Quando durante la Santa Messa Padre Ariel fracassò una chitarra sulla colonna della navata di una chiesa parrocchiale

QUANDO DURANTE LA SANTA MESSA PADRE ARIEL FRACASSÒ UNA CHITARRA SULLA COLONNA DELLA NAVATA DI UNA CHIESA PARROCCHIALE

Quando si reca in posti che non conosce, preferisce avere vicino un poliziotto che possa eventualmente bloccarlo, “privilegio” questo concesso di motu proprio a me, povero disgraziato che non sono altro! Semplice il motivo: reggere una tigre del Bengala è più facile e meno pericoloso che reggere lui.

— Storie mai scritte —

Autore:
Jorge Facio Lince
Presidente delle Edizioni L’Isola di Patmos

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Sono 12 anni che vivo e lavoro a stretto contatto con lui, sono quindi un archivio vivente delle gesta di Padre Ariel S. Levi di Gualdo. Naturalmente, quando si è mansueti, non si narrano le proprie gesta più belle, per questioni di mansuetudine. Temo che un giorno dovrò rendere conto a Dio per avere evitato la realizzazione di varie prodezze non belle, ma bellissime. E chissà che castigo dovrò subire per questo, quando mi troverò dinanzi al giudizio di Dio, avendo impedito la realizzazione di certi colpi di genio.

 

Caratteristica di Padre Ariel è di spiazzarti con cose che non ti aspetteresti mai. Per questo, quando esordisce con certe perfomance, sempre e di rigore improvvise e inaspettate, le persone non riescono neppure a reagire sul momento, perché hanno bisogno di entrare nell’ordine di idee che quanto accaduto è vero, che è proprio accaduto realmente.

 

Mese di maggio 2010, un confratello di Padre Ariel, colombiano, mentre stava facendo il dottorato in sacra liturgia in una pontificia università romana svolgeva il ministero di secondo vice-parroco in una parrocchia che non nomino, presso una diocesi suburbicaria di Roma che non nomino. Avendo deciso di recarsi in pellegrinaggio a Fatima e soggiornare in Portogallo alcuni giorni, chiama Padre Ariel e gli chiede se può sostituirlo per la Santa Messa vespertina del sabato e per quella della domenica mattina. Lui accetta subito, anche per il profondo legame fraterno e affettivo che nutre verso quel sacerdote, che fu cerimoniere alla sua ordinazione sacerdotale.

 

Come solitamente fa, mi chiede se posso accompagnarlo e svolgere il servizio di accolito, non potendo ammettere che quando si reca in posti che non conosce, preferisce avere vicino un poliziotto che possa eventualmente bloccarlo, “privilegio” questo concesso di motu proprio a me, povero disgraziato che non sono altro! Semplice il motivo: reggere una tigre del Bengala è più facile e meno pericoloso che reggere lui.

 

Contro le chitarre Padre Ariel non ha niente, perché la chitarra, se suonata bene, da professionisti e musicisti, può essere uno splendido strumento liturgico. Più volte abbiamo udito chitarristi eseguire con la chitarra arie di J.S. Bach, in altre occasioni accompagnare in sottofondo persino i canti gregoriani. Una autentica meraviglia.

Quando però sente dei sessantenni post-sessantottini suonare le chitarre che non sanno suonare, semmai sulla melodia di When the Saints Go Marching In, Padre Ariel potrebbe persino farti pentire di non avere incontrato al posto suo Jack lo Squartatore, con il quale tutto sommato potrebbe andare meglio.

 

Lo ammetto: la domenica mattina quel coretto toccò il fondo. Durante la Comunione si misero a eseguire una canzone tratta dalla celebre opera Jesus Christ Superstar. E qui va premesso: Padre Ariel apprezza molto sia quell’opera che il balletto del Martha Graham Dance Company, che considera una tra le più grandi opere rock nel Novecento. Però, al tempo stesso, è un presbitero e un teologo di solida dottrina e sa che quell’opera e i testi delle sue canzoni negano in modo deciso la divinità di Cristo. Ecco allora che sulle parole tradotte in italiano della Maddalena innamorata del Cristo il coretto si mette a cantare: «… è un uomo, è solo un uomo». Padre Ariel cessa di distribuire la Comunione, sale all’altare, vi depone la pisside sopra, si genuflette reverente, ridiscende sotto il presbiterio, toglie la chitarra di mano al chitarrista e la fracassa sulla colonna di una navata. Lascia la chitarra in pezzi a terra e dice: «Alla fine dei veri concerti rock si fa così».

 

Nella chiesa calò un silenzio tombale. E come nulla fosse, composto e gelido come un pezzo di ghiaccio, proseguì e terminò la celebrazione eucaristica.

 

Il parroco non osò dire niente, presumo temendo di ritrovarsi con un candeliere di bronzo stampato sulla schiena. Ma il giorno dopo sostenne lui per primo la protesta di quei coristi presso il Vescovo, dicendo che non conosceva quel prete e incolpando il secondo vice-parroco che lo aveva chiamato in sua sostituzione. Ovviamente Padre Ariel si era già premurato di chiamare il suo Vescovo, che all’epoca era Mons. Luigi Negri, e di narrargli il fatto.

 

Non più tardi del lunedì pomeriggio il Vescovo di quella Diocesi chiama Mons. Luigi Negri, che di fondo era forse persino più indisposto del Padre Ariel stesso dinanzi a certe stramberie liturgiche, e che lo tranquillizza così: «Ti rassicuro e ti prego di rassicurare anche il chitarrista che tutto sommato gli è andata veramente bene, anzi ringrazi Dio, perché per il tipo che è, mi stupisco che la chitarra l’abbia spaccata sulla colonna e non sulla sua testa».

 

Trascorso un anno, mentre il sacerdote colombiano stava per lasciare Roma al termine degli studi e rientrare nella sua diocesi, pochi giorni prima di prendere l’aereo confidò a Padre Ariel di averlo invitato apposta per sostituirlo, immaginando che dinanzi a cose simili avrebbe reagito, dopo che lui aveva dovuto sopportare per due anni quel coretto e quel parroco ignorante in materia di dottrina e di fede, che nemmeno si rendeva conto delle eresie che quelle persone cantavano durante la Messa.

 

Però ripeto: essendo Padre Ariel mansueto, profondamente mansueto, evita di narrare alcune delle sue gesta più belle, sicuramente per un discorso di profonda umiltà.

 

dall’Isola di Patmos, 9 gennaio 2023

 

 

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