Quel disastro del “reddito di cittadinanza” visto e vissuto da noi preti a giornaliero contatto con il mondo del reale

QUEL DISASTRO DEL “REDDITO DI CITTADINANZA” VISTO E VISSUTO DA NOI PRETI A GIORNALIERO CONTATTO CON IL MONDO DEL REALE 

È pensabile e sostenibile che una parte produttiva del Paese mantenga con la propria contribuzione e il proprio gettito fiscale una parte palesemente parassitaria che dinanzi a forme di esagerato assistenzialismo a puro scopo di serbatoio elettorale, non ti dice neppure grazie, perché agisce e reagisce come se ciò gli fosse dovuto, salvo lamentare che il tutto non è mai abbastanza? 

— Attualità ecclesiale —

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tratta da Salerno Today del 15 ottobre 2018 [vedere QUI]

l’Italia è popolata da un gran numero di vili pronti ad applaudire il potente all’apice del potere, poi ad accanirsi sul suo cadavere. È la italica psicologia di Piazzale Loreto, angolo di Milano dove la folla si accanì sul cadavere di Benito Mussolini, Clara Petacci, Nicola Bombacci, Alessandro Pavolini. Dinanzi a quello scempio Sandro Pertini, partigiano socialista e futuro Presidente della Repubblica dichiarò: «Con quel gesto l’insurrezione si è disonorata» [cfr. QUI].

Sorvolo su Carl Gustav Jung che definì la struttura dell’inconscio collettivo, perché complesso sarebbe il discorso e mi limiterò a ricordare l’ovvio: ogni popolazione è condizionata e animata da una propria peculiare psicologia sociale che le deriva dalla sua storia e dal suo vissuto. È in questo senso che possiamo parlare di “carattere sociale” o “socio-psicologia collettiva”.

Il carattere italico è stato raffigurato in modo plastico e realistico nel mondo del giornalismo e in quello della cinematografia da due grandi figure del Novecento italiano: il giornalista Indro Montanelli e l’attore Alberto Sordi che i vizi dell’italiano li tradusse in cinematografia. Tra le sue opere resta memorabile Polvere di stelle, con la straordinaria Monica Vitti.  

Mentre tutto taceva e nessuno osava sospirare dinanzi ai potenti di maggioranza al potere, dal canto mio non esitai ad affermare, nel 2019 e nel 2020, che il reddito di cittadinanza è stato il più scandaloso acquisto di voti mai verificatosi prima nella storia della Repubblica Italiana [vedere mio articolo QUI]. È un dato storico: tutti i vecchi partiti della cosiddetta prima Repubblica presero per anni e anni finanziamenti illeciti da industrie, aziende e grandi imprese. Il vecchio Partito Comunista Italiano prendeva finanziamenti illeciti persino peggiori, perché il danaro gli giungeva dall’Unione Sovietica, che era un Paese nemico del Patto Atlantico. Nessun Partito era immune da questi finanziamenti. Eppure nessuno di loro si sognò mai di comprarsi i voti usando il danaro dei pubblici contribuenti, come ha fatto invece quel movimento di grandi moralizzatori noto come Cinque Stelle, che da subito non ha mai parlato all’intelligenza degli italiani, o del poco che ne resta, ma alla loro emotività e alla loro pancia. Voti palesemente acquistati con il reddito di cittadinanza, come provano le preferenze elettorali che hanno toccato delle autentiche maggioranze bulgare in quelle circoscrizioni elettorali del Meridione d’Italia dove sono stati erogati i più numerosi sussidi. Due sole regioni, la Campania e la Sicilia, detengono il 48% dei redditi di cittadinanza tra quelli erogati in tutta Italia. La conseguenza è stata che in alcuni collegi elettorali il Movimento Cinque Stelle ha superato il 70% delle preferenze elettorali. Non sono illazioni, ma dati statistici che lo dicono, per quant’è vero che le elezioni si vincono con i numeri di maggioranza, o no? E i numeri parlano.

Tutto questo lo scrivevo anni fa, in pieno potere cinquestellino, al contrario dei tanti, anzi dei troppi che questa realtà l’hanno vista solo quando i grandi moralizzatori del Paese sono caduti in una farsesca riedizione de La Fattoria degli Animali di George Orwell. E questo dopo averci regalato di tutto e di più: dai monopattini dai quali oggi rischiamo di essere travolti sui marciapiedi, per seguire con i banchi a rotelle che solo una scienziata della caratura di Lucia Azzolina poteva inventare. Su Luigi Di Maio ministro per gli affari esteri stendiamo invece direttamente un velo pietoso.

Chiariamo da subito a scanso di qualsiasi equivoco: un Paese che sia veramente civile ha il dovere politico, sociale e morale di sostenere tutti quei cittadini che non sono in grado di lavorare o che non riescono a trovare lavoro. Come sempre cerchiamo di chiarire il tutto con alcuni esempi concreti: un lavoratore che ha svolto per venti o trent’anni un lavoro usurante, per esempio un muratore o un manovale, se a cinquant’anni si ritrova senza lavoro e per di più con qualche problema di salute, dove lo trova un altro lavoro? Se un lavoratore di analoga età, ma anche un quarantenne che per quasi vent’anni ha fatto il camionista, non può stare più seduto per dieci ore al giorno alla guida di un camion per il sopraggiungere di problemi fisici che glielo impediscono, ma che al tempo stesso non può essere però considerato invalido, perché non lo è, un altro lavoro dove lo trova? Per l’uno e per l’altro, come per molti altri ancora, trovare un nuovo lavoro può essere anche possibile, ma sicuramente non è facile e meno che mai potranno trovarlo su due piedi. Ovvio che sostenere queste persone è un dovere di civiltà. Ma il reddito di cittadinanza, siamo sicuri che è andato a questo genere di persone e a tutti coloro che si trovano senza lavoro per motivi del tutto indipendenti dalla loro volontà?

Posto che stiamo a parlare degli italiani, non dei tedeschi o dei francesi che, piaccia o meno, sono dei popoli con un profondo senso di nazione e di identità nazionale, il reddito di cittadinanza ha segnato anzitutto, nella nefasta psicologia italica, una corsa immediata alla truffa ai danni dello Stato e dell’intera collettività nazionale dei pubblici contribuenti. Solo a dei politici onirici come i cinquestelle poteva passare per la mente, in un Paese come il nostro, di erogare questo sussidio basando il tutto sulla veridicità e la buonafede della auto-certificazione, senza alcun genere di rigoroso controllo, evitando che il tutto finisse a beneficio di quei furbi di cui l’Italia è madre partoriente a getto continuo. E i furbi truffatori, stando alle indagini che con enorme ritardo sono state fatte dagli organi amministrativi e giudiziari preposti, non sono stati affatto “alcuni casi”, ma decine e decine di migliaia, molti dei quali veramente eclatanti. Perché appena si sono messi a fare i controlli, hanno scoperto in breve l’incredibile e l’inverosimile. Purtroppo, i controlli, sono scattati solo quando è cambiato governo e dopo che il governo precedente aveva potuto lucrare voti sul reddito sia alle elezioni politiche sia alle elezioni amministrative.

Ho parlato a lungo e con numerosi percettori di questo devastante reddito, che non è certo tale in quanto tale ma per il modo in cui è stato congegnato. Dalle loro bocche ho potuto udire solo la parola «io ho il diritto di … ho il diritto di … ho il diritto di …». Dinanzi al quesito se mai si erano posti il problema che percepire un sussidio implica che dall’altra parte ci siano dei pubblici contribuenti che glielo paghino, la risposta data ― e non una volta, ma pressoché di prassi ― è stata a dir poco desolante: «Ah, ma è lo Stato che lo paga …». A seguire la precisazione ulteriore: «… perché lo Stato deve …».  Ogni commento, dinanzi a simili convinzioni, sarebbe a dir poco superfluo.

Un amico imprenditore tempo fa mi narrò che aveva versato allo Stato, in suoi contributi personali all’INPS, oltre 400.000 euro in 40 anni di lavoro, ricevendo in cambio, una volta giunto al pensionamento, una pensione di 650 euro mensili. Detto questo si dichiarò scandalizzato ― e vorrei vedere come dargli torto ― all’idea che dei ventenni fisicamente in grado di lavorare non si premurassero neppure di cercare lavoro e che riscuotessero 780 euro mensili di reddito di cittadinanza. Mentre altri riscuotevano da una parte il reddito e dall’altra lavoravano in nero, mettendosi in tasca 1.500 / 1.600 euro al mese. Perché queste sono le persone che pagano il reddito a un esercito di nullafacenti che non ne avrebbero alcun diritto e che, ripeto, non sono affatto casi sporadici e isolati, sempre stando a quanto emerso dai controlli effettuati dopo che le stalle erano state aperte e i buoi fuggiti allo stato brado.

Il celebre giornalista italiano Bruno Vespa ha dato di recente questa testimonianza a un programma televisivo Mediaset:

«Ho una masseria in Puglia. Ho trovato una ragazza che lavorava in nero in un locale. Brava, motivata, voleva crescere: le ho offerto 1.300 euro per fare la cameriera. La giovane ha accettato ma poi è tornata a casa e il suo compagno le ha detto: “tu sei pazza, sommando al reddito il lavoro in nero sei molto più libera e fai quello che vuoi”. Di queste situazioni ce n’è un’infinità in Italia» [cfr. QUI].

Presto detto: siamo dinanzi a un numero tanto elevato quanto inquietante di egoisti ignoranti che non hanno neppure la pallida idea di che cosa sia uno Stato. Ma c’è di peggio: in modo più o meno lamentoso o arrogante, antepongono sempre e solo di rigore la parola «io ho il diritto di … ho il diritto di … ho il diritto di …», senza essere mai sfiorati neppure di lontano che i diritti dovuti o acquisiti si basano di necessità sui doveri. Così, ogni volta che ho ricordato a questi soggetti ― molti dei quali purtroppo socialmente irrecuperabili nel loro modo di pensare ― che uno Stato si regge sul rapporto tra doveri e diritti dei cittadini e che dello Stato si beneficia nella misura in cui allo Stato si dà, per tutta risposta mi sono sentito dire: «Ah, ma lo stipendio dei politici …». E questo è l’altro elemento devastante della psicologia italica: «l’altro è peggiore e fa molto peggio di me». Oppure: «… sì, evado il fisco e faccio bene ad evaderlo perché il direttore della Banca d’Italia prende 40.000 euro al mese di stipendio». Da ragionamenti di questo genere può nascere solamente il peggio del peggio. Anche in questo caso diciamolo con degli esempi: ecco allora la mamma napoletana che dinanzi al figlio colto in flagrante mentre stava rapinando un tabaccaio, se la prende con il giudice che lo condanna affermando: «Ci sono politici e industriali che rubano ma non gli fanno niente». Per seguire con la madre dei due criminali che il 6 settembre 2020 uccisero brutalmente a Colleferro il giovane Willy Monteiro Duarte, anch’essi per inciso percettori di reddito di cittadinanza concesso previa auto-certificazione, la quale reagì irridendo il povero giovane ucciso e affermando: «L’hanno messo in prima pagina manco se fosse morta la regina» [cfr. QUI].  

La triste verità è che in Italia abbiamo cresciuto e allevato nel corso dell’ultimo mezzo secolo delle generazioni di pigri smidollati, per la gran parte figli unici viziati di mammà e papà, convinti veramente che tutto gli sia dovuto e che la parola “diritto” sia del tutto priva del suffisso “dovere”. E sorvoliamo poi sulla psicologia che segna la generazione ancora peggiore dei figli unici partoriti da madri ultraquarantenni, perché lì siamo veramente nella tragedia …

Per il genere di ministero che svolgo ho rapporti giornalieri con confratelli che vivono sparsi per le diocesi di tutta Italia, a contatto giorno dietro giorno con il materiale umano. In particolare coloro che vivono in Campania, Calabria e Sicilia mi hanno narrato episodi e situazioni di truffe e ruberie fatte in modo sfacciato alla pubblica luce del sole. Diversi presbiteri napoletani mi hanno riferito di non conoscere un solo percettore di reddito di cittadinanza che non lavorasse in nero. Dei presbiteri siciliani mi hanno riferito che erano gli impiegati stessi dei vari uffici della pubblica amministrazione a suggerire come fare cambi di residenza o crearsi residenze fittizie per poter percepire più redditi di cittadinanza all’interno dello stesso nucleo familiare, dopodiché, pochi giorni dopo, giungeva loro su WhatsApp la pubblicità dei candidati dei Cinque Stelle in quel collegio elettorale.

Più parroci di queste regioni mi hanno narrato casi in cui dei giovani sono andati a chiedere se potevano sposarsi in chiesa senza che però fossero trasmessi gli atti al Comune perché in tal caso avrebbero costituito un nucleo familiare e perduto i loro due rispettivi redditi di cittadinanza che sarebbero stati ridotti a un unico reddito per famiglia. Siccome erano percettori di reddito individuale, intendevano seguitare a percepire ciascuno il proprio reddito e a lavorare tranquillamente in nero alla luce del sole. Alla mia domanda rivolta a questi confratelli: «Sono casi sporadici?». Sia dalla Campania che dalla Sicilia mi è stato risposto: «Sporadici? È la prassi diffusa, ma c’è di peggio: il tutto avviene alla luce del sole e sotto gli occhi degli stessi amministratori che non solo evitano di vigilare, ma che favoriscono proprio questo sistema per loro interessi elettorali. Tutti vedono e sanno, ma per le elezioni politiche prima e quelle amministrative dopo, a nessuno sarebbe passato per la mente di mettersi contro questo appetitoso serbatoio elettorale di percettori di reddito, dietro ai quali non ci sono solo i singoli percettori, perché dietro c’è la “dovuta riconoscenza” di intere famiglie e di numerosi amici».

Ma c’è di peggio ancora: confratelli che vivono a giornaliero contatto col disagio sociale mi hanno lamentato ripetutamente di toccare ogni giorno con mano la realtà dei redditi distribuiti a pioggia a un esercito di furbi che non ne avevano di per sé diritto, mentre diverse persone veramente bisognose non erano riuscite a ottenere questo sussidio. Mi hanno raccontato, ma io stesso ho visto con i miei occhi artigiani, idraulici, elettricisti, antennisti, muratori che incassano di media 3.000/4.000 euro al mese in nero totale al quale hanno aggiunto la percezione del reddito di cittadinanza senza alcun pudore e vergogna. E non sono casi isolati sporadici, perché in certe zone del nostro Paese risultano essere invece la prassi. Il tutto, ripeto, alla pubblica luce del sole.

È pensabile e sostenibile che una parte produttiva del Paese mantenga con la propria contribuzione e il proprio gettito fiscale una parte palesemente parassitaria che dinanzi a forme di esagerato assistenzialismo a puro scopo di serbatoio elettorale, non ti dice neppure grazie, perché agisce e reagisce come se ciò gli fosse dovuto, salvo lamentare che il tutto non è mai abbastanza? Si può pensare, specie nell’attuale situazione geopolitica ed economica, di poter seguitare a mantenere buono e caro questo gran portafoglio di voti a spese del Paese che lavora, produce e paga tasse? Non è assolutamente vero che certe cose accadono in tutta Italia, falso! In varie zone del Meridione d’Italia ho visto persone lavorare in nero in bar e ristoranti, dove si recano a prendere il caffè o a cenare anche le Forze dell’Ordine, i militi della Guardia di Finanza, gli ispettori dell’Ufficio del Lavoro. E quando a questi ultimi ho fatto presente che in nessun’altra parte d’Italia è possibile vedere in certi locali una media di otto persone su dieci che lavorano in nero, per tutta risposta hanno fatto mezzo sorriso malinconico e mi hanno detto: «Meglio il lavoro nero della disoccupazione». A chi non fosse chiaro ripeto: risposta data da ispettori dell’Ufficio del Lavoro, non so se mi spiego.

A dei percettori palermitani di reddito furono proposti lavori in altre zone del Paese, dove c’è penuria di manodopera in molti settori. Le migliori giustificazioni date ai vari talk show televisivi non si sono fatte attendere: «Non posso lasciare la famiglia … con lo stipendio che mi darebbero la metà andrebbe per pagare l’affitto …». Infine la perla più splendida del percettore che per più sere, da un talk show televisivo all’altro ha detto: «Perché gli imprenditori del Nord non vengono qua a Palermo a creare lavoro?». E di talk show in talk show tutti hanno taciuto. Peccato che tra gli ospiti in quei parterre non c’ero anch’io, perché gli avrei ricordato all’istante che in passato, con tanto di incentivi da parte dello Stato e dell’Unione Europea, più imprese ci provarono eccome, ad andare a creare posti di lavoro. Il problema fu che appena cercarono di impiantare delle aziende si ritrovarono con tre diverse realtà: con una burocrazia spaventosa, con degli amministratori corrotti che se non pretendevano tangenti in danaro pretendevano l’assunzione di loro protetti, infine e non ultimo con i mafiosi che pretendevano il pizzo. Perché in città come Palermo e Catania, il pizzo, lo pagano anche quelli che vendono le panelle e i bruscolini al mercato. Ma forse, a questo percettore invitato a dire idiozie da un talk show televisivo all’altro, è stata data la possibilità di presentare la realtà complessa e delicata di Palermo ― senza pena alcuna di ridicolo ― come se il Capoluogo della Sicilia fosse un cantone della Confederazione Elvetica, abitato, come notoriamente risaputo, da soggetti zelanti e precisi come gli svizzeri. O ignora forse, questo soggetto e soprattutto chi lo ha invitato a pontificare, che quando ad Agrigento decisero infine di abbattere a scopo dimostrativo alcune ville abusive costruite dentro la Valle dei Templi, le demolizioni furono effettuate da ditte del Triveneto controllate e scortate da Polizia di Stato, Esercito e Carabinieri? Chissà perché nessuna ditta del luogo si presentò ai bandi d’asta andati più volte deserti … ma chissà perché?

I dati statistici confermano che con il reddito di cittadinanza la disoccupazione, dal 2019 alla fine del 2022 è aumentata e le aziende e le piccole imprese, specie quelle che operano nel settore turistico italiano, hanno avuto enormi difficoltà a trovare personale. Amici che gestiscono alberghi, ristoranti e stabilimenti balneari mi hanno riferito e dimostrato che in piena stagione hanno pagato tra i 1.800 sino ai 2.200 euro mensili dei lavoratori del Bangladesh e dello Sri Lanka perché non trovavano nessun piangente disoccupato italiano disposto a fare il lavapiatti. A partire soprattutto dai giovani, l’aspirazione di molti dei quali spazia tra il desiderio di diventare influencer pieni di followers a quella di poter entrare in un reality show. Perché queste, sono le generazioni di disadattati che abbiamo creato, il conceder loro anche il reddito di cittadinanza, è stata la ciliegina messa sulla panna sopra la torta.

Vogliamo parlare poi delle mamme, specie di quelle meridionali ipertrofico-protettive, che non vogliono proprio, che i loro figli facciano certi mestieri, anche se qualcuno di loro sarebbe semmai disposto a farli? Le ho sentite con le mie orecchie dire: «… mio figlio lavapiatti … mi figlio raccoglitore di pomodori …? No, mio figlio non lo deve fare!».

Quando ero bimbo di dieci anni ― quindi stiamo parlando ormai di cinque decenni fa ― ho visto lavorare giovani ventenni, perlopiù studenti universitari, nelle strutture turistiche dei miei familiari materni. Nei decenni successivi sono divenuti liberi professionisti, alti funzionari nella amministrazione dello Stato, medici specialisti, alcuni sono divenuti a loro volta imprenditori dopo avere imparato dai miei zii l’arte dell’imprenditoria. Uno di questi, divenuto poi medico specialista, fu particolarmente vicino a mio padre durante la malattia che lo portò alla morte ad appena 56 anni. Durante il corso dei suoi studi universitari in medicina, d’estate, per tutta la stagione, faceva il cameriere per pagarsi gli studi, perché la sua famiglia non poteva permettersi di sostenerlo più di tanto a studiare fuori sede.  

Il mio amico Paolo Del Debbio, al talk show da lui condotto stroncò un Tizio dicendo: «… guardi, che lei sta parlando con un ex cameriere. Perché quando studiavo mi mantenevo facendo il cameriere». Se però diamo ai nostri giovani un divano, una playstation e un reddito di cittadinanza, semmai facendogli anche credere che possa durare per tutta la vita e che tanto a pagarlo è quella non meglio precisata entità astratta chiamata Stato, non ne potremo tirare fuori né un medico specialista né un Paolo Del Debbio, né un bravo e ordinario cittadino della Repubblica Italiana. Il tutto sempre ribadendo che un Paese veramente democratico, liberale e civile, ha il dovere di aiutare e sostenere tutte le persone che non hanno lavoro o che hanno perduto il lavoro. Non però coloro che non vogliono trovare lavoro o che lavorano in nero per avere uno stipendio doppio, mentre chi ha lavorato per una vita intera e contribuito con il proprio gettito al nostro Stato sociale, oggi prende 680 euro al mese di pensione e, oltre alla beffa deve sentire anche non poche persone, che di lavorare non hanno voglia e di trovare lavoro meno ancora, strepitare: «… io ho il diritto di … ho il diritto di … ho il diritto di …».

Dall’Isola di Patmos, 18 dicembre 2022

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Gabriele

Un sogno dal quale prende vita la divina realtà della redenzione dell’uomo

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

UN SOGNO DAL QUALE PRENDE VITA LA DIVINA REALTÀ DELLA REDENZIONE DELL’UOMO 

Nel sogno di Giuseppe l’Angelo può parlare con serenità e tranquillità in nome di Dio. Perché Giuseppe, che ha il cuore già predisposto ad accogliere Dio, adesso può comprendere i dettagli del piano divino alla luce della fede.

 

Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Cari Lettori e amici de L’Isola di Patmos,

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tutti abbiamo dei sogni. Siamo uomini e tendiamo sempre ad accogliere i nostri desideri e le nostre aspirazioni più profonde. Dunque abbiamo un fine, uno scopo più grande e ben preciso che orienta tutte le altre scelte più piccole e quotidiane. Tutti i nostri sogni tendono a umanizzarci e renderci migliori perché attraverso di essi riflettiamo, ci mettiamo alla prova e siamo disponibili a metterci in gioco.

Anche Giuseppe aveva il suo sogno. Sposare la sua fidanzata, Maria. Gli mancava poco al passo della celebrazione rituale delle nozze. Ma Giuseppe si rende conto che Maria è incinta. Così, improvvisamente, si trova dentro un dramma. Il suo sogno si spezza. Quello che tanto aveva desiderato e atteso non potrà più avverarsi. Maria non potrà essere sua sposa. Superato però lo scoramento iniziale, Giuseppe non si perde d’animo. Con giustizia verso Dio e verso la stessa Maria, si pone in obbedienza alla legge del Deuteronomio: per evitare la lapidazione decide di scrivere una lettera per rompere il fidanzamento in modo discreto e riservato. Dio va in aiuto a Giuseppe e in sogno gli manda un Angelo. Ecco allora che Giuseppe può abbandonare il suo sogno per entrare nel sogno di Dio.  Nel sogno di Giuseppe l’Angelo può parlare con serenità e tranquillità in nome di Dio. Perché Giuseppe, che ha il cuore già predisposto ad accogliere Dio, adesso può comprendere i dettagli del piano divino alla luce della fede.

Giuseppe viene a sapere dall’Angelo che deve dare il nome al figlio di Dio. A quel figlio così speciale, voluto dall’Eterno Padre, prima persona della Trinità, Giuseppe è chiamato a dare il nome. Il dare nome implica avere la patria potestà e offrire la paternità legale. E Gesù è figlio di Giuseppe per via legale. Dare il nome vuol dire che Dio affida a Giuseppe un compito importantissimo: annunciare al mondo che Gesù, quel bambino giunto così misteriosamente nella sua vita, è Dio che salva il mondo intero. Giuseppe diviene così il primo annunciatore del nome di Dio che offre l’annuncio di salvezza. Finalmente si adempie e realizza il sogno di Dio preannunciato in Isaia [cfr. 7,14]. Quando Giuseppe si sveglia ha nel cuore la chiave di volta di quel sogno spezzato. Ha guadagnato tutto centuplicato, nel sogno di Dio che si realizza in lui. Così prende Maria con sé, come marito fedele, sposo affettuoso e uomo attento e preciso nel suo lavoro e custodisce la sua sposa. Insieme a Maria si prende cura e custodisce quel bambino così misterioso. Con Maria gli insegna le pratiche della fede ebraica. Giuseppe nella sua leale castità è padre fecondo e autentico per questo figlio così misterioso.

Il sogno di Dio supera quello umano di Giuseppe. Ed è ancora più bello e inatteso. Scrive la biblista Rosalba Manes:

«Con Giuseppe l’uomo torna ad essere come la Genesi ce lo presenta prima del peccato: cultore e custode dei doni di Dio»

Questo può avvenire nelle nostre vite. Quante volte dobbiamo abbandonare progetti e sogni. Con fatica ci riusciamo. Ma se lasciamo tutti i progetti entrando nel sogno di Dio, non perderemo niente ma avremo tutto centuplicato.

Chiediamo al Signore di far entrare le nostre vite nel Suo Sogno, per diventare tutti dei piccoli Giuseppe e Maria, e con la grazia che abbiamo ricevuto, donare al mondo la salvezza di Dio.

Così sia.

Santa Maria Novella in Firenze, 18 dicembre 2022

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Di chi era incinta Maria? Il sogno di Giuseppe. Appuntamento da non perdere con il Club Theologicum

DI CHI ERA INCINTA MARIA? IL SOGNO DI GIUSEPPE. APPUNTAMENTO DA NON PERDERE CON IL CLUB THELOGICUM 

Giuseppe voleva lasciare Maria perché si accorse della sua gravidanza e pensava che l’avesse tradito con qualcun altro. Mentre stava rimuginando sulla situazione e quindi di lasciarla segretamente, un angelo del Signore gli apparve in sogno

— Le video-dirette de L’Isola di Patmos —

Autore: Jorge Facio Lince Presidente delle Edizioni L’Isola di Patmos

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il teologo domenicano Gabriele Giordano M. Scardocci, padre redattore de L’Isola di Patmos

Cosa fare con Maria? Di chi è incinta? Come evitare lo scandalo? Nel bel mezzo della notte, un Angelo irrompe nel suo sogno, affinché Giuseppe entri nel Sogno di Dio:

«Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un Angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati […]» [Mt 1, 20-23]

 

Su questo tema riflettono insieme questa sera, 15 dicembre, il nostro teologo domenicano Gabriele Giordano M. Scardocci assieme a Suor Angelika.

Vi aspettiamo ore 21.00 diretta streaming.

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Per seguire:

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Comunicato del Vescovo di Padova circa la presenza del Sig. Alessandro Minutella nel territorio della sua Diocesi

— Attualità —

COMUNICATO DEL VESCOVO DI PADOVA CIRCA LA PRESENZA DEL SIG. ALESSANDRO MINUTELLA NEL TERRITORIO DELLA SUA DIOCESI

Questa mattina l’eretico scismatico ha vomitato veleno contro il Vescovo di Padova [cfr. QUI] che adempiendo ai propri doveri di pastore ha messo in guardia il clero e i fedeli dal partecipare ai suoi “riti sciamanico-madonnolatrici”

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Autore
Redazione de L’Isola di Patmos

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Più volte abbiamo dimostrato attraverso suoi video e discorsi [cfr. QUI, QUI, QUI] che il Sig. Minutella è un narcisista aggressivo-violento, affetto da esaltazioni pseudo-mistiche, nonché dissociato dal reale, che crea nelle persone fragili rapporti di profonda dipendenza e altrettanta dissociazione dal reale. Non sono opinioni azzardate nostre, ma analisi fatte da più psichiatri che hanno esaminato i suoi materiali video. Soprattutto il Sig. Minutella istiga le persone all’odio mutandole in macchine che diffondono a loro volta odio in modo aggressivo e violento contro «La falsa chiesa del falso papa emissario dell’Anticristo». 

Fenomeni di questo genere non andrebbero mai presi sotto gamba, perché prima o poi c’è il serio rischio che qualche esaltato possa compiere un atto di violenza fisica a danno di qualche vescovo. Tentativo peraltro già fatto in passato, quando S.E. Mons. Michele Pennisi Arcivescovo di Monreale sconfessò le attività pseudo-mistiche dell’allora Reverendo Alessandro Minutella [vedere documento QUI]. Con il risultato che un gruppo di suoi invasati tentarono di aggredirlo all’uscita dal palazzo arcivescovile [cfr. QUI]. Precedenti in tal senso, anche recenti, purtroppo non mancano, basti ricordare il caso dell’attentato al Cardinale Giuseppe Betori Arcivescovo metropolita di Firenze.

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COMUNICATO DI S.E. MONS. CLAUDIO CIPOLLA VESCOVO DI PADOVA

Dicembre, 2022

Il Vescovo di Padova, Mons. Claudio Cipolla, alla luce di alcune informazioni giunte attraverso i canali social utilizzati dal signor Alessandro Minutella, ha appreso della sua imminente presenza nel Padovano – e quindi presumibilmente nel territorio della Diocesi di Padova – nel periodo 15 dicembre 2022 ― 15 gennaio 2023, accompagnato anche da fra Celestino della Croce, al secolo Pietro Follador, attualmente incardinato nella diocesi di Patti (Messina). 

A tal proposito il Vescovo, Mons. Claudio Cipolla, segnala a presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate e fedeli tutti che il signor Alessandro Minutella, già presbitero dell’Arcidiocesi di Palermo, è stato scomunicato il 18 agosto 2018 (con Decreto del 15 agosto 2018) per aver commesso il delitto contro la fede e l’unità della Chiesa, in quanto scismatico; ed è stato dimesso dallo stato clericale (ex officio et pro bono ecclesiae) in data 13 gennaio 2022 (con Decreto emesso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede).

Inoltre per quanto riguarda fra Celestino della Croce comunica che ha ricevuto dal suo vescovo la proibizione di svolgere il ministero presbiterale in pubblico per le sue posizioni apertamente in linea con quelle del sig. A. Minutella. 

Il Vescovo Claudio per quanto di sua pertinenza nel territorio della Diocesi conferma i provvedimenti presi nei confronti di fra Celestino da parte dell’Ordinario di Patti, a cui aggiunge la revoca della facoltà di udire le Confessioni e impartire l’Assoluzione Sacramentale ai fedeli, nell’ambito del territorio della Diocesi di Padova. Proibisce inoltre ai parroci, ai rettori di chiese, agli amministratori parrocchiali e ai superiori di Istituti religiosi, di concedere ai sopradetti Alessandro Minutella e fra Celestino della Croce luoghi di culto e spazi sia interni che esterni di proprietà di enti ecclesiastici. 

Proibizione che assume il valore di accorato invito per qualsiasi fedele cattolico che abbia a cuore la Comunione ecclesiale.

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I Padri dell’Isola di Patmos

 

Nota circa l’Autore del “Codice Katzinger” e la ridicola saga del «nessuno risponde nel merito delle mie questioni»

L’AUTORE DEL “CODICE KATZINGER” E LA RIDICOLA SAGA DEL «NESSUNO RISPONDE NEL MERITO DELLE MIE QUESTIONI»

Essere seriamente preoccupati per tutte le anime dei fragili e dei confusi che costoro si trascinano dietro nel grave errore, recando gravi danni a singoli e nuclei familiari interi, trasformandoli in macchine di odio contro «la falsa chiesa satanica del falso papa usurpatore e apostata Bergoglio», è un dovere al quale nessun pastore in cura d’anime può sottrarsi.

— Attualità ecclesiale —

                         Autore
            Ariel S. Levi di Gualdo.

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Gabriele

Quel prezioso dubbio umano che ci trasforma in luci del Dio vivente

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

QUEL PREZIOSO DUBBIO UMANO CHE CI TRASFORMA IN LUCI DEL DIO VIVENTE

Il dubbio assale Giovanni il Battista durante la sua carcerazione, quando deve sperimentare la solitudine della notte dell’anima e della fede comincia a nutrire dubbi e a pensare che l’annuncio dato su Gesù non sia del tutto vero…

 

Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Cari Lettori e amici de L’Isola di Patmos,

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nella nostra vita può capitare di vedere cose così tal belle da non credere che siano reali. Forse abbiamo dimenticato come ci si stupisce. Su questo i bambini sono dei veri maestri. Per ciò, quando accade qualcosa di gioioso e bello, facilmente ci chiediamo: «… è successo davvero? O forse è solo tutto un sogno?». In quel momento siamo tutti un po’ come il filosofo Cartesio che in un celebre passo delle Meditazioni Metafisiche scrive:

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«Riflettendoci con più attenzione, tanto chiaramente mi rendo conto che non è mai dato di distinguere la veglia dal sogno con criteri certi, da rimanere attonito; e proprio questo stupore mi riporta quasi a credere di star sognando anche ora».

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Ma ecco allora Gesù che viene a darci una bella sveglia invitandoci in questo cammino di Avvento a fugare i dubbi perché quanto sta accadendo non è un sogno. Dio prende la natura umana, si fa uomo, per essere vicino a tutti noi. È tutto vero. Così quello che è impensabile e che sembra appunto un sogno irrealizzabile invece è realtà.

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Questo dubbio in fondo ad un certo punto l’aveva avuto anche Giovanni il Battista. Nel Vangelo di questa III Domenica d’Avvento leggiamo:

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«In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».

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Il dubbio assale Giovanni il Battista durante la sua carcerazione, quando deve sperimentare la solitudine della notte dell’anima e della fede comincia a nutrire dubbi e a pensare che l’annuncio dato su Gesù non sia del tutto vero. Nell’ora dell’abbandono è facile pensare che sia tutto troppo bello per essere vero, esattamente come accade anche a noi. Non perché siamo stati tutti davvero carcerati, ma perché possiamo aver trascorso dei periodi di isolamento, di solitudine, di abbandono. Ci sentivamo soli e pensavamo che Gesù non fosse venuto davvero anche per noi, che in quel momento non fosse davvero presente, nella nostra sofferenza. In questo Avvento proviamo a far memoria di questi momenti per rileggerli alla luce del Natale: Gesù c’era in quella notte esistenziale.

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Gesù nel Vangelo infatti rassicura il Battista che è veramente lui il Figlio di Dio, colui che nascendo è venuto illuminare la tenebra del mondo e dell’uomo e a farlo splendere. Per farci brillare come lui nella notte di Natale è la luce del mondo. E far splendere la luce della nostra vita.

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L’Avvento sia così anche il cammino di comprensione e di rilettura con lo sguardo di quella fede che alla luce della grotta di Betlemme ci trasforma tutti in piccole luci del Signore. Tutti possiamo diventare i testimoni del messaggio che quel piccolo bambino è il figlio di Dio, che è vero Dio e vero uomo.

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Dio ci guidi e ci accompagni in questo tempo di Avvento, perché con la sua grazia e i suoi doni, diventiamo nel Signore il suo Dono di Natale per il mondo sofferente.

Così sia.

Santa Maria Novella in Firenze, 11 dicembre 2022

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L’Istruzione “Redemptionis Sacramentum” e gli abusi liturgici: ditelo ai Vescovi, non ditelo a Mark Zuckerberg ed Elon Musk

L’ISTRUZIONE REDEMPTIONIS SACRAMENTUM E GLI ABUSI LITURGICI: DITELO AI VESCOVI, NON DITELO A MARK ZUCKERBERG ED ELON MUSK

In fondo, a pensarci bene, ogni comunità di fedeli finisce sempre per avere il prete che si merita, esattamente come noi preti, che spesso finiamo “condannati” a giusta e meritata pena ad avere i vescovi che ci meritiamo.

— Pastorale Liturgica —

Autore
Simone Pifizzi

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PDF  articolo formato stampa

 

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Suggerimento al suo Vescovo per risolvere il problema alla radice: chiuderlo dentro una stanza di due metri per due metri con i Padri de L’Isola di Patmos  (cliccare sull’immagine per aprire il video)

Il nostro confratello Ivano Liguori si è occupato del problema degli abusi liturgici, anche se nel caso specifico l’abuso aveva i connotati del sacrilegio perpetrato durante la celebrazione della Santa Messa [cfr. QUI, QUI, QUI, QUI].

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Nel linguaggio liturgico si è soliti parlare di Canone della Santa Messa. La parola cànon actiònis è la precisa norma da seguire per celebrare il culto divino. Il canone è per sua natura fisso e rigido. Purtroppo, quando si usano certi termini, oggi non pochi tendono a storcere il naso perché non conoscono il vero significato delle parole e finiscono col confondere “fisso” con fissismo e “rigido” con rigidismo. Nulla di più errato. Della sacra liturgia il celebrante è fedele e scrupoloso strumento, non padrone o arbitrario padrone, peggio che mai: libero creatore. La sacra liturgia investe la vita dell’intera Chiesa universale, di cui è espressione e comune preghiera di lode a Dio. Abusare creativamente della sacra liturgia vuol dire renderla instabile e toglierle quella dimensione univoca, comune e universale di preghiera. Ecco perché l’abuso liturgico, piccolo o grande che sia, origina una duplice frattura: con la comunione della Chiesa e con la sua dimensione di universalità. Ricordiamo che l’etimo della parola “cattolica”, dal greco κατά όλον, significa universale e indica in tal modo la sua universalità.

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Il 25 marzo 2004, Solennità dell’Annunciazione del Signore, “per disposizione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, redatta dalla Congregazione del Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, d’intesa con la Congregazione per la Dottrina della Fede” era emanata l’Istruzione Redemptionis Sacramentum. Sottotitolo: «Su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia».

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La chiusa finale di questo Documento, con i soggetti chiamati in causa, subito ci fa capire che non siamo davanti a una serie di pie raccomandazioni ma a un testo che ha carattere vincolante sia per la coscienza che per la prassi, e chi non vi si attiene commette un vero e proprio abuso, la gravità del quale può giungere sino al vero e proprio sacrilegio, come purtroppo abbiamo visto anche di recente.

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Qualcuno obbietterà che a questo modo si tarpano le ali all’iniziativa e alla creatività. Generalmente questi tipi di obbiezioni escono dalla bocca di chi ha fatto del relativismo ― vera grande malattia corrosiva della Chiesa contemporanea ― una sorta di norma normans non normata, dimenticando che la Chiesa, di un tesoro che è sì assoluto, perché lasciato in dono dal Divino Redentore, è custode, non padrona. Nella liturgia Eucaristica la Chiesa celebra la perenne attualizzazione dell’azione salvifica del Signore Gesù nella sua vita, nella sua passione, nella sua crocifissione, nella sua morte e resurrezione [cfr. n. 40], per questo dopo la consacrazione delle sacre specie, il Popolo di Dio acclama sul vivo corpo e in sangue di Cristo presente in anima, spirito e divinità:

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«Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta».

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C’è una domanda di fondo che percorre tutta l’Istruzione: è proprio necessario prestare attenzione agli abusi liturgici? Non è sufficiente riaffermare l’importanza e la necessità di seguire le norme liturgiche secondo lo spirito del Concilio Vaticano II che afferma:

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«il culto pubblico integrale viene esercitato dal Corpo Mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle sue membra. Di conseguenza, ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza» [Sacrosanctum Concilium, n. 7].

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Sulle colonne di questa rivista più volte è stato spiegato nel corso degli anni che se decorsi ormai sei decenni dalla chiusura di un grande concilio ecumenico la Chiesa si è trovata costretta a pubblicare due documenti correttivi molto particolari ― tali sono la Dominus Jesus che ribadisce la unicità salvifica di Cristo e della sua Chiesa, per seguire con la Redemptionis Sacramentum in cui si richiama ai fondamenti basilari della ars celebrandi ― qualche cosa non ha funzionato. Detto ciò è bene chiarire che a funzionare male non è stato il Concilio, elemento di necessario rinnovamento pastorale di cui la Chiesa necessitava, esattamente come lo fu quattro secoli fa un altro grande Concilio, quello di Trento. A funzionare male, anzi a volte malissimo, è stato il post-concilio degli interpreti del cosiddetto spirito del Concilio che spesso hanno finito col generare una idea di Concilio tutta loro. è questo che non ha funzionato e generato i problemi con i quali oggi dobbiamo fare tristemente i conti. Chi approfitta di certi dati oggettivi, dallo smarrimento dottrinale agli abusi liturgici spesso quasi istituzionalizzati, per imputarne colpa all’ultimo Concilio della Chiesa, delle due l’una: o pecca di profonda ignoranza, oppure, per pura ideologia, mente sapendo di mentire.

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Nella Lettera Enciclica Ecclesia de Eucharistia che precede di un anno la istruzione Redemptionis Sacramentum il Santo Pontefice Giovanni Paolo II ricorda che le norme liturgiche

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«sono un’espressione concreta dell’autentica ecclesialità dell’Eucaristia; questo è il loro senso più profondo. La liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante, né della comunità nella quale si celebrano i Misteri. Il sacerdote che celebra fedelmente la Messa secondo le norme liturgiche e la comunità che a questa si conforma dimostrano, in un modo silenzioso ma eloquente, il loro amore per la Chiesa» [cfr. n. 52].

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Evidentemente non basta una sola partecipazione esterna, perché celebrare l’Eucaristia esige fede, speranza e carità. A tal proposito afferma l’Istruzione Redemptionis Sacramentum:

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«Una osservanza puramente esteriore delle norme, come è evidente, contrasterebbe con l’essenza della sacra Liturgia, nella quale Cristo Signore vuole radunare la sua Chiesa, perché sia, con Lui, “un solo corpo e un solo spirito”. L’atto esterno deve essere, pertanto, illuminato dalla fede e dalla carità che ci uniscono a Cristo e gli uni agli altri e generano l’amore per i poveri e gli afflitti».

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Gli abusi sono sempre esistiti, anche nella cosiddetta “Messa di sempre”, neologismo inventato dalla mente di chi, giocando con il latino, ignora non soltanto la storia della liturgia, ma la stessa storia della Chiesa. Tuttavia è bene ricordare che per quanto riguarda la celebrazione Eucaristica non tutti gli abusi hanno lo stesso peso. Se infatti può capitare di sbagliare inavvertitamente il colore di un paramento sacro, di usare per errore un prefazio ordinario quando la liturgia ne prevede uno proprio, oppure di usare canti poco adatti, in questo caso siamo nell’ambito dell’errore umano. Altri abusi minacciano invece: o di rendere invalido ciò che si celebra, o di manifestare una assoluta mancanza di fede eucaristica, producendo effetti devastanti sul Popolo di Dio, in uno scadimento sempre più alto e inquietante del culto eucaristico e della percezione di quella sua sacralità che regge l’impianto stesso della Chiesa, che è di per sé mistero eucaristico, perché fondata sul corpo e sangue del Verbo di Dio fatto uomo. Altri abusi rischiano invece di generare confusione nel popolo di Dio, o addirittura di dissacrare la celebrazione stessa. Ecco perché gli abusi non possono essere presi a cuor leggero, come se fossero degli … eccessi di creatività.

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Una cosa è certa: tutti i membri della Chiesa hanno bisogno di una formazione liturgica, cosa che oggi purtroppo manca. Il Concilio Vaticano II precisa che è assolutamente necessario dare il primo posto alla formazione liturgica del clero [cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 14]. Ma è anche vero che ci sono nell’uno o nell’altro contesto ecclesiale, abusi che contribuiscono a oscurare la retta fede e la dottrina cattolica su questo mirabile Sacramento [cfr. Ecclesia de Eucharistia, n. 10]. La Redemptionis Sacramentum precisa che «Gli abusi non di rado si radicano in un falso concetto di libertà» [cfr. n. 7]. «Atti arbitrari, infatti, non giovano a un effettivo rinnovamento» [cfr. n. 11]. È bene chiarire ciò che in più atti e documenti del magistero è stato ribadito: «Tali abusi non hanno nulla a che vedere con l’autentico spirito del Concilio e vanno corretti dai Pastori con un atteggiamento di prudente fermezza» [cfr. Giovanni Paolo II, 40 anniversario della Costituzione conciliare sulla Liturgia, Lettera apostolica Spiritus et sponsa, n. 15]. Altrettanto chiarisce l’Istruzione Redemptionis Sacramentum:

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«A quelli che modificano i testi liturgici di propria autorità, è importante far notare che la sacra Liturgia è intimamente collegata con i principi della dottrina, e l’uso di testi e riti non approvati comporta di conseguenza che si affievolisca, o che si perda del tutto, il nesso necessario tra la lex orandi e la lex credendi» [cfr. n. 10], (nota espressione latina che nel linguaggio della sacra liturgia significa: la legge della preghiera è la legge del credere).

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Per i credenti cattolici leggere questa Istruzione sarebbe davvero molto istruttivo, non a caso si chiama Istruzione. Sicuramente sarà molto più istruttiva del cercare improbabili risposte sui social media, se non peggio improvvisarsi liturgisti e dare risposte che spesso non si è proprio in grado di dare, concorrendo a questo modo solo a generare confusioni e sterili polemiche, ma soprattutto a incrementare la mancanza di conoscenza dei molti che, in numero sempre maggiore, presumono però di sapere. Se infatti la Chiesa mette certi testi e documenti a disposizione dei fedeli, è proprio per istruirli anche su come è bene e doveroso reagire dinanzi agli abusi liturgici di certi celebranti. Pertanto a poco vale prendersela con il prete fucina di abusi liturgici su una pagina Facebook. La Chiesa indica con precisione quali sono gli errori e gli abusi che nessun celebrante deve commettere, dopodiché indica ai fedeli come agire e a chi rivolgersi. Non li esorta ad andare a cercare improbabili risposte dove è impossibile trovarle, o peggio a polemizzare dove la polemica finirà col risultare qualche cosa di unicamente fine a sé stessa.

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Molti sarebbero gli esempi, prendiamone uno a caso: più volte è capitato a noi preti di raccogliere il disagio di fedeli che lamentavano l’impiego ingiustificato dei ministri straordinari della Comunione, semmai mentre il celebrante stava seduto alla sede e un paio di laici distribuivano la Santissima Eucaristia. Siamo indubbiamente dinanzi a un grave abuso, lo precisa l’Istruzione stessa chiarendo:

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«È riprovevole la prassi di quei Sacerdoti che, benché presenti alla celebrazione, si astengono comunque dal distribuire la Comunione, incaricando di tale compito i laici» [cfr. n. 157].

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Questa norma è a sua volta preceduta vent’anni prima da un responsum della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti [11 luglio 1984: AAS 76 (1984) p. 746]. Questo delicato compito affidato ai laici è di per sé un ministero del tutto straordinario, spetta infatti ai ministri ordinati, al presbitero e al diacono, distribuire la Santa Comunione ai fedeli. Solamente in casi nei quali i ministri ordinati non sono sufficienti per l’elevato numero di persone, può essere fatto ricorso ai ministri della Comunione, che esercitano un ministero del tutto straordinario.

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Dinanzi ad abusi di questo genere e ai numerosi altri descritti in questa Istruzione, sui quali non sarebbe possibile soffermarci, i fedeli cattolici sono tenuti a rivolgersi al loro vescovo, non certo a Facebook e Twitter, perché le nostre diocesi non sono governate né da Mark Zuckerberg né da Elon Musk, che tra l’altro non possono esercitare alcun potere sui preti né ammonirli ad alcun titolo.

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Dinanzi alle oggettive responsabilità del nostro clero, difettoso e peccatore, noi non ci tiriamo indietro, anzi siamo i primi ad ammettere gli evidenti errori dei pochi o dei tanti nostri confratelli che purtroppo sembrano celebrare a volte quasi con i piedi. Non meno gravi sono però le responsabilità di quei fedeli, o presunti tali, che anziché informare il vescovo, come sarebbe loro dovere fare, pensano di potersi lamentare con lo straccio delle loro vesti sui social media, meglio ancora se dietro a un nome di fantasia, perché in quel caso diverranno oltre modo aggressivi e severi, anziché agire come Dio comanda e assumersi tutte le loro responsabilità di credenti cattolici, semplicemente informando il vescovo.

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In fondo, a pensarci bene, ogni comunità di fedeli finisce sempre per avere il prete che si merita, esattamente come noi preti, che spesso finiamo “condannati” a giusta e meritata pena ad avere i vescovi che ci meritiamo.

Firenze, 10 dicembre 2022

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
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Con la figura di Giovanni Battista riscopriamo l’umiltà nel prezioso deserto dell’Avvento

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

CON LA FIGURA DI GIOVANNI BATTISTA RISCOPRIAMO L’UMILTÀ NEL PREZIOSO DESERTO DELL’AVVENTO

Il precursore, il Battista, è colui che parla nel deserto. Porta un vestiario molto scarno, si nutriva di piante e locuste. Questa è la tipica condizione di colui che è in una fase di purificazione della propria vita.

 

Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Cari amici e Lettori de L’Isola di Patmos

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chiunque abbia praticato uno sport, per esempio il calcio, il nuoto, l’equitazione … si ricorda di un istruttore, un educatore, o qualcuno che l’ha istruito e accompagnato fino a diventare un bravo calciatore, nuotatore o fantino … 

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Nel Vangelo di oggi entra in scena la figura di Giovanni il Battista. Colui che fa da ponte fra Antico e Nuovo Testamento e che similmente all’allenatore che abbiamo conosciuto sul campo da calcio, in piscina o al maneggio, ci prepara alla via. In questo caso alla via di Dio. Ci viene presentato subito ad inizio della pericope:

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«In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea, dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando disse: Voce di uno che grida nel deserto:/ Preparate la via del Signore, / raddrizzate i suoi sentieri!».

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Il Battista ci dice molte cose, incluso che l’antico patto ebraico sarà modificato per un cambiamento epocale e definitivo. Qui, lo stesso Matteo, riporta le parole del Battista che annuncia una conversione per la venuta del regno dei cieli, che è vicino. Cosa intende per regno dei cieli? Non c’è dubbio che per noi e il tempo che viviamo il Battista annuncia la presenza di Dio e la venuta di Cristo nella storia. Ma prima di questo c’è un dettaglio importante: lo stesso Isaia citato nel testo evangelico annuncia l’arrivo di un annunciatore, di un precursore nel deserto che accompagnerà la consapevolezza della venuta di Dio nella nostra vita. Ecco allora che Gesù è preannunciato nel deserto da qualcuno che prepara la sua via affinché tutti i membri del popolo possano accoglierlo.

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Anche per noi c’è il grande annuncio della comunità dei credenti. Qui Battista è in persona ecclesiae, diremo noi teologi rappresenta tutta la Chiesa che, nonostante le sue defezioni e quelle nostre, che la componiamo e che siamo tutti peccatori nati col peccato originale, è colei che ci aiuta ad arrivare a Gesù. Dio per mezzo di tutta la Chiesa ci aiuta a raddrizzare i nostri sentieri storti per riprendere la corretta via verso Dio.

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Ora il precursore, il Battista, è colui che parla nel deserto. Porta un vestiario molto trasandato, si nutriva di piante e locuste. Questa è la tipica condizione di colui che è in una fase di purificazione della propria vita. Probabilmente il Battista viveva una forma di vita simile a quella degli Esseni che avevano la loro comunità a Qumran una setta giudaica, diremmo oggi, di stretta osservanza. Egli prepara la via in quel deserto che può essere un luogo fisico ma anche un atteggiamento interiore. Nel deserto si possono percorrere tragitti nella sabbia che non conoscevamo. Basta avere una guida saggia ed attenta che conosca lei per prima il deserto. Esperto come lo era appunto Giovanni per coloro che voleva aiutare a convertirsi e lo faceva tramite il battesimo di conversione che amministrava. Non era certo il battesimo sacramentale che conosciamo noi oggi, ma un rito di purificazione che avveniva attraverso l’immersione nelle acque del Giordano di coloro che avevano deciso di confessare e riconoscere i propri peccati. Una pratica penitenziale che lavava dai peccati, dalle colpe e dalle imperfezioni.

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Dopo essere passati nella sabbia del deserto, serve proprio l’acqua rinfrescante. Anche nella vita di fede che viviamo ora in questo Avvento. Riscopriamo quello che è per noi il sacramento del lavaggio e pulizia della nostra anima, cioè la confessione. In cui dopo aver vagliato le desertificazioni di tutti i peccati mortali, possiamo ricevere l’effusione e il lavacro della riconciliazione.

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Chiediamo al Signore di riscoprire l’umiltà quale base per la conversione quotidiana, per percorrere i nostri deserti esistenziali e abbeverarci dell’acqua sempre dissetante dell’amore di Dio.

Così sia!

Santa Maria Novella in Firenze, 3 dicembre 2022

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L’Autore del Codice Katzinger si è scelto un bersaglio che non dimentica e contro il quale nella storia nessuno ha mai vinto

L’AUTORE DEL CODICE KATZINGER SI È SCELTO UN BERSAGLIO CHE NON DIMENTICA E CONTRO IL QUALE NELLA STORIA NESSUNO HA MAI VINTO

Con la Chiesa, istituzione divina e umana, con la quale non l’hanno avuta vinta certi personaggi della storia, pensa davvero di farcela l’Autore del Codice Katzinger? In tal caso non resta che porgergli tutti i più sinceri auguri.

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                         Autore
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