Die Angst vor Frauen: „Sie haben den Herrn aus dem Grab genommen und wir wissen nicht, wo sie ihn hingelegt haben.“

Homiletik der Väter der Insel Patmos

Der Schrecken der Frauen: «HANNO PORTATO VIA IL SIGNORE DAL SEPOLCRO E NON SAPPIAMO DOVE L’HANNO POSTO»

Sant’Agostino con l’acutezza che lo contraddistingue legge con onestà quello che queste parole dicono: «Era entrato e non l’aveva trovato. Er hätte glauben sollen, dass er auferstanden sei, non che era stato rubato»

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.HTTPS://youtu.be/4fP7neCJapw.

 

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Mentre nella notte di Pasqua abbiamo letto il racconto evangelico più antico sulla risurrezione di Gesù, quello di Marco, oggi viene proclamato l’inizio del capitolo ventesimo di Giovanni, probabilmente l’ultimo testo dei Vangeli sulla risurrezione di Gesù ad essere scritto. Siamo, Also, davanti a una parabola che prende l’avvio da quello che è contenuto e ripreso da Marco, ovvero un resoconto «pre-marciano» della passione e risurrezione di Gesù e arriva fino all’ultimo racconto, quello giovanneo, risalente alla fine del primo secolo. Die Liturgie, nello spazio di una sola notte, dalla Veglia Pasquale alla messa del giorno di Pasqua, raccoglie fonti e tradizioni che si sono sedimentate nell’arco di alcuni decenni e ci permette di gustare le differenti prospettive degli evangelisti. Questo il testo proclamato:

Salvador Dali, L’aurora, 1948

«Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, und sagte es ihnen: "Sie haben den Herrn aus dem Grab weggenommen, und wir wissen nicht, wo sie hingelegt haben!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario ― che era stato sul suo capo ― non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti» (GV 20,1-9)

Leggendo questo brano ci coglie una profonda emozione, la stessa provata dai primi testimoni della Risurrezione, una donna e due discepoli. Questa sembra proprio l’intenzione dell’evangelista. Ci aspetteremmo, in der Tat, una confessione matura e convinta circa l’evento, invece nel nostro testo non abbiamo ancora l’annuncio pasquale, eher, ciò che Maria di Magdala corre a dire ai due discepoli è: „Sie haben den Herrn aus dem Grab genommen und wir wissen nicht, wo sie ihn hingelegt haben.“. Maria, preda della paura e dello sconforto, dà per certo che il corpo di Gesù sia stato trafugato e la sua preoccupazione verte sul «dove» ora si possa trovare la salma. Il racconto evangelico mostra dunque la genesi della fede pasquale presentandone il momento incoativo, lo sprigionarsi della scintilla che presto diverrà un incendio. L’itinerario interiore che condurrà al grido e all’annuncio «È risorto» passa attraverso la presa di coscienza delle evidenze di morte costituite dalle bende e dal sudario che avvolgevano la salma e dal sepolcro in cui essa era stata deposta. Il Santo Vangelo ci fa sentire così questi discepoli molto vicini a noi, al nostro graduale cammino verso una fede salda nella Risurrezione di Gesù. Fede piena sarà quella di Tommaso che dirà: „Mein Herr und mein Gott“ (GV 20,28); ma non senza esser dovuto passare anche lui per la tentazione del non credere e della sfiducia.

L’assenza di fede nella Risurrezione viene simbolicamente anticipata dall’annotazione che fuori «era ancora buio» (GV 20,1) quando Maria di Magdala si recò al sepolcro. E il «buio» nella simbologia giovannea rinvia a ciò che si oppone alla luce (GV 1,5; 3,19), designa la situazione problematica dei discepoli nell’assenza di Gesù (GV 6,17), è la condizione di incertezza e sbandamento in cui si trova a vagare chi non segue Gesù (GV 8,12), chi non crede in lui (GV 12,46). Zusamenfassend, siamo al «primo giorno della settimana» (GV 20,1), ma non è ancora spuntata l’alba, siamo ancora nel buio.

In diesem Zusammenhang l’evangelista presenta le reazioni di tre discepoli di fronte alla tomba vuota e in particolare la fede incoativa del discepolo amato che, viste le bende per terra ed entrato nel sepolcro vuoto, «credette» (GV 20,8), oder besser, «cominciò a credere» (vgl.. l’aoristo ingressivo: epiesteuesen καὶ ἐπίστευσεν). Solo così si può infatti spiegare l’annotazione che l’evangelista pone a immediato commento: «Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura che egli doveva risuscitare dai morti» (GV 20,9). Sant’Agostino con l’acutezza che lo contraddistingue legge con onestà quello che queste parole dicono: «Era entrato e non l’aveva trovato. Er hätte glauben sollen, dass er auferstanden sei, non che era stato rubato» (vgl.. WHO). La fede pasquale non nasce dalla mera constatazione di una tomba vuota: questa può condurre anche a formulare l’ipotesi di un trafugamento del corpo. I fatti vanno accostati alle parole della Scrittura e da essa illuminati. Solo allora essi daranno vita alla fede pasquale. Fede che troverà la sua pienezza con il dono dello Spirito che illumina le menti aprendole all’intelligenza delle Scritture, come fu per i discepoli di Emmaus (vgl.. LC 24,45), Warum: «Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità” (GV 16, 13).

La resurrezione infatti è un evento inaudito, impensabile e sconcertante. Ne saprà qualcosa Paolo quando proverà ad annunciarla agli ateniesi (Bei 17, 32). È la novità assoluta di Dio e i discepoli sono totalmente impreparati all’evento. Solo il discepolo amato, proprio per quella sua conoscenza intima che lo lega a Gesù, comincia a intuire e a lasciar spazio nel proprio animo alla novità compiuta da Dio.

C’è tuttavia in questi tre discepoli l’aspetto emotivo che a suo tempo li aveva portati a lasciare tutto per seguire Gesù. In Maddalena che teme di non poter più vedere e toccare il suo Signore e per questo corre. Corre verso Pietro e il discepolo amato, i due punti di riferimento del gruppo dei discepoli. E a loro volta corrono anch’essi, stavolta al contrario, di nuovo verso il sepolcro. Nel momento in cui il piano emotivo viene lasciato andare a briglia sciolta ognuno esprime se stesso senza più far valere le regole del gruppo. Giunto tuttavia al sepolcro il discepolo amato attende Pietro e lascia che lui entri per primo, rispettando il primato stabilito dal Signore. Il piano emotivo e affettivo di Maria (che corre dai due discepoli) e del discepolo amato (che aspetta Pietro e lo fa entrare per primo nel sepolcro) restano ordinati e sottomessi all’oggettività comunitaria. Ma per guidare l’emotività e l’affettività alla fede piena occorreranno l’intelligenza della Scrittura e la fede in essa, che è fondamento ineliminabile e oggettivante della fede pasquale e della vita ecclesiale.

Noi oggi che ascoltiamo ancora una volta queste parole del Santo Vangelo proclamate esprimiamo gratitudine verso questi discepoli così importanti che hanno voluto conservare la loro titubanza di fronte ad un evento così inusitato. Li sentiamo vicini, grati per la loro testimonianza di fede che ci hanno tramandato proprio nelle Scritture. Ci hanno insegnato a cercare il Risorto non più nel sepolcro (mnemeîon in Griechenland: wurde. «memoriale»; GV 20 1.2.3.4.6) che è memoria cimiteriale, morta. Ma ormai vivente nella sua gloria e presente quando ci amiamo, quando lo testimoniamo nei luoghi della nostra esistenza, quando incontriamo la sofferenza o quando portiamo speranza. Nel nostro radunarci ogni domenica, Pasqua della settimana, senza la quale non possiamo più vivere. Perché lì confessiamo non solo i nostri peccati, ma ascoltiamo di nuovo la Scrittura che ci parla di Lui e di Lui ci nutriamo, nell’attesa che Egli venga.

Termino con queste parole del poeta fiorentino Mario Luzi (1914 – 2005). Il Papa Giovanni Paolo II gli chiese di commentare le stazioni della Kreuzweg al Colosseo nel giorno di Venerdì Santo del 1999. Ed egli finì così:

«Dal sepolcro la vita è deflagrata. / La morte ha perduto il duro agone. / Comincia un’era nuova: l’uomo riconciliato nella nuova alleanza sancita dal tuo sangue / ha dinanzi a sé la via. / Difficile tenersi in quel cammino. / La porta del tuo regno è stretta. / Ora sì, o Redentore, che abbiamo bisogno del tuo aiuto, / ora sì che invochiamo il tuo soccorso, / Sie, guida e presidio, non ce lo negare. / L’offesa del mondo è stata immane. / Infinitamente più grande è stato il tuo amore. / Noi con amore ti chiediamo amore. / Amen". (Mario Luzi, Kreuzweg al Colosseo, 1999)

Surrexit Christus SPEs MEA... Dominus vere, et Apparuit Simoni, alleluia!

Frohe Ostern euch allen.

 

Aus der Eremitage, 31 Marsch 2024

Santa Pasqua di Risurrezione

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Sant'Angelo-Höhle in Ripe (Civitella del Tronto)

 

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Die Väter der Insel Patmos

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Heiliger Donnerstag 2024. Eine Grußpredigt von Kardinal Giuseppe Betori

HEILIGER DONNERSTAG 2024. UNA OMELIA DI SALUTO DEL CARDINALE GIUSEPPE BETORI

Affermare che oggi, Von den Adlern und Falken, die wir waren, bis hin zu Hühnern oder, Eine gute Leistung, zu Truthähnen, Es ist keine unhöfliche und respektlose Aussage, sondern eine Tatsache: negli ultimi anni abbiamo assistito a nomine episcopali di soggetti imbarazzanti, ma quel che è peggio tutti uguali, o come suol dirsi fatti a stampo, clonati per emulazione. Il tutto alla faccia della pluralità delle voci all’interno della Chiesa!

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Autor
Simone Pizzi

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A ispirarmi questo articolo ― che tale non è, perché si tratta di riportare il testo di una omelia pronunciata dal Cardinale Giuseppe Betori Arcivescovo Metropolita di Firenze ― è stato il Padre Ariel, che poche settimane fa ha dedicato su queste nostre colonne un omaggio al suo Vescovo, S. UND. Mons. Andrea Turazzi; omaggio fatto con un tocco di classe riassunto in questa frase:

«Un buon prete è tale se per lodare il proprio Vescovo attende la fine del suo mandato [...] Solamente adesso che non ha più potere di governo pastorale sulla Diocesi e su di me, Ich kann öffentlich sagen, wie sehr ich es verehrte, apprezzato e amato il mio Vescovo».

L’Arcivescovo di Firenze, pur avendo presentato al Sommo Pontefice la propria rinuncia al governo pastorale della nostra Diocesi non è ancora emerito, né è stato ancora ufficializzato il suo successore designato. La sua missione tra di noi, de facto, è da considerarsi però terminata. Per quanto riguarda il suo successore, è pressoché certo che sia stato già scelto e nominato, dobbiamo solo attendere l’annuncio ufficiale.

Con il Cardinale Giuseppe Betori — e ormai pochissimi altri divenuti vescovi cinquantenni sotto il pontificato del Santo Pontefice Giovanni Paolo II — si chiude definitivamente una stagione ecclesiale ed ecclesiastica che ebbe anch’essa le sue non poche problematicità, ma comunque popolata anche di personalità di alto livello pastorale e spessore culturale. Affermare che oggi, Von den Adlern und Falken, die wir waren, bis hin zu Hühnern oder, Eine gute Leistung, zu Truthähnen, Es ist keine unhöfliche und respektlose Aussage, sondern eine Tatsache: negli ultimi anni abbiamo assistito a nomine episcopali di soggetti imbarazzanti, ma quel che è peggio tutti uguali, o come suol dirsi fatti a stampo, clonati per emulazione. Il tutto alla faccia della pluralità delle voci all’interno della Chiesa!

Facendo mie le parole rivolte da un confratello al proprio Vescovo oggi posso dire anch’io:

«Un buon prete è tale se per lodare il proprio Vescovo attende la fine del suo mandato [...] Solamente adesso che non ha più potere di governo pastorale sulla Diocesi e su di me, Ich kann öffentlich sagen, wie sehr ich es verehrte, apprezzato e amato il mio Vescovo».

Kardinal Giuseppe Betori si è rivelato una perla ormai incastonata nel diadema della genealogia degli ultimi Vescovi donati a questa nostra Chiesa fiorentina dalla Roma che ormai fu, come dimostra l’omelia che segue …

Florenz, 28 Marsch 2024

 

Il Cardinale Giuseppe Betori Arcivescovo Metropolita di Firenze, Santa Messa del Crisma dell’anno 2024

La Messa crismale, che il Vescovo concelebra con i presbiteri delle diverse zone della diocesi e durante la quale benedice il santo crisma e gli altri oli, è considerata una delle principali manifestazioni della pienezza del sacerdozio del vescovo e un segno della stretta unione dei presbiteri con lui». Sono queste le parole del Pontificale Romano nelle Premesse al rito della Benedizione degli Oli. Con queste parole quindici anni fa mi rivolsi a voi nella mia prima presidenza della celebrazione della Messa Crismale nella Chiesa fiorentina. Ad esse faccio riferimento anche oggi, in questa celebrazione che si può presumere sia l’ultima mia presidenza della Messa Crismale in questa cattedrale, per rivolgermi in particolar modo a voi preti fiorentini, con cui ho condiviso il governo pastorale del popolo di Dio che mi è stato affidato in questi anni.

Le mie vogliono essere parole di ringraziamento, di riflessione, di consegna per il futuro. Vorrei però evitare di scivolare sul piano dei sentimenti, pur importanti e non assenti nel mio cuore in questo momento, per ricondurre tutto alla luce della parola di Dio. Gratitudine, Bewusstsein, fiduciosa speranza vanno infatti misurate sulla fedeltà con cui siamo stati capaci di corrispondere al dono che Cristo ci ha fatto, di come ci sentiamo in dovere di approfondirne le forme in modo adeguato ai tempi, di come ci consegniamo ad esso nella certezza che la presenza del Signore e del suo Spirito tra noi, pur nelle incertezze del presente, non verrà mai meno.

In questo orizzonte accogliamo la rivelazione che oggi ci viene fatta dalla parola di Dio circa la missione di Cristo, delle dignità e responsabilità che sono consegnate ai suoi discepoli, del servizio della parola e della grazia che è affidato a noi suoi ministri a vantaggio di tutti. L’immagine che riassume questo mistero è quella dell’unzione, con cui il profeta esprime la consacrazione del Messia inviato a portare il lieto annunzio della salvezza, a porsi al servizio dei poveri e degli oppressi, a diffondere la consolazione della misericordia. Questa stessa unzione abbiamo udito Gesù proclamare come segno della missione per cui lo Spirito lo invia come liberatore dell’umanità da ogni sua fragilità per entrare nel tempo della grazia del Signore. Endlich, questa unzione, ora definita regale e sacerdotale, è il segno di un popolo redento che vive per la gloria del Padre.

Annuncio, sacerdozio e regalità dalla persona di Cristo passano a quella dei credenti in lui e al servizio di questo passaggio è posto il nostro ministero di preti. Grazie dunque per il vostro ministero a servizio della Parola; viva sempre in voi il desiderio di conoscerla sempre più profondamente e di saperla ridire con parole che siano in grado di incrociare le domande espresse e inespresse dell’umanità contemporanea, guardiamo con fiducia al futuro, certi che nella inesauribile ricchezza della parola di Dio c’è un sicuro orientamento per le nuove sfide che incombono sull’umanità nei giorni a venire. Grazie per il vostro ministero di pontefici tra l’umanità e il suo Creatore, di generosi trasmettitori della grazia che viene dall’alto e di voce dell’umanità e delle sue attese verso il Padre di tutti; in un mondo che si edifica seguendo il mito dell’autosufficienza, sentite come particolare vostro impegno quello di risvegliare nella vostra gente il bisogno dell’invocazione e l’umiltà dell’accoglienza del dono di vita nuova opera dei sacramenti; alimentate sempre in voi la speranza, perché nessun ostacolo vi getti nello sconforto o anche solo nell’inerzia, perché tanto nulla cambia, avendo in noi la certezza che il Risorto ha il potere di fare nuove tutte le cose. Grazie per come nel vostro ministero animate le vostre comunità, vi consacrate ad esse, vi fate carico dei problemi in particolare dei più poveri; Siamo sì ministri della Chiesa, ma il nostro servizio è sempre per la venuta del Regno di Dio tra noi, nei segni di bene che aiutiamo a far sbocciare e nel contributo che come comunità cristiane siamo in grado di offrire per l’affermarsi della giustizia, von Frieden, del rispetto della dignità di ogni uomo, des Gemeinwohls; è in rapido mutamento il posto della Chiesa nella società e di conseguenza quello del prete, per cui siamo sollecitati a lasciare ogni nostalgia di centralità ma anche a ribadire che nessuno e nessun mondo può restare estraneo al dono di noi stessi nel Signore.

Nell’omelia di quindici anni fa vi richiamavo a una comunione che non fosse una massificante uniformità, ma un intrecciarsi di relazioni nella diversità delle esperienze e nella modulazione dell’unica verità. Vi chiedevo di rifuggire dallo stanco ripetersi di una melodia monocorde per cercare un’armonia polifonica in cui ciascuna voce cerca la sintonia con le altre, per una comunicazione che esprima intelligenza della realtà e bellezza dell’esperienza. Non so quanto siamo riusciti a vivere così in questi anni e sto qui anche a chiedervi perdono per quanto non ho fatto o per quanto posso aver fatto in senso contrario.

L’altro richiamo di quindici anni fa era alla radice sacramentale del nostro ministero, per non lasciarci ridurre ad agenti sociali, pur apprezzati e benvoluti, e neppure a funzionari di un sacro a cui ricorrere come rifugio delle angosce umane. Sacramentalità significa che ciò che è decisivo in noi è il dono della grazia, di cui siamo stati e siamo destinatari e di cui abbiamo la responsabilità di essere trasmettitori. Vi ricordavo e vi ripeto perciò che servire la dimensione sacramentale della Chiesa significa anzitutto impegno a mostrare come nel regime sacramentale possiamo cogliere il primato di Dio nella storia e come esso si manifesti a noi ed entri in contatto con la nostra vita grazie alla mediazione di Cristo, che dei sacramenti è il fondamento e il fondatore.

E questo richiamo a Cristo mi fa ripetere anche oggi che la misura del nostro essere prete è strettamente dipendente dal nostro legame a lui. Solo restando uniti a lui sia la nostra identità che il nostro servizio nella Chiesa e nel mondo potranno trovare verità ed efficacia. Non manchi mai nella nostra vita quotidiana questo guardare a Cristo, dialogare con lui, lasciarci da lui guidare e sostenere.

Abbiamo camminato insieme in questi anni. È stato un grande dono per me essere il vostro vescovo e poter contare sul vostro sostegno. Non sappiamo quando, ma in futuro sarà un altro vescovo a guidarvi, a cui vi consegnerò ma a cui chiedo anche a voi di consegnarvi con fiducia. I vescovi passano, il Signore resta ed è lui l’unico vero nostro Pastore, di cui noi siamo solo segni, consapevoli, per quanto mi riguarda di debolezza e insufficienza. Al Signore chiedo misericordia e a voi umana comprensione. Mit Zuneigung.

 

Florenz, 28 Marsch 2024

Cattedrale Metropolitana di Santa Maria del Fiore

Santa Messa del Crisma

 

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Die Väter der Insel Patmos

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Wir teilen dem Erzbischof von Chieti-Vasto mit, dass sich der exkommunizierte Priester Alessandro Minutella in den religiösen Einrichtungen seiner Diözese aufhält, um die Riten der Karwoche zu feiern und anschließend im Grand Hotel in Assisi weiterzumachen

WIR INFORMIEREN DEM ERZBISCHOF VON CHIETI-VASTO, DASS DER EXKOMMUNIERTE PRIESTER ALESSANDRO MINUTELLA IN RELIGIÖSEN STRUKTUREN SEINER DIÖZESE BUCHT, UM DIE RITEN DER KARIWOCHE ZU FEIERN, UND ANSCHLIEßLICH WEITER ZUM GRAND HOTEL VON ASSISI FAHRT

Als wir die Casa del Pilgrino in Manoppello anriefen, Damals von Minderbrüdern der Kapuziner gegründetes Institut, zu fragen, ob sie wüssten, wen sie beherbergen würden, Die Verantwortlichen fielen buchstäblich aus den Wolken, als sie stundenlang darauf antworteten 20 bei 24 Sie hatten bei einer Gruppe „Basketballfans“ reserviert (!?)

- Kirchennachrichten -

Autor
Die Väter der Insel Patmos

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Herr.. Alessandro Minutella er wurde exkommuniziert automatisch für Schisma und Häresie (siehe Dekret WHO), anschließend, durch seine hartnäckige Hartnäckigkeit, er wurde per Dekret des Papstes Franziskus aus dem Klerikerstand entlassen (siehe Dekret WHO), Daher ist es aufgrund eines Urteils der Obersten Kirchenbehörde nicht mehr Teil der Kirche und des katholischen Klerus.

Jahrelang reist durch Italien und Europa, sammelt verlorene und verletzliche Menschen und bringt der Welt die „gute Nachricht“ mit, dass Papst Benedikt der Antichrist“.

Als er exkommuniziert und aus dem Geistlichen Stand entlassen wurde Herr.. Alessandro Minutella hat keinen Zugang zu Gotteshäusern oder zur Nutzung kirchlicher Strukturen in irgendeiner Weise, er kann sich nicht als katholischer Priester qualifizieren und darf nicht die kirchliche Kleidung des Klerus tragen.

Ein klares Zeichen der Herausforderung und Provokation beschlossen, während des Ostertriduums in Manoppello zu feiern, in einem religiösen Gebäude neben dem Heiligtum des Heiligen Antlitzes. Aber kommen wir zur Täuschung: als wir anriefen Haus des Pilgers von Manoppello, Damals von Minderbrüdern der Kapuziner gegründetes Institut, zu fragen, ob sie wüssten, wen sie beherbergen würden, Die Verantwortlichen fielen buchstäblich aus den Wolken, als sie stundenlang darauf antworteten 20 bei 24 hatte eine Reservierung für eine Gruppe von „Korb der Fans”. Es ist klar, dass Herr. Alessandro Minutella schickte seine sogenannten Kontakte nach vorne, um durch Täuschung eine provokante Buchung vorzunehmen, sicherlich nicht in seinem Namen oder dem seiner exotischen Vereinigung schismatischer Ketzer, aber auch im Namen eines … „Korb der Fans” (!?) Der Erzbischof von Chieti-Vasto wird jedoch wissen, was zu tun ist und wie es zu tun ist.

Am nächsten Tag Herr. Alessandro Minutella und seine Anhänger werden alle sein Grand Hotel in Assisi, Das ist keine religiöse Struktur, Aber auch wenn dies nicht der Fall ist, handelt es sich um eine Struktur, die dank der Religiosität ihr Hotelgeschäft betreibt und weiterführt, genug, um zu verhindern, dass eine aus der Kirche ausgeschlossene Person die katholische Stimmung ernsthaft verletzt, mit all seinen Fanatikern im Schlepptau, direkt an einem der symbolträchtigsten Orte der Welt der christlichen Religiosität.

von der Insel Patmos, 22 Marsch 2024

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Die Väter der Insel Patmos

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Es ist besser, dass ein einzelner Mann stirbt, als dass eine ganze Nation zugrunde geht

Homiletik der Väter der Insel Patmos

MEGLIO MUOIA UN SOLO UOMO CHE PERISCA LA NAZIONE INTERA

Per Gesù la vera morte non è quella fisica che gli uomini possono dare, aber es liegt in der Weigerung, sein Leben für andere zu geben, die sterile Abschottung von sich selbst; andererseits, Das wahre Leben ist der Höhepunkt eines Prozesses der Selbsthingabe.

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Fraintendere, ovvero prendere una cosa per un’altra. Questa attività che si è diffusa ai giorni nostri contrassegnati dall’uso consistente dei Sozial, per l’autore del Quarto Vangelo diventa un espediente letterario per mezzo del quale, utilizzando la momentanea incomprensione, il lettore è guidato verso una conoscenza ulteriore, spesso più profonda, della realtà, del mistero che vive in Gesù. Lo abbiamo visto nell’incontro fra Lui e la samaritana e prima ancora con Nicodemo, nel Vangelo di domenica scorsa. Lo ritroviamo ancora qui, nel brano evangelico di questa quinta Domenica di Quaresima. Cosa c’è di più semplice e naturale del desiderio di vedere Gesù? Non sarebbe una richiesta che anche noi porremmo ogni giorno? Eppure l’Evangelista ci dice che Egli sembra, offenbar, non prenderla in considerazione; distratto o, besser gesagt, concentrato su una prova imminente, su ciò che potrebbe distoglierlo e dunque su una presentazione di sé che la semplice curiosità di vederlo potrebbe non capire. Che cosa o chi dobbiamo guardare quando desideriamo vedere Gesù?

Secondo Tempio di Gerusalemme, modello di ricostruzione, Museo dello Stato d’Israele

„Zu dieser Zeit, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: “Mann, vogliamo vedere Gesù”. Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In Wahrheit, wahrlich, ich sage: se il chicco di grano, fiel auf den Boden, stirbt nicht, bleibt allein; wenn es stattdessen stirbt, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Vati, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Vati, glorifica il tuo nome”. Venne allora una voce dal cielo: “L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!”. La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: “Un angelo gli ha parlato”. Disse Gesù: “Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. And I, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”. Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire» (GV 12, 20-33).

Per comprendere la pericope appena letta occorre far riferimento alla montante ostilità verso Gesù segnalata dalle seguenti parole che precedono il brano appena riportato:

«”Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione”. Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, er hat ihnen gesagt: “Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!”. Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo» (GV 11, 48-53).

Nelle parole delle oppositori vi è anche la constatazione che: «Il mondo (ho kósmos) gli è andato dietro» (GV 12,19). In diesem Zusammenhang, nel quale le decisioni degli avversari sono già prese, alcuni greci vogliono vedere Gesù. È un primo passo, non ancora quel vedere perfetto che fa contemplare con lo sguardo trasformato dallo Spirito il senso delle cose, tutta la profondità della realtà che farà proferire a Gesù: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (GV 14,9). Questo desiderio però è positivo, di tutt’altro tenore dell’aspirazione omicida degli avversari di Gesù. Ma i greci, presenti per la Pasqua a Gerusalemme, forse simpatizzanti del monoteismo ebraico o addirittura già circoncisi, non possono entrare nella parte più interna del tempio dove probabilmente Gesù si trovava: il recinto riservato agli ebrei. A segnare questo spazio vi era infatti una balaustra di cui ci parla anche lo storico Giuseppe Flavio che riportava delle scritte, ancora oggi conservate a Gerusalemme e Istanbul, le quali recitavano in lingua greca, per essere comprese dai non ebrei:

«Nessun straniero penetri al di là della balaustra e della cinta che circonda lo hierón (la zona del Tempio riservata, n.d.r.); chi venisse preso in flagrante sarà causa a se stesso della morte che ne seguirà».

Questi che vogliono vedere Gesù si rivolgono al discepolo che porta un nome greco, Philipp, che era di una città abitata anche da molti greci e forse lui stesso parlava la loro lingua. La richiesta doveva essere singolare se lo stesso Filippo si fa aiutare ed accompagnare da uno dei primi due discepoli di Gesù, anch’egli con un nome greco: Andreas.

Ricevuta la notizia Gesù coglie il momento come un altro segnale che la sua «ora» è venuta (Venit hora), quella della sua glorificazione nella sua Pasqua (GV 17,1). A Cana di Galilea, quando si era nella fase iniziale, Gesù ne fa menzione a sua Madre, adesso qui, stattdessen, si dice espressamente che l’ora: «È giunta». E come allora gli sposi delle nozze di Cana spariscono dalla scena, anche qui i greci paiono scortesemente messi da parte, affinché emerga una rivelazione su Gesù. Stavolta non un segno, ma le sue stesse parole la palesano. La sua morte sarà feconda come accade al chicco di grano che per moltiplicarsi e dare frutto deve cadere a terra e quindi marcire, sterben, altrimenti resta sterile e solo. Accettando di marcire e morire, il chicco moltiplica la sua vita e dunque attraversa la morte e giunge alla resurrezione.

Ritorna il paradosso delle parabole che Gesù sente il bisogno di chiarire:

«Chi ama la propria vita, la perde, e chi odia la propria vita in questo mondo, la custodisce per la vita eterna».

Per Gesù la vera morte non è quella fisica che gli uomini possono dare, aber es liegt in der Weigerung, sein Leben für andere zu geben, die sterile Abschottung von sich selbst; andererseits, Das wahre Leben ist der Höhepunkt eines Prozesses der Selbsthingabe. La vicenda del chicco di grano è la vicenda di Gesù ma anche quella di ogni suo servo, WHO, seguendo Gesù, conoscerà la passione e la morte come il suo Signore, ma anche la resurrezione e la vita per sempre. Non sarà solo Gesù a essere glorificato dal Padre ma anche il discepolo, il servitore che, seguendo il suo Signore, diventa suo amico (GV 15,15).

Che cosa, damit, Gesù promette di vedere? La sua passione, morte e resurrezione, la sua glorificazione, la croce come rivelazione dell’amore vissuto fino alla fine (vgl.. GV 13,1). A ogni discepolo, proveniente da Israele o dalle genti, è dato di contemplare nella sua morte ignominiosa la gloria di chi dà la vita per amore. L’Evangelista ci permette anche di gettare uno sguardo sui sentimenti più intimi vissuti da Gesù e sulla sua coscienza filiale. Come i sinottici racconteranno l’angoscia di Gesù al Getsemani (vgl.. MC 14,32-42 e par.), nel momento che precede la sua cattura, Giovanni riporta la sua confessione: «Ora l’anima mia è turbata». Egli è turbato per quel che sta per accadere, come già si era turbato e aveva pianto alla morte dell’amico Lazzaro (vgl.. GV 11,33-35). Ma questa angoscia umanissima non diventa un inciampo posto sul suo cammino: Gesù è si tentato, ma vince radicalmente la tentazione con l’adesione alla volontà del Padre. In modo diverso dai sinottici, ma concorde con loro, per Giovanni Gesù non ha voluto salvarsi da quell’ora, né esserne esentato, ma rimane fedele alla sua missione compiendo la volontà del Padre, in unione profonda con Lui, tanto che la gloria è fra loro condivisa: "Vati, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora». Ritornano alla mente le parole della Lettera agli Ebrei:

«Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui (sua reverentia), venne esaudito» (EB 5,7).

Ma l’ora di Gesù corrisponde anche al giudizio sul mondo che non conosce l’amore del Cristo e vi si oppone:

«Ora avviene il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo è gettato fuori. And I, quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me»

un rimando a quel serpente innalzato da Mosè (vgl.. nm 21,4-9; GV 3,14) che salvava gli israeliti. L’«ora» messianica di Gesù espelle il principe del mondo che preferisce le tenebre del male e lascerà spazio all’autentico Re che, anche se governa da una croce, attrae tutti per amore e verso il quale bisogna rivolgere uno sguardo di fede. Ecco la vera risposta a quanti volevano, e ancora oggi vogliono, «vedere Gesù».

La pagina odierna del Vangelo è la buona notizia soprattutto per tutti quei discepoli che conoscono la dinamica del cadere a terra, del «marcire» nella sofferenza, nella solitudine e nel nascondimento. In alcune ore della vita sembra che tutta la sequela si riduca solo alla passione e alla desolazione, all’abbandono e al rinnegamento da parte degli altri, ma allora più che mai occorre guardare all’immagine del chicco di grano consegnataci da Gesù; più che mai occorre rinnovare lo sguardo della fede: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (GV 19,37).

Secondo un’antica tradizione il Vescovo Ignazio di Antiochia (35 circa – Roma, 107 zirka) conobbe l’apostolo San Giovanni. Non sorprende perciò ritrovare in una sua lettera indirizzata ai cristiani di Roma, dove troverà il martirio, una concordanza di termini e di vedute con il Vangelo che oggi abbiamo letto:

«Sono frumento di Dio e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo… È meglio per me morire per Gesù Cristo che estendere il mio impero fino ai confini della terra… Il principe di questo mondo vuole portarmi via e soffocare la mia aspirazione verso Dio. Ogni mio desiderio terreno é crocifisso e non c’é più in me nessuna aspirazione per le realtà materiali, ma un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: “Vieni al Padre”».

Aus der Eremitage, 17 Marsch 2024

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Sant'Angelo-Höhle in Ripe (Civitella del Tronto)

 

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Die Väter der Insel Patmos

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Gabriele GiordanoM. Scardocci
Vom Orden der Prediger
Presbyter und Theologe

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Pater Gabriele

Abtreibung, das neue Dogma unserer Zeit mit dem Schrei der Freiheit, Egalitär, Brüderlichkeit …

ABTREIBUNG, Das neue Dogma unserer Zeit schreit auf FREIHEIT, GLEICHWERTIGKEIT, BRUDERSCHAFT...

Für die katholische Moral, die aus dem Evangelium und der lebendigen Tradition der Kirche hervorgeht, sowie durch rationale Reflexion, Abtreibung ist ein Übel und eine Sünde, ein schweres Verbrechen gegen das Leben, schlimmer als der Mord an einem Mann oder der Femizid. Ein Mann oder eine Frau, deren Leben angegriffen wird, In gewisser Weise könnten sie sich auch verteidigen und dem Tod entgehen, oder vor dem Angriff des Mörders fliehen, aber ein Kind im Mutterleib ist es nicht, er kann sich in keiner Weise verteidigen oder entkommen.

 

Autor:
Gabriele GiordanoM. Scardocci, o.p.

 

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Nobelpreisträgerin Mutter Teresa von Kalkutta er wiederholte einen Satz: „Der größte Friedenszerstörer ist die Abtreibung“. Der lapidare Ausdruck stellt eine Herausforderung an jene Strömungen des modernen Denkens dar, die oft die Logik des Todes dem Leben vorziehen. Dazu gehört eine gewisse Freiheitskultur, die die Möglichkeit der Abtreibung eröffnet, bis zu dem Punkt, dass es zu einem zeitgenössischen „Dogma“ wird., wurzelt in den tiefsten Überzeugungen der Menschen und natürlich auch der Politiker, die in Parlamenten abstimmen und Gesetze erlassen, die den freiwilligen Schwangerschaftsabbruch begünstigen. Im letzten italienischen Wahlkampf beruhigten sogar einige katholisch inspirierte Politiker ihre Wähler Talkshow Fernsehen bestätigend: „Abtreibung bleibt ein immaterielles Recht“ (!?).

 

Über das Ich möchte mich auf politische Ereignisse beziehen, die sich in zwei reifen Demokratien ereignet haben, Was sind die amerikanischen und die französischen?, in dem wir die Schwäche einer Kultur der Freiheit auf der einen Seite erkennen können, die sich zum Nachteil einer anderen, schwächeren Kultur auswirkt, fast keine Rechte haben: die des ungeborenen Kindes, das nach seiner eigenen Existenz strebt.

Im November 2022 im Bundesstaat Montana (Vereinigte Staaten von Amerika) Es fand eine Volksabstimmung statt, bei der den Wählern folgende Frage vorgeschlagen wurde:

„Medizinische Versorgung muss den Kindern bereitgestellt werden, die sie benötigen, wenn sie einen Abtreibungsversuch überlebt haben?».

Das „Nein“-Votum hat gewonnen, mit einem Prozentsatz gleich 52% der Wähler. Nach der Meinung von 231.345 Wähler dieses amerikanischen Staates sollten keine Behandlung für ein Kind erhalten, das im Sterben liegt, weil der erste Versuch, seinem Leben ein Ende zu setzen, gescheitert ist: Die „Freiheit“ einer Frau geht vor ihrem Recht auf Leben. Nach Ansicht der Befürworter des Nein-Votums hat das Gesundheitspersonal jedes Recht, ein Kind sterben zu lassen, solange die Frau sieht, dass ihre Wahl und ihr Körper „respektiert“ werden.. Es sind Verirrungen, die einem moralischen Gewissen entgehen; Es ist tatsächlich sehr schwer zu verstehen, wie sich das Ereignis ereignet hat, Lass uns einen Blick darauf werfen, von einem kleinen Mädchen, das einen gescheiterten Abtreibungsversuch überlebte, könnte als Gewalt gegen den Körper der Frau definiert werden, die es nicht wollte und deshalb sterben sollte, verhindert, dass sie lebensrettende Pflege erhält.

Bald sagte: Gerade heute, wo die sogenannte gute Gesellschaft Fälle von Femiziden herbeisehnt, Gleichzeitig müssen wir beachten, dass es nicht als Femizid gilt, wenn ein Mädchen nach einer verpatzten Abtreibung lebend zur Welt kommt, wird dem Sterben überlassen. Tatsächlich handelt es sich nur dann um Feminizid, wenn ein Mann eine Frau aus kriminellen Impulsen tötet, aber nicht, wenn ein Gynäkologe ein kleines Mädchen tötet, denn in diesem zweiten Fall stehen wir vor der Ausübung eines gesetzlich geschützten Rechts, Die Ausübung erfolgt durch die Mutter, der die Macht über Leben und Tod zuerkannt wird, und durch den Gynäkologen, der die medizinische Kunst anwendet, um der Frau zu helfen, dieses unbestreitbare Recht in Anspruch zu nehmen. Andererseits, mehr als unbestreitbar, dogmatisch!

Viel bedeutender als das Referendum in Montana war die kürzliche endgültige Genehmigung der Verfassungsänderung durch das französische Parlament, der Kongress des Parlaments, als in zusammengesetzten Kammern, Montag 4 März dieses Jahres, wollte das „Recht“ auf Abtreibung in die Verfassungscharta aufnehmen. Frankreich ist mittlerweile nicht nur in Europa das führende Land, sondern auch in der Welt, das Recht auf Abtreibung in seine Grundcharta aufzunehmen. Dieses Recht wurde in Frankreich durch das Simone-Veil-Gesetz geregelt 1975. Das Votum des französischen Parlaments e triumphale Töne der Kommentare, die ihn begeisterten, in Frankreich sowie in der internationalen Presse, Sie scheinen eine Tragödie so zu verwandeln, dass man sich darüber empört und dagegen ankämpft, in einer höchsten Bekräftigung der Würde und Freiheit der Frau. Abtreibung wird zum Symbol der Emanzipation, Prophezeiung einer neuen Art, Weiblichkeit zu verstehen. Dies überschattet einmal mehr die Dringlichkeit, mehr Ressourcen für Frauen zu investieren, statt der Lizenz, seine Kinder zu eliminieren, die Möglichkeit, dies nicht zu tun. Die jetzt genehmigte Verfassungsänderung, Dies wird von Präsident Emmanuel Macron nachdrücklich unterstützt, um einen Unterschied in der Herangehensweise gegenüber einem früheren Urteil des Obersten Gerichtshofs der Vereinigten Staaten zu markieren (sehen WHO), stellt beispielsweise die Franzosen vor mehrere Probleme, Sie folgen einem religiösen Bekenntnis, das die Abtreibung ablehnt, Sie betrachten es nun als ein in der Verfassung verankertes Recht. Keine Amerikaner, in dem durch den oben genannten Satz vorgesehenen Fall, der die Entscheidung über den Schwangerschaftsabbruch auf die Länder vertagt, Er wurde in die Lage versetzt, zwischen seinem Bürgertum und seinem Gewissen zu wählen. Im französischen Fall jedoch ja.

Abtreibung war für viele Frauen schon immer eine schmerzhafte Notwendigkeit, Sie selbst waren die ersten Opfer. Das Kind, das man in seinem Bauch trägt, zu töten, war und ist schon immer so, für eine normale Mutter, ein Drama, noch schrecklicher durch die Tatsache, dass es sich um eine chauvinistische Gesellschaft handelt, auch heute noch, er tut nicht alles, um es zu vermeiden, Sie lässt sie oft allein, um die vielen Probleme, die das Muttersein problematisch machen, aus erster Hand zu erleben. Aus diesem Grund wirft es aus philosophischer Sicht mehrere Probleme auf, sich als Motivation für eine solche politische Haltung auf die logische Anerkennung der Freiheit der Frau zu verlassen., moralisch und biologisch. Für Biologie, z.B, Es gibt keine „Sprünge“ zwischen dem vorgeburtlichen Leben und dem Leben nach der Geburt, und eine Zäsur zwischen dem einen und dem anderen wäre willkürlich: Die Ungeborenen sind biologisch menschliche Individuen, wie die Geborenen. Alles hängt dann von den philosophischen und ethischen Begründungen ab, die zur Rechtfertigung der Abtreibung und vieler Gelehrter angeführt werden können, sogar nicht-religiöse, haben hervorgehoben, dass die christliche Ethik zumindest ein Hindernis für die möglichen Folgen ähnlicher Rechte darstellt, die in der Verfassung verankert sind und sich aus persönlichen Freiheiten ergeben. Auf diese Weise kann in Zukunft entschieden werden, wer ein selbstbewusstes Subjekt ist und wer nicht zu einem Fötus gehört, ein Kleinkind, eine psychisch kranke Person oder im Koma, eine Person, die an völliger Demenz leidet und nicht in der Lage ist, etwas zu verstehen und zu wollen?

Die beiden oben berichteten politischen Fälle Sie lassen uns an die spartanische Tradition zurückdenken, die mit dem Berg Taygetos verbunden ist. Auf diesen Berg wurden die Kinder geworfen, die unerwünscht waren, weil sie nicht für das Militärleben geeignet oder „untauglich“ waren, und zum Sterben verurteilt. «Die Wegwerfkultur», wie der Heilige Vater Franziskus es damals nannte 2023. Weil, wie wir wissen, für eine katholische Moral, die sich aus dem Evangelium und der lebendigen Tradition der Kirche ergibt, sowie durch rationale Reflexion, Abtreibung ist ein Übel und eine Sünde, ein schweres Verbrechen gegen das Leben, schlimmer als der Mord an einem Mann oder der Femizid. Ein Mann oder eine Frau, deren Leben angegriffen wird, In gewisser Weise könnten sie sich auch verteidigen und dem Tod entgehen, oder vor dem Angriff des Mörders fliehen, aber ein Kind im Mutterleib ist es nicht, er kann sich in keiner Weise verteidigen oder entkommen.

Die Katechismus der Katholischen Kirche Erinnern Sie die Gläubigen daran: „Das menschliche Leben ist heilig, weil, seit seiner Gründung, es beinhaltet das schöpferische Handeln Gottes und bleibt für immer in einer besonderen Beziehung zum Schöpfer, sein einziger Zweck. Nur Gott ist der Herr des Lebens von seinem Anfang bis zu seinem Ende: niemand, unter allen Umständen, das Recht beanspruchen, einen unschuldigen Menschen direkt zu vernichten" (Nr 2258). Und die Nummer 2302 erinnert daran – ein Echo der eingangs berichteten Worte von Mutter Teresa –, dass wir unter den Feinden des Friedens in erster Linie Mord finden.

Die Päpste sind von dieser Frage der Abtreibung betroffen Sie alle vertraten eine klare und gegensätzliche Position. Der Heilige Vater Franziskus, mit der farbenfrohen Einstellung, die ihn oft auszeichnet, Er hat wiederholt erklärt, dass diese Spirale des Hasses bei Abtreibungen deutlich zu erkennen sei, denn wenn man eine Abtreibung vornehme, sei das so, als würde man einen Auftragskiller dafür bezahlen, einen Mord zu begehen (vgl.. WHO). Der Heilige Vater Benedikt XVI. erinnerte vor einigen Jahren an die schreckliche Wunde, die die Abtreibungsgesetze hinterlassen hatten, angeben: „Sie haben eine Mentalität der fortschreitenden Entwertung des Lebenswertes geschaffen“ (vgl.. WHO). Das Lehramt des Heiligen Johannes Paul II. war in dieser Hinsicht sehr klar: „Alles scheint mit größtem Respekt vor der Legalität zu geschehen, Zumindest wenn die Gesetze, die Abtreibung oder Sterbehilfe erlauben, nach sogenannten demokratischen Regeln verabschiedet werden. In Wahrheit, wir haben es nur mit einem tragischen Anschein von Legalität und dem demokratischen Ideal zu tun, Das ist dann wirklich so, wenn es die Würde jedes Menschen anerkennt und schützt, es ist in seinen Grundfesten verraten: „Wie ist es möglich, noch über die Würde jedes Menschen zu sprechen?, wenn die Schwächsten und Unschuldigsten getötet werden dürfen? Im Namen welcher Gerechtigkeit wird die ungerechteste Diskriminierung von Menschen begangen?, einige für verteidigungswürdig erklären, während anderen diese Würde verweigert wird?». Wenn diese Bedingungen eintreten, werden bereits jene Dynamiken ausgelöst, die zur Auflösung des authentischen menschlichen Zusammenlebens und zum Zerfall der staatlichen Realität selbst führen. Fordern Sie das Recht auf Abtreibung ein, zum Kindsmord, zur Sterbehilfe verpflichten und diese rechtlich anerkennen, ist gleichbedeutend damit, der menschlichen Freiheit eine perverse und unfaire Bedeutung zuzuschreiben: das der absoluten Macht über andere und gegen andere. Aber das ist der Tod der wahren Freiheit: „Truly, in Wahrheit sage ich Ihnen: Wer Sünde begeht, ist ein Sklave der Sünde (GV 8, 34)» (vgl.. Evangelium des Lebens, n. 20).

Das Drama der Abtreibung, weil es so bleibt, es erscheint daher nicht gerade liberal, seit ich jemandem das Leben genommen habe, hieß es am Anfang, Frieden erfährt eine Wunde; und auch dieser innere Frieden verschwindet, der Seele, bei jemandem, der so eine gewalttätige Geste macht. Schlussendlich, damit, jenseits von Freiheit und Frieden, sogar die Hoffnung stirbt. Zunächst einmal das des Fötus, weil ihm die Zukunft verwehrt bleibt, seine menschliche Geschichte unter seinesgleichen. Aber auch das der Frau, die, trotz aller gesundheitlichen und psychologischen Hilfe, Sie wird diesen schrecklichen Schritt allein wagen. In diesem Moment mag es Sie trösten zu wissen, dass Abtreibung zu Ihren verfassungsmäßigen Rechten gehört? Oder er denkt an all die Hilfe zurück, die er gebraucht hätte – nicht nur moralisch und spirituell, aber auch wirtschaftlich, sozial und politisch - so dass er keine ähnliche Entscheidung treffen müsste, sie und alle Frauen auf der Welt, die ihren Kindern das Leben genommen haben?

Novelle Santa Maria in Florenz, 16 Marsch 2024

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Pater Gabriele, Roma, Platz der Republik (ehemals Piazza Esedra) Marsch fürs Leben

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DIE NEUESTEN EPISODEN SIND IM ARCHIV VERFÜGBAR: WHO

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Die Väter der Insel Patmos

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Wenn man nicht von oben geboren wird, er kann das Reich Gottes nicht sehen

Homiletik der Väter der Insel Patmos

SE UNO NON NASCE DALL’ALTO, NON PUÒ VEDERE IL REGNO DI DIO

La morale giovannea è una morale della verità: „Stattdessen kommt derjenige, der die Wahrheit tut, dem Licht entgegen.“, damit es deutlich erscheint, dass seine Werke in Gott getan wurden“. Im wachsenden Bewusstsein, dass „ohne mich nichts geht“, le conseguenze dell’essere cristiano, anche a livello morale, vengono collegate in Giovanni al tema del rimanere. Il rimanere con Gesù implica come dovere a livello di coerenza, ma prima e innanzitutto come conseguenza a livello dell’essere, vivere come Gesù: «Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato».

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.HTTPS://youtu.be/4fP7neCJapw.

 

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Poiché il Vangelo di Marco è più breve degli altri, alcuni brani del Vangelo di Giovanni concorrono a coprire tutte le domeniche dell’anno liturgico, vor allem während der Fastenzeit. Sono testi che aiutano a comprendere quel mistero pasquale che si celebrerà in particolare nei giorni del «Triduo». Essi anticipano temi importanti, come quello dell’innalzamento del «Figlio dell’uomo» a cui accenna il seguente brano evangelico che si proclama nella quarta domenica di Quaresima.

Henry Ossawa Tanner: Gesù e Nicodemo, Öl auf Leinwand, 1899, Pennsylvania Academy of the Fine Arts (Vereinigte Staaten von Amerika)

„Zu dieser Zeit, Gesù disse a Nicodèmo: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, so muss der Menschensohn auferweckt werden, damit jeder, der an ihn glaubt, ewiges Leben hat. Tatsächlich liebte Gott die Welt so sehr, dass er den einzigen Sohn gab, damit jeder, der an ihn glaubt, nicht verloren geht, sondern das ewige Leben haben. Es gab, in der Tat, schickte den Sohn nicht in die Welt, um die Welt zu verurteilen, aber damit die Welt durch ihn gerettet wird. Wer an ihn glaubt, wird nicht verurteilt; aber diejenigen, die nicht glauben, wurden bereits verurteilt, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, Er hasst das Licht, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”» (GV 3,14-21)

Nei Sinottici, Gesù predice che dovrà soffrire molto; annuncia che «sarà schernito, flagellato e crocifisso» (MT 20,19) e che il terzo giorno risorgerà. Johann, stattdessen, annunciando la passione di Gesù la presenta come una «esaltazione». Lo fa nei capitoli 3 (vv. 14-15), 8 (v. 28) e 12 (v. 32). L’ultimo è il brano più esplicito: «Quando io sarò innalzato [exaltatus] da terra attirerò tutti a me». Nel versetto precedente Gesù aveva detto: «Ora è il giudizio di questo mondo, ora il principe di questo mondo [Satan] sarà cacciato fuori». Jesus, innalzato da terra, prenderà il suo posto, divenendo re e attirando tutti a sé. Ma l’esaltazione di Gesù non avverrà in Paradiso, bensì sulla croce. Molti hanno interpretato, in der Tat, l’innalzamento di Gesù come un anticipo giovanneo della sua Ascensione, mentre qui si fa invece esplicito riferimento alla morte del Signore. Tutto questo potrebbe apparire sconcertante perché nel nostro brano, Der andere Bruder, siamo all’inizio del Vangelo e non alla fine, eppure Gesù già parla della sua morte. Del resto anche nel prologo avevamo letto che: «I suoi non l’anno accolto» (GV 1,11). E non dimentichiamo che questa è anche la Domenica «In Laetare» come proclama l’antifona d’ingresso della liturgia eucaristica. Dove trovare dunque i motivi per rallegrarsi? Evidentemente in questa verticalità evangelica che da vertigini.

Il primo ad essere sconcertato è Nicodemo, l’interlocutore di Gesù, al quale viene chiesta una rinascita dall’alto (desuper), cioè dallo Spirito effuso dall’alto. La reazione stupìta di Nicodemo ― «Come può accadere questo?» ― incontra una risposta da parte di Gesù che sconcerta anche noi:

«Se non credete quando vi ho parlato di cose della terra, come crederete se vi parlerò di cose del cielo?» (GV 3,12).

Stando al contesto le cose terrestri consistono proprio nella dinamica di rinascita spirituale che deve avvenire in vita, hier auf der Erde, nell’umanità della persona che, grazie alla fede, si apre all’azione dello Spirito. Mentre le cose celesti sono il paradosso di un innalzamento che coincide con una condanna a morte e una crocifissione che, secondo Giovanni, è esaltazione e glorificazione. Ritroviamo l’eco delle parole del profeta Isaia: «Chi crederà alla nostra rivelazione(53,1); le quali seguono l’annuncio che il «servo del Signore sarà innalzato» (Ist 52,13). Il verbo greco, in versione della Settanta (LXX), ypsóo, sarà usato anche da Giovanni nel nostro testo per indicare l’innalzamento del Figlio dell’uomo. Così al cuore della fede cristiana vi è qualcosa di sorprendente specificato subito dopo: l’innalzamento del Figlio dell’uomo è l’evento che adempie e realizza in pienezza il dono che il Padre ha fatto all’umanità: il dono del Figlio. L’innalzamento sulla croce che sembra apparire come il punto più infimo della vita di Gesù, per lo sguardo di fede è il momento nel quale si nasce dall’alto, come veniva chiesto a Nicodemo: „Truly, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio»; grazie al dono dello Spirito che il crocifisso effonde. È qui il motivo per rallegrarci, poiché se «nessuno mai è salito al cielo se non colui che è disceso dal cielo» (GV 3,13), l’evento che potremmo leggere come il più basso della vita di Gesù, la sua croce, diviene secondo Giovanni il momento più alto per lui e per noi: occasione di un dono che palesa tutto l’amore di Dio. Un amore che, so wie, non intende minimamente condannare, ma solo salvare. Un amore gratuito e incondizionato che si può diffondere e può manifestare le sue energie in chi vi fa spazio accogliendolo in sé attraverso la fede: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito». Un dono che è verticale e asimmetrico perché non cerca reciprocità: «Wie der Vater mich liebte, così io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (GV 15,9); «Come io ho amato voi, così voi amatevi gli uni gli altri» (GV 13,34).

Qui dobbiamo insistere sull’assoluta novità di una affermazione. Nelle altre religioni si parla per esempio della profondità del mistero di Dio, della sua grandezza, della sua eternità, della sua giustizia, usw.. Ma solo il cristianesi­mo ci insegna:

«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui […] abbia la vita eterna» (GV 3, 16).

Una tale rivelazione trasforma la morale cristiana. Gesù ci ha lasciato un solo comandamento, che è un comandamento nuovo, quello di amarci gli uni gli altri, come lui ha amato noi (GV 13, 34). Solo così si spiega il fatto, a prima vista paradossale, che tutta la morale giovannea è praticamente una morale della verità. Si compendia in due pre­cetti fondamentali: la fede che ci apre al Mistero e l’amore che ci fa vivere nel mistero della rivelazione. Per converso Giovanni sembra conoscere, nella sua essenzialità e semplicità ricchissime, solo due peccati: il rifiuto della fede in Gesù e l’odio del fratello.

Così la morale giovannea è una morale della verità: „Stattdessen kommt derjenige, der die Wahrheit tut, dem Licht entgegen.“, damit es deutlich erscheint, dass seine Werke in Gott getan wurden“. Im wachsenden Bewusstsein, dass „ohne mich nichts geht“, le conseguenze dell’essere cristiano, anche a livello morale, vengono collegate in Giovanni al tema del rimanere. Il rimanere con Gesù implica come dovere a livello di coerenza, ma prima e innanzitutto come conseguenza a livello dell’essere, vivere come Gesù: «Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato» (1 GV 2,6). «Chiunque rimane in Lui non pecca; chiunque pecca non lo ha visto né l’ha conosciuto» (1GV 3,6). Se il cristiano, wie Giovanni, rimane stupito a guardarlo, anzi se veramente rimane in Lui, allora non pecca più. In quanto chi rimane in quello stupore e in quella grazia non può peccare. È bellissimo, nella sua sinteticità, il commento di Agostino a questo versetto: «In quantum in ipso manet, in tantum non peccat». Una percezione comune soprattutto tra i padri della Chiesa orientale. Anche Ecumenio, un teologo della tradizione antiochena di Crisostomo, nel suo commento alla Prima lettera di Giovanni, schreibt:

«Quando colui che è nato da Dio si è completamente dato a Cristo che abita in lui mediante la filiazione, egli resta fuori della portata del peccato».

Diventiamo impeccabili in quanto ci abbandoniamo totalmente a Gesù Cristo, in quanto rimaniamo in Lui.

Per concludere e riassumere, se mai fosse possibile, temi di così grande densità teologica ricavabili dal brano evangelico di questa domenica, riporto un brano della costituzione dogmatica Das Licht:

"Christus, in der Tat, innalzato da terra, attirò tutti a sé; risorto dai morti, inviò sui discepoli il suo Spirito vivificante e per mezzo di lui costituì il suo corpo, die Kirche, quale universale sacramento di salvezza; assiso alla destra del Padre, opera incessantemente nel mondo per condurre gli uomini alla Chiesa e per mezzo di essa unirli più intimamente a sé e renderli partecipi della sua vita gloriosa nutrendoli con il suo corpo e il suo sangue».

Aus der Eremitage, 10 Marsch 2024

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Reise mit Nikodemus in die Nacht

Homiletik der Väter der Insel Patmos

VIAGGIO NELLA NOTTE CON NICODEMO

„Dio, in der Tat, schickte den Sohn nicht in die Welt, um die Welt zu verurteilen, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui»

Autor:
Gabriele GiordanoM. Scardocci, o.p.

 

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Liebe Brüder und Schwestern,

nelle nostre vite abbiamo avuto momenti di grande notte e tenebra esistenziale e spirituale. In quei momenti il Signore ci è stato vicino con la sua Luce, anche se forse all’inizio non ce ne siamo accorti. In questo cammino di Quaresima possiamo ripensare a quei momenti e scoprire il senso della speranza come carità teologale. Nicodemo stesso era andato da Gesù di notte. I due hanno un lungo scambio di cui oggi effettivamente è riportata solo una parte. La sezione più importante:

Cristo e Nicodemo, opera di Pieter Crijnse Volmarijn, XVII sec.

„Zu dieser Zeit, Gesù disse a Nicodèmo: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, so muss der Menschensohn auferweckt werden, damit jeder, der an ihn glaubt, ewiges Leben hat. Tatsächlich liebte Gott die Welt so sehr, dass er den einzigen Sohn gab, damit jeder, der an ihn glaubt, nicht verloren geht, sondern das ewige Leben haben. Es gab, in der Tat, schickte den Sohn nicht in die Welt, um die Welt zu verurteilen, aber damit die Welt durch ihn gerettet wird. Wer an ihn glaubt, wird nicht verurteilt; aber diejenigen, die nicht glauben, wurden bereits verurteilt, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, Er hasst das Licht, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”» (GV 3, 14-21).

Inizialmente Gesù fa riferimento al serpente nel deserto innalzato da Mosè (14-15), sostenendo con gran forza che Lui è il nuovo innalzato che donerà la vita eterna. Effektiv, il richiamo al serpente non era nuovo per Nicodemo. Denn hier, Jesus, fa riferimento all’episodio in cui Mosè aveva preso un serpente e postolo su di un’asta liberava dalla morte gli ebrei avvelenati (vgl.. nm 21,8 ss).

Ecco allora che Gesù è il Nuovo Innalzato: colui che se accolto con fede e amore libera da tutti i veleni della nostra vita. I peccati, i vizi e le fragilità. Accogliere la vita vera ed autentica è scoprire tutte le proprie potenzialità, i doni di Dio e offrirli nella carità al prossimo. Occorre dunque purificare lo sguardo della nostra fede per cercare di incontrare Gesù innalzato anche nei momenti di difficoltà e sofferenza. Anche quel momento, se vissuto con fede dona momenti di crescita: si entra nella vita nuova quando si è innalzati sulla propria croce in Lui, nei momenti cruciali della vita.

Questo fiorire nella vita nuova in Cristo spalanca la speranza per un mondo migliore già adesso, che costruisce il Bene Comune nella Carità, e anche la speranza escatologica. La speranza cioè di essere redenti e un giorno di andare in Paradiso. Gesù stesso lo promette a Nicodemo:

„Dio, in der Tat, schickte den Sohn nicht in die Welt, um die Welt zu verurteilen, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

La salvezza che Gesù ci offre avviene proprio sulla croce, in welchem, con un’opera supererogatoria ci ha riscattato dal dominio del peccato e del demonio; noi abbiamo attinto a questa salvezza direttamente nel nostro battesimo e l’abbiamo rinvigorita nella cresima.

In dieser Fastenzeit possiamo rinvigorire la fede e la speranza della vita eterna, sempre con degli atti di carità, ma anche con uno sguardo di speranza e di bene sulla storia che viviamo. In der Tat, la micro-storia personale che viviamo nella nostra quotidianità è un grande dono di grazia: Dio ci ha donato vita, libertà e vocazione personale, deshalb, le nostre scelte personali influiscono nella costruzione del nostro quotidiano. Il nostro quotidiano se vissuto con fede e carità ci permette di sperare di costruire una macro-storia del mondo in cui viviamo, che spalanca la strada della speranza per la vita eterna. Damit, nel nostro piccolo percorso quotidiano amiamo, crediamo e operiamo nel Bene al contempo fondiamo la speranza di una vita che sarà eternamente bella perché al cospetto di Dio. La vita eterna che sarà inaugurata dalla mattina di Pasqua in cui con Cristo saremo chiamati a nascere per non morire mai più.

La Quaresima ci purifica per imparare a sperare nell’Eterno e non più solo sulle realtà temporanee. Chiediamo al Signore di crescere sempre più nella speranza e generare sempre più un cuore effuso dal suo Santo Spirito e dall’amore mariano.

So sei es!

Novelle Santa Maria in Florenz, 10 Marsch 2024

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Die Väter der Insel Patmos

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Gabriele GiordanoM. Scardocci
Vom Orden der Prediger
Presbyter und Theologe

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Pater Gabriele

Vom Herzen Gottes geprüft werden

Homiletik der Väter der Insel Patmos

ESSERE SCRUTATI DAL CUORE DI DIO

Gesù scruta il cuore degli uomini testimoni dei suoi miracoli e si accorge che la loro non è una vera fede ma solo emozione. Es ist ein Glaube, der nur Sensationslust anstrebt, was wir heute als „Fideismus“ definieren würden. Gesù cerca invece di donare loro una fede che sia autentica e forte.

Autor:
Gabriele GiordanoM. Scardocci, o.p.

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Liebe Leserinnen und Leser der Insel Patmos,

In questa terza tappa verso la Pasqua osserviamo un momento molto forte della vita di Gesù. L’unico episodio in cui il Signore sembra quasi utilizzare delle azioni violente in cui combatte la mentalità del suo tempo. In effetti ogni scena di combattimento è sempre forte agli occhi. Pensiamo alle scene di guerra descritte nelle grandi opere classiche come l’Iliade o la Jerusalem befreit. Il combattimento di Gesù, Aber, non è finalizzato alla guerra, ma finché nel cuore dell’uomo e in ciascuno di noi sgorghi un sentimento di fede e di conversione continua.

In questa III domenica di quaresima Leggiamo il celeberrimo passo della cacciata dei mercanti dal tempio nel (testo del Vangelo QUI). Una scena davvero forte. Una modalità da parte del Signore per purificare il Tempio, cioè la casa di Dio, dalle impurità che le vendite non sempre giuste venivano qui operate. aber, il Tempio, è spazio sacro in cui i mercanti davvero non potevano entrare per finalità di compravendita.

Diese Folge si applica generalmente al nostro tempo come condanna del mercato e delle speculazioni finanziarie disumane e che non rispettano la dignità e la sacralità dell’uomo. Ma questo è anche segno che Gesù non è attento alla singola materialità economica in sé stessa ma come mezzo per il fine. Il denaro, damit, per quanto mezzo necessario, non può mai diventare un sostituto di Dio.

Il dialogo successivo è scusa che Gesù usa per annunciare la sua Passione. Per affermare il suo atto d’amore finale. Questo atto d’amore è Redenzione e liberazione dal peccato. Ed è anche il Grande Segno di Gesù, più grande di tutti gli altri segni, che dobbiamo riscoprire anche noi in questa Quaresima. Se infatti leggiamo con attenzione questa pericope:

«Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, viele, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Jesus, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo».

Comprendiamo in che modo Gesù, tramite la sua conoscenza divina per via eternitatis, scruta il cuore degli uomini che erano testimoni dei suoi miracoli. E si accorge che la loro non è una vera fede ma solo emozione. Es ist ein Glaube, der nur Sensationslust anstrebt, o quello che oggi definiremmo “fideismo”. Gesù cerca invece di donare loro una fede che sia autentica e forte.

Questo è il nostro cammino quotidiano che in questo periodo forte possiamo intraprendere con coraggio. Facciamoci aiutare con la preghiera, i Sacramenti e l’affidamento al Signore a liberarci da una fede poco matura, emotiva e fragile. Questo percorso può anche aiutarci a comprendere quali sono le nostre difficoltà e distrazioni nella preghiera e nella pratica delle opere di misericordia.

Il tutto ci porterà a crescere nell’essere conosciuti per divenire gradualmente sempre più intimi col Signore. E questa intimità sarà fonte di gioia e soddisfazione.

Wir bitten den Herrn di avere sempre un cuore aperto alle sue ispirazioni d’amore e di verità per diventare uomini nuovi in Lui.

So sei es!

Novelle Santa Maria in Florenz, 3 Marsch 2024

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