Amoris Laetitia. Siate casti, però pagate le tasse, perché il pagamento delle tasse è un vero dogma di fede
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AMORIS LÆTITIA. SIATE CASTI, PERÒ PAGATE LE TASSE, PERCHÉ IL PAGAMENTO DELLE TASSE E UN VERO DOGMA DI FEDE
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È facile e comodo entrare nelle camere da letto altrui col dito puntato a sentenziare come nuovo dogma di fede «purché vivano come fratello e sorella». Ma voi, ipocriti di sempre, che «filtrate il moscerino» nelle camere da letto altrui e poi «vi ingoiate il cammello» [cf. Mt 23,24] siete pronti ad accettare, fare vostro e diffondere come indiscutibile dogma di fede: «Date a Cesare quel che è di Cesare», quindi pagare le tasse senza fiatare, ma soprattutto senza azzardarvi a dire che sono alte e che non sono giuste?
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Caro Padre Ariel.
Nella Chiesa è avvenuto un esproprio proletario! Se infatti ho capito bene dalle parole del lettore che firma il proprio commento al suo articolo come “nonsonobigotto”, un nome che è un programma, in pratica accadrebbe questo: la Gerarchia tradisce, allora dal popolo, contro ogni idea gerarchica, lo “Spirito Santo” susciterebbe sacche di resistenza composte di umilissimi canonisti e teologi improvvisati che saprebbero soverchiare i traditori scelti da Cristo e che con una rivoluzione bolscevica riporterebbero la fede nella Chiesa, anzi la rifonderebbero ex novo come la intendono loro, cioè Dio… Eccezionale! Siamo solo alla distruzione ideologica e teologica dell’intero Magistero della Chiesa, ma gli umilissimi teologi che tutti i giorni attaccano il Papa ne sanno una più del diavolo e allora… quindi, avanti popolo: alla riscossa!
Giorgio M.G. Locatelli
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Con il suo quesito il nostro Lettore centra un problema che affonda le sue radici a fine anni Ottanta inizi anni Novanta e che si sviluppa all’interno della Chiesa grazie al meglio del peggio del post-concilio. E quando io dico meglio del peggio del post-concilio, non intendo il Concilio Ecumenico Vaticano II, tutt’altro: mi riferisco infatti al peggiore dei tradimenti che s’è consumato su questo grande concilio della Chiesa da parte di tutti coloro che, muovendosi sul pericoloso pretesto della interpretazione dei suoi testi e del suo spirito, hanno finito col dare vita a quel concilio egomenico dei teologi che mai è stato celebrato e che mai è stato scritto dai Padri della Chiesa.
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Questi soggetti che chiamerò teologastri traditori del concilio, hanno creato una grande confusione su quelle che nella Chiesa sono le funzioni dei laici partecipi al sacerdozio comune dei battezzati attraverso il Sacramento del Battesimo, ed i chierici, scelti per mistero di grazia e istituiti attraverso il Sacramento dell’Ordine e unici partecipi al sacerdozio ministeriale di Cristo, oltre che legittimi depositari del munus docendi, un munus che nessun laico, neppure un laico insignito di un dottorato teologico, può esercitare con la auctoritas e la gratia con il quale può e deve esercitarlo il sacerdote rivestito del munus santificandi. Questa immane confusione ha creato situazioni oggi ormai ingestibili, grazie al grido da “collettivo sindacale” o da “collettivo di sinistra” riassunto nel devastante slogan: «Più dialogo, più collegialità, più democrazia nella Chiesa». Grido al quale si aggiunge di conseguenza lo slogan: «Più spazio ai laici nella Chiesa».
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Sulla base di questa premessa, a dare vita a una situazione che oggi appare ormai incontrollata e incontrollabile – come si può appurare di blog in blog, dove anche l’ultimo dei laici che ha spulciato il Catechismo si sente un teologo e un canonista sopraffino, tanto da ritenersi in diritto di contestare dal Romano Pontefice sino all’ultimo presbìtero dell’orbe catholica – hanno concorso due diversi fattori che unendosi assieme hanno creato gli effetti esplosivi che può creare l’unione del potassio con lo zolfo: la caduta del Muro di Berlino e la incontrollata presa di campo di certi movimenti laicali sotto il Pontificato di Giovanni Paolo II, in particolare Neocatecumenali e Carismatici.
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Procediamo per ordine, a partire da quel nutrito esercito di persone che dagli anni Settanta, per seguire durante tutto il corso degli anni Ottanta, sono appartenuti alla grande “chiesa messianica comunista”. Mi riferisco ai figli della “immaginazione al potere”, del “vietato vietare”, convinti che nel “paradiso proletario” della “santa madre Unione Sovietica” risplendesse il “sol dell’avvenire”. Mi riferisco a coloro che, ideologici e molto più ciechi del cieco di Gerico [cf. Mc 10, 51-52], quando i carri armati russi invasero nell’agosto del 1968 Praga, senza proferire favella e lungi dal condannare quell’azione, si limitarono a spostare silenziosi la loro insopprimibile necessità di “messianica ideologia” nella Cina del macellatore Mao Zedong. Caduto anche il mito cinese, eccoli trasmigrare in massa verso la esotica Cuba del dittatore Fidel Castro, trasformando in un “dolce Cristo” quell’essere abietto e sanguinario di Ernesto Guevara, soprannominato non a caso dai boliviani el cerdo [il maiale], per indicare quanto fosse sporco fuori e sporco dentro.
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Nel novembre del 1989 il Comunismo collassa implodendo su se stesso, evento storico sancito dalle immagini della caduta del Muro di Berlino. A quel punto, questo esercito di orfani ideologici senza più patria e messia, sbalzati dall’Europa alla Cina sino alla caraibica Cuba, si ritrovano dinanzi a quella che il loro beneamato Sigmund Freud chiamerebbe la “elaborazione del lutto”. Il problema è che questi soggetti non hanno affatto elaborato il lutto, ma ancora una volta hanno proceduto – sempre usando un termine freudiano – con un processo di traslazione. Ecco quindi che per paradosso, la Chiesa Cattolica, sino a ieri loro acerrima nemica, coi suoi Paolo VI sbeffeggiati sul giornale satirico della sinistra radicale Il Male e col suo Giovanni Paolo II accusato sino a poco prima dagli stessi di anacronismo e di cieco anticomunismo ideologico di matrice catto-reazionaria, è divenuta – e ripeto: per paradosso e non per fede – il loro punto di rifugio, la loro ultima spiaggia.
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Questa orda barbarica di ex ideologi, non sono entrati o rientrati nella Chiesa attraverso un cammino di fede e di purificazione per giungere così alla trasformazione, tutt’altro! Vi sono entrati a gamba tesa portandovi se stessi tal quali erano, sino a creare al suo interno un processo di trasformazione molto negativo. Il tutto sotto gli occhi del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II che purtroppo, alla prova dei fatti, questo problema pare non l’abbia proprio percepito. Dubito infatti che questo Santo Pontefice, durante certe sue adunanze oceaniche, abbia mai compreso che ad acclamarlo come un leader erano gli stessi che sino a poco prima, nel solito modo ma soprattutto con lo stesso spirito, avevano acclamato il Soviet di Mosca, poi Mao Zedong, poi Castro ed Ernesto Guevara. E se ad acclamarlo non erano per età i diretti protagonisti interessati, erano i loro figli nati e cresciuti in questo spirito e divenuti prima da giovani e poi in età adulta peggiori dei loro stessi genitori.
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Questi soggetti, che hanno bisogno di “strutture forti” che esercitino su di loro una pressione psicologica sia singola sia collettiva, dove potevano confluire? Ma è presto detto: come i maiali narrati dal Vangelo che si gettano dalla rupe [cf. Lc 8, 26-37], sono confluiti nei Neocatecumenali e nei Carismatici, all’interno dei quali esiste un leader, una guida forte che esercita pressioni dietro il pretesto del collettivismo chiamato adesso comunitarismo; o della democrazia chiamata adesso partecipazione dei laici, o collegialità.
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La sempre meno vigilante e cieca Autorità Ecclesiastica, non ha mai voluto vagliare quanti alti fossero in numero gli sconsolati orfanelli cresciuti tra le fila del Partito Comunista, o peggio assai di Lotta Continua e di Democrazia Proletaria, che oggi, ultra sessantenni, sono celebrati e indiscussi mega-catechisti del Cammino Neocatecumenale, i quali lungi dall’essere stati davvero convertiti e trasformati, hanno solo cambiata bandiera mantenendo lo stesso spirito di fondo, a partire dallo spirito repressivo e coercitivo nei confronti di coloro che oggi non chiamano più come ieri “sporchi fascisti”, li chiamano “chiusi allo Spirito Santo”, o più semplicemente “sotto influsso diabolico”. Cambia lo stile ma identica resta la sostanza: la demonizzazione e possibilmente la distruzione di chiunque non la pensi come loro. A tal proposito rimando al dotto articolo del mio sapiente collaboratore Jorge A. Facio Lince sul comunismo gramsciano [cf. QUI].
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Duole davvero che un esperto conoscitore della ideologia comunista come il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, non si sia mai accorto della pericolosa situazione che si andava creando in seno alla Chiesa. Ma d’altronde, i Neocatecumenali, avevano adottati stili di comportamento che al futuro Santo Pontefice erano particolarmente cari: anzitutto la famiglia e i figli, quindi l’ossequio alla morale sessuale. E ciò non lo ha indotto a interrogarsi su che cosa di molto negativo, a livello ecclesiale, vi fosse in questa sètta nella quale, da una parte si sfornavano i figli e si promuoveva la morale sessuale tanto cara a Giovanni Paolo II, ma dall’altra si creava una chiesa dentro la Chiesa, una comunità dentro la comunità ecclesiale, insomma: una vera e propria sètta para-cattolica.
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È vero, i Neocatecumenali facevano della sacra liturgia e dell’Eucaristia ciò che volevano e come volevano; facevano immane confusione tra sacerdozio comune dei battezzati e sacerdozio ministeriale di Cristo, proclamando ai quattro venti che tutti eravamo sacerdoti; avevano un catechismo parallelo e andavano in missione per il mondo ad annunciare il “sacro verbo” del Signor Kiko Arguello … però, facevano figli e condannavano la contraccezione ed il lassismo promuovendo la morale sessuale. E mentre questo avveniva, nessuno dei soloni della Santa Sede si domandava: ma il centro, il cuore e il motore della vita della Chiesa, è quella Eucaristia scempiata dagli arbitri dei neocatecumenali sino a rasentare la blasfemia e la profanazione, oppure la proibizione morale all’uso di pillole anticoncezionali e di preservativi? Insomma: il Verbo si è fatto carne, o il Verbo si è fatto contro i contraccettivi?
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Se il Movimento Neocatecumenale, anziché promuovere la morale sessuale e familiare per così dire “più rigida”, avesse promosso invece un certo lassismo, Giovanni Paolo II non avrebbe esitato un istante a dichiararli “fuori legge” ed a spazzarli via con un colpo di ramazza. Ma siccome, seppur a prezzo dei loro scempi eucaristici, dei loro immani abusi liturgici e di una male intesa e promossa concezione del sacerdozio, i Neocatecumenali difendevano la famiglia e la morale sessuale, se la sono passata liscia sempre e comunque, ed in specie sotto il lungo pontificato di Giovanni Paolo II.
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A chiunque volesse lanciarmi l’accusa: «Come osi criticare un Santo?». Rispondo che io non ho mai criticato il sommo magistero di questo Santo Pontefice, l’ho sempre promosso e tutt’oggi continuo a promuoverlo. E chiunque voglia approfondire il discorso teologico e dottrinario circa il fatto che i Santi, pur essendo tali e come tali modello di eroiche virtù, non sono perfetti, può andare a leggere, nell’archivio dell’Isola di Patmos, un mio vecchio articolo intitolato: «I Santi antipatici, Pontefici inclusi» [cf. QUI].
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I risultati di tutto questo sono stati la progressiva laicizzazione dei chierici e la pericolosa clericalizzazione dei laici, con conseguenze devastanti sul piano pastorale. Proverò adesso a spiegarmi con degli esempi: nelle nostre chiese il presbitèrio era circoscritto dalla balaustra, funzione della quale era quella di delimitare e indicare lo spazio del cosiddetto sancta sanctorum. A questa balaustra i fedeli si inginocchiavano per ricevere la Santissima Eucaristia. E ciò avveniva in quei tempi non poi così lontani nei quali a nessuno sarebbe mai passato per la mente di ricevere l’Eucaristia seduto sulla sedia al proprio posto secondo le arbitrarie e irriverenti disposizioni dettate dai Signori Laici Kiko Arguello e Carmen Hernandez. E ciò detto è necessaria adesso una premessa: nessun documento del Concilio Vaticano II, a partire dalla Sacrosanctum concilium ha mai stabilito che le balaustre, ed in specie quelle di chiese storiche monumentali, altrettanto gli altari coram Deo [rivolti a oriente] fossero abbattute, come invece hanno fatto i preti, o come hanno fatto gli stessi vescovi, perpetrando spesso scempi immani al patrimonio storico e artistico, sulla base dell’errato principio che la balaustra era un «vecchio segno di divisione» tra i fedeli e il sacerdote. Certe affermazioni e spiegazioni, seppure provenienti talvolta da vescovi e preti, sono false e fuorvianti, posto che la balaustra era un segno di sacro rispetto, ed aveva una precisa funzione teologica e pastorale tutta quanta legata a quel sacro timor di Dio di cui oggi non si parla più; e non se ne parla più da quando i teologastri hanno preso a confondere il sacro timore con la paura del Padre. E finalmente abbiamo superato, sia a livello liturgico, sia a livello teologico il … complesso di Edipo.
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Il presbiterio è così divenuto la passerella dei laici “partecipi” e “attivi”, con una preponderante e spesso prepotente presenza di donne che si arrogano diritti e prerogative che non competono a loro in particolare come ai laici uomini.
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Inizialmente molti sacerdoti hanno accolto con favore certe pericolose intromissioni che andavano a toccare la sfera della liturgia e di quella pastorale strettamente connessa alla figura sacerdotale. E gettate “finalmente” alle ortiche le loro dignitose e austere vesti talari, confusi ormai in jeans e maglione come laici tra i laici, i preti potevano finalmente aprire le porte a tutti quei peggiori sconfinamenti di campo del laicato che rendevano inizialmente i presbiteri più liberi di dedicarsi all’attivismo politico, alle confabulazioni sociologiche, alla figura del prete uomo come tutti in mezzo a tutti senza differenze e barriere … insomma: lasciare i preti molto più liberi di farsi gli affari propri.
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Una volta, chi andava a portare l’Eucaristia agli ammalati? Ovvio, il parroco. Neppure il diacono, sebbene ne avesse facoltà, sempre e di rigore il parroco. Oggi, invece, chi ci va? Ma ovvio: la “pia donna” ministro straordinario della Comunione, alla quale molti parroci sono costretti a chiedere per favore la chiave del tabernacolo. E chi era il primo a insegnare il catechismo ai bambini, o se non poteva tenere da solo tutti i corsi di catechismo, a controllare e istruire i catechisti? Ma ovvio: il parroco. E chi erano, coloro che venivano incaricati come catechisti? Gli incaricati erano uomini e donne, quasi sempre anziani, riconosciuti modelli di cristiana virtù, spesso e volentieri maestri, maestre e insegnanti cattolici in pensione che con tutta la loro esperienza didattica svolgevano questo prezioso servizio nelle nostre parrocchie. Oggi, chi capita invece di trovare come catechiste … e ripeto: avanti a tutto e soprattutto come “catechiste”? Ma ovvio, spesso capita di trovare delle femmine fatali ventenni, non di rado con minigonna, pantaloni a vita bassa e bacino scoperto, con le zeppe da 15 centimetri ai piedi e via dicendo. Ma soprattutto, oggi, insegnano i parroci catechismo? Certo che no, una media di 9 su 10 non lo fanno, perché sono impegnati in … – udite, udite! – attività pastorali! Insomma: sono diffusi a macchia d’olio e numerosi oltre misura e decenza parroci che non hanno tempo di portare la Comunione agli ammalati, non hanno tempo di confessare, meno che mai di fare direzioni spirituali, non hanno tempo per insegnare catechismo … e tutto questo perché – e di nuovo ripeto: udite, udite! – … perché impegnati in attività pastorali. Personalmente, se fossi un vescovo – e va da sé che questo mio è un esempio puramente accademico –, quindi venissi a scoprire che miei presbìteri incaricati come parroci non portano l’Eucaristia agli ammalati, non confessano, non fanno direzioni spirituali, non insegnano catechismo, il tutto perché impegnati in … attività pastorali, li chiamerei ed esigerei essere informato seduta stante quali sono queste importantissime attività pastorali del tutto superiori a quelle che non svolgono o che peggio delegano talvolta a dei laici e a delle laiche; e se non mi dessero spiegazioni più che plausibili, credo che li suonerei come si suonano le zampogne a Natale.
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Più i preti si sono ritirati dal loro terreno per dedicarsi ad attività tutt’altro che pastorali, dall’attivismo sociale e politico alla tutela dell’ambiente, più i laici, ma soprattutto le agguerrite laiche, hanno invaso campi che sono di per sé terreno pastorale del sacerdote. E se ieri, dinanzi a un teologo qualificato, neppure i preti, talvolta persino gli stessi vescovi non osavano proferire gemito, avanti l’autentica saggezza di un teologo anziano veramente sapiente, oggi capita invece che persino il campione degli ignoranti del nostro laicato alzi il pugno in aria e batta i piedi a terra per muovere contestazioni umorali senza né capo né coda al grido di … «io non sono d’accordo, perché io penso che …», ergo et eziandio «è giusto e corretto quel che penso, quel che sento io».
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Tutto questo è logica conseguenza del fatto che, mentre il prete in jeans e maglione partecipa alla riunione del consiglio comunale dove si parla del problema dei profughi o dell’inquinamento ambientale, le pie donne vanno a portare l’Eucaristia agli ammalati, insegnano catechismo senza controllo alcuno, dispongono della chiesa parrocchiale come a loro più aggrada, stabiliscono di loro motu proprio regole liturgiche e via dicendo. E se dinanzi a questa presa di campo il parroco non si adegua, ecco che i laici, ed in particolare le laiche, gli rendono la vita impossibile e del tutto invivibile. Se poi, dinanzi a simili parroci, entrano in parrocchia i Neocatecumenali, a quel punto il sacerdote assume ruolo di mero “consacratore di ostie”, ed una volta terminata la celebrazione eucaristica il suo posto è di stare seduto in rispettoso silenzio accanto al mega-catechista kikiano sceso il giorno prima dalle impalcature sulle quali ha fatto per tutta la vita il muratore, ed il quale lancia uno appresso all’altro strafalcioni e spesso vere e proprie eresie in materia di dottrina e di fede, specie nell’ambito della pneumatologia. Guai però a dirgli qualche cosa. Primo, perché ti risponderà che tu sei ostile allo Spirito, secondo, perché ti dirà che quel che conta è avere lo Spirito, terzo, perché è lo Spirito che dà la vera conoscenza, non lo studio, non la cultura teologica.
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Questa arroganza sempre più intollerabile – e che io, come presbitero, non ho mai tollerato e non intendo tollerare nell’esercizio del mio sacro ministero – è un elemento che accomuna sia i cosiddetti tradizionalisti sia i cosiddetti progressisti. I primi, promuovono raccolte di firme referendarie contro un provvedimento preso personalmente dal Sommo Pontefice, il quale come ho spiegato nel mio precedente articolo non è soggetto ad umano sindacato alcuno [cf. QUI]; i secondi, oltrepassate le balaustre e relegato con un calcio al culo il prete tra tutti, come uno tra tutti, hanno proclamato – in nome di un concilio mai celebrato e di un movimentismo malato ma comunque tollerato da Giovanni Paolo II – che tutti siamo sacerdoti.
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Quell’esercito di canonisti e di teologi improvvisati ai quali fa riferimento il nostro acuto lettore Giorgio M.G. Locatelli, sono il prodotto di una situazione ecclesiale ed ecclesiastica ormai totalmente degenerata. Sono il prodotto dei figli della “immaginazione al potere” e del “vietato vietare” che dopo la caduta del Muro di Berlino non sono mai riusciti ad elaborare il lutto e che hanno trasferito nella Chiesa, tramite processo di traslazione, il peggio delle loro ideologie, il peggio del loro messianismo post-comunista. Tutto questo con un problema di non poco conto: non si sono convertiti al cattolicesimo, ma hanno tentato e tutt’oggi tentano di convertire il cattolicesimo all’ideologia messianica comunista di cui sono rimasti orfani e dalla quale non si sono mai distaccati; ideologia trasferita a livello educativo sui loro figli, che risultano oggi peggio ancora dei loro genitori. E questo spirito deleterio e pericoloso, ha trovato il proprio focolaio in certi movimenti, in modo del tutto particolare nel Cammino Neocatecumenale.
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La discussione sui divorziati risposati verte tutta su un problema di fondo: il sesso. Se infatti non vi fosse stato di mezzo il sesso, tutte le polemiche pre-sinodali e post-sinodali non vi sarebbero state, mai!
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Il problema è che questo esercito di poveri squilibrati e squilibrate, non riescono a cogliere e capire un elemento essenziale sia del vivere cristiano sia del mistero della salvezza: noi saremo giudicati da Dio sulla carità, indicata non a caso dal Beato Apostolo Paolo come la più importante delle virtù teologali in un passo dell’epistolario paolino che è il cuore della teologia cattolica, da sempre conosciuto come Inno alla Carità, dov’egli ci raccomanda:
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Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità! [I Cor 13, 1-13]
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A quelli che il Santo Padre indica a giusta ragione come moderni farisei, pelagiani, amanti del legalismo, o di quella che io chiamo la morale disumana che in quanto tale non può essere mai morale cattolica, sfugge un problema di fondo: esistono molti peccati gravi, anzi gravissimi, molto più gravi dei peccati variamente legati al sesso o al cosiddetto vizio capitale delle lussuria, che vanno tutti e di rigore dalla cintura in su. Ma per loro, invece, esistono solo i peccati che vanno dalla cintura in giù. Siamo insomma di fronte a persone che con la sessualità umana hanno un cattivo rapporto, verso il sesso hanno invece una vera e propria ossessione.
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Come persona celibe e vincolata per libera scelta di vita alla castità, sono stato ripetutamente assalito da terribile orticaria tutte le volte che dei Signori Laici, con una leggerezza nauseabonda ed una sicumera intollerabile, hanno pronunciato come un dogma di fede la frase: «I divorziati risposati? Purché vivano come fratello e sorella, perché allora, in tal caso, possono …». E ogni volta che di questi tempi sento pronunciare la frase «come fratello e sorella», mi si scoglie l’adrenalina nel sangue, tanto sono memore come pastore in cura di anime, come confessore e come direttore spirituale, quanti drammi vivono certe famiglie. Ma soprattutto conosco, frequento e ho rapporti giornalieri con divorziati risposati che hanno sempre garantito ai loro figli la migliore educazione cattolica, all’interno di famiglie autenticamente cristiane, nelle quali uno dei due coniugi è semmai divorziato e risposato civilmente in seconde nozze. Uno spirito cristiano che purtroppo non si trova invece in molte famiglie cosiddette regolari nelle quali, quando il figlio torna a casa dal catechismo, i genitori si divertono a dirgli tra lazzi e sprezzi l’esatto contrario di quel ch’è stato spiegato loro in parrocchia, istruendoli sin da bimbi a capire che «i preti e tutti coloro che stanno attorno ai preti, raccontano da sempre un sacco di bischerate». Questa frase virgolettata mi fu riferita tre anni fa, durante la confessione, da un adolescente che tre giorni dopo avrebbe ricevuto il Sacramento della Cresima nel Duomo di San Gimignano, presso il quale mi trovavo proprio per confessare i prossimi cresimandi.
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A maggior ragione io sacerdote e pastore in cura d’anime, per mistero di grazia dispensatore dei Sacramenti, mai mi sono permesso e mai mi permetterò di puntare il dito verso certe “coppie irregolari” pronunciando la farisaica sentenza: «Purché viviate da fratello e sorella», tanto sono consapevole, come confessore e direttore spirituale, che i peggiori peccati contro la carità, vanno quasi tutti e di rigore dalla cintura in su e sono commessi da molte persone che vivono situazioni matrimoniali e familiari di fatto e di diritto del tutto conformi e regolari alle leggi canoniche.
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La mancanza di delicatezza di questi neo-farisei che sentenziano dall’empireo della loro colossale ignoranza teologica e canonica in nome di una dura legge che è la legge umana loro e non la legge divina di Cristo, è per me fonte di dolore e imbarazzo, specie quand’è unita alla presunzione di reputarsi e di sentirsi per questo dei veri e autentici cattolici, dei difensori dell’unica e vera fede.
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Ma portiamo adesso la cosa sul piano strettamente teologico. Gli indomiti sostenitori del “dogma” «purché vivano come fratello e sorella», si rifanno ad una dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi [cf. QUI] che non essendo affatto un atto solenne del magistero infallibile ho per questo discussa e legittimamente confutata nel mio precedente articolo [cf. QUI]. Affermazione nella quale è usata come supporto un’espressione paolina che costituisce una enunciazione di principio generale, rivolta come tale al peccato, genericamente, non invece a un preciso singolo peccato:
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Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna [1 Cor 11, 27-29]
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Dove, il Beato Apostolo fa espresso riferimento ad adulteri e concubini? Egli si riferisce al peccato, forse potrebbe persino rivolgersi a quei numerosi peccati che vanno dalla cintura in su, posto che per l’Apostolo, la regina delle virtù, è la carità; e la carità è variamente legata anche alla sessualità umana, indubbiamente, ma non certo e non solo alla sessualità umana.
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Posto che questi difensori della vera e sola verità, per elevare a dottrina immutabile della Chiesa, o meglio di vero e proprio dogma di fede una legge ecclesiastica positiva, usano come supporto una affermazione di principio generale del Beato Apostolo Paolo, ritengo che tutti costoro, vale a dire teologi improvvisati e canonisti dell’ultima ora che di blog in blog stanno dibattendo con spietata durezza di cuore su vicende che toccano un tema molto delicato come la famiglia, offrano adesso una risposta tutta quanta teologica e giuridica alla quaestio che ora porrò a tutti quanti loro.
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Adottando il loro stesso principio, farò adesso riferimento non ad una affermazione generica come quella del Beato Apostolo Paolo, ma ad una affermazione chiara e precisa rivolta ad un fatto altrettanto chiaro e preciso, pronunciata non da un Apostolo, ma dal Verbo di Dio Incarnato, da Nostro Signore Gesù Cristo, il quale così si esprime:
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Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l’iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». A queste parole rimasero sorpresi e, lasciatolo, se ne andarono [Mt 22, 15-22].
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È presto detto: se l’Apostolo Paolo non afferma che concubini e adulteri non devono accedere all’Eucaristia, a meno che non vivano come fratello e sorella, in questo chiaro e preciso brano del Vangelo il Verbo di Dio risponde affermando che a Cesare vanno pagate le tasse, il che implica un chiaro monito: non è lecito non pagare le tasse.
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Chiunque abbia studiato la Sacra Scrittura con tutto ciò ch’essa comporta in conoscenze antropologiche e storiche, sa che cosa volesse dire pagare le tasse nell’antica Giudea. Tra le province romane la Giudea era la più tartassata, i tributi erano altissimi; e coloro che non pagavano i tributi, a volte dovevano soggiacere a delle pene che non andavano per il sottile. Nell’ipotesi migliore gli evasori erano fustigati a sangue, altre pagavano direttamente con la vita, ed al fine “pedagogico” di spaventare gli altri evasori erano condannati di tanto in tanto alla pena della crocifissione.
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Nell’antica Giudea, non arrivavano gli agenti della Guardia di Finanza per stilar verbali e fare multe che spesso, ai giorni nostri, più sono alte e più non vengono pagate. Tutti conosciamo evasori condannati ma da subito a piede libero che ci sfrecciano accanto con le loro autovetture da centomila euro. Ma in Giudea non era così: le tasse non solo erano alte, erano proprio inique; non a caso i giudei chiamavano i romani “affamatori del Popolo”.
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Ora voi capite, amanti della morale dura e pura, inamovibili elargitori di sentenze persino verso gli atti dottrinari del Romano Pontefice, nonché assertori del dogma di fede «purché vivano come fratello e sorella», che dinanzi al monito «date a Cesare quel che è di Cesare», noi siamo di fronte ad una vera e propria espressione dogmatica della fede perenne e immutabile, legge divina allo stato puro, non certo di fronte ad una norma di principio riguardante il peccato espressa in linea generale da un Apostolo, perché qui siamo di fronte ad un dogma chiaro e preciso che non ammette discussioni, ed il dogma è il seguente: «Pagare le tasse allo Stato».
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Già sento a distanza le vostre voci, cari teologi improvvisati e canonisti inamovibili sulla pelle degli altri, ed assieme alle vostre voci odo tutte le vostre ragioni e giustificazioni, che a una a una posso anticiparvi: «Non si possono pagare le tasse a uno Stato la cui tassazione in certi settori arriva al 50%, perché quelle non sono tasse, quello è un furto … è una rapina, come ebbe a dire il Servo di Dio Silvio Berlusconi, per gli amici bunga-bunga, quand’era presidente del consiglio dei ministri». Per seguire poi con la giustificazione basata sul principio che “l’altro e peggiore”, sempre e di rigore, quindi avanti con la litania circa il fatto che «…con le tasse noi siamo obbligati a pagare stipendi e pensioni d’oro ai politici … i loro privilegi … le loro auto blu … mentre i poveri pensionati con le pensioni minime muoiono di fame … mentre le famiglie oneste hanno difficoltà a pagare le bollette della luce e del gas …». Ovviamente nessuno di voi, guarderà al positivo delle tasse, per esempio il servizio sanitario nazionale gratuito per tutti, le scuole gratuite per tutti, numerose garanzie di assistenza e via dicendo … no. Dovendovi giustificare elencherete solo le cose negative e se proprio dovrete ammettere che il diritto alla salute e allo studio è gratuito e garantito a tutti, a quel punto seguiterete a giustificarvi dicendo: «Si, però la sanità nazionale fa schifo e le scuole pure» … Eh, quanto vi conosco bene, farisei di ieri e di oggi!
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Signori miei: il dogma è dogma e Cristo Dio è chiaro, preciso e deciso nel dire che a Cesare, le tasse, si pagano e basta. Cristo sapeva benissimo come i maggiorenti del potere romano in Giudea gozzovigliassero e si dessero alla bella vita, mentre i poveri giudei erano spesso affamati; il Verbo di Dio lo sapeva, ma pur sapendolo proclamò questo dogma di fede: «Pagare le tasse allo Stato». E questo dogma è legge divina perenne e immutabile.
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A questa banda di ipocriti, che dietro il paravento di un non meglio precisato cattolicesimo svuotato di carità e infarcito dei peggiori legalismi, stanno rendendo così pessimo servizio alla Chiesa e alla fede, replico quindi con le stesse parole di Cristo Dio:
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Così avete annullato la parola di Dio in nome della vostra tradizione. Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo: «Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini» [cf. Mt 15, 5-9].
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È facile e comodo entrare nelle camere da letto altrui col dito puntato a sentenziare come nuovo dogma di fede «purché vivano come fratello e sorella». Ma voi, ipocriti di sempre, che «filtrate il moscerino» nelle camere da letto altrui e poi «vi ingoiate il cammello» [cf. Mt 23,24], siete pronti ad accettare, fare vostro e diffondere come indiscutibile dogma di fede: «Date a Cesare quel che è di Cesare», quindi pagare le tasse senza fiatare, ma soprattutto senza azzardarvi a dire che sono alte e che non sono giuste?
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Perché vedete, per me, moralmente parlando, uno “zelante” cattolico regolarmente sposato con sua moglie, che non usa mezzi contraccettivi e che si attiene alle prescrizione della morale sessuale, il quale fa poi lavorare in nero nella propria azienda venti lavoratori sottopagati, gran parte dei quali giovani che non possono sposarsi e mettere su famiglia, perché non sanno se il mese successivo avranno ancora il lavoro … per me, moralmente parlando, questo grandissimo peccatore commette un peccato molto peggiore di una coppia di coniugi irregolari che non vivono come fratello e sorella, che vivono una situazione indubbiamente irregolare, ma che all’interno della loro “peccaminosa” camera da letto non giocano affatto per i propri scopi di lucro e di egoismo sulla vita altrui sfruttando nel peggiore dei modi il bisogno di lavoro di venti persone, con tutti i relativi disagi estesi anche alle famiglie di questi venti lavoratori.
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E chi ha questioni da sollevare su di me, sia come presbìtero sia come teologo, prenda e mandi pure questo mio testo alla Congregazione per la dottrina della fede, affinché sia da essa esaminata la sua ortodossia teologica e la sua piena conformità alla morale cattolica. E se in questo mio parlare vi fossero errori dottrinari presentati e diffusi da un presbìtero chiamato a custodire e diffondere la fede nel Popolo di Dio ed a tutelare e salvaguardare il patrimonio morale della Chiesa, state certi che quel Dicastero non mancherà di chiedere al mio vescovo che provveda a chiudermi la bocca e ad irrogarmi, se il caso lo richiede, tutte le meritate sanzioni canoniche, anche perché ho dissertato su quello che per molti rappresenta l’origine e il centro dell’intero mistero del male: il sesso e la sessualità umana. Non per nulla, il Beato Apostolo Paolo, in un passo dell’epistolario paolino che è il cuore della teologia cattolica, da sempre conosciuto come Inno alla Continenza Sessuale, ci raccomanda:
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Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la continenza sessuale; ma di tutte più grande è la continenza sessuale! Nella quale tutti vivranno come fratelli e sorelle, pure se ciò dovesse comportare l’estinzione della specie umana. Ma la “morale” dei moralisti disumani sarà salva, e la loro idea di sesso angelico non avrà mai fine.
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Si può e si deve fare a meno delle spiegazioni di chi usa male S. Tommaso, mettendosi a discutere pretestuosamente sulla maggiore gravità della superbia rispetto alla lussuria, e, dimenticando però’ che se si ha uno dei 7, allora si hanno tutti, e quindi ciascuno ha il volto anche degli altri sei.
Grazie per questa ottima riflessione, don Ariel. Schietta, precisa, condivisibile quasi alla virgola.
Colgo l’occasione per segnalare un’altra forma di grave corruzione morale su cui si tende oltremodo a sorvolare, anche (se non soprattutto) negli ambienti ecclesiastici: quella del dipendente pubblico il quale abbia ottenuto un posto di lavoro – di fatto una posizione di rendita vitalizia – per via fraudolenta, cioè attraverso un concorso vinto grazie a raccomandazione, cooptazione o nepotismo. È una prassi che, al pari di quella dell’evasione fiscale (e forse persino di più), meriterebbe dure parole di condanna, poiché in molti casi si traduce in un vero e proprio furto dell’esistenza altrui (dove “altrui” è chi quel posto di lavoro, se tutto si fosse svolto in modo onesto, l’avrebbe ottenuto per merito e capacità).
Ben detto Navigare Necesse est. 😉
Poichè nel Decalogo c’è scritto anche di non fornicare, cosa che nel caso dei divorziati risposati avviene in abbondanza a meno che non vivano da fratello e sorella, è naturale conseguenza che i succitati soggetti non accedano alla Comunione in quanto sono in stato di peccato mortale. Quello che mi sfugge è perchè lei, Cavalcoli, Bergoglio e ….compagnia cantante vogliano farli accedere a questo Sacramento contribuendo così ad una profanazione, rischiando la perdita delle anime che “imprudentemente” seguano questi falsi maestri….,..e falsi pastori oltre alla morte eterna sua e dei suoi compagni di…..”cantanti”. Semplice no?
Una riflessione autocritica. Emilio qui sopra parla del prete. Quando mai io cristiano conformo il mio agire agli insegnamenti – riportati nel Vangelo – che Gesù ha rivolto a me e a tutti coloro che dichiariamo di credere in Lui e che dovremmo SEMPRE praticare?
Mi sovvengono alcuni passi di Luca, 6 (discorso della pianura)
«Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso» (6,36).
«Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati!» (6,37).
Vorrei dire (e pretenderei di imporre) la mia interpretazione sulla quaestio divorziati risposati, Ecco Gesù mi domanda : “Ettore! Perchè guardi la pagliuzza (peccato) che è nell’occhio del tuo fratello (divorziato risposato) e non ti accorgi della trave (ogni genere di peccato) che è nel tuo occhio?” (6,41) “Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. “(6,42)
Ipocrita! Colto in flagranza, taccio,
Buongiorno Reverendo P. Ariel,
sono un laico che ha già commentato su questo sito. Stando ai suoi scritti esiste una parte di cattolici che è ortodossa per quanto riguarda la morale sessuale ma lassista per il resto.
Appoggiarsi a questo per condannare le loro posizioni in morale sessuale è scorretto. Se non pagano le tasse cambia forse il valore di verità delle proposizioni che enunciano? Io ad esempio sono peccatore e dico che i precetti di Dio vanno osservati tutti.
Ci sono dei separati e riaccompagnati che danno una buona educazione ai loro figli? Beh, quando fanno questo fanno bene, ma fanno male a vivere da separati e riaccompagnati. Ci sono delle persone con una vita sessuale ordinata che insegnano ai figli a disprezzare i ministri di Dio? Beh, per la prima cosa fanno bene, per la seconda no.
Le tasse vanno pagate, non bisogna avere rapporti fuori dal matrimonio, e dubito che vada bene vivere da fratello e sorella.
“…e dubito che vada bene vivere da fratello e sorella.”
Giusto per evitare fraintendimenti, volevo dire che dubito della liceità del vivere come fratello e sorella.
Caro padre Ariel,
premesso che non sono un teologo e anzi, sono ancora parecchio ignorante, ma cerco di mettere sempre al primo posto la ragione, io non sono d’accordo su alcune cose che ha scritto (in questo ed in altri articoli), in particolare riguardo alla comunione ai divorziati risposati che non vivono come “fratello e sorella”. Tra l’altro mi pare di aver capito dai suoi scritti, che il Santo Padre non l’ha approvata; sebbene leggendo l’esortazione apostolica mi pareva di leggere (sempre in modo ambiguo) l’opposto. Di questo quindi sono contento.
Ed è giusto che lei si sia soffermato sul fatto che, sebbene l’adulterio e la fornicazione siano dei peccati gravi, esistono anche peccati molto più gravi.
Detto ciò la devo ringraziare sinceramente perché i Suoi scritti, come quelli del padre Cavalcoli, sono comunque illuminanti e, questi sì illuminati dallo Spirito, mettono quei seri dubbi che fanno bene alla fede e alla ragione e possono rimettere sulla retta via, in particolare in momenti come questo dove il torbido e la nebbia sono molto fitti.
Gianluca M.
Testo approfondito e condivisibile, qualche nota marginale:
– bunga è il nome di una antica tribù del Congo nord ovest, dove uno dei nomi di Dio è Kunji, sino a qualche anno fa presente in Tibet come frequente interiezione, vedasi Folco Maraini, e nel nome di uno dei monti sacri in Asia, Hunzakunji… la storia attribuita a Berlusconi è un falso
– Pelagio era contro la predestinazione e Agostino organizzò un concilio via il suo segretario Orosio… Agostino approva la tortura dei sospettati di frequentare luoghi pagani, dichiara che la penetrazione è conseguenza del peccato originale e che il piacere è stato dato come tentazione da rifiutare
– mi chiedo da un po’ di tempo quale percentuale di cristiani abbia mai letto il vangelo.. più dell’uno per mille?. una pia donna che porta la comunione non voleva credermi quando dissi che Gesù era ebreo. Ma quando mai un prete dice di leggere il Vangelo?
Rev. Padre,
richiamo la Vostra attenzione, Sua e di padre Cavalcoli, su questo articolo:
http://www.corrispondenzaromana.it/amoris-laetitia-chiarire-per-evitare-una-confusione-generale/
Il paradosso delle interpretazioni contraddittorie di «Amoris laetitia» secondo
Mons. Schneider. Poiché troppi – anche altolocati – interpretano “pro domo propria”.
E’ proprio così difficile, nei documenti papali, usare il linguaggio evangelico dei piccoli e dei semplici? Non dovrebbe intervenire la Congregazione preposta alla custodia della Dottrina?
Caro Ettore.
Grazie per la sua segnalazione e il suo quesito a dir poco pertinente.
Come forse lei ricorderà, inizialmente, poco dopo l’uscita del testo di questa esortazione apostolica post-sinodale, io me ne uscii con un articolo nel quale lamentavo la sua lunghezza, il suo linguaggio a tratti ambiguo, l’eccessivo indugiare sul sociologico e sullo psicologico, ecc … insomma, criticai l’impianto strutturale linguistico, visto che, un documento pontificio, è un documento che comunica e che deve comunicare, non è un insieme di opinioni o di trattati di sociologia, ecc …
Ma lei, da acuto osservatore qual è, avrà invece notato che in quel mio primo articolo, non toccavo, anzi non sfioravo neppure lontanamente la dottrina, perché questa è altra cosa. E quando infatti si è trattato di entrare nello stretto merito dottrinario, io ho scritto e affermato, in altri due successivi articoli, che i documenti pontifici si applicano e basta, non si discutono, tanto meno si contestano.
Il problema iniziale, quello della lunghezza a tratti logorroica e dello stile di linguaggio non felice, può indurre molti a fare pericolosi taglia e cuci tirando fuori dal documento ciò che esso dottrinalmente non contiene affatto.
Questo il motivo per il quale, assieme a lei, mi auspico che quanto prima, il competente dicastero, che è la Congregazione per la dottrina della fede, diffonda un documento di una pagina e mezzo precisando in un semplice ed elementare schema quella che è la dottrina contenuta in questo documento e le dottrine già vigenti che questo documento conferma e integra.
E ancora ribadisco: da subito ho manifestato che la lunghezza, lo stile logorroico e a tratti contorto di quel documento non mi piaceva. Altra cosa, invece, è la dottrina che quel documento contiene.
Scusi eh, dott. rev Ariel Gualdo, io non sono addetto ai lavori, ma di cosa sta parlando?Se sappiamo tutti ,mi corregga se sbaglio, che il Papa con questo Documento non parla ex cathedra e non cambia nulla sulla dottrina, ma si focalizza sulla pastorale?Quale Dottrina?Lei parla molto, ma poi fa una confusione notevole, altroche’ parlarsi addosso e girare intorno al proprio ombelico. meno male che non avendoli, non le ho dato denari a sostegno del blog.Cosi’ almeno mi da’ ingiustamente dell’avaro e mi crea un merito per il Paradiso.Ma io la prevengo,sperando che rinunciare a un merito ne crei uno maggiore ,Che ne dice?Mi potrebbe illuminare,per favore ?
Bene.
Allora prendiamo atto – e di ciò tutti quanti la ringraziamo – che se non c’è da parte del Sommo Pontefice un pronunciamento infallibile ex cathedra, tutte quante le direttive pastorali, le discipline, le esortazioni e le dichiarazioni, non hanno alcun genere di valore, meno che mai vincolante per i vescovi, i presbiteri, i diaconi, i fedeli.
Grazie.
«“La mancanza di delicatezza di questi neo-farisei che sentenziano dall’empireo della loro colossale ignoranza teologica e canonica in nome di una dura legge che è la legge umana loro e non la legge divina di Cristo, è per me fonte di dolore e imbarazzo, specie quand’è unita alla presunzione di reputarsi e di sentirsi per questo dei veri e autentici cattolici, dei difensori dell’unica e vera fede»
Mi scusi ma è stato proprio il Verbo di Dio Incarnato ad affermare: “ciò che Iddio ha congiunto l’uomo non separi” (Mt 19,5-6); “Chiunque ripudia la propria moglie e ne prende un’altra, commette adulterio; e chiunque, prende quella che è stata ripudiata dal marito, commette adulterio” (Lc 16, 18); e l’Apostolo Paolo così si esprime: “ai coniugati, ordino, non io, ma il Signore, che la moglie non si separi dal marito, e qualora si sia separata, rimanga senza rimaritarsi, o si ricongiunga con suo marito” (1Cor 7,10-11). Dunque che l’adulterio e gli atti sessuali compiuti fuori da un valido matrimonio costituiscano peccato grave è di Rivelazione Divina, essendo essi condannati sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento per bocca dello stesso Verbo di Dio Incarnato. A questo proposito i neo-farisei sono proprio quelli che oggi come ai tempi di Gesù inventano eccezioni alla regola, ritenendosi probabilmente più buoni e misericordiosi di Cristo stesso che all’adultera disse “va e non peccare più”. Non capisco poi perché mettere in contrasto il sesto e il settimo comandamento: sia l’uno che l’altro dovrebbero essere rispettati. Non è che perché uno afferma di non pagare le tasse allora l’adulterio diventa lecito e cessa di essere un peccato grave. Concludo con una frase di un grande e coraggioso Vescovo cattolico: “Ammettere le coppie in «unione irregolare» alla santa Comunione, permettendo loro di praticare gli atti riservati ai coniugi del matrimonio valido, equivarrebbe all’usurpazione di un potere, che però non compete ad alcuna autorità umana, perché si tratterebbe qui di una pretesa di correggere la stessa Parola di Dio.” A questo link il testo completo dell’intervento di S.E Mons. Athanasius Schneider sull’Esortazione Apostolica Amoris Laetizia (da leggere e meditare)
http://www.corrispondenzaromana.it/amoris-laetitia-chiarire-per-evitare-una-confusione-generale/
La ringrazio per la sua dotta disquisizione e la ringrazio per avere citato quel sant’uomo del Vescovo Athanasius Schneider, che è Vescovo in quanto in comunione con il Vescovo di Roma, non certo in comunione con se stesso, vale a dire quanto basta per evitare che qualsiasi cattolico possa usare, in modo diretto o indiretto le espressioni di un Vescovo per anteporle a quelle del Vescovo di Roma.
Ora, siccome lei sta commentando un mio articolo nel quale io procedo inizialmente con una analisi storico-sociale-ecclesiale, per seguire con una questione teologica, se vuole commentare questo articolo deve entrare nel merito dello stesso. Se poi vuole usare un articolo per esprimere le sue opinioni, questa è altra cosa.
La questione che io sollevo, proprio basandomi sull’impianto di ragioni da lei testé addotte, è il seguente: “Pagare le tasse allo Stato è una legge positiva divina data dal Verbo di Dio incarnato. Ergo, pagare le tasse allo Stato, è un dogma della fede cattolica”.
Questa la questione che io ho sollevato, questa è la questione alla quale lei dovrebbe dare risposta usando lo stesso metro di ragioni che usa per dichiarare che è “legge divina” il fatto che i divorziati risposati, ecc … ecc …
In caso contrario rischia solo di parlarsi addosso da se stesso.
“Pagare le tasse allo Stato” è legge positiva UMANA che Cristo riprende nel brano citato dal Vangelo; “Vivere come fratello e sorella ” è Legge Positiva DIVINA discendente dal Comandamento Divino di non fornicare. Il Vescovo Mons Shneider è Vescovo in quanto in Comunione con il Papa Benedetto XVI.
Caro Sig. Bazzorini.
Le prime due righe le ha scritte il suo “teologo” di fiducia, mentre la seguente invettiva, quella riguardo il Vescovo Athanasius Schneider in comunione con Benedetto XVI, quella l’ha scritta lei.
Mi faccia capire, o comunque chieda al suo “teologo” di fiducia quanto segue: come mai quando si tratta di malversazioni legate ai soldi, con tutto l’egoismo, la superbia, l’invidia e l’avarizia che spesso e quasi sempre ad esse è legata, il massimo che si riesce a strapparvi è un … legge positiva umana, pure se ricorrono – ad eccezione della lussuria – tutti quanti i peccati capitali?
Se uno non paga la giusta mercede all’operaio, è noto e risaputo che commette un peccato reputato a tal punto grave da essere definito dalla dottrina sociale della Chiesa come uno dei peccati gravissimi che “gridano vendetta al cospetto di Dio”.
Ma nulla da fare … legge positiva umana.
Però, se si parla di sesso e di sessualità umana, allora lì entra in gioco la legge divina.
Riferisca allora al suo “teologo”, visto ormai questo nostro parlare per interposta persona, che il Verbo di Dio non si è incarnato e non è morto sulla croce unicamente per redimere:
1. gli adolescenti che colti da tempeste ormonali si masturbano;
2. i giovani che hanno rapporti sessuali prima del matrimonio;
3. i coniugi che usano contraccettivi e pillole anticoncezionali;
4. i divorziati risposati.
… mentre tutto il resto sono faccende legate alla legge positiva umana.
E quando Cristo tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, non giudicherà:
1. gli adolescenti che colti da tempeste ormonali si masturbano;
2. i giovani che hanno rapporti sessuali prima del matrimonio;
3. i coniugi che usano contraccettivi e pillole anticoncezionali;
4. i divorziati risposati.
E tanto meno, Dominiddio, si farà tenere la contabilità delle anime da spedire all’Inferno da coloro che hanno sfruttato il prossimo, che si sono arricchiti sui bisogni altrui, che hanno umiliato e sottopagato i lavoratori e costretto alla sofferenza e al disagio i loro figli e le loro intere famiglie, ai quali dubito conferirà il premio della beatitudine essendo essi venuti solamente meno ad alcune “quisquilie” legate puramente alla legge positiva umana.
Le ricordo che i peccati capitali sono sette, ed al primo posto, come regina e auriga di tutti i vizi capitali, non c’è la lussuria, ma c’è la superbia, da sempre considerato il peggiore, il più temibile tra i peccati capitali, il più difficile in assoluto da guarire.
Se lei si prende cura di studiarsi i trattati di morale ma soprattutto la letteratura dei Santi Padri della Chiesa, apprenderà e scoprirà che è la superbia a rendere totalmente ciechi, non la lussuria. E’ altresì noto e risaputo da sempre che è molto più facile recuperare un lussurioso che un superbo.
Per questo è difficile recuperare lei, Sig. Bazzorini, perché “purtroppo”, lei, non è un lussurioso.
Consiglio non richiesto: se non riesce a far tesoro di quel che padre Ariel le ha detto e spiegato, almeno ci rifletta con cura.
Lei mostra livore, sprezzo e odio in ogni sua riga. Non è, questo, un giudizio temerario nei confronti suoi, ma solo una presa d’atto basata su ciò che lei scrive.
Lasci stare i divorziati risposati e le loro situazioni di irregolarità e di peccato, perché il suo manifesto peccato di odio, riversato a piene mani sul Papa e su due degni sacerdoti come Cavalcoli e Levi di Gualdo, è peggiore di qualsiasi adulterio. Lei palesa in pubblico peccati più gravi dell’adulterio, pur vantando di fare battaglie contro il peccato altrui.
Ma da un confessore lei c’è mai andato?
padre Andrea
Perchè allarga il discorso ad altri peccati che io non ho preso in considerazione in quanto ho risposto solo ed unicamente a ciò da lei richiestomi, vale a dire “Non pagare le tasse”?
Cosa è questa, la sua nuova tattica dialettica? Perchè lei vuole che il “pagamento delle tasse” sia elevato a dogma di fede? Cosa c’entra il “pagamento delle tasse” con il “vivere da fratello e sorella”? Dovrebbe sapere che il “vivere da fratello e sorella” riguarda la natura umana così come è stata decretata da Dio e quindi è legge Divina immodificabile, le risulta che il pagamento delle tasse rientri tra gli aspetti costitutivi della natura umana?
Sig. Bazzorini.
Anzitutto, lei si è messo a disquisire con commenti a un mio articolo nel quale io sollevo una fantastica quaestio dogmatica, giocata su quella che i greci chiamavano iperbole. Pertanto è ovvio, che trattassi il tema delle tasse, fa strutturalmente parte dell’articolo in questione.
Le confermo che il suo anziano teologo non conosce, oltre alla teologia, neppure il Catechismo della Chiesa Cattolica, le spiego perché:
«Non rubare» con tutto ciò che questo comando imperativo comporta sul piano della dottrina della fede, è un comando dato da Dio, a meno che, trattandosi di soldi, lei e il suo teologo non concordiate che il Patriarca Mosè, quando s’è trattato di scrivere «non desiderare la donna d’altri» o «non commettere adulterio», ha capito bene, mentre quando il Creatore gli ha detto «non rubare», ha capito male.
La questio è pertanto semplice: nel Decalogo, vi sono comandi imperativi legati alla legge divina e comandi riconducibili invece solo alla legge umana?
Peraltro, nel mio articolo, io faccio un riferimento preciso alle tasse, cosa che può comportare in sé e di per sé, moralmente parlando, un rubare peggiore di altri generi di furti. Infatti, chi non paga le tasse, non è che sottrae i soldi allo Stato, od ai politici brutti, sporchi e cattivi … no, no! Chi non paga le tasse deruba la collettività nazionale intera. Con buona pace degli evasori – leggasi ladri – che si giustificano dando a credere che loro, non pagando le tasse, non danno soldi allo Stato, o ai politici.
Anche a me fanno molto ridere certe espressioni dei suoi articoli, caro P. Ariel. Grazie perché ci aiuta a riflettere e a tenere il baricentro dritto, un grazie sincero!
Manuel
Ecco che cosa è accaduto …
… mia madre (maledetto il giorno che le ho insegnato a usare internet e che per il suo compleanno le ho regalo un ipad!), appena terminata la Messa si è precipitata in sacrestia. Mia madre, tu l’hai conosciuta, è una donna semplice, una napoletana del popolo tutta cuore, con un cervello che funziona a economia, per evitare che si consumi troppo.
E questa mattina aveva la faccia sconvolta come quando mi venne a dire: “Si è dimesso il papa!”.
Poi, dopo, le chiesi scusa, ma, sul momento, arrabbiatissimo, le risposi: “possibile che tu non ne capisca mai una giusta?”.
E con la solita faccia di quel 2013 mi dice (questa volta con l’ipad acceso in mano): “il tuo amico, padre Ariel, ha dichiarato un nuovo dogma di fede”.
… “dammi qua!”. E le ho strappato l’ipad di mano.
Quando mi sono messo a leggere e a ridere, e a ridere, e a ridere … mia madre ha detto: “ma allora è un dogma scherzoso?”.
Le ho risposto: “Mamma, è scherzoso, ma credimi, è geniale, veramente geniale”.
Con un figlio prete come te, la mia povera mamma, che da anni è ormai in paradiso, avrebbe riso persino quando ormai, sofferente per la malattia fisica, recitava il rosario.
Ma hai detto tutto quello che andava detto “è scherzoso ma veramente geniale”.
Hai ragione, veramente geniale.
Premesso: quando leggo certi articoli, spero anzitutto di trovare un commento di don Ciro.
E premesso questo vi dico solidale e concorde: un indubbio colpo di genio, dinanzi al quale le possibilità non sono molte: o tacere, o andare a spaccarsi la testa sul muro.
Cari Confratelli,
grazie per i vostri eccessi di generosità.
Ciò che don Ciro non vi ha raccontato è il fatto che sua madre è tale e quale a lui, nel senso che è una fabbrica inesauribile di battute ad alto concentrato di umorismo.
Ciò che ricordo e che adesso condivido con voi, fu quella mattina del fatidico febbraio 2013, in cui anch’io ricevetti una telefonata da mia madre. Avevo appena accompagnato Jorge, il mio collaboratore, davanti ai cancelli della Lateranense, dove zelante e soprattutto penitente il giovane stava ultimando gli studi teologici, per poi uscire da quel cancello e non rientrarvi mai più.
Rispondo in macchina (ovviamente in viva-voce!) a mia madre, che senza dirmi ne buongiorno ne altro, mi intima: «Dove sei?». Domanda peraltro non da lei, che mai si permetterebbe di domandarmi dove sono, o meno che mai che cosa sto facendo …
«sono in macchina».
Ribatte lei: «allora prova ad accendere la radio, qualsiasi, perché tanto ne stanno parlando tutti, radio, televisioni …»
Domando: «Va bene, ma dimmi che cosa è successo»?
E lei: «Si è dimesso Benedetto XVI».
Rimango un attimo ammutolito e le rispondo: «Dimmi un po’, dopo tanti anni che hai smesso, per caso hai ricominciato a fumare, buttandoti direttamente al crack anziché alle sigarette?».
Non dimenticherò mai quella telefonata dietro a San Giovanni in Laterano, quando nel febbraio del 2013 detti della drogata a mia madre.
Io ero invece in montagna con gli scouts, quando mi telefonò mia madre concitata, annunciandomi il fatto. Siccome mia madre soffre di un brutto diabete, in tono perentorio le dissi: misurati immediatamente la glicemia!
Ecco, io credo che se ci mettiamo a fare un’indagine, scopriamo chissà quanti preti che, raggiunti dalle loro madri per telefono, hanno dato alle poverette più o meno delle allucinate.
Rev.mo e caro Ariel.
So di poter contare sulla Tua riservatezza e su quella dell’insigne teologo domenicano Padre Giovanni Cavalcoli.
Non è un mistero che i Vostri scritti abbiano circolato nell’aula durante l’ultimo Sinodo sulla famiglia, in particolare l’intervista riportata su Avvenire di Padre Cavalcoli, e non è un mistero che, per diversi di noi Padri sinodali, siano stati anche spunto di serie e di profonde riflessioni.
Puoi stare certo (ma questo lo sai!) che nessuno ti chiamerà a dar conto alla Congregazione per la dottrina della fede, in specie per ciò che, in modo sapiente, hai scritto in quest’ultimo articolo.
Il Padre Cavalcoli, e Tu stesso, avreste dovuto essere in quella nostra assemblea, forse più e forse meglio di altre persone invitate …
Puoi, se Vuoi, pubblicare questo mio commento. Non che io abbia problemi a firmarlo, ma Ti chiedo di omettere il mio nome per un solo motivo: evitare che esso possa essere unicamente oggetto di inutili polemiche, rigorosamente fuori contesto e fuori tema, che non servono assolutamente a niente, perché non servono a capire e non servono a chiarire.
Ti benedico di cuore.
E chi sono i “duri di cuore” secondo San Paolo? Lei, come bergoglio, hanno scambiato i “duri di cuore” con quelli che rispettano e seguono i Comandamenti di Dio ed avete “sdoganato” i peccatori che i Comandamenti di Dio li tragrediscono. E’ un’inversione diabolica per cui chiamate “farisei” coloro che seguono la Legge di Dio.
Sig. Bazzorini.
Lei si ostina a lanciare invettive, ma al tempo stesso si ostina a non rispondere assolutamente alla questione teologica ben precisa che in questo articolo è stata sollevata: lei, riconosce che «pagare le tasse allo Stato», è un dogma di fede, in quanto legge divina perenne e immutabile enunciata personalmente dal Verbo di Dio Incarnato?
A questo deve rispondere, se vuole interloquire: deve rispondere a questa precisa questione di alta teologia dogmatica.
Grazie!
“Pagare le tasse allo stato” non solo non è un dogma di fede ma attualmente è ingiusto pagarle in quanto sono enormemente elevate e stanno distruggendo l’economia per un piano studiato a tavolino dalla massoneria e dai banchieri centrali in favore della finanza internazionale guidati da ebrei come lei.
Sig. Bazzorini.
Prendiamo atto, a conclusione di quanto ella ha scritto, che Cristo si è sbagliato, ed ha dato un comando iniquo poi riportato nel Vangelo [Mt 22, 15-22]
Cristo non si è sbagliato ma ora Cesare stà prendendo molto di più di ciò che gli è dovuto, Chiaro ora?
Mi scusi …
Lei mi sta forse dicendo che l’attuale Cesare è peggio di quello che ieri, nella Giudea, condannava alla fustigazione chi non pagava le tasse, o che a scopo persuasivo condannava alla crocifissione gli evasori per far capire a tutti gli altri che era bene non pensassero neppure di non versare tributi a Cesare? E le risulta forse che l’attuale Cesare, a coloro che non pagano i tributi, tolga i figli e le figlie per venderli al mercato degli schiavi come risarcimento per i tributi non pagati?
Sig. Bazzorini, se lei non fosse ridicolo, sarebbe veramente comico.
ed inoltre veda di non fare il “furbo” visto che dovrebbe sapere meglio di mè che i dogmi di fede sono fondati su Verità Divine e Leggi Divine e non su leggi umane come può essere quella di pagare le tasse.
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A chiusura di discussione: la Redazione dell’Isola di Patmos prende atto che il Verbo di Dio non aveva chiara la distinzione tra leggi divine e leggi umane. Pertanto, ciò che della Sua parola ci fa comodo è “legge divina”, ciò che invece non ci fa comodo è “legge umana”.
Caro il mio dottore della legge Gianluca Bazzorini, uno dei comandamenti è non rubare, e se qualcuno non paga le tasse ruba, allo Stato e a chi le tasse non può evaderle, e questo lo dice un imprenditore (ho un’azienda di famiglia) non un dipendente in preda al rosico.
Purtroppo lei, da buon dottore della legge, si occupa del peccato della mutanda, ma è disposto ad accondiscendere verso peccati ben più gravi contro il prossimo e contro la Carità di due persone adulte e consenzienti che fanno l’amore.
Bene ha fatto padre Ariel a mettere alla berlina lei e quelli come lei. La cosa divertente è che magari sareste disposti, mentre giustificate il non pagare le tasse (che è la violazione del comandamento non rubare) a schierarvi a favore di persone di questo tipo http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2014/06/23/ARVJQIs-convivere_novarese_uccidere.shtml
Di gente come voi si può solo avere compassione.
Saluti.
Buona giornata.
Un articolo da applausi.
Grazie
Guardi come ha ridotto il suo cervello la pratica sessuale che lei attivamente compie e che l’ha portata a scrivere tutte queste scemenze ed eresie in merito alla “norma” che per “sua bontà” e quella del Cavalcoli chiamate “norma ecclesiastica” riferita al “fratello e sorella”. Ma lei lo sà che San Paolo cita i “fornicatori” quali una delle categorie che non entreranno nel Regno dei Cieli e secondo lei, perchè i divorziati risposati devono vivere, da quella che lei in modo blasfemo irride, da “fratello e sorella” se non per evitare di entrare tra i “fornicatori”?
E secondo San Paolo, i duri di cuore chiusi alla grazia di Dio e sprezzanti la carità cristiana, entreranno invece nel Regno dei Cieli?
Volevo solo esprimere il fatto che mi trovo a ridere di gusto sulle mie miserie leggendo i testi di padre Ariel .
Posso solo dire che ho sbagliato nel poter giudicare questioni teologiche da profano. Mi accorgo di saperne molto poco per non dire niente. Così le sue sferzate mi fanno ridere ed il ridere mi fa molto bene perché é come vedere sorridere il Signore sui miei limiti.
Mi viene voglia di abbracciarvi (io giocherei allegramente a pallone con voi) e vi invito a continuare a prenderci a legnate per il nostro bene!
Con viva stima
Alessandro