Domanda: “La Messa di Paolo VI è veramente valida”?

«LA MESSA DI PAOLO VI È VERAMENTE VALIDA»?

«Cari Padri dell’Isola di Patmos, talvolta sembra che nelle nostre chiese regni il caos liturgico: Messe dialogate, preghiere dei fedeli “spontanee” imbarazzanti, parole del messale variate a piacimento del celebrante, canti inopportuni, battimani e danze, donne che salgono all’altare durante le celebrazioni come se ne fossero padrone. Di recente ho letto un articolo che offre risposte attraverso un teologo domenicano, Padre Thomas Calmel. Ne sono rimasta colpita e vorrei sapere quanto questo scritto è vero, quindi chiedervi: “La Messa di Paolo VI, è veramente valida?”» [Chiara Caon, lettrice di Trento]

 

 

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Ariel S. Levi di Gualdo durante i vespri solenni

Caro Padre Giovanni.

Una lettrice di Trento ci ha inviato un articolo comparso sul sito Concilio Vaticano Secondo nel quale una pubblicista riporta per estratto alcune parti del pensiero del Padre Roger Thomas Calmel OP [1914-1975] che sostiene tesi fuorvianti sulla celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI [vedere QUI articolo integrale]. Dato che l’oggetto della domanda ruota attorno ad un tuo confratello domenicano, prego te di offrire risposta al quesito della nostra lettrice.

Il compito che con L’Isola di Patmos ci siamo prefissi è di fare teologia ecclesiale e pastorale in un momento di grande delicatezza che vede molti nostri fedeli sempre più disorientati, come prova il quesito sollevato da questa lettrice che di siffatto disorientamento è paradigma, perché molte sono le lettere più o meno analoghe che giungono alla posta della nostra redazione.

In alcuni miei articoli precedenti ho usato ironia e una certa irruenza verso alcuni opinionisti che non sono una semplice “minoranza” di “rumorosi insoddisfatti” ai quali non dar peso più di tanto, ma seminatori di errori velati dietro alla rassicurante difesa del depositum fidei, sino a funger spesso da punto di riferimento per molti smarriti, incapaci a cogliere in certi cattivi maestri il dramma delle «guide cieche» che «filtrano il moscerino e ingoiano il cammello» [cf. Mt 23, 24].

Nel contrastare certi errori si impone alle nostre coscienze sacerdotali un dovere di equilibrio e di prudenza riassumibile attraverso la celebre frase: «Non si può gettare via il bambino con l’acqua sporca», perché anche nelle posizioni errate, o in coloro che talvolta le portano avanti in buona fede, può esserci del buono. Il saggio apologo del bimbo e dell’acqua sporca mi porta però a temere il pericolo di caduta in un’altra insidia: anche in Ario e in Pelagio c’era del buono. Il primo era un uomo di fede, il secondo un pio asceta, entrambi teologi a tal punto raffinati che contro il primo si scomodò Sant’Atanasio, contro il secondo Sant’Agostino, i quali mai avrebbero perso il loro tempo prezioso col piccolo eretico del villaggio. E per giungere ai giorni nostri: non era forse, il Vescovo Marcel Lefebvre, un uomo di profonda pietà; un missionario straordinario che in Senegal formò buoni sacerdoti dando vita con ottimi risultati ai primi vescovi locali?

Per questo giudico cosa parecchio delicata cercare il buono nell’errante e gli elementi positivi di unione nell’eterodossia, perché se in questo agire la prudenza non è massima ed il rispetto del deposito della fede e del magistero della Chiesa non è ferreo, si può correre il rischio di trascinare in casa nostra le peggiori eresie dietro pretesti ecumenici o di dialogo interreligioso, come provano da alcuni decenni certe istituzione accademiche all’interno delle quali un numero elevato di teologi infarciti di modernismo insegnano dottrine di matrice protestante. Tutto questo è accaduto perché spesso si è cercato il buono ed i punti comuni di unione con gli erranti sino a trascinarci dentro casa anche i loro gravi errori, come tu stesso hai indicato tempo fa in una critica rivolta al pensiero del Cardinale Carlo Maria Martini, non certo alla sua degna persona [vedere QUI], alla quale fece eco poco dopo un’altra mia analisi [vedere QUI].

Come sacerdoti e teologi siamo chiamati a esercitare un sacro ministero che comporta un dovere al quale non possiamo sottrarci per imperativo di coscienza: dire all’occorrenza ai nostri fedeli cos’è giusto e cos’è sbagliato. Per questo usiamo a scopi puramente pastorali il prezioso strumento di questa rivista telematica, che io per primo non intendo usare né per azzuffarmi con “fazioni avverse” né per sterili polemiche con chi è chiuso alla grazia dell’ascolto, ma solo per servire nella verità e per la verità il Popolo che Dio ci ha affidato, salvando all’occorrenza i Christi fideles dalla caduta negli errori di certi cattivi maestri.

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Risponde il domenicano Giovanni Cavalcoli

 

Giovanni Cavalcoli in coro 2

Giovanni Cavalcoli OP nel coro del suo convento domenicano durante l’Ufficio Divino

Rispondo con piacere alla Lettrice di Trento dicendole anzitutto che nel campo della liturgia, il Romano Pontefice, esercita la sua autorità come sommo sacerdote e supremo moderatore del culto divino. Egli non è infallibile nel regolare il cerimoniale o nell’indire una riforma liturgica, cosa che appartiene al suo potere pastorale. Lo è però nell’interpretare, custodire conservare integra l’essenza o sostanza dei Sacramenti, in quanto dati di fede, perché ciò tocca l’infallibilità del suo magistero dottrinale.

L’essenza immutabile della Santa Messa è la seguente:

«Rito cultuale della Nuova Alleanza, col quale e per il quale, nella persona del sacerdote celebrante in comunione con la Chiesa e a nome della Chiesa, Cristo nello Spirito Santo offre incruentemente in sacrificio Se stesso al Padre per la salvezza del mondo».

Una riforma della Messa potrà essere pertanto più o meno felice, potrà avere bisogno successivamente di un’altra riforma o del recupero di quanto si aveva dismesso, ma non potrà mai alterare l’essenza della Messa. Supporre che il Papa possa indire una Messa eretica o modernista o filoprotestante, è a sua volta un’eresia, non in riferimento al suo potere pastorale, ma in quanto maestro della fede, dato che la Messa è un Mysterium fidei. Nella Messa bisogna quindi distinguere il cerimoniale dal rituale. Il primo può cambiare ed è di diritto ecclesiastico: il secondo è immutabile ed è di diritto divino.

Le norme della celebrazione della Santa Messa — il cosiddetto cerimoniale — possono quindi mutare nel corso dei secoli, come dimostra la storia stessa della liturgia. Ma l’essenza della Messa è immutabile, come pure è dimostrato dalla storia, fino alla Messa novus ordo, al di là di mutamenti che appaiono a volte profondi, ma che in realtà non intaccano la sostanza, come la ho definita sopra.

Il Sommo Pontefice non ha la facoltà di mutare la sostanza dei Sacramenti e quindi la struttura essenziale del rito della Santa Messa, sostanza o essenza che non è difficile enucleare al di là delle variazioni del cerimoniale avvenute nel corso della storia.

Ora però, la Messa novus ordo, è stata motivata dal Concilio Vaticano II con gravi ragioni note a tutti [Sacrosanctum Concilium, nn. 47-58]. Essa ha certamente un aspetto ecumenico, ma è stoltezza dire che è filo-protestante o infetta di modernismo o che essa cambia la Messa tradizionale.

La Chiesa può concedere a chi lo desidera il permesso di celebrare solo nel vetus ordo — come lo fece con San Pio da Pietrelcina —, che ovviamente resta valido; ma a patto che non lo si faccia come se la Messa valida fosse solo questa. La Chiesa consiglia ed ordina, ordinariamente, il novus ordo, perché pastoralmente è più adatto alla situazione odierna.

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Il Cogitatorium di Ipazia – Nichi Vendola e la vecchia questione dei crocifissi nei luoghi pubblici

— IL COGITATORIUM DI IPAZIA —

NICHI VENDOLA E LA VECCHIA QUESTIONE DEI CROCIFISSI NEI LUOGHI PUBBLICI

 

Una volta alla settimana la nostra filosofa selezionerà uno scritto per offrire ai nostri lettori un commento. Ipazia, gatta romana, ha conseguito il baccellierato filosofico alla Pontificia Università Lateranense sotto la guida del Rev. Mons. Prof. Antonio Livi con il quale ha poi approfondito gli studi sulla filosofia del senso comune. Successivamente ha conseguito il dottorato filosofico in metafisica tomista presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino sotto la guida del Rev. Padre Prof. Giovanni Cavalcoli. Il suo libro: “Il mistero della creazione in Genesi e gli animali”, oggi è un best seller tradotto in 18 lingue e usato tra i testi di studio presso il Pontificio Istituto Biblico. A Roma ha fondato un istituto di gatte laiche consacrate per l’assistenza dei gatti poveri delle periferie esistenziali con l’alto patrocinio del Cardinal Vicario ed i fondi della Elemosineria Apostolica di Sua Santità.

 

AutoreIpazia Gatta Romana

Autore
Ipazia Gatta Romana

 

 

 

 

 

 

 

 

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Per un sano tradizionalismo

PER UN SANO TRADIZIONALISMO

I lefebvriani confondono col modernismo, che pure è presente nel cattolicesimo di oggi, quel sano progressismo nella dottrina e nella vita cristiana, che è stato promosso dal Concilio, che può farci parlare di un sano progressismo. Un cattivo tradizionalismo ferma il cammino della storia, non comprende il valore del nuovo, mummifica il perenne, confonde l’immutabile con l’immobilismo, la saldezza con la rigidezza, il solido col pietrificato, il conservare col conservatorismo, la fedeltà con l’arretratezza, il progresso col sovvertimento e, per esser fermo nel passato, non è capace di cogliere i valori e i problemi del presente e le speranze del futuro.

 

 

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

Pio X 1

il Santo Pontefice Pio X

È rimasta famosa la frase di San Pio X, il quale disse, seppur in un colloquio privato e non in un documento ufficiale, che il cattolico non può che essere un tradizionalista. Se la confrontiamo con l’attacco ai “tradizionalisti” fatto da Papa Bergoglio nel suo discorso al recente sinodo dei vescovi sulla famiglia, ci pare che molta acqua sia passata sotto i ponti nel Magistero pontificio. E invece, a parte le legittime o discutibili preferenze od opinioni personali dei due Papi, dobbiamo fare alcune precisazioni, al termine delle quali, spero, ci accorgeremo che la distanza per non dire opposizione non è così grande quanto a tutta prima potrebbe sembrare.

Chiediamoci infatti che cosa i due Papi hanno inteso qui per “amore alla tradizione”. Quale tradizione? Tradizione in che senso? “Amore” come e quanto? Dovrebbe subito apparire evidente, per il cattolico istruito ed attento ai fatti ecclesiali di oggi, che il termine “tradizione” è inteso in due sensi diversi, tanto che, chiarendo i rispettivi significati del medesimo termine, potremmo esser sicuri che i due Papi si sarebbero dati ragione a vicenda. Infatti, mentre Pio X si riferiva chiaramente alla Sacra Tradizione, la quale, insieme con la Scrittura, è fonte della divina Rivelazione custodita e interpretata infallibilmente dal Magistero della Chiesa, Papa Francesco ha evidentemente condannato un certo “tradizionalismo”, che, male interpretando la Sacra Tradizione o prendendola a pretesto, nega l’infallibilità o la verità, ovvero osa accusare di errore o di possibilità di errore il Magistero dottrinale del Concilio Vaticano II e, di conseguenza, il Magistero che ad esso si rifà, dei Papi successivi, fino al presente felicemente regnante.

Se pensiamo alla Sacra Tradizione, è ovvio che il cattolico non può essere che tradizionetradizionalista. Infatti, si può dire in certo modo che tutto il contenuto della dottrina della fede è oggetto della tradizione apostolica, secondo il Nuovo Testamento, intesa ad un tempo come atto del trasmettere o del predicare a voce, tradere [Rm 6,17; I Cor 11,23; 15, 3; II Tm 2,2; Gd 3], e contenuto della predicazione, traditum [I Cor 11,2; II Ts 2,15; I Tm 6,20]. Infatti Cristo non ha detto agli apostoli “scrivete” o, come farebbe un maestro di scuola: “prendete appunti”, ma: “predicate”, e per giunta a viva voce, fino alla fine dei secoli, giacchè allora non a esistevano i moderni mezzi tecnici di comunicazione orale. Tuttavia l’annuncio della Parola di Dio a viva voce, nonostante l’esistenza oggi di raffinati e potentissimi mezzi di comunicazione, resta sempre di primaria importanza, che vorremmo dire quasi sacramentale.

omelia

il Santo Padre durante un’omelia

Si pensi all’omelia del sacerdote nella Santa Messa o alle parola del confessore nel corso della confessione. Esse trasmettono una speciale grazia di luce legata al sacramento, si trattasse anche di un sacerdote senza titoli accademici, come un San Giovanni Maria Vianney o un San Pio da Pietrelcina. Per questo la Chiesa ci dice che la Messa ascoltata in TV, quasi fosse un semplice spettacolo, non ha lo stesso valore spirituale di quella ascoltata alla presenza fisica del celebrante e neppure è possibile confessarsi per telefono, così come telefoniamo al medico per chiedergli un parere o un aiuto.

apostoli

Gesù insegna agli Apostoli

È del tutto comprensibile peraltro che gli stessi apostoli, per conservare una migliore memoria, abbiano poi pensato di mettere o far mettere per iscritto le parole del Signore. E così è nato il Nuovo Testamento, ovvero la Scrittura, che si aggiunse a quella dell’Antico Testamento, nata allo stesso modo, benchè non manchino circostanze, nelle quali Dio stesso comanda di scrivere [per es. Dt 6,9; 11,20]. Anche nell’Apocalisse il Signore comanda di scrivere [19,9: 21,5].
Eppure l’ordine di Cristo di predicare e quindi di trasmettere a voce, resta sempre valido. Ed anzi è il Magistero divinamente assistito dallo Spirito Santo, Magistero che, per ordine di Cristo, ha il compito di conservare, di interpretare ed esplicitare infallibilmente i dati sia della Tradizione che della Scrittura: “Chi ascolta voi, ascolta me” [Lc 10,16]. Sbagliò dunque Lutero a voler interpretare la Scrittura senza tener conto della mediazione della Chiesa e sbaglio Monsignor Marcel Lefèbvre a voler interpretare la Tradizione senza tener conto di quegli sviluppi che furono apportati dal Concilio Vaticano II.

È certamente a questo tipo di tradizionalismo che il Papa si è riferito nel suo discorso al sinodo. Tuttavia, dobbiamo dire che non ogni tradizionalismo è sbagliato. Infatti nulla e nessuno impedisce di concepire un sano tradizionalismo, il quale, senza per nulla respingere le dottrine nuove del Concilio rettamente interpretate, provi uno speciale interesse per tradizioni preconciliari tuttora valide, soprattutto se legate all’immutabilità del dogma, le quali potrebbero essere riprese e rivalorizzate con utilità per la Chiesa del nostro tempo.

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il Servo di Dio domenicano Tomas Tyn

I lefevriani confondono col modernismo — che pure è presente nel cattolicesimo di oggi — quel sano progressismo nella dottrina e nella vita cristiana, che è stato promosso dal Concilio, che può farci parlare di un sano progressismo, come per esempio quello di un Maritain, di uno Spiazzi, di un Ratzinger e di un Congar, accanto a un sano tradizionalismo, come è stato quello del Servo di Dio Padre Tomas Tyn, al quale ho dedicato una biografia, pubblicata nel 2007 da Fede&Cultura: “Padre Tomas Tyn. Un tradizionalista postconciliare” [vedere qui], un titolo apparentemente strano, che non è stato compreso da tutti, che avevo studiato con la massima attenzione e del quale non mi sono affatto pentito. Esso significa che un sano tradizionalismo non si trova affatto a disagio nella Chiesa del postconcilio, ma, ricordando e conservando ciò che non può perire o mutare, dà un contributo valido ed indispensabile al bene della Chiesa, in reciprocità con un sano progressismo, che scaturisce da ciò che non passa; mentre viceversa un cattivo tradizionalismo ferma il cammino della storia, non comprende il valore del nuovo, mummifica il perenne, confonde l’immutabile con l’immobilismo, la saldezza con la rigidezza, il solido col pietrificato, il conservare col conservatorismo, la fedeltà con l’arretratezza, il progresso col sovvertimento e, per esser fermo nel passato, non è capace di cogliere i valori e i problemi del presente e le speranze del futuro.

fune

il tiro alla fune

Auguriamo al Santo Padre, che si trova in mezzo all’aspro conflitto di modernisti e lefevriani, di poter operare efficacemente, con l’intercessione di Maria Regina Pacis, per la conciliazione tra questi due partiti avversi, che stanno lacerando la Chiesa, affinchè la tradizione e il progresso possano doverosamente lavorare assieme per un sano rinnovamento e una sana modernità espandendo la Chiesa verso sempre più ampli orizzonti di giustizia e di pace.

Gli eretici lefebvriani e le vergini vilipese

GLI ERETICI LEFEBVRIANI E LE VERGINI VILIPESE

 

Il lefebvrismo è una malattia, un cancro dal quale il corpo della Chiesa va sanato, ed all’occorrenza andrebbe bombardato con la chemioterapia. Ai lefebvriani non è chiaro che il Pontefice Regnante è depositario di una autorità che gli perviene direttamente da Cristo Dio, mentre loro si sono auto-investiti di una autorità che gli perviene solo dalla loro superbia, per questo è difficile il dialogo e la ricerca di punti comune con soggetti che vivono in modo così chiuso, fiero e deciso nel proprio errore.

 

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

 

«La vera teologia non pretende di attribuire a Dio
quello che non ha detto, ma si limita a spiegare
quello che veramente ha detto»
                                               [Antonio Livi, aforismi]

 

 

 

Lupo anti papista

paradigma lefebvriano in fumetti

Nel mio precedente articolo [vedere qui] ho affrontato il tema del mondo dei lefebvriani incentrandomi su alcuni quesiti e ponendo delle domande che sono rimaste tutte senza risposta. Il mio saggio confratello anziano Antonio Livi ha sollevato alcune ragionevoli perplessità incentrate sul concetto di metodo da me adottato e che io stesso condivido, trattandosi di uno di quei dibattiti nei quali ciascuno può avere ragione o torto, a seconda l’angolatura dalla quale viene esaminato il tema trattato. Siccome nell’Isola di Patmos si dibatte amabilmente, rimanendo uniti nella comune causa di servizio alla Chiesa e alla sana dottrina cattolica — anche quando l’approccio a certi temi può essere diverso e per questo variare in base alla nostre soggettive sensibilità — abbiamo deciso di rendere partecipi i lettori dei nostri scambi di vedute, nei quali solo persone in mala fede possono leggere “divisioni” o “lotte” inesistenti tra noi tre; anche perché ciascuno di noi risponde di ciò che scrive e firma, non di ciò che scrivono e firmano gli altri.

In seguito alla valanga d’insulti che mi è caduta addosso attraverso decine di commenti spurgoposti alla fine di uno dei nostri articoli e che hanno amareggiato Antonio Livi per primo [vedere qui], ho avuto conferma di quanto sia elevata la permalosità di certi personaggi che da una parte pretendono di beneficiare del diritto di contestare tutto, dal Concilio Vaticano II al Magistero della Chiesa sino al Pontefice Regnante, dall’altra vantano però la prerogativa di non essere ad alcun titolo contestati nel merito delle loro opinioni dottrinarie che personalmente posso anche reputare peregrine. Nel mio vocabolario tutto questo si chiama superbia e chiusura all’ascolto ed alle azioni della grazia di Dio, che per operare deve appunto incontrare il nostro ascolto, la nostra libertà, quindi la nostra accettazione; solo a quel punto la grazia ci forma e ci trasforma nella nostra sostanza.

bronzi di riace

i bronzi di Riace

I quesiti sollevati nel mio precedente articolo sono stati rivolti a dei soggetti verso i quali ritengo dunque legittimo di poter sollevare perplessità, purché sia implicito ed esplicito da parte mia tutto il rispetto ad essi dovuto. Ho anche sollevato questioni pratiche, esprimendo che certe fondazioni, agenzie stampa, lussuose riviste che costano solo di impaginazione, grafica e qualità della carta un occhio della testa — senza che vendite e abbonamenti coprano neppure la metà della metà delle sole spese vive — possano essere portate avanti con la manna caduta dal cielo. Non parliamo poi di siti e riviste telematiche, tutti quanti formato lusso, non in sempiterna bolletta come la nostra povera Isola di Patmos, che pure è bellissima sia per grafica sia per i nostri scritti a dir poco eccezionali, per non parlare della straordinaria bellezza dei padri, tre autentici bronzi di Riace, tanto per esercitare la grande virtù cristiana dell’umiltà e stemperare un po’ il tutto con altrettanta grande virtù: l’umorismo ironico.

Dinanzi a queste evidenze, nel mio precedente scritto, non ho chiesto da dove tirassero fuori i soldi, ho solo domandato per i fedeli cattolici ed i nostri lettori rassicurazione che i sostegni finanziari non provenissero «dall’estrema destra americana, né da certi ricchi imprenditori brasiliani, o da europei che si sono arricchiti per incanto in Brasile». Chiedere simile rassicurazione, non penso sia un attentato di lesa maestà alle singole persone, specie poi se Numerio Negidio è presidente di una fondazione e Aulo Agerio direttore di una rivista, vale a dire persone pubbliche e giuridicamente responsabili alle quali come tali si può pure chiedere conto all’occorrenza; né penso che ciò sia neppure un trascendere al di fuori della teologia per la quale questa rivista è nata ed alla quale si deve attenere e sempre si atterrà.

ricamatrice

anziana ricamatrice di Calitri

Credo che certe domande siano non solo pertinenti ma dovute, soprattutto verso chi esige dalle proprie colonne giornalistiche, dai propri libri e dalle proprie pubbliche conferenze, leale trasparenza e coerenza da parte di tutte le autorità pubbliche e private, civili e religiose di questo mondo, vantando quindi implicitamente una purezza virginale e d’intenti non indifferente; e questo non può certo consentirgli di farsi poi scoprire con qualche crosta addosso. O forse qualcuno pensa che tutti questi costosi apparati fatti di fondazioni, mensili formato lusso, agenzie stampa, riviste telematiche e siti, siano portati avanti con l’obolo della povera vedova innamorata della Messa di San Pio V e della tradizione pre-conciliare perduta? Ho capito: il tutto viene tenuto in piedi con i centrini che la vecchia nonnina di Calitri ricama recitando rosari in latino maccheronico e che poi vende per devolverne il ricavato a strutture che per vivere, sopravvivere ed organizzare tutto ciò che organizzano devono avere fondi nell’ordine delle molte centinaia di migliaia di euro, perché giocare ai cosiddetti “tradizionalisti” è un “gioco” sempre e di per sé parecchio costoso; e questo per me, potrebbe essere un serio problema di ordine pastorale.

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L’Imperatrice Irene presiedette nell’ano 772 il VII concilio ecumenico, il II Niceno

Senza entrare nel merito di ciò che ho detto e affermato, alcuni hanno scritto commenti furenti intrisi di insulti inauditi, tentando di gettarla sul personale e domandandomi chi ero io per sollevare certe questioni non pertinenti. Ritengo che lamentare questo sia incoerente, perché nei grandi concili dove si sono giocate le sorti dei principali dogmi cristologici, spesso i dibattiti si sono articolati attorno a questioni di carattere politico, sociale ed economico, non a caso era l’imperatore in persona – anche se solo formalmente – a presiedere i concili, il settimo dei quali presieduto da una donna, l’imperatrice Irene. Applicando dunque certi criteri di “pertinenza” o “non pertinenza” teologica, si potrebbe giungere a invalidare l’intera dottrina sociale della Chiesa, per esempio affermando che il «non pagare la giusta mercede all’operaio, ritenuto peccato che grida vendetta al cospetto di Dio», è una affermazione priva di supporti teologici-logico-speculativi-metafisici, riguardante come tale la sociologia politica o il diritto del lavoro, ma non i teologi, compito dei quali è quello di occuparsi solo ed esclusivamente di altre faccende e speculazioni.

A queste persone io ho sollevato domande e posto quesiti ai quali non avendo argomenti di replica hanno lasciato che ad agire fossero le loro tifoserie con urla da stadio e attacchi infami e infamanti a me diretti. domanda Né mi si dica che i miei non sono argomenti teologici, ecclesiologici e pastorali, perché usare il giornale di un ateo dichiarato legato sin dagli anni Novanta alle destre americane ed al Movimento Sionista Internazionale, per portare avanti una campagna di incessante critica verso il Santo Padre, per me è una questione ecclesiologica seria e non poco inquietante, perché se da una parte abbiamo i modernisti, dall’altra abbiamo certi fanatici lefebvriani foraggiati dalle ultra destre americane e da ambiti tutt’altro che favorevoli al cattolicesimo e al papato. Ecco perché desidero capire come mai, da una parte, questi soggetti tutti traditio e latinorum accusano San Giovanni XXIII di avere epurato dal Triduo Pasquale la preghiera sui “perfidi giudei” — posto che il termine perfido, per chi conosce il latino e non il latinetto ecclesiastico tardo ottocentesco, va letto secondo l’etimo di senza fede, sottinteso, in Cristo — dall’altra ecco gli stessi trafficare con ambiti legati al Movimento Sionista Internazionale. Ditemi: mi sono perso qualche cosa? Sono io l’incoerente, o invece lo sono certi intoccabili e non criticabili galantuomini che tutto questo fingono di non vederlo per chissà quale “buona” e “giusta” causa, tanto da essersi messi in sodalizio con Giuliano Ferrara ed il suo ormai becero e insolente giornale “anti-bergogliano”?

cane ringhia

amabile bestiola

A chi mi ha rimproverato di avere attaccato singole persone, ho risposto che sarebbe sufficiente leggere alcuni miei articoli per scoprire che non molto tempo fa espressi perplessità e critiche rispettose verso il Santo Padre che in una delle sue esternazioni estemporanee aveva parlato dei Sacramenti e delle offerte ai preti [vedere qui]. In quel mio articolo fui severo e dissi che non solo il Santo Padre parlava di ciò che non conosceva ma che con simili affermazioni aveva creato disorientamento tra i fedeli e imbarazzo nel clero. Nessuno degli appartenenti sia all’area cosiddetta lefebvriana sia a quanti simpatizzano con i modernisti sollevò questioni per ciò che avevo scritto. Ecco perché oggi mi sorge un dubbio del tutto legittimo: si può forse criticare, all’occorrenza persino severamente, espressioni non opportune del Santo Padre, non però certi circoli di lefebvriani ed i loro maggiorenti?

lotta del bambino

Il bimbo che tenta di spingere il lottatore vuole raffigurare il livello di rapporto che può correre tra Brunero Gherardini e Ariel S. Levi di Gualdo. Va però precisato che Brunero Gherardini, seppure ultra ottantenne, ha una fisionomia molto elegante e slanciata ed una figura longilinea invidiabile

Nella lunga sequela di improperi che mi sono piovuti addosso sono stato accusato di essere una emerita nullità che osa criticare un eminente teologo come Brunero Gherardini. Che questo presbitero anziano sia un eminente teologo è vero nella stessa misura in cui è vero che io sono una nullità, cosa però che non mi impedisce di rivolgere pacate critiche a questo anziano pratese teologo della scuola romana citato da anni dai lefebvriani, dai sedevacantisti e da abusatori vari del termine di Traditio. Affermazione, questa mia, dinanzi alla quale si potrebbe obiettare: cosa c’entra Gheradini? Io credo — forse sbagliando — che per porre in essere una cooperatio ad malum non basta pubblicare a scopo pedagogico le vignette infami della rivista Charlie Hebdo, per far capire, ai lettori che non le avevano mai viste, la gravità di ciò che molti non avevano afferrato, quindi procacciandomi giuste critiche, con tutte le sacrosante ragioni di Antonio Livi che mi disse: «Le tue intenzioni erano indubbiamente buone e le hai pure spiegate in una nota a fine articolo, però potevi evitare il loro inserimento nell’articolo di Giovanni Cavalcoli». Forse la stessa logica può essere applicata attraverso identico criterio a Gherardini che permette a certi soggetti di usare la sua persona, i suoi studi ed i suoi scritti come strumento per rivolgere critiche all’autorità di un concilio ecumenico ed a tutti i pontefici succedutisi dal 1958 a oggi. Sia chiaro, a fare questo non è certo Gherardini, fedele presbitero e teologo indefesso alla dottrina cattolica ed al Sommo Pontefice, che in quanto tale si limita solo a permettere che suoi studi e scritti siano usati a tale scopo, senza mai avere smentito od essersi dissociato da certi circoli lefebvriani che seguitano a strumentalizzarlo senza essersi procacciati sino ad oggi un suo pubblico dissenso.

Quando questi stessi circoli cercarono di fare uso di alcuni miei scritti, si vada a vedere come — pur nella legittima critica da me rivolta a certe derive ecclesiali o scelte pastorali forse non particolarmente felici del Sommo Pontefice — ho reagito difendendo a spada tratta il Magistero della Chiesa, il Concilio Vaticano II ed il Santo Padre. Per non parlare delle opere del Gherardini concesse in pubblicazione francese alle edizioni della Fraternità Sacerdotale di San Pio X, con tutto ciò che questo può implicare a livello di strumentalizzazione della persona da una parte, di legittimo e di legittimante dall’altra. Detto questo resta pacifico che Gherardini può fare ciò che vuole e lasciare libero chi vuole di usare le sue opere per campagne anti-conciliariste che lui non approva ma che di fatto non disapprova. Dal canto mio sono libero di criticarlo per questo suo agire, con tutto il garbo del caso e con la stima dovuta ad un venerabile confratello anziano e ad un grande teologo. E anche questa è una questione tutta teologica e pastorale, basata su una sostanza a fronte della quale non si può rimproverarmi più di tanto per difetto di forma, che pure ha la sua grande importanza per esprimere in modo corretto le migliori essenze della sostanza stessa.

Lucifero di Roberto Ferri

Lucifero nella sua bellezza, opera pittorica di Roberto Ferri

Perché sarebbe insolente contestare certi lefebvriani che partendo da criteri storici finiscono per giocare sul teologico, battendo sull’autorità di Pietro e sui criteri della sua infallibilità, paralizzati in schermi fossilizzati al Concilio Vaticano I? Mi si potrebbe dire e rimproverare: ma costoro sono tutti studiosi … gente colta … persone di gran signorilità …
E allora?
Forse che il Demonio, il maestro insuperabile della semina di confusione, di dubbi e di divisioni, si presenta come un caprone puzzolente o come un contadino illetterato? A me risulta che dietro la patina di “tradizione” e di “sana dottrina”, dietro a certi insigni studiosi ci sono imprenditori, liberi professionisti, politici, associazioni internazionali che spesso non hanno nulla di cattolico, talora manco di cristiano. E di questo è eloquente paradigma proprio quell’uomo di grande competenza e intelletto tal è Giuliano Ferrara, che ho citato a ragion veduta al di là della persona in sé — vale a dire appunto come paradigma — domandando nel mio articolo precedente se per caso esisteva un ateismo buono e uno cattivo, visto che taluni si sono stracciati le vesti per settimane dinanzi al Santo Padre colpevole a loro dire di avere accettato di farsi intervistare dall’ateo Eugenio Scalfari su un giornale di sinistra, mentre proprio i più critici verso il Santo Padre si sentono invece del tutto legittimati a pubblicare articoli di dissenso verso il Sommo Pontefice sul giornale dell’ateo Giuliano Ferrara, che però dirige un giornale di destra.   In che cosa consisterebbe, pertanto, la non pertinenza della mia domanda?

La mia era quindi una domanda pertinente rivolta a Roberto de Mattei e dinanzi alla quale sono sempre in attesa di risposta; perché per adesso l’unica risposta ricevuta sono stati gli insulti della manovalanza lefebvriana, che non è affatto, come vorrebbero far credere taluni, una minoranza di sparuti infiltrati. I soggetti che mi hanno aggredito in forme nelle quali neppure il più peccatore dei sacerdoti dell’orbe dovrebbe essere infamato, costituiscono la maggioranza di questo ambiente idilliaco che difende la vera Traditio catholica; ad essere minoranza sono i gentiluomini e le gentildonne di grande educazione, cultura, spessore accademico e via dicendo, usati come faccia pubblica presentabile, vale a dire poco più che quattro gatti.

forza nuova

giovani di Forza Nuova

O per dirla in modo triste e facile da documentare: si vada in giro per l’Italia e si verifichi quanto alto è il numero di sacerdoti che accolto con grande favore e fervore il Motu Proprio di Benedetto XVI sul Messale di San Pio V, hanno cessato di celebrare la Santa Messa col vetus ordo e non vogliono più sentirne parlare. Manco a dirsi: le tifoserie lefevbriane si difendono accusando questi presbiteri e diffondendo su di loro emerite falsità, parlano di complotti e boicottaggi, affermano che i preti  «Sono stati irretiti da vescovi modernisti e iper conciliaristi … li hanno minacciati di tagliargli le gambe … di sbatterli in qualche parrocchia di campagna …». Siccome io stesso ho fatto tristi esperienze di ciò, spiegherò adesso come mai molti sacerdoti hanno fatto atto di diniego; e lo spiegherò non a nome mio, ma a nome di numerosi miei confratelli. Molti sacerdoti — e ribadisco molti — hanno cessato con dispiacere queste celebrazioni perché si sono ritrovati con le chiese colme di queste tifoserie fanatiche, incluso un mio confratello che fu persino spintonato perché non voleva che un nutrito gruppo di giovinastri entrassero in chiesa con le bandiere ed i simboli di Forza Nuova. Dunque non solo, i miei confratelli, non sono stati irretiti, ma quando diversi dei loro vescovi li hanno pregati di seguitare a garantire quella celebrazione almeno una volta alla settimana, loro hanno risposto: «Se me lo impone per obbedienza non mi posso rifiutare». E difficilmente, un vescovo, impone ad un presbitero di celebrare contro voglia per assemblee “originali” formate da persone che vanno a dissertare prima e dopo la Santa Messa sui pontefici che sono tutti anti papi eretici a partire dal 1958 a seguire, sul Vaticano II concilio apostatico, sul Messale di Paolo VI messo a punto su modello luterano dal massone Annibale Bugnini e via dicendo. Ma forse, studiosi di alto lignaggio e gente rispettabilissima come coloro che ho osato citare nel mio precedente articolo, pur non essendo preti ne sanno più di me. Per questo si ritengano sin d’ora liberi di smentirmi, ma la risposta a quel punto non sarà più la mia, bensì una raccolta messa a disposizione da questa nostra rivista telematica di tutte le nutrite testimonianze di numerosi miei confratelli disseminati da Cefalù fino a Bolzano, affinché siano i preti che celebrano e che per motivi di opportunità pastorale hanno cessato di celebrare col vetus ordo missae, a spiegare cos’è loro accaduto con certi fedeli, con buona pace di quei laici che pur non celebrando i sacri misteri non esitano comunque a smentire col palese falso le concrete e dolorose esperienze pastorali di noi preti, quando le nostre esperienze reali non corrispondono ai loro sogni ideologici.

Francesco col dito alzato

Cari lefebvriani, guardatelo bene quest’uomo … e pesatelo altrettanto bene, perché non è il mite Benedetto XVI che vi ha aperto le braccia prendendosi in cambio da voi “due sberle”, questo, a farsi dare dell’eretico modernista dal vostro improvvido Vescovo Bernard Fellay [vedere qui], o dell’apostata e dell’anti papa dalle vostre tifoserie da stadio, non sarà disposto a starci più di tanto … e ciò che farà sarà ben fatto e mai meritato a sufficienza  da parte vostra.

Il lefebvrismo è una malattia, un cancro dal quale il corpo della Chiesa va sanato, ed all’occorrenza andrebbe bombardato con la chemioterapia. Ai lefebvriani non è chiaro che il Pontefice Regnante è depositario di una autorità che gli perviene direttamente da Cristo Dio, mentre loro si sono auto-investiti di una autorità che gli perviene solo dalla loro superbia. Per questo è difficile il dialogo e la ricerca di punti comune con soggetti che vivono in modo così chiuso, fiero e deciso nel proprio errore. Ecco perché ritengo intollerabile che l’improvvido e insolente vescovo della Fraternità Sacerdotale di San Pio X, Bernard Fellay, abbia osato rivolgersi pubblicamente al Santo Padre Francesco epitetandolo come un «autentico modernista» [vedere qui], perfettamente consapevole che Pio X, attraverso la sua Enciclica Pascendi Domici Gregis, definì il modernismo come la sintesi di tutte le eresie. Il Santo Padre Francesco non è il mite Benedetto XVI che ha aperto le braccia in tutti i modi agli eretici lefebvriani, pur procacciandosi in cambio due sonore sberle, dato che costoro pretendono davvero l’impossibile: che la Chiesa sconfessi un intero concilio ecumenico. Il Pontefice Regnante non pare predisposto ad essere schiaffeggiato più di tanto e ciò che farà al momento opportuno sarà ben fatto e mai meritato a sufficienza da parte di queste irragionevoli persone, con tutto il nostro appoggio e tutto il nostro plauso. Perché la Chiesa, come affermò il Padre Divo Barsotti predicando gli esercizi spirituali alla Curia Romana nel 1971 su invito del Beato Paolo VI: «… è depositaria di un potere coercitivo perché Dio glielo ha affidato, allora deve usarlo».

Non avendo ancora acquisito la scienza e la sapienza di due teologi anziani come Antonio Livi e Giovanni Cavalcoli — sempre ammesso riesca ad acquisirla un giorno —, il mio attualescienza e conoscenza temperamento, forse pastoralmente grezzo, forse persino sbagliato, mi porta ad avvertire che questi nostri sono tempi nei quali è richiesta la forza e il coraggio di un certo radicalismo paolino scevro da qualsiasi forma di fondamentalismo. Ma soprattutto bisogna cominciare a familiarizzare con un’idea dolorosa per quanto non facile da accettare: forse i lefebvriani sono ancor peggiori dei modernisti. Affermazione quest’ultima sulla quale so che non è d’accordo Giovanni Cavalcoli, che proprio per questo non mancherà di spiegare il suo punto di vista che rispetto al mio è di certo più saggio e pertinente. A mio opinabile parere, mentre i modernisti vorrebbero riformulare il papato alla pretestuosa luce delle loro errate idee di collegialità, cadendo nel dissipante relativismo; i lefebvriani, il papato, stanno mostrando di attaccarlo in tutto e per tutto nei modi peggiori in nome della “vera” tradizione, dell’ “autentico” amore per la Chiesa e del metodo storico usato per giungere alla semina di dubbi teologici sulla legittimità dei Pietro che si sono susseguiti negli ultimi sessant’anni e sulla loro infallibilità in materia di dottrina e di fede. Se quindi da una parte si arriva al relativismo, dall’altra si giunge ad un nichilismo di matrice gnostico-pelagiana. Inutile dire che tutto questo si traduce presto — ed in modo di rigore subdolo — in gravi errori dottrinari presi purtroppo per buoni perché … come potrebbero certi educati, colti e altolocati signori, cattolici così devoti e ligi alla Tradizione, dire cose sbagliate? No, certe cose le dicono perché soffrono per la Chiesa, perché la amano, perché vogliono difenderla … e allora, se proprio sbagliano, non condanniamoli, cerchiamo di dialogare con loro e di trovare tutti i possibili punti comune …

cattedra di pietro

cattedra di Pietro

… in questo gioco subdolo non intendo cascarci e ritengo di avere preso quella strada che mi rende in tutto e per tutto solidale con lo spirito e la saggezza dei due padri anziani dell’Isola di Patmos: con la Chiesa, nella Chiesa e sotto la Chiesa, che non è la nostra idea soggettiva di Chiesa, ma la Chiesa di Cristo governata da Pietro di cui noi siamo strumenti e devoti servitori. E se il nostro essere sacerdotale e teologico si basa su questi presupposti, qualsiasi opinione divergente o diverso modo di sentire finisce col lasciare il tempo che trova, proprio come stiamo dimostrando con questi nostri scritti.

siccardi conferenza

Per ascoltare dalla viva voce dell’autrice il pezzo qui riportato, cliccare sopra l’immagine e andare al minuto 12,10 ed avanti a seguire 

Non parliamo delle accuse di caduta di stile o persino di blasfemia che mi sono piovute addosso per avere ironicamente affermato che era meglio leggere Play Boy anziché certi libri fuorvianti di Cristina Siccardi, che falsa in modo pedestre fatti e situazioni storiche per giungere ad una dottrina adulterata, quindi ideologica. I suoi tentativi di strumentalizzare le figure di San Pio X e del Beato Paolo VI per legittimare i gravi errori di Marcel Lefebvre, se non fossero comici sarebbero tragici. Prendiamo una tra le tante perle di questa scrittrice, ovviamente pubbliche e documentate, quindi udibili dalla sua viva voce da parte di tutti i nostri lettori:

«Monsignor Lefebvre è stato un cavaliere senza macchia e senza paura con una forza che non è stata sicuramente umana, lui ha agito come avrebbe potuto agire un Sant’Atanasio durante l’arianesimo, ha agito come una Santa Caterina da Siena che da sola ha affrontato i Pontefici […] ecco allora che Monsignor Lefebvre diventa paladino delle cose più importanti, delle realtà più essenziali, cioè paladino della fede, nel senso che difendendo la Santa Messa si difende la fede stessa […] Monsignor Lefebvre ha agito così per tanto amore verso Gesù Cristo e poi per la Chiesa e anche per il Papa […] Ecône è stato un luogo dove è stato veramente possibile difendersi dai bombardamenti liberali, modernisti, relativisti e dove è stato possibile mantenere la Tradizione».

È stato di fronte a questi deliri fanta-cattolici che ho affermato esser cosa meno grave e fuorviante leggere Play Boy anziché i libri di certa gente presi purtroppo per buoni da molti Christi fideles, anche se ovviamente, poche righe dopo, chiarendo l’evidente paradosso — che come tale si esplicitava già in sé e di per sé nella mia affermazione — invitavo a non leggere questa rivista  nella quale non v’è nulla di edificante, ma ciò non è bastato a placare certi animi.

siccardi gherardini lanzetta

Cristina Siccardi durante una conferenza: alla sua destra il teologo Brunero Gherardini, alla sua sinistra il teologo Serafino Lanzetta F.I.

Dinanzi a tutto questo la mia logica e il mio modo di agire può essere contestabile. Credo però che queste persone che si prendono sempre terribilmente sul serio, che dietro la loro aura di formale educazione e galanteria seminano siffatti errori, vadano prese proprio in giro per una sorta di dovere cattolico. Perché quando mi si paragona seriamente e con “valide” argomentazioni un Lefebvre a Sant’Atanasio di Alessandria che lotta contro l’arianesimo, come ha fatto la Siccardi pontificando presso la Fraternità Sacerdotale di San Pio X, quindi paragonando in modo subliminale il Vaticano II all’eresia ariana ed i Padri della Chiesa che vi hanno partecipato ai vescovi ariani; o quando altri ben più furenti dichiarano eretico un Pontefice ed apostatica una intera Chiesa a partire da un Concilio ecumenico; quando un eminente teologo eletto da questa gente a propria colonna portante nonché generoso dispensatore di varie prefazioni ai loro libri, gioca sul concetto di concilio pastorale in modo ambiguo, pur animato da tutte quelle migliori intenzioni di cui però certi ideologi lefebvriani non tengono conto, si finisce inevitabilmente col dare strumenti a questi personaggi per giungere infine a dire che l’ultimo Concilio della Chiesa non è dogmatico, ma solo pastorale, quindi destituirlo di autorità, dopo avere fatto uso e abuso di Brunero Gherardini, che non ha mai affermato di simile cose, essendo un gran teologo e soprattutto un autentico uomo di Dio.

ferrara de Mattei

Giuliano Ferrara e Roberto de Mattei durante una conferenza alla Fondazione Lepanto

E dinanzi a questo io posso solo reagire invitando il Popolo di Dio a non prendere nulla di ciò in considerazione ed a ridere di gusto su simili spropositi presentati di prassi in modo serio come fossero delle autentiche verità di fede. Certo, il tutto va fatto con stile e intelligenza, specie quando si criticano suscettibili signori, studiosi, nobiluomini e nobildonne prostrati ai lefebvriani e con un occhio segreto strizzato ai sedevacantisti; che su Corrispondenza Romana, Riscossa Cristiana, Chiesa&Post-concilio, Messa in Latino, od Il Foglio dell’ateo devoto Giuliano Ferrara, ecc… insolentiscono il Romano Pontefice tutti i giorni. E di fronte a questi fatti mi ritengo libero di affermare che a scadere sono queste persone, non io che reagisco ai loro gravi errori dottrinari destituendoli di fondamento col sacrosanto sberleffo, come a mio parere bisognerebbe fare con tutti coloro che ammantano i propri spropositi di quella serietà che degli spropositi non possono di per sé avere.

 

libro gnocchi e palmaro

Il libro di Alessandro Gnocchi e del compianto Mario Palmaro con prefazione di Giuliano Ferrara [vedere qui], che ha fatto seguito al loro celebre articolo: “Questo Papa non ci piace” edito su Il Foglio di Giuliano Ferrara [vedere qui]

Un ultimo esempio dinanzi al quale vorrei che sacerdoti ben più maturi e saggi di me, assieme a teologi dotati di scienza molto maggiore della mia, mi spiegassero a quale titolo si potrebbe e si dovrebbe prendere sul serio una affermazione ereticale di questo genere, riconoscendo a chi l’ha proferita l’aura di studioso serio, tanto intrisa è di per sé d’ignoranza e d’arroganza:

«Che Bergoglio stia demolendo con energia persino ammirevole la Chiesa cattolica, e sottolineo “cattolica”, è nei fatti e non nelle opinioni. Però non sono d’accordo con chi sostiene che lo faccia in nome di un Concilio Vaticano Terzo non dichiarato e che, dunque, il rimedio consisterebbe nell’applicare correttamente il Vaticano Secondo. Le sciagure che hanno portato la Chiesa sull’orlo del precipizio e tanti cattolici a perdere la fede vengono proprio dalla corretta applicazione del Vaticano Secondo: non del suo spirito, ma della sua lettera. L’ho già detto molte altre volte e non mi stancherò di ripeterlo: questa Chiesa merita questo Papa. Anzi, questo Papa è perfetta espressione di questa Chiesa che di cattolico ha sempre meno» [testo integrale qui].

Alessandro Gnocchi

Alessandro Gnocchi

Affermazioni come questa di Alessandro Gnocchi sono di per se grottesche da un punto di vista teologico, ecclesiale e storico. Grottesca è quindi divenuta in questo e solo per questo la rivista telematica Riscossa Cristiana — facente parte della Fondazione Lepanto —  genuflessa ormai come ancella devota alle peggiori eresie di matrice lefebvriana, cosa provata da Gnocchi ed altri articolisti attraverso loro scritti che rappresentano una palese e dolorosa negazione della comunione cattolica. Poco o nulla v’è quindi da dialogare o da cercare punti comune con seminatori e seminatrici di siffatti veleni che esigono esprimere severi e inaccettabili giudizi invalidanti su un intero concilio ecumenico, sul Magistero della Chiesa e sui Romani Pontefici dell’ultimo mezzo secolo. Non escludo però di essere io in errore per avere scelto di agire con quello spirito che ho definito poc’anzi come sano radicalismo paolino.

Pertanto, se la buon’anima di Massimo Troisi diceva: «Non ci resta che piangere», io mi sento di giullariaffermare che dinanzi a questi errori grossolani, frutto di autentiche chiusure all’ascolto ed alle azioni della grazia di Dio, non ci resta che ridere. Il riso è infatti quella sana ed efficace medicina che può aiutarci a sostenere i nostri buoni fedeli sempre più smarriti e confusi, invitandoli a non cercare risposte ai loro dubbi nei libri, negli articoli e nelle conferenze di queste anime confuse che si sono elette a maestri di pensiero e di corretta opinione cattolica, ed infine prendendoli per ciò che realmente sono: dei comici straordinari per quanto di ciò inconsapevoli, quindi resi particolarmente comici dal fatto che più grandi sono i loro errori più loro si prendono terribilmente sul serio. Perché la superbia, vista per altro verso, ha dei risvolti comici che spesso sono davvero esilaranti, l’unica cosa è che il superbo, questo, purtroppo non lo sa, perché la superbia chiude, acceca e toglie ogni sana e cristiana voglia di ridere ed ogni salutare auto-ironia.

LA SALUTE NELLA RISATA

Antonio Livi ( 1938-2020 )
Presbitero e Teologo


( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Antonio

Che cosa dire dei “tradizionalisti” (e di chi li condanna in blocco)

CHE COSA DIRE DEI “TRADIZIONALISTI” (E DI CHI LI CONDANNA IN BLOCCO)


Il mio dissenso nei confronti del padre Ariel riguarda solo aspetti esteriori, mentre naturalmente condivido la denuncia di fanatismi ideologici e commistioni politiche riscontrabili nell’area tradizionalista. Nella quale area ci sono, però, anche opinioni legittime e legittime prese di posizione, e io non posso smentire la mia strategia teologica, che consiste nel giudicare solo la dottrina

Autore Antonio Livi

Autore
Antonio Livi

uccisione guardia

il brutale assassinio della guardia privata già inerme a terra durante l’attentato dei terroristi alla redazione della rivista Charlie Hebdo

In un mio precedente articolo ho già manifestato il mio dissenso dal modo, a mio avviso imprudente, con cui il mio confratello Ariel S. Levi di Gualdo ha trattato l’argomento delle vignette blasfeme di Charlie Hebdo. [vedere qui]. Ora, abusando forse della sua pazienza, torno a dissociarmi da alcuni aspetti della sua maniera di polemizzare con gli esponenti italiani del tradizionalismo militante; egli, infatti, non si limita alla legittima e anzi doverosa critica di certe idee ma passa a pesanti riferimenti personali, facendo i nomi di alcuni pubblicisti (autori di libri e direttori di testate giornalistiche) e anche di alcuni studiosi seri. Tutto ciò nell’articolo intitolato “Siamo al cambio di un’epoca, sul Santo Padre Francesco è necessario sospendere il giudizio e procedere sulle ali della fede” [vedere qui].

Già prima di queste vicende recenti io avevo pubblicato qui, sull’Isola di Patmos, un editoriale nel logo isolaquale – a nome di tutti e tre i redattori della testata – precisavo quella che pensavo dovesse essere il nostro criterio dottrinale e di conseguenza la nostra linea editoriale: “Perché non possiamo dirci tradizionalisti ma nemmeno progressisti” [vedere qui]. L’essenza del discorso che facevo è questa: se parliamo di cose riguardanti la fede della Chiesa e la sua retta interpretazione, non possiamo dogmatizzare quello che è opinabile, ossia assolutizzare ciò che è relativo, perché alla fine viene a essere relativizzato proprio ciò che è assoluto, ossia la verità del dogma. Di conseguenza, L’Isola di Patmos avrebbe dovuto, a mio avviso, riaffermare in ogni occasione la verità del dogma e discernere, tra le tante opinioni teologiche che vengono proposte, quelle che costituiscono una legittima interpretazione/applicazione del dogma da quelle che sono invece incompatibili con il dogma stesso. Così facendo si poteva evitare di assumere posizioni teologicamente confuse, tali da compromettere la funzione di orientamento alla verità del dogma che L’Isola di Patmos deve avere. Per “posizioni teologicamente confuse” intendo quelle che enfatizzano oltre misura una qualsiasi legittima opinione sulla dottrina cattolica, finendo per assumere la qualità epistemica (negativa) dell’ideologia.

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Intervista ad Antonio Livi a cura di Corrispondenza Romana. Cliccare sopra l’immagine per aprire il video

Io, denominando la mia fondazione “Unione apostolica per la difesa scientifica della verità cattolica”, intendevo appunto promuovere un che fosse propriamente scientifico, cioè fondato su principi sicuri e guidato da un metodo appropriato. L’ideologia è proprio il contrario di questo modo di interpretare il dogma, perché confonde acriticamente il dogma con l’opinabile, la limitata e relativa scienza umana con l’assolutezza e definitività della rivelazione divina, così come si trova formalizzata nel dogma, che san Tommaso considerava una partecipazione della «scientia Dei et sanctorum». A quali forme di ideologia mi riferisco? A quelle posizioni ideologiche che oggi nel dibattito teologico si contrappongono polemicamente e che citavo nel titolo dell’articolo: il tradizionalismo e il progressismo.

Noi dell’Isola avremmo dovuto guardarci dall’apparire sostenitori di una di queste contrapposte invenzione ideologiaideologie, e spiegare a tutti le ragioni teologiche di questa nostra presa di distanza. Non però passando dalla critica di certe idee “estremiste” alla denigrazione di singole persone. Perché le singole persone non si indentificano mai con un’idea, e tanto meno con le idee di un gruppo politico, di una corrente di pensiero. E ogni persona ha una sua dignità che non deve essere convolta ingiustamente nella critica delle idee, sue o dell’area culturale di appartenenza. Né devono essere oggetto di critica, in questo contesto dottrinale, le sue ipotetiche intenzioni, e tanto meno i fatti personali e privati.

metro goldwyn mayer

Ariel signigica Leone di Dio. Il padre Ariel ha una caratteristica a lui riconosciuta: si diverte a prendersi in giro da solo …

Il mio dissenso nei confronti di Ariel riguarda dunque solo aspetti esteriori, mentre naturalmente condivido la denuncia di fanatismi ideologici e commistioni politiche riscontrabili nell’area tradizionalista. Nella quale area ci sono, però, anche opinioni legittime e legittime prese di posizione, e io non posso smentire la mia strategia teologica, che consiste nel giudicare solo la dottrina (che è qualcosa di conoscibile con sufficiente sicurezza da parte di un credente dotato di criterio teologico), e non la condotta, specie se privata, delle persone (dato che le loro intenzioni e le complesse vicende della loro vita non sono mai conoscibili adeguatamente e quindi non consentono a nessuno di formulare dei giudizi certi ma solo sospetti più o meno legittimi e illazioni più o meno fondate).

Bianchi, molte fedi

Enzo Bianchi durante una conferenza

Io sono stato fedele a questa strategia teologica anche quando ho ritenuto doveroso, per la salvaguardia della fede nel popolo di Dio, disapprovare recisamente dottrine che mi sembravano del tutto incompatibili con il dogma (l’ho fatto, come tutti sanno, denunciando l’incompatibilità con le fede riscontrabile nei discorsi di certi personaggi pubblici, tra i quali laici come Enzo Bianchi e Vito Mancuso, cardinali come Gianfranco Ravasi e Walter Kasper, vescovi come monsignor Bruno Forte, eccetera). In questa linea, mi sono adoperato anche per promuovere nella Chiesa il reciproco rispetto tra tutte le opinioni compatibili con il dogma, quali che siano le divergenze nella sua interpretazione dottrinale o applicazione storica. Proprio per questo motivo mi astengo dal giudicare ciò che non è dottrina ma prassi (prassi pastorale, istituzionale, apostolica eccetera), perché la prassi delle singole persone è fatta di tante scelte prudenziali che il singolo deve operare di fronte alle diverse circostanze concrete e che devono essere guidate, appunto, dalla virtù della prudenza: virtù che io voglio praticare nel mio proprio operato, ma riguardo alla quale non ho elementi per giudicare l’operato altrui.

tradizionalisti 2

Liturgia secondo il vetus ordo missae

Nell’area tradizionalista ci sono e vanno riconosciute anche opinioni legittime. Mi spiego: se di “area” o di “corrente” si può parlare, è perché i vari protagonisti hanno tutti in comune una determinata impostazione ideologica, che consiste nel considerare illegittimo (totalmente o in parte) il magistero del Concilio Vaticano II, in quanto esso avrebbe accolto (totalmente o in parte) le istanze dell’ideologia opposta, quella del progressismo o modernismo. Da qui un’ermeneutica del Vaticano II come radicale “rottura” con la Tradizione, in particolare con i decreti del Concilio di Trento e del Vaticano I, con la condanna del modernismo teologico da parte di san Pio X e con la condanna della “nouvelle théologie” da parte di Pio XII. Da qui anche il rifiuto in blocco di tutta la teologia post-conciliare e il riferimento costante alla sola teologia pre-conciliare. Da qui poi il fatto di considerare dottrinalmente e pastoralmente inaccettabili alcune riforme introdotte dal Vaticano II nella vita della Chiesa, a cominciare dalla riforma liturgica, con il conseguente attaccamento al Vetus Ordo, considerato l’unico modo valido di celebrare l’Eucaristia. Da qui infine la critica sistematica delle scelte pastorali dei papi del post-concilio (il beato Paolo VI, san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e soprattutto il papa attuale, Francesco), considerate come effetti deleteri delle riforme conciliari.

L’Arcivescovo Marcel Lefebvre

Le posizioni più estreme, in questo senso, sono quelle rappresentate dai seguaci di mons. Marcel- François Lefebvre, alcuni dei quali arrivano a parlare di “sede vacante” e di “Chiesa apostatica”. Evidentemente, tali posizioni estreme non sono fatte proprie, tutte insieme, da tutti i rappresentanti del tradizionalismo cattolico, dato che tra essi ci sono anche studiosi seri ed equilibrati, le cui idee – prese una per una – possono e debbono essere apprezzate, anche se non necessariamente condivise, come fondate e legittime interpretazioni del dogma cattolico e della storia della Chiesa. Si tratta cioè di opinioni teologiche oggettivamente rispettabili, e io, quando si presenta l’occasione, trovo del tutto giusto rispettarle, e talvolta anche esprimere il mio apprezzamento. E a chi lavora con me suggerisco di fare altrettanto, ossia di rispettare queste opinioni teologiche oggettivamente rispettabili. Rispettarle – chiarisco – non per il contesto impersonale (socio-culturale) dell’ideologia che costituisce il loro humus, ma nel contesto personale dei retti ragionamenti di chi le propone.

de mattei concilio vaticano II

una pregevole opera storica di Roberto de Mattei

Faccio un primo esempio, tanto per chiarire ulteriormente questo mio criterio. Le ricerche storiografiche di Roberto de Mattei sul Vaticano II costituiscono di per sé — indipendentemente dall’uso ideologico che se ne possa fare — una documentazione che ha un suo indubbio valore scientifico. Io non condivido il suo interesse nell’esaminare il Concilio come “evento”, perché a me interessa il Concilio come Magistero, indipendentemente da come i documenti conciliari siano stati elaborati nelle commissioni e votati in aula; ma ciò non mi impedisce di leggere senza pregiudizi i suoi lavori e di trarne utili indicazioni per l’ermeneutica del Concilio, che per papa Ratzinger porta a riconoscere nel Vaticano II una «riforma nella continuità dell’unico soggetto Chiesa». Nemmeno condivido del tutto la sua strategia di intervento dei cattolici nella vita sociale a difesa dei «principi non negoziabili»: ma io so bene che qualche iniziativa nella società civile va pur presa, e la mia diffidenza nei riguardi dell’uso di certi mezzi (l’inevitabile commistione con questioni politiche) non toglie la mia condivisone piena dei fini. Questo è il motivo per cui non ritengo giusto che lo si critichi nell’Isola di Patmos senza distinguere tra le sue valutazioni storiografiche (che rientrano nei limiti della legittima libertà di opinione dei cattolici) e le sue iniziative culturali e socio-politiche (la cui opportunità non tocca noi dell’Isola di Patmos giudicare).

pietro vassallo

Antologia di scritti di Piero Vassallo per Riscossa Cristiana

Faccio un altro esempio. Piero Vassallo è un colto intellettuale genovese, buon conoscitore della storia della filosofia moderna, e io e lui ci troviamo d’accordo sulla validità della “filosofia del senso comune” e sulla critica dell’idealismo in teologia; perché mai dovrei rifiutare la sua amicizia in quanto manifesta, quando si occupa di argomenti estranei alla teologia, simpatie per la destra politica? Oltre a non parlare (né bene né male) delle sue convinzioni politiche, dovrei anche additarlo al pubblico disprezzo? E quale argomento teologico dovrei inventarmi per attaccarlo? Dovrei forse dire che la morale cattolica proibisce di avere simpatie per la destra? Ma l’opinione che bisogna essere necessariamente di sinistra per essere buoni cattolici non ha alcun fondamento teologico: è la classica opinione dei “fondamentalisti” (che possono essere cattolici di destra, m anche cattolici di sinistra: basti pensare ai teorici della “teologia politica” o “teologia della liberazione”).

fuori strada …

I “fondamentalisti” sono teologicamente fuori strada, perché ignorano la complessità delle questioni politiche e lo spazio di libertà che la Chiesa concede ai fedeli nella scelta dei mezzi per operare la necessaria “mediazione” tra i principi dell’etica sociale e le concrete possibilità di promozione del bene comune nella contingenza storica. Io quindi debbo limitarmi a considerazioni di carattere teologico, ricordando a tutti che in politica non ci sono dogmi, e il vero dogma, quello che è alla base della morale cattolica, non obbliga i fedeli ad alcuna opzione politica contingente. I principi della teologia morale (e la dottrina sociale della Chiesa costituisce un capitolo della teologia morale, diceva san Giovani Paolo II) segnalano dei criteri che la coscienza dei fedeli deve seguire, applicandoli con libertà e responsabilità personale alle concrete circostanze storiche in cui ci si trova a operare.

brunero gherardini 2

l’eminente teologo della scuola romana Brunero Gherardini

Un terzo esempio è quello di Brunero Gherardini, teologo della Lateranense ed esponente di quella che fu la celebre “scuola romana”, alla quale i progressisti vollero infliggere la damnatio memoriae. I tradizionalisti invece esaltano Gherardini perché ha messo al centro della discussione teologica del post-concilio proprio la nozione di “Tradizione”, senza peraltro comprenderla appieno nella sua complessità epistemica. Io credo di averla compresa appieno e non mi convince del tutto (lui lo sa perché ci frequentiamo amichevolmente da tanti anni e ci scambiamo opinioni su tanti argomenti), ma ciò nonostante consiglio a tutti lo studio dei suoi testi, ricchi di buona dottrina e di profonda pietà. In uno di questi suoi testi egli conclude la sua analisi dei documenti dottrinali del Vaticano II rilevandone in alcuni casi l’ambiguità: un’ambiguità tale da consentire ai progressisti interpretazioni false e tendenziose, atte a giustificare la loro «ermeneutica della discontinuità», ossia la tesi secondo la quale il Vaticano II segnerebbe una radicale rottura con la Tradizione. Ma qual è la conseguenza che Gherardini trae da questa sua analisi? Non il rifiuto indiscriminato degli insegnamenti conciliari bensì un rispettoso e accorato appello alla suprema autorità del Magistero, il Papa, perché provveda nel modo che crederà opportuno chiarire in quale senso quelle proposizioni ambigue possono e debbono interpretarsi in continuità con il magistero precedente. Io ho ritenuto giusto e doveroso aderire a questa pubblica supplica al Papa, anche se personalmente ho sempre pensato che il problema delle ambiguità contenute in alcuni testi conciliari va risolto con il criterio ermeneutico della “analogia fidei”, ossia presupponendo che la Chiesa di Cristo – unico soggetto permanente nelle mutevoli contingenze storiche – non intende mai contraddirsi, sicché nelle intenzioni della Chiesa docente ogni evoluzione del dogma è sempre in armonia sostanziale con la Tradizione (si tratta di una «evoluzione omogenea», come diceva Marin Sola).

E potrei fare tanti altri esempi, ma questi bastano. Se noi dell’Isola di Patmos condanniamo indiscriminatamente le singole persone di una determinata area ideologica, senza salvare gli aspetti oggettivamente positivi delle loro proposte teoretiche, facciamo anche noi un’operazione ideologica, e così la nostra opera di orientamento teologico dell’opinione pubblica viene a esserne fortemente limitata.

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Segnaliamo ai nostri lettori che il precedente articolo di Antonio Livi è stato particolarmente apprezzato nell’ambito francese ed è stato tradotto e riprodotto in una rivista telematica che potete consultare cliccando sotto

QUI

Antonio Livi ( 1938-2020 )
Presbitero e Teologo


( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Antonio

All’irrazionalismo intollerante degli islamici l’Occidente oppone soltanto l’irrazionalismo tollerante degli atei

ALL’IRRAZIONALISMO INTOLLERANTE DEGLI ISLAMICI L’OCCIDENTE OPPONE SOLTANTO L’IRRAZIONALISMO TOLLERANTE DEGLI ATEI

 

 [ RIPRODOTTO IN VERSIONE FRANCESE DALLA RIVISTA TELEMATICA BENOIT ET MOI ]

QUI

 

Così l’Occidente non può opporre all’irrazionalismo di una morale ricavata dal Corano senza alcuna mediazione teologica e tanto meno filosofica — quindi ignorando il diritto naturale — un altro tipo di irrazionalismo, quello di una legislazione “laica” senza Dio e senza il diritto naturale, che è appunto la lex Dei aeterna.

 

Autore Antonio Livi

Autore
Antonio Livi

 

Intervengo anch’io sui tristi eventi del gennaio 2015 a Parigi (la violenza assassina dei fanatici islamici e la grande manifestazione di solidarietà ai redattori di Charlie Hebdo per esprimere un’opinione diversa da quella degli altri redattori de L’Isola di Patmos. I lettori di questa rivista telematica non si sorprenderanno e tanto meno si scandalizzeranno di questa differenza di opinioni, perché noi abbiamo sempre detto che volevamo riportare ogni problema di attualità teologica ai principi della vera dottrina della Chiesa, ossia al dogma, illustrandolo però con commenti e applicazioni che per loro natura appartengono al campo dell’opinabile, lì dove nessuna opinione richiede necessariamente l’unanimità dei consensi. Ho ricordato in qualche occasione il vecchio motto patristico: “In necessariis, unitas; in dubiis, libertas; in omnibus, caritas”.

Dunque, senza voler mancare alla carità, esprimo con tutta libertà la mia opinione. Per essere il più possibile chiaro e preciso, enuncerò in tre punti:

1) Innanzitutto, io considero “tristi eventi” tanto la violenza assassina da parte dei fanatici islamici quanto la grande manifestazione di solidarietà ai redattori di Charlie Hebdo da parte dei capi politici francesi e di molti altri Paesi dell’area occidentale. Ambedue questi fatti — quello militare e quello ideologico — li giudico di enorme gravità morale, ma non tanto quanto lo è un terzo fatto, quello che ha dato origine agli altri due, ossia la pertinace pubblicazione la divulgazione di vignette oscene e pesantemente irriverenti contro l’Islam (con la caricatura del profeta Maometto) e contro il cristianesimo (con la rappresentazione blasfema della Santissima Trinità, di nostro Signore Gesù Cristo e della sua Madre Immacolata).

2) La reazione a queste vignette è stata, da parte degli islamisti, di furiosa indignazione, soprattutto per le caricature del profeta Maometto, che essi ritengono non debba essere rappresentato mai da alcuno; i più aggressivi hanno fatto ricorso al terrorismo in Francia e a nuove ondate di persecuzione violenta dei cristiani (considerati tutti indistintamente complici del “grande Satana”, cioè l’Occidente) in Medio Oriente e in Africa, e sempre più esplicita è la minaccia di estendere la “guerra santa” a tutto l’Occidente, minacciando anche Roma, centro della cristianità.

3) La reazione all’aggressività degli islamisti, da parte degli occidentali, è stata l’esaltazione indiscriminata della pretesa libertà di satira antireligiosa, fino al punto che le vignette irriverenti sono state diffuse in tutti i Paesi, non solo con le edizioni straordinarie di Charlie Hebdo (recentemente in sette milioni di copie, distribuite anche fuori della Francia, in Italia con Il Fatto quotidiano) ma anche con l’incauta riproduzione da parte di organi informativi cattolici, i quali oltre tutto hanno preferito selezionare le vignette contro il cristianesimo piuttosto che quelle contro l’Islam che avevano provocato la strage di Parigi. La rivista politico-culturale Etudes, diretta da religiosi gesuiti, le ha offerte ai suo lettori con l’assurdo pretesto di voler dimostrare come i cattolici non siano “integralisti” e sappiano anche loro rispettare la “libertà di satira”, ridendo volentieri anche delle proprie istituzioni e dei loro rappresentanti. Persino L’Isola di Patmos, senza che io fossi consultato al riguardo, ha pensato di dover riprodurre tali orrende vignette anticristiane a corredo di un ottimo articolo sull’argomento firmato da Padre Giovanni Cavalcoli. Io considero questa scelta giornalistica – malgrado le ottime intenzioni, tra le quali quella di documentare la gravità dei fatti dei quali si parla – una scelta sbagliata, perché materialmente costituisce una “cooperatio ad malum”, un’involontaria complicità con il peccato altrui, che in questo caso — l’offesa al Nome di Dio — è addirittura il peccato più grave.

libertà di parolaFar osservare che il problema di come conciliare la libertà di opinione con il rispetto delle istituzioni religiose e dei loro simboli è una questione del tutto secondaria rispetto all’enormità della bestemmia come atto intrinsecamente immorale, come offesa di Dio. Di fronte ai fatti dei quali stiamo parlando, una persona di retto criterio, e ancor più un teologo, non dovrebbe accumulare tante considerazioni socio-culturali ma rilevare ciò che è incommensurabilmente più grave di tutto il resto: che quelle famigerate vignette di Charlie Hebdo contengono, tra tante sconcezze e offese dissacranti — tutte cose deprecabili — anche bestemmie in senso proprio, ossia profanazione del santo Nome di Dio, e questo costituisce di per sé e direttamente la “materia” di quel gravissimo peccato dal quale Dio stesso mette in guardia tutti gli uomini con il secondo comandamento del Decalogo.

Per spiegarmi meglio, devo ricordare che “blasfemia”, etimologicamente, vuol dire genericamente “ingiuria”. Ora, quando la vittima dell’ingiuria è solo un essere umano, si va contro il quarto e il quinto comandamento, e la colpa più o meno grave, a seconda della dignità della persona offesa; invece, quando l’ingiuria è rivolta direttamente a Dio è bestemmia in senso proprio.

Gli islamici parlano di “blasfemia” anche solo quando si rappresenta Maometto, che nemmeno loro considerano Dio ma solo il suo Profeta. E così non è propriamente blasfemia, quanto al cristianesimo, l’irrisione dei rappresentanti della gerarchia ecclesiastica, Papa compreso. Non che siano atti tollerabili: sono azioni dissacratorie contro istituzioni e persone che rappresentano la vera religione, istituita da Cristo stesso. Ma – ripeto ancora – la gravità di questi peccati non è assolutamente comparabile con la gravità del peccato di blasfemia, che è la colpa di chi offende il Padre, il figlio Gesù Cristo e lo Spirito Santo (e ricordo che, in virtù dell’unione ipostatica, anche l’offesa alla Santissima Vergine Maria, Madre Dio, costituisce una vera e propria bestemmia).

Io, fin da bambino, ho tanto sofferto per le bestemmie che sentivo in giro — e siccome sono toscano ne sentivo parecchie —, e qualche volta reagivo redarguendo con una certa animosità i bestemmiatori. Poi, da sacerdote, ho dovuto assumere un contengo più pacato, imitando la mansuetudine di Gesù. Ma l’offesa a Dio fatta in pubblico profanando il suo Nome e quello della sua Madre santissima mi ha sempre recato un dolore profondo e dalla Chiesa ho imparato a fare personalmente tanti atti di riparazione, oltre alle preghiere in riparazione delle bestemmie che si recitano durante l’esposizione eucaristica. La reazione nei confronti dei bestemmiatori è passata ben presto in secondo piano, anzi poi nemmeno c’è più stata. Anche loro sono oggetto della preghiera, chiedendo a Dio stesso di non tener conto del loro peccato, “perché non sanno quello che fanno”. Insomma, di fronte alla bestemmia, una persona di retta coscienza soffre per la bestemmia perché sa bene che Dio merita non solo rispetto ma anche atti costanti di adorazione e di ringraziamento da parte di tutti gli uomini. Poco importa, a un cristiano che sia dotato di buon senso prima ancora che di fede, il fatto che la bestemmia ferisca il suo amor proprio e che egli si senta personalmente offeso nella sua appartenenza a una religione. Quello che veramente conta, quando si tratta della bestemmia, non è l’aspetto soggettivo e sentimentale ma quello oggettivo e morale. Perché la bestemmia è innanzitutto un peccato, uno dei più gravi, perché va direttamente contro il secondo comandamento del Decalogo, così banalizzato da Roberto Benigni, che è pratese come me e fa quello che può, poverino, ma gli danno troppo ascolto e troppi soldi anche quando vuol far ridere con argomenti presi dalla teologia.

Questo non è un discorso astratto e ozioso: serve a far capire che quasi tutti i commentatori cattolici hanno reagito in modo inadeguato ai fatti incresciosi legati alle “vignette blasfeme”, perché hanno parlato sempre e soltanto del rispetto per le religioni, per i loro adepti e per i loro simboli. Ad esempio, il vescovo di Verona, monsignor Giuseppe Zenti, in un articolo pubblicato sul settimanale diocesano, Verona fedele, intitolato “Come si concilia la blasfemia con la laicità democratica?”, depreca semplicemente «il clima culturale» che ha reso possibile la pubblicazione delle “vignette blasfeme”: un clima, specifica il presule, che è «quello della barbarie, nella quale non c’è diritto di cittadinanza per il rispetto delle persone e della loro sensibilità umana e religiosa» [vedere qui]. Un altro vescovo, il patriarca di Venezia Francesco Moraglia, parlando agli ebrei ha detto: «Ci sono temi che non possono essere trattati con generi letterari come l’ironia, soprattutto quando questa è feroce: quando la responsabilità è pubblica, le nostre parole sono più pesanti delle pietre» [vedere qui]. Troppo poco, dico io. Più grave dei qualsiasi mancanza di «rispetto delle persone e della loro sensibilità umana e religiosa», e più grave anche delle offese ai ministri di Dio, è l’offesa a Dio stesso, a Dio come realtà persona e non come idea di qualcuno o simbolo di qualcos’altro.

Nemmeno Padre Giovanni Cavalcoli, nel commento ai fatti di Charlie Hebdo, sembra prendere nella dovuta considerazione il tremendo fatto della blasfemia ripetuta dappertutto in milioni di copie, ma preferisce raccomandare un maggior dialogo tra il cristianesimo e l’Islam, partendo dalla comune fede nel Dio di Abramo e praticando il reciproco rispetto. Perfino il Santo Padre, nell’intervenire sull’argomento, ha parlato dell’inevitabile reazione — che egli definisce ingiusta ma umanamente comprensibile — che ci si può aspettare quando si arreca offesa a una persona, per esempio parlando male di sua madre [vedere qui]. Ma, ripeto, qui non sono in gioco i rapporti “orizzontali” tra gli uomini nella società umana, ma il rapporto “verticale” degli uomini con Dio. Se si rimane nella linea “orizzontali” e ci si preoccupa solo di stabilire il modo e la maniera di tutelare l’onore e i diritti di qualche soggetto sociale, ci si uniforma, anche in Occidente, alla mentalità tipica dell’Islam, dove tutto è politica, e non c’è il diritto naturale ma solo il diritto positivo stabilito arbitrariamente dagli Stati.

Così l’Occidente non può opporre all’irrazionalismo di una morale ricavata dal Corano senza alcuna mediazione teologica e tanto meno filosofica — quindi ignorando il diritto naturale — un altro tipo di irrazionalismo, quello di una legislazione “laica” senza Dio e senza il diritto naturale, che è appunto la lex Dei aeterna. In Occidente, dopo tutta la retorica indifesa della libertà di opinione e anche di satira, si è voluto reagire alla violenza militare degli islamisti giustificando la violenza ideologica del giornale satirico — tutti hanno detto: “Je suis Charlie” —. Poi, dal fatto contingente si è passati a teorizzare il “diritto” a ingiuriare ogni religione — ma soprattutto il cristianesimo, oltre naturalmente all’Islam —, proclamando il “diritto alla bestemmia” o «diritto di blasfemia», che il presidente francese Holland ha incluso tra i diritti civili e le conquiste di libertà che l’Occidente ha ereditato dalla Rivoluzione Francese. Certo, da un punto di vista meramente storico-culturale, Holland ha ragione: il guaio è cominciato proprio con l’Illuminismo anticattolico, i cui rappresentanti però non erano propriamente atei (non lo era nemmeno Voltaire). Quello che fece l’Illuminismo massonico — preponderante rispetto all’Illuminismo cattolico, che ebbe tra i suoi rappresentanti due intellettuali napoletani, Giambattista Vico e sant’Alfonso Maria de’ Liguori — fu di sostituire il culto di Dio con il culto del Potere politico. Così, in Francia i giacobini idearono la solenne intronizzazione di un’immagine della Dea Ragione nella basilica di Notre Dame a Parigi, non più casa di Dio ma esaltazione del pensiero rivoluzionario. Così, negli Stati Uniti, i Padri pellegrini fecero di Dio la bandiera delle aspirazioni all’indipendenza dalla Chiesa anglicana, governata dal re d’Inghilterra, e nella banconota da un dollaro scrissero “In God we trust”. Due secoli dopo, i nazisti combattevano la loro battaglia neopagana mantenendo il motto degli imperatori tedeschi: “Gott mit uns!”… Insomma, la storia ci mostra la rapida evoluzione di un’operazione ideologica di secolarizzazione, al culmine della quale non solo Dio non è più riconosciuto come il fondamento della legge naturale e il logico detentore del diritto all’adorazione da parte di tutti gli uomini, ma è addirittura negato nella sua stessa realtà. Per operare questa sostituzione, siccome l’evidenza di un Assoluto è insita nella ragione umana, l’Illuminismo moderno e contemporaneo ha operato una grottesca regressione culturale, tornando all’idolatria, alla divinizzazione degli «elementi di questo mondo» come li chiama san Paolo.

Prima che si istituisse la societas christiana la storia registra società che praticavano il culto degli idoli della nazione (antico Oriente) oppure il culto del capo militare (il divus Caesar dell’Impero Romano, al quale i cristiani si rifiutavano di offrire sacrifici). Modernamente, l’ideologia laicista ha voluto di nuovo divinizzare il Potere politico (lo “Stato”, la “Nazione” o il “Popolo”). Per imporre questa divinizzazione il laicismo mutua dal cristianesimo il linguaggio del sacro, che di per sé ha senso solo se riferito a Dio: ecco la «religione civile» teorizzata da Jean-Jacques Rousseau; ecco l’altare della Patria voluto dai Savoia dopo la presa di Roma; ecco «i sacri confini» della Patria; ecco il culto della memoria dei martiri (nel Ventennio si parlò dei «martiri fascisti», subito dopo dei «martiri della Resistenza»); ecco «l’apostolo della libertà» (Giuseppe Mazzini); ecco i «pellegrinaggi» al mausoleo di Lenin eccetera. Il senso del sacro è passato tutto nella retorica politica: il Sacro autentico, il Sacro per antonomasia, cioè Dio, non ha più alcun riconoscimento pubblico come realtà in sé. Se vien evocato, è solo per descrivere «il sentimento religioso» di qualche gruppo di cittadini, ai quali lo Stato può benignamente concedere una qualche libertà di culto.

Stando così le cose, è troppo poco, dicevo, limitarsi a perorare, contro la satira blasfema dei giornali occidentali, il rispetto dei diritti soggettivi delle persone che credono in Dio, e ciò al solo scopo di garantire la pace sociale. Ad esempio, sulla Bussola Quotidiana del 18 gennaio ho letto un articolo di Ettore Malnati intitolato “L’offesa al sentimento religioso non aiuta la convivenza” [vedere qui]. Ripeto ancora: troppo poco! Qui si tratta del rispetto dovuto a Dio, che indubbiamente esiste anche se lo Stato laicista dice che non è vero, che “non gli risulta”. Per lo Stato laicista la satira antireligiosa, compresa la blasfemia, è solo una maniera lecita di esprimere la critica razionale di un sentimento soggettivo irrazionale. E invece la verità è che la bestemmia costituisce un’ingiustizia, un disordine morale (cioè un peccato) di gravità assoluta, perché ciò che viene violato, innanzitutto, è il diritto primario che ha Dio al rispetto, all’onore e all’adorazione. Proporre, come è stato fatto, che lo Stato sancisca l’esistenza di un «diritto di blasfemia” equivale a formalizzare l’implicita premessa ateistica dello Stato laicista, la sua “Costituzione materiale”: si pretende che lo Stato affermi esplicitamente – senza averne alcuna autorità, né logica né morale – che Dio non esiste, che ciò che alcuni chiamano “Dio” è solo un’idea soggettiva tollerabile nel privato ma non meritevole di tutela pubblica. Mentre lo sono altre idee, ad esempio l’idea di essere degni di rispetto e di stima in quanto gay. Per questo motivo non si possono assolutamente offendere e nemmeno criticare i gay (è il reato di “omofobia”) ma si può offendere Dio, perché Dio non esiste. Invece, offendere un capo di Stato è reato di vilipendio, perché il capo di Stato esiste, e ovviamente lo Stato lo sa. Questa è la logica del discorso, se di logica si tratta. In realtà non si tratta di logica ma di mera prepotenza da parte di chi, per mantenere il potere, deve continuare a imporre la sua egemonia culturale e ideologica. Lo Stato si è costituito arbitrariamente di un’autorità assoluta, tanto da considerarsi esplicitamente fonte di ogni verità metafisica e morale, e quindi giuridica (chi esiste e ha diritto al rispetto e chi no).

La legge positiva ha legittimità solo se presuppone e rispetta la legge morale naturale, che parte dalla certezza che c’è Dio come prima Causa e ultimo Fine di tutto, e pertanto come Legislatore universale. Prima, a proposito dell’offesa al santo nome di Dio, parlavo del primo e del secondo Comandamento. Questo e tutti gli altri costituiscono il Decalogo, che altro non è se non la codificazione veterotestamentaria della legge morale naturale. Essa contiene in modo pienamente intellegibile le norme morali fondamentali che ogni uomo spontaneamente conosce ed è obbligato a osservare fedelmente, come insegna la grande tradizione filosofica e anche la Sacra Scrittura. Non c’è bisogno di conoscere la Legge di Mosè, dice san Paolo nella Lettera ai Romani, per onorare e amare Dio come creatore e legislatore. Così, oggi, dobbiamo dire che non c’è bisogno di una legge positiva della società civile per non bestemmiare. Certo, uno Stato moderno occidentale, che si vanta di essere “laico”, non solo non manterrà le leggi contro la blasfemia che prima erano state in vario modo formulate, ma addirittura imporrà una legge a favore del “diritto di blasfemia”.

Bisogna reagire all’ideologia statalistica, che è uno dei frutti più amari dell’idealismo e ricordare che è piuttosto lo Stato che non esiste: esistono invece uomini e donne che formano la società civile, uomini e donne che in quanto cittadini di una nazione si sono dati o hanno ricevuto una determinata forma giuridica per le istituzioni pubbliche (governo, giustizia, difesa, fisco eccetera), e ci sono tra questi cittadini alcuni che esercitano funzioni pubbliche. Gli uni e gli altri (privati cittadini e funzionari pubblici) hanno un intelletto e una coscienza, e sanno bene qual è la realtà evidente per tutti, e a partire da questa conoscenza di base (che in filosofia si chiama il “senso comune”) si formano le loro opinioni, in libertà, sulle questioni contingenti. Dal consenso di tutti sulle evidenze del senso comune si viene formando in tanti diversi modi il diritto positivo, valido se in sintonia con la volontà popolare ma soprattutto e innanzitutto con la legge morale naturale.

Chi ha ancora la facoltà di pensare con la propria testa sa che la verità metafisica e morale è una conquista che la ragione umana ottiene quando si basa sull’esperienza immediata e universale e poi anche sulla riflessione critica (la filosofia), che sono le premesse razionali di un eventuale accoglimento della rivelazione divina. Di fronte all’indottrinamento dello Stato ateistico bisogna tornare all’evidenza che Dio esiste, anche se chi governa lo Stato non vuole riconoscerlo. Lo riconosce il senso comune e la filosofia: nessun vero filosofo ha professato l’ateismo (lo ha dimostrato Etienne Gilson con il suo libro L’ateismo difficile), e nessuno scienziato ha mai potuto dimostrare con i suoi strumenti di indagine che Dio non c’è. Un autorevole filosofo italiano, in un’opera degli anni Sessanta del secolo scorso, ha scritto:

«L’itinerario dell’uomo a Dio si presenta come il più arduo e il più pressante. Senza il riferimento all’Assoluto infatti tutti i valori restano sospesi e l’uomo è esposto al continuo rischio di essere travolto dalla temporalità e di smarrirsi nei trabocchetti della contingenza. I vari tentativi di evadere il problema di Dio dell’ateismo nelle sue forme poliedriche fino alle contemporanee forme della cosiddetta “teologia della morte di Dio”, mostrano la dialettica mai risolta del dramma sconcertante dell’uomo che quaggiù non può attingere e possedere Dio, mentre avverte sempre in qualche modo di non poter stare senza Dio» (Cornelio Fabro, L’uomo e il rischio di Dio).

L’ateismo di Stato, come quello che si è imposto in Occidente, è concepibile solo in un orizzonte meramente politico: ma non di politica come esercizio del potere regolato da criteri di giustizia per in vista del bene comune, bensì di politica come conflitto di interessi per la conquista o il mantenimento del potere da parte di una forza ideologica, economica e militare. Una politica del genere cerca il consenso popolare con discorsi demagogici, rivolti al sentimento e non alla coscienza dei cittadini; e, quando raggiunge i suoi fini, ecco che l’ordine sociale è radicalmente compromesso a causa di leggi prive di qualsiasi connessione con il diritto naturale. Ma le leggi contrarie al diritto naturale non sono vere leggi, non hanno valore morale, ma si riducono a prepotenza, a tirannide, a dispotismo. Poco importa, da questo punto di vista, che la forma di governo sia totalitaria o democratica: in entrambi i casi si deve riconoscere che una gestione del potere (magistratura, governo, parlamenti) che ignori il diritto naturale fa sì che la classe politica si riduca a un’associazione per delinquere (magnum latrocinium), come diceva sant’Agostino già ai tempi della transizione tra l’Impero romano e i regni barbarici.

Ora, la coscienza di un uomo dotato, appunto, di coscienza, lo indurrà a comportarsi bene con Dio, sia nella vita privata che in pubblico, senza bisogno di costrizioni legali in un senso o nell’altro. Dal punto di vista della coscienza personale non c’è alcun problema. Il problema sorge quando la coscienza personale spinge a interessarsi della cosa pubblica e a prendere posizione di fronte alle leggi ingiuste. Tanti sono infatti i modi di prendere posizione: con il proprio attivo intervenento nella formazione dell’opinione pubblica, con diversità di forma e di critica sociale (l’insegnamento, l’uso dei mass media), con l’esempio personale che è giusto o no osservare e, esercitando il diritto di voto quando le circostanze lo consentono, contribuire a far sì che non sia approvate o se già approvate possano essere abolite. Tanti lo hanno fatto e lo stanno facendo, ad esempio per quanto riguarda l’aborto, (questione de iure condito) o il riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali (questione de iure condendo).
Ma gli aspetti paradossali di questa opposizione dello “Stato laico” è che l’Assoluto, cioè Dio, non è considerato reale, mentre lo Stato, che è relativo a un’idea della società, è considerato reale. Il relativismo, nega ogni assoluto – il che è impossibile per le leggi fondamentali della logica – e finisce così per rinchiudersi nel solipsismo irrazionalistico. Tipico dell’irrazionalismo è fare discorsi che cadono continuamente nella contraddizione (il self-denying discourse), e pertanto più che sbagliati sono propriamente insensati, sono autentici nonsenses. Lo “Stato laico” professa l’irrazionalismo tanto quanto lo “Stato islamico”, ossia l’ideologia politico-religiosa dell’Islam denunciata da Benedetto XVI nel discorso di Ratisbona.

Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

Musulmani e comunisti. Il caso della rivista Charlie Hebdo ed i limiti della “satira”

MUSULMANI E COMUNISTI. IL CASO DELLA RIVISTA CHARLIE HEBDO ED I LIMITI DELLA “SATIRA”

 

Nella strage di Parigi abbiamo assistito ad un attacco sfrontato, frontale e barbarico contro il cristianesimo da parte di due forze occasionalmente congiunte, per quanto tra loro sotto un certo aspetto feroci nemiche: il comunismo e l’islamismo.

 

Giovanni Cavalcoli OP

Giovanni Cavalcoli OP

 

la vergine maria violentata da re magi

Copertina blasfema dinanzi alla quale i soliti … “bigotti cattolici” potrebbero persino rimanere infastiditi, nel vedere la Madre di Dio alla quale i paladini della libertà di pensiero e di espressione hanno dedicato questo titolo: “La Santa Vergine violentata dai tre Re Magi”

La tragedia della strage a Parigi dei redattori del periodico comunista Charlie Hebdo ad opera di terroristi islamici ci suggerisce alcune riflessioni. Innanzitutto ci chiediamo quale giudizio o valutazione morale dobbiamo dare, come cattolici, sullo sconvolgente avvenimento; quali possono essere il senso o le conseguenze di un fatto così orrendo per molti motivi, un fatto che segna un gradino in più nell’escalation delle forze anticristiane ed antiumane contro il cristianesimo e la civiltà. In secondo luogo ci chiederemo quali possono essere state le cause prossime e remote. In terzo luogo ci chiederemo che cosa possiamo fare perchè non si ripetano fatti del genere.

Il primo sentimento che ci sorge nell’animo è quello della profonda commozione per i morti, redattori, attentatori, vittime innocenti prese in ostaggio, agenti addetti all’ordine. Vien fatto di pensare, a parlare con franchezza, che i redattori una simile disgrazia se la sono tirata addosso, conoscendo la suscettibilità dei musulmani. Un pensiero dunque per i morti: sdegno per i terroristi, pietà per le vittime, ammirazione per l’eroismo degli agenti. Invochiamo per i terroristi il Dio della giustizia e della misericordia. Quanto ai cristiani, essi pure disgustosamente presi di mira dalla satira sacrilega, ovviamente si sentono feriti. Ma traggono da questo episodio solo un incentivo per testimoniare con maggior chiarezza e suasività la loro fede, pregando per la conversione degli empi. Auguriamo agli organi giudiziari competenti di poter operare con saggezza ed efficacia per ristabilire in questo incresciosissimo e difficilissimo caso i diritti della giustizia lesa ed applicare con giustizia la legge nei confronti delle persone coinvolte dall’una e dall’altra parte.

 

charlie-hebdo - trinitas

Libertà di pensiero e di espressione. Copertina blasfema sulla Santissima Trinità.

La prima cosa che mi sento di dover dire è che nella strage di Parigi mi par di constatare l’incrociarsi di due fattori potenti anticristiani, che si stanno rafforzando oggi sul piano internazionale contro il cristianesimo, per cui sembrano valere oggi più che mai le parole del Salmo: «insorgono i re della terra e i prìncipi congiurano insieme contro il Signore e contro il suo Messia» [Sal 2,2]. Prendo come punto di riferimento per le riflessioni che propongo la vignetta blasfema contro la Santissima Trinità, vignetta che, a seguito dell’attentato, ormai tutti conoscono o perchè è stata loro sbattuta in faccia dai mass-media o perchè se la sono andata morbosamente a cercare, per cui ha fatto il giro del mondo, per la convinzione in molti diffusa che qui vi sia in gioco la difesa della libertà d’espressione.

Nel contempo l’infame periodico ha aumentato enormemente le vendite, cosa che testimonia del livello degli interessi culturali di molti nostri contemporanei, edificati dalla testimonianza eroica dei martiri comunisti. Sappiamo d’altra parte noi cattolici come il sublime mistero trinitario sia al cuore e al vertice del cristianesimo e lo caratterizzi rispetto a tutte le altre religioni e culture dell’umanità. Dunque, colpire o irridere questo augustissimo Mistero universale di salvezza, vuol dire attentare all’essenza più propria e più profonda del cristianesimo e, per chi lo fa coscientemente e volontariamente, comporta l’attirarsi i fulmini dell’ira divina, oltre che offendere la fede di tutti i cristiani.

charlie-hebdo- natale

Rappresentazione blasfema della natività di Gesù Cristo: “Il presepe dentro i luoghi pubblici”. Il Verbo di Dio, che per la nostra fede si è fatto uomo ed è morto e risorto, preso e gettato dentro una latrina da questi vignettisti in nome della  libertà di pensiero e di espressione …

Nel fatto di Parigi abbiamo assistito ad un attacco sfrontato, frontale e barbarico contro il cristianesimo da parte di due forze occasionalmente congiunte, per quanto tra loro sotto un certo aspetto feroci nemiche: il comunismo e l’islamismo. Attacco congiunto, perchè entrambi rifiutano il mistero trinitario. C’è però una notevole differenza, che mentre il musulmano rifiuta la Trinità in nome di Dio o di come egli concepisce Dio, e quindi in nome della religione, il comunista ateo rifiuta la religione come tale, sia essa cristiana o musulmana. Per il musulmano la religione nobilita e salva l’uomo; per il comunista lo inganna e lo rende schiavo. Dunque l’empietà del comunista è più grave di quella del musulmano. Questi almeno accetta Dio, anche se non crede in Cristo, e rende culto a Dio; il comunista, invece, come è noto, nega l’esistenza di Dio ed odia l’idea stessa di Dio e quindi trascura di adorarlo ed di obbedirGli, sostituendo a Dio se stesso. Col musulmano ci si può accordare nel dialogo interreligioso, e nel culto di quel Dio del quale tutti gli uomini ragionevoli sanno cogliere l’esistenza, anche se non hanno la grazia di accogliere il mistero trinitario.

charlie hebdo - benedetto XVI

Copertina blasfema che irride il  Mistero Eucaristico rappresentato attraverso l’ostensione di un profilattico per l’opera di questi maestri della libertà di pensiero e di espressione

Purtroppo, con i comunisti, non ci si può accordare neppure circa l’esistenza di Dio e non resta per noi cattolici che la speranza che almeno essi capiscano qualcosa della dignità umana. Resta solo, per il dialogo con i comunisti, la ragione, che noi e loro possediamo come esseri umani (animal rationale). Il che per la verità non è poco, supposta in loro la buona volontà. A parte il fatto che molti di essi possono essere in buona fede e servire implicitamente Dio attraverso il servizio al prossimo.

Qual è il senso, il significato di ciò che hanno compiuto gli assassini? Cosa intendevano fare, almeno per quello che possiamo capire o congetturare, i protagonisti della tragedia, dove da una parte si parla di martiri della libertà e dal’altra di martiri di Allàh?  Volesse Dio che tutti quelli che sono stati coinvolti nel fatto sanguinoso, benchè oggettivamente empi o assassini, avessero agito in buona fede, così da incontrarsi tutti in paradiso, come Paolo ha incontrato Stefano! Ma ho i miei dubbi, perchè purtroppo siamo ben lontani dalle dimensioni gigantesche di quei due eroi del cristianesimo. Ma non è di questo che voglio parlare, cosa misteriosa, per la quale mi rimetto al giudizio di Dio.

Charlie Hebdo - vergine maria

Copertina blasfema sul parto della Vergine Maria, all’interno uno sberleffo su “La vera storia di Gesù“, per opera dei maestri della libertà di pensiero e di espressione …

Quello che invece vorrei sottolineare è che, in occasione di questo episodio estremamente significativo e quasi paradigmatico della situazione epocale che stiamo vivendo, due gravi colpe oggettive, a prescindere dalla buona o cattiva fede degli attori, emergono con chiarezza: una, di matrice liberale, effetto di una gnoseologia scettica e relativista, la quale non pone limiti alla libertà di opinione in fatto di religione, fino a permettere il vilipendio, l’irrisione, l’impostura, la diffamazione, la menzogna, l’insulto, l’ingiuria. In questa concezione, oggi autorevole sul piano dell’ordinamento costituzionale degli Stati occidentali e del diritto civile, il credo religioso o la fede religiosa, sia essa cristiana o musulmana o ebraica o di qualunque altro genere, non riguardano la verità o la giustizia, o il bene pubblico, ma sono delle semplici opinioni private, per lo più favolose e magari superstiziose, superate comunque dalla scienza, le quali, se ad esse si desse spazio pubblico, diventerebbero, fonti di fanatismo e di intolleranza.

hedbo - gesù prestigiatore la prossima settimana vi farò anche la risurrezione

copertina blasfema sul Mistero della Risurrezione, il Gesù prestigiatore annuncia “La prossima settimana vi farò il numero della risurrezione”. I liberi maestri della libertà di pensiero e di espressione sapevano benissimo che la risurrezione del Cristo è il fondamento della nostra fede …

Da notare poi l’ipocrisia e l’astuzia dei comunisti, che operano nei paesi democratici senza essere al governo. Finchè essi non sono al potere, avanzano il diritto alla libertà di espressione per le loro irrisioni e campagne calunniose e per diffondere le loro menzogne in fatto di religione. Ma solo che essi raggiungano il potere, come dimostra la storia, non tollerano più alcun dissenso all’ideologia marxista e avviano una feroce e sistematica lotta alla religione, che soffoca con la violenza qualunque tentativo di autodifesa da parte dei credenti. Alla faccia della libertà di espressione, da loro difesa con cortei di protesta, quando non sono ancora al potere. Ma oggi si fa strada sempre di più l’arroganza e il fanatismo islamici, i quali, dopo quattordici secoli di tentativi mai riusciti, accorgendosi della crisi all’interno della Chiesa, del calo in molti delle certezze di fede, e dell’abbandono dei costumi cristiani, vedi per esempio il calo della pratica religiosa o la crisi della famiglia o la corruzione sessuale, credono che sia ormai vicino il momento di dare al cristianesimo il colpo finale, eventualmente con la conquista di Roma, come a suo tempo fecero con Costantinopoli, così da sottomettere finalmente tutto il mondo al Corano.

Charlie Hebdo - gesù casinò

Copertina blasfema: Gesù gestisce il tavolo del casinò, immagine irridente che esalta i più alti concetti di libertà di pensiero e di espressione …

Così, se da una parte abbiamo l’empietà che irride sacrilegamente, propria dei comunisti, dall’altra assistiamo allo zelo religioso violento e crudele dei musulmani, i quali continuano in qualche modo anacronisticamente lo stile dei profeti o capi dell’Antico Testamento, sull’esempio di un Mattatia, il quale, come narra la Scrittura, avendo assistito ad un atto di culto idolatrico di un suo connazionale, “arse di zelo; fremettero le sue viscere ed egli ribollì di giusto sdegno. Fattosi avanti di corsa, uccise l’ebreo sull’altare; uccise anche nel medesimo tempo il messaggero del re, che costringeva a sacrificare, e distrusse l’altare. Egli agiva per zelo verso la Legge” [I Mac, 2,24-26]. È evidente che noi cristiani, con tutto il rispetto per la Bibbia, abbiamo superato da un pezzo questi atteggiamenti pur lodati dall’Antico Testamento. Cristo ci ha insegnato sì la giustizia verso gli empi, ma soprattutto, sul suo esempio, la mitezza, il sacrificio e la fiducia nella divina misericordia, essendo tutti chiamati alla salvezza.

charlie-hebdo- crocifissione

Vignetta blasfema sulla crocifissione mutata in una rivista di avanspettacolo. Persino i non credenti rimangono umanamente toccati pensando a questo terrificante e doloroso supplizio dell’antico diritto penale romano, non però i maestri della libertà di pensiero e di espressione

Ci si può chiedere però se non sia il caso che la legge dello Stato, senza imporre o proibire una data religione, per la quale non ha competenza, ponga un limite alle espressioni estreme dell’ateismo, ove queste chiaramente offendono non questa o quella religione positiva o rivelata, sia quella cristiana, sia quella musulmana, sia quella ebraica o altre, ma la religione naturale come tale. Lo Stato certamente non può entrare nel merito delle varie religioni positive e dei loro dogmi e non ha competenza per giudicare delle loro controversie, che devono essere affrontate e risolte dalle rispettive comunità credenti. Tuttavia lo Stato, senza per questo essere confessionale, dovrebbe avere coscienza della fondamentale importanza del teismo, non importa quale, se cristiano, ebraico o islamico, proprio per garantire o assicurare il benessere, l’ordine e la giustizia nella società, nonchè il bene comune, la pace, la libertà e la sicurezza dello stesso Stato. La storia infatti dimostra che lo Stato ufficialmente ateo, come del resto lo Stato espressamente confessionale, è sorgente di totalitarismo, di intolleranza, di dissesto economico, di ingiustizia e disordine sociale, che poi conducono alla sovversione, alla soppressione della libertà ed all’anarchia.

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… libertà di pensiero e di espressione

A parte il pregio del diritto alla libertà religiosa, il cittadino può effettivamente aver diritto, negli ordinamenti civili moderni, a non esser religioso o a non professare alcuna religione; tuttavia lo Stato deve vigilare con opportune disposizioni a che il semplice agnosticismo o indifferentismo religioso non si trasformi in positiva lotta, offesa o irrisione della religione, perchè ciò minaccerebbe il bene stesso dello Stato e l’ordine civile. Lo Stato ateo, che intende distruggere la Chiesa e la religione, firma la propria condanna, come è dimostrato dalla storia. Invece lo Stato teocratico o cesaropapista, che divinizza se stesso, come si trova in Hegel e nella massoneria, con la pretesa di assicurare all’uomo la civiltà, la giustizia, la libertà e la felicità, sostituendosi alla Chiesa o asservendo a sè la Chiesa, è votato anch’esso al fallimento, come è pure dimostrato dalla storia, vedi il fascismo e il nazismo. Ma anche lo Stato luterano, che pretende di organizzare la Chiesa, e lo stesso Stato islamico che pretende di guidare l’uomo in paradiso, sono nefaste illusioni, che finiscono per causare ogni sorta di conflitto, di sopruso e di ingiustizia, come sempre è dimostrato dalla storia. Lo Stato dev’essere il promotore dell’umano, mentre la Chiesa crea i figli di Dio. Ma se lo Stato non rispetta la Chiesa e non collabora con lei nell’edificazione dell’umano, si volge contro l’uomo e lo distrugge.

vignetta interna

… libertà di pensiero e di espressione

Se l’Europa possiede valori universali e benèfici per tutta l’umanità, lo deve a duemila anni di cristianesimo. Dubitare di questi valori in nome di una falsa modernità o un falso progresso, rinnegando le sane tradizioni, vuol dire riaprire le porte alla barbarie e a tragedie del passato, che si pensavano ormai superate. Vuol dire ricadere nelle mani di quel comunismo, che alcuni illusoriamente pensavano finito e condannato dalla storia, e di quell’Islam che, constatando la debolezza e l’infingardaggine dell’Europa, crede che ormai sia giunto il momento di farci suoi schiavi. Ricordo che circa venti-trent’anni anni fa si parlava con una certa soddisfazione, dopo la caduta del muro di Berlino, di “fine delle ideologie”. Pia illusione! Esse oggi sono più vive, feroci intransigenti che mai e sono entrate persino nella Chiesa con la lotta spietata fra lefevriani e modernisti. Lo Stato, dal canto suo, conserva sempre un compito preziosissimo: da una parte deve garantire l’ordine e la libertà mediante metodi pacifici; ma deve anche saper intervenire al momento giusto per opporsi alle forze della violenza, dell’oppressione, del terrorismo, della sovversione o del fanatismo, al fine di difendere e proteggere gli interessi, l’incolumità e i diritti delle persone e della popolazione, soprattutto dei più deboli e dei più indifesi. Questo vale tanto per i danni sociali provocati dall’islamismo, quanto per quelli provocati dal comunismo ateo.

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Vilipendio alla persona del Sommo Pontefice, all’interno del numero una copiosa saga d’insulti rivolti a Benedetto XVI, anch’essi manfestazione della libertà di pensiero e di espressione

Non è il caso di ricordare anche in breve le cause storiche dell’islamismo e del comunismo. Ricordiamo solo, però, che per togliere efficacemente un male, occorre andare alle radici. Le radici più profonde stanno in quella tendenza diabolica ad odiare Cristo, chiamata dal Nuovo Testamento “anticristo”, conseguenza del peccato originale, che sempre nella storia spinge al peccato e all’ingiustizia. Siamo giunti oggi a questa drammatica crisi umanitaria ed ecclesiale perchè nei secoli passati la Chiesa non si è adeguatamente adoperata per l’evangelizzazione dei musulmani e dei comunisti. Troppo ci si è fermati a condannare gli errori e troppo poco si è fatto per favorire il dialogo. Il rischio di oggi è l’inverso: quello di un dialogo fine a se stesso che si ferma ai punti comuni e non invita l’interlocutore a correggersi dai propri errori. Una cosa importante da fare per risolvere questa difficile situazione è che la Chiesa, di concerto con gli organismi internazionali per la pace e diritti umani, prenda o studi accordi con le comunità religiose islamiche per far avanzare il dialogo interreligioso in tema di monoteismo, così da eliminare l’ateismo comunista. Occorrono inoltre accordi fra gli Stati democratici e gli Stati islamici, affinchè anche questi al loro interno concedano il diritto alla libertà religiosa rinunciando alla religione islamica di Stato.

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… e potevano forse mancare i “preti fascisti”?

Per quanto riguarda l’elemento soprannaturale o rivelato della religione, come per esempio nel cristianesimo si dà il mistero trinitario, questo è il campo di competenza della Chiesa. Occorre al riguardo che essa, sulla base dei punti in comune tra cristianesimo ed Islam, segnalati dal Concilio, organizzi un’azione o una pastorale evangelizzatrice a favore dei musulmani, la quale li aiuti a liberarsi dagli errori contenuti nel Corano — soprattutto l’opposizione al mistero trinitario —, così da potersi accostare, con l’aiuto della grazia, al mistero trinitario e in generale alle verità della fede cristiana. Infine occorre far avanzare il dialogo con i non-credenti e i comunisti al fine di persuaderli con prove e testimonianze convincenti a riconoscere l’esistenza di Dio e rimuovere gli ostacoli che si oppongono alla religione. Con i comunisti bisogna dialogare sulla base della semplice ragione, patrimonio proprio di ogni uomo. Gli Stati democratici fondati sui diritti universali dell’uomo riconosciuti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), con l’appoggio diplomatico della Chiesa, hanno il dovere di difendere anche con la forza delle armi o la coercizione la democrazia, la giustizia, la pace, la libertà e il bene comune messi in pericolo dalle violenze comuniste o islamiche. Per quanto poi riguarda i cristiani, ricordiamo la preziosissima testimonianza del martirio, che è stato ed è sempre un fattore determinante della diffusione del cristianesimo tra i popoli, come dice Tertulliano: sanguis martyrum, semen christianorum.

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L’epilogo delle vignette “satiriche” contro l’Islam, che volutamente non abbiamo riportato in questo articolo, sono stati 12 morti assassinati 

Una cosa importante infine da tenere presente è il mistero della Parusia. Cristo predice che nell’imminenza della fine del mondo la Chiesa sarà duramente perseguitata: «Sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. Molti ne resteranno scandalizzati ed essi si tradiranno e si odieranno a vicenda. Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà». Sembrano i tempi di oggi. C’è però una differenza. Continua il Signore: «Frattanto questo Vangelo del regno sarà annunziato a tutto il mondo, perchè ne sia resa testimonianza a tutte le genti» [Mt 24, 9-14]. Esistono per la verità aree umane immense, alle quali non viene ancora predicato il Vangelo: pensiamo alla Cina comunista, all’India induista, ad immense zone animiste o idolatriche dell’Africa o dell’Oceania, agli stessi paesi islamici. Per questo i Papi del postconcilio, traendo spinta dallo stesso Concilio, invitano pressantemente all’evangelizzazione, onde assolvere al mandato di Cristo e preparare, quando il Padre vorrà, la sua Venuta.

Fontanellato, 15 gennaio 2015

 

Tra pochi giorni l’Isola di Patmos proseguirà su questo tema con un nuovo articolo di Padre Giovanni Cavalcoli: «Uccidere in nome di Dio»

 

 

Autore REDAZIONE dell'Isola di Patmos

REDAZIONE
dell’Isola di Patmos

abbiamo scelto di accompagnare a questo articolo tutta una serie di immagini che la rivista “satirica” francese ha vibrate come coltellate al cuore del sentimento cristiano. Immagini crude e ferocemente offensive attraverso le quali desideravamo solo aiutare a livello grafico il Padre Giovanni Cavalcoli a rendere fino in fondo l’idea di ciò che ha scritto. Peraltro si tratta di immagini pubbliche diffuse in centinaia di migliaia di copie stampate e reperibili nella rete telematica attraverso qualsiasi motore di ricerca. Non abbiamo invece inserito, di proposito, le immagini dirette al mondo islamico, perché il modo attraverso il quale hanno oltraggiato la nostra fede basta e avanza, senza bisogno di inserire le immagini “satiriche” verso la fede altrui.

Siamo al cambio di un’epoca, sul Santo Padre Francesco è necessario sospendere il giudizio e procedere sulle ali della fede

SIAMO AL CAMBIO DI UN’EPOCA, SUL SANTO PADRE FRANCESCO È NECESSARIO SOSPENDERE IL GIUDIZIO E PROCEDERE SULLE ALI DELLA FEDE

 

C’è un esercito sempre più sbraitante di “tradizionalisti” che non riesce a capire che la Chiesa non è del Santo Padre Francesco, come prima non lo è stata di Benedetto XVI, di Pio XII, di Pio X. Non lo è stata di Pietro stesso scelto come proprio vicario in terra dal Verbo di Dio in persona. La Chiesa è di Cristo, ed è comunque governata dallo Spirito Santo; e per quanto sia stata e possa essere ancora deturpata dagli uomini, rimarrà sempre la sposa santa e immacolata del Redentore.

 

Autore Ariel S. Levi di Gualdo

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

Giovanni Cavalcoli in coro 2

il teologo pontificio Giovanni Cavalcoli nel coro del suo convento domenicano, prova vivente di come la teologia si faccia anzitutto pregando

Compito dei padri dell’Isola di Patmos è di trasmettere la virtù della speranza, invitando le membra vive del Popolo di Dio a vivere e praticare questa virtù teologale che l’Apostolo Paolo pone tra la fede e la carità [Cf. I Cor 13, 1-8]. Una virtù collocata come spartiacque perché “nel mezzo” non c’è il compromesso, c’è il punto d’unione, l’amalgama. E dato che sulle righe di questa rivista non siamo avvezzi proceder per umori né per scomposte passioni ma sul rigore teologico scevro da sociologismi e politichese, è necessario ribadire che la fede e la carità non sono neppure pensabili, senza l’amalgama della speranza. Ogni lettore animato da sincero sentimento cattolico, libero dalle chiusure originate dal «io voglio» sempre più spesso sostituito al «cosa vuole Dio da me», capirà che da una fede senza speranza, o da una carità senza speranza, ne uscirà fuori un corpo senza ossatura, un mollusco. E un mollusco non può costituire il Corpo Mistico di Cristo, la Chiesa di cui Egli è capo e noi membra [sulla “speranza” rimando al mio precedente articolo, qui].

Antonio Livi - Senato accademico 2

il filosofo metafisico e teologo della scuola romana Antonio Livi durante una seduta del senato accademico della Pontificia Università Lateranense, presso la quale ha dedicato la propria vita a formare nella sana teologia cattolica generazioni di allievi

Giovanni Cavalcoli, Antonio Livi ed io, in diversi scritti abbiamo già lamentato con dispiacere, senza livori dettati da secondi fini, come una squadra di incompetenti appartenenti anche al mondo della cosiddetta “Tradizione” si stia calando sempre più nel ruolo di teologi, ecclesiologi, canonisti, storici della Chiesa … senza averne la preparazione e la maturità richiesta quando si affrontano certi complessi temi in pubblico, o per mezzo di scritti rivolti a numeri indeterminati di lettori. Non è né sano né cristiano praticare con leggerezza spesso intrisa di omocentrismi dei delicati settori della ecclesiologia, della teologia e della pastorale; materie alle quali noi tre abbiamo dedicano lunghi anni, o interi decenni di vita, come nel caso dei miei due confratelli anziani, accompagnando sempre la buona dottrina al ministero pastorale e soprattutto all’obbedienza nella fede all’Autorità ecclesiastica. Poi, se alla palese incompetenza si aggiungono pure la presunzione farisaica ed il fanatismo, il tutto risulterà più grave ancora. E se a questa aggravante di per sé già sufficiente in quanto a dannosità, si unisce come tocco estremo la mancanza di libertà derivante dalla volontaria reclusione nel microcosmo della ideologia entro la quale alberga il solo vero e il puro e unico pensare cattolico, a quel punto il disastro è totale e questi soggetti risulteranno gravemente nocivi per tutti quei devoti cattolici che finiscono spesso in buona fede col prendere sul serio certe loro affermazioni errate.

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la ormai storica rivista Playboy

Per questo invito i cattolici devoti che si stanno movendo con difficoltà sempre maggiori in questi nostri difficili scenari ecclesiali, cercando sempre più spesso conforto presso noi sacerdoti, sia nel confessionale sia nella direzione spirituale, a leggere gli ameni articoli di fondo che accompagnano le immagini delle conturbanti modelle di Playboy, non però i libri di Cristina Siccardi e di Carlo Manetti, evitando di abbeverarsi ad essi come fossero testi contenenti verità inconfutabili. Dico sul serio e senza pena di scandalo: perché facendo le debite proporzioni, una rivista a sfondo erotico risulterà in ogni caso meno dannosa delle fanta-ecclesiologie, delle fanta-teologie e delle fanta-storie della Chiesa diffuse da praticoni gravati da prevenzioni ideologiche e poveri di adeguate cognizioni teologiche.

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per ascoltare la conferenza integrale dell’Autrice che tenta di usare e manipolare la figura di Paolo VI per legittimare il vescovo  scismatico Marcel Lefebvre, dalla stessa paragonato ai Santi Padri della Chiesa, cliccare QUI

Per quanto il mio paradosso sia evidente, nell’invitare i buoni cattolici a non leggere le opere della Siccardi che strumentalizza San Pio X per tirare acqua al mulino dei lefebvriani e portare avanti un’ideologia dell’anti-concilio Vaticano II, resta del tutto pacifico che li invito al tempo stesso a non leggere neppure Playboy, perché al suo interno v’è poco di edificante. Analogo invito vale per le fuorvianti congetture “teologiche” di Maria Guarini, direttrice del seguito blog chiesa&postconcilio, che di recente ha conferito somma sacralità ad un accidente esterno, la lingua latina [vedere qui], usata per porre in immancabile discussione dietro le righe l’autorità del Concilio Vaticano II, la cui assisa era formata da tutti i vescovi dell’orbe cattolica privi però delle capacità analitiche della somma teologa Guarini, alla quale manderei volentieri in omaggio un celebre sermone di Sant’Alfonso Maria de Liguori sulla superbia. La Guarini è una persona amabile, moglie e madre esemplare, una vita di serio lavoro allcristina siccardi invernoe spalle nel corso della quale s’è cimentata anche negli studi teologici, io stesso le voglio bene ed anche per questo non mi lascio toccare dal fatto ch’ella sia caratterizzata da un elemento limitante e al contempo pericoloso: la incapacità di ascoltare al di là di se stessa i buoni maestri, fatta eccezione per quanti le dicono ciò ch’ella vuol sentirsi dire o coloro che essendo cattivi maestri e vivendo in errore le approvano ciò che di sbagliato spesso afferma. Una donna animata da serietà umana e dalle migliori intenzioni che della sacra liturgia ha fatto il proprio cavallo di battaglia, benché non le sia chiaro il concetto metafisico di sostanze immutabili e di accidenti esterni in sé e di per sé mutevoli, inclusa la lingua — che rimane un accidente esterno — usata per trasmettere l’eterna sostanza immutabile dall’ineffabile Sacrificio Eucaristico.

Disquisendo di liturgia e polemizzando sul Novus Ordo Missae la Guarini non afferma né ilmaria guarini vero né il verosimile ma solo l’ideologico ammantato da un improbabile teologico. Da certi suoi scritti emergono carenze sia riguardo la storia della Chiesa sia riguardo la dogmatica sacramentaria, specie quando si lascia andare ad affermazioni sicure — prese come tali da molti —, che a loro volta le fanno proprie diffondendole come fossero verbum Domini. Un solo esempio per far capire che cosa intendo dire quando parlo dei danni che possono derivare dall’ideologia supportata spesso da carenze di conoscenza: un cattolico mi scrive citandomi uno scritto della Guarini che facendo critiche al Novus Ordo Missae ed esaltando il Vetus Ordo, parla della de-sacralizzazione dell’Eucaristia legata anche al fatto che con la riforma liturgica il celebrante ha preso a recitare la “formula consacratoria” ad alta voce. Ho risposto al giovane: «Forse questa teologa non conosce a fondo la storia della liturgia, quindi il motivo per il quale fu imposta la recita sottovoce di quella e di altre parti della Santa Messa. Scelta affatto connessa a chissà quale arcana sacralità legata al tono non udibile delle parole in sé, visto e considerato che il Signore Gesù disse ad alta voce in modo udibile agli Apostoli: «Questo è il mio corpo … questo è il mio sangue»; e per quanto fosse stato chiaro nel pronunciare quelle parole, se non fosse disceso in seguito lo Spirito Santo nel cenacolo sopra agli Apostoli, questi non sarebbero riusciti neppure a percepire la portata del mistero che si era realizzato attraverso il Verbo di Dio fatto uomo. La voce sommessa non udibile dall’assemblea, o le cosiddette secrete, furono imposte per questioni di carattere pedagogico-pastorale, evitando in tal modo al Popolo, che aveva ormai imparate a memoria tutte le parti della Santa Messa, di recitare ad alta voce col celebrante l’intero Canone Eucaristico. Lungo sarebbe il discorso e numerose le rubriche liturgiche poste da certi “tradizionalisti” al di sopra degli stessi misteri della fede, che nascono solo per motivazioni e ragioni di pura opportunità pastorale, non per chissà quali arcani e sacri misteri; e queste motivazioni e ragioni si chiamano “accidenti esterni”, caratterizzati come tali da mutevolezza, quegli accidenti che la Guarini e il codazzo di “tradizionalisti” al seguito suo e di altri autori affini d’area lefebvriana rischiano di mutare non in elementi sacri, ma in veri e propri idoli: l’idolatria del rubricismo.

gnocchi e palmaroParticolare scalpore fece l’articolo «Questo Papa non ci piace» di Alessandro Gnocchi e del compianto Mario Palmaro [vedere qui] contenente opinioni e perplessità del tutto legittime, partendo dalle quali bisognerebbe non solo aprirsi alla discussione — sale della Chiesa e lievito della speculazione teologica — ma anche all’ascolto. Noto invece che queste persone sembrano troppo impegnate ad ascoltare se stesse per prestare ascolto ad altri. Gnocchi si è fatto anch’esso le proprie opinioni, rispettabili e legittime, che persegue in modo deciso senza curarsi di ascoltare teologi, ecclesiologi e pastori in cura d’anime che forse avrebbero da dirgli molto, in particolare certi miei confratelli anziani che in mezzo secolo di studi, ricerche, applicazione al ministero pastorale e vita di preghiera, forse potrebbero trasmettergli pure parecchio, se da parte sua vi fosse la disponibilità ad ascoltare ed eventualmente ad accogliere, anziché vivere ripiegato sulla sicurezza di “possedere” quella verità che proprio perché tale non si possiede, si ascolta docilmente ed altrettanto docilmente si serve.

E la Verità si serve nella Chiesa, con la Chiesa, per la Chiesa e dentro la Chiesa, non certo accusando la Chiesa di non essere fedele alla Verità. Ignari che certi pensieri ed atteggiamenti molto insidiosi nascono spesso a monte da una nostra idea di Chiesa, perché quando non si riesce a proiettarsi con speranza nel futuro, allora ci si rifugia nell’immobilismo di un passato reso statico che come tale non deve passare mai. A chi non riesce a vivere con serenità il presente ed a viverlo proiettato nella speranza futura, non resta quindi che il rifugio nel passato, negazione, questa, temibile e terribile, di chi rifiuta un elemento non proprio secondario della nostra fede: la Chiesa intesa come popolo in crescita ed in perenne cammino sino al ritorno del Cristo alla fine dei tempi.

cristina siccardi con Paolo VI e con lefebvre

Con Paolo VI … e con Lefebvre“, che equivale a dire: con il monarca e con l’anarchico … semmai non fossero chiare le idee confuse di questa autrice vedere qui

Visto poi che tutte queste persone attive nella difesa della Verità e dei valori non negoziabili, parlano sempre di coerenza, verrebbe da fare un discorso molto serio non tanto sui contenuti di certi loro scritti, ma pure sul contenitore privilegiato nel quale da tempo li raccolgono. Discorso nel quale andrebbe coinvolto anche lo storico Roberto de Mattei, oggetto della mia profonda stima ieri, oggi e domani. Questa la mia perplessità: è opportuno, per dei cattolici indefessi che si proclamano difensori di una vera Traditio sempre più insidiata da venti tempestosi, usare come contenitore il giornale di un ateo dichiarato come Giuliano Ferrara, uomo noto per la sua sagace intelligenza ma altrettanto noto per avere attraversato tutto quello che c’era da attraversare nel mondo della politica italiana, cambiando ripetutamente carro e cavaliere, bandiere e stendardi? Perché se a questi “maestri” della “cattolica coerenza” non fosse chiaro, allora provvederò a chiarirgli l’ovvio palese. Giuliano Ferrara ed Eugenio Scalfari sono entrambi accomunati da un elemento di unione: l’ateismo.

il foglio gnocchi e palmaro

Uno dei tanti articoli comparsi sul Foglio a firma di Alessandro Gnocchi e del compianto Mario Palmaro, basati su una non conoscenza del modo complesso e anche grave attraverso il quale si sono svolti realmente certi fatti che hanno imposto all’Autorità ecclesiastica di intervenire [vedere qui]

Questi paladini della autentica traditio che firmano articoli sul giornale di un ateo dichiarato e che gemono dalle sue colonne su quanto «questo Papa non ci piace», non hanno alcun ragionevole diritto di stracciarsi le vesti dinanzi ai colloqui del Santo Padre con l’ateo Eugenio Scalfari, al quale dobbiamo invece riconoscere quella lineare continuità di pensiero protratta nel tempo che pare un po’ carente in Giuliano Ferrara; il tutto precisando, a massimo beneficio ed a meritato onore di Ferrara, che solamente gli stolti non cambiano mai opinione e che spesso, mutare opinione, può essere segno di intelligenza ed anche di coerenza. Diversamente invece, quarant’anni fa, Eugenio Scalfari era esattamente quello che è oggi, cosa questa che potrebbe denotare sia coerenza nella continuità sia mancanza di apertura ad una evoluzione e trasformazione del pensiero umano. Dinanzi a tutte queste incongruenze — che non sono incongruenze di Ferrara ma di certi cattolici duri&puri che usano le colonne del suo giornale come vetrina — la chiave di lettura nella quale possiamo trovare adeguata risposta è ancora una volta tutta racchiusa in una parola: ideologia.

manifesto

I quotidiani comunisti non esistono più neppure in Russia, sopravvivono però in Italia, Francia, Spagna …

Io che non oserei mai presentarmi come difensore della autentica Verità e della pura Traditio che “la Chiesa sta dissipando” — posto che della Verità e della Traditio sono solo devoto servitore e nei modi in cui la Chiesa mi comanda di esserlo — non accetterei mai di pubblicare miei scritti su Il Manifesto Comunista, perché oltre ai contenuti è necessario valutare il contenitore, chi lo gestisce e chi lo dirige. Ciò detto mi domando: a tutto questo ci hanno mai pensato Roberto de Mattei, Alessandro Gnocchi e tutte le punte di spicco del loro battagliero e critico entourage?

giovane e vecchio

in certi ambienti della “Tradizione” dura&pura dove si fanno le pulci a tutti, dai Sommi Pontefici agli interi documenti dei concili ecumenici, circolano realmente coppie di questo genere e solitamente non si tratta mai di anziani pensionati che percepiscono 500 euro al mese di pensione; e quando i preti lefebvriani si recano presso questi circoli a celebrare, non prestano mai attenzione a certe “coppie originali”, forse perché troppo impegnati a predicare agli adolescenti che per gli “atti impuri” si va diritti all’Inferno?

Questo tipo di “tradizionalisti” che di recente ho paragonato ai comunisti italiani e francesi che dinanzi ai carri armati russi che invasero Praga tacquero, quando ad essere toccato è stato un loro beniamino, il Vescovo di Albenga Mario Oliveri [vedere qui], hanno reagito col silenzio, palesandosi come una riedizione della Fattoria degli animali di George Orwell: «Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri». Mi duole dirlo, ma i disastri emersi nella Diocesi di Albenga, ed in specie sul versante morale, non si sono invece verificati con episodi di siffatta gravità nelle diocesi rette da certi vescovi cosiddetti iper-conciliaristi. Dobbiamo allora dare per scontato che per questi paladini della Traditio che accolgono senza particolari problemi morali nelle loro fondazioni e alle loro Sante Messe in rito antico piccoli eserciti di pluridivorziati; per questi difensori dei sacri valori della famiglia che non rimangono turbati, anzi fingono proprio di non vedere certi loro ricchi benefattori sessantenni che si presentano nei loro circoli traditional con la fidanzata di trent’anni Cop Francescani.indd… ebbene, per questi difensori dei sacri valori della famiglia, forse esistono anche due tipi di ateismo: l’ateismo di sinistra, quello di Scalfari, che è un ateismo cattivo perché di sinistra; e l’ateismo di destra, quello di Ferrara, che invece è un ateismo buono, perché è di destra. E detto questo resto in attesa di smentite, non di silenzi, come quando di recente ho accusato queste persone sulla pubblica piazza di avere usato i poveri Francescani dell’Immacolata per scopi ideologici recando loro un danno maggiore che poteva essere evitato, mandando a tal scopo alla carica il celebre “ecclesiologo” ed esperto “canonista” Carlo Manetti, autore di un libro avulso dalla realtà dei fatti, come a tempo e luogo sarà dimostrato dai competenti uffici della Santa Sede [vedere qui], posto che questo autore, fatta salva la mia ironia a dir poco dovuta, non sa neppure dove albergano, la ecclesiologia ed il diritto canonico; e ciò non perché lo dica io, ma perché lo dimostra il suo libro.

Masturbazione

” […] Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito” [Mt 23, 1-12]

Vorrei che queste persone dalla morale malleabile, capaci per un verso a minacciare coi loro catechismi gli adolescenti di abbrustolire tra le fiamme dell’inferno se oseranno masturbarsi, ma per altro verso così indulgenti, o meglio non vedenti quando si tratta delle vite allegre di certi loro ricchi finanziatori, ci rassicurassero di non avere mai preso un soldo dall’estrema destra americana, né da certi ricchi imprenditori brasiliani, o da europei che si sono arricchiti per incanto in Brasile, grazie ai quali e per causa dei quali in quel Paese ci sono da una parte le loro ville faraoniche — semmai con annessa cappella eretta nei pressi della piscina olimpica dove si celebra la Santa Messa col Messale di San Pio V — dall’altra le favelas ed i fanciulli abbandonati per le strade che non possono marciare per la vita, essendo troppo impegnati a cercare di salvarsi la vita. Inutile a dirsi: chi conosce i miei scritti ed i miei libri, sa bene che non sono un esponente della Teologia della Liberazione, sono un prete ed un teologo cattolico, apostolico romano con una certa vocazione a dare un po’ di filo da torcere ai farisei ipocriti, dicendo all’occorrenza ai buoni fedeli: fate attenzione, perché quelli «filtrano il moscerino e poi s’ingoiano il cammello […] puliscono l’esterno del bicchiere e del piatto mentre all’interno sono pieni di rapina e d’intemperanza» [Cf. Mt 23, 24-25], ed in questo caso, oltre a non fare quel che fanno, i nostri buoni fedeli non devono fare soprattutto quello che di gravemente sbagliato essi dicono e diffondono.

de Mattei libro in portoghese

edizione brasiliana del libro di Roberto de Mattei: “Il Concilio Vaticano II, una storia mai scritta”

Negli anni Sessanta la Chiesa ha celebrato il suo XXI° concilio nel quale non tutto è andato bene, ma un fatto è certo: quel Concilio celebrato dai Padri della Chiesa sotto l’autorità di Pietro ha sancito delle nuove dottrine che sono vincolanti per tutto il corpo dei fedeli, soprattutto per i vescovi, i presbiteri, i diaconi, i religiosi e le religiose. Usare il concetto di pastoralità per giungere a dire sopra e sotto le righe che «in fondo è stato solo un concilio pastorale» e come tale lascia il tempo che trova, non è errato ma teologicamente aberrante. Tutti sappiamo che al Concilio ha fatto seguito un post concilio che in nome della interpretazione o della applicazione ha creato problemi, grazie a potenti cordate di modernisti e di teologi che a forza di ascoltare solo se stessi sono caduti anche in eresia, dopo avere creato il proprio concilio egomenico e le proprie dottrine. Una consapevolezza, questa, che non solo mi è chiara ma della quale sono ripieno, perché Dio ha avuto la bontà di farmi incontrare sul mio cammino grandi uomini e testimoni della fede come Divo Barsotti e Cornelio Fabro; perché da anni sono in relazione coi due teologi anziani assieme ai quali portiamo avanti questa rivista, entrambi esponenti ed eredi delle più insigni scuole di teologia, che hanno vissuto a stretto contatto con alcuni uomini per i quali non è escluso che domani la Chiesa possa proclamarli santi e confessori della fede, come nel caso del giovane e geniale teologo domenicano Tomas Tyn. E alla prova dei fatti, come uomo di cinquant’anni, ritengo di avere maturato una caratteristica utile a me ed ai fedeli che mi avvicinano come confessore, direttore spirituale e maestro di dottrina: i saggi maestri dotati di prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, io li ascolto e li seguo rendendo lode a Dio per avermi benedetto facendomeli incontrare sul mio cammino umano e sacerdotale. Mi guardo bene dall’aggredirli o dal censurarli, meno che mai dal dimenticarli o dal negarli in nome del mio opinabile e arrogante “ti sbagli” perché “io dico che…”, ergo “è vero solo ciò che dico io”.

gherardini concilio equivoco

il celebre teologo Brunero Gherardini, ha di fatto finito col sostenere che il Concilio Vaticano II non è in linea di continuità con la precedente tradizione

Essere però consapevoli che all’interno della Chiesa stiamo vivendo una grande crisi di fede che genera una terribile crisi dottrinale e di conseguenza una crisi morale, non vuol dire affermare erroneamente, come fanno i lefebvriani e le persone vicine alla loro area, che il problema è il concilio e che il post concilio ne è la ovvia conseguenza, perché ciò equivale in tutto e per tutto ad affermare che siccome un giovane incapace ha preso di nascosto ad un pilota professionista la sua Ferrari, causando con essa un incidente e danneggiando l’autovettura stessa, la colpa è della fabbrica di Maranello e di Luca Cordero di Montezemolo che della società era amministratore delegato.

Temo che taluni non vogliano capire che il problema ecclesiale attuale non è più il concilio o il postsostanze e accidenti concilio che spesso ha stravolto il concilio; il problema è che a distanza di mezzo secolo dalla celebrazione del concilio, dopo decenni di devastazioni operate dal meglio del peggio di molti teologi, oggi siamo giunti al radicale cambio di un’epoca nel corso del quale sarà sepolta la struttura ecclesiastica come sin oggi l’abbiamo intesa ed esteriormente vissuta, per proiettare nel divenire futuro la Chiesa Corpo Mistico di Cristo che vivrà sino al suo ritorno alla fine dei tempi. Gli accidenti esterni, metafisicamente parlando, prima sono mutati, poi hanno finito col risultare non più adeguati per preservare l’immutabile ed eterna sostanza del Verbo di Dio fatto uomo che si è rivelato nascendo dal ventre della Vergine Maria, morendo e risorgendo dalla morte; e che prima di offrire se stesso in sacrificio ha fondato la sua Chiesa sulla roccia di Pietro, donandoci la sua perenne presenza viva attraverso l’Eucaristia, suo memoriale vivo e santo, centro e cuore propulsore della vita ecclesiale.

Il pericolo e l’autentica aberrazione del mondo di una certa “Tradizione” è di avere smarrito questo concetto metafisico basilare finendo col credere che la sussistenza della sostanza dipenda dagli accidenti esterni, dal passato che non deve passare e che per questo va immobilizzato, mummificato, sino a considerare come elementi eterni ed immutabili gli accidenti esterni; proprio come se da essi dipendesse la sostanza eterna ed immutabile. Non a caso ho usato il termine di aberrazione teologica intesa nel senso etimologico del termine: vagare al di fuori della via della verità.

Nella cultura filippina questo gesto significa “vi amo”, adesso però cerchiamo di spiegarlo alla maggioranza assoluta degli abitanti di questo mondo costituita da non filippini, che non si tratta di una riedizione de Il Marchese del Grillo …

In questo tempo ecclesiale nel quale è in corso un radicale cambio d’epoca, la figura centrale e determinante è quella del Santo Padre Francesco, quel pontefice che a molti cattolici non piace ma che al tempo stesso piace a tutti coloro che hanno improntate le proprie esistenze su un vivere e un pensare non cattolico. Molti che si sentono disorientati o imbarazzati da certi suoi gesti finiscono con l’affermare «questo Papa non ci piace». Qualche esempio: il Sommo Pontefice che apre le mani giunte ad un piccolo chierichetto domandandogli «ti si sono incollate le mani?» [qui], che saluta col pollicione alzato come fosse il vecchio zio d’America, che si mette un naso da clown accanto ad una coppia di sposi con tanto di sposa introdotta alla presenza del Santo Padre un po’ troppo scoperta e scollacciata. Oppure l’ultima in ordine di serie: in visita apostolica nelle Filippine, il Santo Padre saluta facendo un paio di corna assieme ad un suo cardinale. Ovviamente è stato subito spiegato appresso che quel gesto, nella cultura filippina, non ha nulla a che fare col rock satanico al quale hanno fatto subito richiamo gli apocalittici ed i cacciatori di anticristi, si tratta di un gesto che significa: «Vi amo».

marchese del grillo 2

Paolo Stoppa nei panni di Pio VII e Alberto Sordi in quelli del Marchese del Grillo

Ovviamente sono il primo a discutere senza paure e falsi pudori clericali su quanto possa risultare inopportuno un gesto simile fatto dal Romano Pontefice ripreso dai fotografi e dalle televisioni di mezzo mondo, anche perché non è detto che sia semplice né agevole spiegare a molti non filippini — ossia la maggioranza degli abitanti di questo mondo — che quelle corna significano «Vi amo» e che non si tratta invece di un gesto uscito da una scena del film Il Marchese del Grillo, dove il grande Paolo Stoppa nei panni di Pio VII chiude la pièce comica facendo le corna, dopo che il nobiluomo romano impersonato da un altro grande, Alberto Sordi, aveva fatto traballare come suo solito uso il Sommo Pontefice sulla sedia gestatoria, che avvertita la scossa sbotta: «Vuoi farmi rompere l’osso del collo?». Replica il gentiluomo burlone: «Santità, morto un Papa se ne fa un altro!» [vedere qui]. Ma erano appunto Paolo Stoppa nei panni di Pio VII e Alberto Sordi in quelli del Marchese del Grillo, non era il Regnante Pontefice in visita apostolica in un paese asiatico in compagnia di un suo cardinale, circondati da fotografi e cineoperatori delle agenzie stampa e delle televisioni di mezzo mondo, mentre entrambi finivano immortalati sorridenti con un bel paio di corna stampato sulle loro mani destre.

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esempio di arcaica promessa solenne, in questo caso rivolta al Popolo Italiano

Nella tradizione ebraica arcaica, per sigillare una fedele promessa solenne gli uomini si mettevamo il palmo della mano aperta sopra l’organo genitale, sul quale era stato impresso con la circoncisione il Patto dell’Alleanza. Ebbene, poniamo che il Santo Padre, dopo avere mangiato peperoni la sera ed altri cibi pesanti decida il mattino seguente di crearmi cardinale, rischiando in tal modo di causare arresti cardiaci in tutti coloro che certi esempi paradossali non li fanno perché nella berretta rossa ci sperano per davvero. Dubito che durante il concistoro, ricevendo la berretta rossa, mi porterei la mano sull’organo genitale per manifestare attraverso un significativo gesto arcaico la mia fedele devozione al Romano Pontefice usque ad effusionem sanguinis, mi limiterei ad inginocchiarmi ed a baciargli la mano destra. Perché io sono io, non sono il Marchese del Grillo redivivo, perlomeno durante le pubbliche cerimonie ufficiali, poi, in privato con gli amici, posso essere anche peggiore del goliardico nobiluomo impersonato da Alberto Sordi.

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una delle tante satire sul Santo Padre che in numero sempre maggiore stanno circolando soprattutto sulla rete telematica ed attraverso le quali vengono trasmessi precisi messaggi ed a volte anche dei chiari moniti …

Altra lamentela che a volte udiamo è «questo Pontefice non è adeguato». Se ci pensiamo bene nessuno può dirsi adeguato ad essere sacerdote, vescovo, romano pontefice. A certi uffici, all’interno dei quali è racchiuso il mistero stesso della Chiesa ed il mistero dei Sacramenti di grazia, nessuno può dirsi adeguato. Neppure i santi erano degni di partecipare al sacerdozio ministeriale di Cristo o di divenire successore della roccia sulla quale Cristo in persona ha edificato la sua Chiesa. A riprova di quanto testé scritto sarebbe bastato andare da San Giovanni Maria Vianney o da San Pio da Pietrelcina e domandargli: «Tu ti senti degno, di partecipare per mistero di grazia al sacerdozio ministeriale di Cristo, vero?». Temo proprio che il secondo di questi due santi, in modo del tutto particolare, avrebbe potuto reagire anche in modo violento. Tra l’altro non bisogna mai dimenticare che Pietro stesso, scelto dal Signore in persona, era un uomo limitato che ha manifestato tutte le sue debolezze e fragilità. Proviamo allora a vedere la cosa per altro verso: e se il Santo Padre Francesco ci sbattesse in faccia in modo diretto e salutare quanto nessuno di noi, a partire da lui, sia adeguato, dinanzi al mistero di grazia del sacerdozio ministeriale? E se dietro le righe, al di là di certi suoi gesti talvolta sconcertanti, volesse infrangere la patina di tutti quegli elaborati accidenti esterni mutevoli per mezzo dei quali, attraverso strati e strati di solidificato clericalismo e di pappa&ciccia coi peggiori poteri mondani, abbiamo finito col sentirci persino adeguati a ciò per il quale nessun umano può dirsi adeguato e degno? E se il Santo Padre volesse dissipare tutte quelle strutture e quegli orpelli che hanno finito con l’essere usati non per rendere onore e dignità alla Santa Chiesa di Cristo — come dovrebbe essere — ma agli ecclesiastici che ricoprono se stessi di onori usando a proprio sommo pretesto l’onore che dobbiamo tributare sempre alla Santa Sposa di Cristo, verso la quale nessun palazzo, nessun metallo, nessuna pietra e nessuna stoffa può essere sufficientemente preziosa? Motivo per il quale la povertà dovrebbe finire sempre sotto i gradini dell’altare e dentro le chiese la parola sciatteria andrebbe bandita, perché a Dio si offre sempre l’ottimo e il massimo.

Tre mesi dopo la sua elezione, rispondendo ad un intervistatore, definii il Santo Padre Francesco un enigma. Del resto ogni uomo a suo modo lo è [vedere qui]. Oggi, a distanza di quasi due anni, confermo ciò che risposi all’epoca, con una certezza ulteriore maturata: dietro a questo enigma c’è lo Spirito Santo, che non sappiamo ancora come intende operare. Una cosa è certa: sta operando, siamo noi che ancora non siamo in grado di decifrare il suo operato; forse neppure il diretto interessato è in grado di capire i progetti che Dio intende compiere attraverso di lui.

dubbia autorità del concilio

questo testo che stilla autentica mancanza di conoscenza e rifiuto ad un ragionare ecclesiale è promosso sul sito della Fraternità Sacerdotale di San Pio X [vedere qui]

Sono amareggiato per il continuo aumento di riviste telematiche che dietro al tradizionalismo celano il sedevacantismo. È blasfemo che sedicenti cattolici mettano in rete dei blog titolati Acta Apostaticae Sedis [atti della sede apostatica], dove rendono il Romano Pontefice, indicato come apostata, oggetto d’insolenze e insulti. È desolante constatare l’alto numero di siti e di blog che inseguono catastrofismi apocalittici nella più adulterata accezione del termine, perché l’Apocalisse dell’Apostolo Giovanni è il libro della speranza per antonomasia che narra la grande vittoria sull’antico nemico, l’Anticristo, la cui sconfitta è già scritta sin dall’inizio dei tempi. L’Apocalisse è il trionfo della fede, della speranza e della carità in chiave escatologica. E tutti i Gentili Signori e le Gentili Signore più o meno titolati e blasonati che ho citato uno a uno in questo mio articolo, sono direttamente colpevoli di tutto questo, perché per questa gente, loro ed i loro scritti, rappresentano un punto di riferimento, pertanto hanno poco da fare i falsi amanti della Chiesa che soffrono al suo interno, perché ben altra è la verità: con un piede stanno dentro di essa, con l’altro tra i lefebvriani che idolatrano il passato che non deve passare e con i sedevacantisti catatonici.

In uno dei numerosi siti di Vera&Pura Tradizione lessi tempo fa lo sproloquio di un prete della Fraternità chiesa santa 5Sacerdotale di San Pio X che mostrando lo squallore di una formazione teologica e di una formazione al sacerdozio forse improntata su quattro formule della neoscolastica decadente peraltro mal comprese, spiegava che il Regnante Pontefice era la giusta punizione data da Cristo alla Chiesa per le derive post conciliari. Che nel post concilio ci siano state delle gravi derive è indubitabile, i lettori che ci seguono su queste pagine telematiche sanno bene come e con quali ragionamenti articolati i padri dell’Isola di Patmos le hanno sempre indicate una ad una. Affermare però che Cristo, attraverso il Successore di Pietro, punisca la sua Chiesa, è una tale asineria che non merita neppure l’alto appellativo di eresia. Come possono esistere e trovare seguito menti a tal punto meschine da affermare che Cristo, attraverso Pietro sul quale ha edificato la sua Chiesa, ha deciso di punire … se stesso? Proprio così: se stesso! Perché la Chiesa è il corpo di cui Cristo è capo e noi membra vive. La Chiesa è di Cristo, non è dei Pontefici del periodo antecedente al Concilio Vaticano II né di quello successivo. La santità del Corpo della Chiesa di cui Cristo è capo, sta in quel potere di santificazione che Dio esercita malgrado la peccaminosità umana. Per questo la Chiesa è definita da sant’Ambrogio casta meretrix, santa e peccatrice, mentre il paragrafo VIII della costituzione dogmatica Lumen Gentium recita:

Cristo, “santo, innocente, immacolato” [cf. Eb 7, 26], non conobbe il peccato [cf. 2 Cor 5, 21] e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo [cf Eb 2, 17], la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento.

Affermare che la Chiesa è peccatrice è fuorviante, se il tutto è espresso fuori da un contesto chiaro come quello a cuichiesa santa 4 si riferisce Sant’Ambrogio o la Lumen Gentium; perché peccatori sono gli uomini che la compongono e che spesso la deturpano.

Non temo ad ammettere con dolore e onestà che da molti nostri seminari e da molte nostre facoltà teologiche escano preti infarciti delle peggiori eresie moderniste, o cresciuti coi venefici teologismi di Karl Rahner. Ma pure dal “santissimo” seminario di Ecône escono a quanto pare preti inquietanti capaci a parlare di Cristo che attraverso il successore di Pietro punisce la Chiesa. Per questo mi domando se ad Ecône, dove peraltro recitano o cantano la professio fidei in splendido latino “sacro”, non sono forse abituati a recitare parole che suonano più o meno così: Et unam sanctam cathólicam et apostólicam Ecclésiam. O dobbiamo dedurre che dopo il Vaticano II la Chiesa ha perduto la propria connaturata santità e indefettibilità, ha cessato di essere il corpo di cui Cristo è capo e che per questo è stata punita da Dio? Perché affermare che Cristo punisce la sua Chiesa è teologicamente coerente come lo sarebbe affermare che Dio Padre, attraverso il suo sacrificio sulla croce, ha castigato il Figlio e che lo Spirito Santo, dissentendo su siffatta scelta, ha finito a sua volta per arrabbiarsi e litigare con Lui.

papa naso clown

Ciò che il Sommo Pontefice dovrebbe evitare, visto che Jorge Mario Bergoglio è chiamato a lasciare spazio al Santo Padre Francesco che esprime la suprema dignità del Mistero della Chiesa in virtù del ministero affidato a Pietro da Cristo Signore.

A tutti coloro che si sentono a disagio per nasi da clown, corna di saluto ai filippini e via dicendo, ribadisco quel che spesso ripeto dentro il confessionale o durante le direzioni spirituali a non pochi fedeli sconcertati: andate al di là dell’uomo in sé e venerate la verità di fede del mistero della Chiesa eretta su Pietro che ricevuto mandato da Cristo ha trasmesso il proprio ministero d’autorità a tutti i suoi successori. La Chiesa non è del Santo Padre Francesco, come prima non lo è stata di Benedetto XVI, di Pio XII, di Pio X. Non lo è stata di Pietro stesso scelto come proprio vicario in terra dal Verbo di Dio in persona. La Chiesa è di Cristo, ed è comunque governata dallo Spirito Santo; e per quanto sia stata e possa essere ancora deturpata dagli uomini, rimarrà sempre la sposa santa e immacolata del Redentore.

Durante l’assisa del Concilio Vaticano I, il Beato Pio IX fece imprimere queste parole riguardo il rapporto tra fede e ragione:

[…] anche se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere vera divergenza tra fede e ragione. Lo stesso Dio, infatti, che rivela i misteri e infonde la fede, ha deposto anche il lume della ragione nell’animo umano […] non solo la fede e la ragione non possono mai essere in contrasto fra loro ma possono darsi un aiuto scambievole. La retta ragione, infatti, dimostra i fondamenti della fede, illuminata dalla sua luce può coltivare la scienza delle cose divine; la fede libera protegge la ragione dagli errori e l’arricchisce di molteplici cognizioni. Per ciò, la Chiesa, è ben lontana dall’opporsi allo studio delle arti e delle discipline umane, tutt’altro le favorisce e le promuove in ogni maniera [sessione III del 24 aprile 1870, capitolo IV: «Fede e ragione»]

Centoventi anni dopo, San Giovanni Paolo II, rifacendosi al magistero del suo Predecessore Pio IX, nella propria Enciclica Fides et Ratio scrisse:

«La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità. È Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso».

Fino a un certo punto abbiamo usato la ragione, con la quale siamo giunti alla grande porta aperta della fede, adesso, per varcare laaprite le porte 1 porta della speranza oltre la quale c’è Cristo, occorre procedere con un vero atto di fede, che non è un agire cieco, ma un agire con quella certezza interamente riassunta nel Credo. Nel Santo Padre Francesco noi dobbiamo vedere il mistero fondante della Chiesa, senza rimanere intrappolati davanti all’ingresso di questa porta spalancata, irretiti da un naso da clown e da un paio di corna. Perché lo Spirito Santo sta operando e Cristo salverà comunque la sua Chiesa. E in un futuro, forse vicino, quando ci saranno svelati quelli che erano i progetti di Dio, capiremo che anche questo Sommo Pontefice è stato frutto della grazia e della misericordia del Padre del Figlio e dello Spirito Santo. Per questo ritengo necessario sospendere il ragionevole giudizio umano e procedere sulle ali della fede, quindi credere, venerare e seguire la roccia sulla quale Cristo ha edificato la sua Chiesa.

Possano certi “tradizionalisti”, apocalittici cosmici, scopritori di anticristi, cacciatori di presunte eresie papali, adoratori di rubriche e di un passato statico che non deve passare, indomiti difensori del moscerino dei loro valori non negoziabili tutti quanti soggettivi ma al tempo stesso ingoiatori professionisti di cammelli, abbandonare il cupo fascino omocentrico di Pelagio e seguire con fede il modello del santo vescovo e dottore della Chiesa Agostino d’Ippona, vedendo malgrado tutto e al di là di tutto l’opera di Dio anche nella povera e inadeguata persona del Santo Padre Francesco, servo dei servi di Dio, non all’altezza dinanzi al Mistero come da sempre lo siamo tutti quanti noi nati col peccato originale e soggetti alle insidie del male, ma potenziali e straordinari strumenti di grazia e di salvezza.

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Christus Vincit eseguito dai Regensburger Domspatzen

Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

La questione del monoteismo islamico

LA QUESTIONE DEL MOTOTEISMO ISLAMICO

Appena sorto, l’Islam si gettò con incredibile energia ed audacia alla conquista del mondo e cominciò ad apparire nei territori circonvicini all’Arabia, dalla Siria, alla Palestina, all’Egitto, alla Turchia, ai territori dell’Africa del Nord, già cristiani da secoli. La cristianità si trovò così aggredita da questi eserciti fanatizzati. I predicatori e i propagandisti islamici erano accompagnati dalle truppe. Davanti a un atteggiamento così aggressivo, la cristianità si impaurì e non vide soluzione migliore che reagire con la forza. Da qui le Crociate.

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

corano la mecca

La Mecca, luogo sacro dell’Islam

L’attuale dibattito attorno alla religione islamica verte sul punto se il Dio del Corano è o non è il medesimo Dio dei cristiani. La risposta che si affaccia in molti nel modo più immediato è che non è il medesimo Dio, in quanto, mentre noi cristiani crediamo in un Dio Trinitario, il Corano lo respinge. In questa risposta apparentemente ovvia si nasconde in realtà un sottile equivoco, che occorre sfatare. Per essere corretti, dovremmo dire piuttosto che noi e i musulmani, come dice il Concilio Vaticano II, adoriamo «L’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini» (1). Quindi in realtà il nostro Dio e il loro è in se stesso il medesimo.

corano MeccaSi potrebbe parlare di “falso dio” per i Musulmani nel caso il Corano assegnasse a Dio attributi che non gli convengono. Ma questo, nell’insieme, non corrisponde alla realtà. Se confrontiamo i famosi 99 attributi di Allàh con quelli che San Tommaso d’Aquino assegna a Dio nella Summa Theologiae, noteremo una singolare concordanza. Se proprio devo pensare a un falso dio, preferisco pensare a quello di Hegel o di Rahner, piuttosto che a quello di Maometto. La differenza allora non sta nel fatto che esistano due Dèi: uno nostro, vero, e l’altro loro, falso. E neppure due dèi diversi. Questo sarebbe un assurdo politeismo, perchè in realtà Dio è uno solo. Tanto noi che loro crediamo in un solo Dio, il quale, da come risulta dagli attributi che il Concilio assegna al Dio coranico, è il vero Dio.

Il problema dunque del contrasto tra la teologia cristiana e quella coranica sta altrove. Che noi ecorano loro siamo monoteisti, credenti nel vero Dio, è fuori discussione. Il problema sta nel fatto che il Corano, in nome del Dio unico, respinge come politeismo ed empietà il dogma cristiano della Santissima Trinità e per conseguenza dell’Incarnazione e della Redenzione. Il Corano non concepisce come Dio possa avere un “Figlio”, perchè, per avere un figlio, dovrebbe avere una moglie. Si noti l’ingenuità di questa obiezione. Inoltre il Corano giudica assurdo pensare che Dio sia simultaneamente “uno e tre”. Dobbiamo tuttavia riconoscere che le obiezioni del Corano non sono prive di una loro apparente sensatezza, per cui devono essere prese in considerazione e ad esse si deve rispondere. La risposta decisiva, come sappiamo, è data dal Concilio di Calcedonia del 451, nel quale si distingue in Dio la natura divina una (fysis, dal greco Φύσις ) dalla persona trina (hypostasis, dal greco ὑπόστασις). Quanto al Figlio, è chiaro dalla rivelazione neotestamentaria, pensiamo soprattutto al Logos giovanneo, che non va inteso in relazione al sesso padre-madre, dato che Dio è purissimo Spirito senza sesso, ma ad una paternità divina asessuata, quindi non maschile, assimilabile alla Mente che produce l’Idea o il Pensiero, sicchè Cristo in questa visuale, è “Immagine del Padre ed Impronta della sua Sostanza” [Eb 1,3], è modello ideale ed archetipo in base al quale ed alla luce del quale il Padre ha pensato, progettato, voluto e creato il mondo.

La questione non tocca l’esistenza ma la conoscenza di Dio, ossia ciò che noi uomini sappiamo o possiamo sapere di Dio, ciò che Dio ci ha rivelato di Se stesso. Siamo tutti d’accordo che Dio esiste; il problema è di sapere nel modo migliore possibile chi è Dio, quali sono i suoi veri attributi, e che cosa Dio esattamente ci ha rivelato di Sè; inoltre sapere di quale o di quali profeti dobbiamo fidarci per avere quella sublime e desideratissima conoscenza. È qui che c’è lo scontro fra Cristiani e Musulmani: che per noi cristiani il massimo Rivelatore di Dio è Gesù Cristo nel Vangelo, mentre per loro è Maometto nel Corano, grazie alla rivelazione ricevuta dall’Arcangelo Gabriele. Già subito qui c’è un motivo di contrasto, perchè noi cristiani ci chiediamo come ha potuto il medesimo angelo da una parte annunciare a Maria la sua maternità divina e dall’altra annunciare a Maometto che Gesù è un semplice profeta: un angelo che si contraddice nell’annunciare a nome di Dio la rivelazione divina ordinata alla salvezza dell’umanità?

Resta il fatto che il Dio del Corano è il vero Dio, anche se si potrebbero fare alcune obiezioni su certi suoiHallah attributi. Egli è Dio, sì, ma conosciuto in modo misto ad errori ed assai meno perfetto di quanto lo conosciamo noi per mezzo di Cristo come Dio Trinitario. Inoltre, il guaio peggiore è che il Corano non si limita ad ignorare il mistero trinitario, ma pretende di confutarlo in base al Dio unico conosciuto dalla semplice ragione. Tuttavia ciò non ha impedito che nei secoli XI-XIII l’Islam in tema di monoteismo abbia prodotto metafisici e teologi di alto livello, come Averroè, al-Kindi, Avempace, Algazele, Alfarabi e Avicenna, i quali, per dare un fondamento filosofico al Dio creatore insegnato dal Corano, hanno opportunamente pensato di utilizzare Aristotele, enucleando la distinzione tra essenza ed esistenza, come caratterizzante metafisicamente la creatura, nonchè il concetto dell’assolutamente Necessario, come caratterizzante l’essenza divina. E, come è noto, furono gli Arabi ad introdurre nel Medioevo in Europa la conoscenza della metafisica e della teologia di Aristotele, che furono poi utilizzate dai dottori cristiani, come San Tommaso e il Beato Duns Scoto, per interpretare il dogma cristiano.

roveto ardente

Mosè dinanzi al roveto ardente

Il Dio del Corano ha evidenti agganci al Dio dell’Antico Testamento, maestoso e severo, un Dio più temibile che amabile, differente, come sappiamo, dal Dio del Nuovo Testamento, misericordioso e compassionevole, «lento all’ira e grande nell’amore», che vuole in Cristo essere amico dell’uomo ed abitare con la grazia nel suo cuore. Da qui la mistica cristiana, fenomeno raro nell’Islam e spesso guardato con sospetto, benchè esista anche lì la tradizione sufica, del resto probabilmente influenzata dal cristianesimo. Il Dio coranico, benchè sia presentato dal Corano come rivelato da Dio stesso, è il Dio della ragione, ossia quel Dio la cui esistenza e i cui attributi possono essere dimostrati dalla ragione applicando il principio di causalità e per analogia con le creature. Di fatti, quindi, tutti gli uomini ragionevoli conoscono almeno implicitamente questo Dio, quindi anche i Musulmani. A questo Dio tutti devono render conto del loro operato per ricevere il premio o il castigo eterno, come lo stesso Corano riconosce.

incarnazione

… e il Verbo si fece carne

Che poi Dio Figlio si sia incarnato, questo lo sappiamo solo noi cristiani, mentre, come è noto, i Musulmani lo rifiutano, se ne rendano o non se ne rendano conto, lo capiscano o non lo capiscano, ne abbiano o non ne abbiano colpa. Il Corano, laddove non erra su Dio, non insegna nulla che non corrisponda a quanto la stessa ragione naturale può dimostrare su Dio (2). La religione islamica è nata da un bisogno religioso e di unità politico-nazionale del popolo arabo, non soddisfatto dal contatto umiliante col potente impero bizantino, espressione di una civiltà superiore, cristiana, ma di tendenza imperialistica e divisa da tormentose e complicate polemiche di carattere teologico, vertenti soprattutto sul mistero trinitario e sui sacramenti.

maometto e gabriele

secondo la tradizione islamica l’Arcangelo Gabriele apparve a Maometto

Maometto, dal canto suo, animo religioso, energico e pratico, volle trovare una religiosità più semplice del complicato cristianesimo bizantino e credette di aver trovato la soluzione in un monoteismo privo del mistero trinitario e di tutte le conseguenze che da esso discendevano sul piano dottrinale, liturgico, morale e sociale. Dotato anche di grandi doti di organizzatore politico e di stratega militare, Maometto seppe dare a quei bisogni del suo popolo una soddisfazione così adatta, indovinata, convincente e feconda, da consentire alla sua opera di durare ancora oggi dopo quattordici secoli ed anzi di rafforzarsi immensamente con l’istillare nella religione del Corano una straordinaria forza di espansione, che dura a tutt’oggi in vari paesi del mondo, i quali appartengono ad altri popoli che nulla hanno a che vedere con gli arabi.

Il metodo dell’espansione islamica peraltro è molto diverso da quello cristiano. Mentre questo siarabi 1 fonda sulla fede in Cristo, uomo-Dio, che attira gli uomini a Sè e al Padre celeste con la forza dell’argomentazione e della persuasione, di una condotta integerrima, di una sapienza sublime, della testimonianza di un amore generoso, dei miracoli e delle profezie, Maometto, capo politico, religioso e militare ad un tempo, eccita e spinge i suoi fedeli alla conquista del mondo non solo e non tanto con la persuasività della parola, la sapienza delle sentenze e l’esempio di una condotta morale rigorosa, ma soprattutto con la forza delle armi, minacciando la divina vendetta a tutti coloro che non intendono accogliere il messaggio coranico. Come è noto, a chi muore nella guerra santa contro gli infedeli, è assicurato il paradiso.

arabi 2Appena sorto, l’Islam si gettò con incredibile energia ed audacia alla conquista del mondo e cominciò ad apparire nei territori circonvicini all’Arabia, dalla Siria, alla Palestina, all’Egitto, alla Turchia, ai territori dell’Africa del Nord, già cristiani da secoli. La cristianità si trovò così aggredita da questi eserciti fanatizzati. I predicatori e i propagandisti islamici erano accompagnati dalle truppe. Davanti a un atteggiamento così aggressivo, la cristianità si impaurì e non vide soluzione migliore che reagire con la forza. Da qui le Crociate. Oltre a ciò, il cristiano comune sentiva enorme sdegno e ripugnanza davanti a un attacco così radicale contro quanto la sua fede aveva di più sacro e quasi nessuno si accorse che in fin dei conti il Corano non predicava un’idolatria o un politeismo, ma un monoteismo, patrimonio di quella ragione che tutti gli uomini posseggono, Cristiani e Musulmani, tutti chiamati da Cristo alla salvezza. Che cosa dunque si sarebbe dovuto fare? Un’opera di discernimento nella dottrina coranica tra vero e falso (3). Il primo andava assunto; il secondo, confutato. Inoltre, in fatto di religione, occorreva dimostrare con buone prove la superiorità di Cristo su Maometto, senza misconoscerne i meriti, e non limitarsi alla sdegnata condanna, e possibilmente si doveva evitare il rifiuto totale e lo scontro frontale. L’ideale sarebbe stato che questo compito gravissimo se lo fosse assunto la Chiesa, magari dedicando al problema uno o due Concili ecumenici. E invece niente. La cosa fu lasciata nelle mani dei teologi, degli apologisti e dei Crociati. E così la reciproca incomprensione si è trascinata per secoli. Pareva che tutto il problema si risolvesse in come difendersi da un’epidemia. Ci si dimenticò che anche i Musulmani erano chiamati ad accogliere il Vangelo. Maometto, certo, era un grand’uomo; ma non poteva essere anteposto a Cristo. Si stenta a comprendere come quest’uomo sia pur grande quanto si vuole come Maometto, sia riuscito e tuttora riesca a polarizzare attorno a sè folle sterminate dei fedeli in netta competizione con quell’uomo ben più sublime, perchè è Dio, che è Nostro Signore Gesù Cristo.

Nel XIII secolo nacquero i Domenicani e i Francescani. Sembrò che essi potessero far qualcosa per avvicinare l’Islam a Cristo. Partirono coraggiosamente per la Terra Santa, lasciarono dei martiri, ma nessuno dei due Ordini alla fine riuscì a trovare il metodo giusto: i Domenicani furono troppo drastici e nel 1291 vennero cacciati, per potervi tornare solo alla fine del XIX secolo, ma solo per dedicarsi agli studi biblici (4). Il domenicano San Raimondo di Peñafort spinse San Tommaso d’Aquino a scrivere il famoso trattato apologetico Summa contra Gentes, opera meravigliosa, ricca di argomentazioni razionali, ma che purtroppo non confuta punto per punto, come sarebbe stato utile, gli errori del Corano evidenziando quanto si poteva accogliere nella teologia cristiana, per cui alla fine non dette apprezzabili risultati. I Francescani, dal canto loro, dopo lo storico e commovente incontro di San Francesco col Sultano, hanno sempre potuto restare in Palestina fino ad oggi, ma solo per aver rinunciato a convertire i Musulmani, da questi tollerati come cittadini di second’ordine. Stando così le cose, il documento del Concilio sull’Islam è da considerarsi di un’importanza epocale ed incentivo di una speranza di riconciliazione e di conversione degli Islamici a Cristo. Non era mai finora accaduto che il Magistero della Chiesa riconoscesse in modo così solenne le verità teologiche contenute nel Corano. E poichè tali verità erano già state definite altrove come appartenenti al deposito della fede (5), è da ritenersi che qui ci troviamo di fronte a dottrina del Magistero infallibile, cosa che riempie l’animo di immensa speranza circa i futuri buoni risultati del dialogo con l’Islam.

La rivelazione coranica di Dio è certo ricca di insegnamenti teologici, cultuali, religiosi, ascetici, morali e sociali, ma soprattutto è un martellante susseguirsi e ripetersi quasi senza respiro di precetti categorici e avvertimenti perentori e minacciosi davanti ad un fedele muto, che non deve fare altro che ascoltare, credere, obbedire e combattere per la diffusione dell’Islam in tutto il mondo, perchè questa e non quella cristiana è la vera, assoluta ed universale via e regola del culto divino (“Islam”), della virtù e della salvezza dell’uomo. Quanto al testo del Corano, tradizionalmente esso è inteso come Parola di Dio in modo tale da non ammettere che essa sia formulata o incarnata in una modalità o forma umana, tale da offrire aspetti legati al tempo o alle contingenze storiche. Questa maniera fondamentalista di interpretare il Corano, che del resto non è propria di tutte le scuole, ha lo svantaggio che viene a intendere come Parola di Dio concezioni, usi o pratiche oggi inammissibili o disumane, come per esempio la pena del taglione o della lapidazione o una concezione degradante ed umiliante della donna.

72 vergini

il Paradiso secondo la promessa di Maometto, dove saranno concesse agli uomini giusti 72 vergini in premio

Un grande valore dell’umanesimo coranico è dato dalla chiara coscienza del destino eterno dell’uomo: o paradiso o inferno, anche se poi manca il dogma della visione beatifica, frutto supremo della grazia di Cristo, e ci si ferma a godimenti puramente umani, anche sessuali. A differenza dell’uomo biblico o cristiano, che dialoga confidenzialmente e liberamente con Dio come il figlio col padre o l’amico con l’amico in Cristo, il fedele musulmano sembra sempre un soldato sull’attenti, che non deve far altro che eseguire gli ordini. Esiste, certo, la preghiera, che chiede l’aiuto e il perdono divino; ma essa alla fine non è niente più che il chiedere a Dio il compimento inesorabile di una volontà fatalistica, che è completamente avulsa dai desideri, dal libero arbitrio o dalle iniziative personali del fedele. Così o per amore o per forza, magari con la conquista militare, il Corano deve affermarsi in tutto il mondo. Chi l’accoglie, bene, ma chi non l’accoglie od oppone resistenza e non si converte, merita la morte o quanto meno dev’essere schiavo del musulmano. E chi si converte all’Islam, è tenuto assolutamente a restare fedele, sotto sorveglianza dell’autorità civile-religiosa, e anche dello stesso ambiente sociale e familiare, perchè, se dovesse cambiare idea, come per esempio farsi cristiano, viene escluso dalla comunità e può essere anche giustiziato.

Ernesto Vecchi su Islam

S.E. Mons. Ernesto Vecchi, Vescovo ausiliare di Bologna, per ascoltare la sua intervista sul rapporto tra cultura islamica e Italia, [cliccare sopra la foto per avviare il video]

Nei regimi islamici, almeno in linea di principio non esiste il diritto alla libertà religiosa. Volendo usare una facezia, benchè la cosa sia molto seria, “o mangi la minestra o salti la finestra”. Oggi l’Islam usa, per penetrare in paesi cristiani, un metodo morbido e capillare, come per esempio il fenomeno degli immigrati. Ma questi, ben lungi dal convertirsi al cristianesimo, restano fermi nella loro religione ed esigono dalle pubbliche autorità con notevole tenacia che siano loro concesse le strutture atte all’esercizio della loro religione. Laddove infatti esiste il diritto alla libertà religiosa, i Musulmani sanno abilmente avvantaggiarsene per i loro interessi, ma non la concedono ai cristiani che vivono nei loro paesi.

assenza

“Assenza”, René Magritte, 1966

Una grave lacuna dell’umanesimo coranico è l’assenza di quella coscienza dell’umana fragilità e tendenza al peccato che sorge nel cristianesimo dal dogma del peccato originale. L’uomo coranico, non rendendosi conto fino in fondo della gravità delle cattive azioni umane, non è neppure in grado di porvi adeguato rimedio, tanto più che non conosce i sacramenti, la vita ecclesiale e la grazia sanante donataci da Cristo. Ciò non toglie che chi è in buona fede possa ricevere questa grazia senza saperlo. Inoltre può esistere un battesimo di desiderio. Con tutto ciò è presente nell’etica islamica l’amore per la virtù e l’odio per il vizio, ma, stanti quei presupposti, si comprende bene come la virtù evangelica debba essere assai superiore in linea di principio alla virtù coranica, senza con ciò voler far confronti di persone e tanto meno pretendere di scrutare nel sacrario delle coscienze. La religione islamica nei secoli è stata promotrice di civiltà, di scienza, di arte, di cultura, di virtù umane, di benessere economico, di organizzazione politica e statuale, ma non la si può neanche paragonare alla ricchezza sconfinata della civiltà nata in Europa col cristianesimo, la civiltà dai ricchissimi ed infiniti effetti e risultati in campo morale, giuridico, religioso, scientifico, tecnico, artistico, politico, sociale, economico, dei quali si avvale abbondantemente lo stesso mondo islamico magari per osteggiare e boicottare l’Occidente.

Il confronto tra Cristo e Maometto si impone oggi in modo sempre più smaccato ed inevitabile. Ilgesù per gli islamici guaio è che la teologia cattolica soffre oggi, soprattutto nel campo della cristologia, di una crisi mai vista in tutta la sua storia, mentre intellettuali e uomini di cultura sentono il fascino dell’esoterismo islamico, come è avvenuto per lo gnostico tradizionalista René Guénon, nonchè dello spirito comunitario islamico, come è avvenuto per il filosofo comunista Roger Garaudy, entrambi convertitisi all’Islam nel secolo scorso. In campo poi cattolico è deprimente vedere un cristologo peraltro dotto come uno Schillebeeckx, elaborare una cristologia nella quale è assente la divinità di Cristo, ridotto al livello di un semplice “profeta escatologico” e “persona umana” abitata da Dio. E’ un modo per accontentare Maometto.

 

david haines

esecuzione di David Haines per opera dei terroristi islamici [cliccare sopra la foto per avviare il video]

Nei regimi islamici, almeno in linea di principio non esiste il diritto alla libertà religiosa. Volendo usare una facezia, benchè la cosa sia molto seria, “o mangi la minestra o salti la finestra”. Oggi l’Islam usa, per penetrare in paesi cristiani, un metodo morbido e capillare, come per esempio il fenomeno degli immigrati. Ma questi, ben lungi dal convertirsi al cristianesimo, restano fermi nella loro religione ed esigono dalle pubbliche autorità con notevole tenacia che siano loro concesse le strutture atte all’esercizio della loro religione. Laddove infatti esiste il diritto alla libertà religiosa, i Musulmani sanno abilmente avvantaggiarsene per i loro interessi, ma non la concedono ai cristiani che vivono nei loro paesi.

La realtà islamica è estremamente composita e spesso contradditoria. Se l’Islam è da una parte oggetto di ammirazione per la sua disciplina e il suo fervore religiosi, d’altra parte suscita una comprensibile ondata di sdegno e di orrore quanto i terroristi islamici stanno perpetrando in paesi di minoranza cristiana. Ciò rischia di suscitare in certi ambienti delle reazioni scomposte, che non fanno altro che attizzare il fuoco di un odio che nulla ha di cristiano, ma che ci riporta ai tempi più bui delle interminabili guerre medioevali. Tuttavia, occorre anche tener conto di quella parte di Islam ragionevole e pacifica, che si adopera per risolvere il problema del terrorismo, in conformità alle accorate esortazioni del Papa. Occorre invece rinunciare assolutamente alle visioni unilaterali, risentite e passionali, ed alle contrapposizioni frontali, che spesso nascono dall’ignoranza e da un malinteso desiderio di reagire alla violenza e di difendere la civiltà cristiana. Esistono peraltro nei paesi occidentali moltissimi islamici pienamente integrati nella realtà sociale che li ha accolti e che contribuiscono lealmente col loro lavoro allo sviluppo e al benessere di quei paesi. Su questo punto delicato del dialogo con l’Islam resta valido l’insegnamento del Concilio e dei Papi del postconcilio fino al Pontefice presente. L’insegnamento conciliare andrebbe completato con una descrizione accurata degli errori dell’Islam, che bisogna confutare, onde illuminare i fedeli di Maometto con la luce di Cristo. Non bisogna disperare nella conversione dei Musulmani, anche se in quattordici secoli essi non ci hanno dato prova di essere interessati a Cristo. Ma anche noi cristiani dobbiamo fare un esame di coscienza e chiederci seriamente se nei loro confronti siamo stati sempre dei veri apostoli, dei veri testimoni, dei veri evangelizzatori. Indubbiamente, ciò di cui si sente la mancanza e che è urgente elaborare, è un piano sistematico di evangelizzazione dei Musulmani, confidando nel fatto che Cristo ci ha mandato ad annunciare il Vangelo a tutti gli uomini e che Egli avendo dato per tutti la propria vita, dà a tutti a possibilità della salvezza.

Fontanellato, 12 gennaio 2015

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(1) Nostra aetate, n.3.
(2) Questo insegnamento, che troviamo nel Concilio Vaticano I, si può considerare come fondamento del dialogo con l’Islam, promosso dal Concilio Vaticano II.
(3) Papa San Gregorio VII nel sec. XI scrisse bensì una saggia lettera conciliante ad Anazir, re della Mauritania, citata dal documento del Concilio; ma si tratta di un caso più unico che raro.
(4) Con la fondazione della famosa Scuola Biblica di Gerusalemme ad opera del Padre Joseph Lagrange
(5) Per esempio al Concilio Lateranense IV e al Concilio Vaticano I.

Antonio Livi ( 1938-2020 )
Presbitero e Teologo


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Padre Antonio

Difendo Vittorio Messori contro i falsi dogmi di Leonardo Boff

DIFENDO VITTORIO MESSORI CONTRO I FALSI DOGMI DI LEONARDO BOFF

 

intervengo sulla vicenda di Messori non per approvare o disapprovare quello che ha scritto, ma per difenderlo doverosamente dalle critiche violente e dissennate di un religioso che si presenta come teologo e accusa il giornalista di malafede o di ignoranza in materia teologica. Si tratta di Leonardo Boff. La sua critica a Messori rappresenta, per così dire, la summa di tutte le sciocchezze che gli ideologi della “teologia della liberazione” hanno scritto, prima e dopo la condanna da parte della Santa Sede,  sul messaggio del Vangelo e sull’azione della Chiesa nel mondo.

Autore Antonio Livi

Autore
Antonio Livi

vittorio messori

il giornalista e scrittore cattolico Vittorio Messori

Le considerazioni che Vittorio Messori ha pubblicato sul Corriere della Sera  sul pontificato di papa Bergoglio lo scorso 24 dicembre [vedere qui] hanno suscitato, come era prevedibile, tante diverse reazioni. Molti le hanno condivise, altri le hanno criticate aspramente. Non entro nel merito di quelle sue valutazioni, che comunque reputo legittime. Si tratta di un giornalista serio, di uno storico documentatissimo e soprattutto di un cattolico di fede sincera e illuminata. Lo conosco personalmente da tanti anni, ho letto tutti i suoi libri, a cominciare dal primo e più celebre, quelle Ipotesi su Gesù che davano troppo spazio a un’interpretazione fideistica di Pascal ma ebbero comunque un’efficacia apologetica notevole. In questi ultimi tempi leggo sempre con interesse e anche con piacere la sua rubrica sul Timone. Ce ne fossero di giornalisti cattolici così! Peccato, mi sono detto sempre, che non gli fosse stato consentito di continuare a scrivere su Avvenire… Sarebbe stato un bene per il “quotidiano dei cattolici”  (e anche per me, che da quel quotidiano sono stato letteralmente messo alla gogna).

Ma, ripeto, non entro nel merito delle sue considerazioni sul pontificato di papa Bergoglio, perché sono dell’opinione che per le vicende della Chiesa i giornalisti dovrebbero limitarsi all’informazione, che è il loro mestiere e la loro specifica mission, senza influenzare l’opinione pubblica cattolica con le loro opinioni personali, inevitabilmente parziali, nel senso che riescono a descrivere solo una parte della realtà ecclesiale ed esprimono su di essa solo il punto di vista di una parte del popolo di Dio.

Come ho già scritto anche sulla Bussola, preferisco che l’attualità ecclesiale sia trattata e con competenza autenticamente teologica e da un punto di vista esclusivamente pastorale. Io stesso, preoccupato come sacerdote del disorientamento dottrinale che percepisco tra i fedeli, sono intervenuto più volte sulla “questione Bergoglio” invitando i cattolici a disinteressarsi di ciò che è pane quotidiano dei “vaticanisti” (le frasi e i gesti che fanno pensare ad “aperture” o a “chiusure”, le nomine e le destituzioni di alti prelati), interessandosi invece intelligentemente di ciò che è propriamente magistero della Chiesa. Lì, nei documenti del  magistero della Chiesa (che è in determinati punti fondamentali immutabile e perenne, in altri procede storicamente con le opportune “riforme nella continuità”) i cattolici, oggi come sempre, trovano la guida sicura della loro coscienza, l’orientamento sicuro per professare e vivere la fede nella loro esistenza quotidiana.

leonard boff

Leonardo Boff, ex frate francescano e sacerdote dimesso dallo stato clericale, oggi convivente con la propria compagna e dedito alla diffusione di palesi eresie e di dottrine “dogmatiche” ecologiche e filo-marxiste

Ora però intervengo sulla vicenda di Messori, non per approvare o disapprovare quello che ha scritto, ma per difenderlo (è doveroso) dalle critiche violente e dissennate di un religioso che si presenta come teologo e accusa il giornalista di malafede o di ignoranza in materia teologica. Si tratta di Leonardo Boff. La sua critica a Messori (clicca qui) rappresenta, per così dire, la summa di tutte le sciocchezze che gli ideologi della “teologia della liberazione” hanno scritto, prima e dopo la condanna da parte della Santa Sede,  sul messaggio del Vangelo e sull’azione della Chiesa nel mondo.

boff Gesù liberatore

una delle pietre miliari della teologia della liberazione

Boff accusa Messori di disconoscere il ruolo dello “Spirito”, il quale, a sua detta, agirebbe anche e ancora meglio fuori della Chiesa cattolica, che non sa «imparare dagli altri». A questo proposito Boff, col tono del difensore d’ufficio di quello che egli chiama lo Spirito Santo, arriva a scrivere: «Significa essere blasfemi contro lo Spirito Santo pensare che gli altri hanno pensato solo in modo sbagliato. Per questo è sommamente importante una Chiesa aperta come la vuole Francesco di Roma. Bisogna che sia aperta alle irruzioni dello Spirito chiamato da alcuni teologi “la fantasia di Dio”, a motivo della sua creatività e novità, nelle società, nel mondo, nella storia dei popoli, negli individui, nelle Chiese e anche nella Chiesa Cattolica», la quale, prima di Francesco, sarebbe stata troppo legata a Cristo, troppo “cristocentrica”.

Secondo l’ex francescano, che quando gli interessa si atteggia ad amante della dottrina (la sua), Vittorio Messori è terribilmente carente in teologia: egli  «incorre nell’errore teologico del cristomonismo, cioè, solo Cristo conta. Non c’è propriamente un posto per lo Spirito Santo. Tutto nella Chiesa si risolve con il solo Cristo, cosa che il Gesù dei Vangeli esattamente non vuole».

Poi, tornando a vestire i panni dell’antidogmatico, aggiunge: «Senza lo Spirito Santo la Chiesa diventa un’istituzione pesante, noiosa, senza creatività e, ad un certo punto, non ha niente da dire al mondo che non siano sempre dottrine sopra dottrine, senza suscitare speranza e gioia di vivere». Ignorerebbe anche, il povero Messori, la sociologia religiosa: non avrebbe ancora capito che l’America Latina è il vero centro della Chiesa cattolica di oggi, anche se il numero dei latinoamericani che si dichiarano cattolici va diminuendo per effetto del proselitismo capillare delle sette protestanti (anzi forse proprio per questo Boff ritiene l’America Latina all’avanguardia).

Il cristianesimo e la teologia avrebbero fatto grandi passi avanti in America Latina (in Brasile che è la patria di Leonardo Boff, in Perù che è la patria di Gustavo Gutiérrez, e in Argentina che è la patria di Jorge Mario Bergoglio) per il fatto di aver dato ascolto allo “Spirito”, grazie anche alla cultura autoctona (precolombiana) che avrebbe liberato la Chiesa dall’astrattezza dottrinale della teologia europea, di quella tedesca in particolare (il bersaglio polemico è Benedetto XVI, ricordato con affetto da Messori), sapendo interpretare il Vangelo in sintonia con le istanze di liberazione delle masse  popolari. Sia detto tra parentesi, perché non è molto importante in questa sede, il mito della teologia latino-americana autoctona è subito smentito, involontariamente, da Boff stesso quando cita come sola autorità teologica il suo maestro Johan Baptist Metz, iniziatore in Germania di quella “teologia politica” dalla quale derivano i teologi della liberazione sudamericani, formatisi tutti in Belgio, Francia e Germania, a cominciare dal peruviano Gustavo Gutiérrez. E non è centro-europeo, anzi proprio tedesco, Karl Marx, l’ispiratore primo della “teologia della liberazione”?

boff arcobaleno

la religione della nuova Chiesa Ecologica …

Ma questa, dicevo, è solo una parentesi sarcastica. Il discorso serio è quello teologico, innanzitutto perché è l’approccio teologico l’unico che mi interessa quando di parla di attualità ecclesiale e di possibili cambiamenti della dottrina della Chiesa, e poi perché l’argomento principale del discorso di Boff è appunto la “voce dello Spirito”, che papa Bergoglio avrebbe ascoltato docilmente mentre i suoi predecessori, in particolare Benedetto XVI, avrebbero ignorato, chiusi come erano nel “cristocentrismo”, che per Boff significa dogmatismo, giuridicismo, tradizionalismo, centralismo vaticano.

Ora io mi domando: che senso ha, teologicamente parlando, arrogarsi l’esclusività nell’interpretazione di “ciò che lo Spirito dice alle chiese”?  E ancora. che senso ha, teologicamente parlando, opporre alla dottrina dogmatica e morale della Chiesa la propria interpretazione dei disegni dello Spirito Santo?  Discorsi del genere  sono comprensibili, anche se illogici, in bocca a eretici e scismatici, in bocca ai propagandisti di una delle tante sette che hanno invaso l’Occidente cristiano, vagamente imparentate con il cristianesimo o direttamente ispirate al buddismo, ma non in bocca a chi si presenta come cattolico e per di più teologo.

La norma fondamentale di un discorso autenticamente teologico, come ho spiegato chiaramente nel mio trattato su Vera e falsa teologia (dove Leonardo Boff non è citato, ma sono citati i suoi maestri). È l’intenzione di illustrare razionalmente la verità rivelata da Dio in Cristo Gesù, il quale ha affidato l’interpretazione autentica del suo Vangelo alla sua Chiesa, cioè agli Apostoli e ai loro legittimi successori, i vescovi in comunione con il Papa, il quale gode anche individualmente del carisma dell’infallibilità.

In termini pratici, ciò vuol dire che uno come Boff, che disprezza i dogmi e attribuisce a sé quell’infallibilità che non riconosce al magistero della Chiesa, non parla da teologo. Certo, io gli riconosco il diritto di avere le sue idee, anche le più pazze, sul cristianesimo, ma se parla in pubblico rivolgendosi ai cattolici,  ho il dovere di avvertire i credenti che costui non ha l’autorità che compete a un teologo nella Chiesa cattolica: come dico sempre i questi casi, si tratta di un falso profeta e di un cattivo maestro. L’ho detto varie volte a proposito di Vito Mancuso e di Enzo Bianchi, non mi sono peritato di dirlo anche a proposito di Bruno Forte e di Gianfranco Ravasi, che occupano posti di rilevo nella gerarchia ecclesiastica. Chi vuol dare retta alle loro teorie, sappia almeno che lo fa a suo rischio e pericolo (dell’anima, s’intende); io ho avvertito tutti quelli che ho potuto. 

boff teologia della liberazione

il manuela del piccolo incendiario …

Per terminare con Boff. Che cosa sa un cristiano dello Spirito Santo, che come Dio è assolutamente trascendente? La sua Persona, in seno alla “Trinità immanente”,  è particolarmente inaccessibile alla conoscenza umana, tanto che Egli viene chiamato “il Dio sconosciuto”, e anche la sua azione nel mondo (la cosiddetta “Trinità economica”) è del tutto invisibile, se non per rivelazione pubblica. Ma la rivelazione pubblica è quella del Figlio di Dio, il Verbo Incarnato, l’Emmanuele, il “Dio-con-noi”.

Quello che possiamo sapere dei misteri di Dio è solo quello che Cristo ci ha rivelato. Come si fa a contrapporre le proprie (pretese) conoscenze dell’azione dello Spirito a quello che dello Spirito medesimo ci ha rivelato Cristo? E Cristo ci ha rivelato che lo Spirito Santo ci è stato inviato da Lui stesso e dal Padre, il giorno della Pentecoste, per rendere efficace in tutto il mondo, per tuto il tempo della storia, l’azione salvifica della Chiesa di Cristo, mediante l’annuncio del Vangelo e la grazia dei sacramenti. Questo è quello che sappiamo dello Spirito Santo, e quindi solo questo si può dire teologicamente, cioè seriamente, con la pretesa di essere ascoltati dai credenti.

Il vero teologo  spiega e applica al suo tempo e alla gente cui si rivolge la verità contenuta nella rivelazione pubblica, cioè nella dottrina della Chiesa. Il vero teologo  non pretende, come fanno gli gnostici, di sapere di più di quanto possa sapere, dei misteri di Dio, un qualunque fedele, una persona che in qualsiasi tempo abbia accolto con fede sincera la rivelazione divina. Il vero teologo, soprattutto, non spaccia per verità divina quelle che sono le sue personali e arbitrarie congetture, quale che sia la sincerità con cui queste vengono propinate al popolo (qualora mentissero sapendo di mentire, i falsi profeti non sarebbero solo degli illusi ma proprio dei “seduttori”, come l’Anticristo del quale parla la Scrittura).

 

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Articolo Pubblicato il 2 gennaio 2015 su

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