In morte di Benedetto XVI che iniziò il ministero petrino dicendo: «Pregate per me perché io non fugga per paura davanti ai lupi»

IN MORTE DI BENEDETTO XVI CHE INIZIÒ IL MINISTERO PETRINO DICENDO: «PREGATE PER ME PERCHÉ IO NON FUGGA PER PAURA DAVANTI AI LUPI»

Tra le tante cose che in queste ore si stanno dicendo su Joseph Ratzinger, la più vera e lusinghiera reputo sia questa: «Ha servito la Chiesa ma non si è servito di Essa».

— Attualità ecclesiale —

                   Autore
        Ivano Liguori, Ofm. Capp..

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Sui mass media si stanno moltiplicando in questi giorni ― e seguiteranno a moltiplicarsi nei prossimi giorni ― commenti di personaggi e personalità, assieme a un esercito di personaggi in cerca d’autore, che non conoscono i fondamenti del Cattolicesimo, la sua ecclesiologia, la sua specifica liturgia e il suo diritto interno. Parlare infatti del «funerale del Papa» è un’espressione per così dire puramente popolare. E questo da sempre, non solo nel caso di Benedetto XVI. Alla morte del Romano Pontefice non si celebra il funerale del Papa ma di colui che lo è stato. In passato, dopo la morte, avveniva il cosiddetto “rito del martello”. Il decano del Collegio Cardinalizio batteva tre colpi sulla fronte del defunto con un martelletto pronunciando la frase «Vere Papa mortuus est» (il Papa è veramente morto). Poi lo chiamava non più con il nome assunto alla sua elezione al sacro soglio, ma con il suo nome di battesimo. Cosa questa che ha un suo significato molto profondo: il pontificato cessa con la morte, non sopravvive a essa.

Benedetto XVI, il Sommo Pontefice che amava i gatti

Il rito del martelletto fu compiuto l’ultima volta nel 1922 alla morte di Benedetto XV. In seguito, quando nel 1939 morì Pio XI, l’allora decano del Collegio Cardinalizio Eugenio Pacelli, che diverrà suo successore col nome di Pio XII, non utilizzò il martelletto, rito che da quel momento è caduto in disuso. È comunque bene chiarire in questa occasione che da sempre celebriamo le esequie di colui che è stato Romano Pontefice, che cessa di essere tale al momento della morte per tornare l’uomo che era prima dell’elezione. Mentre infatti un episcopo e un presbitero rimangono tali in eterno, in virtù del Sacramento indelebile che hanno ricevuto e che valica quindi la morte stessa, il Romano Pontefice, che la sua potestas l’ha invece ricevuta per via giuridica e non per via sacramentale [cfr. QUI], cessa di essere tale con la morte, per questo è chiamato con il nome di battesimo. Quello di Benedetto XVI è un caso ancora più particolare, perché ha cessato di essere il Romano Pontefice 10 anni fa, con il suo libero, legittimo e valido atto di rinuncia al ministero petrino.

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Tra le tante cose che in queste ore si stanno dicendo su Joseph Ratzinger, la più vera e lusinghiera reputo sia questa: «Ha servito la Chiesa ma non si è servito di Essa». Ha servito la Chiesa veramente ― «un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore» ― come ebbe a dire di sé stesso il 19 aprile 2005 subito dopo la sua elezione al soglio del Principe degli Apostoli. Poi pochi giorni dopo, il 24 aprile, durante la Santa Messa per l’inizio del ministero petrino pronunciò nell’omelia una frase che solo diversi anni dopo abbiamo compreso, anche se tutt’oggi resta da comprenderne il vero significato fino in fondo: «Pregate per me perché io non fugga per paura davanti ai lupi» [cfr. QUI].

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Questo servizio non ha avuto alternanze ma è stato costante: sia come Pontefice che come cardinale e vescovo e ancor prima come sacerdote; sia come teologo che come studioso del mistero di Dio che ha sempre amato, indagato e difeso nel suo compito di Prefetto alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Il consenso unanime e intellettualmente onesto di coloro che lo hanno conosciuto personalmente ― alcuni dei quali non credenti o smaccatamente non cattolici ― orienta il cuore dei fedeli cristiani verso questa valutazione di merito, lasciando pertanto a Dio le immancabili fragilità di un uomo che ha commesso sì degli errori proprio a causa di quelle altezze di dignità alle quali fu sottoposto, così come già vediamo presenti nella vita del beato apostolo Simon Pietro.

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Dopo il grande e impetuoso Giovanni Paolo II, il Signore ha scelto un pastore mite ― forse troppo mite per il momento storico a cui venne chiamato a ricoprire l’ufficio petrino ― ma che non ha mai abdicato la ricerca della Verità che prima di essere una via speculativa rappresenta una persona vera e concreta, è Gesù Cristo, il Figlio di Dio, vero Dio e vero uomo, Salvatore del mondo.

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Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, è stato il ministro della Verità intesa come persona di Cristo, merce molto rara di questi tempi tra il clero “alto” e “basso”. Una verità che è stata affermata anche quando questa appariva scomoda per la Chiesa Cattolica, detta soprattutto quando poteva scandalizzare qualcuno e si rischiava di perdere seguaci: il «volete andarvene anche voi?» [Gv 6,67] è ancora valido oggi, rispetto al «Todos caballeros»?

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Una verità detta veramente con parresia anche quando questo avrebbe comportato il martirio e la persecuzione, soprattutto quando era necessario intraprendere una via di guarigione fatta di tanto purgatorio che avrebbe interessato da vicino sia i sacerdoti che i religiosi e gli alti prelati i cui scandali e vite in dissonanza con il Vangelo non potevano più essere tollerati e misericordiati buonisticamente, se non con il fermo proposito di un serio rinnovamento di vita e di ritorno alla conversione, fermo restando la doverosa riparazione davanti al mondo e davanti a Dio.

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Il valore e lo spessore di Benedetto XVI è essenzialmente questo e poco c’è altro da aggiungere: è lo spessore della Verità ed è giusto oggi ricordarlo a tutti, dirlo a noi sacerdoti, scolpirlo nella mente dei fedeli, in un momento ecclesiale di estrema fragilità in cui le febbri ternane della papolatria hanno interessato molti e dove in queste ore si assiste vomitevolmente alla fiera dei selfie con il defunto Pontefice nell’aspettativa di guadagnare ancora qualche punto fedeltà o di carriera.

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I social brulicano di reazioni circa la sua morte, diventando i bacini sociali estremamente rivelativi di quello spessore fatuo e incongruente dell’uomo moderno e del clero moderno. Ci si alterna in lodi sperticate proferite dai personaggi più improbabili che hanno voluto seguire la convenienza del momento abbandonando Joseph Ratzinger quando non era più utile per raggiungere i propri interessi personali. Si è passati dalla cappamagna ai migranti, dalle croci pettorali in oro a quelle in legno dei barconi, dalla nobile semplicità e sobrietà della liturgia alla sciatteria disadorna dei pionieri del nuovo culto inclusivo dimentico di Dio, dall’austero ordine architettonico di Piazza San Pietro alle deiezioni tra le colonne del Bernini di una Chiesa povera e basta.  

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Assistiamo al contempo alla danza delle iene, ad alcuni che godono di soddisfazione patologica per la sua morte ― spesso gli stessi che difendono i diritti e l’inclusività ― e che ora si scagliano sulla memoria del Pontefice percepito fin da subito e senza appello come il “nemico numero uno” da abbattere. Da abbattere sì, così come si devono abbattere le verità scomode che ci tengono svegli la notte, così come vediamo fare al demonio con Gesù in quel di Cafarnao: «Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!» [cfr. Lc 4,31-37].

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Oggi cancellare sistematicamente la Verità e le verità è divenuto il nuovo mantra della intellighenzia dominante, di coloro che si definiscono custodi della sapienza umana e che con il Papa teologo avrebbero dovuto saper dialogare e cercare affannosamente l’incontro con la Verità ma non l’hanno fatto. Si è preferito in quel giovedì 17 gennaio 2008 rigettare il tutto: «basta! che vuoi da noi, sei venuto a rovinarci?» Un’occasione per poter partorire la Verità nella pluriformità delle posizioni di pensiero, trasformata invece in ideologia al grido di #NOVAT all’Università La Sapienza. A distanza di dodici anni molti di quegli orgogliosi e titolati dissidenti della verità hanno fatto carriera e si godono il prestigioso e glitterato successo umano, cosa che l’umile non desidera e che non cerca perché sa bene che «Vanitas vanitatum et omnia vanitas».

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Misteriosamente Dio rivela e sfida le concezioni dominanti presenti nel mondo attraverso i semplici e gli umili lavoratori della sua vigna. Joseph Ratzinger lo è stato, un Papa che ha incarnato quel «semeion antilegomenon» del Vangelo di Luca, cioè quel segno messo lì da Dio e che molti hanno rifiutato. Solo chi ha avuto la sapienza del cuore ha rettamente inteso, capito e ora vive il tempo del silenzio. Viviamo questi giorni nella preghiera per Papa Benedetto XVI, per la Chiesa, per l’attuale Pontefice Francesco. Fatti come questi sono estremamente rari e sarebbe da stolti etichettarli al di fuori di una visione di Provvidenza divina e di sapienza non immediatamente comprensibile. Lasciamo ad altri la letteratura fantasy e le anfibologie su Benedetto XVI. A noi interessa la sua persona, il suo esempio, il suo ministero che oggi è più eloquente da morto che da vivo e che forse avrà ancora il merito di riportare molti cuori dei figli verso i padri. Tutto il resto, in bene e in male, in grandezze e limiti, in pregi e difetti lo giudicherà la storia in modo freddo e imparziale, al momento che sarà e quando sarà, se sarà …

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Laconi, 2 gennaio 2023

 

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