençoada, que lemos em grego, Desde que o evangelho foi transmitido a nós nessa linguagem, Jesus pronunciou isso em aramaico e em Sua língua não significa apenas feliz, Mas também significa «dirigindo, orientação, caminhar »e onde, se não estiver no mundo? Não podemos escapar deste mundo, Você tem que ficar lá e aprender a ver coisas que a maioria não vê, Não tanto porque falta um princípio de fé, Mas porque oprimido pela vida, ele não tem mais tempo para pensar.

Há uma felicidade em particular lembrada por Matteo. Essas são palavras extraordinariamente densas faladas por Jesus, referindo -se à capacidade que não temos tanto para nos separar das coisas, do trabalho diário, da família, Mas saber como ver em nosso ambiente, na vida diária, O que é superficialmente não visto, O que transcende nossa visão imediata:

«Abençoados são seus olhos porque eles vêem e seus ouvidos porque eles ouvem. Em verdade vos digo:: Muitos profetas e muitos justos queriam ver o que você olha, Mas eles não viram isso, E ouça o que você ouve, Mas eles não o ouviram!» (MT 13, 16-17).

Do eremitério, 16 fevereiro 2025

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Pietro, especialista pescador filho de pescadores, joga as redes na palavra do filho de um carpinteiro

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

PIETRO, Especialista pescador filho de pescadores, GETTA LE RETI SULLA PAROLA DEL FIGLIO DI UN FALEGNAME

Jesus, quem era carpinteiro, Ele não era um especialista em pesca, No entanto, Simone, o pescador, confia neste rabino, Isso não lhe dá respostas, mas o chama para confiar. La sua reazione davanti alla pesca miracolosa è quella dello stupore e della trepidazione: «Senhor, allontanati da me che sono un peccatore»

 

 

 

 

 

 

 

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Pietro era un ebreo credente e osservante, fiducioso nella presenza operante di Dio nella storia del suo popolo, e addolorato per non vederne l’azione potente nelle vicende di cui egli era, ao presente, testemunha. In tale frangente avviene il suo primo incontro con Gesù.

I Vangeli sinottici ci informano che Pietro è tra i primi quattro discepoli del Nazareno (LC 5,1-11), ai quali se ne aggiunge un quinto, secondo il costume di ogni Rabbi di avere cinque discepoli (LC 5,27: chiamata di Levi). Quando Gesù passerà da cinque a dodici discepoli (LC 9,1-6), sarà infine chiara la novità della sua missione. Egli non è uno dei tanti rabbini, ma è venuto a radunare l’Israele escatologico, simboleggiato dal numero dodici, quante erano le tribù d’Israele. I Vangeli consentono di seguire passo dopo passo l’itinerario spirituale di Pietro. Il punto di partenza è la chiamata da parte di Gesù. Avviene in un giorno qualsiasi, mentre Pietro è impegnato nel suo lavoro di pescatore. Gesù si trova presso il lago di Genesaret e la folla gli fa ressa intorno per ascoltarlo. Il numero degli ascoltatori crea un certo disagio. Il Maestro vede due barche ormeggiate alla sponda; i pescatori sono scesi e lavano le reti. Egli chiede allora di salire sulla barca, quella di Simone, e lo prega di scostarsi da terra. Sedutosi su quella cattedra improvvisata, si mette ad ammaestrare le folle dalla barca. E così la barca di Pietro diventa la cattedra di Gesù. Quando ha finito di parlare, dice a Simone:

«”Prendi il largo e calate le reti per la pesca! Simone risponde: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”».

Jesus, quem era carpinteiro, Ele não era um especialista em pesca, No entanto, Simone, o pescador, confia neste rabino, Isso não lhe dá respostas, mas o chama para confiar. La sua reazione davanti alla pesca miracolosa è quella dello stupore e della trepidazione: «Senhor, allontanati da me che sono un peccatore» (LC 5,8). Gesù risponde invitandolo alla fiducia e ad aprirsi ad un progetto che oltrepassa ogni sua prospettiva: "Não tema; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Rileggiamo questo emozionante racconto:

"Naquela época, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Jesus, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: "Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; mas pela tua palavra lançarei as redes". Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, provérbio: «Senhor, allontanati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: "Não tema; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono» (LC 5,1-11).

Il racconto di Luca segue il canovaccio di MC 1,16-20 a cui si rifà, ma con inserzioni proprie e l’aggiunta di una scena che ricorda molto da vicino quella di GV 21, dove lì è un Gesù ormai risorto a dialogare con Pietro per una definitiva chiamata a seguirlo. Mentre due domeniche fa abbiamo lasciato Gesù a Nazareth non compreso e addirittura rifiutato; qui invece le persone Lo cercano e Pietro, em particular, lascia tutto per seguire il Maestro. Fin da questo iniziale momento cogliamo la particolare attenzione e stima che l’evangelista Luca rivolge a questo discepolo; qualcosa che evidentemente aveva appreso ed ereditato dalla comunità primitiva. Notiamo infatti che, mentre in Matteo e Marco la formula di vocazione è al plurale, «Venite dietro a me, Eu vos farei pescadores de homens " (MC 1, 17; MT 4,19), nel racconto lucano è alla seconda persona, quella di Pietro. E sullo sfondo, nella pesca infruttuosa, già si intravedono metaforicamente le fatiche apostoliche delle prime comunità cristiane.

La narrazione della pesca miracolosa, na verdade, presenta i tratti di una catechesi sulla fede per mezzo della quale il Signore ribalta le situazioni umane chiuse e senza speranza. Pietro ne diventa il paradigma. Nelle sue parole, «abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla», non vi è solo amarezza e delusione per l’inane pesca, ma traluce anche un significato più forte che designa la spossatezza e la stanchezza fisica (cf.. o verbo κοπιάω (kopiao). Un’esperienza che troviamo di frequente nella Bibbia, soprattutto nei Salmi: «Sono stremato dai miei lamenti» (Vontade 6, 7; cf.. Além disso Vontade 69, 4; Vontade 127, 1); e che l’antico Israele più volte aveva sperimentato nel corso delle sue vicende. Vi è dunque uno spazio di delusione e di limite nel quale Dio agisce. Per quella parentela fra il presente testo e il capitolo 21 do Evangelho de João, più sopra ricordata, comprendiamo che senza la presenza del Signore i discepoli si affaticano inutilmente fino alla spossatezza. Ma Lui presente, che invita a gettare le reti nuovamente, tutto cambia. La prima trasformazione avviene nella fiducia del discepolo e qui è Pietro ad esplicitarla: «sulla tua parola calerò le reti» (LC 5,4).

Ma di fronte alla pesca miracolosa sembra non basti lo stupore registrato (v. 9) da Luca, poiché Pietro sente di dover dire: «allontanati da me, perché sono un peccatore». Per alcuni ancora una volta dovrebbe soccorrerci il brano parallelo di Giovanni dove il dialogo fra il Risorto e Pietro, incentrato sull’amore, serve all’apostolo per guarire la ferita del rinnegamento nella notte della passione. Mas talvez, simplesmente, visto che qui l’Apostolo compare protagonista per la prima volta nel Vangelo, la richiesta di perdono è da intendersi come il riconoscimento della propria fragilità di fronte al manifestarsi della grandezza di Dio e al compimento della «sua parola». Ma ciò che ancor più colpisce è l’atteggiamento di Gesù verso il discepolo dal quale ha udito la confessione di colpevolezza. Non la sottolinea, non vi insiste, poiché essa non dice tutto della vita di Pietro, il quale dovrà passare attraverso molteplici confessioni. Jesus, più che sottolineare la peccaminosità del futuro apostolo, preferisce invitarlo alla fiducia ed alla sequela: "Não tema; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Qui conviene sottolineare il verbo usato da Luca per designare questa pesca di uomini e non di pesci, poiché in greco «zogreo» contiene in sé sia il vocabolo ζῷον (zoos vivo) che il verbo ἀγορεύω (agreuo, prendere a caccia o a pesca). Si tratta perciò di un prendere vivo, di un catturare lasciando vivi (cf.. vocabolario Rocci). In questo modo l’opera pastorale di Pietro e dei suoi soci (v.10), metaforicamente espressa tramite la pesca che era il loro mestiere originario – e qui torna alla mente l’abbondante pesca di GV 21, 11: 153 grossi pesci tirati in barca, senza che la rete si divida – sarà un servizio alla vita. Aqueles que, attraverso il loro ministero, verranno raggiunti dal Vangelo, saranno attirati al Cristo, il vivente apportatore di vita: «io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (GV 10, 10).

 

Do Eremitério, 8 fevereiro 2025

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Talvez Jesus precisasse ser purificado e perdoado dos pecados através do batismo?

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

TALVEZ JESUS ​​PRECISAVA SER PURIFICADO E PERDOADO DOS PECADOS ATRAVÉS DO BATISMO?

A imersão de Jesus no Jordão é um sinal que revela qual o destino partilhado pelo Verbo que se fez carne: o dos pecadores. Como Paulo escreve: «Aquele que não conheceu pecado, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio».

 

 

 

 

 

 

 

 

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Un episodio sorprendente, addirittura imbarazzante, quello del battesimo di Gesù, che allontana ogni dubbio circa la sua storicità.

Pietro Perugino Pala di Sant ‘Agostino, Battesimo di Gesù, 1512

Giovanni al Giordano impartiva un battesimo di penitenza, secondo quanto scritto in LC 3,3. Gesù aveva forse bisogno di essere perdonato dai peccati? Per tentare di rispondere, seguiamo il filo della pagina del racconto evangelico di questa Domenica, nella versione lucana.

"Naquela época, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». E aqui, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, o amado: in te ho posto il mio compiacimento» (LC 3,15-16.21-22).

In questo brano evangelico notiamo alcune peculiarità. Solo Luca ci dice che Gesù ricevette il battesimo in questo modo: «quando tutto il popolo fu battezzato» (3,21). Mettendosi in fila come gli altri Gesù è l’ultimo di un lungo corteo. L’espressione «tutto il popolo» è tipica dell’evangelista Luca e non è una semplice affermazione tesa ad esagerare la realtà per amplificarla; ha invece uno spessore teologico. Il primo utilizzo di questa espressione nella Bibbia si trova nel libro della Genesi, nel racconto del peccato degli abitanti di Sodoma:

«Gli uomini di Sodoma si radunarono attorno alla casa [di Lot] dai giovani ai vecchi, tutto il popolo al completo» (19,4).

Questa dicitura richiama la condizione peccaminosa di un intero gruppo di uomini, la complicità nel peccato di una determinata moltitudine. Luca usa l’espressione «tutto il popolo» per affermare che l’evento del battesimo di Gesù riguarda in effetti tutto il popolo d’Israele, quanti sono stati toccati dalla testimonianza di Giovanni Battista e non solo. L’immersione nelle acque del Giordano era un segno di conversione e di penitenza, l’atteggiamento a cui tutti erano chiamati per accogliere la salvezza. Ma San Luca sembra guardare anche al di là del popolo di Israele e lascia trapelare che è tutta l’umanità a essere convocata e abbracciata.

Nel mistero del Natale abbiamo meditato l’incarnazione del figlio di Dio, la sua venuta come uomo tra gli uomini, assumendo «in tutto eccetto il peccato» la vera natura umana. Messa in questo modo, A imersão de Jesus no Jordão é um sinal que revela qual o destino partilhado pelo Verbo que se fez carne: o dos pecadores. Como Paulo escreve:

«Aquele que não conheceu pecado, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2CR 5,21).

Reso con maggiore fedeltà al testo greco, questo passaggio del nostro brano potrebbe essere tradotto così: «Quando tutto il popolo fu immerso, anche Gesù fu immerso», come a significare che Gesù si immerge nell’immersione del popolo. Non solo è un membro del suo popolo ma si immerge nella sua stessa condizione ed è con questo atto che dà inizio al suo ministero pubblico, manifestando la sua profonda solidarietà con noi umani, perfino nella nostra condizione di peccatori.

Per l’evangelista Luca, Naquela hora, l’episodio del battesimo del Signore riveste una funzione teologica fondamentale perché Gesù, ancor prima di essere tentato e poi iniziare il suo ministero, parte da lì. Anche se questo aspetto è più evidente nel vangelo secondo Matteo è chiaro per l’evangelista che in questo mistero si riassumono i vari passaggi del Giordano già compiuti nella storia della salvezza. Da quello di Israele fuggente dall’Egitto, per entrare nella terra promessa, fino al ritorno dello stesso da Babilonia dopo l’esilio. Il Giordano appare fondamentale anche per Gesù; Egli lo attraversa per entrare nella sua missione, in una condizione, almeno esteriore, da penitência. Tutto si farà chiaro all’altro battesimo che Egli deve ancora ricevere (LC 12, 50: «Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!»). Dal battesimo nelle acque del Giordano fino al battesimo nella morte e risurrezione che è la sua Pasqua, il Signore non ha mai cessato di immergersi nelle acque della nostra condizione umana spesso peccaminosa, nelle acque agitate della nostra esistenza. Viene a immergersi nella nostra povera umanità per depositarvi l’amore infinito del Padre.

L’altra peculiarità dell’odierno brano evangelico è rappresentata dal fatto che solo Luca ci dice che Gesù, ricevuto il battesimo, «stava in preghiera». Proprio il Terzo Vangelo ha un’attenzione particolare nei confronti di questo aspetto, poiché i momenti più decisivi del ministero di Gesù sono preparati o accompagnati da una preghiera più intensa: il suo battesimo appunto, la scelta dei dodici (LC 6,12), la domanda posta ai Dodici su chi è Gesù per la gente (9,18), la trasfigurazione (9,28) e la passione (22,41-45). San Luca non riporta nessuna parola di questa preghiera di Gesù e neppure cosa Dio Gli abbia potuto comunicare. No entanto, dalle parole scese dal cielo, possiamo comprendere che si tratti di una preghiera filiale, un aspetto quest’ultimo caratteristico del modo di rapportarsi di Gesù a Dio come Padre, rimarcato qui da Luca e soprattutto dal Quarto Vangelo: "Pai, A hora chegou: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te… Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie» (GV 17, 1. 10). Il Padre riconosce Gesù come suo figlio prediletto, con il quale ha una relazione profonda che definisce e contraddistingue la personalità di Gesù fin da fanciullo: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (LC 2,49).

Infine il contesto della scena evangelica richiama il libro del profeta Isaia e la vocazione dell’eletto:

«Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni» (É 42,1).

La missione del Servo inizia dalla comunione e comunicazione con il Padre e dal dono dello Spirito. Lo Spirito Santo giunge ad attestare in modo solenne la divinità di Gesù nel momento in cui ha compiuto, come un uomo qualsiasi, il gesto penitenziale, essendosi sottoposto al battesimo di Giovanni. Durante la sua vita terrena, Gesù non si mostrerà mai così grande come nell’umiltà dei gesti e delle parole. Un’importante lezione per noi che vediamo le cose in modo tanto diverso. Seguire Cristo significa intraprendere questo cammino di umiltà, cioè di verità. Cristo, verdadeiro Deus e verdadeiro homem, ci insegna la verità del nostro essere. Anche a noi cristiani è stata data la grazia dello Spirito ed anche per noi c’è una missione da compiere e una testimonianza da dare. Chiediamo di conoscerla, come Gesù ha conosciuto la sua al Giordano e di poterla vivere. Perché questo accada, il dono dello Spirito va sempre chiesto con insistenza:

«il comportamento di Gesù che prega quando viene lo Spirito, deve servire da esempio ai credenti: il dono dello Spirito Santo infatti è la domanda essenziale della preghiera cristiana» (Gérard Rossé).

Do Eremitério, 12 Janeiro 2025

Battesimo del Signore

 

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Os Padres da Ilha de Patmos

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O mistério do Natal está encerrado num silêncio que fala à história da humanidade

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

IL MISTERO DEL NATALE È RACCHIUSO IN UN SILENZIO CHE PARLA ALLA STORIA DELL’UMANITÀ

Entrando anche noi nel silenzio di Betlemme e penetrando il Vangelo con amore e contemplazione scorgiamo dunque qualcosa di bello e di nuovo su Dio e su di noi, então nós O conhecemos melhor, mas também nós mesmos, quem nós somos, quale mistero alberga in noi, quale senso e valore ha la nostra vita e quella dell’intero universo.

 

 

 

 

 

 

 

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La moda nata negli Stati Uniti di festeggiare in anticipo il sesso del nascituro si è presto propagata anche da noi. Ma nessun baby shower o gender reveal party per il Santo Bambino Gesù.

Più seriamente e anche più profondamente nel Natale del Signore, soprattutto nelle tre liturgie che contraddistinguono questa Solennità, viene svelato qualcosa del mistero di Dio e dell’uomo a partire da quello fontale, sorgente di tutti i misteri storici, che è il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio. Leggiamo perciò il brano proclamato nella Messa della Notte di Natale, secondo il Vangelo di Luca:

"Naqueles dias saiu um decreto da parte de César Augusto, para que um censo deve ser de toda a terra. Este primeiro recenseamento foi feito quando Quirino era governador da Síria. Todos iam alistar-se, cada um na sua cidade. José também, da Galiléia, dalla città di Nàzaret, subiu à Judéia, à cidade de Davi, chamada Belém: na verdade, ele pertencia à casa e à família de David. Ele teve que ser registrado junto com Maria, sua noiva, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, tempo veio para ela para ser entregue. E deu à luz seu filho primogênito, Ela envolto em panos roupa e deitou-o numa manjedoura, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, Mas o anjo disse-lhes:: “Não tenha medo: lá, -lhe boas novas de grande alegria, que será para todas as pessoas: hoje, Cidade de David, nasce para você um Salvador, que é Cristo, o Senhor. Este sinal para você: Você encontra o menino envolto em panos, adagiato in una mangiatoia”. E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”» (LC 2,1-14).

Questo conosciutissimo ed emozionante testo proclamato come Vangelo nella Messa della Notte di Natale lascia a una prima lettura alquanto delusi. Nós esperaríamos, almeno dai personaggi principali, qualche parola, una spiegazione o esternazione dei loro sentimenti. Essi invece rimangono muti e tutta la scena è avvolta da un grande silenzio. Tace Giuseppe che dalla sconosciuta Nazareth sale alla più nota e significativa città di Davide denominata Betlemme, a motivo del censimento. Ma nulla dice di sé, di quel che prova o percepisce. Muta rimane Maria, la sua sposa, che l’accompagna nel viaggio e silenziosamente da alla luce il suo figlio primogenito. Non ci vengono riferiti i suoi sentimenti, cosa si muoveva nel suo cuore. Solo che partorisce fuori dell’albergo, costretta a poggiare il Bambino in una povera greppia di animali. E, naturalmente, non si ode alcun vagito del Bambino appena nato. L’insieme della scena narrata presenta tutta una serie di umili gesti scanditi dal silenzio. Mentre sullo sfondo si proiettano le azioni del potere di Cesare Augusto che vuole che il censimento raggiunga le provincie più lontane. Anche Luca, l’evangelista scrittore, non proferisce alcun commento, come a sottolineare un’estrema misura perfino nella povertà dei mezzi espressivi. Fuori della scena emergono i pastori, intimoriti dall’apparizione di un angelo, sono ammutoliti anch’essi. Solo il messaggero celeste rompe il silenzio annunciando la grande gioia: «E’ nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore». E poi la moltitudine dell’esercito celeste loda Dio proclamandone la gloria nei cieli e la pace sulla terra degli uomini.

Il silenzio è la chiave, in quanto ogni mistero di Dio da esso scaturisce e ad esso ci riporta. Poiché non è semplice, né facile dire Dio, chi Egli sia o descriverlo, il silenzio allora sta lì a segnalare che certe realtà vanno prima di tutto contemplate e lungamente adorate. Questo ci aiuta a comprendere l’apparente e stridente contrasto fra la povertà silenziosa della scena centrale della pagina evangelica e la magnificenza di ciò che le sta intorno. In essa è contenuto il mistero di Dio che va contemplato ed adorato.

Ed è in questo contesto che si rivela, ovvero si solleva il velo sulla singolare manifestazione di Dio, la cui prima caratteristica è indubbiamente la capacità di sorprendere. Chi si sarebbe atteso da Dio un Bambino in fasce? Quale sovrabbondante messaggio Egli porta, quale luce propaga? Ad andare oltre sembra invitarci il brano evangelico, al di là delle dimesse apparenze, per scoprire la ricchezza divina che riposa non nel frastuono, sia esso il bando del censimento di allora, o tutto ciò che oggi fa audience o moltiplica i followers, bensì nella «sottile voce silenziosa» di cui Elia fece esperienza (1Ré 19, 12), nella quale Dio si rivela all’anima capace di meditazione e contemplazione delle scritture e del mistero in esse contenuto.

Di seguito un secondo aspetto rivela di Dio la scena evangelica. E cioè che Egli venga qualificato da alcuni paradossi, da verità apparentemente al di là del buon senso comune e che il mondo accuratamente evita. Potrebbero essere espressi così: di fronte a Dio il piccolo appare spesso più importante del grande, il povero più del ricco, il disprezzato più di colui che è importante, il singolo più della moltitudine. além disso, la povertà non è il male peggiore, dal momento che Dio l’ha permessa per il suo Figlio; e novamente, ciò che sulla terra è solitudine e umiliazione, può essere grande e glorioso in cielo.

Ci accorgiamo, in modo tal, di entrare a poco a poco in una «teologia e antropologia cristiana», in un nuovo modo di capire Dio e l’uomo. In quell’abitudine, prima ricordata, di saper andare oltre scorgiamo che nel mistero di Betlemme dove tutto solo apparentemente è segreto e silenzio, parla in modo nuovo Dio all’uomo e si manifesta come Colui che ordinariamente è dalla parte del più piccolo e del più povero; come qualcuno la cui onnipotenza si mostra anzitutto nella bontà della tenerezza, nell’affidabilità e nella vicinanza ai più semplici e ai più umili. Comprendiamo così che gli siamo cari, noi fragili, deboli e poveri figli di Adamo. Tutto nella scena evangelica fa emergere dal silenzio un unico grande annuncio denso di significato: Dio ci ama gratuitamente, prima che noi lo amiamo e per il nostro bene ci viene incontro.

Entrando anche noi nel silenzio di Betlemme e penetrando il Vangelo con amore e contemplazione scorgiamo dunque qualcosa di bello e di nuovo su Dio e su di noi, então nós O conhecemos melhor, mas também nós mesmos, quem nós somos, quale mistero alberga in noi, quale senso e valore ha la nostra vita e quella dell’intero universo.

Nel mistero adorabile del Natale prendiamo coscienza che non siamo soli, che il Signore è venuto per noi e con noi rimane. Nonostante sentiamo i rombi di guerra d’intorno, il messaggio che Egli porta è quello della gioia e della pace. Una pace divina e non effimera che viene da Lui e attraversa i vissuti delle persone, delle nazioni e dei popoli.

Recentemente è stata avanzata una nuova idea nella riflessione teologica che tratta del mistero dell’incarnazione. Viene denominata «incarnazione profonda», o «radicale». Si tratta di una recente sensibilità teologica interessata a riscoprire la portata inclusiva e salvifica dell’incarnazione per l’intera creazione. Senza nulla togliere alle nuove acquisizioni, ricordiamo che su questo tema si sono confrontati in tanti, soprattutto i santi padri fin dall’antichità. E fra questi Sant’Ambrogio che commentava lo scritto dell’evangelista Luca con queste parole:

«È affinché tu potessi diventare un uomo perfetto che Gesù volle essere un bambinello. Egli fu stretto in fasce affinché tu fossi sciolto dai lacci della morte. Fu nella stalla per porre te sugli altari. Venne in terra affinché tu raggiungessi le stelle, e non trovò posto in quell’albergo affinché tu avessi nei cieli molte dimore. Egli da ricco che era si è fatto povero per noi, perché diventassimo ricchi della sua povertà. Questa indigenza di Dio è dunque la mia ricchezza e la debolezza del Signore la mia forza. Ha preferito per sé le privazioni per donare in abbondanza a tutti. Il pianto della sua infanzia in vagiti è un lavacro per me, quelle lacrime hanno lavato i miei peccati».

Feliz Natal para todos.

Do Eremitério, 25 dezembro 2024

Dies Natalis Domini

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Os Padres da Ilha de Patmos

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Diagnóstico ginecológico do doutor Luca: "E eis, você conceberá no útero"

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

DIAGNÓSTICO GINECOLÓGICO DO DOUTOR LUCA: «E VEJA, CONCEPIRAI NEL GREMBO»

Un’antica tradizione, que remonta ao apóstolo Paulo, relata que Luca era médico. uma pessoa, assim, mais adequado do que outros para contar a concepção especial; na verdade, São Lucas faz uso de toda a sua sabedoria aqui, forse anche quella professionale, ma soprattutto quella teologica.

 

 

 

 

 

 

 

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Il brano dell’Annunciazione, che è anche quello della Vocazione di Maria, è uno dei più belli e profondi del Vangelo di Luca. Ma anche uno dei più complessi e difficili.

Un’antica tradizione, que remonta ao apóstolo Paulo (Com o 4, 14), relata que Luca era médico. uma pessoa, assim, mais adequado do que outros para contar a concepção especial; na verdade, São Lucas faz uso de toda a sua sabedoria aqui, forse anche quella professionale, ma soprattutto quella teologica. Leggiamo il brano.

"Naquela época, o anjo Gabriel foi enviado por Deus a uma cidade da Galiléia, chiamata Nàzaret, uma virgem, desposada com um homem da casa de Davi;, chamado José. O nome da virgem era Maria. Entrando nela, disse: “Rallègrati, cheio de graça: o Senhor é convosco;”. A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. O anjo disse-lhe:: “Não tema, Maria, pois achaste graça diante de Deus. E aqui, concepirai un figlio, você vai dar-lhe o nome de Jesus. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; O Senhor Deus lhe dará o trono de seu pai Davi e reinará para sempre sobre a casa de Jacob eo seu reino não terá fim”. Maria disse ao anjo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”. Le rispose l’Angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. E aqui, Isabel, seu parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nada é impossível a Deus”. Mary disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. E l’Angelo si allontanò da lei» (LC 1,26-38).

L’Arcangelo Gabriele viene inviato da Dio per comunicare alla Vergine Maria l’annuncio dell’Incarnazione ormai prossima. A Maria, promessa sposa di Giuseppe, viene annunciato che diventerà verginalmente la madre del Figlio di Dio. Il testo ci dice che Dio aveva già preparato Maria da molto tempo per questa sua missione, in quanto Ella aveva sperimentato di essere stata «resa gradita» (encantado, Kexaritoméne) a Deus, mediante l’influsso della grazia. Questo è il vero senso di quel «Cheio de graça», che ancora oggi recitiamo nella preghiera dell’Ave Maria, ma spesso senza comprenderne appieno il significato. Il participio perfetto passivo del verbo karitoo indica che si tratta di un’azione passata della grazia su Maria, un’azione dunque anteriore all’Annunciazione, per mezzo della quale Maria aveva sentito di essere interiormente orientata verso un evento futuro ancora sconosciuto. San Tommaso d’Aquino lo spiega dicendo che aveva sperimentato in sé un profondo «desiderio di verginità»; così pure per San Bernardo di Chiaravalle la grazia di Maria era «la grazia della verginità». Orientata da quella grazia Maria era stata preparata a questo giorno: diventare la madre del Figlio di Dio incarnato, ma in un modo verginale.

Un parto simile appare paradossale e difficile da credere, forse anche solo immaginare. Eppure San Luca, nel testo evangelico, ci offre importanti indizi perché noi possiamo accogliere questa verità, come tutta la Tradizione ci insegna. Vediamo da vicino il verso di LC 1,31 che recita in greco: "E eis, você conceberá no útero". Questa aggiunta, «nel grembo», è singolare, poco notata e spesso non tradotta, come abbiamo visto nel testo della CEI che si proclama in chiesa oggi. Non c’è in quanto sembra un’integrazione pleonastica, poiché è evidente che una donna concepisca sempre nel grembo. Eppure l’inizio del verso ben si integra nell’insieme della descrizione dei tre momenti:

  1. Concepirai nel grembo;
  2. partoriraiun figlio;
  3. gli porrai nome Gesù.

Solo Maria, in tutta la Scrittura, riceve l’annuncio che il suo concepimento si farà integralmente «nel grembo», sarà quindi completamente interiore e perciò sarà un concepimento verginale. Vamos ver porque.

Il versetto rimanda chiaramente alla profezia di Isaia 7, 14 (Versione dei LXX), ripresa anche da Matteo (1,23) durante l’annuncio a Giuseppe in sogno:

"Lá la vergine avrà nel grembo e darà alla luce un figlio e chiameranno il suo nome Emmanuele».

In San Luca, trattandosi di un dialogo fra l’Angelo e Maria, si usa la seconda persona (concepirai) e il soggetto è chiaramente Maria, non più la vergine di Isaia o di San Matteo. Anche perché all’inizio del brano, O outro irmão, era già stato detto chiaramente due volte che Lei era «una vergine, promessa sposa»; e che «la vergine si chiamava Maria». Ma la cosa più sorprendente è l’uso da parte di Luca del verbo. Non più «avrai nel grembo» come in Isaia e Matteo, ma «concepirai nel grembo». Un’espressione nuova che va nella direzione di escludere ogni partecipazione maschile, perciò umana, da questo concepimento. Nell’Antico Testamento una donna «riceve nel grembo» (É 8, 3) il seme maschile, oppure «ha nel grembo» (GN 38, 25) dopo un rapporto con un uomo. Ma qui in Luca è chiaramente escluso dalle parole di Maria: «Non conosco uomo» (LC 1, 34) e cioè «sono vergine». Per questo San Luca preferisce usare il verbo «concepire» (sullambánein), anch’esso molto frequente nell’Antico Testamento, però sempre senza l’aggiunta «nel grembo». L’Evangelista infatti adopera due volte il verbo «concepire», con l’aggiunta apparentemente superflua di «nel grembo» e lo fa unicamente riferendosi a Maria. Non lo fa, por exemplo, con Elisabetta (LC 1, 24.36); per Maria invece si, in questo brano e in Luca 2,21:

«…come era stato chiamato [Jesus] dall’Angelo, prima di essere stato concepito nel grembo».

Sembrano solo parole, eppure qui Luca sta dicendo che il concepimento di Maria sarà vero, corporale, come lascia intendere la ripresa dell’antico verbo: concepire; eppure sarà nuovo, unico e diverso per Maria, ovvero senza concorso umano, maschile, totalmente verginale. Richiedeva cioè una «potenza» diversa, un’azione fecondante di tipo spirituale. È quanto l’Angelo spiegherà a Maria a fronte della sua vera obiezione:

«Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio» (v. 35).

Mi scuso se, data l’odierna Solennità, non mi sono soffermato sul Dogma dell’Immacolata Concezione, sul suo significato storico e teologico, sul peccato originale per esempio, come spesso si fa. Mi è sembrato più opportuno e avvincente soffermarmi sulle basi scritturistiche da cui tutto scaturisce come una sorgente. Si nota, na verdade, nel brano odierno del Vangelo della Solennità, una bella continuità. Dal verso di LC 1, 28, dove alla Vergine viene dato il titolo di «Cheio de graça», sappiamo che Maria, há muito tempo, è stata preparata dalla grazia alla sua missione futura. Al momento dell’Incarnazione, l’Angelo le porta il grande e nuovo messaggio: il suo prossimo concepimento si realizzerà «nel grembo», cioè senza concorso umano. Sarà quindi un concepimento verginale, effettuato in Lei dallo Spirito Santo. La Sua Immacolata Concezione è perciò mirabilmente descritta dalla lunga preparazione della grazia in Maria in vista dell’Incarnazione, «nel suo grembo», del Figlio di Dio. C’è quindi una perfetta continuità ben presentata dall’Evangelista Luca. Maria, piena di Grazia, dopo aver «concepito» e partorito «santamente» (v. 35) suo figlio sotto l’azione dello Spirito Santo, può presentarlo agli uomini come Figlio di Dio, il cui nome è Gesù. Questo è il mistero grande che finalmente è rivelato agli uomini. Ma al centro di tutto il racconto sta la Vergine Maria.

Nesse sentido risultano appropriate le parole del Vescovo Andrea di Creta (+740) riferite a Maria:

«Il corpo della Vergine è una terra che Dio seminò, le primizie della materia adamitica divinizzata da Cristo, l’immagine che rassomiglia alla bellezza primitiva, l’argilla modellata dalle mani dell’artigiano» (Homilia 1 sulla Dormizione della Beata Vergine Maria (PG 97,1068).

Do Eremitério, 8 dezembro 2024

Solennità della Beata Vergine Maria Immacolata

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E a vinda do nosso salvador Jesus Cristo

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

ET ADVENTUM SALVATORIS NOSTRI IESU CHRISTI

La prima domenica di Avvento è la porta d’ingresso di un nuovo anno liturgico, desta vez designado com a letra «C», em que as passagens do Evangelho dominical serão retiradas do Evangelho de Lucas …

 

 

 

 

 

 

 

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La prima domenica di Avvento è la porta d’ingresso di un nuovo anno liturgico, desta vez designado com a letra «C», em que as passagens do Evangelho dominical serão retiradas do Evangelho de Lucas.

Esta escrita costituisce la prima parte di un’unica opera, la seconda della quale sono gli Atti degli Apostoli. Costruendo questo complesso letterario Luca ha voluto mostrare che la vita della Chiesa è radicata in Cristo e trova in lui il suo centro di gravità. Non a caso gli Atti iniziano riassumendo così il terzo Vangelo:

«Nel primo racconto, o Teofilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito santo» (No 1,1-2).

E tra «ciò che Gesù fece e insegnò» vi è il discorso escatologico, quello sulle cose ultime, da cui è tratta la pericope di questa prima domenica di Avvento. Vamos ler:

"Naquela época, Jesus disse aos seus discípulos: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo» (LC 21,25-28.34-36).

Il capitolo 21 del Vangelo lucano, costruito attorno al discorso escatologico del capitolo 13 di Marco, è un esempio di quel genere letterario presente anche in altri scritti del Nuovo Testamento e in particolare nell’ultimo libro del canone cristiano: o Apocalipse. È una modalità di presentare la realtà che non ci deve spaventare, ma nemmeno distoglierci dal messaggio che porta e a volte cela. Per trovare un paragone musicale, è come il Dies irae de Messa da Requiem di Verdi. Dapprima intervengono tutti gli archi ed emergono le percussioni, tamburi e grancasse. Poi cessano improvvisamente il suono ed ecco, Finalmente, il senso di quanto è stato eseguito:

«Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo» (LC 21,36).

Tutto questo movimento, nel brano odierno, prende avvio da un apparentemente innocuo apprezzamento fatto da alcuni discepoli, ai v. 5: “Enquanto alguns falavam do templo e das belas pedras e oferendas votivas que o adornavam,, [Jesus] disse:

“Virão dias em que, de tudo que você admira, não haverá pedra sobre pedra que não seja destruída".

Così Gesù anziché sintonizzarsi sulla questione estetica della bellezza del tempio inizia un discorso escatologico sulla rovina di esso e di Gerusalemme, sulle catastrofi cosmiche e sul ritorno del Figlio dell’Uomo che copre l’intero capitolo fino al versetto sulla vigilanza cui abbiamo accennato, che lo chiude.

Em toda essa conversa Gesù spiega che la distruzione del tempio non è segno della fine del mondo (LC 21,5-9), ma inizio dei «tempi delle genti» (cf.. καιροὶ ἐθνῶν di Lc 21,24), che sono poi i tempi della storia, i quali avranno termine con la venuta del Figlio dell’uomo. San Luca accenna rapidamente alla parusia«Allora vedranno il Figlio dell’Uomo venire su una nube con grande potenza e gloria» (LC 21,27) – poiché preferisce piuttosto soffermarsi sulle reazioni degli uomini dinanzi agli eventi escatologici. Se l’accento è posto sulla storia, perché è il luogo in cui il credente è chiamato a sperare, vigilando e pregando, in mezzo alle tribolazioni, la venuta gloriosa del Signore è vista da Luca framezzo le reazioni che produce sugli uomini. Gli eventi catastrofici nella natura o nella storia, in cielo o sulla terra, che saranno motivo di angoscia e smarrimento, di attesa ansiosa, di paura e morte per tanti uomini; para crentes, em vez de, potranno essere il segno dell’avvicinarsi della salvezza: «Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (LC 21,28). Sollevare la testa significa anche alzare gli occhi e vedere ciò che a molti resta invisibile, quella salvezza che avanza tra le tribolazioni che si dipanano nel tempo. Quel «Regno» che emerge da dietro le macerie della storia, fondato sulla promessa del Signore che resta salda anche nell’accumularsi delle rovine «sulla terra» (LC 21,25). Nessun pessimismo dunque, nessun far coincidere le catastrofi naturali e storiche per quanto devastanti, come le guerre, le pandemie, le crisi ecologiche, con la fine del mondo, ma anche nessun cinismo, nessuna fuga dai dolori e dalle assurdità del reale per rifugiarsi in una visione spiritualistica o ingenuamente ottimista.

Per San Luca tutti, credenti e non, sono sottomessi al rischio di essere soverchiati e schiacciati dagli eventi che devono succedere, soprattutto i credenti se non veglieranno e non pregheranno (cf.. LC 21,34). Le paure collettive, le angosce planetarie che schiavizzano uomini e donne, rendendoli preda di ciò che potrà accadere«gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra» (LC 21,26) – costituiscono un dramma escatologico che investe l’intero ecumene (oikouméne: LC 21,26 cf.. «la faccia di tutta la terra» di LC 21,35), anche i discepoli.

L’esortazione alla vigilanza Naquela hora (LC 21,34.36) è anzitutto appello alla lucidità, alla sobrietà, a non cercare vie di stordimento e immunizzazione dal peso e dal dolore della realtà e a non lasciarsi ottundere dal «rumore» degli eventi e anche dalla seduzione di certa narrazione, che approfitta delle paure e delle angosce per stravolgere la realtà presentandone una alternativa, come abbiamo sperimentato durante il periodo della pandemia o adesso con le guerre in corso. Vale la pena ripetere; questi eventi catastrofici che saranno colti come segno di «fine» da tanti e quindi motivo di smarrimento, angoscia, paura e morte per molte persone, per i credenti potranno essere segno dell’avvicinarsi della salvezza e nuovo inizio di vita, «perché la vostra liberazione è vicina» (LC 21,28). Il credente si erge in piedi nell’atteggiamento di chi possiede la speranza nata dalla Risurrezione di Cristo; e forte delle rassicurazioni del Signore intravede il senso di tutto ciò che accade. Ai discepoli che possono lasciarsi sopraffare dalle paure e dalle angosce Gesù ricorda: «Attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita». Sono parole che richiamano quanto il Signore aveva già annunciato in una parabola, riportata nel capitolo 8 di Luca, a riguardo del seme che viene soffocato dalle preoccupazioni.

Termino qui riportando le parole di Papa Benedetto XVI aquele, commentando questo passo del Vangelo, chiamava in causa la testimonianza cristiana, simile ad una città bene in vista:

«A questo ci richiama oggi la Parola di Dio, tracciando la linea di condotta da seguire per essere pronti alla venuta del Signore. No Evangelho de Lucas, Gesù dice ai discepoli: “I vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita … vegliate in ogni momento pregando” (LC 21,34.36). assim, sobrietà e preghiera. E l’apostolo Paolo aggiunge l’invito a “crescere e sovrabbondare nell’amore” tra noi e verso tutti, per rendere saldi i nostri cuori e irreprensibili nella santità (cf.. 1Ts 3,12-13). In mezzo agli sconvolgimenti del mondo, o ai deserti dell’indifferenza e del materialismo, i cristiani accolgono da Dio la salvezza e la testimoniano con un diverso modo di vivere, come una città posta sopra un monte. “In quei giorni – annuncia il profeta Geremia – Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia” (33,16). La comunità dei credenti è segno dell’amore di Dio, della sua giustizia che è già presente e operante nella storia ma che non è ancora pienamente realizzata, e pertanto va sempre attesa, invocata, ricercata con pazienza e coraggio» (Ângelus 2.12.2012).

Do Eremitério, 1° dicembre 2024

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A cruz de Cristo Rei com o sinal do triunfo nos ombros

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

LA CROCE DI CRISTO RE CHE PORTA SULLE SUE SPALLE IL SEGNO DEL TRIONFO

Cristo portò per sé la croce, e para os ímpios era um grande ridículo, mas para os fiéis um grande mistério. Cristo carrega a cruz como um rei carrega seu cetro, como um sinal de sua glória, della sua sovranità universale su tutti. La porta come un guerriero vittorioso porta il trofeo della sua vittoria

 

 

 

 

 

 

 

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Se Domenica scorsa è stato proclamato l’annuncio della seconda venuta di Cristo «sulle nubi con grande potenza e gloria» (MC 13, 26), hoje, nell’ultima Domenica di questo Anno Liturgico, riapriamo il Vangelo secondo Giovanni nel punto dove viene svelata una qualità peculiare del Signore veniente, la sua regalità. Il singolare contesto, la passione del Signore, e l’interlocutore, un funzionario imperiale, rendono particolarmente intrigante la comprensione della regalità che Gesù incarna.

Ciò che il mondo rappresentato da Pilato non può capire, lo comprende invece chi con fede si apre ad una rivelazione inusitata e sorprendente. Leggiamo il brano.

"Naquela época, Pilato disse a Gesù: “Você é o rei dos judeus?”. Jesus respondeu: “Você diz isso por si mesmo, ou ter outros lhe disse sobre mim?”. Pilatos disse: “Talvez eu seja um judeu? Seu povo e os principais sacerdotes entregaram você para mim. O que é que você fez?”. Jesus respondeu: “Meu reino não é deste mundo; se meu reino fosse deste mundo, meus servos teriam lutado para me impedir de ser entregue aos judeus; mas meu reino não é daqui". Então Pilatos disse a ele: “Então você é rei?”. Jesus respondeu: “Você diz isso: Eu sou rei. Para isso nasci e para isto vim ao mundo: para dar testemunho da verdade. Quem pertence à verdade, ascolta la mia voce”» (GV 18,33-37).

Viene descritto qui il primo dei due confronti che Pilato ebbe con Gesù all’interno del Pretorio. Essi culmineranno in quella scena centrale di tutta la narrazione della passione secondo San Giovanni, avvenuta sul Litòstroto, dove Pilato pronunciò le parole: «Ecco il vostro Re» (GV 19,14). Per dare risalto all’importanza della scena ed alla profondità di significato delle parole pronunciate, Giovanni annoterà che in quello stesso momento venivano preparati gli agnelli della Pasqua, nel giorno di Parasceve.

Nel brano evangelico di questa domenica Pilatos, senza perder tempo, arriva subito al punto e alla questione cruciale che più gli interessa: «Tu és o rei dos judeus?». Per il Prefetto romano, rappresentante del potere imperiale, questa domanda evidenzia una preoccupazione circa il governo dei suoi territori. In occasione della Pasqua ebraica, na verdade, il Prefetto si spostava, truppe al seguito, da Cesarea a Gerusalemme, proprio per scongiurare che una sommossa potesse destabilizzare l’ordine e la pax romana. Mãe, come diversi commentatori fanno risaltare, l’espressione «Re dei giudei» che Pilato utilizza può essere compresa, nel nostro brano, almeno in due altri modi, diversi da quello che egli probabilmente intende. I giudei, con quell’espressione, intendevano il re messia atteso fin dall’epoca di Davide per il tempo della salvezza, investito di una missione sia religiosa che politico-nazionale. Il termine Re ha qui, Portanto, in tale contesto, un significato terreno e storico, con anche un’allusione ad un contenuto teologico. Nella storia biblica, ambedue sono strettamente legati e impiegati l’uno per l’altro; tanto che i due significati giocheranno un ruolo decisivo nell’accusa rivolta a Gesù.

Ma bisogna tener conto del senso che le parole devono aver avuto per Gesù, particolarmente indicativo per la comprensione della festa di oggi. Sulla bocca di Gesù questo titolo rivela un nuovo significato, che solo San Giovanni mette in luce e fa risaltare. Gesù accettando il titolo e rispondendo: "Você diz: Io sono re», nello stesso tempo nega il significato che Pilato vuole attribuirgli, per insistere invece sulla sua speciale regalità. Gesù si rifiuta di incarnare un messianismo terreno, come quello evocato già nelle tentazioni nel deserto, in particolare nella versione lucana della prova: «Il diavolo lo condusse in alto e, mostrandogli in un istante tutti i regni della terra, ele disse a ele: «Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me tutto sarà tuo» (LC 4,5-7). «Tutto il mondo appartiene a Satana, che è disposto a dare a Gesù il potere su tutti i regni della terra. Mas Jesus, fin dall’inizio della sua vita pubblica, rifiuta radicalmente di fondare un regno terreno» (cf.. Ignace de La Potterie, La passione di Gesù secondo il Vangelo di Giovanni, 1993). Se la regalità di Cristo deve essere compresa in un altro modo, questo non deve portarci all’idea contrapposta, ovvero ad immaginare un Messia estraniato dal mondo. Il testo del vangelo di questa domenica va letto con attenzione. In greco, le parole di Gesù al v. 36 Eu estou, Verbatim: «Il mio regno non è «da» questo mondo». Quanta differenza rispetto agli apocrifi. «In certi scritti gnostici ispirati dal quarto vangelo, per esempio gli Atti di Pilato, viene introdotta in questo testo la piccola modifica seguente: «Il mio regno non è «in» questo mondo»; il che ha evidentemente un significato del tutto differente e porta a una separazione tra il mondo e il regno di Dio». Le parole di Gesù invece significano che «la regalità di Cristo non si fonda sui poteri di questo mondo e non è minimamente ispirata a questi. È una sovranità nel mondo, ma che si realizza in maniera diversa dal potere terreno e attinge la sua ispirazione da un’altra fonte» (cf.. Ignace de La Potterie).

Pilato era un funzionario esperto, concreto e, conforme necessário, violento e spietato. Secondo San Giovanni alle parole di Gesù, quasi sorpreso, non poté che chiedere: "Então, tu és rei?». Jesus respondeu:

"Você diz: Eu sou rei. Para isso nasci e para isto vim ao mundo: para dar testemunho da verdade. Quem pertence à verdade, ouvir a minha voz ".

E qui che il Signore specifica il senso profondo della sua regalità e da dove scaturisce. La sua fonte è nel Padre che lo ha inviato, per divenire la via della verità e della vita. Afferma Giovanni nel Prologo:

«E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e vimos a sua glória, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno della grazia della verità» (GV 1, 14).

Continua poi incalzante San Giovanni:

"De sua plenitude todos nós recebemos: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia della verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Deu, ninguém o viu: Filho único, que é Deus e está no Pai, é ele que O deu a conhecer " (GV 1, 16-18).

La verità dunque che Gesù porta all’umanità come una grazia, un dono e una missione dal Padre, è la sua rivelazione. Non una semplice verità astratta ed asettica, ma la vita, a palavra, l’esistenza tutta del Signore Gesù, nella pienezza inesauribile del suo significato di amore, di salvezza e di vita nel Padre, per ogni persona che si apre ad essa e vi aderisce con la fede. In ogni uomo o donna che accoglie la verità di Cristo Egli regna nella pace. E questo nonostante la regalità del Signore sia dovuta passare attraverso il crogiuolo della passione, di cui la scena evangelica di questa domenica è il prodromo. Ma per San Giovanni, e solo per lui, proprio la passione sarà la manifestazione della regalità di Gesù: Il Cristo regna dalla Croce.

Giovanni, mentre racconta la passione di Cristo, non nega la realtà o la materialità degli avvenimenti che furono dolorosi. Mette però in rilievo, a differenza dei Sinottici, l’aspetto di regalità e di trionfo, di vittoria sul male e il valore salvifico, che è insito nella passione e nella morte subita da Gesù Cristo: mentre la narra ci dona anche il senso degli eventi. Questi aspetti emergono già durante il processo e poi alla crocifissione di Gesù. Alla fine del processo romano Pilato conduce Gesù di fronte alla folla e dice: «Ecce homo, Ecco l’uomo» (GV 19,5). Gesù in quel momento indossa i simboli della regalità e oltre alla corona di spine ha ancora il mantello. Mentre i vangeli sinottici dicono che la porpora gli fu tolta causandogli dolore, nel Quarto Vangelo si ha addirittura l’impressione che Gesù vada verso la croce indossando ancora sia la porpora che la corona. E c’è un impressionante parallelismo, anche letterario, tra la scena avvenuta nel pretorio, nel luogo chiamato Gabbatà (GV 19, 13-16), e quanto accade ai piedi della croce, sul Golgota (GV 19, 17-22). In entrambi i casi Giovanni pone l’accento sul tema della regalità e in entrambi i casi è Pilato, cioè il detentore del più alto potere civile, che rende gli onori a Gesù. «Ecco il vostro re» dice alla folla radunata davanti al pretorio (GV 19,14); poi sopra la croce egli fa scrivere: «Il re dei Giudei» (GV 19,19). Questa è, di fronte al mondo, una proclamazione della regalità di Cristo fatta in tre lingue: em hebraico, la lingua di Israele, em grego, la lingua della cultura; e in latino, la lingua del potere civile. L’episodio, mais uma vez, viene raccontato solo da San Giovanni. E non è un caso se nella tradizione cristiana la Via crucis, ispirata principalmente al racconto di Giovani, diventerà una via trionfale. Così pure non poche croci dipinte, come il celebre Crocifisso di San Damiano in Assisi che parlò a San Francesco, raffigurano Gesù secondo la tipologia del Christus triumphans. Giovanni scrive che Gesù esce dalla città: «Et baiulans sibi crucem». Abitualmente viene tradotto: «Portando la croce da sé». In realtà la traduzione corretta è: «Portando la croce per sé», cioè portandola come strumento della sua vittoria. San Tommaso d’Aquino conferma questa traduzione e dice: «Cristo portò per sé la croce, e para os ímpios era um grande ridículo, mas para os fiéis um grande mistério. Cristo carrega a cruz como um rei carrega seu cetro, como um sinal de sua glória, della sua sovranità universale su tutti. La porta come un guerriero vittorioso porta il trofeo della sua vittoria». E nei primi secoli san Giovanni Crisostomo aveva già usato un’espressione analoga: «Egli portò sulle proprie spalle il segno del trionfo».

Do Eremitério, 24 novembro 2024

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O céu e a terra passarão, mas minhas palavras não passarão

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

O CÉU E A TERRA PASSARÃO, MA LE MIE PAROLE NON PASSERANNO

In questa condizione il credente può dunque assumere spiritualmente la dimensione della venuta del Signore nello spazio dell’attesa. Não será angustiante ou um prenúncio de ansiedade, bastante cheio de confiança, poiché poggia sull’assicurazione del Signore: «Io vengo presto»

 

 

 

 

 

 

 

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Un evento certo, ma di cui non si sa quando accadrà, esige che lo si attenda. È ciò che emerge dalla pagina evangelica di questa domenica. Tratta dal discorso escatologico di Marco (Boné. 13), essa annuncia come sicura la venuta del Signore, ma afferma che la sua data e il suo momento sono incerti. Vamos ler:

"Naquela época, Jesus disse aos seus discípulos: “In quei giorni, depois daquela tribulação, o sol escurecerá,, a lua não dará a sua luz, as estrelas cairão do céu e os poderes que estão nos céus serão perturbados. Então verão vir o Filho do homem vindo nas nuvens com grande poder e glória. Ele enviará os anjos e reunirá os seus escolhidos desde os quatro ventos, a partir da extremidade da terra para as extremidades do céu. Da figueira aprender a lição: Quando o seu ramo se torna tenro e brota folhas, você sabe que o verão está próximo. Così anche voi: quando você vê essas coisas, sei que ele está próximo, Ele está vindo. Em verdade vos digo:: esta geração não passará até que todas estas coisas aconteçam. O céu ea terra passarão, mas as minhas palavras não hão de passar. Mas a respeito daquele dia ou daquela hora, Ninguém sabe, nem os anjos no céu nem o Filho, eccetto il Padre”» (MC 13,24-32).

Il Cap. 13 del Vangelo di Marco prende avvio da due domande dei discepoli rivolte a Gesù all’uscita dal Tempio e sul Monte degli Ulivi:

«Mentre usciva dal tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: “Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!”. Jesus respondeu a ele: “Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta” (vv.1.2). «Mentre stava sul monte degli Ulivi, seduto di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte: “Di’ a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?”» (vv. 3.4).

Gesù non risponde subito alla domanda dei quattro discepoli, ma nel frattempo ha l’occasione per parlare delle ultime cose. Le parole di Gesù che descrivono l’arrivare di codeste «cose ultime», in «quei giorni», sono una ripresa di testi profetici di Isaia, Gioele e Daniele. Chi le udiva sulla bocca di Gesù, probabilmente ne comprendeva il senso meglio di noi, che dopo tanti anni di distanza facciamo fatica ad orientarci. In realtà il linguaggio apocalittico non è lontano dalla nostra cultura, anzi essa ne è fortemente permeata. Bisogna tener presente, Mas, che detto linguaggio è un «genere letterario», quindi non un racconto storico o un trattato di scienza. Purtroppo molti credenti lo interpretano proprio così, leggendo eventi presenti come realizzazione delle parole di Gesù. Il linguaggio escatologico ha una sua propria chiave e come tale va interpretato. È un genere che nasce dalla confluenza della corrente sapienziale e profetica. Soprattutto quando quest’ultima finisce si attenderà in Israele un profeta che avrebbe sistemato le cose: «Riposero le pietre sul monte del tempio in luogo conveniente, finché fosse comparso un profeta a decidere di esse» (1Mac 4, 46). Del resto non possiamo pensare che Gesù volesse dire che la fine del mondo accadrà proprio come l’ha descritta. Então, siamo sicuri che Egli stesse parlando della «fine del mondo», e não, em vez de, di un nuovo inizio? Perché dice che «questa generazione» vedrà quanto da lui annunciato.

La figura centrale del Vangelo odierno è quella del Figlio dell’Uomo. Mentre precedentemente il Signore aveva parlato del suo destino sofferente, stavolta dà ragione a ciò che si pensava di questo personaggio all’epoca e quindi fra i discepoli. Il Figlio dell’Uomo è una figura potente, quasi un’ipostasi divina come la descrive il profeta Daniele (7, 13-14), il cui compito principale sembra essere quello del giudice (Libro dei Giubilei). Gesù si descrive in tale modo, quando risponde al Sommo Sacerdote che gli domanda se è lui il Messia: «Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo» (MC 14,62); e queste parole diventeranno una delle ragioni della sua condanna. Ma oggi Egli parla del Figlio dell’Uomo legandolo ad un tema caro al giudaismo, ovvero il raduno dei dispersi. Sorprendentemente, na verdade, per le tradizioni evangeliche esso non avverrà soltanto alla «fine del mondo», ma si è già realizzato in un momento particolare e cioè alla morte del Messia Gesù. Ciò è particolarmente chiaro nel Quarto Vangelo quando San Giovanni riporta le parole di Gesù: "E eu, quando sou levantado do chão, Vou atrair todos para mim" (GV 12,32). Il raduno delle genti operato dal Figlio dell’Uomo è preceduto da sconvolgimenti celesti. Così se andiamo a vedere il modo in cui l’Evangelista Marco descrive la morte del Messia, troviamo che alcuni segni che erano stati annunciati nel brano evangelico di oggi si compiono. Gesù aveva detto che il sole si sarebbe oscurato (MC 13,24), ed ecco che dopo la crocifissione di Gesù, «venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio» (MC 15,33). Matteo, amplificando il racconto marciano, aggiunge poi che anche «la terra tremò e le rocce si spaccarono» (MT 27,51), un richiamo alla frase di Gesù per cui «gli astri si metteranno a cadere dal cielo» (MC 13,25). Siamo quindi di fronte non solo ad un annuncio di fine del mondo e del tempo. che per altro si era già intravisto nelle parole iniziali del Vangelo: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (MC 1,15). Ma con la venuta del Messia e con la morte del Signore Gesù inizia il tempo escatologico, il tempo della fine, per cui passa la scena di questo mondo: «Questo vi dico, irmãos: il tempo si è fatto breve… passa infatti la figura di questo mondo!» (1CR 7, 29-31).

In questa condizione il credente può dunque assumere spiritualmente la dimensione della venuta del Signore nello spazio dell’attesa. Não será angustiante ou um prenúncio de ansiedade, bastante cheio de confiança, poiché poggia sull’assicurazione del Signore: «Io vengo presto» (Ap 22,7). È un atto di fede l’attesa cristiana della seconda venuta del Signore. Essa si diramerà nelle diverse direzioni della pazienza, della resistenza, della perseveranza e soprattutto della speranza. Dice l’Apostolo Paolo: «Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza» (per patientiam exspectamus, cf.. RM 8,25). L’attesa paziente diviene persino motivo di beatitudine secondo il libro di Daniele: «Beato chi attenderà con pazienza» (Dn 12,12).

Va sottolineato che il brano evangelico di questa domenica è inquadrato fra due avvertimenti quasi identici: blépete, «guardate», «state attenti»; e agrupneite, «tenete gli occhi ben aperti e abbiate cura» (MC 13,23.33). Il testo è incastonato all’interno di un’esortazione alla vigilanza e al discernimento. Il tempo della storia è abitato da tribolazioni di cui Marco ha parlato nei versetti precedenti (MC 13,19-20), tribolazioni che precedono l’evento centrale dell’annuncio escatologico, che porrà fine alla storia accordandole un fine: la venuta del Figlio dell’Uomo. Lo sconvolgimento delle realtà celesti (MC 13,24-25) dice che è in atto un evento divino, un evento di cui è protagonista il Dio creatore. Ma il sole e la luna, gli astri e le potenze celesti erano anche parte del pantheon degli antichi romani, entità divinizzate ed idoli; e sappiamo che Marco scrive a cristiani di Roma. Perciò qui non è annunciata solo la fine del mondo, ma anche la fine di un mondo, il crollo del mondo degli dèi pagani detronizzati dal Figlio dell’Uomo. E se si afferma che la fine dell’idolatria si compirà con il Regno di Dio instaurato dalla venuta del Signore, si insinua anche che la prassi dei cristiani nel mondo può rappresentare un segno del regnare di Dio; grazie alla vigilanza, per non far regnare su di sé gli idoli. Annunciando la sua venuta gloriosa, Gesù chiede dunque ai cristiani, come gesto profetico, la conversione dagli idoli e dalle potenze mondane. Vivere l’attesa del Signore significa vivere in stato di conversione. Ma la conversione ha come premessa necessaria la vigilanza.

Ecco allora l’immagine dolcissima del fico che germoglia, Em todos os sentidos, poiché fa quasi pregustare l’esito finale quando spunterà il frutto maturo. Questa è una parabola del Signore che ci insegna come lo sguardo verso i segni celesti e l’osservazione di quelli terrestri non sono in alternativa. Il futuro si prepara nell’oggi che si vive, sulla terra dove siamo piantati e dove possiamo scorgere molti segnali della venuta gloriosa del Signore. Solo chi sa ben osservare sa anche scorgerli: «Dal fico imparate la parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l’estate è vicina» (MC 13,28).

Do Eremitério, 17 novembro 2024

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