Alle esequie funebri di Benedetto XVI poteva mancare il “prete ideologo” che nega la Comunione a un fedele che si inginocchia respingendolo?

ALLE ESEQUIE FUNEBRI DI BENEDETTO XVI POTEVA MANCARE IL “PRETE IDEOLOGO” CHE NEGA LA COMUNIONE A UN FEDELE CHE SI INGINOCCHIA RESPINGENDOLO? 

In un mondo che si inginocchia dinanzi a tutti i peggiori idoli, non sia mai che qualcuno osi inginocchiarsi dinanzi al Santissimo Corpo di Cristo, perché è un autentico affronto!

— Pastorale Liturgica —

 

 

Autore
Redazione de L’Isola di Patmos

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No, il “prete ideologo” non può mancare mai, specie nelle occasioni più particolari e delicate. Cosa poteva esserci di meglio da fare che negare a un fedele la Santa Comunione per avere osato inginocchiarsi dinanzi alla Santissima Eucaristia? Il tutto al funerale di Benedetto XVI che durante i suoi pontificali amministrava all’altare della confessione la Santa Comunione all’inginocchiatoio porgendola alla bocca. Questo presbitero, oltre a non conoscere la differenza abissale che corre tra un “prete povero” e un “povero prete”, appartiene forse alla cordata di quelli che pensano «Il carnevale è finito»? Qualcuno voleva una «Chiesa povera» e siamo finiti alla povera Chiesa! Qualcuno si ricordi questa piazza gremita, perché forse sarà l’ultima.

 

dall’Isola di Patmos, 5 gennaio 2023

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I Padri dell’Isola di Patmos

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Quando nel 2017 scrissi con sei anni di anticipo sulla morte e il funerale del Sommo Pontefice Benedetto XVI

QUANDO NEL 2017 SCRISSI CON SEI ANNI DI ANTICIPO SULLA MORTE E IL FUNERALE DEL SOMMO PONTEFICE BENEDETTO XVI 

Non mi ritengo affatto un profeta, anche se in quel mio scritto del 2017 uso con il virgolettato questa parola. Penso di essere semplicemente dotato di quel sufficiente buon senso che esercito attraverso quello spirito critico e analitico che nella Chiesa delle grandi aperture e delle grandi includenze è giudicato oggi come fumo agli occhi.

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

 

Il 31 dicembre dell’anno 2022 appena concluso sono stato toccato dalla morte del rinunciatario Sommo Pontefice, per altro verso ho riso quando un Tale ha compiuto la ennesima razzia su miei scritti e libri, sui quali compie rapine dal 2015, riproponendo miei concetti come sue idee originali, il tutto dopo avere operato stravolgimenti. In questi giorni ha usato dei contenuti della seconda parte di un mio articolo del 2017 che oggi vi ripropongo, nel quale parlo della futura morte e del funerale di Benedetto XVI. Sorvolo con un comprensibile tocco di aristocratico snobismo sul poverello in questione, che dopo anni di rapine sulle mie opere non trova di meglio da fare che indicarmi come usurpatore del titolo di teologo e come roso da gelosia e invidia nei suoi confronti (!?). Non è il caso d’infierire, dalla vita e dalla Chiesa ha già avuto in severe punizioni tutto ciò che meritava.

Non mi ritengo affatto un profeta, anche se in quel mio scritto del 2017 uso con il virgolettato questa parola. Penso di essere semplicemente dotato di quel sufficiente buon senso che esercito attraverso quello spirito critico e analitico che nella Chiesa delle grandi aperture e delle grandi includenze è giudicato oggi come fumo agli occhi, specie dall’esercito di mediocri che al suo interno si atteggiano a stelle del firmamento.

dall’Isola di Patmos, 4 gennaio 2023

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___________  articolo del 19 ottobre 2017  _____________

ME LO IMPONE L’OSSEQUIO ALLA VERITÀ: «LA PETIZIONE A FAVORE DI AMORIS LAETITIA È MOLTO PEGGIORE DELLA CORRECTIO FILIALIS CHE ACCUSA DI ERESIA IL SOMMO PONTEFICE». E IN APPENDICE: UNA PICCOLA PROFEZIA IN MORTE DI BENEDETTO XVI

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Giorno dietro giorno, il Sommo Pontefice Francesco si sta mostrando un genitore all’apice della propria irresponsabilità, ma non per questo cesserà mai di essere, nel bene come nel male, il nostro legittimo genitore. Pertanto, il figlio addolorato, può anche dire: «Mi sarebbe piaciuto avere un genitore diverso», ma sempre animato dalla piena consapevolezza che il suo genitore è quello. E come tale deve anche accettarlo e rispettarlo, sino ad accettare, con non poca sofferenza, il fatto che correggere e formare il genitore non è mai stato compito dei figli, mentre aiutare il genitore sì, questo è un vero e proprio dovere dei figli.  

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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PDF  articolo formato stampa

 

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«Nella Chiesa visibile voi siete ormai i presbiteri sopravvissuti di una Chiesa militante e salvifica che non esiste più, per questo potete definirvi dei paleo-presbìteri, in attesa di congiungervi alla Chiesa trionfante nella Gerusalemme celeste»

Jorge Facio Lince, Colloqui privati con Ariel S. Levi di Gualdo

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Nuova copertina per la prossima edizione de I miserabili, di Victor Hugo. Nella foto: il Sommo Pontefice Francesco I intervistato dal presbitero padovano Marco Pozza, degno figlio di … Frate Cipolla [cf. articolo QUI]

L’ambiguità del Santo Padre, il suo rifiuto a rispondere e chiarire, forse dovuto a una gabbia nella quale è stato chiuso o nella quale senza volere s’è lasciato chiudere [cfr. risposta a un lettore, QUI], equivale a un lancio dall’aereo senza paracadute. E dinanzi a simile lancio, non si può parlare di fine prevedibile, ma solo di fine certa.

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Provate a immaginare una di quelle famiglie numerose composta da due genitori e cinque figli in età compresa tra i cinque e i quindici anni, nella quale il padre e la madre non danno precise indicazioni e direttive su che cosa fare e cosa non fare, su quello che si deve fare e su quello che non si deve mai fare, su quello che è consentito e su quello che è proibito. E supponiamo che questi genitori, semmai anche facendo capire o indicando quel che non si deve fare e quel che è proibito fare, non indichino in alcun modo quella che sarebbe la giusta punizione data a chi trasgredisse il loro comando. Ebbene: che cosa accadrebbe?

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A questa domanda posso rispondere attraverso un’immagine eloquente, triste e umiliante nel suo squallore per la Chiesa di Cristo e per questo pontificato. Si tratta della foto che accompagna questo articolo, nella quale è ripreso il presbìtero Marco Pozza, cappellano del carcere di Padova, seduto dinanzi al Sommo Pontefice vestito come un giovanottino casual in scarpette da ginnastica [cfr. QUI].

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Per chiarire l’esempio scelto attraverso il quale parleremo poi di altro, bisogna ricordare che il Codice di Diritto Canonico stabilisce tutt’oggi:

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«I chierici portino un abito ecclesiastico decoroso secondo le norme emanate dalla Conferenza Episcopale e secondo le legittime consuetudini locali [can. 284]. I chierici si astengano del tutto da ciò che è sconveniente al proprio stato, secondo le disposizioni del diritto particolare [can. 285 §1]. Evitino ciò che, pur non essendo indecoroso, è alieno dallo stato clericale» [can. 285 §2].

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Citato il canone, conosciamo però anche la risposta di certi soggetti, che è più o meno questa: «Ma per piacere, non formalizziamoci! Ciò che solo conta sono la pace, l’amore, la misericordia, l’accoglienza. Non fossilizziamoci sulla dura e arida legge, roba da legalismi farisaici! Quel che importa è di stare vicini alle pecore, prenderne l’odore, puzzare di pecora come loro».

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E proprio dinanzi a risposte di questo genere è necessario ricordare che oltre a questo “arido” canone 284, privo sicuramente di pace, amore, misericordia, accoglienza e puzzo di pecore, esistono quarantotto anni di magistero pontificio nell’esercizio del quale, ben tre Predecessori del Pontefice regnante, uno dei quali canonizzato e l’altro beatificato ― forse sbagliando in nome della arida legge non misericordiosa né pecoreccia ―, sulla base di questo “arido” canone hanno fatto ripetuti richiami ai membri del clero secolare e regolare, ribadendo in tutti i modi che l’abito ecclesiastico, non è affatto un semplice accessorio del tutto inutile. E richiami in tal senso li fece il Beato Pontefice Paolo VI alla Catechesi nell’Udienza generale del 17 settembre 1969 [cfr. QUI], per seguire con la Allocuzione al Clero del 1° marzo 1973. Segue la lettera circolare Per venire incontro della Congregazione per i Vescovi a tutti i Rappresentanti Pontifici del 27 gennaio 1976. Per seguire con la Lettera Apostolica del Santo Pontefice Giovanni Paolo II, Novo incipiente, del 7 aprile 1979, rivolta ai sacerdoti in occasione del Giovedì Santo. Sempre sotto il pontificato del Santo Pontefice Giovanni Paolo II — canonizzato ma non ascoltato e tanto meno seguito — segue la Circolare della Congregazione per l’Educazione Cattolica del 6 gennaio 1980, ed appresso quella della Congregazione per il Clero in Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, paragrafo 66, Sull’obbligo dell’abito ecclesiastico, del 31 gennaio 1994. E ancora: l’8 settembre 1982 il Santo Pontefice Giovanni Paolo II scrisse una lettera al Vicario Generale per la Diocesi di Roma, pubblicata su L’Osservatore Romano il 18-19 ottobre 1982 — all’epoca in cui l’organo ufficiale della Santa Sede non parlava ancora di San Martin Lutero e della sua “riforma” —, ribadendo l’obbligo dell’abito ecclesiastico e stabilendo che nella sua Diocesi desiderava che i presbiteri portassero la veste talare [si invita a leggere il testo QUI]. Su questo argomento torna infine anche il Venerabile Pontefice Benedetto XVI con la sua locuzione rivolta alla riunione plenaria della Congregazione per il Clero il 16 marzo 2009 [cfr. QUI].  

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Premesso che noi rifuggiamo qualsiasi spirito di puro e arido formalismo, ogni buon cattolico valuti da sé stesso la indignitosa portata della pubblica immagine di un pretino fashion in abiti casual, che con le scarpette da ginnastica puntate sul pavimento intervista il Romano Pontefice, predecessore di tutti coloro che hanno raccomandato e ribadito al clero l’uso dell’abito ecclesiastico. Dalla stessa posa del prete chiunque può infatti dedurne che nei suoi lunghi anni di santissimo seminario, sicuramente teso già da allora a quel social-pecoreccio che oggi fa tanta tendenza, forse non ha mai appreso neppure i rudimenti della buona educazione, che non è formalismo, perché l’educazione rientra in uno stile di vita ecclesiale ed ecclesiastico legato ai più profondi elementi della spiritualità sacerdotale e del sacro ministero pastorale [rimando al mio articolo sui pretini trendy: «Non pigliateli sul serio, pigliateli per il culo» QUI].

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Se da una parte abbiamo cordate di critici che aggrediscono a volte in modo irrispettoso e persino violento il Sommo Pontefice per ogni suo sospiro, dall’altra ci piacerebbe che, i suoi strenui difensori, spesso non meno squilibrati, entrassero nell’ordine d’idee che il Santo Padre non è perfetto e che, proprio per la migliore tutela e salvaguardia del suo ruolo, bisogna all’occorrenza mettere in luce anche i suoi difetti, che non sono pochi e sovente producono anche danni [cfr. mio precedente articolo QUI]. In caso contrario si cade nello squilibrio totale dall’una e dall’altra parte, danneggiando, nell’uno e nell’altro caso, la Chiesa di Cristo, il Pontefice regnante e l’istituto del Papato.

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Pochi giorni fa, con decisa severità, ho criticato gli autori della Correctio filialis [cfr. testo, QUI] che hanno imputato al Pontefice regnante sette eresie espresse in modo più o meno diretto [cfr. precedente articolo QUI]. In quelle mie righe, in toni rasenti in alcuni passaggi quasi la “crudeltà”, ho duramente attaccato uno dei firmatari, Antonio Livi [cfr. precedente articolo QUI]. E l’ho attaccato perché anzitutto gli voglio molto bene, lo venero come presbitero anziano e lo considero sul piano filosofico e teologico l’ultimo grande esponente della gloriosa Scuola Romana.

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L’ossequio alla verità e l’onesta intellettuale, oggi mi impongono a maggior ragione di affermare che quella Correctio filialis è veramente niente, a confronto di un testo di difesa del Sommo Pontefice che snatura completamente il testo della Amoris laetitia, dando per scontate e spacciando all’opinione pubblica cattolica delle aperture mai scritte e delle permissioni mai date [vedere testo, QUI]. La Correctio filialis, sulla quale spicca per il gaudio dei rumorosi cattolici filo-lefebvriani la inopportuna firma del vescovo scismatico Bernard Fellay, Superiore generale della Fraternità Sacerdotale di San Pio X, che ricordiamo non è in comunione con Roma, malgrado le improvvide e unilaterali concessioni a loro fatte dal Sommo Pontefice Francesco, non è davvero niente, a confronto delle firme che compaiono alla fine del testo di questa sperticata difesa: quelle di molti eretici conclamati. Inclusi tra di essi due scomunicati: Martha Heizer, presidente della cosiddetta associazione di base Wir sind kirche [Noi siamo Chiesa], alla quale è stata comminata nel 2014 la scomunica, non dal Sommo Pontefice Benedetto XVI, ma dal Pontefice felicemente regnante. Scomunica estesa anche a suo marito Ehemann Gert [cfr. QUI, QUI]. E se questi sono alcuni dei firmatari della difesa, c’è di che essere inquietati [cfr. QUI].

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Proprio in virtù della severità usata pochi giorni fa, l’evolvere dei fatti mi obbliga a dire che mentre gli accusatori di ieri sono dei cattolici in errore, i difensori di oggi sono invece perlopiù eretici manifesti, incancreniti in una propria visione soggettiva di Chiesa Cattolica, non corrispondente alla Chiesa di Cristo, che con la scusa di Amoris laetitia e della pretestuosa difesa del Sommo Pontefice, tentano invece di difendere e di portare  avanti solo le loro pericolose eresie di sempre.

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Ho usato il paradigma dell’abito ecclesiastico e della penosa foto del casual pretino fashion dinanzi al Sommo Pontefice in condizioni indignitose per ribadire che Francesco è l’emblema del genitore diseducativo. È il paradigma del genitore che, una volta presa una decisione, dinanzi alle richieste di spiegazione del figlio, anziché rispondere, gli dice: «Vai a chiedere al vicino di casa, perché lui è un genitore esperto, ci penserà lui a darti la giusta interpretazione di ciò che volevo dire». Esattamente come l’Augusto Pontefice rispose quando incalzato dalle domande dei giornalisti li invitò a chiedere lumi al Cardinale Christoph von Schönborn. E voi capite bene che, se non ci fosse da piangere, ci sarebbe da ridere.

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Se un genitore non risponde al figlio, o non indica al figlio, assieme alla direttiva o al comando dato, anche la eventuale punizione nella quale incorrerebbe, rischia di ritrovarsi con un adolescente che gli torna a casa ubriaco e drogato alle tre di notte, consapevole che dall’altra parte non c’è un genitore misericordioso, accogliente e includente, ma un perfetto irresponsabile incapace ad assumersi le proprie responsabilità. Anzi peggio: persino capace, all’occorrenza, di prendersela con l’altro figlio adolescente che, consapevole della propria età e dei rischi che si possono correre, conduce una vita morigerata e non va a farsi di spinelli in giro per i bassifondi con persone ad alto rischio. E, detto questo, prego gli specialisti dell’uso a sproposito del Santo Vangelo e della sua peggiore adulterazione, di non azzardarsi a tirare in ballo la Parabola del figlio prodigo [cfr. Lc 15, 11-32], perché essa non insegna a prendere a legnate il figlio fedele e ad innalzare a modello il figlio dissoluto, affatto pentito e non disposto a correggersi. Anzi, avendo finito i soldi chiesti e dati in precedenza dal padre, il dissoluto torna da lui per chiedergli altri soldi e per poi tornare a dilapidarli con le prostitute. Perché questi sono i modelli che spesso, nella Chiesa contemporanea, sono fatti passare per il figliol prodigo, in sprezzo massimo a Cristo Signore ed al suo Santo Vangelo che insegnano tutt’altro.

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Giorno dietro giorno, il Sommo Pontefice Francesco si sta mostrando un genitore all’apice della propria irresponsabilità, ma non per questo cesserà mai di essere, nel bene come nel male, il nostro legittimo genitore. Pertanto, il figlio addolorato, può anche dire: «Mi sarebbe piaciuto avere un genitore diverso», ma sempre animato dalla piena consapevolezza che il suo genitore è quello. E come tale deve anche accettarlo e rispettarlo, sino ad accettare con non poca sofferenza che correggere e formare il genitore non è mai stato compito dei figli, mentre aiutare il genitore si, questo è un vero e proprio dovere dei figli.

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Offro infine una piccola “profezia” al termine di questo mio commento, intitolata: In morte del Sommo Pontefice Benedetto XVI. Cosa che potrebbe suonare come una caduta di stile inverosimile, se non spiegata a dovere. E la mia piccola “profezia” è questa: il Santo Padre Benedetto XVI, seppure acciaccato per comprensibili questioni di età, sebbene sempre perfettamente lucido, a novant’anni suonati si sta avviando verso la fine naturale della sua esistenza, che potrebbe avvenire da un giorno all’altro. Se infatti tutti, sin dalla nascita, inclusi infanti, bambini e giovani, possono essere còlti in qualsiasi momento dalla morte, a maggior ragione lo è un novantenne.

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Premesso che le nostre chiese sono sempre più vuote, che i cameramen del Centro Televisivo Vaticano e di Sat2000 non sanno più da quale angolo inquadrare una piazza San Pietro sempre più deserta, cercando di farla apparire più o meno piena di fedeli … ebbene, ciò premesso vi dico: il giorno che saranno celebrate le esequie funebri del Sommo Pontefice Benedetto XVI, predecessore del Pontefice regnante, il Popolo di Dio regalerà l’ultima piazza stracolma della storia della Chiesa universale. E quella piazza stracolma, come poi mai più la si vedrà in futuro, sarà il segno e al contempo il giudizio dato dal Popolo di Dio sul pontificato di un Sommo Pontefice che ha ricevuto ed elargito sorrisi e parole a tutti, persino a un figlio di Lucifero come Marco Pannella, a una abortista indomita e impenitente come Emma Bonino, a un lupo oggi mascherato da agnello come Eugenio Scalfari [cfr. Giovanni Cavalcoli, QUI]. Ha ricevuto in udienza e ha abbracciato i peggiori dittatorelli dell’America Latina, che con gran caduta di stile lo hanno trattato a pacche sulle spalle e abbracci attorno al suo girovita; usando poi queste immagini nei propri Paesi per far credere al popolo Boliviano o al popolo Venezuelano che il Sommo Pontefice era dalla parte loro, cosa ovviamente falsa, totalmente falsa! Ma purtroppo, certe immagini, a livello mediatico hanno degli impatti devastanti, con buona pace dei guru delle comunicazioni come Padre Antonio Spadaro e Mons. Dario Edoardo Viganò, la prudenza dei quali è forse equiparabile a quella di chi li ha scelti ed eletti a certi delicati uffici.

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Per tutti il Sommo Pontefice Francesco ha avuto sorrisi e risposte, meno che per i suoi devoti fratelli nell’episcopato, come i quattro Cardinali che in tono molto rispettoso gli chiesero una risposta, attraverso la forma ecclesiale dei cosiddetti Dubia.

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Questo è ciò che accadrà alla morte del Sommo Pontefice Benedetto XVI. A meno che certi clericali luciferini, intuendo anch’essi che la piazza non si può controllare e che una piazza gremita stretta attorno al feretro del 265° Successore di Pietro, sarebbe un visibile giudizio clamoroso su questo pontificato caratterizzato da interviste rilasciate a giornali laici di grande tradizione anticlericale, ma al tempo stesso caratterizzato da piazze e chiese sempre più vuote, “parino il danno d’immagine” imponendo la celebrazione delle esequie funebri in forma privata. Semmai inventandosi — perché in quanto ad essere bugiardi non li batte nessuno —, che il Sommo Pontefice Benedetto XVI aveva lasciata disposizione che le sue esequie funebri fossero celebrate in forma privata. 

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Sono stati versati fiumi d’inchiostri sul Venerabile Pontefice Benedetto XVI che ha rinunciato al ministero petrino ritirandosi a vita privata, ma nessuno ha valutato ancora la sua “terribile pericolosità” da morto, dinanzi ad una piazza gremita come mai, con un esercito di cattolici polacchi capaci a raggiungere Roma — come tra l’altro hanno più volte fatto —, anche a piedi e con l’autostop, per essere presenti alla definitiva sepoltura del pontificato di San Giovanni Paolo II, canonizzato, ma non ascoltato e  non seguito. E quella piazza gremita come mai, sarebbe un giudizio sul pontificato del Santo Padre Benedetto XVI, odiato dalla peggiore intellighenzia teologica catto-luterana, ma amato dai fedeli cattolici. Però, quella piazza gremita, sarebbe anche un giudizio terribile sul pontificato del suo Successore, che da una parte ha elargito sorrisi a Marco Pannella e ad Emma Bonino, interviste ad Eugenio Scalfari ed abbracci ad arcivescove lesbiche luterane rivestite delle insegne sacerdotali, ed al tempo stesso inaugurando l’èra di un pontificato con le chiese romane sempre più vuote e la Piazza San Pietro sempre più deserta, mentre due suoi devoti cardinali morivano dopo avere servita devotamente la Chiesa per tutta la vita ed avere confermata devozione in tutti i modi all’Augusto Pontefice, ma lui — il misericordioso —, non si è degnato di riceverli e di rispondergli. Forse non li ha ricevuti e non gli ha risposto perché era troppo impegnato a salutare l’arrivo di orde di giovanottoni in perfetta salute fisica, tutt’altro che fuggiti dalla fame e dalle guerre, tutti in fascia d’età molto al di sotto dei trent’anni, ad assoluta maggioranza musulmani, che si sono lanciati nella colonizzazione della morente Europa ormai scristianizzata foraggiati dai fondi dell’Arabia Saudita e del Qatar, ma pur malgrado chiamati in modo stolto e imprudente con tutt’altro nome: profughi. Il tutto dopo avere dimostrato di saper leggere e di saper scandire bene due sole parole latine: jus soli

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E chi vivrà, vedrà, il giorno in cui seppelliremo il suo Venerabile Predecessore Benedetto XVI, se non decideranno di evitare il grosso problema facendogli un funerale zitti, zitti …

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Dall’Isola di Patmos, 19 ottobre 2017

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The Marco Pozza’s show

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Ecco un altro prete che purtroppo non ha capito che i giovani in modo del tutto particolare, i Sacerdoti di Cristo non li vogliono conciati così, a fare i divetti di bassa lega in jeans davanti all’altare, lo dimostrano le chiese nelle quali costoro parlano, dove in platea, più che i giovani, ci sono solo vecchi sessantottini ormai settantenni, con l’artrite reumatoide, rimasti con le loro chitarrine in mano a cantare Dio e morto di Francesco Guccini, sempre paralizzati nel “vietato vietare” e nella dolce icona del “Cristo-Che Guevara“. Ma che alla loro sciatteria, desse corda e credito il Sommo Pontefice e la miseranda televisione della Conferenza Episcopale Italiana, questo non ce lo saremmo aspettato …

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In morte di Benedetto XVI che iniziò il ministero petrino dicendo: «Pregate per me perché io non fugga per paura davanti ai lupi»

IN MORTE DI BENEDETTO XVI CHE INIZIÒ IL MINISTERO PETRINO DICENDO: «PREGATE PER ME PERCHÉ IO NON FUGGA PER PAURA DAVANTI AI LUPI»

Tra le tante cose che in queste ore si stanno dicendo su Joseph Ratzinger, la più vera e lusinghiera reputo sia questa: «Ha servito la Chiesa ma non si è servito di Essa».

— Attualità ecclesiale —

                   Autore
        Ivano Liguori, Ofm. Capp..

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PDF  articolo formato stampa

 

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Sui mass media si stanno moltiplicando in questi giorni ― e seguiteranno a moltiplicarsi nei prossimi giorni ― commenti di personaggi e personalità, assieme a un esercito di personaggi in cerca d’autore, che non conoscono i fondamenti del Cattolicesimo, la sua ecclesiologia, la sua specifica liturgia e il suo diritto interno. Parlare infatti del «funerale del Papa» è un’espressione per così dire puramente popolare. E questo da sempre, non solo nel caso di Benedetto XVI. Alla morte del Romano Pontefice non si celebra il funerale del Papa ma di colui che lo è stato. In passato, dopo la morte, avveniva il cosiddetto “rito del martello”. Il decano del Collegio Cardinalizio batteva tre colpi sulla fronte del defunto con un martelletto pronunciando la frase «Vere Papa mortuus est» (il Papa è veramente morto). Poi lo chiamava non più con il nome assunto alla sua elezione al sacro soglio, ma con il suo nome di battesimo. Cosa questa che ha un suo significato molto profondo: il pontificato cessa con la morte, non sopravvive a essa.

Benedetto XVI, il Sommo Pontefice che amava i gatti

Il rito del martelletto fu compiuto l’ultima volta nel 1922 alla morte di Benedetto XV. In seguito, quando nel 1939 morì Pio XI, l’allora decano del Collegio Cardinalizio Eugenio Pacelli, che diverrà suo successore col nome di Pio XII, non utilizzò il martelletto, rito che da quel momento è caduto in disuso. È comunque bene chiarire in questa occasione che da sempre celebriamo le esequie di colui che è stato Romano Pontefice, che cessa di essere tale al momento della morte per tornare l’uomo che era prima dell’elezione. Mentre infatti un episcopo e un presbitero rimangono tali in eterno, in virtù del Sacramento indelebile che hanno ricevuto e che valica quindi la morte stessa, il Romano Pontefice, che la sua potestas l’ha invece ricevuta per via giuridica e non per via sacramentale [cfr. QUI], cessa di essere tale con la morte, per questo è chiamato con il nome di battesimo. Quello di Benedetto XVI è un caso ancora più particolare, perché ha cessato di essere il Romano Pontefice 10 anni fa, con il suo libero, legittimo e valido atto di rinuncia al ministero petrino.

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Tra le tante cose che in queste ore si stanno dicendo su Joseph Ratzinger, la più vera e lusinghiera reputo sia questa: «Ha servito la Chiesa ma non si è servito di Essa». Ha servito la Chiesa veramente ― «un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore» ― come ebbe a dire di sé stesso il 19 aprile 2005 subito dopo la sua elezione al soglio del Principe degli Apostoli. Poi pochi giorni dopo, il 24 aprile, durante la Santa Messa per l’inizio del ministero petrino pronunciò nell’omelia una frase che solo diversi anni dopo abbiamo compreso, anche se tutt’oggi resta da comprenderne il vero significato fino in fondo: «Pregate per me perché io non fugga per paura davanti ai lupi» [cfr. QUI].

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Questo servizio non ha avuto alternanze ma è stato costante: sia come Pontefice che come cardinale e vescovo e ancor prima come sacerdote; sia come teologo che come studioso del mistero di Dio che ha sempre amato, indagato e difeso nel suo compito di Prefetto alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Il consenso unanime e intellettualmente onesto di coloro che lo hanno conosciuto personalmente ― alcuni dei quali non credenti o smaccatamente non cattolici ― orienta il cuore dei fedeli cristiani verso questa valutazione di merito, lasciando pertanto a Dio le immancabili fragilità di un uomo che ha commesso sì degli errori proprio a causa di quelle altezze di dignità alle quali fu sottoposto, così come già vediamo presenti nella vita del beato apostolo Simon Pietro.

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Dopo il grande e impetuoso Giovanni Paolo II, il Signore ha scelto un pastore mite ― forse troppo mite per il momento storico a cui venne chiamato a ricoprire l’ufficio petrino ― ma che non ha mai abdicato la ricerca della Verità che prima di essere una via speculativa rappresenta una persona vera e concreta, è Gesù Cristo, il Figlio di Dio, vero Dio e vero uomo, Salvatore del mondo.

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Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, è stato il ministro della Verità intesa come persona di Cristo, merce molto rara di questi tempi tra il clero “alto” e “basso”. Una verità che è stata affermata anche quando questa appariva scomoda per la Chiesa Cattolica, detta soprattutto quando poteva scandalizzare qualcuno e si rischiava di perdere seguaci: il «volete andarvene anche voi?» [Gv 6,67] è ancora valido oggi, rispetto al «Todos caballeros»?

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Una verità detta veramente con parresia anche quando questo avrebbe comportato il martirio e la persecuzione, soprattutto quando era necessario intraprendere una via di guarigione fatta di tanto purgatorio che avrebbe interessato da vicino sia i sacerdoti che i religiosi e gli alti prelati i cui scandali e vite in dissonanza con il Vangelo non potevano più essere tollerati e misericordiati buonisticamente, se non con il fermo proposito di un serio rinnovamento di vita e di ritorno alla conversione, fermo restando la doverosa riparazione davanti al mondo e davanti a Dio.

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Il valore e lo spessore di Benedetto XVI è essenzialmente questo e poco c’è altro da aggiungere: è lo spessore della Verità ed è giusto oggi ricordarlo a tutti, dirlo a noi sacerdoti, scolpirlo nella mente dei fedeli, in un momento ecclesiale di estrema fragilità in cui le febbri ternane della papolatria hanno interessato molti e dove in queste ore si assiste vomitevolmente alla fiera dei selfie con il defunto Pontefice nell’aspettativa di guadagnare ancora qualche punto fedeltà o di carriera.

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I social brulicano di reazioni circa la sua morte, diventando i bacini sociali estremamente rivelativi di quello spessore fatuo e incongruente dell’uomo moderno e del clero moderno. Ci si alterna in lodi sperticate proferite dai personaggi più improbabili che hanno voluto seguire la convenienza del momento abbandonando Joseph Ratzinger quando non era più utile per raggiungere i propri interessi personali. Si è passati dalla cappamagna ai migranti, dalle croci pettorali in oro a quelle in legno dei barconi, dalla nobile semplicità e sobrietà della liturgia alla sciatteria disadorna dei pionieri del nuovo culto inclusivo dimentico di Dio, dall’austero ordine architettonico di Piazza San Pietro alle deiezioni tra le colonne del Bernini di una Chiesa povera e basta.  

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Assistiamo al contempo alla danza delle iene, ad alcuni che godono di soddisfazione patologica per la sua morte ― spesso gli stessi che difendono i diritti e l’inclusività ― e che ora si scagliano sulla memoria del Pontefice percepito fin da subito e senza appello come il “nemico numero uno” da abbattere. Da abbattere sì, così come si devono abbattere le verità scomode che ci tengono svegli la notte, così come vediamo fare al demonio con Gesù in quel di Cafarnao: «Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!» [cfr. Lc 4,31-37].

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Oggi cancellare sistematicamente la Verità e le verità è divenuto il nuovo mantra della intellighenzia dominante, di coloro che si definiscono custodi della sapienza umana e che con il Papa teologo avrebbero dovuto saper dialogare e cercare affannosamente l’incontro con la Verità ma non l’hanno fatto. Si è preferito in quel giovedì 17 gennaio 2008 rigettare il tutto: «basta! che vuoi da noi, sei venuto a rovinarci?» Un’occasione per poter partorire la Verità nella pluriformità delle posizioni di pensiero, trasformata invece in ideologia al grido di #NOVAT all’Università La Sapienza. A distanza di dodici anni molti di quegli orgogliosi e titolati dissidenti della verità hanno fatto carriera e si godono il prestigioso e glitterato successo umano, cosa che l’umile non desidera e che non cerca perché sa bene che «Vanitas vanitatum et omnia vanitas».

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Misteriosamente Dio rivela e sfida le concezioni dominanti presenti nel mondo attraverso i semplici e gli umili lavoratori della sua vigna. Joseph Ratzinger lo è stato, un Papa che ha incarnato quel «semeion antilegomenon» del Vangelo di Luca, cioè quel segno messo lì da Dio e che molti hanno rifiutato. Solo chi ha avuto la sapienza del cuore ha rettamente inteso, capito e ora vive il tempo del silenzio. Viviamo questi giorni nella preghiera per Papa Benedetto XVI, per la Chiesa, per l’attuale Pontefice Francesco. Fatti come questi sono estremamente rari e sarebbe da stolti etichettarli al di fuori di una visione di Provvidenza divina e di sapienza non immediatamente comprensibile. Lasciamo ad altri la letteratura fantasy e le anfibologie su Benedetto XVI. A noi interessa la sua persona, il suo esempio, il suo ministero che oggi è più eloquente da morto che da vivo e che forse avrà ancora il merito di riportare molti cuori dei figli verso i padri. Tutto il resto, in bene e in male, in grandezze e limiti, in pregi e difetti lo giudicherà la storia in modo freddo e imparziale, al momento che sarà e quando sarà, se sarà …

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Laconi, 2 gennaio 2023

 

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