Wenn man nicht von oben geboren wird, er kann das Reich Gottes nicht sehen

Homiletik der Väter der Insel Patmos

SE UNO NON NASCE DALL’ALTO, NON PUÒ VEDERE IL REGNO DI DIO

La morale giovannea è una morale della verità: „Stattdessen kommt derjenige, der die Wahrheit tut, dem Licht entgegen.“, damit es deutlich erscheint, dass seine Werke in Gott getan wurden“. Im wachsenden Bewusstsein, dass „ohne mich nichts geht“, le conseguenze dell’essere cristiano, anche a livello morale, vengono collegate in Giovanni al tema del rimanere. Il rimanere con Gesù implica come dovere a livello di coerenza, ma prima e innanzitutto come conseguenza a livello dell’essere, vivere come Gesù: «Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato».

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.HTTPS://youtu.be/4fP7neCJapw.

 

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Poiché il Vangelo di Marco è più breve degli altri, alcuni brani del Vangelo di Giovanni concorrono a coprire tutte le domeniche dell’anno liturgico, vor allem während der Fastenzeit. Sono testi che aiutano a comprendere quel mistero pasquale che si celebrerà in particolare nei giorni del «Triduo». Essi anticipano temi importanti, come quello dell’innalzamento del «Figlio dell’uomo» a cui accenna il seguente brano evangelico che si proclama nella quarta domenica di Quaresima.

Henry Ossawa Tanner: Gesù e Nicodemo, Öl auf Leinwand, 1899, Pennsylvania Academy of the Fine Arts (Vereinigte Staaten von Amerika)

„Zu dieser Zeit, Gesù disse a Nicodèmo: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, so muss der Menschensohn auferweckt werden, damit jeder, der an ihn glaubt, ewiges Leben hat. Tatsächlich liebte Gott die Welt so sehr, dass er den einzigen Sohn gab, damit jeder, der an ihn glaubt, nicht verloren geht, sondern das ewige Leben haben. Es gab, in der Tat, schickte den Sohn nicht in die Welt, um die Welt zu verurteilen, aber damit die Welt durch ihn gerettet wird. Wer an ihn glaubt, wird nicht verurteilt; aber diejenigen, die nicht glauben, wurden bereits verurteilt, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, Er hasst das Licht, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”» (GV 3,14-21)

Nei Sinottici, Gesù predice che dovrà soffrire molto; annuncia che «sarà schernito, flagellato e crocifisso» (MT 20,19) e che il terzo giorno risorgerà. Johann, stattdessen, annunciando la passione di Gesù la presenta come una «esaltazione». Lo fa nei capitoli 3 (vv. 14-15), 8 (v. 28) e 12 (v. 32). L’ultimo è il brano più esplicito: «Quando io sarò innalzato [exaltatus] da terra attirerò tutti a me». Nel versetto precedente Gesù aveva detto: «Ora è il giudizio di questo mondo, ora il principe di questo mondo [Satan] sarà cacciato fuori». Jesus, innalzato da terra, prenderà il suo posto, divenendo re e attirando tutti a sé. Ma l’esaltazione di Gesù non avverrà in Paradiso, bensì sulla croce. Molti hanno interpretato, in der Tat, l’innalzamento di Gesù come un anticipo giovanneo della sua Ascensione, mentre qui si fa invece esplicito riferimento alla morte del Signore. Tutto questo potrebbe apparire sconcertante perché nel nostro brano, Der andere Bruder, siamo all’inizio del Vangelo e non alla fine, eppure Gesù già parla della sua morte. Del resto anche nel prologo avevamo letto che: «I suoi non l’anno accolto» (GV 1,11). E non dimentichiamo che questa è anche la Domenica «In Laetare» come proclama l’antifona d’ingresso della liturgia eucaristica. Dove trovare dunque i motivi per rallegrarsi? Evidentemente in questa verticalità evangelica che da vertigini.

Il primo ad essere sconcertato è Nicodemo, l’interlocutore di Gesù, al quale viene chiesta una rinascita dall’alto (desuper), cioè dallo Spirito effuso dall’alto. La reazione stupìta di Nicodemo ― «Come può accadere questo?» ― incontra una risposta da parte di Gesù che sconcerta anche noi:

«Se non credete quando vi ho parlato di cose della terra, come crederete se vi parlerò di cose del cielo?» (GV 3,12).

Stando al contesto le cose terrestri consistono proprio nella dinamica di rinascita spirituale che deve avvenire in vita, hier auf der Erde, nell’umanità della persona che, grazie alla fede, si apre all’azione dello Spirito. Mentre le cose celesti sono il paradosso di un innalzamento che coincide con una condanna a morte e una crocifissione che, secondo Giovanni, è esaltazione e glorificazione. Ritroviamo l’eco delle parole del profeta Isaia: «Chi crederà alla nostra rivelazione(53,1); le quali seguono l’annuncio che il «servo del Signore sarà innalzato» (Ist 52,13). Il verbo greco, in versione della Settanta (LXX), ypsóo, sarà usato anche da Giovanni nel nostro testo per indicare l’innalzamento del Figlio dell’uomo. Così al cuore della fede cristiana vi è qualcosa di sorprendente specificato subito dopo: l’innalzamento del Figlio dell’uomo è l’evento che adempie e realizza in pienezza il dono che il Padre ha fatto all’umanità: il dono del Figlio. L’innalzamento sulla croce che sembra apparire come il punto più infimo della vita di Gesù, per lo sguardo di fede è il momento nel quale si nasce dall’alto, come veniva chiesto a Nicodemo: „Truly, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio»; grazie al dono dello Spirito che il crocifisso effonde. È qui il motivo per rallegrarci, poiché se «nessuno mai è salito al cielo se non colui che è disceso dal cielo» (GV 3,13), l’evento che potremmo leggere come il più basso della vita di Gesù, la sua croce, diviene secondo Giovanni il momento più alto per lui e per noi: occasione di un dono che palesa tutto l’amore di Dio. Un amore che, so wie, non intende minimamente condannare, ma solo salvare. Un amore gratuito e incondizionato che si può diffondere e può manifestare le sue energie in chi vi fa spazio accogliendolo in sé attraverso la fede: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito». Un dono che è verticale e asimmetrico perché non cerca reciprocità: «Wie der Vater mich liebte, così io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (GV 15,9); «Come io ho amato voi, così voi amatevi gli uni gli altri» (GV 13,34).

Qui dobbiamo insistere sull’assoluta novità di una affermazione. Nelle altre religioni si parla per esempio della profondità del mistero di Dio, della sua grandezza, della sua eternità, della sua giustizia, usw.. Ma solo il cristianesi­mo ci insegna:

«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui […] abbia la vita eterna» (GV 3, 16).

Una tale rivelazione trasforma la morale cristiana. Gesù ci ha lasciato un solo comandamento, che è un comandamento nuovo, quello di amarci gli uni gli altri, come lui ha amato noi (GV 13, 34). Solo così si spiega il fatto, a prima vista paradossale, che tutta la morale giovannea è praticamente una morale della verità. Si compendia in due pre­cetti fondamentali: la fede che ci apre al Mistero e l’amore che ci fa vivere nel mistero della rivelazione. Per converso Giovanni sembra conoscere, nella sua essenzialità e semplicità ricchissime, solo due peccati: il rifiuto della fede in Gesù e l’odio del fratello.

Così la morale giovannea è una morale della verità: „Stattdessen kommt derjenige, der die Wahrheit tut, dem Licht entgegen.“, damit es deutlich erscheint, dass seine Werke in Gott getan wurden“. Im wachsenden Bewusstsein, dass „ohne mich nichts geht“, le conseguenze dell’essere cristiano, anche a livello morale, vengono collegate in Giovanni al tema del rimanere. Il rimanere con Gesù implica come dovere a livello di coerenza, ma prima e innanzitutto come conseguenza a livello dell’essere, vivere come Gesù: «Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato» (1 GV 2,6). «Chiunque rimane in Lui non pecca; chiunque pecca non lo ha visto né l’ha conosciuto» (1GV 3,6). Se il cristiano, wie Giovanni, rimane stupito a guardarlo, anzi se veramente rimane in Lui, allora non pecca più. In quanto chi rimane in quello stupore e in quella grazia non può peccare. È bellissimo, nella sua sinteticità, il commento di Agostino a questo versetto: «In quantum in ipso manet, in tantum non peccat». Una percezione comune soprattutto tra i padri della Chiesa orientale. Anche Ecumenio, un teologo della tradizione antiochena di Crisostomo, nel suo commento alla Prima lettera di Giovanni, schreibt:

«Quando colui che è nato da Dio si è completamente dato a Cristo che abita in lui mediante la filiazione, egli resta fuori della portata del peccato».

Diventiamo impeccabili in quanto ci abbandoniamo totalmente a Gesù Cristo, in quanto rimaniamo in Lui.

Per concludere e riassumere, se mai fosse possibile, temi di così grande densità teologica ricavabili dal brano evangelico di questa domenica, riporto un brano della costituzione dogmatica Das Licht:

"Christus, in der Tat, innalzato da terra, attirò tutti a sé; risorto dai morti, inviò sui discepoli il suo Spirito vivificante e per mezzo di lui costituì il suo corpo, die Kirche, quale universale sacramento di salvezza; assiso alla destra del Padre, opera incessantemente nel mondo per condurre gli uomini alla Chiesa e per mezzo di essa unirli più intimamente a sé e renderli partecipi della sua vita gloriosa nutrendoli con il suo corpo e il suo sangue».

Aus der Eremitage, 10 Marsch 2024

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Sant'Angelo-Höhle in Ripe (Civitella del Tronto)

 

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