Sulla Correzione filiale: «E Gesù disse alle donne che sciacquavano i panni nei pressi del Lago di Tiberiade: «”Mollate calzini e mutande e seguitemi! Io vi farò lavatrici di uomini”»

SULLA CORREZIONE FILIALE: «E GESÙ DISSE ALLE DONNE CHE SCIACQUAVANO I PANNI NEI PRESSI DEL LAGO: MOLLATE CALZINI E MUTANDE E SEGUITEMI! IO VI FARÒ LAVATRICI DI UOMINI »

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Esortiamo i nostri Lettori a non seguire le teorie fuorvianti di questi rumorosi e velenosi internauti, che si muovono su un equivoco che più volte, su queste colonne, vi abbiamo chiarito nel corso degli ultimi due anni: nella Amoris laetitia il Pontefice regnante non ha abrogato e modificato con alcun suo atto di magistero la disciplina dettata dal suo Santo e Sommo Predecessore San Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio circa il divieto, per i divorziati risposati, di poter accedere alla Comunione eucaristica.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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da Nostro Signore Gesù Cristo al Sommo Pontefice Francesco I, passando per tutti gli altri Sommi Pontefici della storia della Chiesa: nell’Orto degli Ulivi, a sudare sangue, da sempre si è soli …

Sulla Correzione filiale [cf. testo QUI], ci sono giunti tanti commenti che non abbiamo potuto pubblicare perché molti di essi sollevavano polemiche non attinenti al tema, o perché intrisi di sfoghi personali, o perché stillanti impeti d’umore che generano soggettivismi fondati sulla insussistenza del dato reale. Su questo fatto abbiamo già scritto e commentato in due articoli del 26 e 27 settembre ai quali vi rimandiamo [cf.  QUI e QUI].

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Dispiacere molto che non poche persone citino la Esortazione post-sinodale Amoris laetitia mostrando di non conoscerne né il testo né i contenuti, ma solo qualche brandello letto tra un blog e l’altro [Cf. testo integrale, QUI], opponendola ad un altro documento del Santo Pontefice Giovanni Paolo II, la Esortazione post-sinodale Familiaris consortio. In questo gioco affatto onesto, certi giocatori d’azzardo mostrano alla prova dei fatti di avere letto nella Familiaris consortio [Cf. testo integrale, QUI] ciò che vorrebbero leggere, ma che in essa non è stato scritto. Infatti, la Amoris laetitia del Sommo Pontefice Francesco I, si rifà proprio alla struttura portante della Familiaris consortio essenzialmente nei passi che mettono in risalto quello spirito di carità e di accoglienza di queste coppie irregolari, sulle quali il Santo Pontefice Giovanni Paolo II si è espresso in toni molto chiari, basterebbe solo leggerlo, ma soprattutto leggerlo tutto:

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«La sollecitudine pastorale della Chiesa non si limiterà soltanto alle famiglie cristiane più vicine, ma, allargando i propri orizzonti sulla misura del Cuore di Cristo, si mostrerà ancor più viva per l’insieme delle famiglie in genere, e per quelle, in particolare, che si trovano in situazioni difficili o irregolari. Per tutte la Chiesa avrà una parola di verità, di bontà, di comprensione, di speranza, di viva partecipazione alle loro difficoltà a volte drammatiche; a tutte offrirà il suo aiuto disinteressato affinché possano avvicinarsi al modello di famiglia, che il Creatore ha voluto fin dal “principio” e che Cristo ha rinnovato con la sua grazia redentrice» [Familiaris consortio, n. 65].

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Il Santo Pontefice Giovanni Paolo II chiarisce la posizione di irregolarità dei divorziati risposati, ed al tempo stesso mostra a loro misericordia, accoglienza e aiuto, perché questo recita l’ormai pluri-citato n. 84 della Familiaris consortio :

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«[…] esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza […]

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Eppure, di questo n. 84, da certuni elevato al di sopra dello stesso dogma trinitario, è preso, tagliato e poi unicamente commentato il solo passo finale. Un passo che ― ed è bene ripeterlo ―, funge da chiusa dopo vari periodi improntati sulla più profonda amorevolezza pastorale e misericordia cristiana:

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«[…] La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati» [cf. n. 84].

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Non essendo questa la sede idonea, sorvolo su disquisizioni puramente tecnico dottrinarie e mi limito a chiarire solo per inciso che «prassi» non è sinonimo di dogma, se non è fatto espresso riferimento alla prassi dogmatica, perché le «prassi» non sempre sono legate ai dogmi di fede. Quando infatti una «prassi» o disciplina canonica o ecclesiastica si supporta su uno o più dogmi di fede, i testi lo indicano sempre in modo chiaro. Se infatti il Beato Paolo VI avesse potuto supportare la Enciclica Humanae vitae con un “pronunciamento dogmatico”, lo avrebbe fatto, invece l’ha appoggiata e strutturata su criteri legati al diritto naturale, perché per sorreggere con un pronunciamento solenne la proibizione della contraccezione ― che ribadisco è una norma e disciplina morale espressa con alto grado di certezza ―, i supporti non c’erano. Altrimenti, il Beato Paolo VI, avrebbe fatto ricorso ad un pronunciamento solenne del magistero infallibile. Ma, piaccia o non piaccia a taluni, egli non l’ha fatto; e non l’ha fatto perché non lo poteva fare [si rimanda all’articolo di Giovanni Cavalcoli, QUI].

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Faccio quindi notare che lo spirito di amorevolezza e di misericordia che pervade la Familiaris consortio, non rispecchia la personalità soggettiva del Santo Pontefice Giovanni Paolo II o quella dei Padri Vescovi che presero parte a quel Sinodo del 1981, ma pervade la Divina Persona di Colui che della Chiesa è il Fondatore e Capo del suo Corpo Mistico, il quale afferma:

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« “Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori? Gesù li udì e disse: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”» [Mt 9, 11-13].

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Detto ciò capite bene quanto diverso sia questo spirito e questo magistero, rispetto al “magistero” di quegli internauti che senza alcun lume di carità cristiana usano in forma spregiativa dei termini quali «concubini», «adulteri» e «pubblici peccatori». Beninteso, esistono da sempre «concubini», «adulteri» e «pubblici peccatori», forse oggi più di ieri, ma lasciamo che a trattare certi delicati argomenti di morale cattolica che investono la vita di intere famiglie, sia la Chiesa mater et magistra, con la grazia di stato della carità che le è propria, ed evitino, certi laici arrabbiati che hanno scelto dei delicati terreni per dare sfogo alle proprie frustrazioni e disagi interiori sotto il vessillo del loro non meglio precisato Vero Cattolicesimo, di insegnare alla Chiesa come deve essere mater et magistra. Come esserlo gliel’ha insegnato e comandato Nostro Signore Gesù Cristo, ed a lui devono attenersi pontefici, vescovi e sacerdoti, che non devono prendere ordini da certi laici, ma soprattutto da quelle laiche passionarie inviperite dalla loro mancanza di umanità e di carità cristiana, incuranti del monito di Cristo Dio il quale ci ricorda che la Legge è stata fatta per l’uomo e non l’uomo per la legge [cf. Mc 2, 27]. Purtroppo, l’idolatria della legge ci sottrae da sempre al Diocentrismo per farci sprofondare nell’omocentrismo :

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«Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo: Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”» [Mt 15, 7-9].

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Purtroppo sono molti i Lettori che ci hanno scritto citando come fossero testi del magistero infallibile le stoltezze scritte in forme a volte deliranti su vari siti e blog della impropriamente detta vera traditio catholica; quelli dai quali più volte, nel corso di questi anni, noi Padri de L’Isola di Patmos abbiamo messo in guardia i fedeli cattolici agendo in tal senso per imperativo di coscienza sacerdotale, non ultimo considerando che Cristo Dio, il suo gregge da pascere, lo ha affidato ai suoi sacerdoti, non a certi laici arrabbiati di non meglio precisata cattolicità che imperversano per la rete e che sfuggono a ogni correzione ed a qualsiasi contraddittorio, mostrando all’occorrenza una mancanza totale di rispetto quando sacerdoti con esperienza pastorale e adeguata formazione teologica, dottrinale e giuridica, li richiamano e li invitano a correggersi dall’errore. Il tutto, manco a dirsi, prende vita dal dramma generato della gran confusione di ruoli che oggi imperversa all’interno della Chiesa, dove anche l’ultima delle catechiste non esita a fare pelo e contropelo in pubblico ― e si noti bene ― neppure al parroco, ma direttamente al vescovo. E se qualcuno le fa presente che è uscita fuori di senno, perché il custode del deposito della fede è per Sacramento di grazia il vescovo e non certo lei, ella ribadirà senza alcun problema, più convinta che mai: «Ah, ma io faccio la catechista da trent’anni ed ho esperienza sufficiente per dire che il vescovo sbaglia, perché è mio dovere difendere la fede, come Santa Caterina da Siena!». E qui va detto tra le righe, prima di procedere oltre nel discorso, che a Santa Caterina non passò mai per la mente di dare pubblicamente del bischero al Vescovo di Siena, neppure se alcuni di essi furono tali in epoche passate e in epoche recenti.  Alla catechista passionaria possiamo poi aggiungere la capitolina ripiena di sacro fuoco, che forte del suo diplomino preso presso quella notoria fabbrica di geni della teologia del Theresianum, rincara la dose dicendo: «Ma io sono una teologa!». E questo le da quindi il diritto di criticare tutto e tutti dal suo blog, a partire dal Sommo Pontefice sino all’ultimo vescovo dell’orbe catholica, per non parlare delle bacchettate elargite ai preti conciliaristi ai quali ella insegna da anni come devono celebrare il Santissimo Sacrificio della Messa. Inutile dire, a questa come all’altra pia donna che tra libri e articoli sproloquia da anni indicando il vescovo scismatico ed eretico Marcel Lefebvre come un novello Sant’Atanasio di Alessandria, che cosa accadrebbe a tutto questo rumoroso e invadente gineceo se costoro si azzardassero fare le pulci ai preti lefebvriani, od a dire anche all’ultimo dei sacerdoti ordinati appena venticinquenne presso la loro adorata Fraternità Sacerdotale San Pio X, come deve celebrare la Santa Messa. Perché non provano a farlo? E, dopo averlo fatto, ci narrino a quanti metri di distanza sono state fatte rimbalzare come delle palle di gomma lanciate a gran forza sul muro  …

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… insomma, proprio come se Gesù Cristo avesse preso un gruppetto di Signore impegnate a sciacquare i panni ai lavatoi nei pressi del Lago di Tiberiade, ed avesse detto loro: «Donne, mollate calzini e mutande e seguitemi, perché io vi farò lavatrici di uomini!».  

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Faccio pertanto notare che tutte le teorie dannose propinate da questi soggetti accecati da vero e proprio odio aggressivo nei riguardi del Pontefice regnante, possono essere smontate con una semplice constatazione: questi internauti che sulla rete telematica hanno istituito le loro fantastiche cattedre di diritto canonico, di teologia dogmatica e di morale cattolica, presentandosi come difensori della vera e pura Traditio, da una parte negano l’autorità di un intero Concilio ecumenico della Chiesa, sino ad indicare il Vaticano II in toni sfottenti come «conciliabolo», ma al tempo stesso pretendono di conferire rango di dogma, al pari dei grandi dogmi cristologici, al n. 84 della Familiaris Consortio del Santo Pontefice Giovanni Paolo II. E qui verrebbe da dire: scusate, Gentili Signori e Signore dall’evidente spirito border-line, ma quel Pontefice di cui elevate a “vessillo dogmatico” il n. 84 della Familiaris Consortio, non è forse lo stesso che voi, poco prima, in pagine e pagine insultanti intrise di acrimonia, avete accusato di eresia per il «diabolico» incontro ecumenico promosso ad Assisi dalla Comunità di Sant’Egidio? Sia chiaro, neppure a me è mai piaciuto quell’incontro e non ho mancato in diversi miei scritti intrisi al santo vetriolo di definirlo persino il «Gran carnevale di Rio de Janeiro in trasferta ad Assisi». Però non mi è mai passato per la mente di ergermi a censore del Santo Pontefice Giovanni Paolo II o peggio di accusarlo di «apostasia dalla fede cattolica», come invece hanno scritto, affermato e ripetutamente dichiarato coloro che considerano però come dogma superiore al Simbolo di fede niceno-costantinopolitano le sole due ultime righe del n. 84 della Familiaris Consortio,  scritta da quello stesso Santo Pontefice Giovanni Paolo II da loro ripetutamente tacciato di eresia e indicato come «l’apostata ecumenista». E nel dogmatizzare le ultime due righe di questo numero, ignorano completamente e dolosamente le venti che lo precedono, che sono un richiamo, anzi un vero e proprio inno di lode alla carità, alla misericordia ed alla accoglienza di queste coppie irregolari, molte delle quali vivono con disagio la loro situazione in rapporto ai loro intimi sentimenti cristiani.

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Vi prego, cari Lettori e devoti Fedeli cattolici «siate sobri e vigilate, il vostro avversario, il Diavolo, va attorno a guisa di leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli stando fermi nella fede» [I Pt 5, 8-9]. E se la mia grazia sacerdotale può esservi di ausilio, valutate bene, ve ne prego, queste mie parole basate su dati di fatto oggettivi, su testi scritti e su lunghi anni di campagne denigratorie portate avanti contro gli ultimi cinque Sommi Pontefici della storia della Chiesa, ad opera di coloro che oggi vi si presentano come difensori della vera fede dinanzi ad una Chiesa dagli stessi definita «eretica e apostata». Affermazione basata su una ignoranza teologica e dottrinaria sconcertante, perché la Chiesa è il Corpo di Cristo, di cui lui è capo e noi membra vive. Può forse dunque, Cristo Dio, essere «eretico e apostata»? Che la Chiesa visibile ― ossia la struttura ecclesiastica ― sia invasa e pervasa da peccato e da corruzione morale, è tanto indubitabile quanto evidente, ma la Chiesa corpo mistico di Cristo è santa e immacolata, per noi credenti. Purtroppo non è però così per le cordate di questi disagiati spirituali, che proseguono a trattarla come un fenomeno politico, per dare sfogo al suo interno a scontri politici basati su pretesti dottrinari.

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Ah, se i miei Confratelli Sacerdoti tornassero solo a insegnare e trasmettere i fondamenti del Catechismo della Chiesa Cattolica, in questa nostra Chiesa visibile sempre più ridotta ad una via di mezzo tra una associazione filantropica, una associazione politica della sinistra radical chic e, non ultimo, un’associazione a delinquere!

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Esortiamo pertanto i nostri Lettori a non seguire le teorie fuorvianti di questi rumorosi e velenosi internauti, che si muovono su un equivoco che più volte, su queste righe, vi abbiamo chiarito nel corso degli ultimi due anni: nella Amoris laetitia il Pontefice regnante non ha abrogato e modificato con alcun suo atto di magistero la disciplina dettata dal suo Santo e Sommo Predecessore Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio circa il divieto, per i divorziati risposati, di poter accedere alla Comunione eucaristica.

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Valutate poi quanto sia cosa aberrante ed empia il pretendere di dogmatizzare da una parte delle discipline ecclesiastiche che non sono affatto dogmi della fede né pronunciamenti vincolati dal grado solenne della infallibilità pontificia [cf. Ad tuendam fidem], ma al tempo stesso negare in modo ostinato e aggressivo l’autorità delle due Costituzioni dogmatiche del Concilio Vaticano II, che a dire di certi aggressivi internauti sarebbe stata solo un’assise pastorale, quindi si tratterebbe di un cosiddetto concilietto di terza classe senza alcuna validità. Insomma, quattro “chiacchiere tra amici” fatte dai Vescovi di tutto il mondo col Romano Pontefice negli anni Sessanta del Novecento, non avendo gli uni e l’altro di meglio da fare per impiegare il loro tempo. E una volta affermato questo e rigettato un intero concilio della Chiesa, in quanto a loro dire non dogmatico, ecco che i soliti noti procedono poi ad elevare a rango di dogma della Santa Fede Cattolica ― e di grado ben superiore allo stesso dogma della Incarnazione del Verbo di Dio fatto uomo ―, il Motu proprio Summorum Pontificum del Venerabile Pontefice Benedetto XVI sulla liturgia antecedente la riforma liturgica del 1970. Ora, è davvero inutile aggiungere che se i risultati di questo Motu Proprio sono stati di fatto anche il dare in mano a non poca gente un Messale di San Pio V usato oggi come un machete affilato per aggredire la Chiesa ed il Papato e per creare divisioni, forse sarebbe bene che il Pontefice regnante valutasse l’opportunità di revocarlo quanto prima per ragioni di prudenza pastorale, evitando che l’Eucaristia, centro della vita e dell’unità della Chiesa universale, finisca con l’essere usata in modo diabolico per creare attriti e divisioni tra il Popolo di Dio, ad opera di non pochi disagiati spirituali e di gruppi di politicanti mossi da ideologia aggressiva e distruttiva.

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Tutto questo, sia ben chiaro, è stato testé espresso da un sacerdote che come il sottoscritto si sentirebbe molto a proprio agio se una nuova riforma liturgica riportasse il celebrante sull’altare volto coram Deo, con il messale in lingua latina del Beato Paolo VI, ad eccezione della liturgia della parola proclamata in lingua nazionale, con dei canti liturgici idonei e rigorosamente approvati dall’Autorità Ecclesiastica, col suono dell’organo classico, senza più chitarrine strimpellate, bonghi ritmati e, meno che mai, danze e battimani, ma soprattutto col rispetto del sacro silenzio liturgico e via dicendo a seguire …

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La Correzione filiale, sempre per usare terminologie del lessico puramente teologico, è “stolta” ed “empia”. Ma soprattutto è un autentico processo alle intenzioni basato non su quanto affermato dal testo scritto della Amoris laetitia, ma su ciò che i redattori presumono che il testo scritto possa voler dire ed eventualmente affermare, attribuendo in tal modo al Romano Pontefice cose che egli, di fatto, non ha mai affermato, né tanto meno concesso. Poi, che su certi temi legati ai fondamenti dogmatici della fede e della morale cattolica, viga oggi la massima confusione, questo è un dato di fatto incontrovertibile; ma è un fatto molto antecedente al pontificato del Sommo Pontefice Francesco I, ed è anche un fatto parecchio antecedente la pubblicazione di Amoris laetitia, che contiene indubbiamente anche lacune o espressioni non felici e chiare, che però non sono le prime, né tanto meno nuove nella storia dei testi della Chiesa. Io che per varie ragioni ha avuto modo di seguirne per anni sia il processo di beatificazione, sia di partecipare attivamente con mie pubblicazioni alla smentita delle false accuse rivolte al Venerato Pontefice Pio XII da diversi autori, ho più volte spiegato e documentato che la crisi della Chiesa, assieme alle derive teologiche, avevano già preso tutte forma definitiva sul finire del suo pontificato alla metà degli anni Cinquanta del Novecento. Più volte ho anche cercato di spiegare e dimostrare che la celebre enciclica del Pontefice Pio XI, Ad catholici sacerdotii [cf. testo QUI], scritta nella metà degli anni Trenta, contiene già tutte le critiche al germe di questa crisi, oltre al fatto che tra le righe di questa enciclica emergono molte delle istanze impresse da Antonio Rosmini il secolo prima nel suo testo Sulle cinque piaghe della Chiesa, che pure concorse a giovargli la messa all’indice, salvo poi esser proclamato in seguito beato.

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Purtroppo, gli estensori della Correzione filiale, incluso tra di essi anche un epistemologo, ignorano che periodi ripetitivi, lacune per carenza di spiegazioni più approfondite e talune espressioni che potevano essere formulate in modo migliore, emergono anche dal testo del Concilio di Trento, che dopo quello di Nicea è considerato da molti studiosi uno dei più articolati e completi concili della storia della Chiesa, in tutti i suoi aspetti dogmatici, disciplinari e pastorali; ed io personalmente lo considero tale. 

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Sul piano canonico, la Correzione Filiale è uno scritto insussistente che non rispetta la struttura e la formulazione propria richiesta, ed è privo di quella chiarezza e di quella necessaria concretezza che i firmatari accusano essere carente nel testo della Amoris laetitia del Sommo Pontefice Francesco I.

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Sul piano teologico, manca tutta la spiegazione circostanziata ed approfondita in base alla quale possa essere supportata anche una sola e mera ipotesi di eresia diretta o indiretta, indicando anzitutto i dogmi contro i quali vanno a configgere certe espressioni, ed in che modo, queste espressioni, eventualmente ereticali, sono state formulate.

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Anche se il documento Amoris laetitia contenesse al proprio interno dei passaggi ambigui o non chiari ― e indubbiamente li contiene ―, esso non contiene però alcuna concessione o dispensa data dal Sommo Pontefice in deroga al n. 84 della Familiaris consortio. E chi afferma che «con la prassi pastorale si vuole distruggere la dottrina», cade di fatto, oggettivamente, nel processo alle intenzioni. Anche perché, se alcuni tentassero davvero di intaccare la dottrina attraverso la prassi pastorale, ciò che alla fine conta, non è che essi ci provino, ma che essi ci riescano, posto che in una simile impresa non potranno mai beneficiare sul consenso esplicito o tacito di questo come di nessun altro Pontefice. Pertanto, non si può domandare al Sommo Pontefice, dopo avere fatto il processo alle sue intenzioni, di ritirare la concessione di ciò che egli non ha mai concesso, vale a dire la possibilità, mai data ai divorziati risposati che vivono in situazioni di adulterio, o in situazioni cosiddette irregolari, di poter accedere alla Santissima Eucaristia.

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Sebbene quella lamentata nella Correzione filiale fosse la ambiguità di alcuni passaggi della Amoris laetitia, i redattori hanno mescolato nel loro testo vari frammenti di discorsi fatti “in modo colloquiale” dal Romano Pontefice nella propria veste di dottore privato, aggiungendo altresì, sul finale dello scritto, aspetti legati alla critica del modernismo e del protestantesimo. Tutto questo da vita ad un testo confuso, o come si direbbe in altro gergo espressivo “ad un minestrone”, privo di criteri giuridici e teologici, formulato in modo molto scorretto.

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Oltre all’inconsistenza canonica e teologica, la Correzione filiale è soprattutto una grave mancanza di rispetto e di carità cristiana verso la Augusta Persona della Santità di Nostro Signore Gesù Cristo il Sommo Pontefice Francesco I, formulata principalmente anche da un gruppo di teologi che, da tempo, hanno perduto di vista il fatto che loro sono a servizio del magistero della Chiesa, non sono al di sopra di esso e tanto meno suoi censori. Il teologo che rigetta gli atti del magistero cessa di essere cattolico, assumendo di conseguenza ― sia esso tradizionalista o progressista ―, degli atteggiamenti molto peggiori di quelli assunti dal Reverendo Prof. Hans Küng, che si è solo “limitato” a criticare certi atti del magistero, ma non li ha mai definiti o indicati come eterodossi. E chi tra tutti pare non aver capito questo, alla prova dei fatti pare purtroppo essere stato il caro Antonio Livi, col quale non so, se per grazia o sventura, morirà sommersa nel microcosmo dell’egocentrismo la grande Scuola teologica romana. Pertanto complimenti al caro Antonio Livi, al quale sarebbe bastato solo un pizzico di narcisismo in meno e un livicentrismo più moderato; sarebbe bastato che avesse imparato ad ascoltare anche gli altri, anziché solo se stesso, per evitare di far stravincere la Scuola di Bologna. Proprio così: la Scuola di Bologna ha vinto, mentre Antonio Livi, ultimo esponente della gloriosa Scuola romana, era impegnato a parlarsi addosso con l’estetizzante Enrico Maria Radaelli, mentre tutti gli incazzati della Fondazione Lepanto, appoggiata all’angolo la loro alabarda cavalleresca, gli battevano le mani e gli dicevano: «Siete dei grandi!». Intanto, la casa avvolta dalle fiamme bruciava, mentre loro cercavano di mordere le mani a chi, inutilmente, come il Padre Giovanni Cavalcoli, me e vari altri, hanno tentato in ogni modo di invitarli a salvarsi, ed a salvare con sé stessi anche un grande patrimonio di cultura teologica. Perché l’egolatria di certe persone si è spinta sino all’apice della peggiore distruzione: non lasciare neppure un allievo, perché per avere dei degni allievi, bisogna avere anzitutto la capacità e l’umiltà di confrontarsi con loro, ed all’occorrenza di imparare dal loro acume e dal loro ingegno. Ma se a questi egolatri, nel corso degli anni, si è avvicinato qualche allievo di potenziale talento, non hanno trovato di meglio da fare che distruggerlo, terrorizzati dall’idea che questi, in un futuro vicino o lontano, potesse impedire a loro di brillare di luce propria. Pertanto, Antonio Livi, quando se ne va in giro a pontificare nei circoli degli alabardieri e delle aspiranti contessine tutte pizzi e magico latinorum, affermando che «Alla Lateranense hanno distrutta la mia scuola», ebbene sappiate che mente spudoratamente senza sapere di mentire, perché la Scuola romana l’ha distrutta lui con il suo egocentrismo e la sua incapacità di ascolto e confronto, non l’hanno distrutta né i modernisti né i rahneriani, che né ad Antonio Livi né ad altri illustri teologi e studiosi hanno mai data considerazione, perché da mezzo secolo hanno vinto e non hanno certo bisogno di difendersi dagli attacchi di tre zanzare.

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E così, un altro patrimonio, è andato perduto. Sempre e di rigore per la gloria distruttiva del maledetto “io” di coloro che, quando rimangono soli e non hanno più con chi litigare, a quel punto cominciano a litigare con se stessi e ad auto-distruggersi.

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Riposi quindi in pace la Scuola romana e, il più tardi possibile, il suo ultimo allievo di indubbio e grande talento, Antonio Livi.

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Non hanno dovuto neppure attaccarci e farci la guerra, ci siamo distrutti da soli, annegati neppure nella gloria ma nel ridicolo, visto che l’ultima cosa che molto spesso rimane impressa nella memoria è la faccia cadaverica del vecchio morto truccato dall’estetista dell’impresa di pompe funebri, non l’immagine di quello che fu il massimo splendore della sua giovinezza, ma la penosa faccia imbellettata del Caro Estinto, mentre alabardieri e contessine piangono uno struggente lamento in magico latinorum sul colle Aventino presso la Fondazione Lepanto, gridando «eresia, eresia, siamo allo scisma!». 

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È il misero trionfo delle tre zanzare incazzate che hanno infine tentato di pungere il vecchio e antico elefante che siede da duemila anni sulla Cattedra di Pietro, correggendolo però in modo filiale, molto filiale …

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da L’Isola di Patmos, 30 settembre 2017

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4 commenti
  1. Navigare necesse est dice:

    Caro Padre Ariel,
    mi sembra che vi sia molto di vero in quanto Lei ha qui scritto. Anche a proposito di quella che potremmo chiamare “ricezione maligna” del Motu Proprio “Summorum Pontificum”. A quest’ultimo riguardo mi permetta però una brevissima riflessione. A me sembra che l’appropriazione indebita della S. Messa V.O. da parte di paralefebvriani e paralefebvriane (consapevoli o no d’esser tali) sia almeno in parte da attribuire alla resistenza – attiva o passiva – che il Motu Proprio ha incontrato presso gran parte delle diocesi. Non pensa che la via più giusta, più intelligente e soprattutto più efficace per sottrarre il rito latino antico alla strumentalizzazione ideologica che ne hanno operato certi pessimi soggetti non vada cercata nella revoca del Motu Proprio (o nell’attribuzione di una discrezionalità applicativa ai singoli vescovi), bensì nella sua “normalizzazione”? Se, infatti, la S. Messa V.O. fosse (stata) introdotta di buon grado in più parrocchie di numerose diocesi (indipendentemente dalla presenza di un gruppo stabile di richiedenti), ricezione maligna e appropriazione indebita sarebbero (state) circoscritte, marginalizzate e infine sconfitte,…

  2. PetrusLXXVII dice:

    Caro padre Ariel,

    Condivido la sua opinione sulla “correzione filiale” in merito alla forma.. un po’ meno riguardo alla sostanza. Va bene che riconosce che in Amoris Laetitia siano presenti alcune espressioni non proprio brillanti in quanto a chiarezza, però se questo documento merita un’assoluzione piena in merito alla coerenza con l’insegnamento costante della Chiesa, come lei dice, perché quattro cardinali (che lei ha dato prova di stimare) hanno sentito l’esigenza di chiedere al Papa di confermare che nelle sue intenzioni, riposte in AL, vi sia effettivamente la continuità supposta?

    Mi permetta anche di farle un appunto… ho trovato alquanto curioso il giudizio che indirettamente ha espresso su Benedetto XVI, valutando deleterio per la Chiesa il suo Motu proprio (che liberalizza un messale, aimè, a me ignoto). Ritengo che in tal modo ha finito per negare la profonda intelligenza teologica di quel Papa, che sono sicuro non avrà agito da sprovveduto nell’emanare tale disposizione, bensì con saggia lungimiranza. E’ curioso che così facendo, finisca per riconoscere una maggior imprudenza a Benedetto di quanta non ne riconosca a Francesco.

    Sono solo osservazioni,Sono solo osservazioni, forse sbagliate!

    Cordiali saluti,

    Pietro

    • Ariel S. Levi di Gualdo
      Ariel S. Levi di Gualdo dice:

      Caro Pietro,

      i quattro Cardinali a cui lei si riferisce, compresi i due compianti venuti a mancare da poco, hanno chiesto dei chiarimenti – a giusta ragione – perché alcuni passaggi di questa Esortazione apostolica post-sinodale, se non chiariti a fondo, avrebbero potuto essere male interpretati e arbitrariamente applicati, come è accaduto per esempio da parte dei Vescovi siciliani, che hanno mutato delle ipotesi in norme.

      Il problema, ed in particolare per un uomo di grande acume e preparazione come lo era il Cardinale Carlo Caffarra, non era una eventuale “discontinuità” col precedente magistero, ma le interpretazioni arbitrarie che alcuni ne avrebbero potuto ricavare, mutando appunto delle ipotesi in norme, come hanno fatto i vescovi siciliani.

      Il Motu proprio Summorum Pontificum sulla liturgia non è stato deleterio da parte del Sommo Pontefice Benedetto XVI ma è stato reso deleterio da coloro che da subito lo hanno usato, ed al presente seguitano a usarlo, come strumento di contrapposizione, divisione e “lotta politica”. Tutt’altre erano infatti le intenzioni di Benedetto XVI, che ben conosciamo, a partire dal desiderio che un grande patrimonio liturgico come il Messale di San Pio V non andasse perduto.

      Non è stata infelice la scelta di Benedetto XVI, ma si è trattato di una scelta mutata in scelta non felice da parte di quegli ideologi che oggi osano chiamare il Messale di San Pio V “il messale della messa di sempre” e quello nato dalla riforma liturgica e promulgato dal Beato Paolo VI come “il messale protestantico nato dal conciliabolo“.

      Se questi sono la buona parte dei risultati prodotti da questo motu proprio, che sono risultati non imputabili né a Benedetto XVI né alle sue scelte, ma alle persone che ne hanno fatto l’uso testé descritto, tanto vale eliminare il problema togliendo a queste persone certi strumenti di lotta, litigio e disprezzo.

      Pertanto, a mio parere, sarebbe opportuno, vista la situazione che si è creata, che il Venerabile Messale di San Pio V possa essere usato a discrezione dei vescovi diocesani, con facoltà data agli stessi di proibirne l’uso quando esso dovesse essere usato e strumentalizzato da certi gruppi di persone per lotte e litigi che compromettono la comunione della Chiesa, che nella Sacra liturgia ha il proprio cuore pulsante e centro di unità.

      Per quanto riguarda i due Sommi Pontefici in questione, così diversi tra di loro, non ho problemi a dirle che, Benedetto XVI, ha commesso errori pastorali e di valutazione come li hanno commessi tutti i pontefici, santi e dottori della Chiesa inclusi, ma non è tacciabile di spirito imprudente; al contrario del Sommo Pontefice Francesco I, che ha una indubbia utilità nella economia della salvezza, ma che talvolta, sulla imprudenza, pare invece marciarci, a partire dalle non poche improvvide risposte, a volte anche molto infelici, date nel corso di questi anni a intervistatori e giornalisti, per non parlare di svariate omelie pronunciate a braccio ed a sentimento, per le quali poi noi, per svariate settimane successive, abbiamo dovuto cercare di spiegare cosa egli intendesse dire.

      Le sue osservazioni non sono quindi sbagliate, ma giuste e legittime. Sono io che semmai potrei sbagliarmi, ed anche parecchio, in queste mie valutazioni, anzi le dirò: vorrei proprio sbagliarmi.

  3. liciozuliani dice:

    Caro Padre Ariel,
    ho letto con molta attenzione e certamente gli spunti di riflessione non sono pochi, di ciò la ringrazio. Oso tuttavia esprimere l’impressione, mi auguro errata, che le sue osservazioni su Mons. Livi siano almeno parzialmente improntate ad un certo qual risentimento personale legato alle vicende trascorse nell’ambito di codesta Isola. D’altronde ritengo che sia giustificato e lecito chiedersi perchè il Santo Padre non risponda con un evangelico SI o NO ai dubbi variamente espressi.
    Cordialmente,
    Licio Zuliani

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