Gabriele Giordano M. Scardocci
Da Ordem dos Pregadores
Presbítero e Teólogo

( Clique no nome para ler todos os seus artigos )
Padre Gabriel

Aquele jogo nem sempre compreensível do primeiro e do último no Senhor

Homilética dos Padres da Ilha de Patmos

QUEL GIOCO NON SEMPRE COMPRENSIBILE DEI PRIMI E DEGLI ULTIMI NEL SIGNORE

«Buona parte della mia perversione morale è dovuta al fatto che mio padre non mi permise di diventare cattolico. L’aspetto artistico della Chiesa e la fragranza dei suoi insegnamenti mi avrebbero guarito dalle mie degenerazioni. Ho intenzione di esservi accolto al più presto».

 

Autor:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

.

artigo em formato de impressão PDF

 

 

Caros leitores da Ilha de Patmos,

ci sono storie di conversione che fanno comprendere la bellezza di essere cattolici inducendoci a capire il senso del diventare operai nella vigna del Signore. Dio ci chiama in qualsiasi momento della vita: da bambini, da adulti e persino in punto di morte. Non molti sanno che uno di questi operai nella vigna fu proprio Oscar Wilde che si convertì in tarda età al Cattolicesimo, battezzandosi e ricevendo il viatico. L’autore irlandese pochi giorni prima di morire dichiarò al giornale Daily Chronicle:

«Buona parte della mia perversione morale è dovuta al fatto che mio padre non mi permise di diventare cattolico. L’aspetto artistico della Chiesa e la fragranza dei suoi insegnamenti mi avrebbero guarito dalle mie degenerazioni. Ho intenzione di esservi accolto al più presto».

Con la parabola degli operai dell’ultima ora racchiusa nel Vangelo di oggi Gesù viene a insegnarci questo. Todos, nel grande mistero dell’amore di Dio, siamo chiamati e Lui conosce il giorno e l’ora della nostra risposta. Gesù racconta quindi una parabola che all’inizio può essere “fastidiosa”. Perché troviamo degli operai che vengono assunti a inizio giornata e altri invece solo all’ultima ora. Il padrone degli operai risponde però a muso duro a coloro che erano arrivati là per protestare:

«Io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Nella narrazione simbolica, quel padrone è proprio Dio che ha un concetto di primo e ultimo diverso del nostro. Efetivamente, la frase di Gesù circa gli ultimi e i primi è stata lungamente evocata, perché dislocata al di fuori del contesto della parabola. Deu, assim, annuncia con una notizia bella e sconvolgente: Egli capovolge i nostri parametri umani: tutti siamo chiamati ad amare, a renderci santi e a santificare gli altri. Ciascuno di noi è operaio nella vigna, cioè nella Chiesa Cattolica, secondo talenti e doni che Lui stesso ci ha offerto.

La ricompensa finale sarà poi uguale per tutti: la sua amicizia e compagnia eterna in Paradiso. assim, non esiste una diversa modalità di “pensionamento” per l’operaio nella vigna. Il bambino catecumeno martirizzato, il grande lavoratore della carità, il poeta maledetto convertito in vecchiaia, tutti quanti riceviamo come meta finale la Vita Eterna in Dio. Il grande mistero di Dio da accogliere è questo: Dio ci chiede un amore gratuito che non pretende e non reclama, ma si offre spontaneamente. Perché il primo ad offrirsi senza pretendere nulla in cambio è stato Gesù sulla croce.

A noi sta semplicemente di accogliere la chiamata e di mettere un podi buona volontà. Dio stesso con la sua grazia ci accompagnerà nel nostro essere vignaioli operanti e fecondi per Dio e il prossimo. La differenza del tempo che intercorre fra chiamata e risposta all’amore di Dio, non toglie nulla alla nostra felicità, sia che rispondiamo da piccoli o da adulti, se la nostra risposta è autentica, meditata e vera in Dio è sempre fonte di massima gioia per noi. assim, essere primi in Dio non è essere primi nella logica del mondo. Em vez, vuol dire agire con umiltà nello stato vocazionale in cui siamo, decentrando i nostri egoismo e superficialità, ponendo al centro il Signore: in quel decentrarci, Lui ci renderà una gloria ed una soddisfazione massima.

Chiediamo al Signore di diventare buoni come Lui, interiorizzando l’umiltà e la disponibilità ad accogliere un Progetto d’Amore più grande, per diventare giorno dopo giorno testimoni credenti e credibili della Misericordia senza fine.

Que assim seja!

santa maria novela em Florença, 24 setembro 2023

.

.

Inscreva-se em nosso canal Jordânia a clube teológico dirigido por Padre Gabriele clicando na imagem

 

OS ÚLTIMOS EPISÓDIOS ESTÃO DISPONÍVEIS NO ARQUIVO: WHO

.

Visite as páginas de nossa loja livro WHO e apoie nossas edições comprando e distribuindo nossos livros.

.

.

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.

Aquele espírito comunista do Mestre da Vinha do Senhor

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

QUELLO SPIRITO PROLETARIO DI MATRICE COMUNISTA DEL PADRONE DELLA VIGNA DEL SIGNORE

Il Vangelo di questa domenica piacerà ai comunisti, pelo menos para o duro e puro, se ainda houver algum. Aqueles de todos que trabalham, mas trabalham menos. I problemi semmai sorgeranno alla fine quando si scoprirà che la paga sarà la stessa per tutti. Agli altri la parabola farà venire il mal di pancia, tanto insensato e ingiusto apparirà il comportamento del padrone della vigna.

.

 

 

 

 

 

 

 

.

artigo em formato de impressão PDF

.HTTPS://youtu.be/4fP7neCJapw

.

O Evangelho di questa domenica piacerà ai comunisti, pelo menos para o duro e puro, se ainda houver algum. Aqueles de todos que trabalham, mas trabalham menos. I problemi semmai sorgeranno alla fine quando si scoprirà che la paga sarà la stessa per tutti. Agli altri la parabola farà venire il mal di pancia, tanto insensato e ingiusto apparirà il comportamento del padrone della vigna. A parte queste mie battute da quattro soldi cosa dice Gesù? Leggiamolo.

"Naquela época, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: “Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Eles responderam a ele: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. E ele disse a eles: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, Mas, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”» (MT 20,1-16).

Innanzitutto bisogna dire che questo racconto parabolico è proprio di Matteo, non si trova cioè negli altri Vangeli. Sembra sia stato utilizzato dall’Evangelista per distaccarsi un attimo dalla trama di Marco e farlo diventare una spiegazione di quanto stava scrivendo in questa sezione della sua opera. Occorre anche premettere che la parabola ha avuto una storia interpretativa variegata. Da chi vi ha letto la storia della salvezza e della elezione dagli inizi delle vicende bibliche (Adamo, Abraham, Moisés) fino a Gesù a chi vi ha colto una allegoria della vita umana e cristiana per cui anche chi sarà chiamato alla fine della vita potrà salvarsi, né più né meno di chi rispose prontamente fin da giovane. L’esegesi moderna vi ha visto una metafora della giustificazione del comportamento di Gesù di fronte ai suoi detrattori che lo accusavano di prediligere o far comunella coi peccatori e gli esclusi che così diventavano i primi del Regno dei cieli. Vi è però un’altra ermeneutica percorribile sulla base di ciò a cui si è accennato e cioè che Matteo volesse con questa parabola rispondere ad alcune dinamiche sorte già nel primitivo gruppo dei seguaci di Gesù e che si sarebbero ripresentate nelle comunità cristiane a cui il Vangelo sarà rivolto.

Non a caso il brano evangelico sopra riportato inizia, nel testo greco, con la preposizione gar – γάρ, che significa ‘infatti’1, come a dire che adesso si andrà a spiegare quanto precedentemente era stato riportato. Ciò che precede immediatamente è la frase che ritroveremo quasi identica al termine del brano di questa domenica: «Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi» (MT 19,30). Questa espressione di Gesù era a sua volta collegata a una domanda di Pietro: "Lá, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?», a cui Gesù rispose che avrebbe ricevuto insieme al potere di giudicare, anche il centuplo e la vita eterna, ma sempre tenendo conto tuttavia della possibile interscambiabilità fra i primi e gli ultimi. Poco prima aveva anche affermato: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile».

Abbiamo dunque un antefatto al brano di questa domenica che corrisponde alla domanda di ricompensa sulle labbra di Pietro. Agora, come nei film che ripropongono una saga, além de prequel abbiamo anche un sequel. Perché successivamente (MT 20,17-19), subito dopo la parabola, Gesù annuncerà per la terza volta la sua passione, Morte e Ressurreição. Di fronte a un tale solenne annuncio, con grande sconcerto per il lettore, Matteo riporterà appena dopo (vv. 20-24) che due discepoli fratelli, figli di Zebedeo, faranno questa richiesta a Gesù per bocca della loro mamma: «Dì che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno»; provocando la reazione sdegnata del resto del gruppo. Se prima avevamo dunque con Pietro una richiesta di ricompensa, qui ne abbiamo una di rivendicazione di merito con la quale si pretendevano i primi posti. Notiamo che a far queste richieste, salvo Andrea fratello di Pietro, sono i primissimi discepoli chiamati da Gesù (MT 4,18-22)! Comprendiamo perché Matteo, staccandosi da Marco, abbia voluto aggiungere qualcosa proveniente da una sua fonte. Forse la misura era colma o forse era consapevole che i diritti di prelazione, il carrierismo o il guadagno e i privilegi saranno tentazioni che aggrediranno sempre i discepoli di Gesù nella Chiesa e per sempre s’intende anche oggi. La parabola allora sarà la risposta di Gesù a queste logiche squisitamente umane e un richiamo al fondamento a cui tutto è possibile, che non fa torto perché buono e un invito alla comunità a trarne le conseguenze di vita cristiana autentica.

Il racconto parabolico procede con la scansione di alcune ore del giorno a cominciare dalle prime luci dell’alba, fino alla sera verso l’undicesima ora, le diciassette del pomeriggio, quando mancherà un’ora sola per staccare dal lavoro. Il proprietario di una vigna che aveva bisogno di lavoratori uscì una prima volta prestissimo e si accordò con alcuni operai per un denaro al giorno. Poi si fece vivo di nuovo alle nove, l’ora terza, e ne chiamò altri dicendo loro che avrebbe dato loro il giusto. A questo punto entra in scena la percezione e l’attesa del lettore che comincerà a fantasticare su quanto ammonterà questo giusto. Esso sarà come è ragionevole immaginare commisurato con le effettive ore di lavoro? Ma il padrone della vigna è ben strano perché uscirà di nuovo a mezzogiorno e poi alle tre, sorpreso di trovare lavoratori inoperosi chiamerà anche loro. Afinal, a un’ora dalla chiusura della giornata lavorativa, alle cinque del pomeriggio, quando ormai era inutile — chi chiama operai per farli lavorare un’ora sola? — uscirà nuovamente e dirà: «Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?». Risposero: «Perché nessuno ci ha presi a giornata». E ele disse a eles: «Andate anche voi nella vigna». È chiaro che Gesù sta parlando non di un imprenditore sprovveduto o impazzito, ma di Dio che nella sua grande libertà chiama chiunque in qualsiasi momento senza badare alla necessità lavorativa o al compenso, ma mosso dal solo desiderio che le persone facciano parte di questa opera. La sua volontà è che ognuno abbia la possibilità di stare e lavorare nella sua vigna allegoria del popolo di Dio, piantagione amata, come attestato più di una volta nella Bibbia: «Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle» (É 5,1); «In quel giorno la vigna sarà deliziosa: cantàtela! a, o senhor, ne sono il guardiano, a ogni istante la irrigo; per timore che la si danneggi, ne ho cura notte e giorno» (É 27, 2-3); «La mia vigna, proprio la mia, mi sta davanti» (Cantico 8,12a).

La seconda parte della parabola si svolgerà quasi al tramonto come prevedeva la legge nel Deuteronomio: «Darai all’operaio il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole» (Dt 24,15). Il rilascio della paga secondo l’ordine impartito dal padrone avvenne iniziando dagli ultimi operai chiamati, un rimando forse a quel «gli ultimi saranno primi» (MT 19,30) della fine del capitolo precedente il nostro. L’aspettativa che, avevamo su detto, prendeva il lettore ora coinvolgerà gli stessi ‘primi’ operai poiché vedendo consegnare un denaro agli ultimi arrivati si attenderanno di ricevere più del pattuito. Quando però finalmente prenderanno il loro spettante si accorgeranno che sarà il medesimo che era stato consegnato agli operai chiamati da ultimi e qui partirà il risentimento e il mugugno: «Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo» (v.12). Nelle parole risentite degli operai chiamati fin dall’alba che potrebbero essere i discepoli di Gesù menzionati sopra, ma anche chiunque nella Chiesa si senta meritevole di qualche privilegio, si coglie tutto il fastidio verso ciò che ha appena fatto il padrone. Dicono infatti: noi non siamo pari a loro, mentre tu «pares illos nobis fecisti» — come traduce la Vulgata il v 12, em grego ἴσους ⸂αὐτοὺς ἡμῖν⸃ ἐποίησας — che è più graffiante del ‘li hai trattati come noi’; questa uguaglianza è intollerabile.

La risposta del padrone della vigna a colui che sembra essere una sorta di rappresentante sindacale ribadirà per prima cosa che egli è stato rispettoso del contratto, poiché un denaro al giorno era stato loro pattuito e quindi in lui non v’è stata ingiustizia, ma aggiunse anche che ciò che lo aveva mosso era una bontà che mirava direttamente al bene delle persone senza badare a calcoli di tempo o di denaro: «Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?» (v.15). L’azione del padrone, dietro la quale agli occhi di Gesù si nasconde quella di Dio, apparve agli operai della prima ora ingiusta, non conforme alla norma mondana, escandaloso, finanche il lettore l’ha percepita così, fastidiosa e spiazzante. L’evangelista Matteo nelle parole del padrone della vigna definisce il lavoratore scontento e invidioso come qualcuno che abbia un ‘occhio cattivo, perverso’, contrapposto a chi agisce perché buono. L’espressione «tu sei invidioso» è la traduzione del greco: Il tuo occhio è malvagio (O ofthalmos su poneros estin ὁ ὀφθαλμός σου πονηρός ἐστιν). L’organo della visione di questi lavoratori, forse affaticato dalle ore di lavoro — ponos (πόνος) in greco è la fatica, il lavoro — aveva perso di vista la bontà di Dio verso tutti. Egli affermerà: Io sono buono (ego agatos eimi, ἐγὼ ἀγαθός εἰμι).

O climax della parabola starà proprio in questa rivelazione: «Io sono buono». E poiché in MT 19,17 2, pochi versetti prima, si diceva che «uno solo è buono», in riferimento a Dio, è evidente l’allusione teologica della nostra parabola. Qui emerge il proprio di questa metafora che intravede la fuoriuscita dalle logiche ferree di corrispondenza tra lavoro e paga, prestazione e retribuzione, e lascia scorgere un mondo segnato dalla liberalità e generosità, da rapporti regolati non solo dal diritto, ma anche dalla gratuità; non solo dal rigore del dovuto, ma anche dal gratuito inatteso. In cui non il merito è l’elemento che deve decidere della gerarchia delle persone, ma la bontà di Dio.

Concluderei con due citazioni. La prima è una breve frase molto nota, tratta da un testo che ha avuto una grande influenza, Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana3: «Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali». Scelgo questa frase che scrissero otto ragazzi di Barbiana con la supervisione del priore don Milani perché apparentemente sembra andare contro l’insegnamento della parabola. Secondo me ne è lo specchio perché fu proprio il background evangélico, insieme alla capacità di leggere la società e la cultura dell’epoca, che guidò quei ragazzi verso un nuovo concetto di merito e di giudizio all’interno dell’istituzione scolastica. Grazie al Vangelo per la prima volta gli ultimi sono stati visti e non più disprezzati o declassati. Se non ci fosse stato il Vangelo don Lorenzo non sarebbe mai andato casa per casa a togliere i ragazzi dalle stalle per portarli alla sua scuola.

L’altra citazione l’ho scelta per il respiro ecclesiale e per il senso di gioia e di fede che la pervade. È dello Pseudo-Giovanni Crisostomo:

«Chi ha lavorato fin dalla prima ora, riceva oggi il giusto salario; chi è venuto dopo la terza, renda grazie e sia in festa; chi è giunto dopo la sesta, non esiti: non subirà alcun danno; chi ha tardato fino alla nona, venga senza esitare; chi è giunto soltanto all’undicesima, non tema per il suo ritardo. Il Signore è generoso, accoglie l’ultimo come il primo, accorda il riposo a chi è giunto all’undicesima ora come a chi ha lavorato dalla prima. Fa misericordia all’ultimo come al primo, accorda il riposo a chi è giunto all’undicesima ora come a chi ha lavorato fin dalla prima»4.

do eremitério, 24 setembro 2023

 

 

NOTA

1 «Ὁμοία γάρ ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν – Infatti il regno dei cieli è simile» (Mt21,1)

2 "E eis, un tale si avvicinò e gli disse: "Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna? ». Ela lhe respondeu: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, guardam os mandamentos ".
3 La scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Livraria Editora Fiorentina, 1990

4 Pseudo Giovanni Crisostomo, Con la morte ha sconfitto la morte. Omelia sulla Pasqua, LEV, 2019

 

 

Grotta Sant’Angelo in Ripe (Civitella del Tronto)

 

.

Visite as páginas de nossa loja livro WHO e apoie nossas edições comprando e distribuindo nossos livros.

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.

O perdão não é um jogo cronometrado, mas um desafio cristológico infinito

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

IL PERDONO NON È UN GIOCO A TEMPO MA UNA SFIDA CRISTOLOGICA ALL’INFINITO

Nas últimas décadas, especialmente desde que a psicologia se tornou popular, o tema do perdão ultrapassou os limites do religioso e dos lugares clássicos que lhe são atribuídos, como o confessionário, per approdare nel setting psicanalitico, dove vengono affrontati i conflitti che generano angoscia e turbamento. In quel contesto la persona carica di pesi insopportabili è invitata a rivalutare il perdono, spesso verso sé stessa, soprattutto quando l’altro da cui ha ricevuto un torto non è raggiungibile.

.

 

 

 

 

 

 

 

.

artigo em formato de impressão PDF

.HTTPS://youtu.be/4fP7neCJapw

 

Nas últimas décadas, especialmente desde que a psicologia se tornou popular, o tema do perdão ultrapassou os limites do religioso e dos lugares clássicos que lhe são atribuídos, como o confessionário, per approdare nel setting psicanalitico, dove vengono affrontati i conflitti che generano angoscia e turbamento. In quel contesto la persona carica di pesi insopportabili è invitata a rivalutare il perdono, spesso verso sé stessa, soprattutto quando l’altro da cui ha ricevuto un torto non è raggiungibile.

O pagina evangelica di questa domenica ci offre la possibilità di guardare il perdono come lo intendeva Gesù il quale come spesso accade, attraverso parole nette e chiare, ci presenta una particolare prospettiva. Ecco il brano:

"Naquela época, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: "Homem, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Eu não te conto até sete vezes, ma fino a settanta volte sette. Por causa disso, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, provérbio: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello”» (MT 18,21-35).

Per cercare di capire la risposta di Gesù a Pietro dobbiamo fare un salto indietro nel tempo. Poiché il tempo se si tratta di perdono è importante. Occorre risalire la storia biblica fino alle generazioni successive ad Adamo ed Eva, in particolare a un discendente del tristemente famoso Caino di nome Lamec. Caino come è noto uccise il fratello Abele e temendo una rappresaglia ricevette un’assicurazione da Dio che chi lo avesse toccato sarebbe incorso in una vendetta pari a sette volte la stessa (Geração 4,15). Il testo della Genesi riporterà poco più avanti le parole di Lamec che fu un uomo più violento del trisnonno Caino, capace di uccidere per un nonnulla, della qual cosa se ne vantò con le mogli:

«Ada e Silla, ascoltate la mia voce; mogli di Lamec, porgete l’orecchio al mio dire. Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette» (Geração 4,23-24).

La richiesta di Pietro che era giocata sulla quantità accettabile, ampia e immaginiamo esagerata ― «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?» ― ricevette da Gesù una risposta basata invece sul tempo: «Eu não te digo até sete vezes, ma fino a settanta volte sette», cioè sempre. Egli stabilì così una misura incommensurabile, perché come spiegherà nella successiva parabola ogni discepolo si troverà nella condizione di quel servo che non potrà restituire un debito inestinguibile, tanto era esorbitante. Nella versione lucana ― «Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai» (Lc 17,4b) ― anche se l’azione malevola era reiterata, almeno c’era un che di pentimento, ma nella domanda di Pietro in Matteo non compare: nessuna scusa, nessun pentimento. E Gesù rispondendo pose Pietro davanti ad una situazione incondizionata di una tale unilateralità che potrà essere accettata solo da quel discepolo che avrà compreso il perdono immenso ricevuto da Dio, attraverso Gesù. Egli attuò così il rovesciamento della vendetta numerata del libro della Genesi in favore di una liberazione dal passato coi suoi pesi che opprimono il cuore. La vendetta cantata da Lamec infatti è la diuturna riproposizione all’animo del passato che ha causato ferite, quel momento che non si può scordare di quando qualcuno commise il male contro di me e che fa rimontare nell’animo le emozioni della rabbia e della rivalsa, corrodendo tutto nell’intimo. A un occhio umano il male che è stato fatto può apparire non sanabile e neppure dimenticato, sempre ritorna. Per sgombrare il campo dico subito che qui non è a tema la giustizia che dirime una contesa o tenta di riparare un torto applicando la legge e neppure il fatto che si debba dimenticare il male che è stato compiuto. La risposta che Gesù restituisce a Pietro riguardo il peccato personale va semplicemente nella direzione opposta al passato diretta verso il futuro. Che si tratti di settanta volte sette o di settantasette nelle parole di Gesù è rovesciato il proposito beffardo di Lamec, così l’anima, svincolata dagli effetti perniciosi del rimanere ancorata al male passato, guadagnerà una nuova libertà. Il perdono illimitato, quando anche l’offensore non lo capisse, sarà infatti un bene soprattutto per l’offeso che si aprirà alla meraviglia di essere stato lui per primo graziato: si è sgravato di un grosso peso e debito, può guardare il futuro con leggerezza perché finalmente libero.

L’evangelista Matteo usò per la domanda di Pietro il verbo ἀφίημι (aphiemi) que o Vulgata tradusse con “dimittere” ― «Dominado, quotiens peccabit in me frater meus, et dimittam ei? Usque septies?» ― Esso ha infatti come primo significato in greco quello di mandare via, lasciar andare, rimandare qualcuno libero e per estensione quello di rimettere qualcosa, per esempio una colpa o i peccati e quindi assolvere. Lo stesso verbo sarà usato da Gesù nel rimprovero al servo a cui era stato condonato un enorme debito, che però si era scagliato contro il suo sodale senza usare quella grandezza d’animo o pazienza (makrotimia μακροθυμία) (cf.. MT 18,29)1 che era stata precedentemente usata a lui: «Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te2. Paradossalmente con Gesù si ha un rovesciamento di prospettiva: non sono più io che ho subito un male a liberare l’altro perdonandolo illimitatamente, ma sono io che lasciando andare il peccato, mi libero di un peso che mi fa star male, io per primo ne beneficio. Io perdono perché sono stato perdonato. Si può dialogare con questi presupposti con la moderna psicologia? Penso proprio di sì e senza soggezioni e su questo mi fermo. Anzi aggiungo un’altra cosa, un accostamento che potrebbe apparire singolare. L’ultimo autore del quarto Vangelo raccontò la vicenda di Lazzaro morto (GV 11), di Gesù che si attardò alquanto e poi il dialogo serrato con Marta e quindi di nuovo la domanda di Maria, in una tensione narrativa crescente perché Gesù voleva far entrare nella testa, o meglio desiderava che fosse accolto con fede che Egli era «la risurrezione e la vita», perché «chi crede in me, mesmo se morrer, vai viver; quem vive e acredita em mim, non morirà in eterno»3. Chi custodirà questa fede saprà che i morti non ‘saranno lasciati’ nel sepolcro. E infatti l’ultima parola che Gesù dirà ai discepoli astanti, ma non a Lazzaro, Sara: «Lasciatelo andare» (Aphete auton upageinἄφετε ⸀αὐτὸν ὑπάγειν, Solvite eum)4; lo stesso verbo usato in Matteo per il peccato perdonato. Congiungendo i due racconti si potrebbe dire che se non lasci andare il peccato, il male che ti è stato fatto, non sarai mai libero per davvero. Il peccato è la condizione mortifera, il perdono è la vita e la risurrezione in Gesù Cristo.

Nella parabola poi narrata da Gesù sul re che volendo regolare i suoi conti iniziò com’è normale da chi gli doveva di più è presentata la pietra di paragone di ogni perdono cristiano e la fonte a cui attingere per esser capaci della illimitatezza richiesta. Perché dietro la figura del re si cela quella di Dio Padre, l’unico capace di condonare così tanto, una cifra enorme, hiperbólico. Diecimila talenti corrispondevano a cento milioni di denari tenendo conto che un denaro era più o meno la paga media giornaliera di un operaio: impossibile da rimborsare per un servo. Ora il primo servo della parabola se avesse compreso il dono ricevuto avrebbe dovuto amare di più, secondo l’altra parabola che Gesù raccontò nel Vangelo di Luca (cf.. LC 7, 41-43)5, ma non lo fece perché si accanì contro il suo compagno suscitando la tristezza negli altri e lo sdegno del re. Fissato come era sul quanto gli era stato rimesso perse di vista la grandezza di animo (makrotimia – μακροθυμία dei vv. 26) che aveva mosso un tal gesto e soprattutto la compassione viscerale (σπλαγχνίζομαι, splanchnízomai del v. 27) che corrisponde in molte occorrenze bibliche alla misericordia di Dio, un tratto quasi materno e il solo aspetto manifestabile di Lui come ricorda questo famoso brano di quando Mosè volle vedere Dio:

«Gli disse: “Mostrami la tua gloria!”. Respondidas: “Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome, homem, davanti a te. A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò misericordia”. Soggiunse: “Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo”… “Il Signore passò davanti a lui, proclamando: "O senhor, o senhor, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione”» (É 33,18-20; 34,6-7).

Ecco allora rivelato il fondamento di ogni azione di perdono: l’essere stati perdonati. Il cristiano sa di essere stato perdonato dal Signore con una misericordia gratuita e preveniente, sa di aver beneficiato di una grazia insperata, per questo non può non usare misericordia a sua volta ai fratelli e alle sorelle, debitori verso di lui di molto meno. Eventualmente, nella parabola, non è più questione di quante volte si deve dare il perdono, ma di riconoscere di essere stati perdonati e dunque di dover perdonare. Se uno non sa perdonare all’altro senza calcoli, senza guardare al numero di volte in cui ha concesso il perdono, e non sa farlo con tutto il cuore, allora non riconosce ciò che gli è stato fatto, il perdono di cui fu destinatario. Dio perdona gratuitamente, il suo amore non può essere meritato, ma occorre semplicemente accogliere il suo dono e, in una logica diffusiva, estendere agli altri il dono ricevuto. Comprendiamo così l’applicazione conclusiva fatta da Gesù. Le parole che egli pronuncia sono parallele e identiche nel contenuto, a quelle con cui chiosa la quinta domanda del Padre nostro: "Perdoe-nos nossas dívidas, come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (MT 6,12); l’unica da lui commentata.

«Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe (MT 6,14-15). «Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello» (MT 18,35).

Vorrei concludere con un piccolo aneddoto che ho vissuto in prima persona. In occasione dell’anno Santo del 2000 fra le molte iniziative imbastite nella comunità parrocchiale per vivere al meglio quell’evento vi fu anche quella di far sorgere nei tempi forti di Avvento e di Quaresima dei piccoli gruppi del Vangelo. La parrocchia non era grande, ma l’iniziativa piacque e circa venti gruppetti si crearono, ognuno più o meno di dieci, quindici persone. In pratica chi voleva, singolo o famiglia, per alcune sere apriva la propria casa e o invitava i vicini o questi arrivavano da sé, anche in base alla conoscenza e all’amicizia e per un paio di ore si rifletteva in gruppo su un brano del Vangelo appositamente preparato con una scheda esplicativa e delle preghiere finali. Poi ogni famiglia si sbizzarriva preparando anche dolcetti o cose da offrire, come è normale. Una sera che ancora ricordo toccò al brano clou dell’Anno Santo, la parabola del figliol prodigo o del Padre misericordioso, come si usa chiamare adesso. Per inciso aggiungo che c’era stato un pellegrinaggio alla scoperta della Russia cristiana e alcuni avevano potuto vedere nel museo dell’Ermitage il quadro di Rembrandt raffigurante la menzionata scena evangelica che campeggiava su tutti gli opuscoli delle diocesi e delle parrocchie. Così andai a uno di questi gruppetti pensando di camminare sul velluto, dopo cena, tutto tranquillo. Con mia grande sorpresa, quando venne il momento della discussione sul brano evangelico alcuni, soprattutto uomini, si mostrarono contrariati verso l’atteggiamento del padre della parabola. Per loro era inconcepibile che un padre riammettesse in casa il figlio minore che aveva sciupato tutto e che se ne uscisse di casa per tirar dentro pure quello maggiore. Io rimasi basito, quasi offeso. Perché questi non erano atei conclamati, ma gente di parrocchia e qualcuno anche con responsabilità. Ricordo la faccia di qualche brava pia donna, ormai tutte decedute, che mi mandavano occhiate per dire: risponda qualcosa. Ma io non aggiunsi nulla, un po’ perché colto di sorpresa e un po’ per intuizione.

Riflettendo poi sull’accaduto pensai che fosse stato giusto così e che l’intollerabilità di quella particolare parabola evangelica dovesse essere lasciata a quel modo, come un cibo difficile da digerire. No fondo, per accettarla, bisognava aver compreso che siamo stati raggiunti dalla grazia di Dio che è misericordia e perdono, una grazia avuta a ‘caro prezzo’. L’apostolo Paolo che l’aveva capito e sperimentato si adoperò con tutte le sue forze per renderlo fruibile a molti e così si espresse in un famoso passo della lettera ai romani:

«Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se de fato, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, muito mais, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita» (ROM 5, 8-10).

Forse chissà, se questo episodio, come tanti altri diversi, ma più o meno simili che ne seguirono, concorsero a farmi scoprire un giorno la vita eremitica?

bom domingo a todos!

Dall’Eremo, 16 setembro 2023

 

NOTA

[1] «Abbi pazienza con me e ti restituirò»

2 «Δοῦλε πονηρέ, πᾶσαν τὴν ὀφειλὴν ἐκείνην ἀφῆκά σοιServe nequam, omne debitum illud dimisi tibi, quoniam rogasti me» (MT 18, 32)

3 GV 11, 25-26

4 GV 11, 44

5 «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Jesus lhe disse: «Hai giudicato bene»

 

 

Grotta Sant’Angelo in Ripe (Civitella del Tronto)

 

.

Visite as páginas de nossa loja livro WHO e apoie nossas edições comprando e distribuindo nossos livros.

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.

Gabriele Giordano M. Scardocci
Da Ordem dos Pregadores
Presbítero e Teólogo

( Clique no nome para ler todos os seus artigos )
Padre Gabriel

Perdoar não é fazer o bem, mas um sinal de caridade e justiça divina

Homilética dos Padres da Ilha de Patmos

PERDOAR NÃO É BEM, MAS SINAL DE CARIDADE E JUSTIÇA DIVINA

«Eu o perdôo por me explorar, arruinado, humilhado. Eu o perdôo tudo, porque eu amei". Com estas palavras Eleonora Duse chamou de "a musa", resume seu relacionamento atormentado com Gabriele D'Annunzio, seu único amor da vida, de um ponto de vista secular e humanista.

 

Autor:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

.

artigo em formato de impressão PDF

 

 

Caros Leitores da Ilha de Patmos,

um dos ensinamentos de Jesus mais difíceis de aceitar é que sobre o perdão. Quando somos injustiçados, na verdade, lembramos mais facilmente da pessoa que o cometeu, gerando uma divisão e um distanciamento total entre nós e ela. É um sentimento totalmente natural de vingança. É por isso que Jesus nos pede para ir mais longe. E há aqueles que fazem deste ensinamento de Jesus seu. Por exemplo:

«Eu o perdôo por me explorar, arruinado, humilhado. Eu o perdôo tudo, porque eu amei".

Com estas palavras Eleonora Duse chamada de "a musa", resume seu relacionamento atormentado com Gabriele D'Annunzio, seu único amor da vida, de um ponto de vista secular e humanístico.

O perdão é um dos principais núcleos do Cristianismo, como vimos nos domingos de verão; o Senhor muitas vezes decide oferecer parábolas para transmitir conceitos importantes. A parábola do servo mau explica em forma narrativa um belo tema da mensagem de Jesus. Encontramos o resumo no início de canção evangélica de hoje.

«Jesus respondeu a Pedro: “Eu não te conto até sete vezes, mas até setenta vezes sete"".

O número sete evocado por Jesus e levou à sua maximização (setenta vezes sete) não é um número aleatório para a mentalidade judaica em que Jesus viveu. Na verdade, representa plenitude, o sétimo dia em que Deus descansou, as sete aspersão rituais de sangue (Nível 4,6-17; 8,11; nm 19,4; 2Ré 5,10); a imolação de sete animais (nm 28,11; este 45,23; GB 42,8; 2CR 29,21), os sete anjos (tuberculose 12,15); os sete olhos na pedra (Zc 3,9). Mas Jesus menciona especialmente sete e setenta em referência ao profeta Daniel (Dn 9,2-24), em que setenta semanas são mencionadas. Simplificando podemos dizer que segundo o profeta estas setenta semanas terminarão no dia da salvação, porque à sua maneira, setenta vezes sete, é um número infinito. Então aqui está Jesus, Resumindo, afirma a presença da plenitude da salvação do Senhor, através do perdão que Ele, o Deus-homem, dá aos homens.

A parábola do servo mau narra uma situação de injustiça: o mesmo servo a quem foi perdoada uma dívida enorme - praticamente impossível de cobrir durante toda a vida pelos padrões da época - não oferece o mesmo perdão para uma dívida menor, diante do qual o senhor se torna severo diante da falta de amor e de justiça para com o próximo. O centro da dinâmica do perdão está contido neste: aprenda a oferecer um ato de amor a outro pecador. Assim como somos perdoados e pedimos perdão a Deus, no confessionário e quando recitamos o Nosso pai.

Perdoar é o ato extremo de amor e o mais difícil: porque liberta o pecador da raiva e da tristeza que podemos trazer-lhe depois de um pecado sofrido, nos libertando da memória desses erros. E é por isso que é difícil perdoar: é uma jornada espiritual e existencial que requer tempo ao mesmo tempo, paciência, oração e sobretudo a graça do Senhor. A graça, na verdade, ajuda-nos a imitar Jesus que perdoa seus algozes enquanto está na cruz.

Pedimos a ajuda do Senhor aprender a ser pecadores que pedem e concedem perdão, pedimos os sete dons do Espírito, porque no acolhimento podemos ver o próprio sentido do amor da caridade e do amor até ao fim.

Que assim seja!

santa maria novela em Florença, 16 setembro 2023

.

.

Inscreva-se em nosso canal Jordânia a clube teológico dirigido por Padre Gabriele clicando na imagem

 

OS ÚLTIMOS EPISÓDIOS ESTÃO DISPONÍVEIS NO ARQUIVO: WHO

.

Visite as páginas de nossa loja livro WHO e apoie nossas edições comprando e distribuindo nossos livros.

.

.

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.

O que realmente significa tornar-se pequeno para entrar no Reino dos Céus?

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

O QUE REALMENTE SIGNIFICA FAZER-SE PEQUENO PARA ENTRAR NO REINO DOS CÉUS?

"Naquela época, Jesus disse aos seus discípulos: “Se o seu irmão cometer um crime contra você, vá e admoeste-o entre você e ele sozinho; se ele vai te ouvir, você terá ganhado seu irmão; se ele não escuta, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano».

.

 

 

 

 

 

 

 

.

artigo em formato de impressão PDF

.HTTPS://youtu.be/4fP7neCJapw

 

Um religioso che aveva un senso molto pratico delle cose e degli uomini mi ripeteva spesso che le società sono belle, in numero dispari, minore di tre. Il vecchio detto mirava a sottolineare che non appena le comunità si espandono di numero e in distribuzione territoriale subito nascono anche i problemi e, assim, la necessità di ricavare regole per dirimerli o almeno arginarli. O pagina evangelica di questa domenica, che riporta alcuni detti di Gesù in tal senso, sembra infatti essere scaturita dalle difficoltà che si presentarono nelle comunità giudeo-cristiane sul finire del I secolo d.C. Ecco il brano evangelico:

"Naquela época, Jesus disse aos seus discípulos: “Se o seu irmão cometer um crime contra você, vá e admoeste-o entre você e ele sozinho; se ele vai te ouvir, você terá ganhado seu irmão; se ele não escuta, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. Em verdade vos digo:: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”» (MT 18, 15-20).

Ci troviamo all’interno del capitolo diciotto del primo Vangelo che riporta il cosiddetto “discorso alla comunità” introdotto dal gesto di Gesù di collocare un bimbo al centro dei discepoli e chiedere loro di farsi piccoli come lui per diventare «il più grande nel regno dei cieli»1. Di seguito l’invito a non scandalizzare il piccolo bambino e a non disprezzarlo, pena una fine miserevole giù per la ‘Geenna’ dove si giacerà come un oggetto abbandonato in discarica, enquanto ele, il piccolo, avrà sempre in alto un angelo che rimirerà il volto di Dio Padre.

La preoccupazione di Gesù nasce dalla consapevolezza che le comunità cristiane, così come fu per il primo nucleo dei suoi discepoli, saranno attraversate da dinamiche relazionali e di potere che potranno ingenerare scandali i quali screditeranno l’esperienza cristiana non solo agli occhi del mondo, ma riusciranno a indebolire anche i rapporti all’interno delle stesse; in particolare nei riguardi di coloro che Gesù chiama piccoli e deboli, che necessariamente accuseranno più di altri certi comportamenti. Per Gesù nessuno dovrebbe sperdersi, soprattutto chi è in posizione di minorità. Infatti prima del brano odierno narrò la breve parabola della pecora perduta:

«Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? Em verdade vos digo:: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda»2.

Aqui, Naquela hora, di seguito una specie di road map del comportamento da seguire in caso si presenti la situazione del peccatore che arreca scandalo e divisione. Nelle parole di Gesù si coglie l’eco di esperienze concretamente vissute nelle comunità ferite da certi peccati, le quali interrogarono i capi delle stesse al fine di formulare indicazioni improntate alla gradualità, alla discrezione e al rispetto verso tutti. Ma anche a fermezza, come sottolineato dal ripetersi per ben cinque volte di proposizioni condizionali, nel breve spazio di tre versi: «Se tuo fratello; Se ti ascolterà; Se non ascolterà; Se non ascolterà costoro; Se non ascolterà neanche l’assemblea». Testimonianze di una riflessione ecclesiale sui casi concreti verificatisi e della nascita di una pratica disciplinare con regole e limiti volti a impedire la disgregazione della comunità e che certi episodi si ripetano. Questa esperienza ha fatto maturare una prassi da seguire nel caso si presentino queste situazioni:

«Va e ammoniscilo fra te e lui solo; Prendi con te una o due persone; Dillo alla comunità; Sia per te come il pagano e il pubblicano».

Si tratta con ogni evidenza di quei peccati che minano la comunione nella comunità cristiana, dunque di colpe pubbliche e non solamente interpersonali. Porque neste caso, se si trattasse di un problema sorto fra due persone credenti, l’unica via da percorrere sarebbe quella del perdono senza misura:

«Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: ”Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Eu não te conto até sete vezes, mas até setenta vezes sete"". (MT 18, 21-22).

Ma nel caso di una colpa pubblica che arreca danno alla comunione, nonostante la parabola di Gesù sulla pecora perduta e l’insegnamento sul perdono, la strada da seguire, fatto tutto il possibile e con la comunità posta con le spalle al muro, potrà giungere anche alla scelta dolorosa della separazione. Ne abbiamo un ricordo nelle parole di San Paolo che di vita comunitaria se ne intendeva:

«Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione. A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità. Mas você, irmãos, non stancatevi di fare il bene. Se qualcuno non obbedisce a quanto diciamo in questa lettera, prendete nota di lui e interrompete i rapporti, perché si vergogni; non trattatelo però come un nemico, ma ammonitelo come un fratello»3.

E altrove:

«Vi esortiamo, irmãos: ammonite chi è indisciplinato, fate coraggio a chi è scoraggiato, sostenete chi è debole, siate magnanimi con tutti»4.

Come avviene dunque questa correzione fraterna se in una comunità un membro pecca («Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te ― Ἐὰν δὲ ἁμαρτήσῃ ⸂εἰς σὲ⸃ ὁ ἀδελφός σου»)? Nel testo greco troviamo il verbo ‘amartanoἁμαρτάνω’ che ha il significato di errare, fallire e per estensione anche peccare e rendersi colpevole. O v.15 contiene l’espressione ‘contro di te’ (εἰς σὲ), presente in molti testimoni del testo, ma assente in altri. Na minha opinião, se teniamo per vero quanto detto sopra sulla differenza fra un peccato pubblico che mina la comunione ecclesiale e quello interpersonale, potrebbe trattarsi di un’aggiunta per armonizzare la presente frase con quella che Pietro rivolgerà a Gesù poco dopo e sopra riportata: «Senhor, se il mio fratello commette colpe contra mim, quante volte dovrò perdonargli?»; un effetto abbastanza frequente fra i copisti. Se un fratello peccherà, quale sarà allora l’iter da seguire per una correzione veramente cristiana? Il cammino sarà svolto in tre passaggi. Innanzitutto la correzione personale, «fra te e lui solo», poiché se il fratello ascolterà e si ravvedrà il problema sarà risolto senza l’imbarazzo di coinvolgere altri. Se questo ascolto non si attiverà sarà necessario il coinvolgimento di due o tre testimoni, come già prevedeva il Deuteronomio: «Un solo testimone non avrà valore contro alcuno»5. In questo modo verrà garantito sia il diritto della persona accusata che la solidità della testimonianza portata su ‘ogni parola’ (letão. pân rhêma; il testo CEI ha: tudo). Si rimane ancora a livello del dialogo e della possibilità di spiegarsi, quando la presa di parola nella Chiesa dà la possibilità di presentare le proprie opinioni e aprirsi ad un ascolto reciproco. Ma se anche in questo caso l’ascolto decade allora “dillo alla Chiesa”. L’ultima istanza sarà la comunità ecclesiale, l’assemblea locale. La correzione dovrà a questo punto svolgersi nel contesto allargato dell’intera comunità. Mas, sia nel rapporto a tu per tu, che davanti ad alcuni testimoni o di fronte all’assemblea, l’elemento discriminante della correzione rimarrà la relazione e la capacità di ascolto. In altre parole quella libertà interiore, con l’umiltà e l’apertura che riconoscono la bontà del rimprovero mosso e che porta a rinunciare a difendersi contrattaccando o negando e rimuovendo il rimprovero.

Purtroppo il fantasma dell’ego aleggia sempre sulle nostre personalità o sulle nostre relazioni impedendo il vero ascolto dell’anima, sia la personale che quella comunitaria. Coi suoi tranelli, che sono i pensieri egoici, eserciterà un blocco che impedirà la cura e l’ascolto di queste anime e cioè quel ‘ritornare bambini’ di cui parlava Gesù, come sopra ricordato.

È a questo punto che le strade della comunità e del peccatore potranno separarsi. Quando anche l’ultima istanza della sequenza di correzione incontrerà il non ascolto Gesù dirà: «sia per te come il pagano e il pubblicano» (MT 18,17). È interessante notare che con questa formula di esclusione venga accordato alla comunità un potere, quello di sciogliere e legare, che in precedenza era stato affidato al singolo Pietro (MT 16,19): sciogliere e legare significano perdonare e escludere, permettere e proibire. La comunità, l’assemblea ecclesiale, è dotata del potere di ammissione o di esclusione, dove la scomunica sarà l’ultima scelta (cf. 1CR 5,4-5)6, mentre il vero grande potere sarà quello del perdono. La correzione fraterna infatti mentre è rivolta al peccatore perché ne riconosca il bene è al contempo dono dello Spirito7 per la stessa comunità che mai dovrà arrivare a odiare il fratello, ma continuare ad amarlo mentre svolge il servizio della verità:

«Non odierai il tuo fratello nel tuo cuore, ma correggerai apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato contro di lui» (Nível 19,17).

La letteratura neotestamentaria, che riporta per forza di cose queste situazioni, è piena di indicazioni volte a considerare il peccatore sempre come un fratello:

«Se qualcuno non obbedisce a quanto diciamo in questa lettera, prendete nota di lui e interrompete i rapporti, perché si vergogni; non trattatelo però come un nemico, ma ammonitelo come un fratello» (2Tes 3, 15); «Fratelli miei, se uno di voi si allontana dalla verità e un altro ve lo riconduce, costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore lo salverà dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati» (GC 5, 19-20).

Nonostante la possibilità della separazione, ultima ratio, nelle parole di Gesù persiste uno spazio dove è possibile ancora ritrovarsi e cioè la preghiera rivolta al Padre. Riprendendo infatti il detto rabbinico «Quando due o tre sono insieme e tra loro risuonano le parole della Torah, allora la Shekinah, la Presenza di Dio, è in mezzo a loro» (Pirqé Abot 3,3), Gesù lo trasformò ponendo la sua persona come centro dell’incontro: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro». Nonostante la separazione sarà dunque sempre possibile pregare insieme per qualsiasi conflitto. Paolo stigmatizzerà l’uso dei corinti di rivolgersi ai tribunali pagani per risolvere contese e liti sorte fra i cristiani: «È già per voi una sconfitta avere liti tra voi8. Perché chi crede in Gesù risorto e possiede il suo Spirito troverà sempre in Lui un luogo di incontro (cf.. il verbo sunaghein – synághein del v. 20: riuniti nel mio nome) e nella preghiera al Padre l’accordo; quel ‘La’ che darà di nuovo inizio alla sinfonia della fraternità fra i credenti (cf.. il verbo accordarsi, sunfoneo – symphonéo al v. 19).

In tutti i commenti ai brani evangelici della domenica che fin qui ho prodotto per i Lettori de L’Isola di Patmos ho tenuto come leitmotif di fondo il tema della fede in Gesù. Perché mi sembrava necessario, soprattutto nell’epoca attuale della Chiesa, non dimenticare quanto sia preminente ― non maggiore ma in armonia con le opere della carità ― la fede in Cristo risorto che rappresenta il vero ‘specifico’ cristiano. Quella fede in Gesù che apre orizzonti di senso, ci rende pieni di visioni, diventa capacità ermeneutica del tempo che ci è dato di vivere. A volte rischia di scomparire dall’orizzonte della Chiesa quando essa si pensa più grande rispetto a Gesù che si fa piccolo, come quel bambino collocato in mezzo ai discepoli di cui ha parlato all’inizio l’odierna pagina del Vangelo. E alla fine della stessa Egli si metterà di nuovo al centro fra i discepoli che vorranno ritrovare con la preghiera l’armonia dopo le contese. Se non si perderà o occulterà questo centro si avrà modo di vivere l’autentica fraternità. Fratello (adelfosἀδελφός nel v. 15) è infatti il termine col quale il Vangelo chiama ogni membro della comunità che è la Chiesa: «Voi siete tutti fratelliperché uno solo è il Padre vostro» (MT. 23, 8-9). La fraternità è probabilmente l’altro ‘specifico’ cristiano che mi sembra dobbiamo oggi recuperare: nel sentire profondo di ognuno, nel vivere quotidiano, dentro i mondi incontrati ed abitati, nelle relazioni e nelle interazioni, perfino in quelle virtuali dove le polarizzazioni sono diventate acute e nelle assemblee liturgiche che sono punto di arrivo e di ripresa della vita cristiana. La fraternità fu il primo manifesto che balzò agli occhi di coloro che incontrarono i discepoli di Gesù e fu riconosciuto come un loro tratto distintivo più e più volte rammentato nelle testimonianze scritte:

«Dopo aver purificato le vostre anime con l’obbedienza alla verità per amarvi sinceramente come fratelli, amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri» (1PT 1, 22); «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (GV 13, 35); «Siamo fratelli, invochiamo uno stesso Dio, crediamo in uno stesso Cristo, sentiamo lo stesso Vangelo, cantiamo gli stessi salmi, rispondiamo lo stesso Amen, ascoltiamo lo stesso Alleluia e celebriamo la stessa Pasqua» (Santo Agostinho)9.

bom domingo a todos!

do eremitério, 9 setembro 2023

 

NOTA

[1] MT 18, 4

[2] MT, 18, 12-14

[3] 2Tes, 3, 11-15

[4] 1Tes 5, 14

[5] Deut 19, 15: «Un solo testimone non avrà valore contro alcuno, per qualsiasi colpa e per qualsiasi peccato; qualunque peccato uno abbia commesso, il fatto dovrà essere stabilito sulla parola di due o di tre testimoni»

[6] «Nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati voi e il mio spirito insieme alla potenza del Signore nostro Gesù, questo individuo venga consegnato a Satana a rovina della carne, affinché lo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore»

[7] "Irmãos, se uno viene sorpreso in qualche colpa, manteiga, che avete lo Spirito, correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu».(Garota 6, 1)

[8] 1CR 6, 7

[9] Augustinus., Em. in Ps. 54,16 (CCL 39, 668): «Fratres sumus, unum Deum invocamus, in unum Christum credimus, unum Evangelium audimus, unum Psalmum cantamus, unum Amen respondemus, unum Alleluia resonamus, unum Pascha celebramus»

 

San Giovanni all'Orfento. Abruzzo, montanha Maiella, era uma ermida habitada por Pietro da Morrone, chamado 1294 à Cátedra de Pedro à qual ascendeu com o nome de Celestino V (29 agosto – 13 dezembro 1294).

.

Visite as páginas de nossa loja livro WHO e apoie nossas edições comprando e distribuindo nossos livros.

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.

Negar a si mesmo e tomar a cruz é uma exaltação da dor? Não,

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

NEGAR-SE E TOMAR A CRUZ É UMA EXALTAÇÃO DE DOR? NÃO, É CAMINHO PARA O CAMINHO, LA VERITÀ E LA VITA

«Attraverso ogni evento, qualquer que seja o seu caráter não-divino, passa uma estrada que leva a Deus" (Dietrich Bonhoeffer, Resistência e rendição)

.

 

 

 

 

 

 

 

.

artigo em formato de impressão PDF

.HTTPS://youtu.be/4fP7neCJapw

 

È iniziato il campionato di calcio aquele, come gli appassionati sanno, è preceduto nel periodo estivo dalla preparazione che le squadre fanno in forma ritirata per provare schemi e tattiche senza svelarsi troppo agli avversari poiché, come spesso accade, ad ogni grande manifestazione si antepone un tempo di attesa e di silenzio. In un certo qual modo è anche ciò che capitò a Gesù quando iniziò una nuova tappa della sua vita e missione. Chiese ai suoi di non rivelare chi egli fosse, anche se Pietro lo aveva appena confessato. Riporto allora il brano del Vangelo di questa ventiduesima domenica del tempo por um ano, con l’aggiunta iniziale del verso 20 do capítulo 16 di Matteo che non è presente nel brano liturgico:

Masaccio, Gesù che paga il tributo, 1425 cerca de, Chiesa di Santa Maria del Carmine, Florença

«(Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.) Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: “Dio non voglia, homem; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satanás! Você é um escândalo para me, porque você acha que não é Deus, mas o homem!”. Allora Gesù disse ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, você nega a si mesmo, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, vai perdê-la; ma chi perderà la propria vita per causa mia, Você deve encontrar. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni”» (MT 16, 20 – 27).

Gesù aveva appena chiesto, a chi evidentemente a quel punto doveva sapere molto su di lui, chi egli fosse per loro (MT 16, 15). Di fronte alla bella confessione di Pietro sentì di poter allora spiegare (literalmente: mostrare) ai suoi qualcosa di nuovo riguardo la sua persona e il suo destino. Che si tratti di un nuovo inizio, forse anche un cambio di prospettiva e di maturata consapevolezza intervenuta in Gesù, lo testimonia il parallelismo con MT 4, 17 che narra l’apertura del suo ministero dopo l’arresto di Giovanni: «Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire». Nel versetto iniziale del testo odierno l’evangelista adopera il verbo ‘mostrare’ (ἐπιδείκνυμι epideíknymi) che rimanda e fa da contraltare alla richiesta dei farisei di far vedere un segno della sua autorità. Il segno mostrato loro da Gesù sarà la vicenda del profeta Giona che oggi ai discepoli è decodificato:

«Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona il profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra» (MT 12, 39-40).

Ritorna l’identificazione di Gesù con la figura del ‘Figlio dell’uomo’. Inizialmente parlavamo di nascondimento e Gesù amò celare, finché poté, la sua identità più profonda dietro questa figura celeste descritta nella letteratura biblica (Libro di Daniele, capítulo 71 e in quella apocrifa giudaica (Enoc etiopico)2 perché questo personaggio che vive nascosto, che è vicino a Dio come un’ipostasi e che ha il compito di giudicare, rappresentava per lui l’immagine più confacente al Messia, almeno come ci riporta principalmente il Vangelo più antico, quello di Marco. Nonostante le diverse stratificazioni convenute nei ricordi evangelici, pare proprio che Gesù rifuggisse letteralmente (cf.. GV 6,15) dall’idea del Messia discendente davidico e cioè legato al potere o alla sua restaurazione. Poteva accettare che l’espressione ‘Figlio di David’ gli fosse rivolta da un cieco (MC 10,47), un povero dunque che non poteva che saper le cose se non riferite da altri o da una donna pagana come la cananea; ma Gesù, identificando preferibilmente se stesso col Figlio dell’Uomo, comunicava ai discepoli che egli era quel ‘messia segreto’ e che da questo momento desiderava condurli verso la comprensione piena dei pensieri e dei voleri di Dio circa questo suo inviato. Un’impresa ardua, allora e oggi, come testimoniato dall’episodio di Pietro. Le parole iniziali del brano odierno – lo abbiamo già segnalato – legate a ciò che precede (‘da allora’Ἀπὸ τότε), e corrispondenti ad un nuovo inizio (‘cominciò’ἤρξατο) rappresentano non solo un cambio di scena nel testo ma anche per i discepoli una sorta di doccia fredda perché nel momento in cui Gesù annuncerà il suo destino di sofferenza Pietro lo respingerà come un’assurdità. Il Figlio dell’uomo che Pietro infatti conosce è figura potente e gloriosa la quale non può che essere vincitrice. A música, nonostante lo sconcerto dell’apostolo, mostra invece quanto Gesù fosse consapevole di essere qualcosa di più del Figlio dell’Uomo di derivazione danielica o come fu rappresentato nella letteratura apocrifa, la qual cosa avrà necessità di una ulteriore rivelazione, sconcertante per la sua grandezza, aquele, per questa stessa ragione, sarebbe difficile da credere e accettare se fosse venuta da lui. Sarà quindi la voce stessa di Dio sul Tabor, alla Trasfigurazione, a fare tale rivelazione:

"Este é o meu Filho, o amado: in lui ho posto il mio compiacimento. ouvi-lo " (MT 17,5).

I tre discepoli che udranno questa rivelazione sapranno che ormai Gesù, del quale avevano qualche cognizione, è Figlio di Dio. È quel ‘nascosto’ nel mistero di Dio, destinato a rivelarsi.

Per poter comprendere la densità del testo proclamato in questa domenica partirei dall’affermazione sorprendente che Gesù rivolse al suo discepolo migliore, Pietro:

«Va’ dietro a me, Satanás! Você é um escândalo para me, porque você acha que não é Deus, mas o homem!».

A mio avviso ci aiuta ad allontanare un paio di tentazioni perniciose. La prima è quella di accontentarci di alleggerire la nostra coscienza, ribaltando su altri quelle che sono debolezze insite nella umana natura, dunque anche nostre, dimenticando di guardare più in profondità. Magari anche solo gettare uno sguardo al dramma in scena se proprio non ci riesce quello mosso da una fede capace di penetrare il mistero più grande che la scrittura ogni volta ci propone. Così faremo con Giuda nel tempo della passione ed ora con Pietro che strattona Gesù (‘Lo trasse con sé’καὶ προσλαβόμενος αὐτὸν)3. È vero che Pietro fece quel gesto e disse quelle parole («Dio non voglia, homem; questo non ti accadrà mai»), ma la risposta che diede Gesù, la risposta di uno che ha piena consapevolezza di chi fosse e profonda conoscenza di dove venisse e di chi lo aveva mandato, non sembra neanche rivolta a Pietro, piuttosto a colui che fin dall’inizio lo aveva ostacolato tentandolo (cf.. MT 4). Il Signore avvertì, nelle parole dell’apostolo, l’ultimo tentativo dell’avversario di bloccare la sua missione. Se Egli non smise mai di pazientare e usare comprensione verso i suoi discepoli, anche quando li rimproverava, sapeva bene d’altro canto contro chi aveva a che fare e davvero poneva inciampo alla sua missione. Anche se a prima vista Gesù non lesina parole dure a Pietro: il beneficiario della rivelazione del Padre ora è apostrofato come ‘satana’, il destinatario della beatitudine è ora motivo di scandalo, la roccia è ora pietra d’inciampo. In Pietro queste dimensioni contraddittorie convivono, come convivono in ogni credente possibilità di fede e di non-fede, di comprensione e di ignoranza, di fedeltà e di abbandono, di umiltà e di supponenza. In particolare di fede e di sufficienza, di adesione al Signore e di presunzione di sé.

L’altra tentazione, forse anche peggiore, è quella di togliere valore all’incarnazione del Figlio di Dio, come se sulle parole di Gesù circa il suo destino pendesse una divina necessità o a un fato ineluttabile, come se la volontà divina fosse una sovrascrittura della sua esperienza umana con l’intento di far soffrire e morire Gesù perché espiasse i peccati come una vittima o un sacrificio. Una conseguenza pur vera che andrebbe però letta bene, mentre invece spopola di frequente fra i credenti che prediligono una religiosità devozionale e sentimentale, con poca voglia di confrontarsi col mondo.

Nelle parole di Gesù cogliamo, em vez de, tutta la freschezza di un’esperienza umana autentica e la scoperta di una vocazione che corrisponde a quel ‘pensare secondo Dio’ che Pietro ancora non aveva. Nell’annuncio nuovo che Gesù da e che risuonerà altre due volte (MT 17, 22-23; 20, 17-19) mentre camminerà verso Gerusalemme, la città che «uccide i profeti» (MT 23, 37), Egli comunica ai suoi la passione per il mondo che è la stessa di Dio: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, para que quem nele acredita não se perca, mas tenha vida eterna "4. Gesù sa bene di aver sollecitato ostilità con le sue parole e con le azioni e per questo forse si era anche attardato nella parte nord del paese, ma era giunto il momento di non rimandare l’incontro con quei poteri che possono togliere la vita con violenza: una circostanza che chi pregava con i salmi e leggeva i profeti conosceva bene. Questa è la vocazione di Gesù che riconosce come una necessità – «doveva (ὅτι δεῖ) andare a Gerusalemme e soffrire molto» (MT 16,21) – e che accoglie con la libertà di chi pensa secondo Dio.

Dobbiamo essere grati al gesto di Pietro che ha permesso di ricordare un detto sulla sequela del discepolo che risente della tensione escatologica che animava la predicazione di Gesù, per cui nulla è rimandabile poiché il tempo si è fatto breve e questo è il momento della decisione.

«Se qualcuno vuole venire dietro a me, você nega a si mesmo, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, vai perdê-la; ma chi perderà la propria vita per causa mia, Você deve encontrar. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita5

Pietro è stato appena rimandato indietro da Gesù, nella posizione del discepolo che segue il maestro. E se prima era stata annunciata la passione del Messia, ora viene comunicata da Gesù quella del discepolo. Queste espressioni dal tenore semitico (perdere la vita – trovare la vita; guadagnare – trovare) prese da un contesto legale, per cui in un tribunale si può addirittura scegliere di non difendere se stessi (rinnegare se stessi – prendere il patibulum) come pure farà Gesù, sono il modo in cui i Vangeli ci offrono le rappresentazioni della vicenda umana di Gesù che convergono nel riconoscere nella fede escatologica il loro tratto distintivo. Una fede concretamente vissuta come conflitto ultimo e perciò mortale con il Satana, a cui è stata rimessa la potenza e la gloria di tutti i regni dell’ecumene, secondo il passo illuminante della seconda tentazione nella versione di Luca6. Una fede che si traduce in gesti e parole dai quali traspare con tutta la chiarezza desiderabile il rapporto vissuto da Gesù nei riguardi del mondo, vale a dire in concreto con la società di appartenenza: família, classi sociali, poteri costituiti, rapporti di forza tra individui, ceti e generi, espressioni cultuali e culturali. Tutto questo universo di relazioni è come visto dal di fuori, e non certo perché egli fosse mosso da uno specifico intento di denuncia del giudaismo in vista della costruzione di una superiore forma di vita religiosa, ma perché in concreto il mondo gli si offriva nella fattispecie del giudaismo del suo tempo. Ciò che si oppone alla sua esigenza sono gli uomini e le istituzioni ebraiche nella misura in cui consapevolmente o meno si riconoscevano nel mondo.

Non sorprende pertanto che questo stesso atteggiamento sia richiesto da Gesù ai seguaci, con tutte le rotture che esso comporta e perciò anche i rischi; ciò che viene implicitamente chiesto è un atto di coraggio morale e, Se for necessário, anche fisico: «Chi avrà perduto la sua vita per causa mia la troverà» (MT 10, 39). Coraggio di una qualità speciale che si coniuga anche con la compassione:

«Non spezzerà una canna già incrinata, non spegnerà una fiamma smorta, finché non abbia fatto trionfare la giustizia» (MT 12, 20).

perché coraggio e compassione sono in Gesù aspetti inseparabili della stessa figura. In questo senso l’invito rivolto al seguace a ‘rinnegare sé stesso’ non aveva nulla di arbitrario né di contrario al rispetto verso se stessi. Va compreso come un modo, duro quanto si vuole, per rendere consapevole il discepolo della gravità della rottura che Gesù compiva: non si trattava di seguire un riformatore religioso né un maestro di sapienza, ma di riconoscere nella condizione mondana che ‘guadagnare la vita’ autentica corrispondeva all’accettare le conseguenze radicali della sua predicazione.

Nelle parole di Gesù è alla fine prefigurata anche la risurrezione, dopo la sofferenza e la morte. Il destino del Messia sconfitto7, che sarà chiaro e riconosciuto nella fede solamente dopo che questi avrà ripreso la vita, diventerà allora parte del cuore dell’annuncio cristiano, come testimoniano queste parole dell’apostolo Paolo:

«Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio» (1CR 1, 22-24).

E finalmente il mistero di Gesù crocifisso e risorto sarà riconosciuto dai discepoli come il vero segno di Dio, perché il ‘pensare secondo Dio’ comportava la Pasqua di Gesù. Egli sarà visto allora come la parola concentrata (verbum abbreviatum), poiché Dio ha pronunciato una sola parola, quando ha parlato nel suo FiglioSemel locutus est Deus, Quando locutus in Filio est»”8) e quella parola era l’amore che lui ha rivelato:

«Antes da festa da Páscoa, Jesus, sabendo que seu tempo havia chegado para passar deste mundo para o Pai, tendo amado os seus que estavam no mundo, li amò fino alla fine» (Gv13,1).

Dall’Eremo, 3 setembro 2023

 

NOTA

[1] «Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno,
che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (Dan 7, 13-14)

[2] Chialà S., Libro delle Parabole di Enoc, Paideia, 1997

[3] MT 16, 22

[4] GV 3, 16

[5] MT 16, 24, 26

[6] «Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: “Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Portanto, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo» (LC 4, 5-7).

[7] Dianich S., Il Messia sconfitto, l’enigma della morte di Gesù, Cittadella, 1997

[8] Sant'Ambrogio, cf.. Henri De Lubac, Esegesi medievale, volume. III, Milão, Livro de Jaca, 1996, PP. 261-262

 

San Giovanni all'Orfento. Abruzzo, montanha Maiella, era uma ermida habitada por Pietro da Morrone, chamado 1294 à Cátedra de Pedro à qual ascendeu com o nome de Celestino V (29 agosto – 13 dezembro 1294).

.

Visite as páginas de nossa loja livro WHO e apoie nossas edições comprando e distribuindo nossos livros.

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.

Pedro e suas fragilidades: de «Se você é» para «você é o Cristo, o filho do Deus vivo"

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

PEDRO E SUA FRAGILIDADE: DE «SE VOCÊ É» PARA «VOCÊ É O CRISTO, IL FIGLIO DEL DIO VIVENTE»

“Chi crede non s’imbatterà mai in un miracolo. Você não pode ver as estrelas durante o dia". “Aquele que faz um milagre diz: Não consigo me separar da terra". (Francisco Kafka)

.

 

 

 

 

 

 

 

.

artigo em formato de impressão PDF

.

 

Abbiamo visto tante volte nei legal thriller americani, che si svolgono per la maggior parte delle scene in un tribunale, gli avvocati incalzare i testimoni saliti sul loro scranno, con domande dirette che richiedevano come risposta solamente un sì o un no. Sono le domande che la scienza della comunicazione identifica come chiuse. Di altro genere sono quelle aperte, che rendono possibile, em vez de, una risposta ragionata e articolata, anche se breve. Sono quelle domande che gli psicologi, por exemplo, prediligono perché favoriscono la relazione e un clima positivo fra gli interlocutori.

Il PeruginoConsegna delle chiavi a San Pietro, particular – 1481-1482 – affresco – Capela Sistina, Vaticano

Nella pagina evangelica di questa ventunesima domenica del tempo ordinario Gesù rivolse ai suoi discepoli due domande del secondo tipo, cioè aperte. Il testo evangelico è il seguente:

"Naquela época, Jesus, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: “La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”. Risposero: “Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti”. Disse loro: “Ma voi, Quem você diz que eu sou?”. Rispose Simon Pietro: “Você é o Cristo, o Filho do Deus vivo". E Jesus lhe disse:: “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. Eu lhe darei as chaves do Reino dos céus: tudo que você ligar na terra será ligado no céu, e tudo o que você derreter na terra será derretido no céu". Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo». (MT 16, 13-20)

Questa scena che comunemente viene definita della confessione di Pietro si svolge all’estremo nord di Israele, dove Gesù si trovava dopo esser passato da Genesaret (MT 14, 34), quindi dalle parti di Tiro e Sidone (MT 15, 21), poi lungo il Mare di Galilea (MT 15, 29) e nella regione di Magadan (MT 15, 39). Siamo alle pendici del Monte Hermon dove nasce il Giordano, dalle parti di Cesarea di Filippo, città che nel nome rimanda alla potenza di Roma perché fu edificata dal tetrarca Filippo, figlio di Erode, in onore dell’imperatore. Sia spiritualmente che geograficamente siamo dunque molto distanti dalla città santa di Gerusalemme, praticamente all’estremo opposto, ed è qui che avviene la confessione messianica di Pietro. Dopo di che il cammino di Gesù si allontanerà da questi territori, dove fino ad ora si era attardato, per dirigersi proprio verso Gerusalemme: «Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme» (MT 16, 21).

Presso la città che in antico portava il nome del dio Pan (Panea)[1] e ora quello di Cesare Gesù interroga i suoi discepoli, dapprima in forma indiretta e poi direttamente con parole che non lasciano spazio alla divagazione perché richiedono una risposta che coinvolge gli interpellati. Un non lasciare scampo espresso anche dall’avversativa: «Ma voi, Quem você diz que eu sou?».

Ai nostri giorni vanno molto di moda i sondaggi, corredi indispensabili dei politici e delle loro coalizioni, come pure gli exit poll che presto permettono di capire chi abbia vinto una competizione elettorale oppure le indagini di mercato lanciate prima che un certo prodotto venga messo in circolazione, per sapere se sarà gradito agli acquirenti. Di certo non era di questo tipo e tenore la ricerca che Gesù invocava con la prima domanda, eppure anche lui volle sondare quale opinione le persone potessero avere di lui. Se nella prima domanda la questione è volta a sapere cosa si dicesse intorno al «Figlio dell’uomo», probabilmente il titolo messianico più importante in quel momento ( cf.. MT 9, 6; MT 10, 23; MT. 24, 27-30 etc.), nella seconda Gesù, passando in modo diretto all’io, pose i discepoli davanti ad una risposta personale, difícil, forse anche dolorosa. Voi che avete vissuto con me, che avete camminato fin qui insieme a me, che avete ascoltato ciò che ho detto, che avete visto ciò che ho fatto, che avete assistito agli scontri e agli incontri di cui siete stati testimoni. Manteiga, chi dite chi io sia? Non è tanto la richiesta in sé, che è più che legittima, quanto il fatto che Gesù, in questo modo di porsi, diventi Egli stesso domanda sia per i discepoli a cui si rivolge che per gli immediati lettori del Vangelo. Alguém[2] ha raccolto tutte le domande che Gesù pose nei Vangeli, pare siano duecentodiciassette (217)[3]. Ma questa qui, che troviamo nel brano di questa domenica, è la domanda che raggiunge tutti: crentes e não crentes. I secondi perché, se onesti e pensosi, non possono non subire il fascino e l’inquietudine della figura di Gesù. E receber, i credenti, perché sanno che questa è la domanda che risuona ogni giorno e li scuote nell’intimo, poiché non si tratta di accettare un’opinione o di aderire ad un’idea per quanto nobile, ma riguarda Gesù stesso, la sua persona e il suo mistero. Gesù è la domanda. Non é eludibile e neppure facile. Se infatti alla prima domanda la risposta fu corale: «Ed essi dissero “οἱ δὲ εἶπαν“»; alla seconda rispose il solo Pietro. Perché è una richiesta dirimente che vaglia il vero discepolo togliendolo dal rischio di restare muto.

Tornando alla prima domanda, Gesù chiese le opinioni circolanti che riguardavano il «Figlio dell’uomo», un’espressione oscura per noi ma chiara per i suoi ascoltatori, infatti con essa Gesù preferiva identificare sé stesso: un personaggio messianico che «è una persona, non una collettività; ha natura divina, esiste prima del tempo e vive tuttora; conosce tutti i segreti della Legge e perciò ha il compito di celebrare il Grande Giudizio alla fine dei tempi»[4]. Tutte le risposte dei discepoli su cosa si pensasse del «Figlio dell’uomo» avranno in comune un tratto profetico. Innanzitutto lo eguagliano a Giovanni il Battista che Gesù stesso aveva definito come «più di un profeta» (MT 11,9) e precursore del Messia (MT 11,10). Secondo Matteo la folla stessa considerava Giovanni un profeta (MT 14,5) e identificandolo ora con Gesù doveva pensarlo per forza risorto. Questa era anche l’opinione di Erode che pure lo aveva messo a morte: «Costui è Giovanni il Battista. È risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi» (MT 14,2).

Per quanto riguarda la correlazione del «Figlio dell’uomo» con Elia, em vez de, bisogna ricordare che la tradizione biblica considerava questi come un precursore del Messia (cf.. Mal 3,23; Senhor 48,10), mentre Gesù lo aveva identificato con Giovanni Battista (MT 17, 10-13). Invece accostare Gesù, Figlio dell’uomo, a Geremia è proprio di Matteo, probabilmente perché come Gesù l’antico profeta pronunciò parole contro il tempio (cf.. Fornece 7) e come lui ebbe a soffrire da parte della casta dei sacerdoti e nella città di Gerusalemme. Una prefigurazione, assim, di quello che sarebbe successo allo stesso Gesù. Afinal, dicono i discepoli, altri pensano a lui come a un profeta, uno fra molti. É neste ponto que Jesus, forse insoddisfatto o desideroso di portare il dialogo a un livello superiore, più personale e coinvolgente, rivolse loro una domanda diretta: «Ma voi, Quem você diz que eu sou?». Stavolta rispose il solo Pietro: "Tu és o Cristo, o Filho do Deus vivo ".

Nella risposta dell’apostolo abbiamo la ripresa della dichiarazione fatta a Gesù sulla barca: «Davvero tu sei Figlio di Dio» (MT 14,33) premessa dalla confessione messianica «Tu sei il Cristo», con l’aggiunta di un aggettivo riferito a Dio che rimanda alla consapevolezza espressa nell’Antico Testamento che il Dio di Israele fosse appunto «vivente»: E avverrà che invece di dire loro: «Voi non siete popolo mio», si dirà loro: «Siete figli del Dio vivente» (cf.. Os 2,1)[5].

Siamo di fronte ad un titolo cristiano di grande importanza che compone insieme sia la messianicità di Gesù che la sua divinità, poiché egli procede da Dio e per mezzo di Lui viene rivelata e comunicata la vita stessa del Padre. Come dirà Giovanni, Gesù è la via della verità e della vita (Ver GV 16, 6). Sono affermazioni che la teologia si compiacerà di esplorare, ma che la Bibbia semplicemente afferma come verità solida e tranquilla. Questo grazie all’evoluzione dell’apostolo Pietro passato dal titubante «se sei tu» proferito mentre stava per affondare[6] alla odierna chiara confessione di fede in Gesù. Un passaggio avvenuto non per merito, ma per grazia come afferma la successiva beatitudine che Gesù rivolse a Pietro la quale rimanda ad un altro detto evangelico che abbiamo già incontrato: «Eu te dou elogios, Pai, Senhor do céu e da terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli»[7]. Sappiamo da altre circostanze che Pietro fu un uomo di umanissime fragilità e debolezze, ciò non impedì al Signore di vederlo come un “piccolo” e beneficiarlo di una particolare rivelazione e di un importante compito. Lo attestano le parole di Gesù che scelgono il patronimico «Simone, figlio di Jona» e il semitismo «carne e sangue»: è perciò dentro la storia personale e generazionale di Pietro che scende la grazia divina. E si noti che, se in Marco e in Luca, Pietro espresse la fede dell’intero gruppo dei discepoli (cf.. MC 8,29; LC 9,20), qui in Matteo invece parlò a nome proprio e per questo la risposta di Gesù è rivolta a lui solo: «Beato sei tu, Simone, figlio di Jonà, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli».

Questa affermazione sta alla base della successiva rivelazione di Gesù sulla Chiesa perché anch’essa nascerà dalla grazia e dal dono di Dio. Simone che quasi sasso stava per raggiungere il fondale del lago se non fosse stato afferrato, diventerà nelle parole di Gesù la «pietra» sulla quale poggerà la Chiesa, che però sarà costruita dal Signore e sarà sua (οἰκοδομήσω μου τὴν ἐκκλησίανOikodomeso mu ten ekkelsìan). Eppure nonostante l’importante collocazione dell’apostolo come pietra alla base, l’ultima menzione di Pietro, nel Vangelo di Matteo, lo mostrerà in lacrime dopo il triplice rinnegamento (MT 26, 75) e neanche sarà menzionato nei racconti della risurrezione. Questo aspetto di Pietro che la tradizione sinottica non si esime dal ricordare non impedirà a Gesù di conferirgli importanti poteri. Come afferma Paolo nella odierna seconda lettura il Signore conosce ciò che sta nel profondo e non prende consiglio da alcuno: «Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie[8]. Il potere delle chiavi del Regno rimanda alle parole del profeta Isaia ricordate nella prima lettura di questa domenica: «Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire»[9]. Sono un segno di autorità concesso dal Signore ― le chiavi, na verdade, sono sue ― del quale non ci si può approfittare come i ‘dottori della Legge’ che avevano distorto il loro uso metaforico impedendo ai più l’accesso alla conoscenza della parola di Dio o interpretandola a proprio favore (cf.. LC 11, 52)[10]. Il compito di Pietro e degli apostoli con lui dovrà essere ormai quello che Gesù consegnerà loro alla fine del Vangelo: «Andate e fate discepoli tutti i popoli … insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (MT 28,19).

In questo passo, como lemos, appare la parola Chiesa, che ritornerà solo un’altra volta in tutti i Vangeli, ancora in Matteo (cf. MT 18,17). Il termine Chiesa ― ekklesía ― identificava l’assemblea dei chiamati-da (ek-kletoí): questo infatti fu il nome dato dagli elleno-cristiani alle loro comunità, anche per differenziarsi dalla sinagoga (assemblea) degli ebrei non cristiani. Come l’antica ekklesia dei greci aveva i propri organi, le proprie leggi e le delibere così anche Pietro per guidare l’ekklesìa cristiana sarà dotato del potere delle chiavi al quale si accompagnerà quello di sciogliere e legare, ovvero di proibire o permettere in campo disciplinare e dottrinale. E diventerà in particolare, nello spazio ecclesiale, l’autorità di rimettere i peccati, vero potere che narra la potenza della resurrezione.

La forza del Cristo risorto viene accordata ora anche alla Chiesa, costruzione operata da lui stesso. La risurrezione è il momento dirimente che permette ai discepoli di ricordare e riprendere le parole di Gesù e finalmente comprenderle. Da quel momento in poi la Chiesa poggiata e fondata sulla sua resurrezione, prolungherà la vita e la salvezza di Gesù che, risorto dai morti, donerà speranza a tutti gli uomini. L’apertura al dono di Dio consentirà alla Chiesa di contrastare l’azione delle forze del male, facendo spazio alla potenza di Cristo mediante la fede. La Chiesa vive della promessa di Cristo.

Para concluir è necessario ricordare che questa meditazione sulla Chiesa e sul ruolo di Pietro che il vangelo ha innescato, probabilmente sarà risultata un po’ pesante vuoi perché il periodo estivo che stiamo attraversando richiederebbe con ogni probabilità argomenti più leggeri, vuoi perché essendo temi non facili sembrano riguardare solo la configurazione della Chiesa e i suoi poteri. Infatti non si può tralasciare di dire che sulla confessione di Pietro e sulle conseguenti parole di Gesù circa il suo ruolo e quello dei suoi successori, le varie comunità cristiane si sono divise. Una cosa pensano i cattolici diversamente dagli ortodossi e un’altra ancora le varie chiese riformate.

Come scrivevo all’inizio le domande aperte, tipo queste poste da Gesù, permettono un clima positivo fra i dialoganti e la relazione. Perché Gesù invece di rivelare semplicemente chi fosse e sarebbe stata la via più semplice, ha preferito farsi domanda? Probabilmente perché desiderava allora e tuttora questa relazione. È sarà in base alla risposta che sapremo dare che si determinerà la fede come esperienza vitale, perché ognuno di noi crederà solo al Cristo che sente proprio, quello il cui volto ha riconosciuto vero per sé. Pur nella sua assolutezza divina, Gesù vuole restare relativo alle vite delle singole persone e in nome di quella relazione continua a chiederci di essere noi a dire chi sia, a prescindere dalle parole altrui.

Nella prospettiva di Matteo che ha ricordato l’episodio di Cesarea e ne ha scritto, l’intenzione fu quella di far comprendere quale grande dono fosse la fede in Gesù ormai risorto e vivente, Filho de Deus. E come da questo dono che illumina e da speranza all’esistenza ne scaturiscano a cascata molti altri. Il primo è che i discepoli di Gesù non sono monadi, ma una comunità, uma ekklesia precisamente, luogo spirituale ma anche vitale e concreto dove è possibile far crescere e maturare gli altri doni che ormai provengono dallo Spirito, para o bem de todos. Pietro svolge in questa comunità un ruolo importante che non si è scelto e per questo lo ringraziamo in ogni suo rappresentante. Mi viene in mente che gli ultimi suoi successori che abbiamo conosciuto, Giovanni Paolo che è santo, Benedetto e Francesco, al di là delle evidenti personali differenze, a un certo punto della loro vita si sono trovati nella condizione di dover palesare a tutti la loro infermità nel corpo: quasi una parabola o una icona di quella fragilità e debolezza che fu del primo, do Pietro.

E concludo ricordando che nella tradizione del quarto Vangelo Pietro sarà quello che non capisce[11], sarà colui che arriverà per secondo al sepolcro[12]. Sarà colui che avrà bisogno che un altro gli dica: «È il Signore»[13], perché non se ne era accorto. Ma è anche quello che prima degli altri coprirà la sua nudità e si metterà a nuotare finché non giungerà a riva da Gesù. Forse ha bisogno di scusarsi, di recuperare. Gesù per tre volte gli domanderà se lo amava e lui comprendendo si addolorò. «Più di costoro?» (GV 21,15) gli chiese Gesù e lui capì. Comprese che il suo peculiare servizio sarebbe stato quello dell’amore e di confermare i fratelli nella relazione con Gesù, cioè nella fede. Allora riprenderà il cammino con gli altri dietro, perché sarà a lui che Gesù dirà: «Tu seguimi»[14].

bom domingo a todos!

do eremitério, 27 agosto 2023

 

NOTA

[1] Polibio, Storie, Libro 16, seção 18, Rizzoli, 2002.

[2] Monti L., Le domande di Gesvocê, São Paulo, 2019.

[3] op cit. página. 251-262: Ai discepoli (111), agli uomini religiosi (51), alla folla (20), a persone malate (9), para outros (25), a Deus (1).

[4] Sacchi P., Gesù Figlio dell’uomo, Morcelliana, 2023; l’autore rilegge la figura del figlio dell’uomo in Marco alla luce del libro apocrifo Libro delle parabole, secondo libro della raccolta di Enoc etiopico (IH).

[5] «Sub, na verdade, tra tutti i mortali ha udito come noi la voce del Dio vivente parlare dal fuoco ed è rimasto vivo» (Deut 5, 26).

[6] MT 14, 30.

[7] MT 11, 25.

[8] ROM 11, 33.

[9] É 22, 22.

[10] "Ai de vós, doutores da Lei, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito».

[11] GV 20, 9 «Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti».

[12] GV 20, 6 «Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là».

[13] GV 21, 7.

[14] GV 21, 22.

San Giovanni all'Orfento. Abruzzo, montanha Maiella, era uma ermida habitada por Pietro da Morrone, chamado 1294 à Cátedra de Pedro à qual ascendeu com o nome de Celestino V (29 agosto – 13 dezembro 1294).

.

Visite as páginas de nossa loja livro WHO e apoie nossas edições comprando e distribuindo nossos livros.

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.

A grande disputa da samaritana no poço com Jesus

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

LA GRANDE DISPUTA DELLA SAMARITANA AL POZZO D’ACQUA CON GESÙ

«Il gioco sa innalzarsi a vette di bellezza e di santità che la serietà non aggiunge» (eu. Huizinga, homem jogando)

.

 

 

 

 

 

 

 

.

artigo em formato de impressão PDF

.

Quando ero piccino, secoli fa, si faceva un gioco che si chiamava ruba bandiera. Due contendenti, una volta chiamati da chi deteneva appesa fra le dita una bandiera, di solito un fazzoletto o un panno, correvano verso di lui e dovevano portare via la bandiera senza farsi toccare dall’altro. Agora, fra le regole, c’era quella che potevi con le mani superare la linea di mezzo per esser svelto a toccare l’altro, lo potevi incrociare con lo sguardo e provocarlo con le finte, ma mai e poi mai potevi oltrepassare coi piedi la linea mediana che serviva da confine fra le due squadre, pena la perdita del punto e la disapprovazione generale.

Chissà perché mi è tornato in mente questo vecchio gioco da campo estivo dovendo commentare la pagina evangelica della odierna domenica. Forse perché si parla di chi, contravvenendo regole e opportunità oltrepassò i confini. E allora giochiamo; ecco la pagina evangelica.

"Naquela época, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, clamou: «Pietà di me, homem, filho de David! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: “Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!”. Egli rispose: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele”. Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, provérbio: “homem, aiutami!”. E ele respondeu: “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”. “É verdade, homem” – disse la donna –, “eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. Allora Gesù le replicò: “Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri”. E da quell’istante sua figlia fu guarita» [MT 15, 21-28].

Tutta la pericope è uno splendido gioco delle parti. Matteo scrive che Gesù partì da un luogo, in greco abbiamo «uscì di là». Da dove e da cosa si è allontanato? Dalla cittadina di Genezaret dove aveva avuto un vivace scontro con i farisei e la loro contorta e interessata interpretazione della Legge mosaica. Ma aveva avuto anche a che fare con l’incomprensione dei suoi stessi discepoli. Dei primi dirà: «Lasciateli stare! Eles são guias cegos e cegos. E se um cego guiar outro cego, ambos cairão em uma vala!» Ai secondi sconsolato affermerà: «Neanche voi siete ancora capaci di comprendere?» [MT. 15,14].

Uscito da questa situazione geografica e dialogica si spostò verso una zona di confine, dalle parti delle cittadine di Tiro e Sidone. Il Vangelo non dice che attraversò il confine per calcare terra fenicia, perciò pagana, ma che si diresse verso di essa. È invece una donna che passò il confine ― in greco abbiamo lo stesso aoristo usato per Gesù che “uscì” da Genesaret ― per avvicinarsi a Lui con una richiesta. Questa cosa è importante perché nel brano evangelico Matteo mette in bocca a Gesù la frase: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele», mentre altrove aveva detto ai suoi discepoli inviandoli in missione «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele» [MT 10,5-6]. Matteo si premura di specificare che Gesù non si trova in territorio pagano, ma ancora in terra d’Israele e incontra questa donna che, lei sì, ha varcato i confini del suo territorio di provenienza. Tutto questo contribuisce a preparare un racconto in cui Gesù appare guidato da un senso di appartenenza giudaica molto rigorosa, perfino intransigente.

Chi è questa donna che grida dietro a Gesù? Matteo la definisce cananea. Descrivere qui la complessa vicenda storica, sociale e religiosa dei territori e delle popolazioni che fanno riferimento a Canaan eccede lo scopo di questo commento. Basti dire che la menzione di cananea serve all’evangelista per esprimere la distanza fra questa donna e Gesù, facendo in un secondo rivivere l’antica inimicizia tra i Israele e le popolazioni cananee. Con una semplice annotazione Matteo ci fa sentire il peso di una storia e di una tradizione che incapsula i due personaggi dentro stretti confini. Teniamo anche presente il racconto che Marco fa dello stesso episodio, dove si compiace nell’offrire ulteriori dettagli: «Questa donna era di lingua greca e di origine siro-fenicia» [MC 7, 26]. Queste due specificazioni di Marco moltiplicano gli elementi di diversità della donna e rendono particolarmente intrigante l’incontro tra il galileo Gesù e questa donna. Oltre alla differenza di genere e al fatto di essere straniera, va forse messa in conto una differenza di condizione socio-economica. Secondo Theissen[1] la donna appartiene al ceto elevato e benestante di greci urbanizzati viventi nella zona di confine di Tiro e della Galilea con cui erano in conflitto i contadini poveri giudei il cui lavoro agricolo serviva anche a sostentare gli abitanti della città[2]. La redazione marciana suggerisce che si debba mettere in conto forse anche una distanza morale: o termo sirofenicio aveva, nella satira latina, la valenza di persona poco raccomandabile[3]. E finalmente, o prima di tutto, Marco pone in risalto la differenza linguistica: «era di lingua greca». Ellenís (greca) indica l’appartenenza linguistico-culturale, enquanto que syrophoiníkissa designa la stirpe e la religiosità pagana. Costoro si parlano: in quale lingua? Chi parla la lingua dell’altro? Gesù parla il greco? O la donna parla l’aramaico? Em qualquer caso, ci deve essere stato il reciproco adeguarsi alla lingua dell’altro, la fatica dell’uscire dalla lingua madre per esprimersi nella lingua accessibile all’altro. Tutti questi particolari, alcuni veri, altri probabili, servono a descrivere tutto ciò che separava la donna da Gesù, la sua alterità, diríamos hoje, rispetto al Nazareno, perfino nella possibilità di capirsi tramite una lingua. Eppure questa donna userà un codice che Gesù conosceva bene e che ha incontrato più volte, quello del bisogno, verso cui il Signore provava una profonda compassione. Ma qui il tutto viene declinato in modo molto originale ed interessante anche per noi che ascoltiamo oggi questo Vangelo.

La donna porta all’attenzione di Gesù la situazione della figlia malata, lo fa gridando. Più avanti nel Vangelo sarà un padre che parlerà in modo accorato a Gesù del figlio molto sofferente[4]. Ambedue chiedono al Signore «Pietà» (Ἐλέησόν με). Un’espressione che troviamo nei Salmi e in Matteo sulla bocca di due ciechi [cf.. MT 9, 27] e di altri due ciechi [MT 20, 30-31] Ambedue le scene, della madre cananea e del suddetto padre, trasmettono particolare emotività e pathos poiché si tratta di figli ammalati; in questo modo anche i lettori si collocano spontaneamente dalla parte di chi rivolge una pressante richiesta di aiuto e ne comprendono l’insistenza che rasenta il fastidio.

Nella redazione matteana che si differenzia da quella marciana, viene descritto un lungo iter che ci fa rendere palpabile la scena, quasi se ne fossimo dentro. Dapprima Gesù si chiude in un silenzio duro ed ostinato [cf.. MT 15,23], poi da una secca risposta ai discepoli dal tenore teologico: «Non sono stato mandato che alle pecore disperse della casa di Israele» [cf.. MT 15,24], infine rivolge una dura risposta alla donna personalmente [cf.. MT 15,26], che pure si era rivolta a lui con titoli messianici: «Pietà di me, homem, figlio di Davide».

Così la donna riceve per tre volte un «no» da parte di Gesù, nonostante la sollecitazione dei discepoli che volevano togliersi il fastidio: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». In tal modo il gioco delle parti si accende, salendo di livello, quello ecclesiale e teologico. Realmente, come diceva Gregorio Magno, il Vangelo «dum narrat textum prodit mysterium» – «mentre propone il testo rivela il mistero» e ancora «ab historia in mysterium surgit»«dalla storia si innalza al mistero»[5].

La risposta di Gesù ai discepoli descrive i confini entro i quali si colloca la sua missione, lasciando intendere che la decisione viene dall’alto, por Deus. L’opera salvifica e messianica che nella tradizione biblica era definita come «il raduno dei dispersi»[6] [cf.. É 27, 12-13] riguarda, nell’intenzione e nelle parole di Gesù soltanto Israele: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». Una risposta teologica che appare come un freno e un ostacolo insormontabile, poiché c’è di mezzo il mandato messianico che Gesù accoglie da Dio e che fa suo fino alle conseguenze più estreme. Ma la donna che in precedenza aveva già passato un limite, quello geografico, mossa dal bisogno e dal dolore per la figlia che aveva partorito col suo corpo di madre, sbarra ora la via a Gesù ponendo il suo stesso corpo come un confine: «Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, provérbio: "Homem, aiutami!». La soluzione che ci apre al mistero, come dicevo poco fa, è nelle parole stesse di Gesù che di primo acchito appaiono dure e insensibili: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cani domestici» [MT 15,26]. All’epoca di Gesù la separazione tra «figli» e «cani» era la distinzione che separava i membri del popolo d’Israele dai gentili. Qualcosa dunque si comincia a delineare e a capire. La distanza fra Israele e i pagani era enorme sotto molti punti di vista e appariva incolmabile. Ed è stato anche il primo grande problema della Chiesa primitiva risolto a Gerusalemme [cf.. No 15] se non dopo conflitti, punti di vista differenti e scontri fra cui quello più eclatante scoppiò fra Paolo e Pietro: «Mas quando Cefas veio para Antioquia, Eu resisti-lhe na cara, porque ele estava errado " [cf.. Garota 2, 11]. E Matteo ha fra i suoi lettori discepoli che ormai provengono sia dal giudaismo che dal paganesimo.

Gesù con le sue parole lascia intendere che c’è un piano salvifico che non è dato stravolgere, ma una situazione nuova si pone e non si può scavalcare, perché il corpo della donna straniera, cananea, di lingua greca è lì davanti ed è ineludibile, come il fatto che i pagani in epoca pasquale si facevano battezzare e credevano in Gesù risorto. Ora è proprio Gesù che definisce i pagani, in quanto israelita, come dei «kynaria – kynária», ovvero dei cani domestici, non quindi dei cani randagi che vanno ovunque, anche a cibarsi di cose impure vietate. Sono quelli che stanno nella medesima casa che abitano i figli che sono gli eredi. Marco nel suo Vangelo fa dire a Gesù: «Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini» [MC 7, 27]. C’è un prima che va rispettato, c’è un volere divino espresso dal «non è bene», ma i cagnolini sono lì ormai, nella stessa casa dei figli.

La risposta della donna è grandiosa e bellissima, perché entrando nell’ottica di Gesù mostra di aver capito la sua intenzione e il volere di Dio che lo ha inviato ed esplicita con le sue parole quanto esso sia più grande di quel che si pensi, poiché nella stessa casa, che ormai è la Chiesa pasquale, Matthew, di Paolo e anche la nostra, c’è posto per tutti. Disse la donna: "É verdade, homem, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Nelle sue parole lo stesso progetto messianico può esser visto non più solo temporalmente ― c’è un prima e un dopo ― ma anche spazialmente poiché c’è un’unica casa ove si trova una mensa dove la salvezza è giunta ed è offerta a tutti, anche per coloro che pareva non ne avessero diritto.

«”Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri”. E da quell’istante sua figlia fu guarita».

Il commento redazionale dell’evangelista è oltremodo consolatorio poiché scioglie ogni nodo narrativo ed emotivo rivelando che la figlia è risanata. Qualche commentatore a volte dice: lá, la donna ha forzato la mano di Gesù. Per usare la metafora iniziale del gioco: “ha rubato”; è lei che ha compiuto il miracolo. Non lo credo perché, con questa estratagema, tradiremmo il Vangelo e il suo condurci verso il mistero più profondo nel quale anche noi siamo coinvolti, quello cioè della fede in Gesù: «Donna, grande è la tua fede!». È questa fiducia che permette di vedere cose nuove o di guardarle diversamente e Gesù le vede con noi. Un mistero che dota la Chiesa di capacità ermeneutica del tempo che vive, soprattutto il nostro che sembra assumere una distanza da essa, mentre probabilmente, come la cananea, chiede una parola nuova, chiede aiuto e accoglienza.

In questo senso appare illuminante l’opera di un’altra donna, la Madre di Gesù, che alle nozze di Cana, a dispetto di quel che a volte si sente ancora predicare, non forzò la mano di Gesù perché compisse il segno del vino buono fino alla fine. Bensì lo rese possibile, perché Gesù trovò una nuova comunità, appena nascente, simboleggiata dalla Madre e dai discepoli compresenti alle nozze, che lei precedeva ed accompagnava nel cammino di fede. Ela, come la donna cananea, presentò una situazione e un bisogno: «Non hanno più vino» [GV 2, 3]. Così Gesù manifestò a Cana la sua gloria perché trovò una comunità che, seppure in fede iniziale, fu disponibile e accogliente verso la novità espressa dal dono del vino: «E i suoi discepoli iniziarono a credere in lui»[7]. La donna cananea, pagão, così distante e diversa da Gesù, portata dal bisogno, travalicò il tempo salvifico anticipandolo, prefigurando una comunità aperta e capace di accogliere anche chi viene da lontano. Davvero grande è la sua fede.

bom domingo a todos.

do eremitério, 20 agosto 2023

 

NOTA

[1] Gerd Theissen, L’ombra del Nazareno, claudiano, 2014.

[2] Marco riferendosi al letto dove giaceva la figlia malata della donna parla di kliné (κλίνη), un vero letto e non un semplice povero giaciglio (MC 7, 30).

[3] La regione sirofenicia fu instituita da Settimio Severo nel 194 d.C. Nella ottava satira Giovenale parla dei sirofenici come titolari di taverne. In particolare ne descrive uno effeminato, avaro, ebreo (cfr Giovenale, Satire, Feltrinelli, 2013).

[4] MT 17, 14- 15: «Si avvicinò a Gesù un uomo che gli si gettò in ginocchio e disse: “homem, abbi pietà di mio figlio! È epilettico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e sovente nell’acqua”».

[5] Gregorio Magno, Omelia su Ezechiele I, 6, 3.

[6] «Avverrà che, in quel giorno, il Signore batterà le spighe, dal Fiume al torrente d’Egitto, e voi sarete raccolti uno a uno, Israeliti. Avverrà che in quel giorno suonerà il grande corno, verranno gli sperduti nella terra d’Assiria e i dispersi nella terra d’Egitto. Essi si prostreranno al Signore sul monte santo, a Gerusalemme».

[7] GV 2, 11 episteusan ἐπίστευσαν – è un aoristo ingressivo: iniziarono a credere.

.

San Giovanni all'Orfento. Abruzzo, montanha Maiella, era uma ermida habitada por Pietro da Morrone, chamado 1294 à Cátedra de Pedro à qual ascendeu com o nome de Celestino V (29 agosto – 13 dezembro 1294).

.

Visite as páginas de nossa loja livro WHO e apoie nossas edições comprando e distribuindo nossos livros.

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.

Talvez deva ser lembrado que em meados deste mês não há festa “San Ferragosto” mas a solenidade da assunção da Virgem Maria ao céu

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

FORSE È OPPORTUNO RICORDARE CHE A METÀ DI QUESTO MESE NON SI FESTEGGIA “SAN FERRAGOSTO” MA LA SOLENNITÀ DELL’ASSUNZIONE AL CIELO DELLA VERGINE MARIA

Nos primeiros séculos, na verdade, como a divindade de Jesus deixou de ser questionada pelos hereges, la Chiesa si occupò del problema opposto: affermare la verità della sua Incarnazione. È in questo contesto che la figura di Maria divenne cruciale e importante, perché la sua disponibilità la legava indissolubilmente al figlio, al Figlio di Dio che si fece carne, nella carne di Lei.

.

 

 

 

 

 

 

 

.

artigo em formato de impressão PDF

.

Dopo Benedetto XVI così compìto nei modi e misurato nelle parole più di uno è rimasto sorpreso da alcune frasi, soprattutto quelle proferite di getto dal Sommo Pontefice Francesco, seu sucessor. Che pure, bisogna dirlo, sono maggiormente ricordate dalle persone semplici che probabilmente non ne rammentano neanche una dei predecessori. Fra queste ce n’è una che ha ripetuto più volte e sulla quale immagino ci sia il consenso di tutti, ovvero che stiamo vivendo una «terza guerra mondiale a pezzi»[1]. Uno di questi «pezzi», il conflitto in Ucraina, ci riguarda più da vicino poiché provoca ogni giorno da tempo distruzione e morti e per il fatto che dal punto di vista del rapporto fra le Chiese ha causato allontanamenti, divisioni e discordie per i quali occorreranno anni e anni di cammino di ricucitura.

Per tal motivo è così significativo che la Festa della Assunzione[2] come la chiama la Chiesa cattolica o della Dormizione come viene definita nelle Chiese d’Oriente venga celebrata liturgicamente da tutte queste comunità lo stesso giorno del 15 di Agosto. Per l’intero mese così canta di gioia la Chiesa d’Oriente nella liturgia:

«Nella tua maternità sei rimasta vergine, nella tua dormizione non hai abbandonato il mondo, o Madre di Dio. Sei stata trasferita alla vita, tu che sei la Madre della Vita e riscatti le nostre anime dalla morte con la tua intercessione»[3].

La convinzione che il corpo di Maria, la Vergine madre, non abbia subito la corruzione del sepolcro risale alle prime comunità giudeo-cristiane. Il nucleo più antico (II-III secolo) dell’apocrifo detto Dormitio Mariae contiene infatti già la narrazione, fantasiosa quanto al racconto ma univoca quanto al contenuto, del trasporto di Maria al cielo. E a Gerusalemme, è noto, esisteva una tradizione ininterrotta riguardo al luogo della sepoltura (o della temporanea deposizione) del corpo della Vergine in quella tomba del Getsemani sulla quale, verso la fine del IV secolo, l’imperatore Teodosio I fece costruire una chiesa. Proprio dalla celebrazione che il 15 Agosto si teneva in questo antico centro di culto mariano fu ripresa la data della festa della Dormizione di Maria estesa nel IV secolo a tutto l’oriente cristiano[4].

Sia i testi occidentali, da Gregorio di Tours (538 ca.- 594) a Pio XII che adottò la precisione terminologica richiesta da un pronunciamento dogmatico, che le antiche opere dei Padri della Chiesa, su tutti quelli di Giovanni Damasceno (676 ca.- 749) con i suoi ripetuti “era conveniente”[5], esplicitano il contenuto di fede di questa festa mariana e si rifanno al tema della vita. Una vita incorruttibile di cui la Theotòkos è immagine privilegiata e da qui il simbolismo della luce che pervade sia le rappresentazioni artistiche in occidente (da Tiziano a Tintoretto e Guido Reni), che le immagini iconografiche bizantine; sia la trama dei testi liturgici, che le preghiere di invocazione in oriente, come questa molto antica che recita:

«Maria, ti preghiamo, Maria luce e madre della luce, Maria vita e madre degli apostoli, Maria lampada d’oro che porti la vera lampada, Maria nostra regina, supplica tuo Figlio»[6] .

Naturalmente oltre la tradizione che risale al tempo delle Chiese unite è la sacra Scrittura, e i racconti evangelici in particolare, la fonte a cui attingere il motivo di tanta attenzione data a Maria, la Madre del Signore. Se oggi noi celebriamo il transito di Maria presso Dio è perché Lei stessa ha declamato il passaggio di Dio nella sua esistenza, come espresso nel brano evangelico di oggi [cf.. LC 1, 39-56]. In risposta al saluto di Elisabetta Maria pronuncia le parole del Magnificat, che distolgono l’attenzione da lei e la fanno volgere totalmente al Signore. Non lei ha fatto nulla, ma il Signore ha fatto tutto: questo è il significato basilare del Magnificat. Questo inno, na verdade, celebra il Dio che in Maria ha fatto tutto perché la vicenda di Maria ha Dio come soggetto. E il fare di Dio in Maria viene da Lei definito come uno sguardo: «Il Signore ha guardato la piccolezza della sua serva» [LC 1,48]. Questo sguardo divino si posò su di lei fin dal momento preparatorio, trasformandola attraverso la grazia[7], perché divenisse la Madre del Verbo incarnato e l’accompagnerà per tutta la vita, fin sotto la croce dove riceverà la nuova maternità sulla Chiesa nascente e oltre.

Un oltre che Maria già intravede nel brano del Magnificat quando elenca le opere di Dio che si dipanano di generazione in generazione a favore degli umili e degli affamati, mentre i potenti, i ricchi e i superbi già sazi verranno adeguati a differenza dei piccoli che saranno innalzati mentre i potenti, i ricchi e i superbi già sazi verranno deprezzati. Un dramma che, come insegnerà Gesù annunciando il Regno di Dio non avviene nei cieli, ma qui: é história, è vita nel mondo, vissuta nella carne che nasce e che un giorno morirà. Maria dentro questa storia diviene una protagonista fin dal momento della chiamata, sarà l’amica e modello di chi vorrà percorrere un cammino autentico di fede.

Forse è per questo che solo la Vergine Maria e nessun altro personaggio, in occidente, ha avuto così tante rappresentazioni artistiche che la raffigurano vicina all’esperienza quotidiana degli uomini e delle donne. Quando è stata dipinta con gli abiti propri di un particolare periodo storico, su sfondi che riproducevano la vita di quel tempo, sotto architetture di una specifica epoca, in contesti i più disparati. Dalla Vergine delle rocce di Leonardo, alla Madonna sontuosa di Piero della Francesca, dalla Maria popolana, addirittura una prostituta annegata nel Tevere a cui si ispirò Michelangelo Merisi detto Caravaggio, per seguire con la Vergine con le braccia spalancate dei tanti misteri napoletani, sotto un tempio romano diroccato. Maria ha potuto rivestire i panni della donna di ogni periodo perché Lei più di tutti fu protagonista del mistero grande dell’incarnazione nel quale

«trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, na verdade, il primo uomo, era figura di quello futuro [cf.. RM 5, 14], e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione… Poiché in Lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche a nostro beneficio innalzata a una dignità sublime. Con la sua incarnazione, na verdade, il Figlio stesso di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, Egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato»[8] [A alegria e esperança].

Nos primeiros séculos, na verdade, como a divindade de Jesus deixou de ser questionada pelos hereges, la Chiesa si occupò del problema opposto: affermare la verità della sua Incarnazione. È in questo contesto che la figura di Maria divenne cruciale e importante, perché la sua disponibilità la legava indissolubilmente al figlio, al Figlio di Dio che si fece carne, nella carne di Lei. «E il verbo si fece carne» dice il Vangelo secondo Giovanni [GV 1, 14] e gli fa eco Paolo nella lettera ai Galati: «Ma quando venne la pienezza del tempo, Deus enviou seu Filho, nascido de mulher, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» [Garota 4, 4-5].

È per questo che nelle chiese quasi subito si iniziò a dire che la carne di Maria dopo aver dato vita al Figlio di Dio non poteva subire l’affronto della corruzione. E se non poteva, la sua collocazione naturale era presso il Figlio dove da lì poteva diventare “di speranza fontana vivace”[9].

«Não, tu non sei soltanto come Elia ‘salita verso il cielo’, tu non sei stata come Paolo, trasportata fino al ‘terzo cielo’, ma sei giunta fino al trono regale del tuo Figlio, nella visione diretta, nella gioia, e stai accanto a Lui con grande e indicibile sicurezza… Benedizione per il mondo, santificazione per tutto l’universo; sollievo nella pena, consolazione nel pianto, guarigione nella malattia, porto nella tempesta. Per i peccatori perdono, per gli afflitti incoraggiamento benevolo, per tutti coloro che ti invocano soccorso sempre pronto»[10] (San Giovanni Damasceno).

Questo è il cammino di Maria che anticipa quello di ogni figlio adottato nel Figlio come ha detto Paolo nelle parole su riportate.

Ci sono due icone della tradizione bizantina che ci raccontano molto della festa odierna. La prima è quella dell’incontro fra Maria e sua cugina Elisabetta, che poi è l’episodio che prelude al Magnificat riportato nel Vangelo di questa solennità. In alcune di queste icone le due donne, la sterile e la vergine, si abbracciano strette e i volti vanno a toccarsi quasi che l’occhio dell’una confini con quello dell’altra. Si tratta di un vero incontro fraterno di cui tanto abbiamo bisogno in questo tempo di conflitti e divisioni. Quell’abbraccio e quella fusione di sguardi delle due donne rivela lo scambio del dono che ciascuna ha ricevuto, è una nuova pentecoste nella quale ciascuna riconosce l’altra nella sua peculiarità, nella sua chiamata senza rivalità o gelosie.

L’altra icona è quella propria della Dormitio Mariae che irradia grande speranza e pace. Ho sempre pensato che sarebbe bello, por exemplo, collocarla in chiesa durante la celebrazione delle esequie cristiane. Perché in questi tempi di morte ospedalizzata e privatizzata, guardare una scena dove si vede che al momento del trapasso non siamo soli è di grande consolazione. La Vergine è stata dipinta distesa col suo manto che ricorda quello della natività. Pietro si trova a capo del letto e Paolo ai piedi, mentre Giovanni posa la testa sul cuscino come l’aveva posata sul petto di Gesù. Tutti gli apostoli sono chini su di lei così pure qualche vescovo della Chiesa primitiva e il popolo cristiano: non manca nessuno. Nell’antichità i morti scendevano nelle regioni inferiori o venivano traghettati verso di esse. Entravano comunque in una condizione oscura, umbratile. Se guardiamo l’icona possiamo vedere che l’insieme è una barca, uno scafo che non va verso regioni oscure, ma verso la luce.

Tutti gli sguardi dei presenti convergono in basso verso il corpo di Maria disteso orizzontalmente a significare la natura umana. Ora ci aspetteremmo, come dice il dogma, che Maria salisse al cielo. Invece qui è il cielo che scende e sulla linea orizzontale della Vergine appare in linea verticale e centrale la figura del Cristo che occupa la scena, sul cui volto si leggono la forza e la determinazione del Risorto, di colui che ha vinto la morte e tiene in mano una bambina. Mentre la figura orizzontale rappresenta la natura umana adagiata su un manto, la bambina sarebbe l’anima di Maria. Un incontro, assim, fra visibile e invisibile. Lo spazio orizzontale del sonno/morte viene intercettato da una verticale di luce a formare una croce.

Il punto dove le assi della croce si incontrano è la vita e la luce portate dalla figura del Cristo. Anche la raggiera che lo circonda indica il movimento di risalita del Figlio venuto a prendere sua Madre. Con un’atipica torsione del corpo a destra, verso la testa di sua madre, il Risorto prende fra le braccia l’anima di lei e la sorregge poiché è lui che effettua il passaggio da questa vita all’altra.

Ma la cosa bella è che Gesù tiene in braccio l’anima di sua madre con la stessa tenerezza con la quale lei teneva in braccio lui da bambino. I gesti che la Madre faceva al Figlio, il Figlio ora li ricorda e li strappa alla morte. Abbiamo visto la Madre tenere tra le braccia il Figlio, adesso la situazione è rovesciata ed è il Figlio che porta in braccio Maria. Solo l’amore rende eterne le cose. Cristo risorto porta i segni dei chiodi a indicare che è veramente lui, assunto dall’amore del Padre non poteva rimanere in balia del sepolcro. Così il corpo di Maria che a motivo della maternità è stato tutto in funzione dell’amore non può essere lasciato in balia della putrefazione. Questa festa dell’assunzione è una festa dell’amore e solo gli amanti la possono capire perché loro sanno che ogni gesto di amore sarà ricordato per sempre.

Buona Festa dell’Assunzione a tutti.

do eremitério, 15 agosto 2023

 

NOTA

[1] Guerra mondiale a pezzi, ver em O Osservatore Romano.

[2] Il Dogma in occidente fu promulgato da Pio XII con la costituzione a generosa a 1 novembro 1950.

[3] Tropario t.1 dei grandi Vespri della festa della Dormizione.

[4] Bagatti B., Alle origini della Chiesa, LEV, Roma, 1981, p.75.

[5] San Giovanni Damasceno, In Dormitionem, eu, PG 96:«Era conveniente che colei che nel parto aveva conservato integra la sua verginità conservasse integro da corruzione il suo corpo dopo la morte. Era conveniente che colei che aveva portato nel seno il Creatore fatto bambino abitasse nella dimora divina. Era conveniente che la Sposa di Dio entrasse nella casa celeste. Era conveniente che colei che aveva visto il proprio figlio sulla Croce, ricevendo nel corpo il dolore che le era stato risparmiato nel parto, lo contemplasse seduto alla destra del Padre. Era conveniente che la Madre di Dio possedesse ciò che le era dovuto a motivo di suo figlio e che fosse onorata da tutte le creature quale Madre e schiava di Dio».

[6] Bagatti B., La chiesa primitiva apocrifa, Roma, 1981, página 75

[7] de La Potterie I., Κεχαριτωμένη en Lc 1,28 Étude exégétique et théologique, Biblica, vol. 68, Não. 4 (1987), p. 377.382

[8] A alegria e esperança n. 22; S. João Paulo II, Redemptor Hominis, não 8.

[9] Dante, Paraíso, Canto XXXIII, 12

[10] em. cit PL 96, 717 UM JEITO.

.

San Giovanni all'Orfento. Abruzzo, montanha Maiella, era uma ermida habitada por Pietro da Morrone, chamado 1294 à Cátedra de Pedro à qual ascendeu com o nome de Celestino V (29 agosto – 13 dezembro 1294).

.

Visite as páginas de nossa loja livro WHO e apoie nossas edições comprando e distribuindo nossos livros.

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.

Com a assunção ao céu, a Virgem Maria é configurada ao mistério de Cristo ressuscitado

L'Angolo di Girolamo Savanarola: omiletica cattolica dei Padri de L’Isola di Patmos

CON LA SUA ASSUNZIONE AL CIELO LA VERGINE MARIA È CONFIGURATA AL MISTERO DEL CRISTO RISORTO

L’Assunta è «una festa che propone alla Chiesa e all’umanità l’immagine e il consolante documento dell’avverarsi della speranza finale: che tale piena glorificazione è il destino di quanti Cristo ha fatto fratelli, avendo con loro in comune il sangue e la carne»

.

Autor
Simone Pifizzi

.

artigo em formato de impressão PDF

.

.

O 15 agosto, nel cuore dell’estate, mentre la maggior parte delle persone affollano i luoghi di villeggiatura per le vacanze, la Chiesa celebra una delle più belle e significative solennità mariane. Così il Santo Pontefice Paolo VI ne parlava:

«La solennità del 15 agosto celebra la gloriosa Assunzione di Maria al cielo; E, esta, la festa del suo destino di pienezza e di beatitudine, della glorificazione della sua anima immacolata e del suo corpo verginale, della sua perfetta configurazione a Cristo risorto; una festa che propone alla Chiesa e all’umanità l’immagine e il consolante documento dell’avverarsi della speranza finale: che tale piena glorificazione è il destino di quanti Cristo ha fatto fratelli, avendo con loro in comune il sangue e la carne (cf.. EB 2,14; Garota 4,4)». [San Paolo VI, Exortação Apostólica Marialis Cultus, 2 fevereiro 1974, n. 6].

Il Cardinale Silvano Piovanelli, Arcebispo Metropolitano de Florença, dipinto olio su tela di V. Stankho (2011)

Il Venerabile Pontefice Pio XII, nella Costituzione apostolica a generosa (1950) escreve:

«I santi padri e i grandi dottori nelle omelie e nei discorsi, rivolti al popolo in occasione della festa odierna, parlavano della Assunzione della Madre di Dio come di una dottrina già viva nella coscienza dei fedeli e da essi già professata; ne spiegavano ampiamente il significato; ne precisavano e ne approfondivano il contenuto, ne mostravano le grandi ragioni teologiche. Essi mettevano particolarmente in evidenza che oggetto della festa non era unicamente il fatto che le spoglie mortali della Beata Vergine Maria fossero state preservate dalla corruzione, ma anche il suo trionfo sulla morte e la sua celeste glorificazione, perché la madre ricopiasse il modello, imitasse cioè il suo Figlio unico, Cristo Gesù […] Tutte queste considerazioni e motivazioni dei santi padri, come pure quelle dei teologi sul medesimo tema, hanno come ultimo fondamento la Sacra Scrittura. Effettivamente la Bibbia ci presenta la santa Madre di Dio strettamente unita al suo Figlio divino e sempre a lui solidale e compartecipe della sua condizione».

Questa antica testimonianza liturgica fu esplicitata e solennemente proclamata dogma di fede da Pio XII il 1° novembre 1950. A seguire il Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla Chiesa, si riconfermava questa dottrina dicendo:

«L’Immacolata Vergine, preservata immune da ogni macchia di colpa originale, finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla celeste gloria con il suo corpo e con la sua anima, e dal Signore esaltata come la Regina dell’universo, perché fosse più pienamente conformata al Figlio suo, il Signore dei dominanti, il vincitore del peccato e della morte» (n. 59).

Il filosofo danese Søren Kierkegaard, più di un secolo e mezzo fa, scattava un impietoso fotogramma di ciò che sembra essere diventata la nostra società: una grande nave da crociera i cui passeggeri hanno dimenticato la meta del loro viaggio e neanche si curano delle comunicazioni sulla rotta date dal capitano, ma sono molto più occupati alle informazioni sul menù del giorno fornite con pedante insistenza dallo chefe de cozinha di bordo.

Alla luce di tante inchieste socio-culturali, la nostra società appare proprio così: schiacciata sul presente, dimentica dell’eternità e con orizzonti sempre più ristretti. Abbiamo cancellato dal nostro vocabolario aggettivi come “duraturo”, “permanente”, “definitivo”. Aveva visto lungo il filosofo quando diceva: «la cosa di cui ha più bisogno il tempo presente è l’eterno». La festa dell’Assunta diventa allora – in questo senso – una boccata di aria fresca che ci viene offerta dall’Eterno per disintossicarci dagli stupefacenti dell’effimero, del provvisorio, del “mordi e fuggi” e ci fa respirare l’aria pura per cui è fatto il nostro cuore: l’aria del cielo.

Nel prefazio proprio di questa festa mariana si prega così:

«Oggi la Vergine Maria, madre di Cristo e Madre nostra è assunta nella gloria del cielo».

Che cosa ha significato questo evento per Maria? La prima lettura – tratta dal libro dell’Apocalisse – ci presenta una «donna vestita di sole» che dà alla luce un bambino. Contro di lei si avventa un «enorme drago rosso» che con ferocia e voracità è pronto a divorare il bambino appena nato; ma questo viene rapito in cielo, mentre la donna trova riparo nel deserto e così si compie «la salvezza del nostro Dio e la potenza del suo Cristo». Nel simbolismo apocalittico, la donna rappresenta la Chiesa, il popolo di Dio che genera il Cristo, asceso definitivamente alla gloria del cielo con la Resurrezione. Contro Cristo, il drago ― il «serpente antico» ― sfoga la sua violenza più feroce e sadica, ma non riesce nel suo intento maligno; allora deve ripiegare sulla terra per inseguire la Chiesa e i suoi figli, ma neanche questo tentativo gli riuscirà. Anche se in questo testo non si parla direttamente di Maria, la liturgia ci propone questo brano per descriverci la Madre di Dio, nella quale la Chiesa riconosce la sua immagine più alta, il gioiello più splendido e prezioso.

Il Vangelo della solennità dell’Assunta ci presenta Maria ― incinta per opera dello Spirito Santo del Figlio di Dio ― che si reca in visita alla cugina Elisabetta, anch’essa miracolosamente feconda. In questa pagina evangelica ci viene donato ― oltre il Magnificat ― il vero motivo della grandezza di Maria e della sua beatitudine, ovvero la sua fede. Elisabetta la saluta con l’elogio più bello e più significativo che sia stato rivolto a Maria e che si potrebbe ― più fedelmente ― tradurre così: «Beata colei che ha creduto: ciò che le è stato detto, si compirà».

La fede è il cuore della vita di Maria. Non è la candida illusione di un buonismo ingenuo che pensa alla vita come una nave che scivola tranquilla verso il porto della felicità. Maria sa che sulla storia pesa la brutalità dei prepotenti, la boria sfacciata dei ricchi, la sfrenata arroganza dei superbi. Para crentes, la salvezza non avviene senza l’esperienza della lotta e della persecuzione. Ma Dio ― Maria lo crede e lo canta ― non lascia soli i suoi figli, ma li soccorre con premura misericordiosa, rovesciando i criteri della storia scritta dagli uomini («ha rovesciato i potenti dai troni … ha disperso i superbi … ha rimandato i ricchi a mani vuote»).

O Magnificat lascia intravedere il senso compiuto della vicenda di Maria: se la misericordia di Dio è il vero motore della storia, se è l’amore di Dio che avvolge per sempre tutta l’umanità, allora «non poteva conoscere la corruzione del sepolcro colei che ha generato il Signore della vita» (Prefazio). Non poteva finire sotto un cumulo di terra una donna come Maria che, concependo l’umanità del Figlio di Dio, aveva il cielo incorporato nel suo grembo. Ma tutto questo non riguarda solo Maria. Le «grandi cose» fatte il lei ci toccano nel profondo e in maniera irreversibile; parlano alla nostra vita e ricordano alla nostra memoria corta e svagata la meta che ci attende: la casa del Padre.

Guardando a Maria e confrontando alla sua luce la nostra vita comprendiamo che noi su questa terra non siamo dei vagabondi, con tanti affanni, con qualche momento di piacere raro e inusuale, alle prese con gusto amaro del dolore; e non siamo neanche i giocosi naviganti di una nave da crociera che un destino avverso tenta di guastare a tutti i modi e che alla fine si interrompe con un irreparabile e fatale naufragio. Come quella di Maria, la nostra vita è un pellegrinaggio, certamente incerto e faticoso e talvolta anche sofferto e penoso… una «valle di lacrime». sim, ma costantemente accompagnato dal Signore Gesù che con noi cammina «tutti i giorni fino alla fine del mondo». È un pellegrinaggio che ha una meta sicura, l’incontro con quel Padre che tergerà le lacrime dei suoi figli affinché non ci sia più né pianto, ou luto, nem choro, né dolore.

Dio Padre fa risplendere «per il suo popolo», pellegrino sulla terra, un segno di consolazione di sicura speranza” (Prefazio); un segno che ha il volto di Maria, la pienamente beata perché ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore.

«Nel ventre suo si raccese l’amore» recita l’inizio del XXXIII canto del Paradiso di Dante che si apre con la Lode di San Bernardo alla Vergine Maria, posta alla testa di coloro che sono stati rigenerati dal medesimo amore e alla fine riceveranno la vita in Cristo, dopo che egli avrà annientato l’ultimo nemico, o morto (cf.. II lendo).

Non siamo quindi destinati a penare tutta la vita per ritrovarci alla fine magari con un cospicuo conto in banca, una macchina di lusso, una bella casa ma con la prospettiva di andare a marcire nei pochi centimetri cubi di un gelido loculo al cimitero, Siamo destinati a condividere la gloria di Maria, perché anche noi ― per grazia ― siamo simili a lei: figli con il cielo incorporato nel nostro DNA spirituale. Perciò ci rivolgiamo a lei perché, mentre si dipana il nostro pellegrinaggio terreno, rivolga a noi i suoi occhi misericordiosi, ci rischiari la strada, ci ricordi la meta e ci mostri, dopo questo esilio, Gesù il frutto benedetto del suo grembo.

Per un moto del cuore e per un bisogno di doverosa, struggente e grata memoria, vorrei concludere questa meditazione con le parole del Vescovo che mi ha ordinato presbitero, il Cardinale Silvano Piovanelli, autentico innamorato della Madonna. Il Cardinale concludeva tutte le sue splendide omelie con un accenno mariano che per noi, allora giovani seminaristi in servizio alla Cattedrale, era il segno che l’omelia stava per finire e dovevamo prepararci per l’offertorio! Così il Cardinale si rivolgeva ai fedeli in Cattedrale il 15 agosto de 1995:

«Le parole del tuo canto, Seas, risuonarono dinanzi ad Elisabetta sulla montagna di Giuda. Oggi risuonano in questa Cattedrale a te consacrata, nelle innumerevoli chiese dedicate al tuo nome e dovunque si raccoglie la comunità cristiana. Risuonano soprattutto in quel santuario intimo che è il cuore di tante donne e di tanti uomini e nella coscienza profonda dei popoli poveri e sconfitti che custodiscono a tutti i costi la speranza. Vocês, Maria, hai intonato un canto che cresce nel corso della storia, perché è il canto dell’umanità redenta. Noi vogliamo cantarlo con te. (...) Il canto al Vangelo proclama: “Maria è assunta in cielo; esultano le schiere degli angeli”. Se gli angeli esultano, noi abbiamo motivo di esultare di più; essi la onorano come Regina, noi la veneriamo come Madre; essi la guardano come Colei che li ha raggiunti nella gloria, noi come Colei che ci chiama a raggiungerla nella gioia, desiderosa com’è di portare a termine il compito che Dio le ha affidato dall’alto della croce. Rallegriamoci tutti nel Signore. Amen».

Florença, 15 agosto 2023

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.