Gabriele Giordano M.. Scardocci
De la Orden de Predicadores
Presbítero y teólogo

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Padre Gabriele

Ese juego no siempre comprensible del primero y el último en el Señor

Homilética de los Padres de La Isla de Patmos

QUEL GIOCO NON SEMPRE COMPRENSIBILE DEI PRIMI E DEGLI ULTIMI NEL SIGNORE

«Buona parte della mia perversione morale è dovuta al fatto che mio padre non mi permise di diventare cattolico. L’aspetto artistico della Chiesa e la fragranza dei suoi insegnamenti mi avrebbero guarito dalle mie degenerazioni. Ho intenzione di esservi accolto al più presto».

 

Autor:
Gabriele Giordano M.. Scardocci, o.p.

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Estimados lectores de la Isla de Patmos,

ci sono storie di conversione che fanno comprendere la bellezza di essere cattolici inducendoci a capire il senso del diventare operai nella vigna del Signore. Dio ci chiama in qualsiasi momento della vita: da bambini, da adulti e persino in punto di morte. Non molti sanno che uno di questi operai nella vigna fu proprio Oscar Wilde che si convertì in tarda età al Cattolicesimo, battezzandosi e ricevendo il viatico. L’autore irlandese pochi giorni prima di morire dichiarò al giornale Daily Chronicle:

«Buona parte della mia perversione morale è dovuta al fatto che mio padre non mi permise di diventare cattolico. L’aspetto artistico della Chiesa e la fragranza dei suoi insegnamenti mi avrebbero guarito dalle mie degenerazioni. Ho intenzione di esservi accolto al più presto».

Con la parabola degli operai dell’ultima ora racchiusa nel Vangelo di oggi Gesù viene a insegnarci questo. Todo el mundo, nel grande mistero dell’amore di Dio, siamo chiamati e Lui conosce il giorno e l’ora della nostra risposta. Gesù racconta quindi una parabola che all’inizio può essere “fastidiosa”. Perché troviamo degli operai che vengono assunti a inizio giornata e altri invece solo all’ultima ora. Il padrone degli operai risponde però a muso duro a coloro che erano arrivati là per protestare:

«Io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Nella narrazione simbolica, quel padrone è proprio Dio che ha un concetto di primo e ultimo diverso del nostro. Y en efecto, la frase di Gesù circa gli ultimi e i primi è stata lungamente evocata, perché dislocata al di fuori del contesto della parabola. Dios, así pues, annuncia con una notizia bella e sconvolgente: Egli capovolge i nostri parametri umani: tutti siamo chiamati ad amare, a renderci santi e a santificare gli altri. Ciascuno di noi è operaio nella vigna, cioè nella Chiesa Cattolica, secondo talenti e doni che Lui stesso ci ha offerto.

La ricompensa finale sarà poi uguale per tutti: la sua amicizia e compagnia eterna in Paradiso. Por lo tanto, non esiste una diversa modalità di “pensionamento” per l’operaio nella vigna. Il bambino catecumeno martirizzato, il grande lavoratore della carità, il poeta maledetto convertito in vecchiaia, tutti quanti riceviamo come meta finale la Vita Eterna in Dio. Il grande mistero di Dio da accogliere è questo: Dio ci chiede un amore gratuito che non pretende e non reclama, ma si offre spontaneamente. Perché il primo ad offrirsi senza pretendere nulla in cambio è stato Gesù sulla croce.

A noi sta semplicemente di accogliere la chiamata e di mettere un podi buona volontà. Dio stesso con la sua grazia ci accompagnerà nel nostro essere vignaioli operanti e fecondi per Dio e il prossimo. La differenza del tempo che intercorre fra chiamata e risposta all’amore di Dio, non toglie nulla alla nostra felicità, sia che rispondiamo da piccoli o da adulti, se la nostra risposta è autentica, meditata e vera in Dio è sempre fonte di massima gioia per noi. Por lo tanto, essere primi in Dio non è essere primi nella logica del mondo. En lugar, vuol dire agire con umiltà nello stato vocazionale in cui siamo, decentrando i nostri egoismo e superficialità, ponendo al centro il Signore: in quel decentrarci, Lui ci renderà una gloria ed una soddisfazione massima.

Chiediamo al Signore di diventare buoni come Lui, interiorizzando l’umiltà e la disponibilità ad accogliere un Progetto d’Amore più grande, per diventare giorno dopo giorno testimoni credenti e credibili della Misericordia senza fine.

Que así sea!

Santa María Novella en Florencia, 24 Septiembre 2023

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Los Padres de la Isla de Patmos

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Ese espíritu comunista del Maestro de la Viña del Señor

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

QUELLO SPIRITO PROLETARIO DI MATRICE COMUNISTA DEL PADRONE DELLA VIGNA DEL SIGNORE

Il Vangelo di questa domenica piacerà ai comunisti, al menos a los duros y puros si aún quedan alguno. Los de todos trabajando pero trabajando menos. I problemi semmai sorgeranno alla fine quando si scoprirà che la paga sarà la stessa per tutti. Agli altri la parabola farà venire il mal di pancia, tanto insensato e ingiusto apparirà il comportamento del padrone della vigna.

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El evangelio di questa domenica piacerà ai comunisti, al menos a los duros y puros si aún quedan alguno. Los de todos trabajando pero trabajando menos. I problemi semmai sorgeranno alla fine quando si scoprirà che la paga sarà la stessa per tutti. Agli altri la parabola farà venire il mal di pancia, tanto insensato e ingiusto apparirà il comportamento del padrone della vigna. A parte queste mie battute da quattro soldi cosa dice Gesù? Leggiamolo.

"En ese momento, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: “Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?". ellos le respondieron: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, sin embargo, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, dijo: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”» (Mt 20,1-16).

Innanzitutto bisogna dire che questo racconto parabolico è proprio di Matteo, non si trova cioè negli altri Vangeli. Sembra sia stato utilizzato dall’Evangelista per distaccarsi un attimo dalla trama di Marco e farlo diventare una spiegazione di quanto stava scrivendo in questa sezione della sua opera. Occorre anche premettere che la parabola ha avuto una storia interpretativa variegata. Da chi vi ha letto la storia della salvezza e della elezione dagli inizi delle vicende bibliche (Adamo, Abrahán, Moisés) fino a Gesù a chi vi ha colto una allegoria della vita umana e cristiana per cui anche chi sarà chiamato alla fine della vita potrà salvarsi, né più né meno di chi rispose prontamente fin da giovane. L’esegesi moderna vi ha visto una metafora della giustificazione del comportamento di Gesù di fronte ai suoi detrattori che lo accusavano di prediligere o far comunella coi peccatori e gli esclusi che così diventavano i primi del Regno dei cieli. Vi è però un’altra ermeneutica percorribile sulla base di ciò a cui si è accennato e cioè che Matteo volesse con questa parabola rispondere ad alcune dinamiche sorte già nel primitivo gruppo dei seguaci di Gesù e che si sarebbero ripresentate nelle comunità cristiane a cui il Vangelo sarà rivolto.

Non a caso il brano evangelico sopra riportato inizia, nel testo greco, con la preposizione gar – γάρ, che significa ‘infatti’1, come a dire che adesso si andrà a spiegare quanto precedentemente era stato riportato. Ciò che precede immediatamente è la frase che ritroveremo quasi identica al termine del brano di questa domenica: «Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi» (Mt 19,30). Questa espressione di Gesù era a sua volta collegata a una domanda di Pietro: "Aquí, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?», a cui Gesù rispose che avrebbe ricevuto insieme al potere di giudicare, anche il centuplo e la vita eterna, ma sempre tenendo conto tuttavia della possibile interscambiabilità fra i primi e gli ultimi. Poco prima aveva anche affermato: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile».

Abbiamo dunque un antefatto al brano di questa domenica che corrisponde alla domanda di ricompensa sulle labbra di Pietro. Ahora, come nei film che ripropongono una saga, además de prequel abbiamo anche un sequel. Perché successivamente (Mt 20,17-19), subito dopo la parabola, Gesù annuncerà per la terza volta la sua passione, La muerte y la resurrección. Di fronte a un tale solenne annuncio, con grande sconcerto per il lettore, Matteo riporterà appena dopo (v.v.. 20-24) che due discepoli fratelli, figli di Zebedeo, faranno questa richiesta a Gesù per bocca della loro mamma: «Dì che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno»; provocando la reazione sdegnata del resto del gruppo. Se prima avevamo dunque con Pietro una richiesta di ricompensa, qui ne abbiamo una di rivendicazione di merito con la quale si pretendevano i primi posti. Notiamo che a far queste richieste, salvo Andrea fratello di Pietro, sono i primissimi discepoli chiamati da Gesù (Mt 4,18-22)! Comprendiamo perché Matteo, staccandosi da Marco, abbia voluto aggiungere qualcosa proveniente da una sua fonte. Forse la misura era colma o forse era consapevole che i diritti di prelazione, il carrierismo o il guadagno e i privilegi saranno tentazioni che aggrediranno sempre i discepoli di Gesù nella Chiesa e per sempre s’intende anche oggi. La parabola allora sarà la risposta di Gesù a queste logiche squisitamente umane e un richiamo al fondamento a cui tutto è possibile, che non fa torto perché buono e un invito alla comunità a trarne le conseguenze di vita cristiana autentica.

Il racconto parabolico procede con la scansione di alcune ore del giorno a cominciare dalle prime luci dell’alba, fino alla sera verso l’undicesima ora, le diciassette del pomeriggio, quando mancherà un’ora sola per staccare dal lavoro. Il proprietario di una vigna che aveva bisogno di lavoratori uscì una prima volta prestissimo e si accordò con alcuni operai per un denaro al giorno. Poi si fece vivo di nuovo alle nove, l’ora terza, e ne chiamò altri dicendo loro che avrebbe dato loro il giusto. A questo punto entra in scena la percezione e l’attesa del lettore che comincerà a fantasticare su quanto ammonterà questo giusto. Esso sarà come è ragionevole immaginare commisurato con le effettive ore di lavoro? Ma il padrone della vigna è ben strano perché uscirà di nuovo a mezzogiorno e poi alle tre, sorpreso di trovare lavoratori inoperosi chiamerà anche loro. Por fin, a un’ora dalla chiusura della giornata lavorativa, alle cinque del pomeriggio, quando ormai era inutile — chi chiama operai per farli lavorare un’ora sola? — uscirà nuovamente e dirà: «Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?». Risposero: «Perché nessuno ci ha presi a giornata». Ed egli disse loro: «Andate anche voi nella vigna». È chiaro che Gesù sta parlando non di un imprenditore sprovveduto o impazzito, ma di Dio che nella sua grande libertà chiama chiunque in qualsiasi momento senza badare alla necessità lavorativa o al compenso, ma mosso dal solo desiderio che le persone facciano parte di questa opera. La sua volontà è che ognuno abbia la possibilità di stare e lavorare nella sua vigna allegoria del popolo di Dio, piantagione amata, come attestato più di una volta nella Bibbia: «Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle» (Es 5,1); «In quel giorno la vigna sarà deliziosa: cantàtela! Yo, el señor, ne sono il guardiano, a ogni istante la irrigo; per timore che la si danneggi, ne ho cura notte e giorno» (Es 27, 2-3); «La mia vigna, proprio la mia, mi sta davanti» (Cantico 8,12a).

La seconda parte della parabola si svolgerà quasi al tramonto come prevedeva la legge nel Deuteronomio: «Darai all’operaio il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole» (Dt 24,15). Il rilascio della paga secondo l’ordine impartito dal padrone avvenne iniziando dagli ultimi operai chiamati, un rimando forse a quel «gli ultimi saranno primi» (Mt 19,30) della fine del capitolo precedente il nostro. L’aspettativa che, avevamo su detto, prendeva il lettore ora coinvolgerà gli stessi ‘primi’ operai poiché vedendo consegnare un denaro agli ultimi arrivati si attenderanno di ricevere più del pattuito. Quando però finalmente prenderanno il loro spettante si accorgeranno che sarà il medesimo che era stato consegnato agli operai chiamati da ultimi e qui partirà il risentimento e il mugugno: «Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo» (v.12). Nelle parole risentite degli operai chiamati fin dall’alba che potrebbero essere i discepoli di Gesù menzionati sopra, ma anche chiunque nella Chiesa si senta meritevole di qualche privilegio, si coglie tutto il fastidio verso ciò che ha appena fatto il padrone. Dicono infatti: noi non siamo pari a loro, mentre tu «pares illos nobis fecisti» — come traduce la Vulgata il v 12, en greco ἴσους ⸂αὐτοὺς ἡμῖν⸃ ἐποίησας — che è più graffiante del ‘li hai trattati come noi’; questa uguaglianza è intollerabile.

La risposta del padrone della vigna a colui che sembra essere una sorta di rappresentante sindacale ribadirà per prima cosa che egli è stato rispettoso del contratto, poiché un denaro al giorno era stato loro pattuito e quindi in lui non v’è stata ingiustizia, ma aggiunse anche che ciò che lo aveva mosso era una bontà che mirava direttamente al bene delle persone senza badare a calcoli di tempo o di denaro: «Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?» (v.15). L’azione del padrone, dietro la quale agli occhi di Gesù si nasconde quella di Dio, apparve agli operai della prima ora ingiusta, non conforme alla norma mondana, escandaloso, finanche il lettore l’ha percepita così, fastidiosa e spiazzante. L’evangelista Matteo nelle parole del padrone della vigna definisce il lavoratore scontento e invidioso come qualcuno che abbia un ‘occhio cattivo, perverso’, contrapposto a chi agisce perché buono. L’espressione «tu sei invidioso» è la traduzione del greco: Il tuo occhio è malvagio (O ofthalmos su poneros estin ὁ ὀφθαλμός σου πονηρός ἐστιν). L’organo della visione di questi lavoratori, forse affaticato dalle ore di lavoro — ponos (πόνος) in greco è la fatica, il lavoro — aveva perso di vista la bontà di Dio verso tutti. Egli affermerà: Io sono buono (ego agatos eimi, ἐγὼ ἀγαθός εἰμι).

El climax della parabola starà proprio in questa rivelazione: «Io sono buono». E poiché in Mt 19,17 2, pochi versetti prima, si diceva che «uno solo è buono», in riferimento a Dio, è evidente l’allusione teologica della nostra parabola. Qui emerge il proprio di questa metafora che intravede la fuoriuscita dalle logiche ferree di corrispondenza tra lavoro e paga, prestazione e retribuzione, e lascia scorgere un mondo segnato dalla liberalità e generosità, da rapporti regolati non solo dal diritto, ma anche dalla gratuità; non solo dal rigore del dovuto, ma anche dal gratuito inatteso. In cui non il merito è l’elemento che deve decidere della gerarchia delle persone, ma la bontà di Dio.

Concluderei con due citazioni. La prima è una breve frase molto nota, tratta da un testo che ha avuto una grande influenza, Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana3: «Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali». Scelgo questa frase che scrissero otto ragazzi di Barbiana con la supervisione del priore don Milani perché apparentemente sembra andare contro l’insegnamento della parabola. Secondo me ne è lo specchio perché fu proprio il background el Evangelio, insieme alla capacità di leggere la società e la cultura dell’epoca, che guidò quei ragazzi verso un nuovo concetto di merito e di giudizio all’interno dell’istituzione scolastica. Grazie al Vangelo per la prima volta gli ultimi sono stati visti e non più disprezzati o declassati. Se non ci fosse stato il Vangelo don Lorenzo non sarebbe mai andato casa per casa a togliere i ragazzi dalle stalle per portarli alla sua scuola.

L’altra citazione l’ho scelta per il respiro ecclesiale e per il senso di gioia e di fede che la pervade. È dello Pseudo-Giovanni Crisostomo:

«Chi ha lavorato fin dalla prima ora, riceva oggi il giusto salario; chi è venuto dopo la terza, renda grazie e sia in festa; chi è giunto dopo la sesta, non esiti: non subirà alcun danno; chi ha tardato fino alla nona, venga senza esitare; chi è giunto soltanto all’undicesima, non tema per il suo ritardo. Il Signore è generoso, accoglie l’ultimo come il primo, accorda il riposo a chi è giunto all’undicesima ora come a chi ha lavorato dalla prima. Fa misericordia all’ultimo come al primo, accorda il riposo a chi è giunto all’undicesima ora come a chi ha lavorato fin dalla prima»4.

de la ermita, 24 Septiembre 2023

 

 

NOTAS

1 «Ὁμοία γάρ ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν – Infatti il regno dei cieli è simile» (Mt21,1)

2 "Y he aquí, un tale si avvicinò e gli disse: "Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna? ». ella le respondió: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, guardar los mandamientos ".
3 La scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Librería Editorial Fiorentina, 1990

4 Pseudo Giovanni Crisostomo, Con la morte ha sconfitto la morte. Omelia sulla Pasqua, NIV, 2019

 

 

Grotta Sant’Angelo in Ripe (Civitella del Tronto)

 

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Los Padres de la Isla de Patmos

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El perdón no es un juego cronometrado sino un desafío cristológico infinito

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

IL PERDONO NON È UN GIOCO A TEMPO MA UNA SFIDA CRISTOLOGICA ALL’INFINITO

En las últimas décadas, especialmente desde que la psicología se ha vuelto popular, el tema del perdón ha traspasado los confines de lo religioso y los lugares clásicos que se le asignan como el confesionario, per approdare nel setting psicanalitico, dove vengono affrontati i conflitti che generano angoscia e turbamento. In quel contesto la persona carica di pesi insopportabili è invitata a rivalutare il perdono, spesso verso sé stessa, soprattutto quando l’altro da cui ha ricevuto un torto non è raggiungibile.

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En las últimas décadas, especialmente desde que la psicología se ha vuelto popular, el tema del perdón ha traspasado los confines de lo religioso y los lugares clásicos que se le asignan como el confesionario, per approdare nel setting psicanalitico, dove vengono affrontati i conflitti che generano angoscia e turbamento. In quel contesto la persona carica di pesi insopportabili è invitata a rivalutare il perdono, spesso verso sé stessa, soprattutto quando l’altro da cui ha ricevuto un torto non è raggiungibile.

LA pagina evangelica di questa domenica ci offre la possibilità di guardare il perdono come lo intendeva Gesù il quale come spesso accade, attraverso parole nette e chiare, ci presenta una particolare prospettiva. Ecco il brano:

"En ese momento, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: "Hombre, si mi hermano comete pecados contra mí, cuantas veces tendre que perdonarlo? Hasta siete veces?". Y Jesús le respondió: “No te lo digo hasta siete veces, ma fino a settanta volte sette. Por esto, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, diciendo: “Restituisci quello che devi!". Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?". Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello”» (Mt 18,21-35).

Per cercare di capire la risposta di Gesù a Pietro dobbiamo fare un salto indietro nel tempo. Poiché il tempo se si tratta di perdono è importante. Occorre risalire la storia biblica fino alle generazioni successive ad Adamo ed Eva, in particolare a un discendente del tristemente famoso Caino di nome Lamec. Caino come è noto uccise il fratello Abele e temendo una rappresaglia ricevette un’assicurazione da Dio che chi lo avesse toccato sarebbe incorso in una vendetta pari a sette volte la stessa (Gen 4,15). Il testo della Genesi riporterà poco più avanti le parole di Lamec che fu un uomo più violento del trisnonno Caino, capace di uccidere per un nonnulla, della qual cosa se ne vantò con le mogli:

«Ada e Silla, ascoltate la mia voce; mogli di Lamec, porgete l’orecchio al mio dire. Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette» (Gen 4,23-24).

La richiesta di Pietro che era giocata sulla quantità accettabile, ampia e immaginiamo esagerata ― «Signore, si mi hermano comete pecados contra mí, cuantas veces tendre que perdonarlo? Hasta siete veces?» ― ricevette da Gesù una risposta basata invece sul tempo: "Yo te digo que hasta siete veces, ma fino a settanta volte sette», cioè sempre. Egli stabilì così una misura incommensurabile, perché come spiegherà nella successiva parabola ogni discepolo si troverà nella condizione di quel servo che non potrà restituire un debito inestinguibile, tanto era esorbitante. Nella versione lucana ― «Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai» (Lc 17,4b) ― anche se l’azione malevola era reiterata, almeno c’era un che di pentimento, ma nella domanda di Pietro in Matteo non compare: nessuna scusa, nessun pentimento. E Gesù rispondendo pose Pietro davanti ad una situazione incondizionata di una tale unilateralità che potrà essere accettata solo da quel discepolo che avrà compreso il perdono immenso ricevuto da Dio, attraverso Gesù. Egli attuò così il rovesciamento della vendetta numerata del libro della Genesi in favore di una liberazione dal passato coi suoi pesi che opprimono il cuore. La vendetta cantata da Lamec infatti è la diuturna riproposizione all’animo del passato che ha causato ferite, quel momento che non si può scordare di quando qualcuno commise il male contro di me e che fa rimontare nell’animo le emozioni della rabbia e della rivalsa, corrodendo tutto nell’intimo. A un occhio umano il male che è stato fatto può apparire non sanabile e neppure dimenticato, sempre ritorna. Per sgombrare il campo dico subito che qui non è a tema la giustizia che dirime una contesa o tenta di riparare un torto applicando la legge e neppure il fatto che si debba dimenticare il male che è stato compiuto. La risposta che Gesù restituisce a Pietro riguardo il peccato personale va semplicemente nella direzione opposta al passato diretta verso il futuro. Che si tratti di settanta volte sette o di settantasette nelle parole di Gesù è rovesciato il proposito beffardo di Lamec, così l’anima, svincolata dagli effetti perniciosi del rimanere ancorata al male passato, guadagnerà una nuova libertà. Il perdono illimitato, quando anche l’offensore non lo capisse, sarà infatti un bene soprattutto per l’offeso che si aprirà alla meraviglia di essere stato lui per primo graziato: si è sgravato di un grosso peso e debito, può guardare il futuro con leggerezza perché finalmente libero.

L’evangelista Matteo usò per la domanda di Pietro il verbo ἀφίημι (aphiemi) que el Vulgata tradusse con “dimittere” ― «Domine, quotiens peccabit in me frater meus, et dimittam ei? Usque septies?» ― Esso ha infatti come primo significato in greco quello di mandare via, lasciar andare, rimandare qualcuno libero e per estensione quello di rimettere qualcosa, per esempio una colpa o i peccati e quindi assolvere. Lo stesso verbo sarà usato da Gesù nel rimprovero al servo a cui era stato condonato un enorme debito, che però si era scagliato contro il suo sodale senza usare quella grandezza d’animo o pazienza (makrotimia - μακροθυμία) (cf.. Mt 18,29)1 che era stata precedentemente usata a lui: «Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te2. Paradossalmente con Gesù si ha un rovesciamento di prospettiva: non sono più io che ho subito un male a liberare l’altro perdonandolo illimitatamente, ma sono io che lasciando andare il peccato, mi libero di un peso che mi fa star male, io per primo ne beneficio. Io perdono perché sono stato perdonato. Si può dialogare con questi presupposti con la moderna psicologia? Penso proprio di sì e senza soggezioni e su questo mi fermo. Anzi aggiungo un’altra cosa, un accostamento che potrebbe apparire singolare. L’ultimo autore del quarto Vangelo raccontò la vicenda di Lazzaro morto (Juan 11), di Gesù che si attardò alquanto e poi il dialogo serrato con Marta e quindi di nuovo la domanda di Maria, in una tensione narrativa crescente perché Gesù voleva far entrare nella testa, o meglio desiderava che fosse accolto con fede che Egli era «la risurrezione e la vita», perché «chi crede in me, incluso si muere, vivirá; el que vive y cree en mi, non morirà in eterno»3. Chi custodirà questa fede saprà che i morti non ‘saranno lasciati’ nel sepolcro. E infatti l’ultima parola che Gesù dirà ai discepoli astanti, ma non a Lazzaro, Sara: «Lasciatelo andare» (Aphete auton upageinἄφετε ⸀αὐτὸν ὑπάγειν, Solvite eum)4; lo stesso verbo usato in Matteo per il peccato perdonato. Congiungendo i due racconti si potrebbe dire che se non lasci andare il peccato, il male che ti è stato fatto, non sarai mai libero per davvero. Il peccato è la condizione mortifera, il perdono è la vita e la risurrezione in Gesù Cristo.

Nella parabola poi narrata da Gesù sul re che volendo regolare i suoi conti iniziò com’è normale da chi gli doveva di più è presentata la pietra di paragone di ogni perdono cristiano e la fonte a cui attingere per esser capaci della illimitatezza richiesta. Perché dietro la figura del re si cela quella di Dio Padre, l’unico capace di condonare così tanto, una cifra enorme, hiperbólico. Diecimila talenti corrispondevano a cento milioni di denari tenendo conto che un denaro era più o meno la paga media giornaliera di un operaio: impossibile da rimborsare per un servo. Ora il primo servo della parabola se avesse compreso il dono ricevuto avrebbe dovuto amare di più, secondo l’altra parabola che Gesù raccontò nel Vangelo di Luca (cf.. Lc 7, 41-43)5, ma non lo fece perché si accanì contro il suo compagno suscitando la tristezza negli altri e lo sdegno del re. Fissato come era sul quanto gli era stato rimesso perse di vista la grandezza di animo (makrotimia – μακροθυμία dei vv. 26) che aveva mosso un tal gesto e soprattutto la compassione viscerale (σπλαγχνίζομαι, splanchnízomai del v. 27) che corrisponde in molte occorrenze bibliche alla misericordia di Dio, un tratto quasi materno e il solo aspetto manifestabile di Lui come ricorda questo famoso brano di quando Mosè volle vedere Dio:

«Gli disse: “Mostrami la tua gloria!". Respondido: “Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome, Señor, davanti a te. A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò misericordia”. Soggiunse: “Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo”… “Il Signore passò davanti a lui, proclamando: "El señor, el señor, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione”» (Es 33,18-20; 34,6-7).

Ecco allora rivelato il fondamento di ogni azione di perdono: l’essere stati perdonati. Il cristiano sa di essere stato perdonato dal Signore con una misericordia gratuita e preveniente, sa di aver beneficiato di una grazia insperata, per questo non può non usare misericordia a sua volta ai fratelli e alle sorelle, debitori verso di lui di molto meno. En el final, en la parábola, non è più questione di quante volte si deve dare il perdono, ma di riconoscere di essere stati perdonati e dunque di dover perdonare. Se uno non sa perdonare all’altro senza calcoli, senza guardare al numero di volte in cui ha concesso il perdono, e non sa farlo con tutto il cuore, allora non riconosce ciò che gli è stato fatto, il perdono di cui fu destinatario. Dio perdona gratuitamente, il suo amore non può essere meritato, ma occorre semplicemente accogliere il suo dono e, in una logica diffusiva, estendere agli altri il dono ricevuto. Comprendiamo così l’applicazione conclusiva fatta da Gesù. Le parole che egli pronuncia sono parallele e identiche nel contenuto, a quelle con cui chiosa la quinta domanda del Padre nostro: "Perdónanos nuestras deudas, come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12); l’unica da lui commentata.

«Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe (Mt 6,14-15). «Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello» (Mt 18,35).

Vorrei concludere con un piccolo aneddoto che ho vissuto in prima persona. In occasione dell’anno Santo del 2000 fra le molte iniziative imbastite nella comunità parrocchiale per vivere al meglio quell’evento vi fu anche quella di far sorgere nei tempi forti di Avvento e di Quaresima dei piccoli gruppi del Vangelo. La parrocchia non era grande, ma l’iniziativa piacque e circa venti gruppetti si crearono, ognuno più o meno di dieci, quindici persone. In pratica chi voleva, singolo o famiglia, per alcune sere apriva la propria casa e o invitava i vicini o questi arrivavano da sé, anche in base alla conoscenza e all’amicizia e per un paio di ore si rifletteva in gruppo su un brano del Vangelo appositamente preparato con una scheda esplicativa e delle preghiere finali. Poi ogni famiglia si sbizzarriva preparando anche dolcetti o cose da offrire, come è normale. Una sera che ancora ricordo toccò al brano clou dell’Anno Santo, la parabola del figliol prodigo o del Padre misericordioso, come si usa chiamare adesso. Per inciso aggiungo che c’era stato un pellegrinaggio alla scoperta della Russia cristiana e alcuni avevano potuto vedere nel museo dell’Ermitage il quadro di Rembrandt raffigurante la menzionata scena evangelica che campeggiava su tutti gli opuscoli delle diocesi e delle parrocchie. Così andai a uno di questi gruppetti pensando di camminare sul velluto, después de la cena, tutto tranquillo. Con mia grande sorpresa, quando venne il momento della discussione sul brano evangelico alcuni, soprattutto uomini, si mostrarono contrariati verso l’atteggiamento del padre della parabola. Per loro era inconcepibile che un padre riammettesse in casa il figlio minore che aveva sciupato tutto e che se ne uscisse di casa per tirar dentro pure quello maggiore. Io rimasi basito, quasi offeso. Perché questi non erano atei conclamati, ma gente di parrocchia e qualcuno anche con responsabilità. Ricordo la faccia di qualche brava pia donna, ormai tutte decedute, che mi mandavano occhiate per dire: risponda qualcosa. Ma io non aggiunsi nulla, un po’ perché colto di sorpresa e un po’ per intuizione.

Riflettendo poi sull’accaduto pensai che fosse stato giusto così e che l’intollerabilità di quella particolare parabola evangelica dovesse essere lasciata a quel modo, come un cibo difficile da digerire. En Fondo, per accettarla, bisognava aver compreso che siamo stati raggiunti dalla grazia di Dio che è misericordia e perdono, una grazia avuta a ‘caro prezzo’. L’apostolo Paolo che l’aveva capito e sperimentato si adoperò con tutte le sue forze per renderlo fruibile a molti e così si espresse in un famoso passo della lettera ai romani:

«Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Si de hecho, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita» (ROM 5, 8-10).

Forse chissà, se questo episodio, come tanti altri diversi, ma più o meno simili che ne seguirono, concorsero a farmi scoprire un giorno la vita eremitica?

Feliz Domingo a todos!

Dall’Eremo, 16 Septiembre 2023

 

NOTAS

[1] «Abbi pazienza con me e ti restituirò»

2 «Δοῦλε πονηρέ, πᾶσαν τὴν ὀφειλὴν ἐκείνην ἀφῆκά σοιServe nequam, omne debitum illud dimisi tibi, quoniam rogasti me» (Mt 18, 32)

3 Juan 11, 25-26

4 Juan 11, 44

5 «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Jesús le dijo: «Hai giudicato bene»

 

 

Grotta Sant’Angelo in Ripe (Civitella del Tronto)

 

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Los Padres de la Isla de Patmos

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Gabriele Giordano M.. Scardocci
De la Orden de Predicadores
Presbítero y teólogo

( Haga clic en el nombre del autor para leer todos sus artículos )
Padre Gabriele

Perdonar no es hacer el bien, sino un signo de caridad y justicia divina.

Homilética de los Padres de La Isla de Patmos

PERDONARE NON È BUONISMO MA SEGNO DELLA CARITÀ E DELLA GIUSTIZIA DIVINA

«Gli perdono di avermi sfruttata, arruinado, humillado. le perdono todo, porque amaba". Con estas palabras Eleonora Duse la llamó “la musa”, riassume la sua tormentata relazione con Gabriele D’Annunzio, suo unico amore della vita, da un punto di vista laico ed umanistico.

 

Autor:
Gabriele Giordano M.. Scardocci, o.p.

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Estimados lectores de la Isla de Patmos,

uno degli insegnamenti di Gesù più difficili da accogliere è quello sul perdono. Quando subiamo un torto, de hecho, più facilmente ci ricordiamo della persona che lo ha commesso, generando una divisione e un distacco totale fra noi e lei. È un sentimento di rivalsa totalmente naturale. Per questo Gesù ci chiede di andare oltre. E c’è chi fa proprio questo insegnamento di Gesù. Por ejemplo:

«Gli perdono di avermi sfruttata, arruinado, humillado. le perdono todo, porque amaba".

Con queste parole Eleonora Duse detta “la musa”, riassume la sua tormentata relazione con Gabriele D’Annunzio, suo unico amore della vita, da un punto di vista laico ed umanistico.

Il perdono è uno dei nuclei principali del Cristianesimo, come abbiamo visto nelle domeniche estive; il Signore spesso decide di offrire parabole per trasmettere concetti importante. La parabola del servo malvagio esplicita in forma di narrazione un bellissimo tema del messaggio gesuano. Ne troviamo la sintesi all’inizio del brano evangelico de hoy.

«Gesù rispose a Pietro: “No te lo digo hasta siete veces, pero hasta setenta veces siete"".

Il numero sette evocato da Gesù e portato alla sua massimizzazione (Setenta veces siete) non è un numero casuale per la mentalità ebraica in cui Gesù viveva. Esso rappresenta infatti la pienezza, il settimo giorno in cui Dio si riposò, le sette aspersioni rituali con il sangue (lv 4,6-17; 8,11; Nuevo Méjico 19,4; 2Re 5,10); l’immolazione di sette animali (Nuevo Méjico 28,11; Esta 45,23; gb 42,8; 2Cor 29,21), i sette angeli (Tuberculosis 12,15); i sette occhi sulla pietra (ZC 3,9). Ma Gesù cita specialmente il sette e il settanta in riferimento al profeta Daniele (dn 9,2-24), in cui sono citate settanta settimane. Semplificando possiamo dire che secondo il profeta queste settanta settimane termineranno nel giorno della salvezza, perché a suo modo, Setenta veces siete, è un numero infinito. Ecco dunque che Gesù, en resumen, afferma la presenza della pienezza della salvezza del Signore, tramite il perdono che Lui, il Dio-uomo, porge agli uomini.

La parabola del servo malvagio narra una situazione di ingiustizia: lo stesso servo a cui era stato perdonato un debito enorme ― praticamente impossibile da coprire in una vita per gli standard del tempo ― non offre lo stesso perdono per un debito minore, dinanzi al quale il padrone diventa severo di fronte a una mancanza di amore e giustizia verso il suo prossimo. Il centro della dinamica di perdono si racchiude in questo: imparare ad offrire un atto d’amore ad un altro peccatore. Esattamente come noi siamo perdonati e chiediamo a Dio il perdono, nel confessionale e quando recitiamo il Nuestro Padre.

Perdonare è l’atto estremo di amore e il più difficile: perché scioglie il peccatore dalla rabbia e dalla tristezza che possiamo portargli in seguito a un peccato subìto, sciogliendo noi stessi dal ricordo di quei torti. Ed è per questo che è difficile perdonare: esso è un cammino spirituale ed esistenziale che richiede al contempo tempo, la paciencia, preghiera e soprattutto la grazia del Signore. La Grazia, de hecho, ci aiuta a imitare Gesù che perdona i suoi aguzzini mentre è sulla croce.

Chiediamo l’aiuto del Signore per imparare a essere peccatori che chiedono e che concedono perdono, chiediamo i sette doni dello Spirito, perché nell’accoglienza del prossimo possiamo scorgere il senso stesso dell’amore di carità ed amare sino alla fine.

Que así sea!

Santa María Novella en Florencia, 16 Septiembre 2023

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Los Padres de la Isla de Patmos

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Lo que realmente significa hacerse pequeño para entrar al Reino de los Cielos?

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

LO QUE REALMENTE SIGNIFICA HACERSE PEQUEÑO PARA ENTRAR AL REINO DE LOS CIELOS?

"En ese momento, Jesús dijo a sus discípulos: “Si tu hermano comete un delito contra ti, ve y amonestalo estando tú y él solos; si el te escuchara, habrás ganado a tu hermano; si el no escucha, todavía lleva una o dos personas contigo, para que todo se resuelva con la palabra de dos o tres testigos. Si no, entonces los escuchará., decirle a la comunidad; y si tampoco escucha a la comunidad, sed para vosotros como el pagano y el recaudador de impuestos".

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.https://youtu.be/4fP7neCJapw

 

Un hombre religioso que tenía un sentido muy práctico de las cosas y de los hombres me decía muchas veces que las sociedades son hermosas, en número impar, menos que tres. El viejo dicho pretendía subrayar que tan pronto como las comunidades aumentan en número y distribución territorial, inmediatamente surgen problemas y, por ello, la necesidad de derivar reglas para resolverlos o al menos contenerlos. LA la pagina evangelica de este domingo, que relata algunos dichos de Jesús en este sentido, de hecho, parece haber surgido de las dificultades que surgieron en las comunidades judeocristianas a finales del siglo I d.C.. Aquí está el pasaje evangélico.:

"En ese momento, Jesús dijo a sus discípulos: “Si tu hermano comete un delito contra ti, ve y amonestalo estando tú y él solos; si el te escuchara, habrás ganado a tu hermano; si el no escucha, todavía lleva una o dos personas contigo, para que todo se resuelva con la palabra de dos o tres testigos. Si no, entonces los escuchará., decirle a la comunidad; y si tampoco escucha a la comunidad, sea ​​para vosotros como el pagano y el recaudador de impuestos. De cierto os digo: todo lo que ates en la tierra quedará atado en el cielo, y todo lo que desatéis en la tierra quedará desatado en el cielo. De verdad te lo vuelvo a decir: si dos de ustedes en la tierra se ponen de acuerdo para pedir algo, mi Padre que está en los cielos se lo concederá. Porque ¿dónde están dos o tres reunidos en mi nombre?, ahí estoy entre ellos" (Mt 18, 15-20).

Estamos en el capítulo dieciocho. del primer Evangelio que narra el llamado "discurso a la comunidad" introducido por el gesto de Jesús de poner a un niño en el centro de los discípulos y pedirles que se hicieran pequeños como él para llegar a ser "los más grandes del reino". del cielo"1. A continuación la invitación a no escandalizar al niño pequeño y a no despreciarlo, bajo pena de un final miserable en la 'Gehena' donde yacerá como un objeto abandonado en un vertedero, mientras el, el pequeño, siempre tendrá un ángel arriba que mirará el rostro de Dios Padre.

La preocupación de Jesús surge de la conciencia de que las comunidades cristianas, como lo fue para el primer grupo de sus discípulos, estarán atravesados ​​por dinámicas relacionales y de poder que podrían generar escándalos que desacreditarán la experiencia cristiana no sólo ante los ojos del mundo, pero también lograrán debilitar las relaciones dentro de ellos; en particular hacia aquellos a quienes Jesús llama pequeños y débiles, quien necesariamente acusará ciertos comportamientos más que otros. Por Jesús nadie debe perderse, especialmente aquellos que están en una posición minoritaria. De hecho, antes del pasaje de hoy narró la breve parábola de la oveja perdida.:

"Qué opinas? Si un hombre tiene cien ovejas y una de ellas se descarría, No dejará las noventa y nueve en los montes e irá a buscar la que se perdió.? De cierto os digo: si puede encontrarlo, se alegrará más por aquel que por los noventa y nueve que no se perdieron. Así es la voluntad de vuestro Padre que está en los cielos., que ni uno solo de estos pequeños se pierda"2.

Aquí, entonces, debajo de una especie de mapa vial del comportamiento a seguir si la situación del pecador surge y causa escándalo y división. En las palabras de Jesús escuchamos el eco de experiencias vividas concretamente en comunidades heridas por ciertos pecados., quienes interrogaron a sus líderes para formular indicaciones graduales, a la discreción y al respeto hacia todos. Pero también con firmeza, como lo subraya la repetición de proposiciones condicionales cinco veces, en el corto espacio de tres versos: “Si tu hermano; Si él te escuchará; Si él no escucha; Si no los escucha; Si ni siquiera escucha a la asamblea". Testimonios de una reflexión eclesial sobre casos concretos ocurridos y del nacimiento de una práctica disciplinaria con reglas y límites encaminados a evitar la desintegración de la comunidad y que ciertos episodios se repitan. Esta experiencia ha desarrollado una práctica a seguir si surgen estas situaciones.:

« Ve y amonestalo estando tú y él solos.; Lleva una o dos personas contigo; Dile a la comunidad; Que sea para vosotros como el pagano y el publicano".

Estos son claramente aquellos pecados que socavan la comunión. en la comunidad cristiana, por tanto de faltas públicas y no sólo interpersonales. ¿Por qué en este caso?, si fuera un problema que surgió entre dos creyentes, el único camino a seguir sería el del perdón sin medida:

«Entonces Pedro se acercó a él y le dijo: "Hidalgo, si mi hermano comete pecados contra mí, cuantas veces tendre que perdonarlo? Hasta siete veces?". Y Jesús le respondió: “No te lo digo hasta siete veces, pero hasta setenta veces siete"". (Mt 18, 21-22).

Pero en caso de falta pública que daña la comunión, a pesar de la parábola de Jesús sobre oveja perdida y enseñando sobre el perdón, el camino a seguir, hecho todo lo posible y con la comunidad de espaldas a la pared, incluso puede llegar a la dolorosa elección de la separación. De ello tenemos un recuerdo en las palabras de San Pablo que sabía mucho de la vida comunitaria.:

“Escuchamos, de hecho, que algunos de ustedes están viviendo una vida desordenada, sin hacer nada y siempre en agitación. a estos tales, exhortándolos en el Señor Jesucristo, te ordenamos que te ganes la vida trabajando tranquilamente. voy a, Hermanos, no te canses de hacer el bien. Si alguno no obedece lo que decimos en esta carta, toma nota de él y rompe relaciones, Por que estas avergonzado; Sin embargo, no lo trates como a un enemigo., pero amonestadle como a un hermano"3.

y en otros lugares:

"Eres una selección, Hermanos: amonestar a los indisciplinados, da coraje a los que están desanimados, apoyar a los que son débiles, ser magnánimo con todos"4.

Entonces, ¿cómo se produce esta corrección fraterna? si en una comunidad un miembro peca ("Si tu hermano comete un delito contra ti... Pero si tu hermano peca contra ti»)? En el texto griego encontramos el verbo 'amartano – ἁμαρτάνω' que tiene el significado de cometer un error, fallar y por extensión también pecar y volverse culpable. El v.15 contiene la expresión 'contra usted' (en), presente en muchos testimonios del texto, pero ausente en otros. En mi opinión, si mantenemos como cierto lo dicho anteriormente sobre la diferencia entre un pecado público que socava la comunión eclesial y un pecado interpersonal, podría ser una adición para armonizar la frase actual con la que Pedro dirigirá a Jesús poco después y que se relató anteriormente.: "Hombre, si mi hermano comete pecados contra mí, cuantas veces tendre que perdonarlo?»; un efecto bastante frecuente entre los copistas. Si un hermano peca, ¿Cuál será entonces el proceso a seguir para una corrección verdaderamente cristiana?? El viaje se realizará en tres pasos. Primero que nada, corrección personal., «entre tú y él solos», porque si el hermano escucha y se arrepiente, el problema se solucionará sin la vergüenza de involucrar a otros. Si no se activa esta escucha será necesaria la intervención de dos o tres testigos, como ya predijo Deuteronomio: «Un solo testigo no tendrá valor contra nadie»5. De este modo se garantizarán tanto los derechos del acusado como la solidez del testimonio aportado sobre "cada palabra". (convirtió. hasta rhêma; el texto CEI tiene: todo). Todavía nos mantenemos en el nivel del diálogo y la posibilidad de explicarse., cuando hablar en la Iglesia da la oportunidad de presentar las propias opiniones y abrirse a la escucha mutua. Pero si incluso en este caso la audiencia declina entonces "díselo a la Iglesia". La última instancia será la comunidad eclesial, la asamblea local. La corrección debe en este momento tener lugar en el contexto más amplio de toda la comunidad.. Con todo y esto, ambos en una relación uno a uno, que delante de algunos testigos o delante de la asamblea, El elemento discriminante de la corrección seguirá siendo la relación y la capacidad de escuchar.. En otras palabras, esa libertad interior, con la humildad y la apertura que reconocen la bondad del reproche hecho y que lleva a renunciar a defenderse contraatacando o negando y quitando el reproche.

Desafortunadamente el fantasma del ego. siempre se cierne sobre nuestra personalidad o nuestras relaciones, impidiendo la verdadera escucha del alma., tanto personal como comunitario. con sus trucos, que son pensamientos egoicos, ejercerá un bloqueo que impedirá el cuidado y la escucha de estas almas y es ese 'volver a los niños' del que habló Jesús, como se ha mencionado más arriba.

Es en este punto que los caminos de la comunidad y del pecador podrán separarse.. Cuando incluso la última instancia de la secuencia de corrección llegue al que no escucha, Jesús dirá: «Sea para vosotros como el pagano y el publicano» (Mt 18,17). Es interesante notar que con esta fórmula de exclusión se otorga poder a la comunidad, el de aflojar y atar, que anteriormente había sido confiado al individuo Pietro (Mt 16,19): desatar y atar significa perdonar y excluir, permitir y prohibir. La comunidad, la asamblea eclesial, tiene la facultad de admisión o exclusión, donde la excomunión será la última opción (cf. 1Cor 5,4-5)6, mientras que el verdadero gran poder será el del perdón. De hecho, la corrección fraterna, si bien se dirige al pecador para que reconozca su bien, es al mismo tiempo un don del Espíritu.7 para la misma comunidad que nunca tendrá que llegar a odiar a su hermano, pero continuad amándolo mientras realiza el servicio de la verdad.:

«No odiarás a tu hermano en tu corazón, pero corregirás abiertamente a tu prójimo, para que no te cargues con un pecado contra él" (lv 19,17).

literatura del nuevo testamento, que inevitablemente reporta estas situaciones, está lleno de indicaciones encaminadas a considerar siempre al pecador como un hermano:

«Si alguno no obedece lo que decimos en esta carta, toma nota de él y rompe relaciones, Por que estas avergonzado; Sin embargo, no lo trates como a un enemigo., pero amonestadle como a un hermano" (2tes 3, 15); "Mis hermanos, si uno de vosotros se aleja de la verdad y otro la trae de vuelta a vosotros, hágale saber que cualquiera que haga volver a un pecador de su camino de error, lo salvará de la muerte y cubrirá multitud de pecados". (GC 5, 19-20).

A pesar de la posibilidad de separación, Pensamiento final, En las palabras de Jesús persiste un espacio donde aún es posible encontrarse a uno mismo y es la oración dirigida al Padre.. De hecho, retomando el dicho rabínico «Cuando dos o tres están juntos y las palabras de la Torá resuenan entre ellos, entonces el Shekiná, la presencia de Dios, él está entre ellos" (Pirqé Abot 3,3), Jesús lo transformó poniendo su persona como centro del encuentro: «Porque ¿dónde están dos o tres reunidos en mi nombre?, ahí estoy entre ellos". A pesar de la separación, siempre será posible orar juntos por cualquier conflicto.. Pablo estigmatizará la costumbre de los corintios de recurrir a tribunales paganos para resolver disputas y riñas que surgieron entre cristianos.: «Ya es una derrota para ustedes tener discusiones entre ustedes!»8. Porque quien cree en Jesús resucitado y posee su Espíritu siempre encontrará en Él un lugar de encuentro (cf.. el verbo sunaghin – Synaghein del v. 20: reunidos en mi nombre) y en oración al Padre el acuerdo; esa 'La' que volverá a iniciar la sinfonía de la fraternidad entre los creyentes (cf.. el verbo estar de acuerdo, sunfoneo – sinfonía al v. 19).

En todos los comentarios sobre los pasajes del Evangelio dominical que hasta ahora he producido para los Lectores de La Isla de Patmos lo he mantenido como leitmotiv El tema subyacente de la fe en Jesús.. porque me parecio necesario, especialmente en la era actual de la Iglesia, No olvidemos cuán preeminente -no mayor, sino en armonía con las obras de caridad- es la fe en Cristo resucitado, que representa al verdadero cristiano "específico".. Esa fe en Jesús que abre horizontes de sentido, nos llena de visiones, se convierte en la capacidad hermenéutica del tiempo que nos toca vivir. A veces corre el riesgo de desaparecer del horizonte de la Iglesia cuando ésta piensa que es más grande que Jesús que se hace pequeño., como ese niño colocado entre los discípulos del que se habla al comienzo de la página del Evangelio de hoy. Y al final Él volverá a ponerse en el centro entre los discípulos que querrán redescubrir la armonía después de las disputas a través de la oración.. Si este centro no se pierde u oculta, tendremos la oportunidad de vivir la auténtica hermandad. Hermano (adelfos – hermano nel v. 15) de hecho, es el término con el que el Evangelio llama a cada miembro de la comunidad que es la Iglesia.: «Sois todos hermanos… porque uno solo es tu Padre" (Mt. 23, 8-9). La fraternidad es probablemente el otro cristiano 'específico' que creo que hoy necesitamos recuperar: en los sentimientos más profundos de todos, en la vida diaria, dentro de los mundos encontrados y habitados, en las relaciones e interacciones, incluso en los virtuales donde las polarizaciones se han agudizado y en las asambleas litúrgicas que son el punto de llegada y reanudación de la vida cristiana. La fraternidad fue el primer manifiesto que llamó la atención de quienes conocieron a los discípulos de Jesús y fue reconocida como su rasgo distintivo, mencionado una y otra vez en los testimonios escritos.:

«Después de haber purificado vuestras almas con la obediencia a la verdad, amaros sinceramente como hermanos, amarnos intensamente, desde el corazón, unos y otros" (1punto 1, 22); «De esto todos sabrán que sois mis discípulos, si os amáis unos a otros" (Juan 13, 35); "Somos hermanos, invocamos al mismo Dios, creemos en el mismo cristo, escuchamos el mismo evangelio, cantamos los mismos salmos, Respondemos lo mismo Amén., escuchemos el mismo Aleluya y celebremos la misma Pascua" (Agustín)9.

Feliz Domingo a todos!

de la ermita, 9 Septiembre 2023

 

NOTAS

[1] Mt 18, 4

[2] Mt, 18, 12-14

[3] 2tes, 3, 11-15

[4] 1tes 5, 14

[5] Deuteronomio 19, 15: «Un solo testigo no tendrá valor contra nadie, por cualquier culpa y por cualquier pecado; cualquier pecado que uno haya cometido, el hecho debe establecerse por la palabra de dos o tres testigos"

[6] «En el nombre de nuestro Señor Jesús, estando reunidos tú y mi espíritu junto con el poder de nuestro Señor Jesús, este individuo es entregado a Satanás para la ruina de la carne, para que el espíritu sea salvo en el día del Señor"

[7] "Hermanos, si uno es sorprendido en alguna falta, manteca, que tienes el espiritu, corregirlo con espíritu de mansedumbre. Y te cuidas a ti mismo, no sea que vosotros también seáis tentados."(Gal 6, 1)

[8] 1Cor 6, 7

[9] Agustín, En. en Ps. 54,16 (CCL 39, 668): «Somos hermanos, invocamos a un solo Dios, creemos en un solo cristo, escuchamos un evangelio, cantamos un salmo, respondemos un amén, resuene un Aleluya, celebramos una Pascua»

 

San Giovanni all'Orfento. Abruzos, Montaña Maiella, fue una ermita habitada por Pietro da Morrone, Llamada entrante 1294 a la Cátedra de Pedro a la que ascendió con el nombre de Celestino V (29 Agosto – 13 diciembre 1294).

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Los Padres de la Isla de Patmos

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Negarse a uno mismo y tomar la cruz es una exaltación del dolor.? No,

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

NEGARSE A SÍ MISMO Y TOMAR LA CRUZ ES UNA EXALTACIÓN DEL DOLOR? NO, ES CAMINO AL CAMINO, LA VERITÀ E LA VITA

«Attraverso ogni evento, cualquiera que sea su carácter no divino, pasa un camino que lleva a Dios" (Dietrich Bonhoeffer, Resistencia y rendición)

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.https://youtu.be/4fP7neCJapw

 

È iniziato il campionato di calcio que, come gli appassionati sanno, è preceduto nel periodo estivo dalla preparazione che le squadre fanno in forma ritirata per provare schemi e tattiche senza svelarsi troppo agli avversari poiché, come spesso accade, ad ogni grande manifestazione si antepone un tempo di attesa e di silenzio. In un certo qual modo è anche ciò che capitò a Gesù quando iniziò una nuova tappa della sua vita e missione. Chiese ai suoi di non rivelare chi egli fosse, anche se Pietro lo aveva appena confessato. Riporto allora il brano del Vangelo di questa ventiduesima domenica del tempo por un año, con l’aggiunta iniziale del verso 20 del capitulo 16 di Matteo che non è presente nel brano liturgico:

Masaccio, Gesù che paga il tributo, 1425 hacia, Chiesa di Santa Maria del Carmine, Florencia

«(Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.) Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: “Dio non voglia, Señor; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satán! Usted es un escándalo para mí, porque piensa que no es Dios, pero el hombre!". Allora Gesù disse ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, te niegas a ti mismo, toma su cruz y sígueme. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderá;; pero el que pierde la vida por mí, Hallaréis. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni”» (Mt 16, 20 – 27).

Gesù aveva appena chiesto, a chi evidentemente a quel punto doveva sapere molto su di lui, chi egli fosse per loro (Mt 16, 15). Di fronte alla bella confessione di Pietro sentì di poter allora spiegare (literalmente: mostrare) ai suoi qualcosa di nuovo riguardo la sua persona e il suo destino. Che si tratti di un nuovo inizio, forse anche un cambio di prospettiva e di maturata consapevolezza intervenuta in Gesù, lo testimonia il parallelismo con Mt 4, 17 che narra l’apertura del suo ministero dopo l’arresto di Giovanni: «Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire». Nel versetto iniziale del testo odierno l’evangelista adopera il verbo ‘mostrare’ (ἐπιδείκνυμι epideíknymi) che rimanda e fa da contraltare alla richiesta dei farisei di far vedere un segno della sua autorità. Il segno mostrato loro da Gesù sarà la vicenda del profeta Giona che oggi ai discepoli è decodificato:

«Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona il profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra» (Mt 12, 39-40).

Ritorna l’identificazione di Gesù con la figura del ‘Figlio dell’uomo’. Inizialmente parlavamo di nascondimento e Gesù amò celare, finché poté, la sua identità più profonda dietro questa figura celeste descritta nella letteratura biblica (Libro di Daniele, capítulo 71 e in quella apocrifa giudaica (Enoc etiopico)2 perché questo personaggio che vive nascosto, che è vicino a Dio come un’ipostasi e che ha il compito di giudicare, rappresentava per lui l’immagine più confacente al Messia, almeno come ci riporta principalmente il Vangelo più antico, quello di Marco. Nonostante le diverse stratificazioni convenute nei ricordi evangelici, pare proprio che Gesù rifuggisse letteralmente (cf.. Juan 6,15) dall’idea del Messia discendente davidico e cioè legato al potere o alla sua restaurazione. Poteva accettare che l’espressione ‘Figlio di David’ gli fosse rivolta da un cieco (MC 10,47), un povero dunque che non poteva che saper le cose se non riferite da altri o da una donna pagana come la cananea; pero jesus, identificando preferibilmente se stesso col Figlio dell’Uomo, comunicava ai discepoli che egli era quel ‘messia segreto’ e che da questo momento desiderava condurli verso la comprensione piena dei pensieri e dei voleri di Dio circa questo suo inviato. Un’impresa ardua, allora e oggi, come testimoniato dall’episodio di Pietro. Le parole iniziali del brano odierno – lo abbiamo già segnalato – legate a ciò che precede (‘da allora’Ἀπὸ τότε), e corrispondenti ad un nuovo inizio (‘cominciò’ἤρξατο) rappresentano non solo un cambio di scena nel testo ma anche per i discepoli una sorta di doccia fredda perché nel momento in cui Gesù annuncerà il suo destino di sofferenza Pietro lo respingerà come un’assurdità. Il Figlio dell’uomo che Pietro infatti conosce è figura potente e gloriosa la quale non può che essere vincitrice. La canción, nonostante lo sconcerto dell’apostolo, mostra invece quanto Gesù fosse consapevole di essere qualcosa di più del Figlio dell’Uomo di derivazione danielica o come fu rappresentato nella letteratura apocrifa, la qual cosa avrà necessità di una ulteriore rivelazione, sconcertante per la sua grandezza, que, per questa stessa ragione, sarebbe difficile da credere e accettare se fosse venuta da lui. Sarà quindi la voce stessa di Dio sul Tabor, alla Trasfigurazione, a fare tale rivelazione:

"Este es mi Hijo, el amado: in lui ho posto il mio compiacimento. escuchar a él " (Mt 17,5).

I tre discepoli che udranno questa rivelazione sapranno che ormai Gesù, del quale avevano qualche cognizione, è Figlio di Dio. È quel ‘nascosto’ nel mistero di Dio, destinato a rivelarsi.

Per poter comprendere la densità del testo proclamato in questa domenica partirei dall’affermazione sorprendente che Gesù rivolse al suo discepolo migliore, Pedro:

«Va’ dietro a me, Satán! Usted es un escándalo para mí, porque piensa que no es Dios, pero el hombre!».

A mio avviso ci aiuta ad allontanare un paio di tentazioni perniciose. La prima è quella di accontentarci di alleggerire la nostra coscienza, ribaltando su altri quelle che sono debolezze insite nella umana natura, dunque anche nostre, dimenticando di guardare più in profondità. Magari anche solo gettare uno sguardo al dramma in scena se proprio non ci riesce quello mosso da una fede capace di penetrare il mistero più grande che la scrittura ogni volta ci propone. Così faremo con Giuda nel tempo della passione ed ora con Pietro che strattona Gesù (‘Lo trasse con sé’καὶ προσλαβόμενος αὐτὸν)3. È vero che Pietro fece quel gesto e disse quelle parole («Dio non voglia, Señor; questo non ti accadrà mai»), ma la risposta che diede Gesù, la risposta di uno che ha piena consapevolezza di chi fosse e profonda conoscenza di dove venisse e di chi lo aveva mandato, non sembra neanche rivolta a Pietro, piuttosto a colui che fin dall’inizio lo aveva ostacolato tentandolo (cf.. Mt 4). Il Signore avvertì, nelle parole dell’apostolo, l’ultimo tentativo dell’avversario di bloccare la sua missione. Se Egli non smise mai di pazientare e usare comprensione verso i suoi discepoli, anche quando li rimproverava, sapeva bene d’altro canto contro chi aveva a che fare e davvero poneva inciampo alla sua missione. Anche se a prima vista Gesù non lesina parole dure a Pietro: il beneficiario della rivelazione del Padre ora è apostrofato come ‘satana’, il destinatario della beatitudine è ora motivo di scandalo, la roccia è ora pietra d’inciampo. In Pietro queste dimensioni contraddittorie convivono, come convivono in ogni credente possibilità di fede e di non-fede, di comprensione e di ignoranza, di fedeltà e di abbandono, di umiltà e di supponenza. In particolare di fede e di sufficienza, di adesione al Signore e di presunzione di sé.

L’altra tentazione, forse anche peggiore, è quella di togliere valore all’incarnazione del Figlio di Dio, come se sulle parole di Gesù circa il suo destino pendesse una divina necessità o a un fato ineluttabile, come se la volontà divina fosse una sovrascrittura della sua esperienza umana con l’intento di far soffrire e morire Gesù perché espiasse i peccati come una vittima o un sacrificio. Una conseguenza pur vera che andrebbe però letta bene, mentre invece spopola di frequente fra i credenti che prediligono una religiosità devozionale e sentimentale, con poca voglia di confrontarsi col mondo.

Nelle parole di Gesù cogliamo, en cambio, tutta la freschezza di un’esperienza umana autentica e la scoperta di una vocazione che corrisponde a quel ‘pensare secondo Dio’ che Pietro ancora non aveva. Nell’annuncio nuovo che Gesù da e che risuonerà altre due volte (Mt 17, 22-23; 20, 17-19) mentre camminerà verso Gerusalemme, la città che «uccide i profeti» (Mt 23, 37), Egli comunica ai suoi la passione per il mondo che è la stessa di Dio: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, porque cualquiera que cree en él no está perdido, pero ten vida eterna "4. Gesù sa bene di aver sollecitato ostilità con le sue parole e con le azioni e per questo forse si era anche attardato nella parte nord del paese, ma era giunto il momento di non rimandare l’incontro con quei poteri che possono togliere la vita con violenza: una circostanza che chi pregava con i salmi e leggeva i profeti conosceva bene. Questa è la vocazione di Gesù che riconosce come una necessità – «doveva (ὅτι δεῖ) andare a Gerusalemme e soffrire molto» (Mt 16,21) – e che accoglie con la libertà di chi pensa secondo Dio.

Dobbiamo essere grati al gesto di Pietro che ha permesso di ricordare un detto sulla sequela del discepolo che risente della tensione escatologica che animava la predicazione di Gesù, per cui nulla è rimandabile poiché il tempo si è fatto breve e questo è il momento della decisione.

«Se qualcuno vuole venire dietro a me, te niegas a ti mismo, toma su cruz y sígueme. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderá;; pero el que pierde la vida por mí, Hallaréis. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita5

Pietro è stato appena rimandato indietro da Gesù, nella posizione del discepolo che segue il maestro. E se prima era stata annunciata la passione del Messia, ora viene comunicata da Gesù quella del discepolo. Queste espressioni dal tenore semitico (perdere la vita – trovare la vita; guadagnare – trovare) prese da un contesto legale, per cui in un tribunale si può addirittura scegliere di non difendere se stessi (rinnegare se stessi – prendere il patibulum) come pure farà Gesù, sono il modo in cui i Vangeli ci offrono le rappresentazioni della vicenda umana di Gesù che convergono nel riconoscere nella fede escatologica il loro tratto distintivo. Una fede concretamente vissuta come conflitto ultimo e perciò mortale con il Satana, a cui è stata rimessa la potenza e la gloria di tutti i regni dell’ecumene, secondo il passo illuminante della seconda tentazione nella versione di Luca6. Una fede che si traduce in gesti e parole dai quali traspare con tutta la chiarezza desiderabile il rapporto vissuto da Gesù nei riguardi del mondo, vale a dire in concreto con la società di appartenenza: familia, classi sociali, poteri costituiti, rapporti di forza tra individui, ceti e generi, espressioni cultuali e culturali. Tutto questo universo di relazioni è come visto dal di fuori, e non certo perché egli fosse mosso da uno specifico intento di denuncia del giudaismo in vista della costruzione di una superiore forma di vita religiosa, ma perché in concreto il mondo gli si offriva nella fattispecie del giudaismo del suo tempo. Ciò che si oppone alla sua esigenza sono gli uomini e le istituzioni ebraiche nella misura in cui consapevolmente o meno si riconoscevano nel mondo.

Non sorprende pertanto che questo stesso atteggiamento sia richiesto da Gesù ai seguaci, con tutte le rotture che esso comporta e perciò anche i rischi; ciò che viene implicitamente chiesto è un atto di coraggio morale e, si necesario, anche fisico: «Chi avrà perduto la sua vita per causa mia la troverà» (Mt 10, 39). Coraggio di una qualità speciale che si coniuga anche con la compassione:

«Non spezzerà una canna già incrinata, non spegnerà una fiamma smorta, finché non abbia fatto trionfare la giustizia» (Mt 12, 20).

perché coraggio e compassione sono in Gesù aspetti inseparabili della stessa figura. In questo senso l’invito rivolto al seguace a ‘rinnegare sé stesso’ non aveva nulla di arbitrario né di contrario al rispetto verso se stessi. Va compreso come un modo, duro quanto si vuole, per rendere consapevole il discepolo della gravità della rottura che Gesù compiva: non si trattava di seguire un riformatore religioso né un maestro di sapienza, ma di riconoscere nella condizione mondana che ‘guadagnare la vita’ autentica corrispondeva all’accettare le conseguenze radicali della sua predicazione.

Nelle parole di Gesù è alla fine prefigurata anche la risurrezione, dopo la sofferenza e la morte. Il destino del Messia sconfitto7, che sarà chiaro e riconosciuto nella fede solamente dopo che questi avrà ripreso la vita, diventerà allora parte del cuore dell’annuncio cristiano, come testimoniano queste parole dell’apostolo Paolo:

«Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio» (1Cor 1, 22-24).

E finalmente il mistero di Gesù crocifisso e risorto sarà riconosciuto dai discepoli come il vero segno di Dio, perché il ‘pensare secondo Dio’ comportava la Pasqua di Gesù. Egli sarà visto allora come la parola concentrata (verbum abbreviatum), poiché Dio ha pronunciato una sola parola, quando ha parlato nel suo FiglioSemel locutus est Deus, Cuándo locutus in Filio est»”8) e quella parola era l’amore che lui ha rivelato:

«Antes de la fiesta de Pascua, Gesù, sabiendo que su tiempo había llegado a pasar de este mundo al Padre, habiendo amado a los suyos que estaban en el mundo, li amò fino alla fine» (Gv13,1).

Dall’Eremo, 3 septiembre 2023

 

NOTAS

[1] «Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno,
che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (Dan 7, 13-14)

[2] Chialà S., Libro delle Parabole di Enoc, Paideia, 1997

[3] Mt 16, 22

[4] Juan 3, 16

[5] Mt 16, 24, 26

[6] «Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: “Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Por lo tanto, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo» (Lc 4, 5-7).

[7] Dianich S., Il Messia sconfitto, l’enigma della morte di Gesù, Cittadella, 1997

[8] San Ambrosio, cf.. Henri De Lubac, Esegesi medievale, vol. III, Milano, Reserva Jaca, 1996, pags.. 261-262

 

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Los Padres de la Isla de Patmos

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Pedro y sus debilidades: del «si eres» al «tú eres el Cristo», el hijo del Dios vivo"

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

PEDRO Y SU FRAGILIDAD: DEL «SI ERES» AL «TÚ ERES EL CRISTO», IL FIGLIO DEL DIO VIVENTE»

“Chi crede non s’imbatterà mai in un miracolo. No puedes ver las estrellas durante el día". “El que hace un milagro dice: No puedo desprenderme de la tierra". (Franz Kafka)

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Abbiamo visto tante volte nei legal thriller americani, che si svolgono per la maggior parte delle scene in un tribunale, gli avvocati incalzare i testimoni saliti sul loro scranno, con domande dirette che richiedevano come risposta solamente un sì o un no. Sono le domande che la scienza della comunicazione identifica come chiuse. Di altro genere sono quelle aperte, che rendono possibile, en cambio, una risposta ragionata e articolata, anche se breve. Sono quelle domande che gli psicologi, por ejemplo,, prediligono perché favoriscono la relazione e un clima positivo fra gli interlocutori.

Il PeruginoConsegna delle chiavi a San Pietro, especial – 1481-1482 – affresco – Capilla Sixtina, Vaticano

Nella pagina evangelica di questa ventunesima domenica del tempo ordinario Gesù rivolse ai suoi discepoli due domande del secondo tipo, cioè aperte. Il testo evangelico è il seguente:

"En ese momento, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: “La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?". Risposero: “Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti”. El les dijo: “Ma voi, quien dices que soy?". Rispose Simon Pietro: “Tú eres el Cristo, el Hijo del Dios viviente". Y Jesús le dijo:: “Beato sei tu, simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. Yo te daré las llaves del reino de los cielos: todo lo que ates en la tierra quedará atado en el cielo, y todo lo que derritáis en la tierra se derretirá en el cielo”. Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo». (Mt 16, 13-20)

Questa scena che comunemente viene definita della confessione di Pietro si svolge all’estremo nord di Israele, dove Gesù si trovava dopo esser passato da Genesaret (Mt 14, 34), quindi dalle parti di Tiro e Sidone (Mt 15, 21), poi lungo il Mare di Galilea (Mt 15, 29) e nella regione di Magadan (Mt 15, 39). Siamo alle pendici del Monte Hermon dove nasce il Giordano, dalle parti di Cesarea di Filippo, città che nel nome rimanda alla potenza di Roma perché fu edificata dal tetrarca Filippo, figlio di Erode, in onore dell’imperatore. Sia spiritualmente che geograficamente siamo dunque molto distanti dalla città santa di Gerusalemme, praticamente all’estremo opposto, ed è qui che avviene la confessione messianica di Pietro. Dopo di che il cammino di Gesù si allontanerà da questi territori, dove fino ad ora si era attardato, per dirigersi proprio verso Gerusalemme: «Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme» (Mt 16, 21).

Presso la città che in antico portava il nome del dio Pan (Panea)[1] e ora quello di Cesare Gesù interroga i suoi discepoli, dapprima in forma indiretta e poi direttamente con parole che non lasciano spazio alla divagazione perché richiedono una risposta che coinvolge gli interpellati. Un non lasciare scampo espresso anche dall’avversativa: «Ma voi, quien dices que soy?».

Ai nostri giorni vanno molto di moda i sondaggi, corredi indispensabili dei politici e delle loro coalizioni, come pure gli exit poll che presto permettono di capire chi abbia vinto una competizione elettorale oppure le indagini di mercato lanciate prima che un certo prodotto venga messo in circolazione, per sapere se sarà gradito agli acquirenti. Di certo non era di questo tipo e tenore la ricerca che Gesù invocava con la prima domanda, eppure anche lui volle sondare quale opinione le persone potessero avere di lui. Se nella prima domanda la questione è volta a sapere cosa si dicesse intorno al «Figlio dell’uomo», probabilmente il titolo messianico più importante in quel momento ( cf.. Mt 9, 6; Mt 10, 23; Mt. 24, 27-30 etc ..), nella seconda Gesù, passando in modo diretto all’io, pose i discepoli davanti ad una risposta personale, difícil, forse anche dolorosa. Voi che avete vissuto con me, che avete camminato fin qui insieme a me, che avete ascoltato ciò che ho detto, che avete visto ciò che ho fatto, che avete assistito agli scontri e agli incontri di cui siete stati testimoni. Manteca, chi dite chi io sia? Non è tanto la richiesta in sé, che è più che legittima, quanto il fatto che Gesù, in questo modo di porsi, diventi Egli stesso domanda sia per i discepoli a cui si rivolge che per gli immediati lettori del Vangelo. Alguien[2] ha raccolto tutte le domande che Gesù pose nei Vangeli, pare siano duecentodiciassette (217)[3]. Ma questa qui, che troviamo nel brano di questa domenica, è la domanda che raggiunge tutti: creyentes y no creyentes. I secondi perché, se onesti e pensosi, non possono non subire il fascino e l’inquietudine della figura di Gesù. I primi, creyentes, perché sanno che questa è la domanda che risuona ogni giorno e li scuote nell’intimo, poiché non si tratta di accettare un’opinione o di aderire ad un’idea per quanto nobile, ma riguarda Gesù stesso, la sua persona e il suo mistero. Gesù è la domanda. Non é eludibile e neppure facile. Se infatti alla prima domanda la risposta fu corale: «Ed essi dissero “οἱ δὲ εἶπαν“»; alla seconda rispose il solo Pietro. Perché è una richiesta dirimente che vaglia il vero discepolo togliendolo dal rischio di restare muto.

Tornando alla prima domanda, Gesù chiese le opinioni circolanti che riguardavano il «Figlio dell’uomo», un’espressione oscura per noi ma chiara per i suoi ascoltatori, infatti con essa Gesù preferiva identificare sé stesso: un personaggio messianico che «è una persona, non una collettività; ha natura divina, esiste prima del tempo e vive tuttora; conosce tutti i segreti della Legge e perciò ha il compito di celebrare il Grande Giudizio alla fine dei tempi»[4]. Tutte le risposte dei discepoli su cosa si pensasse del «Figlio dell’uomo» avranno in comune un tratto profetico. Innanzitutto lo eguagliano a Giovanni il Battista che Gesù stesso aveva definito come «più di un profeta» (Mt 11,9) e precursore del Messia (Mt 11,10). Secondo Matteo la folla stessa considerava Giovanni un profeta (Mt 14,5) e identificandolo ora con Gesù doveva pensarlo per forza risorto. Questa era anche l’opinione di Erode che pure lo aveva messo a morte: «Costui è Giovanni il Battista. È risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi» (Mt 14,2).

Per quanto riguarda la correlazione del «Figlio dell’uomo» con Elia, en cambio, bisogna ricordare che la tradizione biblica considerava questi come un precursore del Messia (cf.. Mal 3,23; señor 48,10), mentre Gesù lo aveva identificato con Giovanni Battista (Mt 17, 10-13). Invece accostare Gesù, Figlio dell’uomo, a Geremia è proprio di Matteo, probabilmente perché come Gesù l’antico profeta pronunciò parole contro il tempio (cf.. ger 7) e come lui ebbe a soffrire da parte della casta dei sacerdoti e nella città di Gerusalemme. Una prefigurazione, así pues, di quello che sarebbe successo allo stesso Gesù. Por fin, dicono i discepoli, altri pensano a lui come a un profeta, uno fra molti. È a questo punto che Gesù, forse insoddisfatto o desideroso di portare il dialogo a un livello superiore, più personale e coinvolgente, rivolse loro una domanda diretta: «Ma voi, quien dices que soy?». Stavolta rispose il solo Pietro: "Tu eres el Cristo, el Hijo del Dios viviente ".

Nella risposta dell’apostolo abbiamo la ripresa della dichiarazione fatta a Gesù sulla barca: «Davvero tu sei Figlio di Dio» (Mt 14,33) premessa dalla confessione messianica «Tu sei il Cristo», con l’aggiunta di un aggettivo riferito a Dio che rimanda alla consapevolezza espressa nell’Antico Testamento che il Dio di Israele fosse appunto «vivente»: E avverrà che invece di dire loro: «Voi non siete popolo mio», si dirà loro: «Siete figli del Dio vivente» (cf.. Tú 2,1)[5].

Siamo di fronte ad un titolo cristiano di grande importanza che compone insieme sia la messianicità di Gesù che la sua divinità, poiché egli procede da Dio e per mezzo di Lui viene rivelata e comunicata la vita stessa del Padre. Come dirà Giovanni, Gesù è la via della verità e della vita (Ver Juan 16, 6). Sono affermazioni che la teologia si compiacerà di esplorare, ma che la Bibbia semplicemente afferma come verità solida e tranquilla. Questo grazie all’evoluzione dell’apostolo Pietro passato dal titubante «se sei tu» proferito mentre stava per affondare[6] alla odierna chiara confessione di fede in Gesù. Un passaggio avvenuto non per merito, ma per grazia come afferma la successiva beatitudine che Gesù rivolse a Pietro la quale rimanda ad un altro detto evangelico che abbiamo già incontrato: "Yo elogio, Padre, Señor del cielo y de la tierra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli»[7]. Sappiamo da altre circostanze che Pietro fu un uomo di umanissime fragilità e debolezze, ciò non impedì al Signore di vederlo come un “piccolo” e beneficiarlo di una particolare rivelazione e di un importante compito. Lo attestano le parole di Gesù che scelgono il patronimico «Simone, figlio di Jona» e il semitismo «carne e sangue»: è perciò dentro la storia personale e generazionale di Pietro che scende la grazia divina. E si noti che, se in Marco e in Luca, Pietro espresse la fede dell’intero gruppo dei discepoli (cf.. MC 8,29; Lc 9,20), qui in Matteo invece parlò a nome proprio e per questo la risposta di Gesù è rivolta a lui solo: «Beato sei tu, simone, figlio di Jonà, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli».

Questa affermazione sta alla base della successiva rivelazione di Gesù sulla Chiesa perché anch’essa nascerà dalla grazia e dal dono di Dio. Simone che quasi sasso stava per raggiungere il fondale del lago se non fosse stato afferrato, diventerà nelle parole di Gesù la «pietra» sulla quale poggerà la Chiesa, che però sarà costruita dal Signore e sarà sua (οἰκοδομήσω μου τὴν ἐκκλησίανOikodomeso mu ten ekkelsìan). Eppure nonostante l’importante collocazione dell’apostolo come pietra alla base, l’ultima menzione di Pietro, nel Vangelo di Matteo, lo mostrerà in lacrime dopo il triplice rinnegamento (Mt 26, 75) e neanche sarà menzionato nei racconti della risurrezione. Questo aspetto di Pietro che la tradizione sinottica non si esime dal ricordare non impedirà a Gesù di conferirgli importanti poteri. Come afferma Paolo nella odierna seconda lettura il Signore conosce ciò che sta nel profondo e non prende consiglio da alcuno: «Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie[8]. Il potere delle chiavi del Regno rimanda alle parole del profeta Isaia ricordate nella prima lettura di questa domenica: «Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire»[9]. Sono un segno di autorità concesso dal Signore ― le chiavi, de hecho, sono sue ― del quale non ci si può approfittare come i ‘dottori della Legge’ che avevano distorto il loro uso metaforico impedendo ai più l’accesso alla conoscenza della parola di Dio o interpretandola a proprio favore (cf.. Lc 11, 52)[10]. Il compito di Pietro e degli apostoli con lui dovrà essere ormai quello che Gesù consegnerà loro alla fine del Vangelo: «Andate e fate discepoli tutti i popoli … insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19).

In questo passo, como se lee, appare la parola Chiesa, che ritornerà solo un’altra volta in tutti i Vangeli, ancora in Matteo (cf. Mt 18,17). Il termine Chiesa ― ekklesía ― identificava l’assemblea dei chiamati-da (ek-kletoí): questo infatti fu il nome dato dagli elleno-cristiani alle loro comunità, anche per differenziarsi dalla sinagoga (assemblea) degli ebrei non cristiani. Come l’antica ekklesia dei greci aveva i propri organi, le proprie leggi e le delibere così anche Pietro per guidare l’ekklesìa cristiana sarà dotato del potere delle chiavi al quale si accompagnerà quello di sciogliere e legare, ovvero di proibire o permettere in campo disciplinare e dottrinale. E diventerà in particolare, nello spazio ecclesiale, l’autorità di rimettere i peccati, vero potere che narra la potenza della resurrezione.

La forza del Cristo risorto viene accordata ora anche alla Chiesa, costruzione operata da lui stesso. La risurrezione è il momento dirimente che permette ai discepoli di ricordare e riprendere le parole di Gesù e finalmente comprenderle. Da quel momento in poi la Chiesa poggiata e fondata sulla sua resurrezione, prolungherà la vita e la salvezza di Gesù che, risorto dai morti, donerà speranza a tutti gli uomini. L’apertura al dono di Dio consentirà alla Chiesa di contrastare l’azione delle forze del male, facendo spazio alla potenza di Cristo mediante la fede. La Chiesa vive della promessa di Cristo.

Finalmente è necessario ricordare che questa meditazione sulla Chiesa e sul ruolo di Pietro che il vangelo ha innescato, probabilmente sarà risultata un po’ pesante vuoi perché il periodo estivo che stiamo attraversando richiederebbe con ogni probabilità argomenti più leggeri, vuoi perché essendo temi non facili sembrano riguardare solo la configurazione della Chiesa e i suoi poteri. Infatti non si può tralasciare di dire che sulla confessione di Pietro e sulle conseguenti parole di Gesù circa il suo ruolo e quello dei suoi successori, le varie comunità cristiane si sono divise. Una cosa pensano i cattolici diversamente dagli ortodossi e un’altra ancora le varie chiese riformate.

Come scrivevo all’inizio le domande aperte, tipo queste poste da Gesù, permettono un clima positivo fra i dialoganti e la relazione. Perché Gesù invece di rivelare semplicemente chi fosse e sarebbe stata la via più semplice, ha preferito farsi domanda? Probabilmente perché desiderava allora e tuttora questa relazione. È sarà in base alla risposta che sapremo dare che si determinerà la fede come esperienza vitale, perché ognuno di noi crederà solo al Cristo che sente proprio, quello il cui volto ha riconosciuto vero per sé. Pur nella sua assolutezza divina, Gesù vuole restare relativo alle vite delle singole persone e in nome di quella relazione continua a chiederci di essere noi a dire chi sia, a prescindere dalle parole altrui.

Nella prospettiva di Matteo che ha ricordato l’episodio di Cesarea e ne ha scritto, l’intenzione fu quella di far comprendere quale grande dono fosse la fede in Gesù ormai risorto e vivente, Hijo de Dios. E come da questo dono che illumina e da speranza all’esistenza ne scaturiscano a cascata molti altri. Il primo è che i discepoli di Gesù non sono monadi, ma una comunità, una ekklesia cabe notar, luogo spirituale ma anche vitale e concreto dove è possibile far crescere e maturare gli altri doni che ormai provengono dallo Spirito, en beneficio de todos. Pietro svolge in questa comunità un ruolo importante che non si è scelto e per questo lo ringraziamo in ogni suo rappresentante. Mi viene in mente che gli ultimi suoi successori che abbiamo conosciuto, Giovanni Paolo che è santo, Benedetto e Francesco, al di là delle evidenti personali differenze, a un certo punto della loro vita si sono trovati nella condizione di dover palesare a tutti la loro infermità nel corpo: quasi una parabola o una icona di quella fragilità e debolezza che fu del primo, de pietro.

E concludo ricordando che nella tradizione del quarto Vangelo Pietro sarà quello che non capisce[11], sarà colui che arriverà per secondo al sepolcro[12]. Sarà colui che avrà bisogno che un altro gli dica: «È il Signore»[13], perché non se ne era accorto. Ma è anche quello che prima degli altri coprirà la sua nudità e si metterà a nuotare finché non giungerà a riva da Gesù. Forse ha bisogno di scusarsi, di recuperare. Gesù per tre volte gli domanderà se lo amava e lui comprendendo si addolorò. «Più di costoro?» (Juan 21,15) gli chiese Gesù e lui capì. Comprese che il suo peculiare servizio sarebbe stato quello dell’amore e di confermare i fratelli nella relazione con Gesù, cioè nella fede. Allora riprenderà il cammino con gli altri dietro, perché sarà a lui che Gesù dirà: «Tu seguimi»[14].

Feliz Domingo a todos!

de la ermita, 27 Agosto 2023

 

NOTAS

[1] Polibio, Storie, Libro 16, sección 18, Rizzoli, 2002.

[2] Monti L., Le domande di Gestu, San Pablo, 2019.

[3] op cit. pág.. 251-262: Ai discepoli (111), agli uomini religiosi (51), alla folla (20), a persone malate (9), a otros (25), a Dio (1).

[4] Sacchi P., Gesù Figlio dell’uomo, Morcelliana, 2023; l’autore rilegge la figura del figlio dell’uomo in Marco alla luce del libro apocrifo Libro delle parabole, secondo libro della raccolta di Enoc etiopico (IH).

[5] «Sub, de hecho, tra tutti i mortali ha udito come noi la voce del Dio vivente parlare dal fuoco ed è rimasto vivo» (Deuteronomio 5, 26).

[6] Mt 14, 30.

[7] Mt 11, 25.

[8] ROM 11, 33.

[9] Es 22, 22.

[10] «Ay de ti, doctores de la Ley, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito».

[11] Juan 20, 9 «Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti».

[12] Juan 20, 6 «Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là».

[13] Juan 21, 7.

[14] Juan 21, 22.

San Giovanni all'Orfento. Abruzos, Montaña Maiella, fue una ermita habitada por Pietro da Morrone, Llamada entrante 1294 a la Cátedra de Pedro a la que ascendió con el nombre de Celestino V (29 Agosto – 13 diciembre 1294).

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Los Padres de la Isla de Patmos

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La gran disputa de la samaritana junto al pozo de agua con Jesús

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

LA GRAN DISPUTA DE LA MUJER SAMARITANA EN EL POZO DE AGUA CON JESÚS

«El juego sabe elevarse a cotas de belleza y santidad que la seriedad no suma» (La . huizinga, hombre jugando)

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Cuando era pequeño, hace siglos, jugamos un juego llamado captura la bandera. Dos contendientes, Una vez llamado por aquellos que sostenían una bandera colgando entre sus dedos., generalmente un pañuelo o tela, corrieron hacia él y tuvieron que quitarle la bandera sin que los demás los tocasen. Ahora, entre las reglas, estaba el que podías cruzar la línea media con las manos para poder tocar rápidamente la otra, Podrías mirarlo con la mirada y provocarlo con fintas., pero nunca jamás se podía cruzar la línea mediana con los pies, que servía de frontera entre los dos equipos., bajo pena de pérdida de punto y desaprobación general.

Quién sabe por qué volvió a mí este viejo juego. del campamento de verano tener que comentar en la página del evangelio de hoy domingo. Tal vez porque estamos hablando de quién, contraviniendo reglas y oportunidades, cruzó fronteras. Y luego juguemos; Aquí está la página evangélica..

"En ese momento, dejado allí, Jesús se retiró hacia la zona de Tiro y Sidòne. Y he aquí una mujer cananea, quien vino de esa región, comenzó a gritar: "Ten piedad de mi, Señor, hijo de David! Mi hija está muy atormentada por un demonio". Pero él ni siquiera le dijo una palabra.. Entonces sus discípulos se acercaron a él y le imploraron: “Oírlo, porque viene detrás de nosotros gritando!”. Respondió: “No fui enviado sino a las ovejas descarriadas de la casa de Israel.”. Pero ella se acercó y se postró ante él., diciendo: “Señor, ayúdame!”. y el respondio: “No es bueno tomar el pan de los niños y echárselo a los perros.”. “Es verdad, Señor” - dijo la mujer -, “Sin embargo, los perritos comen las migajas que caen de la mesa de sus amos.”. Entonces Jesús le respondió: “donna, grande es tu fe! Que suceda para ti como deseas”. Y desde aquel instante su hija quedó sana”. [Mt 15, 21-28].

Toda la perícopa es un espléndido juego de piezas.. Mateo escribe que Jesús partió de un lugar, en griego tenemos «salió de allí». De dónde y de qué se alejó? Desde la ciudad de Genesaret, donde había tenido un animado enfrentamiento con los fariseos y su retorcida e interesada interpretación de la Ley Mosaica.. Pero también tuvo que lidiar con la incomprensión de sus propios discípulos.. De los primeros dirá: "Déjalos en paz! Son líderes ciegos de los ciegos y. Y cuando el ciego guía al ciego, ambos caerán en una zanja!» A los segundos afirmará desconsoladamente: «Ni siquiera tú eres capaz de entender todavía?» [Mt. 15,14].

Fuera de esta situación geográfica y dialógica se dirigió hacia una zona fronteriza, alrededor de las ciudades de Tiro y Sidón. El Evangelio no dice que cruzó la frontera hacia tierras calizas fenicias., por lo tanto pagano, pero que se dirigió hacia ello. En cambio, es una mujer que cruzó la frontera (en griego tenemos el mismo aoristo usado para Jesús que "salió" de Genesaret) para acercarse a Él con una petición.. Esto es importante porque en el pasaje del Evangelio Mateo pone la frase en boca de Jesús: "No fui enviado sino a las ovejas descarriadas de la casa de Israel", mientras que en otros lugares había dicho a sus discípulos enviándolos en misión: «No vayáis entre los paganos ni entréis en las ciudades de los samaritanos».; id más bien a las ovejas descarriadas de la casa de Israel" [Mt 10,5-6]. Mateo se cuida de precisar que Jesús no está en territorio pagano, pero todavía en la tierra de Israel y se encuentra con esta mujer que, ella si, ha cruzado las fronteras de su territorio de origen. Todo ello contribuye a preparar una historia en la que Jesús parece guiado por un sentido de pertenencia judío muy riguroso., incluso sin concesiones.

¿Quién es esta mujer que llora detrás de Jesús?? Mateo la llama cananea. Describe aquí el complejo acontecimiento histórico, El trasfondo social y religioso de los territorios y pueblos que se refieren a Canaán está más allá del alcance de este comentario.. Baste decir que la mención del cananeo sirve al evangelista para expresar la distancia entre esta mujer y Jesús., haciendo en un segundo revivir la antigua enemistad entre Israel y las poblaciones cananeas. Con una simple anotación, Matteo nos hace sentir el peso de una historia y una tradición que encapsula a los dos personajes dentro de estrechos límites.. Tengamos en cuenta también el relato de Marco sobre el mismo episodio., donde se complace en ofrecer más detalles: «Esta mujer era de lengua griega y de origen sirofenicio» [MC 7, 26]. Estas dos especificaciones de Marcos multiplican los elementos de diversidad de la mujer y hacen particularmente intrigante el encuentro entre Jesús galileo y esta mujer.. Además de la diferencia de género y el hecho de ser extranjero, tal vez debería tenerse en cuenta una diferencia en el estatus socioeconómico. Según Theissen[1] la mujer pertenece a la clase alta y adinerada de griegos urbanizados que vivían en la zona fronteriza de Tiro y Galilea con la que estaban en conflicto los campesinos judíos pobres, cuyo trabajo agrícola también servía para sustentar a los habitantes de la ciudad.[2]. El editorial marciano sugiere que quizás incluso debería tenerse en cuenta una distancia moral: el término sirofenicio tenido, en sátira latina, el valor de una persona de mala reputación[3]. Y finalmente, o primero que nada, Marco destaca la diferencia lingüística: "Él hablaba griego". Ellenís (Griego) indica pertenencia lingüístico-cultural, mientras sirophoiníkissa designa el linaje y la religiosidad pagana. ellos hablan entre ellos: en que idioma? ¿Quién habla el idioma del otro?? Jesús habla griego? O la mujer habla arameo? De todos modos, debe haber habido un ajuste mutuo al idioma de cada uno, el esfuerzo de salir de la lengua materna para expresarse en la lengua accesible al otro. Todos estos detalles, algunos reales, otros probables, sirven para describir todo lo que separó a la mujer de Jesús, su alteridad, diríamos hoy, comparado con el nazareno, incluso en la posibilidad de entendernos a través de un lenguaje. Sin embargo, esta mujer utilizará un código que Jesús conocía bien y con el que se ha encontrado muchas veces., el de la necesidad, hacia quien el Señor sintió una profunda compasión. Pero aquí todo se presenta de una manera muy original e interesante incluso para nosotros que escuchamos hoy este Evangelio..

La mujer pone en conocimiento de Jesús la situación de su hija enferma, lo hace gritando. Más adelante en el Evangelio será un padre quien le hablará sinceramente a Jesús acerca de su hijo que sufre mucho.[4]. Ambos piden al Señor "Ten piedad" (Ten piedad de mi). Una expresión que encontramos en los Salmos y en Mateo en labios de dos ciegos [cf.. Mt 9, 27] y otros dos ciegos [Mt 20, 30-31] ambas escenas, de la madre cananea y del padre antes mencionado, transmiten una emoción y un patetismo especiales ya que son niños enfermos; De esta manera, los lectores también se ponen espontáneamente del lado de quienes realizan una petición urgente de ayuda y comprenden su insistencia que raya en la molestia..

En la redacción de Mateo, que difiere de la de San Marcos, Se describe un largo proceso que hace palpable la escena., como si estuviéramos dentro. Al principio Jesús se encierra en un silencio duro y testarudo. [cf.. Mt 15,23], luego de una seca respuesta a los discípulos desde el tenor teológico: "Sólo fui enviado a las ovejas dispersas de la casa de Israel" [cf.. Mt 15,24], finalmente dirige una dura respuesta a la mujer personalmente [cf.. Mt 15,26], quien también se había dirigido a él con títulos mesiánicos: "Ten piedad de mi, Señor, hijo de david".

Así la mujer recibe un "no" tres veces por Jesús, a pesar de la solicitud de los discípulos que querían deshacerse de la molestia: " Oírlo, porque viene detrás de nosotros gritando!». De esta manera se enciende el party game., subir de nivel, eclesial y teologico. Realmente, como dijo gregorio el grande, el Evangelio "mientras narra el texto se revela el misterio» – «mientras propone el texto, revela el misterio» y nuevamente «se eleva de la historia al misterio» - "De la historia se eleva al misterio"[5].

La respuesta de Jesús a los discípulos Describe los límites dentro de los cuales se encuentra su misión., Sugiriendo que la decisión viene desde arriba., por Dios. La obra salvífica y mesiánica que en la tradición bíblica se define como "la reunión de los desaparecidos"[6] [cf.. Es 27, 12-13] respecto, en la intención y en las palabras de Jesús sólo Israel: "No fui enviado sino a las ovejas descarriadas de la casa de Israel". Una respuesta teológica que aparece como un freno y un obstáculo insalvable, porque implica el mandato mesiánico que Jesús acepta de Dios y lo hace suyo hasta las consecuencias más extremas. Pero la mujer que anteriormente ya había cruzado una línea, el geográfico, movida por la necesidad y el dolor por la hija que había dado a luz con el cuerpo de su madre, Ahora cierra el paso a Jesús poniendo su propio cuerpo como límite.: «Pero ella se acercó y se postró ante él., diciendo: "Hombre, ayúdame!». La solución que nos abre al misterio, Como dije anteriormente, es en las propias palabras de Jesús que a primera vista parecen duros e insensibles: "No es bueno coger el pan de los niños y echárselo a los perros domésticos" [Mt 15,26]. En la época de Jesús la separación entre “niños” y “perros” era la distinción que separaba a los miembros del pueblo de Israel de los gentiles.. Entonces algo comienza a delinearse y entenderse.. La brecha entre Israel y los paganos era enorme en muchos aspectos y parecía insalvable.. Y fue también el primer gran problema de la Iglesia primitiva resuelto en Jerusalén. [cf.. Hc 15] si no después de los conflictos, diferentes puntos de vista y enfrentamientos entre los cuales el más llamativo estalló entre Pablo y Pedro: "Ma quando Cefa venne anuncio Antiochia, Yo le resistí cara a cara, porque era malo " [cf.. Gal 2, 11]. Y Mateo tiene entre sus lectores discípulos que ya provienen tanto del judaísmo como del paganismo..

Jesús con sus palabras sugiere que existe un plan de salvación que no puede ser distorsionado, pero surge una nueva situación que no se puede evitar, porque el cuerpo de la mujer extranjera, cananea, de la lengua griega está ahí delante y es ineludible, como el hecho de que los paganos en el período pascual fueran bautizados y creyeran en Jesús resucitado. Ahora bien, es precisamente Jesús quien define a los paganos., como israelita, como «kynaria – kynaria», o perros domésticos, Perros no tan callejeros que van por todos lados., incluso comer las cosas impuras prohibidas. Son los que viven en la misma casa que los hijos que son los herederos.. Marcos en su evangelio hace decir a Jesús: «Que los niños estén satisfechos primero, porque no es bueno tomar el pan de los hijos y echárselo a los perros" [MC 7, 27]. Hay una primera que hay que respetar., hay una voluntad divina expresada por el "no es bueno", pero los perritos están ahí ahora, en la misma casa que los niños.

La respuesta de la mujer es grande y hermosa., porque al entrar en el punto de vista de Jesús demuestra que ha comprendido su intención y la voluntad de Dios que lo envió y explica con sus palabras cuánto mayor es de lo que uno piensa., ya que en la misma casa, que ahora es la Iglesia Pascual, Mateo, La de Paul y también la nuestra., hay lugar para todos. dijo la mujer: "Es cierto, Señor, sin embargo, los perritos comen las migajas que caen de la mesa de sus amos». En sus palabras, un mismo proyecto mesiánico ya no puede verse sólo temporalmente -hay un antes y un después- sino también espacialmente ya que hay una sola casa donde hay una mesa donde la salvación ha llegado y se ofrece a todos., incluso para aquellos que parecían no tener derecho a ello.

«”doña, grande es tu fe! Que se haga por ti como deseas”. Y desde aquel instante su hija quedó sana”..

El comentario editorial del evangelista. Es sumamente reconfortante ya que desata cada nudo narrativo y emocional al revelar que la hija está curada.. Algún comentarista a veces dice: allí, la mujer forzó la mano de Jesús. Para usar la metáfora inicial del juego.: "el robó"; es ella quien realizó el milagro. no lo creo porque, con este táctica, estaríamos traicionando el Evangelio y éste nos conduce hacia el misterio más profundo en el que también nosotros estamos involucrados., es decir, la de la fe en Jesús: «Donna, grande es tu fe!». Es esta confianza la que nos permite ver cosas nuevas o mirarlas de manera diferente y Jesús las ve con nosotros.. Un misterio que dota a la Iglesia de la capacidad hermenéutica de los tiempos que vivimos, Especialmente el nuestro, que parece tomar distancia., mientras que probablemente, come la cananea, pide una nueva palabra, pide ayuda y aceptación.

En este sentido, el trabajo de otra mujer parece esclarecedor., la madre de jesus, que en las bodas de Caná, a pesar de lo que a veces todavía se oye predicar, no forzó la mano de Jesús para que cumpliera hasta el final la señal del buen vino. Pero él lo hizo posible., porque Jesús encontró una nueva comunidad, recién naciente, simbolizado por la Madre y los discípulos presentes en la boda, a quien precedió y acompañó en el camino de la fe. Ella, como la mujer cananea, presentó una situación y una necesidad: "Ya no tienen vino" [Juan 2, 3]. Entonces Jesús manifestó su gloria en Caná porque encontró una comunidad que, aunque en la fe inicial, se mostró disponible y acogedor ante la novedad expresada por el regalo del vino.: "Y sus discípulos comenzaron a creer en él"[7]. La donna cananea, pagano, tan distante y diferente de Jesús, provocado por la necesidad, fue más allá del tiempo de la salvación anticipándolo, presagiando una comunidad abierta capaz de acoger incluso a aquellos que vienen de lejos. Verdaderamente grande es su fe..

Feliz Domingo a todos.

de la ermita, 20 Agosto 2023

 

NOTAS

[1] Gerd Theissen, La sombra del Nazareno, Claudiana, 2014.

[2] Marco, refiriéndose a la cama donde yacía la hija enferma de la mujer, habla de kliné (cama), una cama real y no sólo una cama pobre (MC 7, 30).

[3] La región sirofenicia fue fundada por Septimio Severo en 194 corriente continua. En la octava sátira Juvenal habla de los sirofenicios como dueños de tabernas.. En particular describe a uno afeminado., avaro, judío (ver juvenal, Sátira, Feltrinelli, 2013).

[4] Mt 17, 14- 15: « Se acercó a Jesús un hombre que cayó de rodillas y le dijo: “Señor, ten piedad de mi hijo! Es epiléptico y sufre mucho.; cae muchas veces al fuego y muchas veces al agua"».

[5] Gregorio Magno, Homilía sobre Ezequiel I, 6, 3.

[6] «Sucederá que, en ese dia, el Señor golpeará los oídos, Del río al torrente de Egipto., y seréis reunidos uno por uno, israelitas. Sucederá que en ese día sonará el gran cuerno, Los perdidos vendrán en la tierra de Asiria y los dispersos en la tierra de Egipto.. Se postrarán ante el Señor en el monte santo., en Jerusalén».

[7] Juan 2, 11 episteo ellos creyeron – es un aoristo de entrada: comenzaron a creer.

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San Giovanni all'Orfento. Abruzos, Montaña Maiella, fue una ermita habitada por Pietro da Morrone, Llamada entrante 1294 a la Cátedra de Pedro a la que ascendió con el nombre de Celestino V (29 Agosto – 13 diciembre 1294).

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Los Padres de la Isla de Patmos

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Quizás conviene recordar que a mediados de este mes no hay celebración “San Ferragosto” pero la solemnidad de la asunción de la Virgen María al cielo

Homilética de los Padres de la Isla de Patmos

FORSE È OPPORTUNO RICORDARE CHE A METÀ DI QUESTO MESE NON SI FESTEGGIA “SAN FERRAGOSTO” MA LA SOLENNITÀ DELL’ASSUNZIONE AL CIELO DELLA VERGINE MARIA

En los primeros siglos, de hecho, como la divinidad de Jesús dejó de ser cuestionada por los herejes, la Chiesa si occupò del problema opposto: affermare la verità della sua Incarnazione. È in questo contesto che la figura di Maria divenne cruciale e importante, perché la sua disponibilità la legava indissolubilmente al figlio, al Figlio di Dio che si fece carne, nella carne di Lei.

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Dopo Benedetto XVI così compìto nei modi e misurato nelle parole più di uno è rimasto sorpreso da alcune frasi, soprattutto quelle proferite di getto dal Sommo Pontefice Francesco, su sucesor. Che pure, bisogna dirlo, sono maggiormente ricordate dalle persone semplici che probabilmente non ne rammentano neanche una dei predecessori. Fra queste ce n’è una che ha ripetuto più volte e sulla quale immagino ci sia il consenso di tutti, ovvero che stiamo vivendo una «terza guerra mondiale a pezzi»[1]. Uno di questi «pezzi», il conflitto in Ucraina, ci riguarda più da vicino poiché provoca ogni giorno da tempo distruzione e morti e per il fatto che dal punto di vista del rapporto fra le Chiese ha causato allontanamenti, divisioni e discordie per i quali occorreranno anni e anni di cammino di ricucitura.

Per tal motivo è così significativo che la Festa della Assunzione[2] come la chiama la Chiesa cattolica o della Dormizione come viene definita nelle Chiese d’Oriente venga celebrata liturgicamente da tutte queste comunità lo stesso giorno del 15 di Agosto. Per l’intero mese così canta di gioia la Chiesa d’Oriente nella liturgia:

«Nella tua maternità sei rimasta vergine, nella tua dormizione non hai abbandonato il mondo, o Madre di Dio. Sei stata trasferita alla vita, tu che sei la Madre della Vita e riscatti le nostre anime dalla morte con la tua intercessione»[3].

La convinzione che il corpo di Maria, la Vergine madre, non abbia subito la corruzione del sepolcro risale alle prime comunità giudeo-cristiane. Il nucleo più antico (II-III secolo) dell’apocrifo detto Dormitio Mariae contiene infatti già la narrazione, fantasiosa quanto al racconto ma univoca quanto al contenuto, del trasporto di Maria al cielo. E a Gerusalemme, è noto, esisteva una tradizione ininterrotta riguardo al luogo della sepoltura (o della temporanea deposizione) del corpo della Vergine in quella tomba del Getsemani sulla quale, verso la fine del IV secolo, l’imperatore Teodosio I fece costruire una chiesa. Proprio dalla celebrazione che il 15 Agosto si teneva in questo antico centro di culto mariano fu ripresa la data della festa della Dormizione di Maria estesa nel IV secolo a tutto l’oriente cristiano[4].

Sia i testi occidentali, da Gregorio di Tours (538 ca.- 594) a Pio XII che adottò la precisione terminologica richiesta da un pronunciamento dogmatico, che le antiche opere dei Padri della Chiesa, su tutti quelli di Giovanni Damasceno (676 ca.- 749) con i suoi ripetuti “era conveniente”[5], esplicitano il contenuto di fede di questa festa mariana e si rifanno al tema della vita. Una vita incorruttibile di cui la Theotòkos è immagine privilegiata e da qui il simbolismo della luce che pervade sia le rappresentazioni artistiche in occidente (da Tiziano a Tintoretto e Guido Reni), che le immagini iconografiche bizantine; sia la trama dei testi liturgici, che le preghiere di invocazione in oriente, come questa molto antica che recita:

«María, ti preghiamo, Maria luce e madre della luce, Maria vita e madre degli apostoli, Maria lampada d’oro che porti la vera lampada, Maria nostra regina, supplica tuo Figlio»[6] .

Naturalmente oltre la tradizione che risale al tempo delle Chiese unite è la sacra Scrittura, e i racconti evangelici in particolare, la fonte a cui attingere il motivo di tanta attenzione data a Maria, la Madre del Signore. Se oggi noi celebriamo il transito di Maria presso Dio è perché Lei stessa ha declamato il passaggio di Dio nella sua esistenza, come espresso nel brano evangelico di oggi [cf.. Lc 1, 39-56]. In risposta al saluto di Elisabetta Maria pronuncia le parole del magníficat, che distolgono l’attenzione da lei e la fanno volgere totalmente al Signore. Non lei ha fatto nulla, ma il Signore ha fatto tutto: questo è il significato basilare del magníficat. Questo inno, de hecho, celebra il Dio che in Maria ha fatto tutto perché la vicenda di Maria ha Dio come soggetto. E il fare di Dio in Maria viene da Lei definito come uno sguardo: «Il Signore ha guardato la piccolezza della sua serva» [Lc 1,48]. Questo sguardo divino si posò su di lei fin dal momento preparatorio, trasformandola attraverso la grazia[7], perché divenisse la Madre del Verbo incarnato e l’accompagnerà per tutta la vita, fin sotto la croce dove riceverà la nuova maternità sulla Chiesa nascente e oltre.

Un oltre che Maria già intravede nel brano del magníficat quando elenca le opere di Dio che si dipanano di generazione in generazione a favore degli umili e degli affamati, mentre i potenti, i ricchi e i superbi già sazi verranno adeguati a differenza dei piccoli che saranno innalzati mentre i potenti, i ricchi e i superbi già sazi verranno deprezzati. Un dramma che, come insegnerà Gesù annunciando il Regno di Dio non avviene nei cieli, ma qui: es historia, è vita nel mondo, vissuta nella carne che nasce e che un giorno morirà. Maria dentro questa storia diviene una protagonista fin dal momento della chiamata, sarà l’amica e modello di chi vorrà percorrere un cammino autentico di fede.

Forse è per questo che solo la Vergine Maria e nessun altro personaggio, in occidente, ha avuto così tante rappresentazioni artistiche che la raffigurano vicina all’esperienza quotidiana degli uomini e delle donne. Quando è stata dipinta con gli abiti propri di un particolare periodo storico, su sfondi che riproducevano la vita di quel tempo, sotto architetture di una specifica epoca, in contesti i più disparati. Dalla Vergine delle rocce di Leonardo, alla Madonna sontuosa di Piero della Francesca, dalla Maria popolana, addirittura una prostituta annegata nel Tevere a cui si ispirò Michelangelo Merisi detto Caravaggio, per seguire con la Vergine con le braccia spalancate dei tanti misteri napoletani, sotto un tempio romano diroccato. Maria ha potuto rivestire i panni della donna di ogni periodo perché Lei più di tutti fu protagonista del mistero grande dell’incarnazione nel quale

«trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, de hecho, il primo uomo, era figura di quello futuro [cf.. Rm 5, 14], e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione… Poiché in Lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche a nostro beneficio innalzata a una dignità sublime. Con la sua incarnazione, de hecho, il Figlio stesso di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, Egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato»[8] [Gaudium et Spes].

En los primeros siglos, de hecho, como la divinidad de Jesús dejó de ser cuestionada por los herejes, la Chiesa si occupò del problema opposto: affermare la verità della sua Incarnazione. È in questo contesto che la figura di Maria divenne cruciale e importante, perché la sua disponibilità la legava indissolubilmente al figlio, al Figlio di Dio che si fece carne, nella carne di Lei. «E il verbo si fece carne» dice il Vangelo secondo Giovanni [Juan 1, 14] e gli fa eco Paolo nella lettera ai Galati: «Ma quando venne la pienezza del tempo, Dios envió a su Hijo, nacido de mujer, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» [Gal 4, 4-5].

È per questo che nelle chiese quasi subito si iniziò a dire che la carne di Maria dopo aver dato vita al Figlio di Dio non poteva subire l’affronto della corruzione. E se non poteva, la sua collocazione naturale era presso il Figlio dove da lì poteva diventare “di speranza fontana vivace”[9].

"No, tu non sei soltanto come Elia ‘salita verso il cielo’, tu non sei stata come Paolo, trasportata fino al ‘terzo cielo’, ma sei giunta fino al trono regale del tuo Figlio, nella visione diretta, nella gioia, e stai accanto a Lui con grande e indicibile sicurezza… Benedizione per il mondo, santificazione per tutto l’universo; sollievo nella pena, consolazione nel pianto, guarigione nella malattia, porto nella tempesta. Per i peccatori perdono, per gli afflitti incoraggiamento benevolo, per tutti coloro che ti invocano soccorso sempre pronto»[10] (San Giovanni Damasceno).

Questo è il cammino di Maria che anticipa quello di ogni figlio adottato nel Figlio come ha detto Paolo nelle parole su riportate.

Ci sono due icone della tradizione bizantina che ci raccontano molto della festa odierna. La prima è quella dell’incontro fra Maria e sua cugina Elisabetta, che poi è l’episodio che prelude al Magnificat riportato nel Vangelo di questa solennità. In alcune di queste icone le due donne, la sterile e la vergine, si abbracciano strette e i volti vanno a toccarsi quasi che l’occhio dell’una confini con quello dell’altra. Si tratta di un vero incontro fraterno di cui tanto abbiamo bisogno in questo tempo di conflitti e divisioni. Quell’abbraccio e quella fusione di sguardi delle due donne rivela lo scambio del dono che ciascuna ha ricevuto, è una nuova pentecoste nella quale ciascuna riconosce l’altra nella sua peculiarità, nella sua chiamata senza rivalità o gelosie.

L’altra icona è quella propria della Dormitio Mariae che irradia grande speranza e pace. Ho sempre pensato che sarebbe bello, por ejemplo, collocarla in chiesa durante la celebrazione delle esequie cristiane. Perché in questi tempi di morte ospedalizzata e privatizzata, guardare una scena dove si vede che al momento del trapasso non siamo soli è di grande consolazione. La Vergine è stata dipinta distesa col suo manto che ricorda quello della natività. Pietro si trova a capo del letto e Paolo ai piedi, mentre Giovanni posa la testa sul cuscino come l’aveva posata sul petto di Gesù. Tutti gli apostoli sono chini su di lei così pure qualche vescovo della Chiesa primitiva e il popolo cristiano: non manca nessuno. Nell’antichità i morti scendevano nelle regioni inferiori o venivano traghettati verso di esse. Entravano comunque in una condizione oscura, umbratile. Se guardiamo l’icona possiamo vedere che l’insieme è una barca, uno scafo che non va verso regioni oscure, ma verso la luce.

Tutti gli sguardi dei presenti convergono in basso verso il corpo di Maria disteso orizzontalmente a significare la natura umana. Ora ci aspetteremmo, come dice il dogma, che Maria salisse al cielo. Invece qui è il cielo che scende e sulla linea orizzontale della Vergine appare in linea verticale e centrale la figura del Cristo che occupa la scena, sul cui volto si leggono la forza e la determinazione del Risorto, di colui che ha vinto la morte e tiene in mano una bambina. Mentre la figura orizzontale rappresenta la natura umana adagiata su un manto, la bambina sarebbe l’anima di Maria. Un incontro, así pues, fra visibile e invisibile. Lo spazio orizzontale del sonno/morte viene intercettato da una verticale di luce a formare una croce.

Il punto dove le assi della croce si incontrano è la vita e la luce portate dalla figura del Cristo. Anche la raggiera che lo circonda indica il movimento di risalita del Figlio venuto a prendere sua Madre. Con un’atipica torsione del corpo a destra, verso la testa di sua madre, il Risorto prende fra le braccia l’anima di lei e la sorregge poiché è lui che effettua il passaggio da questa vita all’altra.

Ma la cosa bella è che Gesù tiene in braccio l’anima di sua madre con la stessa tenerezza con la quale lei teneva in braccio lui da bambino. I gesti che la Madre faceva al Figlio, il Figlio ora li ricorda e li strappa alla morte. Abbiamo visto la Madre tenere tra le braccia il Figlio, adesso la situazione è rovesciata ed è il Figlio che porta in braccio Maria. Solo l’amore rende eterne le cose. Cristo risorto porta i segni dei chiodi a indicare che è veramente lui, assunto dall’amore del Padre non poteva rimanere in balia del sepolcro. Così il corpo di Maria che a motivo della maternità è stato tutto in funzione dell’amore non può essere lasciato in balia della putrefazione. Questa festa dell’assunzione è una festa dell’amore e solo gli amanti la possono capire perché loro sanno che ogni gesto di amore sarà ricordato per sempre.

Buona Festa dell’Assunzione a tutti.

de la ermita, 15 Agosto 2023

 

NOTAS

[1] Guerra mondiale a pezzi, ver en L’Osservatore Romano.

[2] Il Dogma in occidente fu promulgato da Pio XII con la costituzione el generoso el 1 Noviembre 1950.

[3] Tropario t.1 dei grandi Vespri della festa della Dormizione.

[4] Bagatti B., Alle origini della Chiesa, NIV, Roma, 1981, p.75.

[5] San Giovanni Damasceno, In Dormitionem, E, PG 96:«Era conveniente che colei che nel parto aveva conservato integra la sua verginità conservasse integro da corruzione il suo corpo dopo la morte. Era conveniente che colei che aveva portato nel seno il Creatore fatto bambino abitasse nella dimora divina. Era conveniente che la Sposa di Dio entrasse nella casa celeste. Era conveniente che colei che aveva visto il proprio figlio sulla Croce, ricevendo nel corpo il dolore che le era stato risparmiato nel parto, lo contemplasse seduto alla destra del Padre. Era conveniente che la Madre di Dio possedesse ciò che le era dovuto a motivo di suo figlio e che fosse onorata da tutte le creature quale Madre e schiava di Dio».

[6] Bagatti B., La chiesa primitiva apocrifa, Roma, 1981, pág. 75

[7] de La Potterie I., Κεχαριτωμένη en Lc 1,28 Étude exégétique et théologique, Biblica, vol. 68, No. 4 (1987), pag. 377.382

[8] Gaudium et Spes n. 22; S. Juan Pablo II, Redemptor Hominis, no 8.

[9] dante, paraíso, Canto XXXIII, 12

[10] en. cit PL 96, 717 AB.

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San Giovanni all'Orfento. Abruzos, Montaña Maiella, fue una ermita habitada por Pietro da Morrone, Llamada entrante 1294 a la Cátedra de Pedro a la que ascendió con el nombre de Celestino V (29 Agosto – 13 diciembre 1294).

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Los Padres de la Isla de Patmos

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Con su asunción al cielo, la Virgen María se configura con el misterio de Cristo resucitado

L'Angolo di Girolamo Savonarola: Homiléticas católicas de los Padres de La Isla de Patmos

CON SU ASUNCIÓN AL CIELO ES LA VIRGEN MARÍA CONFIGURADOS AL MISTERIO DE CRISTO RESUCITADO

La Asunción es "una fiesta que ofrece a la Iglesia y a la humanidad la imagen y el documento consolador del cumplimiento de la última esperanza: que tal glorificación plena es el destino de todos los que Cristo ha hecho hermanos, teniendo sangre y carne en común con ellos"

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Autor
simone pifizzi

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El 15 Agosto, en el corazón del verano, mientras que la mayoría de la gente acude en masa a los centros turísticos para sus vacaciones, la Iglesia celebra una de las más bellas y significativas solemnidades marianas. Así habló de ello el Santo Pontífice Pablo VI:

"La solemnidad de 15 Agosto celebra la gloriosa Asunción de María al cielo; es, esta, la fiesta de su destino de plenitud y bienaventuranza, de la glorificación de su alma inmaculada y de su cuerpo virginal, de su perfecta configuración con Cristo resucitado; una fiesta que ofrece a la Iglesia y a la humanidad la imagen y el documento consolador del cumplimiento de la última esperanza: que tal glorificación plena es el destino de todos los que Cristo ha hecho hermanos, teniendo sangre y carne en común con ellos (cf.. Eb 2,14; Gal 4,4)». [San Pablo VI, Exhortación apostólica Adoración mariana, 2 Febrero 1974, n. 6].

Cardenal Silvano Piovanelli, Arzobispo de Florencia, pintura al óleo sobre lienzo de V. Stankho (2011)

El Venerable Papa Pío XII, en la Constitución Apostólica el generoso (1950) escribe:

«Los santos padres y los grandes doctores en homilías y discursos, dirigida al pueblo con motivo de la fiesta de hoy, hablaban de la Asunción de la Madre de Dios como una doctrina ya viva en la conciencia de los fieles y ya profesada por ellos; explicaron completamente su significado; precisaron y profundizaron su contenido, mostraron las grandes razones teológicas para ello. En particular, destacaron que el objeto de la fiesta no era solo el hecho de que los restos mortales de la Santísima Virgen María se hubieran preservado de la corrupción., sino también su triunfo sobre la muerte y su glorificación celestial, para que la madre copie el modelo, es decir, imitar a su único Hijo, Cristo Jesus […] Todas estas consideraciones y motivaciones de los santos padres, así como las de los teólogos sobre el mismo tema, tienen la Sagrada Escritura como último fundamento. En efecto, la Biblia nos presenta a la santa Madre de Dios íntimamente unida a su divino Hijo y siempre solidaria con él y partícipe de su condición”.

Este antiguo testimonio litúrgico Pío XII lo hizo explícito y solemnemente proclamado dogma de fe el 1 de noviembre. 1950. Tras el Concilio Vaticano II, en la Constitución sobre la Iglesia, esta doctrina fue reconfirmada diciendo:

"La Virgen Inmaculada, preservado libre de cualquier mancha de culpa original, terminado el curso de su vida terrenal, fue asunta a la gloria celestial con su cuerpo y con su alma, y por el Señor exaltado como la Reina del universo, para ser más plenamente conformados a su Hijo, el señor de los gobernantes, el vencedor del pecado y de la muerte" (n. 59).

El filosofo danés Søren Kierkegaard, hace más de un siglo y medio, rompió un marco despiadado de lo que parece haberse convertido nuestra sociedad: un gran crucero cuyos pasajeros han olvidado el destino de su viaje y ni siquiera se preocupan por las comunicaciones en la ruta dada por el capitán, pero están mucho más ocupados con la información del menú diario dada con pedante insistencia cocinero a bordo.

A la luz de muchas investigaciones socioculturales, nuestra sociedad se parece a eso: aplastado en el presente, olvidadizos de la eternidad y con horizontes cada vez más estrechos. Hemos eliminado de nuestro vocabulario adjetivos como "duradero", "permanente", "definitivo". Había visto a lo largo del filósofo cuando dijo: «lo que más necesita el tiempo presente es la eternidad». La fiesta de la Asunción se convierte entonces, en este sentido, en un soplo de aire fresco que nos ofrece el Eterno para desintoxicarnos de las drogas efímeras., de lo provisional, del "golpe y fuga" y nos hace respirar el aire puro para el que está hecho nuestro corazón: el aire del cielo.

En el prefacio de esta fiesta mariana por favor como este:

«Hoy la Virgen María, madre de Cristo y Madre nuestra es elevada a la gloria del cielo".

¿Qué significó este evento para María?? La primera lectura -tomada del libro del Apocalipsis- nos presenta a una "mujer vestida de sol" que da a luz a un niño. Un "enorme dragón rojo" se abalanza sobre ella y con ferocidad y voracidad se dispone a devorar al recién nacido; pero esto es arrebatado al cielo, mientras que la mujer encuentra refugio en el desierto y así se cumple “la salvación de nuestro Dios y el poder de su Cristo”. En el simbolismo apocalíptico, la mujer representa a la iglesia, el pueblo de Dios que engendró a Cristo, ascendió definitivamente a la gloria del cielo con la Resurrección. contra cristo, el dragón -la "serpiente antigua"- desata su violencia más feroz y sádica, pero fracasa en su mala intención; luego tiene que retroceder a la tierra para perseguir a la Iglesia y a sus hijos, pero ni siquiera este intento tendrá éxito. Aunque este texto no habla directamente de María, la liturgia nos ofrece este pasaje para describirnos a la Madre de Dios, en el que la Iglesia reconoce su más alta imagen, la joya más espléndida y preciosa.

El Evangelio de la Solemnidad de la Asunción nos presenta a María ―embarazada del Espíritu Santo del Hijo de Dios― que va a visitar a su prima Isabel, también milagrosamente fructífero. En esta página evangélica se nos da - más allá del magníficat - la verdadera razón de la grandeza y de la bienaventuranza de María, es decir, su fe. Isabel la saluda con la más bella y significativa alabanza que se ha dirigido a María y que podría -más fielmente- traducirse así: "Bienaventurada la que creyó: lo que le dijeron, se cumplirá".

La fe es el corazón de la vida de María. No es la cándida ilusión de un ingenuo bienhechor que piensa en la vida como un barco que navega plácidamente hacia el puerto de la felicidad.. María sabe que la brutalidad de los matones pesa en la historia, la desvergonzada arrogancia de los ricos, la arrogancia desenfrenada de los orgullosos. Para los creyentes, la salvación no ocurre sin la experiencia de la lucha y la persecución. Pero Dios -María lo cree y lo canta- no deja solos a sus hijos, pero él los ayuda con solicitud misericordiosa, derribando los criterios de la historia escrita por hombres ("Ha derribado a los poderosos de sus tronos... Ha esparcido a los soberbios... Ha despedido vacíos a los ricos").

El magníficat permite vislumbrar el sentido pleno de la historia de María: si la misericordia de Dios es el verdadero motor de la historia, si es el amor de Dios que envuelve a toda la humanidad para siempre, entonces "la que dio a luz al Señor de la vida no pudo conocer la corrupción del sepulcro" (Prefacio). Una mujer como María no podía acabar bajo un montículo de tierra, concebir la humanidad del Hijo de Dios, ella tenia el cielo incrustado en su vientre. Pero todo esto no concierne sólo a María. Las "grandes cosas" hechas en ella nos tocan profunda e irreversiblemente; hablan a nuestra vida y recuerdan a nuestra corta y distraída memoria la meta que nos espera: la casa del Padre.

mirando a maria y comparando nuestra vida a su luz comprendemos que en esta tierra no somos vagabundos, con tanto problema, con algunos momentos de raro e inusual placer, luchando con el sabor amargo del dolor; tampoco somos los juguetones marineros de un crucero que un destino adverso intenta estropear por todos los medios y que acaba siendo interrumpido por un irreparable y fatal naufragio. como el de maria, nuestra vida es una peregrinacion, ciertamente incierto y agotador y, a veces, también doloroso y doloroso ... un "valle de lágrimas". Sí, pero constantemente acompañados por el Señor Jesús que camina con nosotros "cada día hasta el fin del mundo". Es una peregrinación que tiene un destino seguro, el encuentro con ese Padre que enjugará las lágrimas de sus hijos para que no haya más lágrimas, o luto, ni llanto, ni dolor.

Dios Padre la hace resplandecer "para su pueblo", peregrino en la tierra, signo de consuelo de esperanza segura” (Prefacio); un cartel que tiene el rostro de María, fue completamente bendecida porque creyó en el cumplimiento de las palabras del Señor.

«En su vientre se reavivó el amor» recita el comienzo del canto XXXIII del Paraíso de Dante que se abre con la Alabanza de San Bernardo a la Virgen María, puesto a la cabeza de los que han sido regenerados por el mismo amor y finalmente recibirán la vida en Cristo, después de haber destruido al último enemigo, los muertos (cf.. Yo leyendo).

Por lo tanto, no estamos destinados a sufrir de por vida. para encontrarnos al final tal vez con una gran cuenta bancaria, un coche de lujo, una casa hermosa pero con la perspectiva de pudrirse en los pocos centímetros cúbicos de un nicho helado en el cementerio, Estamos destinados a compartir la gloria de María, porque también nosotros - por gracia - somos semejantes a ella: niños con el cielo incrustado en nuestro ADN espiritual. Por lo tanto nos dirigimos a usted por qué, a medida que se desarrolla nuestra peregrinación terrenal, vuelve hacia nosotros sus ojos misericordiosos, arriesgar el camino, nos recuerdas el destino y nos muestras, después de este exilio, Jesús el fruto bendito de su vientre.

Por un movimiento del corazón y por una necesidad obediente, recuerdo conmovedor y agradecido, Quisiera concluir esta meditación con las palabras del Obispo que me ordenó sacerdote, Cardenal Silvano Piovanelli, auténtico amante de la Virgen. El Cardenal concluyó todas sus espléndidas homilías con una insinuación mariana de que para nosotros, entonces jóvenes seminaristas en servicio en la Catedral, era la señal de que la homilía estaba por terminar y teníamos que prepararnos para el ofertorio! Así se dirigió el Cardenal a los fieles en la Catedral el 15 agosto del 1995:

“Las palabras de tu canción, mares, resonó ante Isabel en el monte de Judá. Hoy resuenan en esta Catedral consagrada a ti, en las innumerables iglesias dedicadas a tu nombre y dondequiera que se reúna la comunidad cristiana. Resuenan sobre todo en ese santuario íntimo que es el corazón de tantas mujeres y hombres y en la conciencia profunda de los pueblos pobres y derrotados que mantienen la esperanza a toda costa.. Tu, María, has cantado un cántico que crece a lo largo de la historia, porque es el canto de la humanidad redimida. queremos cantarla contigo. (...) Cantando al Evangelio proclama: “María es asunta al cielo; las huestes de los ángeles se regocijan”. Si los ángeles se regocijan, tenemos más motivos para alegrarnos; la honran como reina, la veneramos como Madre; la miran como Aquella que se ha unido a ellos en la gloria, nosotros como quien nos llama a unirnos a ella en la alegría, ansiosa como está por cumplir la tarea que Dios le ha encomendado desde lo alto de la cruz. Alegrémonos todos en el Señor. Amén".

Florencia, 15 Agosto 2023

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