PER QUALE MOTIVO NOI PADRI DELLA RIVISTA L’ISOLA DI PATMOS NON ABBIAMO PARLATO DEL SINODO? PERCHÈ SIAMO PRESBITERI E TEOLOGI, NON GOSSIPPARI CHE ECCITANO GLI UMORI IRRAZIONALI DEL POPOLINO
Già prima di prendere avvio questo ultimo Sinodo è stato preceduto da proclami di non meglio precisati esperti internetici che hanno seminato un terrore non poi così dissimile da quello dei terroristi di Hamas, per portare un esempio iperbolico del tutto assurdo-paradossale. Se infatti i terroristi di Hamas uccidono civili innocenti, quest’altro genere di terroristi uccide, nei sempre più smarriti fedeli, il poco che in loro resta della fede e del sentire ecclesiale, dell’essere membra del corpo vivo che è la Chiesa.
In uno dei miei ultimi articoli al quale vi rimando (vedere QUI) ho parlato della decadenza del principio di autorità in rapporto ai social media, dove anche l’ultimo degli imbecilli può lanciarsi a trattare in modo grottesco e surreale temi che sono oggetto di complessi dibattiti storici sul piano scientifico, storico, sociale, politico, teologico …
Noi Padri di questa rivista ci siamo convinti che dinanzi a certe desolazioni vale l’antico detto di Publio Terenzio Afro (190-159 a.C), universalmente noto come Terenzio: «Tacent, satis laudant» (Tacciono e così facendo lodano). Con questa massima il celebre commediografo romano di probabile origine berbera intendeva dire che talvolta il silenzio evita che le parole espresse, anche in modo chiaro, finiscano per essere distorte o anche volutamente mal comprese da chi è propenso a fraintendere o a cercare ogni pretesto per una lite. Da questa massima terenziana nasce il celebre detto popolare «un bel tacer non fu mai scritto».
Una nota di carattere personale: per ragioni che non è necessario spiegare, nel corso di quest’ultimo Sinodo ho avuto modo di andare e venire dalla Domus Sancthae Marthae più volte, di incontrare e parlare con diversi vescovi provenienti da più parti del mondo, appurando quell’ovvio che non ho certo necessità di appurare, perché il tutto, per me come per tanti altri studiosi e teologi, rientra nell’àmbito delle cose scontate sulle quali non ci sarebbe proprio niente da discutere. Però, come scrivevo nel mio precedente articolo (vedere QUI) a volte è necessario spiegare soprattutto le cose che a noi appaiono scontate, in questo pazzo mondo decadente nel quale un esercito sconfinato di persone pensa di dare sentenze massime e inappellabili con un tweeto un post su Facebook, dopo essersi nutriti ai blog di personaggi che parlano e dissertano su questioni complesse che di prassi e rigore proprio non conoscono.
Già prima di prendere avvio questo ultimo Sinodo è stato preceduto da proclami di non meglio precisati esperti internetici che hanno seminato un terrore non poi così dissimile da quello dei terroristi di Hamas, per portare un esempio iperbolico del tutto assurdo-paradossale. Se infatti i terroristi di Hamas uccidono civili innocenti, quest’altro genere di terroristi uccide, nei sempre più smarriti fedeli, il poco che in loro resta della fede e del sentire ecclesiale, dell’essere membra del corpo vivo che è la Chiesa (cfr. Col 1, 18).
Per settimane abbiamo letto e udito proclami nei quali certi terroristi del web davano il meglio di sé stessi per disorientare i cattolici semplici e sempre più smarriti prevedendo l’imminente sdoganamento del celibato sacerdotale e dei preti sposati, le donne prete, o perlomeno le donne diacono, la benedizione all’altare delle coppie omosessuali e via dicendo a seguire. E tutti questi elementi che definire fantastici è solo eufemismo, erano annunciati come certi, anzi presentati come scontati.
Sul finire del Sinodo il Sommo Pontefice Francesco ha preso pubblicamente parola chiarendo che il celibato sacerdotale non sarebbe stato in alcun modo toccato, ribadendo quel che sappiamo da secoli: il celibato sacerdotale, che affonda le proprie radici sin dalla prima epoca apostolica e che ha un grande valore sul piano spirituale, ecclesiale e pastorale, non è un dogma di fede ma una disciplina ecclesiastica. N’è prova che anche nella Chiesa Cattolica esistono da sempre preti di rito orientale che sono sposati e hanno famiglia. Ciò premesso il Santo Padre ha ribadito che non intende in alcun modo modificare la disciplina ecclesiastica sul celibato dei sacerdoti appartenenti alla comunità di rito latino, precisando che nulla di simile «avverrà sotto il mio pontificato».
Per quanto riguarda il discorso delle donne-prete, il Sommo Pontefice Francesco si era già espresso più volte in passato, quindi non ha fatto altro che ribadire il pronunciamento dato in forma definitiva dal suo Santo Predecessore Giovanni Paolo II che chiarì per il presente e il futuro avvenire: «La Chiesa non ha la facoltà di poter concedere la sacra ordinazione sacerdotale alle donne» (cfr. QUI).
Se nelle fasi preparatorie del Sinodo si era parlato di mondo LGBT, dalla bozza del documento conclusivo questo acronimo è completamente scomparso, con sicuro dispiacere di quel gaio personaggio di Padre James Martin spalleggiato poco tempo fa con un articolo del noto settimanale pseudo cattolico Fanghiglia Cristiana, nato in origine come Famiglia Cristiana, il quale annunciava: «Papa Francesco ha ridato dignità alle persone LGBTQ e questa è una benedizione per tutti» (cfr. QUI). Dunque niente benedizione alle gaie coppie arcobalenate sotto i gradini degli altari per l’ovvia ragione che la Chiesa, con la scusa di benedire le persone che vanno sempre benedette, non è così ingenua e sprovveduta a finire col benedire quello che per la dottrina e la morale cattolica rimane il peccato contro natura (Catechismo, n. 2357), che come tale non può essere benedetto, neppure con la scusa di benedire solo le persone. Tema questo sul quale si era già espresso il Dicastero per la Dottrina della Fede (cfr. QUI). Più volte nel corso di questi ultimi anni ho scritto e spiegato che la Chiesa ha il dovere di accogliere il peccatore, specie i peggiori peccatori, perché se non lo facesse tradirebbe la missione che Cristo Dio le ha affidato (cfr. Mt 9,13), sempre facendo però bene attenzione a non accogliere mai il peccato, che non può essere accolto e tanto meno benedetto.
Per questo noi abbiamo taciuto, perché siamo presbiteri, teologi e soprattutto uomini di fede consapevoli che per quanto oggi la Chiesa stia vivendo momenti molto delicati, o se vogliamo anche confusi e tristi, mai potrà in ogni caso tradire la missione che Cristo Dio le ha affidato per andare incontro ai capricci del mondo, perché Dio ci ha scelti dal mondo ma noi non siamo del mondo (cfr. Gv 15, 18-19).
Passiamo e concludiamo con due elementi. Il primo: l’essenza dei concili ecumenici e dei sinodi della Chiesa; il secondo: l’atteggiamento insolito, forse anche discutibile e ambiguo del Sommo Pontefice Francesco.
I terroristi della Hamas-cattolica che hanno portato avanti per mesi e settimane campagne mirate ora a eccitare gli animi ora a terrorizzarli, hanno dimostrato anzitutto di non avere idea di che cosa siano concili e sinodi nella storia bimillenaria della Chiesa. Anzitutto vediamo la differenza tra i due: per concilio ecumenico si intende, come dice la parola stessa, un evento straordinario che coinvolge tutti i vescovi della Chiesa universale. Il termine “ecumenico” deriva infatti dal greco οἰκουμένη (oikoumene) e significa universale. Diversamente invece, il Sinodo, che può essere locale o anche mondiale, coinvolge una fetta di episcopato, o dei partecipanti invitati e selezionati, che possono rappresentare anche la universalità cattolica, ma che non costituiscono un concilio ecumenico, ossia quell’atto più importante e solenne della Chiesa che richiede e implica la partecipazione dell’intero episcopato cattolico.
Nell’uno e nell’altro caso, che si tratti di un concilio ecumenico o di un sinodo, i partecipanti non hanno semplicemente il diritto, ma proprio il dovere di discutere di tutto e del suo esatto contrario. Nell’ambito delle discussioni possono, anzi devono essere sollevate anche le ipotesi volendo più improbabili o anche assurde. Non facevano forse così i grandi Padri e Maestri della scolastica classica, partendo spesso nelle loro disputazioni anche da elementi persino surreali e paradossali, al fine di stimolare il senso speculativo e giungere a delle sapienti sentenze? Cosa dura questa da far capire al blogghettaro d’assalto o a coloro che con una sentenza su Twitterhanno risolto problematiche che non hanno avuto ancora una risposta definitiva da secoli. Pertanto, che certe frange di episcopato, ossia gli immancabili tedeschi e nord-europei, abbiano sollevato certe questioni, non avrebbe dovuto stupire nessuna persona, inclusi blogghettari d’assalto e twittatori, se solo avessero conosciuto i rudimenti della storia della Chiesa.
Il Sommo Pontefice Francesco rimane dal canto suo un enigma, come ebbi a definirlo in un mio vecchio articolo del 2013 commentando i suoi primi 100 giorni di pontificato (vedere QUI) dove lo paragonai al pifferaio magico di Amelin, al quale va riconosciuto un enorme merito: aver fatto venire allo scoperto tutti i topi per quelli che realmente sono, dopo che per un trentennio si erano celati nella più falsa e calcolata accondiscendenza sotto i pontificato di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Perlomeno oggi, grazie a questo Augusto Pifferaio, conosciamo i topi a uno a uno per ciò che sono e per quello che realmente pensano. Questo renderà loro particolarmente difficile, o meglio davvero impossibile potersi riciclare al prossimo cambio del timoniere della barca di Pietro, posto che a 87 anni e con problemi di salute di non poco conto il Sommo Pontefice Francesco non sarà certo eterno. Se quindi domani, come nulla fosse stato, un goliardico cardinale giunto a calarsi persino in un tombino per riallacciare la luce agli abitanti di un palazzo abusivamente occupato illegalmente (vedere QUI), si presentasse con tre metri di cappa magna e un galero sulla testa ― cosa che certi camaleonti sarebbero capaci a fare perché privi per loro natura del senso stesso del pudore ― tutti noi gli chiederemmo: “Ma tu, non eri forse quello che sotto il pontificato di Francesco andavi in pantaloni e maniche di camicia arrotolate a portare il caffè la sera ai barboni che avevano trasformato il colonnato del Bernini in un pubblico pisciatoio, dopo avere fatto sfoggio di gemelli d’oro e vesti paonazze plissettata ad arte sotto i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI?”.
Per l’ennesima volta il Sommo Pontefice Francesco li ha fatti incontrare, parlare e sfogare in un Sinodo, inducendoli a venire di nuovo tutti quanti allo scoperto. Finite le discussioni ha annunciato «poi vedremo», concludendo con un «arrivederci al prossimo anno», ammesso ovviamente che la Santità di Nostro Signore sia sempre in vita.
Delle due l’una: o siamo di fronte a un uomo che da solo è più pazzo e squilibrato di Giovanna di Castiglia, Enrico IV e Ludovico II di Baviera tutti e tre messi assieme, oppure siamo di fronte a un uomo che in un momento storico molto difficile e complesso ha fatto ciò che di meglio e più opportuno andava fatto, usando in modo sapiente e prudente la sua grazia di stato, sebbene sul momento il suo agire non possa essere compreso. Di fatto noi non possiamo affermare né l’una né l’altra cosa, perché siamo privi degli elementi per poterlo fare. Forse occorreranno molti anni, ma un giorno la storia ci chiarirà il grande “enigma” Francesco, come ebbi a definirlo nel 2013 dopo i primi 100 giorni del suo pontificato, rivelandolo come l’uomo giusto che cavalcò nel miglior modo una stagione straordinariamente delicata.
dall’Isola di Patmos, 29 ottobre 2023
.
.
È uscito ed è in distribuzione il nuovo libro di Padre Ariel, potete acquistarlo cliccando direttamente sull’immagine di copertina o entrando nel nostro negozio librario QUI
.
______________________
Cari Lettori, questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:
O se preferite potete usare il nostro Conto corrente bancario intestato a: Edizioni L’Isola di Patmos Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN: IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT: BAPPIT21D21
Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento: isoladipatmos@gmail.com
Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.
I Padri dell’Isola di Patmos
.
.
.
https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2019/01/padre-Aiel-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Arielhttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Ariel2023-10-29 18:41:242023-10-29 23:42:24Per quale motivo noi Padri della rivista L’Isola di Patmos non abbiamo parlato del Sinodo? Perché siamo presbiteri e teologi, non gossippari che eccitano gli umori irrazionali del popolino
L’AMORE CHE NASCE DALLA CARITÀ È IL FONDAMENTO DEL CRISTIANESIMO
Gesù ci insegna che non esiste un amore verso Dio che sia grandissimo, devoto ed autentico, e che non diventi amore verso il nostro prossimo. Un amore di carità che sia dunque agire secondo opere concrete e reali, per aiutare anche l’altro a crescere nella santità. Perciò come dicevano i provenzali, nell’amore o si cresce o si diminuisce.
«È evidente: l’Amore cresce o diminuisce e mai rimane uguale”. Questa bellissima frase troviamo in un antico Codice D’Amore Provenzale. In questa massima è raccolta una delle leggi fondamentali dell’amore che è la crescita continua nella donazione di sé all’altro e a Dio. L’amore è esperienza comune che tutti nella nostra vita abbiamo provato almeno una volta. Il fondamento, perciò, del nostro amore umano, quale amore di carità e di tenerezza è sempre l’amore di Dio che essendo eterno, chiede di amare di un amore eterno anche a noi.
Questo caposaldo è racchiuso nel Vangelo di questa XXX Domenica del Tempo Ordinario, dove viene enunciata la legge fondamentale del Cristianesimo. Una vera e propria rivoluzione copernicana all’interno dell’Ebraismo e del mondo greco- romano. Una novità assoluta dove il centro di tutto è il rapporto d’amore fra Dio e l’uomo.
Ancora una volta troviamo i farisei tutti uniti a tenere conciliabolo contro Gesù Cristo. La settimana scorsa gli è andata male, quando avevano mandato gli erodiani per provare a metterlo contro i romani. Questa volta inviano un dottore della Legge, un esperto che gli pone una domanda trappola. Quali 613 precetti ebraici (halakà) ritieni più importante, secondo la gerarchia ebraica? Anche questa è una domanda a trabocchetto, secondo la fallacia della falsa dicotomia. Fra i 613 precetti esisteva infatti una gerarchia e importanza. Al di là di ricordare o meno questa scala gerarchica ― che per Gesù era semplice ― la trappola consisteva nell’ascoltare la risposta di Gesù, qualsiasi sarebbe stata la risposta, ribattere che il precetto citato era invece quello meno importante. In tal modo, si voleva screditare e mostrare l’assenza di legame di Gesù con la tradizione ebraica e con Dio. Gesù ancora una volta si disimpegna da questa trappola argomentativa. E sfrutta la situazione per offrire il centro e il nucleo centrale dell’insegnamento del cristianesimo. Gesù risponde:
«”Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
La novità consiste innanzitutto nella formulazione di questi due precetti. Il primo è preso da Deuteronomio 6,5 ed è legato insieme alla legge di Santità che troviamo in Levitico 19,18. Ecco allora il legame inscindibile fra l’amore per Dio e per il prossimo già presente e prefigurato nell’Antico Testamento e viene poi così esplicitato e annunciato da Gesù. Questa risposta rompe qualsiasi contro-risposta. Ed è una risposta ancora valida per noi oggi.
Gesù ci insegna che non esiste un amore verso Dio che sia grandissimo, devoto ed autentico, e che non diventi amore verso il nostro prossimo. Un amore di carità che sia dunque agire secondo opere concrete e reali, per aiutare anche l’altro a crescere nella santità. Perciò come dicevano i provenzali, nell’amore o si cresce o si diminuisce. Si cresce nell’amore verso Dio perché le opere di misericordia alimentano continuamente la nostra scelta di fede che è una relazione con il Tu eterno di Dio, perennemente innamorato della sua creazione e dunque della umanità. Al contempo, amare di carità è scegliere di impegnarsi responsabilmente nella Chiesa, perché tutti gli altri credenti possano incontrare Cristo tramite noi. Se si smette di amare, anche la nostra vita e la nostra gioia, a poco a poco si affievoliscono. Così anche la nostra persona diviene sempre più chiusa in sé stessa. Gesù ci chiede di mettere in circolo il nostro amore autentico e tenero.
Chiediamo al Signore la forza e il coraggio di aziono generose e misericordiose, per crescere tutti uniti nel sentiero di santità che porta alla vita eterna.
Iscrivetevi al nostro Canale Jordanus del Club Theologicum diretto da Padre Gabriele cliccando sopra l’immagine
LE ULTIME PUNTATE SONO DISPONIBILI NELL’ARCHIVIO: QUI
.
Visitate la pagina del nostro negozio librario QUI e sostenete le nostre edizioni acquistando e diffondendo i nostri libri.
.
.
.
______________________
Cari Lettori, questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:
O se preferite potete usare il nostro Conto corrente bancario intestato a: Edizioni L’Isola di Patmos Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN: IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT: BAPPIT21D21
Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento: isoladipatmos@gmail.com
Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.
I Padri dell’Isola di Patmos
.
.
.
https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2021/09/padre-Gabriele-piccola.png?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Gabrielehttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Gabriele2023-10-29 14:16:422023-10-29 14:30:19L’amore che nasce dalla carità è il fondamento del Cristianesimo
«AMERAI IL TUO PROSSIMO COME TE STESSO» DA QUESTI DUE COMANDAMENTI DIPENDONO TUTTA LA LEGGE E I PROFETI
Gesù andò subito oltre con la sorprendente novità che non ha riscontri nella letteratura giudaica antica: «Amerai il prossimo tuo come te stesso». Egli, risalendo alla volontà del Legislatore, discerne che amore di Dio e del prossimo stanno in una relazione inscindibile tra loro: l’uno non sussiste senza l’altro.
Nel lezionario, tralasciata la discussione con i sadducei a proposito della risurrezione, si giunge, col vangelo di questa XXX Domenica del tempo ordinario, ad una nuova diatriba che si apre con Gesù interrogato dai suoi avversari, ma, ancora una volta, per metterlo alla prova.
«In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente». Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». (Mt 22,34-40)
Sono gli ultimi giorni di Gesù nella città santa di Gerusalemme, prima dell’arresto e della passione, ed egli sa che il cerchio intorno a sé si sta stringendo sempre più. Nella nostra pagina di Vangelo entrano di nuovo in scena i farisei, e tra loro un dottore della Legge, un teologo diremmo noi, un esperto delle sante Scritture, che nuovamente si rivolge a lui chiamandolo: Rabbi(Maestro, διδάσκαλε). Infatti non si era mai vista una cosa del genere, che un carpentiere si fosse messo in testa di insegnare e dare consigli sulla Torah, su come si onori Dio, su cosa sia lecito e cosa proibito. La cosa non era ben vista come attestò Ben Sira al principio del terzo secolo a.C: «Chi è libero dalla fatica diventerà saggio»1; e nei Vangeli non si parla mai di una scuola esegetica di Gesù. Le sorprendenti interpretazioni della Torah, che gli permettono di contrastare le insidie dialettiche degli avversari, non verranno replicate dai suoi discepoli. Se Gesù viene chiamato rabbi(maestro) è per la sua autorità e per la capacità di approfondire la Scrittura in modo creativo. Non è però il genere d’insegnante che formi allievi, per trasmettere loro i propri metodi esegetici. Mentre nel giudaismo rabbinico, che si affermerà dopo la distruzione del secondo Tempio nel 70, l’allievo è destinato a sostituire e, se possibile, a superare in sapienza il maestro, i discepoli di Gesù rimarranno per sempre tali, senza la possibilità di emularlo in campo intellettuale.
Proprio i rabbini avevano individuato nella Legge, la Torah, oltre le dieci parole (Es 20,2-17), ben 613 precetti, per cui la domanda posta a Gesù sembra pertinente e verteva sulla semplificazione: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Era un argomento dibattuto come testimonia questa risposta rabbinica: «Rabbi Simlaj disse:
«Sul monte Sinai a Mosè sono stati enunciati 613 comandamenti: 365 negativi, corrispondenti al numero dei giorni dell’anno solare, e 248 positivi, corrispondenti al numero degli organi del corpo umano… Poi venne David, che ridusse questi comandamenti a 11, come sta scritto [nel Sal 15]… Poi venne Isaia che li ridusse a 6, come sta scritto [in Is 33,15-16]… Poi venne Michea che li ridusse a 3, come sta scritto: «Che cosa ti chiede il Signore, se di non praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio? » (Mi 6,8) … Poi venne ancora Isaia e li ridusse a 2, come sta scritto: «Così dice il Signore: Osservate il diritto e praticate la giustizia» (Is 56,1) … Infine venne Abacuc e ridusse i comandamenti a uno solo, come sta scritto: «Il giusto vivrà per la sua fede» (Ab 2,4)» (Talmud babilonese,Makkot, 24a).
Gesù rispose ponendo in evidenza, ancora una volta, la sua capacità di far riferimento a ciò che è fondamentale e proponendo a seguire una sorprendente novità, legando un secondo comandamento al principale, dichiarandoli simili e facendo di ambedue una corda sulla quale sta in equilibrio tutta la struttura dei rimanenti comandi, anzi l’intero complesso della Parola di Dio. Se da essa si distaccano cadono a terra. Questo è il senso del verbo kremamai― κρέμαμαι ― del verso v.40, ovvero essere appeso, sospeso, penzolare; che è stato reso con dipendere: «Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
Dove trovò Gesù il fondamento per giustificare la grandezza del primo comandamento? Nella preghiera, nella fattispecie quella dello Shemà(Ascolta) che apriva e chiudeva la giornata dell’ebreo religioso e in particolare quella di shabbat, il sabato:
«Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua vita e con tutta la tua mente» (Dt 6,4-5). E chiosò: «Questo è il grande e primo comandamento».
Poi Gesù andò subito oltre con la sorprendente novità che non ha riscontri nella letteratura giudaica antica: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Lv 19,18). Egli, risalendo alla volontà del Legislatore, discerne che amore di Dio e del prossimo stanno in una relazione inscindibile tra loro: l’uno non sussiste senza l’altro. Il comando di amare il prossimo è, nel Vangelo di Matteo, il testo veterotestamentario più citato: si trova anche in Mt 5,43 e 19,19. Significa che Gesù aveva insistito su questo precetto, ma anche che per Matteo era particolarmente necessario ricordarlo ai credenti in Cristo, quando questi non verranno più capiti ed accolti dalla loro stessa gente; purtroppo, anche dai loro stessi fratelli ebrei.
Non a caso nel nostro testo il secondo comandamento è definito pari ― ὁμοία ― al primo, con la stessa importanza e lo stesso peso, mentre l’evangelista Luca li unisce addirittura in un solo grande comandamento: «Amerai il Signore Dio tuo… e il prossimo tuo» (Lc 10,27). Gesù compie così un’audace e decisiva innovazione, e lo fa con l’autorità di chi sa che non si può amare Dio senza amare le persone.
L’amore essendo un sentimento umano non si può dire che rappresenti un propriumdel cristiano, lo è invece la fede in Gesù, il Cristo, Figlio del Padre che si è rivelato. E al cuore di questo processo c’è la manifestazione di Dio come amore. Come tutti sanno gli autori del Nuovo Testamento che hanno esplorato la profondità di questo mistero sono Paolo e Giovanni. Proprio quest’ultimo, in una sua lettera affermerà che «Dio è amore» (1Gv 4,8.16) e che «ci ha amati per primo» (1Gv 4,19). San Paolo ci farà dono dell’inno alla carità (1Cor 13). Tutte queste parole rivolte in prima istanza ai discepoli di Gesù di ogni tempo, sono ormai il segno distintivo di chi crede in lui, tanto da far affermare allo stesso Giovanni: «Se uno dice: Io amo Dio e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello» (1Gv 4,20-21). E questo perché il riferimento sarà sempre a Gesù che pose se stesso come termine di paragone: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35); ovvero quell’amore che mette in pratica “il comandamento nuovo”, cioè ultimo e definitivo, da lui lasciatoci: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 13,34; 15,12).
Per tornare all’esempio della corda sospesa il cristiano si troverà sempre a camminare su questa via sottile evitando di non sporgersi troppo da un lato perdendo l’equilibrio dell’altro. L’amore verso Dio e verso il prossimo si mantiene in costante equilibrio e l’uno e l’altro non costituiscono l’emblema di una stagione. Anche se adesso, nella Chiesa, si pone l’accento maggiormente sulla solidarietà e sull’accoglienza dei poveri e dei miseri, il cristiano sarà sempre un “uomo per tutte le stagioni”2. E secondo l’insegnamento di Gesù ci sarà sempre qualcuno che percorrendo la non sorvegliata scesa che da Gerusalemme porta a Gerico potrà correre il rischio di ritrovarsi mezzo morto: l’amore compassionevole sarà la risposta (Lc 10,25-37).
Anche Sant’Agostino sembra pensarla così:
«Enunciando i due precetti dell’amore, il Signore non ti raccomanda prima l’amore del prossimo e poi l’amore di Dio, ma mette prima Dio e poi il prossimo. Ma siccome Dio ancora non lo vedi, meriterai di vederlo amando il prossimo. Ama dunque il prossimo, e mira dentro di te la fonte da cui scaturisce l’amore del prossimo: ci vedrai, in quanto ti è possibile, Dio. Comincia dunque con l’amare il prossimo. Spezza il tuo pane con chi ha fame, e porta in casa tua chi è senza tetto; se vedi un ignudo, vestilo, e non disprezzare chi è della tua carne. Facendo così, che cosa succederà? Allora sì che quale aurora eromperà la tua luce (Is 58,7-8). La tua luce è il tuo Dio. Egli è per te luce mattutina, perché viene a te dopo la notte di questo mondo. Egli non sorge né tramonta, risplende sempre… Amando il prossimo e interessandoti di lui, tu camminerai. Quale cammino farai, se non quello che conduce al Signore Iddio, a colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo lo abbiamo sempre con noi. Porta dunque colui assieme al quale cammini, per giungere a Colui con il quale desideri rimanere per sempre»3.
dall’Eremo, 29 ottobre 2023
.
NOTE
1 [Contadini, fabbri, vasai, e tutti i lavoratori manuali che si affaticano giorno e notte per un compenso] «Senza di loro non si costruisce una città, nessuno potrebbe soggiornarvi o circolarvi. Ma essi non sono ricercati per il consiglio del popolo nell’assemblea non hanno un posto speciale, non siedono sul seggio del giudice e non conoscono le disposizioni della legge. Non fanno brillare né l’istruzione né il diritto, non compaiono tra gli autori di proverbi, ma essi consolidano la costruzione del mondo,e il mestiere che fanno è la loro preghiera» (Sir 38,24. 33-34)
2 Sylvester R. S.,The “Man for All Seasons” Again: Robert Whittington’s Verses to Sir Thomas More, Huntington Library Quarterly, Vol. 26, nr 2,1963, pp. 147-154.
3 Agostino d’Ippona, Commento al Vangelo di san Giovanni, Omelia 17, 7-9 (vedere QUI)
Grotta Sant’Angelo in Ripe (Civitella del Tronto)
.
Visitate la pagina del nostro negozio librario QUI e sostenete le nostre edizioni acquistando e diffondendo i nostri libri.
.
______________________
Cari Lettori, questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:
O se preferite potete usare il nostro Conto corrente bancario intestato a: Edizioni L’Isola di Patmos Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN: IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT: BAPPIT21D21
Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento: isoladipatmos@gmail.com
Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.
I Padri dell’Isola di Patmos
.
.
.
.
.
https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2023/06/monaco-eremita-piccolo-.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150monaco eremitahttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngmonaco eremita2023-10-29 12:48:032023-10-29 12:48:03«Amerai il tuo prossimo come te stesso». Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti»
«NOI SAREMO TRA QUANTI HANNO VISTO EPPURE HANNO CREDUTO». QUEL SINGOLARE CONCETTO DI «SCANDALO» DEL SOMMO PONTEFICE …
Da San Paolo VI sino a Benedetto XVI, per sessant’anni abbiamo avuto Sommi Pontefici che con esortazioni e documenti hanno raccomandato ripetutamente al clero secolare l’uso della talare, oggi abbiamo un Sommo Pontefice che la veste talare la irride assieme ai preti che la portano.
Adesso vediamo chi è che non scandalizza il Santo Padre
il presbitero Marco Pozza, intervista ufficiale al Sommo Pontefice.
.
Il presbitero Marco Pozza, intervista ufficiale al Sommo Pontefice
Il presbitero Marco Pozza, intervista ufficiale al Sommo Pontefice
Ecco l’immagine grottesca di una Chiesa totalmente de-sacralizzata da quei preti che inneggiano a una non meglio precisata «Chiesa aperta a tutti» …
E pensare che in diversi sono morti, per non togliersi la talare di dosso …
Il giovane Rolando Rivi morì martire rifiutandosi di togliere la talare di dosso, oggi sarebbe stato un «rigido» destinato a dare «scandalo»
«La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. È una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. È una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. Guarderemo l’erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto» (Gilbert Keith Chesterton, Eretici, 1905)
dall’Isola di Patmos, 25 ottobre 2023
.
.
È uscito ed è in distribuzione il nuovo libro di Padre Ariel, potete acquistarlo cliccando direttamente sull’immagine di copertina o entrando nel nostro negozio librario QUI
.
______________________
Cari Lettori, questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:
O se preferite potete usare il nostro Conto corrente bancario intestato a: Edizioni L’Isola di Patmos Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN: IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT: BAPPIT21D21
Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento: isoladipatmos@gmail.com
Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.
I Padri dell’Isola di Patmos
.
.
.
https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2019/01/padre-Aiel-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Arielhttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Ariel2023-10-26 00:14:042023-10-26 00:14:04«Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto». Quel singolare concetto di «scandalo» del Sommo Pontefice …
È MORTO L’ARCIABATE EMERITO DI MONTECASSINO PIETRO VITTORELLI: LA PIETÀ CRISTIANA PUÒ CANCELLARE LA TRISTE VERITÀ?
La pietà cristiana non può omettere la verità. Pertanto, il responsabile del sito Silere non Possum si conferma ciò che è: uno che «d’ognun disse mal, fuorché di Cristo, scusandosi col dir: “Non lo conosco”!» (Epigrafe di Paolo Giovio su Pietro l’Aretino).
— Notizie in breve —
Autore Redazione de L’Isola di Patmos
.
Tra i vari siti che si dicono “cattolici” ce n’è uno che si chiama Silere non Possum. Ne è responsabile un giovane uomo che ci risulta sia stato gentilmente accompagnato in passato alla porta d’uscita di seminari e istituzioni religiose. È forse per questo che si sente legittimato a scrivere perle di saggezza sulle problematicità della Chiesa Cattolica, ma soprattutto sulla formazione dei sacerdoti — che è quanto di più complesso e delicato possa esistere —, presentandosi a tal riguardo come esperto?
Numerosi i suoi articoli nei quali attacca ripetutamente persone e istituzioni ecclesiastiche con stile acido tutto quanto suo. Nessuno si è salvato dalle sue stilettate: dal Sommo Pontefice ― che può essere rispettosamente criticato, non però contestato e irriso ―, per seguire con alti prelati della Curia Romana e prefetti dei vari dicasteri della Santa Sede, che possono anch’essi essere criticati, ma non irrisi in modo sfottente e strafottente. Verso il direttore dei Media Vaticani e il responsabile della Sala Stampa della Santa Sede ha messo in atto un vero e proprio accanimento sino a tacciarli — nella migliore delle ipotesi — di «incompetenza» e «analfabetismo». Se la prese persino con la Gendarmeria Vaticana, composta da elementi selezionati per indubbia eccellenza nonché dotati di rara educazione e cortesia, cui ha dedicato, pur malgrado, commenti ironici riguardo la loro professionalità.
Ama presentarsi come esperto di “cose vaticane”, come se andasse e venisse dai sacri palazzi, omettendo di dire che non possiede alcun passper transitare nel territorio dello Stato della Città del Vaticano, dove non ci risulta sia ospite gradito.
non ci riguarda ad alcun titolo in che modo questo soggetto — che non risulta beneficiare del sostegno di una famiglia benestante né dei proventi di un lavoro professionale — possa bivaccare a Roma dove i costi della vita sono stati sempre alti, oggi più che mai alle stelle, perché tutt’altro è l’oggetto della questione.
Nell’articolo di oggi (cfr. QUI) questo eccelso conoscitore della Curia Romana pubblica un commento sulla morte dell’Arciabate emerito di Montecassino, Dom Pietro Vittorelli, già presentato in passato come vittima innocente assolta dall’accusa di avere sottratto danaro dai fondi dell’abbazia:
«Si conclude, oggi, una lunga e ingiusta via crucis giudiziaria iniziata nel 2017» (cfr. QUI).
Considerando che vanno di moda i dubia, intendiamo porne alcuni al responsabile di questo Sito con l’espresso invito a rispondere nello stretto merito delle sette questioni che seguono:
È vero che Pietro Vittorelli non faceva semplice uso bensì abuso di droghe pesanti e che era un cocainomane a tal punto affetto da forte dipendenza sino a finire ricoverato in una discreta clinica svizzera per essere disintossicato dove il costo per tre mesi di terapie ammontò a circa 160.000 euro?
È vero che i gravi problemi neuro-cardiologici che debilitarono fortemente Pietro Vittorelli furono la conseguenza dell’abuso ch’egli faceva di una sostanza stupefacente nota come crack, che gli causò infine una forte trombosi?
È vero che quando venne ricoverato d’urgenza gli specialisti che lo ebbero in cura rimasero imbarazzati apprendendo dalle analisi cliniche che Pietro Vittorelli risultava fare massiccio uso abituale di cocaina e cracke che fu proprio questo secondo la causa del grave attacco che lo aveva colpito e fortemente debilitato?
È vero che Pietro Vittorelli era un omosessuale praticante incontenibile che conduceva una vita in totale contrasto con la morale cattolica, i principi del sacerdozio e della vita monastica e che era solito avvalersi delle prestazioni a pagamento di giovani escortomosessuali in giro per tutta Europa, lasciando di ciò traccia nelle sue chatprivate, acquisite poi agli atti dagli inquirenti come prove documentali, nelle quali si esprimeva con stile e linguaggio di una immoralità inqualificabile?
È vero che Pietro Vittorelli girava per tutta Europa affetto da shopping compulsivo giungendo a spendere sino a circa 50.000 euro in un solo mese, con transazioni documentate dai tabulati delle sue carte di credito, pagando hotel a 5 stelle categoria lusso, ristoranti gourmet, boutique d’alta moda e profumerie?
È vero che quanto contenuto nei punti 1-5 sono tutti elementi minuziosamente documentati in atti d’indagine passati poi dagli investigatori alla Santa Sede per conoscenza, in considerazione del fatto che Pietro Vittorelli era un ordinario diocesano?
Il direttore del Sito Silere Non Possum, noto castigatore della Curia Romana, dei prelati della Santa Sede, dei Media Vaticani, della Sala Stampa Vaticana, della Gendarmeria Pontificia e via dicendo (vedere archivio dei suoi articoli) ritiene forse che quando di mezzo ci sono le gravi e immorali prodezze di un omosessuale praticante e impenitente, il tutto vada relegato nelle sfere della sua vita privata, senza che ciò possa in alcun modo incidere a livello ecclesiale e canonico-giuridico?
il tenore degli scambi che Pietro Vittorelli era solito avere con gli escort gay a pagamento: «io vado a cercà cazzi»
La pietà cristiana non può omettere la verità. Pertanto, il responsabile di questo Sito, si conferma per ciò che è: uno che «d’ognun disse mal, fuorché di Cristo, scusandosi col dir: “Non lo conosco!» (Epigrafe di Paolo Giovio su Pietro l’Aretino).
Il grande esperto di cose di Chiesa risponda a questi dubia, ma rigorosamente nel merito, oppure taccia, raccomandando con noi l’anima di questo disgraziato defunto alla infinita misericordia di Dio.
dall’Isola di Patmos 14 ottobre 2023
.
.https://www.youtube.com/watch?v=ltEAQNopUYM&t=2s
.
.
.
.
______________________
Cari Lettori, questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:
O se preferite potete usare il nostro Conto corrente bancario intestato a: Edizioni L’Isola di Patmos Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN: IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT: BAPPIT21D21
Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento: isoladipatmos@gmail.com
Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.
I Padri dell’Isola di Patmos
.
.
.
https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/faviconbianco150.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Redazionehttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngRedazione2023-10-14 16:57:412023-10-15 22:37:38È morto l’Arciabate emerito di Montecassino Pietro Vittorelli: la pietà può cancellare la triste verità?
GUERRA DEI TERRORISTI DI HAMAS CONTRO ISRAELE: «LE DICHIARAZIONI DELL’AMBASCIATORE ISRAELIANO PRESSO LA SANTA SEDE SONO STORICAMENTE FALSE E INFAMANTI»
Per certi sionisti politici che poco o niente hanno da spartire con il mondo ebraico e con l’Ebraismo, non c’è umiliazione peggiore che quella di dover essere grati a chi gli ha fatto del bene e salvata la vita.
In certe circostanze le parole vanno misurate e limitate, specie con gli esponenti di un Paese giovane nel quale difficilmente, un rozzo ex colono di qualche kibbutz può essere inserito nel corpo diplomatico e mandato in giro per il mondo completamente privo del livello e della classe richiesta dall’ufficio a lui affidato, ma soprattutto della prudenza e della conoscenza.
Sono stato allievo di Padre Peter Gumpel che assieme a Padre Paolo Molinari diressero per mezzo secolo la Postulazione Generale della Compagnia di Gesù (cfr. Federico Lombardi S.J.QUI), loro stessi mi avviarono e formarono alle cause dei Santi. A loro fu affidato il processo per la causa di beatificazione del Sommo Pontefice Pio XII, periodicamente attaccato da ambienti che niente hanno da spartire con il mondo ebraico, perché tutti legati alle frange del Sionismo politico radicale, che rispetto all’Ebraismo è tutt’altra cosa. Il tutto con buona pace di coloro che vorrebbero tacciare di antisemita chiunque desidera professarsi o essere anti-sionista. Essere contrari a qualsiasi ideologia di stampo nazionalista, tal è il Sionismo politico, è cosa lecita, purché la contrarierà non sfoci mai in forme di violenza o di lesione dell’altrui dignità.
Nei Paesi democratici si è liberi di essere anti-comunisti, anti-fascisti, anti-clericali … sono tutte libertà di pensiero e parola tutelate dalla legge stessa. Pare però che non funzioni così in quella che alcuni seguitano a chiamare «l’unica democrazia del Medio Oriente».
Nel mio libroErbe Amare – Il secolo del Sionismopubblicato nell’ormai lontano 2006 smonto pezzo per pezzo anche questa leggenda sulla «unica democrazia», spiegando e documentando che certe forzature politiche mirate a equiparare l’anti-sionismo all’antisemitismo sono in sé e di per sé aberranti. Basterebbe ricordare che gli anti-sionisti più severi sono sempre stati gli ebrei più celebri al mondo per essere stati esponenti di spicco delle scienze, della cultura e delle arti. Ne cito uno solo tra i tanti: Sigmund Freud, che mostrò sempre decisa contrarietà alla creazione dello Stato d’Israele. E quando il Movimento Sionista chiese la sua firma, ottenne un deciso rifiuto, da lui come da varie altre personalità dell’Ebraismo.
Il Sionismo Politico nasce da personaggi infarciti di marxismo e ispirati al Socialismo reale, di cui Pio XII fu avversario, come lo furono altri suoi Predecessori e Successori. A partire dalla fine degli anni Cinquanta del Novecento presero vita proprio nei circoli sionisti leggende nere sulla figura di questo Sommo Pontefice che fu attivo e operoso per la salvezza degli ebrei perseguitati e ricercati dai nazisti, ma al quale certi ideologi decisero di servire nel dopoguerra una terribile vendetta a freddo.
I Sionisti politici sono giunti infine al grottesco: i nipoti e i pronipoti dei diretti protagonisti che furono salvati dal massiccio intervento della Chiesa Cattolica — tanto che vollero affiggere dopo la Seconda Guerra Mondiale lapidi su conventi, monasteri e istituti religiosi dove ebbero salva la vita — si sono messi a smentire i propri nonni e bisnonni con affermazioni “storiche” che se non fossero tragiche rasenterebbero il comico: «Nell’immediato dopoguerra i nostri nonni e bisnonni non avevano ancora chiaro quel che realmente era accaduto». Vale a dire: circa sei milioni di ebrei sterminati in tutta Europa, ma ai diretti protagonisti che ebbero salva la vita non era ancora chiara la portata di una tragedia immane unica a suo modo nella storia dell’umanità?
In questi miei libri, alla cui lettura vi rimando, definisco il tutto con questa battuta:
«Nonno, perché credi a quello che hai visto e vissuto come protagonista, anziché credere a ciò che il tuo nipotino sionista nato agli inizi degli anni Settanta del Novecento ti racconta?».
Uno di questi nipotini è l’Ambasciatore dello Stato d’Israele presso la Santa Sede, che irritato per gli inviti alla pace da parte dei Vescovi di Gerusalemme è tornato a tirare di nuovo in ballo il Sommo Pontefice Pio XII:
«Non è fuori contesto ricordare che oggi avrà inizio presso l’Università Gregoriana un convegno di 3 giorni sui documenti del pontificato di Papa Pio XII e sul loro significato per le relazioni ebraico-cristiane. A quanto pare – conclude la nota – qualche decennio dopo, c’è chi non ha ancora imparato la lezione del recente passato oscuro» (vedere QUI).
Tutto questo conferma che per certi personaggi «essere grati a chi ti ha salvato la vita è una umiliazione che alcuni non reggono».
In un breve articolo non posso trattare temi che hanno richiesto anni di studio e ricerca, ma chi è interessato alla storia, non alle leggende di certi sionisti politici, può leggerli e appurare quanto la realtà sia diversa dalle cattiverie costruite a tavolino con rara malizia politica dai sostenitori di un movimento nazionalista nato da una eresia del Marxismo più degenerato. Questo movimento si chiama Sionismo politico e chiunque può rivendicare il diritto a essere anti-sionista senza che nessuno possa tacciarlo di essere un pericoloso antisemita, specie quei nipoti e pronipoti che privi del basilare senso del pudore pretendono di smentire i loro nonni e bisnonni che tributarono devota riconoscenza a Pio XII per opera del quale furono salvati circa un milione di ebrei nelle strutture religiose di tutta Europa, compreso lo Stato della Città del Vaticano e tutti gli stabili della Santa Sede che a Roma godono del regime della extra-territorialità secondo le leggi e i trattati del diritto internazionale.
dall’Isola di Patmos, 10 ottobre 2023
.
______________________
Cari Lettori, questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:
O se preferite potete usare il nostro Conto corrente bancario intestato a: Edizioni L’Isola di Patmos Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN: IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT: BAPPIT21D21
Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento: isoladipatmos@gmail.com
Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.
I Padri dell’Isola di Patmos
.
.
.
https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2019/01/padre-Aiel-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Arielhttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Ariel2023-10-10 00:04:362023-10-10 00:04:36Guerra dei terroristi di Hamas contro Israele: «Le dichiarazioni dell’Ambasciatore israeliano presso la Santa Sede sono false e infamanti»
INTERNET E LA DISTRUZIONE DEL PRINCIPIO DI AUTORITÀ, UN COLPO DI GRAZIA INFERTO DA LEGIONI DI IMBECILLI AL POTERE
La distruzione del principio di autorità è quell’elemento che sorregge alla base il trionfo della dittatura integralista del non sapere, di quella ignoranza crassa, cafona e violenta che è cosa del tutto diversa dal “non sapere” dell’uomo colto. E questa ignoranza crassa, cafona e violenta ha compiuto da tempo il proprio grande e devastante golpe attraverso internet e i social media.
Spesso mi capita di ricordare che quando si dialoga, o quando si spiega una precisa cosa, quando si tiene una lezione o una conferenza, quando si predica o si fa una catechesi, è sempre di importanza fondamentale partire sottolineando il vero significato delle parole, indicando e all’occorrenza spiegando con cura il vero senso etimologico dei termini usati.
Un accento sbagliato può scatenare una guerra, dissi una volta a delle persone che sul momento non capivano come mai, mentre parlavo di temi legati alla teologia dogmatica, per inciso spiegavo di tanto in tanto il significato di parole e terminologie. Ci sono infatti termini che in filosofia o in teologia hanno un significato totalmente diverso da quello a essi attribuito dal linguaggio corrente nel quale spesso, certe parole, sono state svuotate del loro etimo originario per essere riempite di altro e assumere un significato opposto. Spiegai che non solo una parola, ma persino un semplice accento può cambiare il significato di un discorso. Per esempio: la parola “pesca” può indicare sia un frutto sia un pescatore con la canna in mano che attende paziente che i pesci abbocchino all’amo, dipende dalla pronuncia orale, o da dove cade l’accento in una versione scritta. A sua volta, l’amo, può essere il piccolo uncino nel quale il pescatore attacca l’esca per i pesci, ma può essere anche l’affermazione con la quale un innamorato dichiara di amare un’altra persona. La parola “ancora” può significare sia il peso gettato nel fondale marino per bloccare la barca e impedirle di seguitare a galleggiare sulle correnti marine, ma può anche significare ripetere una data cosa. Pure in questo caso dipende dalla pronuncia orale, o da dove cade l’accento in una versione scritta.
Una platea di ascoltatori non particolarmente colti, nella quale però, proprio i più incolti, si ritenevano dei veri maestri del sapere, a poco a poco compresero quelle mie spiegazioni lessicali quando illustrai che la parola “castigo”, nel linguaggio teologico e dottrinale, ha un significato diverso da quello dato a essa nel lessico corrente. Anzitutto l’etimo castigo deriva dal latino castus(puro) e agĕre(rendere/dare/restituire). Il vero significato etimologico di questa parola è quindi “purificare”, o “rendere puro” o “restituire la purezza perduta”. Un significato completamente diverso da quello del linguaggio parlato corrente. Presto detto: se un teologo parlerà a una platea dei castighi di Dio, gli ascoltatori potrebbero capire l’esatto contrario di ciò che cercherà di trasmettere, dando semmai vita a dei fraintendimenti che non dipendono dal modo in cui si è espresso lo studioso e neppure dagli ascoltatori, ma conseguenti il fatto che l’uno e gli altri danno a questo termine un significato dissimile, finendo così per parlare due lingue diverse con l’uso delle stesse parole. Nel linguaggio teologico il castigo è una azione purificatrice della grazia e della misericordia di Dio che «castiga e usa misericordia» (Tb 13,2) perché «Il Signore è pietoso e clemente, lento all’ira e ricco di bontà» (Sal 103). Pertanto, il castigo divino, nella economia della salvezza è un vero e proprio atto di amore del Creatore verso le proprie creature. E qui preciso per inciso che il termine “economia” appena usato ha, analogamente a quello di “castigo”, un significato anch’esso del tutto diverso da quello del corrente lessico parlato. Questo lemma di derivazione greca ― oἰκονομικά ― appare in un’opera attribuita ad Aristotele che la usa per indicare la gestione del oἰκος, ossia della famiglia e di ciò che a essa appartiene. Per i greci l’economia non costituiva, come invece la intendiamo oggi, una realtà autonoma che in modo altrettanto autonomo opera. E proprio a causa di questa parola da me usata con riferimento alla «economia della salvezza», un presente ― ovviamente il più colto e forbito tra tutti gli ascoltatori ― si mise a ridere dando poi saggio di crassa ignoranza chiedendomi pubblicamente:
«Ma lei, parlando di economia della salvezza, è rimasto sempre fermo alla vendita delle indulgenze?».
Una caratteristica molto diffusa nella società odierna non è il sapiente e saggio «ξέρω ότι δεν ξέρω» (xéro óti den xéro, io so di non sapere), secondo la sapiente massima di Socrate riportata poi da Platone nella Apologia di Socrate. Oggi, il principio sovrano nelle nostre masse sempre più incolte e arroganti è l’esatto contrario: sapere ciò che non si sa, quindi discutere, contestare e sovente anche aggredire attraverso i canali dei vari social media coloro che sanno e che proprio per questo cercano inutilmente di dare chiarimenti, secondo lo stile psicopatologico di chi, pur non conoscendo, presume però di conoscere più che mai.
Nelle persone di vera cultura la conoscenza si fonda e si muove sulla base della sapienza socratica «io so di non sapere». Perché per quanto uno possa avere dedicato la propria intera esistenza allo studio e alla ricerca, tutti noi, anche i più colti, rimaniamo di fondo degli ignoranti nel senso etimologico del termine ignorans antis da cui deriva il termine ignorantia, a sua volta derivante dal verbo greco γνωρίζειν (gnorízein), che alla lettera significa “mancanza di conoscenza”. O qualcuno di noi, inclusi studiosi di lungo corso, sarebbe forse in grado di affermare: “Io conosco tutto”? Quando al Senatore a vita Rita Levi Montalcini, insigne scienziato neuro-biologo, poco dopo l’assegnazione del Premio Nobel avvenuta nel 1986, per avere scoperto il Nerve Growth Factor(l’elemento di accrescimento della fibra nervosa), durante un evento pubblico le fu detto che lei era tra le poche persone al mondo che conoscevano il cervello umano. Per tutta risposta ella replicò:
«Del cervello umano, nella mia vita, ho imparato qualche cosa, ma solo qualche cosa, perché molte delle sue risorse rimangono sconosciute e oggi, noi scienziati, possiamo dire di conoscere circa il 5% delle sue potenzialità».
Proviamo adesso a passare dalle neuroscienze alla teologia e nello specifico alla patristica o patrologia. Esiste al mondo un patrologo capace ad affermare di conoscere in modo approfondito le opere di tutti i grandi Padri e dottori della Chiesa, da quelli maggiori a quelli minori, o di averle anche e solo lette semplicemente tutte quante? Conosco patrologi ultra ottantenni che hanno dedicato la loro intera vita a studiare i Padri Cappadoci, noti anche come Sapienti di Cappadocia, che sono tre: i Santi Basilio Magno, Gregorio di Nissa e Gregorio di Nazianzo detto anche Nazianzeno. Di tutti gli altri hanno una conoscenza sommaria, molti altri ancóra non li hanno proprio mai esaminati e studiati, neppure letti. Il vero uomo di cultura è consapevole, proprio perché tale, della propria ignoranza, proprio perché la vera conoscenza passa di necessità dalla consapevolezza del non sapere: «… del cervello umano, nella mia vita, ho imparato qualche cosa, ma solo qualche cosa».
La distruzione del principio di autorità è quell’elemento che sorregge alla base il trionfo della dittatura integralista del non sapere, di quella ignoranza crassa, cafona e violenta che è cosa del tutto diversa dal “non sapere” dell’uomo colto. E questa ignoranza crassa, cafona e violenta ha compiuto da tempo il proprio grande e devastante golpe attraverso internet e i social media. L’annullamento dei ruoli culturali, sociali, politici e religiosi si sviluppa al peggio attraverso questi canali che costituiscono l’elemento distruttivo di ogni principio di autorità. Problema questo che per essere compreso obbliga a fare un salto storico-sociale all’indietro, per l’esattezza agli ingloriosi anni Settanta del Novecento, con tutti i suoi devastanti ed emozionali «vietato vietare», «l’immaginazione al potere» e via a seguire. In quella stagione avvenne un vero e proprio processo di sovvertimento, inversione e infine di vero e proprio abbattimento dei ruoli. Oggi l’insegnante non è più colui che seduto sopra una cattedra in una posizione più alta, che non a caso aveva una pedagogica e simbolica pedana che la sopraelevava in altezza al di sopra dei banchi dove sedevano gli alunni, dalla quale dispensava il proprio insegnamento a soggetti che dovevano tacere, ascoltare e imparare, rispondendo solo quando erano interrogati, oppure, quando concesso, rivolgere domande nel merito di ciò che l’insegnante aveva spiegato ma che non era stato ben compreso. Molti insegnati delle scuole inferiori o superiori, o i docenti universitari, al termine delle loro lezioni erano soliti domandare: «Sono stato chiaro … mi sono spiegato bene? Avete delle domande di chiarimento da fare?». Sinceramente non ho memoria di avere mai udito alcuno dei miei compagni di scuola o colleghi universitari prendere parola per dire: «Non sono d’accordo con quello che ha detto perché secondo me … io penso che …». Ciò avrebbe potuto comportare ritrovarsi poi in sede d’esame dinanzi a un esaminatore che in modo impeccabile e nel pieno rispetto della legge e delle regole accademiche ti avrebbe potuto far pentire dei tuoi peccati passati, presenti e persino futuri. E vi dirò: avrebbe fatto anche bene, perché l’arroganza va punita, proprio per il bene dell’arrogante, che va corretto, non assecondato, meno che mai tollerato. L’arroganza è infatti di per sé intollerabile.
L’insegnante post-sessantotto è divenuto colui con il quale si dialogo e ci si confronta, non più in una posizione di ruoli verticale, ossia dall’alto (insegnante) verso il basso (alunni), ma in un rapporto orizzontale. Se poi, in questo genere di rapporto di relazione malato ― che non potrebbe né mai dovrebbe essere, anzitutto per il bene di chi deve apprendere ― uno si mette a contestare l’insegnante a colpi di «io non sono d’accordo, perché io penso che … perché secondo me …», ecco che quel soggetto, oggi, sarà persino giudicato come uno studente particolarmente brillante. Poi, se insulterà l’insegnante, a quel punto diverrà il beniamino di tutti i suoi compagni e le sue compagnuccegli manderanno cuoricini per WhatsApp, oppure direttamente loro immagini seminude su Instagram. Nessuno pensi che il genitore di oggi, venendo a conoscenza della prodezza del figlio, provi un senso di umana vergogna per avere un figlio maleducato sino a quei livelli, perché la risposta sarà più o meno questa: «Se lo ha insultato, si vede che se lo meritava». O può forse, il genitore di oggi, vergognarsi e poi ammettere di essere stato un totale fallimento a livello educativo? Certo che no, quindi è l’insegnante insultato ad avere torto e il figlio ad avere ragione.
Gli esami che a suo tempo ho sostenuto prima alle scuole medie superiori e poi all’università ― io come chiunque altro ― non erano basati su un dialogo tra pari, ma su un rapporto del tutto impari dove una persona rivestita di autorità, il professore, mi rivolgeva delle domande alle quali io, studente, in una posizione subordinata dovevo rispondere con precisione, soprattutto nello stretto merito di ciò che mi era stato richiesto, mostrando di avere acquisito e sviluppato il sapere che mi era stato trasmesso. Fatto questo l’autorità, ossia l’insegnante liceale o il professore ordinario universitario, esprimeva su di me un giudizio nella forma di voto, con una valutazione data in numeri compresi tra 0 e 10 o tra 18 e 30. Ho avuto modo di avere insegnanti che erano persone talentate e dotate di grande scienza, oltre che di qualità didattiche, come ne ho avuti altri che erano mediocri, dotati di scarsa scienza e privi semmai anche di capacità didattiche. Non era però compito nostro di studenti quello di valutare gli insegnanti, che potevano essere giudicati, per i loro meriti o demeriti, solo dai loro superiori, o perlomeno dai loro pari, non certo dagli allievi che il sapere lo stavano acquisendo e che ancóra non avevano acquisito e maturato. Ciò li rendeva privi delle necessarie capacità di giudizio ― volendo anche di contestazione ― per poter esprimere giudizi positivi o negativi sulle qualità e le capacità dei docenti.
Da anni si stanno moltiplicando casi nei quali i disastrosi genitori di certi studenti, degni figli o nipoti del ben poco glorioso Sessantotto e degli anni Settanta che ne seguirono, non si limitano neppure a ricorrere ai Tribunali Amministrativi Regionali per una bocciatura da loro ritenuta ingiusta, perché li intasano di ricorsi persino per un voto dato che a loro dire non era adeguato. Se il genitore, più o meno figlio o nipote del Sessantotto o degli anni Settanta, non è in grado di trasmettere al proprio figlio il sano e salutare principio di autorità e del rispetto che all’autorità è dovuto, la società è inevitabilmente destinata a un colossale fallimento dopo essere piombata nella forma di anarchia in assoluto peggiore e più distruttiva: l’anarchia delle emozioni, o se preferiamo del «vietato vietare» e della «immaginazione al potere».
Questi i risultati che oggi sono sotto i nostri occhi: il genitore cessa di essere tale e diventa un amico o un complice “a delinquere” del figlio; l’insegnante un soggetto con il quale ci si confronta, contestandolo e dando sfogo al proprio egocentrismo a botte di «non sono d’accordo … perché io penso che … perché secondo me …»; il medico non è più colui che ti cura ma una persona che può essere interrotta mentre ti sta facendo una diagnosi esprimendo la fatidica frase «Ah, io non sono d’accordo, perché su internet ho letto che …»; le cariche dello Stato, dal carabiniere al poliziotto sino al Senatore a vita della Repubblica Italiana divenuto tale per meriti speciali, sono figure spesso irrise e svilite da parte di persone che non conoscono neppure il primo articolo fondamentale della Costituzione della Repubblica Italiana e che ignorano del tutto il sistema repubblicano nel quale vivono; i preti e i teologi sono persone ormai relegate tra i ruoli più inutili e marginali della società civile ai quali dei ragazzotti affetti da analfabetismo funzionale o digitale si rivolgono a faccia a faccia con il “tu” dicendo loro come e perché la Chiesa sbaglia, oppure puntando i piedi perché devono fare da padrini di battesimo, non essendo stati però cresimati, ecco che dopo aver fatto professione di non credere alle verità annunciate dalla Chiesa ti dicono, semmai anche a brutto muso «io ho il diritto di fare la Cresima perché mi serve», ignorando che i Sacramenti non sono un diritto ma una azione della grazia divina … Insomma, una società nella quale assieme al principio di autorità sono saltate tutte le regole, con una massa di arroganti ignoranti che ogni mezza frase pronunciano «io ho il diritto di … io ho il diritto di …» ma in modo egocentrico e anarcoide non accettano neppure la vaga idea stessa che accanto ai diritti ci sono i doveri e viceversa, non potendo esistere una società fatta solo di diritti come non ne potrebbe esistere una fatta solo di doveri.
Più volte ho citato Umberto Eco in vari miei scritti che toccavano il problema di internet e dei social media, perché con quattro pennellate raffigurò, più che un problema, un autentico disastro sociale:
«I social mediadanno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli!» (cfr. QUI).
Prima del semiologo Umberto Eco, quando ancora i social medianon avevano preso campo, un celebre matematico italiano, Giorgio Israel, si espresse così riguardo internet:
«È vero ― come ha notato qualcuno ― che ho deciso di por fine a questo tipo di “dialogo”. Esso ha messo in luce due aspetti tra i peggiori di internet, un mezzo cui comunque non rinuncio, ma non per piegarmi alle cattive tentazioni cui induce. Alludo alla perdita di inibizioni per cui si ritiene di poter trattare in modo sbrigativo e persino villano persone con cui non si oserebbe farlo de visu; e la tendenza a sentenziare su questioni cruciali e che magari sono oggetto di riflessione secolare, tacciando pure di cretino chi non si adegua» (cfr. Articolo del maggio 2008 tratto dal sito di Giorgio Israel).
Perdonatemi se porto me stesso come esempio, ma credo che trasmettere la propria esperienza personale sia importante, specie da parte di un presbitero e di un teologo che ha appena toccato la soglia dei sessant’anni d’età. Questo vuol dire ― o perlomeno si presume ― avere acquisito e sviluppato una certa esperienza di vita e, attraverso studi metodici di ricerca continuati nel tempo una certa conoscenza, sempre e di rigore basata sulla consapevolezza del «io so di non sapere». Come sempre esemplifichiamo: una volta, la classica isterica frigida che reattivamente era affetta da nevrosi ossessive di stampo pseudo-religioso, dopo avere creato problemi, attriti, litigi e sconcerto di vario genere in parrocchia, o forse prima ancóra che potesse generare cose simili, era presa in disparte da qualcuno dei parroci che furono, fatta nuova dalla testa ai piedi e poi cacciata via. Oggi la classica isterica frigida reattivamente affetta da nevrosi ossessive di stampo pseudo-religioso si tuffa nel mare dei social media, va a caccia delle pagine dei preti e con spirito litigioso e aggressivo incomincia a contestarli in tono insultante e provocatorio, specialmente se il prete ha scritto un post chiaro e preciso nel quale tratta in modo semplice cose serie sul piano della dottrina e della fede, rendendole comprensibili al grande pubblico, ma alle quali ella ribatte con assurde scemenze. Questa è una delle principali insidie dei social media, per noi presbiteri e teologi come per qualsiasi studioso o per qualsiasi persona che nella società riveste quello che dovrebbe essere, ma che soprattutto andrebbe sentito e rispettato come ruolo di autorità.
In internet, ma soprattutto nei social media, come faceva notare già molti anni fa Giorgio Israel c’è una perdita totale «di inibizioni per cui si ritiene di poter trattare in modo sbrigativo e persino villano persone con cui non si oserebbe farlo de visu». Cosa alla quale si aggiunge un elemento peggiore: «la tendenza a sentenziare su questioni cruciali e che magari sono oggetto di riflessione secolare, tacciando pure di cretino chi non si adegua». Ne abbiamo fatta esperienza recente, peraltro legata a una vicenda che per due anni ha messo in ginocchio le società civili, i governi e l’economia: la pandemia da Covid-19. Chi di noi non ricorda eserciti di sciampiste e di intellettuali da bar con la licenza media inferiore presa alle scuole serali che tra un messaggio sgrammaticato e l’altro smentivano i più esperti virologi e infettivologi perché su dei blog gestiti da altrettanti ignoranti arroganti avevano letto che …? A molte di queste persone provai all’epoca a rispondere in questo modo:
«La scienza non è perfetta e da sempre può essere fallibile e defettibile. Vaccino si, vaccino no? Personalmente ho deciso di dare fiducia alla scienza, che può sbagliare e che spesso ha sbagliato. Verso la scienza intendo però fare un atto di fiducia, perché se proprio qualcuno deve sbagliare su di me, preferisco che l’errore lo compia uno specialista nel tentativo di salvarmi anziché un naturopata-esoterista a caccia di fessi che fa credere di poterli curare con pillole omeopatiche e pietre magnetiche colorate. Anche perché, mentre la scienza chiede all’occorrenza fiducia, questi ciarlatani e coloro che decidono di andargli dietro chiedono e pretendono invece dei veri e propri atti di fede cieca riguardo ciò che di assurdo e anti-scientifico dicono e sostengono».
In quel delicato frangente come in altri diversi ma analoghi, le televisioni pubbliche e private si sono gravate di immani responsabilità che una vera società civile e una politica realmente illuminata non avrebbe dovuto esitare a far pagare a caro prezzo per senso di giustizia e per la tutela della popolazione. Ricordiamo infatti che mentre le persone erano chiuse in casa nel pieno del lockdown, per cinque giorni a settimana, tre o quattro ore ogni sera, in tutti i più seguiti talk showsi favorivano e fomentavano litigi e risse tra specialisti clinici ed emeriti ignoranti presi dalla strada che li contestavano e smentivano. Il tutto fatto passare per diritto all’informazione e diritto di libertà di parola. Domanda: da quando, gli imbecilli, hanno il diritto a esprimersi in prima serata sulle televisioni pubbliche e private, tanto più per contestare e smentire studiosi con teorie assurde e irrazionali, più ancóra che anti-scientifiche? Alle reti televisive interessava davvero dare voce a tutti? E da quando, questo appassionato amore per la verità da parte di mass media che la verità sono soliti nasconderla, manipolarla e falsarla, quando conviene ai padroni che li tengono stretti e vincolati ai loro libri-paga? No, la verità era tutt’altra: le redazioni dei programmi televisivi, con un cinismo che sarebbe stato bene fargli pagare a caro prezzo, avevano un unico scopo, molto superiore al Covid-19 e al pericolo pandemico stesso: gli indici di ascolto. Più negli studi televisivi erano scatenate risse, più gli indici di ascolto salivano. Ma torniamo di nuovo a Umberto Eco:
«La televisione aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità» (cfr. QUI).
Chiamatevi pure prete “vecchio stile”, se preferite demodé, ma rimango consapevole che la Chiesa, attraverso i cosiddetti tria munera, mi ha dato mandato a insegnare, a santificare e a guidare il Popolo di Dio, questo dopo avermi formato, istruito e fatto specializzare nelle scienze teologiche, quindi conferendomi mandato. Questo è il mio compito, sia per chi ci crede sia per chi, pur non credendoci, sarebbe tenuto comunque al rispetto, specie in questo mondo nel quale è di rigore il rispetto e il massimo della correttezza politica anche per l’ultimo dei clandestini sbarcati sulle nostre coste e per i transessuali in equilibrio sui tacchi a spillo, che non hanno certo una dignità umana superiore a quella di un essere umano chiamato prete. Di conseguenza, il compito dei nostri Christi fidelesrimane tutt’oggi di accogliere il nostro insegnamento, lasciarsi santificare mediante i Sacramenti di grazia da noi amministrati e farsi guidare nel cammino di vita cristiana, o se preferite governare dai pastori all’interno della Chiesa, dove si è liberi di entrare e dalla quale, per intendersi, si è liberi di uscire, ma nessuno ha però il diritto e la libertà riconosciuta a insolentire i pastori.
Presto detto: come ministro in sacris non sono una persona con la quale un qualsiasi soggetto che si proclami cattolico o credente possa trattare a tu per tu, perché il rapporto è teologicamente e gerarchicamente dal basso (fedele) verso l’alto (presbitero). Non è il credente o peggio il presunto tale che può agitare il dito e darmi lezioni su come un prete deve fare il prete o su come deve trasmettere le verità della fede, o peggio quali verità possono andare bene e quali “devono” essere invece cambiate. Il tutto espresso da soggetti che non hanno mai neppure sfogliato il Catechismo della Chiesa Cattolica e che per questo ignorano che le verità di fede sono immutabili e non certo mutabili a piacimento, con tanto dilikesui social, perché «io penso che … secondo me …».
Dinanzi a questo genere di persone agisco e interagisco in due modi: o li rimprovero con atteggiamento severo e all’occorrenza autoritario chiarendogli che non sono un loro compagnuccio e men che meno una persona con la quale possono pensare di confrontarsi a tu per tu, oppure, come nel caso dei social media in cui i rapporti sono perversamente all’orizzontale, reagisco con lo sberleffo, con la parola colorita, a volte persino usando qualche frase triviale affatto casuale, meno che mai istintiva o emotiva, ma proprio scientificamente studiata e voluta al fine di scuotere certi soggetti, la reazione dei quali è tanto evidente quanto scontata: «Vergogna di prete … prete volgare … ma tu sei davvero un prete?». Sì, sono un prete, con l’aggravante di essere pure un teologo al quale tu, ragazzotta o donnetta nullafacente, dopo avere passato la giornata a girare per internet in cerca di gossip e di notizie pruriginose, hai pensato di poter spiegare cosa veramente sia la fede cattolica. Perché le più irrispettose e le più violente in assoluto sono di rigore loro: le donne, come provano i social media. Oppure può capitare che non risponda e che a qualcuna di queste carampane incattivite replichi postando sulla mia pagina socialla fotografia del Tantum Rosa in versione spray usato dalle donne per i pruriti vaginali, semmai accompagnando la foto con la frase: «dicono che funzioni …».
Gli imbecilli fanno sempre e di rigore sul serio e hanno disperato bisogno di essere presi sul serio, perché si sentono le autorità sociali, scientifiche, politiche, morali e religiose che assolutamente non sono, cosa questa che, per una sorta di strana e complessa invidia inconscia, li porta a rovesciare insolenze su chi questi ruoli di autorità li riveste veramente e legittimamente. Ciò che non è serio, giammai sia preso e trattato come se lo fosse. A quel punto, la sapiente presa di giro è l’unico antidoto. Si tratta di astuta e sottile pedagogia: irridendone uno capita che lui, assieme ad altri 100, ti postino centinaia di commenti insultanti, ma quasi sempre capita che almeno due o tre, dinanzi alle tue risposte, capiscano, conferendoti e riconoscendoti il ruolo sociale e di autorità che ti spetta e che ti è dovuto, perché certi rapporti non sono, né mai possono essere alla pari, né basati sul principio del «… secondo me … io penso che …».
Come presbitero posso chiedere al mio Vescovo parere e consiglio, esporre un problema e domandare suggerimenti per la sua soluzione, posso anche sollevare perplessità di fronte a certe scelte o direttive pastorali, con tutta la più profonda cortesia del caso posso offrire anche un consiglio, perché ogni sacerdote è uno stretto collaboratore del Vescovo. Non posso però contestarlo e rigettare quanto da lui è stato stabilito, ponendomi in tal modo al di sopra di lui, perché sono io che dipendo dalla sua autorità, alla quale ho promesso filiale rispetto e devota obbedienza con un atto sacramentale solenne. È il Vescovo che mi ha concesso il mandato e la relativa facoltà a celebrare la Santa Messa, a predicare il Santo Vangelo, ad assolvere dai peccati e a curare e custodire il Popolo di Dio, il tutto in un rapporto di subalternità, perché sono sottoposto in modo subalterno all’apostolica autorità del Vescovo, il quale ha la facoltà, volendo o reputandolo opportuno, di revocarmi anche questo mandato, in modo parziale o totale, se mi ritenesse inadeguato o indegno. Quindi, anche se avessi in sé e di per sé pure cento ragioni, se osassi pormi al di sopra della sua apostolica autorità, quelle ragioni si muterebbero in mille gravi torti che farebbero di me un pessimo prete e che darebbero scandalo e disorientamento ai Christi fideles. Questo, è il principio di autorità nella Chiesa, interamente retto sulle teologali virtù della fede, della speranza e della carità (cfr. I Cor 1.13). E farlo capire ai cattolici del «secondo me … io non sono d’accordo ..», non è cosa facile.
Talvolta, per recuperare delle persone e indurne altre alla ragione, può essere più utile la foto di un prodotto farmacologico contro il prurito vaginale anziché una inutile dissertazione su certi principi cardine enunciati dal Santo padre e dottore della Chiesa Agostino vescovo d’Ippona, che pure di vagine ebbe buona conoscenza, quando era sempre Aurelio di Tagaste. E qualcuno, dopo aver riso sul Tantum Rosache allevia il prurito vaginale, può essere che comprenda e che poi si apra. Solo a quel punto sarà possibile parlare del Vangelo e dei preziosi pensieri di Sant’Agostino, producendo buoni frutti, il tutto grazie a una battuta sfottente partita da un prodotto che allevia il prurito vaginale.
Chi è rivesto di autorità, dinanzi a questa totale crisi di ogni principio di autorità ha oggi due soluzioni: o si mette a battagliare inutilmente contro i mulini a vento parlando una lingua che le masse ignoranti, arroganti e litigiose che brulicano i social medianon sono neppure in grado di comprendere e recepire, oppure prende in giro gli imbecilli mantenendo saldo il rispetto che gli spetta e che gli è dovuto. Recuperandone di tanto in tanto qualcuno, che di questi tempi non è poca cosa:
«Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta”. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» (Lc 15, 4-7).
I social media sono un oceano dove le sardine pensano di essere squali e dove i merluzzi hanno il complesso delle orche assassine, eppure, di tanto in tanto, è possibile recuperare qualche spigola, consapevole anzitutto di essere una spigola.
dall’Isola di Patmos, 9 ottobre 2023
.
.
È uscito ed è in distribuzione il nuovo libro di Padre Ariel, potete acquistarlo cliccando direttamente sull’immagine di copertina o entrando nel nostro negozio librario QUI
.
______________________
Cari Lettori, questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:
O se preferite potete usare il nostro Conto corrente bancario intestato a: Edizioni L’Isola di Patmos Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN: IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT: BAPPIT21D21
Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento: isoladipatmos@gmail.com
Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.
I Padri dell’Isola di Patmos
.
.
.
https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2019/01/padre-Aiel-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Arielhttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Ariel2023-10-09 13:08:512023-10-09 13:08:51Internet e la distruzione del principio di autorità, un colpo di grazia inferto da legioni di imbecilli al potere
A VOI SARÀ TOLTO IL REGNO DI DIO E SARÀ DATO A UN POPOLO CHE NE PRODUCA I FRUTTI
Oggi il Nuovo Popolo di Dio siamo tutti noi, cioè noi uniti nel Suo Battesimo, a cui Dio chiede di portare frutti, dunque diventare fecondi. In tal modo ciascuno di noi diventa custode e protettore di quella vigna, che è la nostra Chiesa Cattolica e la Chiesa locale in cui siamo attivi.
siamo tutti nati e cresciuti all’interno di una nazione e una città. Questo essere insieme ad altri ha costruito un po’ la nostra identità. Siamo diventati “Io” grazie anche a molti “Tu”, nostri concittadini. Siamo poi stati battezzati e così inseriti all’interno di una comunità ecclesiale particolare e in generale, figli della Chiesa Cattolica. Siamo stati così affidati a una comunità particolare, una Chiesa locale costituita innanzitutto dalla nostra famiglia. Oggi siamo adulti, ci viene chiesto di essere coloro che costruiscono e custodiscono la Chiesa. Questa è la sintesi del Vangelo di oggi.
I vignaioli omicidi, catechismo francese illustrato del XX sec.
Ancora una volta Gesù decide di proporre questo insegnamento in parabole. Così racconta una parabola un po’ violenta, se vogliamo. Il padrone di un terreno consegna la propria vigna a dei contadini perché la coltivino e portino frutto. Giunto il momento di ritirare il raccolto, invia diversi servi: prima pochi, poi molti. Questi vengono uccisi. Infine viene ucciso l’ultimo inviato, cioè il figlio del padrone.
A questo punto Gesù dialoga con gli anziani e i capi del popolo circa la sorte di questi contadini. Essi gli offrono una risposta che sembra chiara: al ritorno dello stesso padrone, i contadini omicidi verranno puniti e uccisi. Citando il salmo 118, celeberrimo, Gesù offre loro la risposta definitiva:
«Io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti»
La risposta di Gesù è fortissima: non saranno più solo i capi del popolo ebraico e i sacerdoti a mantenere l’alleanza con Dio. Ci sarà un nuovo regno di Dio, una nuova vigna, dunque un nuovo popolo di Dio che sarà fecondo e porterà frutti.
Gesù viene dunque a gettare le basi della Sua Chiesa, che riceverà e manterrà l’ultima ed Eterna Alleanza, il Nuovo ed Eterno Patto fra Dio e l’uomo. Dunque un Nuovo Popolo di Dio, che non coinciderà esclusivamente con i circoncisi.
Infatti, oggi il Nuovo Popolo di Dio siamo tutti noi, cioè noi uniti nel Suo Battesimo, a cui Dio chiede di portare frutti, dunque diventare fecondi. In tal modo ciascuno di noi diventa custode e protettore di quella vigna, che è la nostra Chiesa Cattolica e la Chiesa locale in cui siamo attivi. Questa fecondità si realizza in diversi modi: innanzitutto con la pratica della carità e delle opere di misericordia spirituali e materiali. Anche l’esercizio delle virtù teologali e cardinali, con gli altri e in comunione con Dio, è un altro modo di essere fecondi. Perché la fecondità e fruttuosità è donare la grazia dell’amicizia e dell’amore di Dio agli altri. La bellezza della nostra fede ci chiede poi di donare questa grazia secondo una fecondità che è originale e tutta propria: dunque tutti noi diventiamo fruttuosi perché chiamati con la nostra bellezza ed unicità. Questa è una via bellissima con cui Dio ci chiede di essere parte della Chiesa: né dominanti né passivi ma fruttuosi. Aperti al progetto di Dio ma senza per questo diventare robot.
Come scriveva John Stuart Mill: «Tutte le cose buone che esistono sono frutto dell’originalità».
Chiediamo al Signore di diventare quel nuovo popolo di Dio in grado di entrare nella preghiera silenziosa, ascoltare la voce del Tu Eterno di Dio, e portare questa voce in un mondo che cerca l’amore senza fine.
Iscrivetevi al nostro Canale Jordanus del Club Theologicum diretto da Padre Gabriele cliccando sopra l’immagine
LE ULTIME PUNTATE SONO DISPONIBILI NELL’ARCHIVIO: QUI
.
Visitate la pagina del nostro negozio librario QUI e sostenete le nostre edizioni acquistando e diffondendo i nostri libri.
.
.
.
______________________
Cari Lettori, questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:
O se preferite potete usare il nostro Conto corrente bancario intestato a: Edizioni L’Isola di Patmos Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN: IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT: BAPPIT21D21
Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento: isoladipatmos@gmail.com
Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.
I Padri dell’Isola di Patmos
.
.
.
https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2021/09/padre-Gabriele-piccola.png?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Gabrielehttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Gabriele2023-10-08 14:16:302023-10-08 16:20:57A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti
DALL’HOMO SAPIENS AI CONTADINI ASSASSINI NELLA VIGNA DEL SIGNORE
I nostri antenati sapiens quando iniziarono a domesticare quelle specie animali e quei pochi semi che ancora ritroviamo sulla nostra tavola non potevano immaginare il particolare legame che si sarebbe creato fra l’uomo e la coltivazione della vite. Un rapporto che sa di alleanza e perciò di passione, di cura e perfino di amore. Ricordo i contadini che ho conosciuto, quando volevano esprimere la fatica del loro specifico lavoro dicevano: «La terra è bassa!». Perché non solo ti devi chinare verso di essa, ma anche assecondarla e lavorarla con grande fatica.
Gli storici dell’evoluzione dicono che il passaggio all’agricoltura per la nostra specie ebbe inizio in un periodo che va dal 9500 all’8500 a.C. in una regione collinosa situata tra la Turchia sudorientale, l’Iran occidentale e il Vicino Oriente. Prese il via lentamente e in un’area geografica piuttosto ristretta. Il frumento e le capre furono domesticati approssimativamente intorno al 9000 a.C.; piselli e lenticchie intorno all’8000 a.C.; gli ulivi nel 5000 a.C.; i cavalli nel 4000 a.C.; e la vite nel 3500 a.C. Proprio del terreno che dalla vite prenderà nome di vigna parlerà Gesù nel brano evangelico di questa ventisettesima domenica del tempo ordinario.
«In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: «Avranno rispetto per mio figlio!». Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: «Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!». Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: «La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi»? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (Mt 21,33-43).
I nostri antenati sapiens quando iniziarono a domesticare quelle specie animali e quei pochi semi che ancora ritroviamo sulla nostra tavola non potevano immaginare il particolare legame che si sarebbe creato fra l’uomo e la coltivazione della vite. Un rapporto che sa di alleanza e perciò di passione, di cura e perfino di amore. Ricordo i contadini che ho conosciuto, quando volevano esprimere la fatica del loro specifico lavoro dicevano: «La terra è bassa!». Perché non solo ti devi chinare verso di essa, ma anche assecondarla e lavorarla con grande fatica. Quando invece iniziavano a parlare della vigna e del vino che avevano spillato il discorso cambiava, il ricordo della fatica e della dedizione sparivano: apparivano ripagati, diventavano orgogliosi del frutto della vite ricavato e perciò gelosi della loro vigna. È possibile che questa esperienza primordiale abbia ispirato gli autori biblici, in particolare i profeti, quando cantarono in più occasioni lo speciale legame fra l’agricoltore e la vigna in quanto allegoria dell’alleanza fra Dio e il suo popolo Israele. Il brano indubbiamente più famoso è quello riportato nella prima lettura di questa domenica tratto dal profeta Isaia:
«Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi. E ora, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici fra me e la mia vigna. Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?» (Is 5,1-4).
Così quando Gesù iniziò a raccontare gli ascoltatori intesero istantaneamente di cosa stesse parlando a differenza nostra che quella immediatezza l’abbiamo persa e necessitiamo di molte spiegazioni. Infatti la comprensione della parabola detta “dei vignaioli omicidi” ha rappresentato un momento significativo nella storia dell’esegesi cristiana. C’è stato un tempo, non molto distante dal nostro, in cui si è pensato che il versetto «Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» costituisse una vera punizione per Israele e un attacco da parte di Gesù al giudaismo, cosicché la Chiesa non fosse da considerarsi come un nuovo Israele subentrato al vecchio, ma quello vero1, come l’aveva pensato Dio fin dall’inizio. Ma in tutto il Vangelo di Matteo quest’attacco non si evince e così quella interpretazione è oggi ritenuta obsoleta. Come pure l’idea discendente dalla precedente che Israele in quanto popolo fosse stato rifiutato da Dio. Certo Gesù stava parlando nel tempio rivolgendosi agli anziani e ai capi dei sacerdoti e le sue parole riportavano la pesante punizione causata dal rifiuto degli emissari del padrone della vigna. Essi erano quegli inviati di cui parlerà in Mt 23,34: «Perciò ecco, io mando a voi profeti, sapienti e scribi: di questi, alcuni li ucciderete e crocifiggerete, altri li flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città». Soprattutto Gesù annunciò l’uccisione del figlio. Ma si stava rivolgendo ai leaderreligiosi, quelli che chiamerà guide cieche (cfr. Mt 23,16) e poiché ora la parabola è presente nel Vangelo quelle parole varranno sempre per la Chiesa ed i suoi responsabili. In particolare la vigna che è l’Israele santo di Dio, il popolo eletto, non sarà incendiata o devastata come la città di cui si parlerà nella parabola seguente (Mt 22,7) ma anzi è lì pronta per dare frutti buoni; solo, non saranno gli attuali vignaioli a coglierli: la vigna, il popolo dell’alleanza, verrà affidata ad altri contadini. Perciò tutte le parabole di Gesù e questa in particolare vanno considerate come opere aperte. Rinchiuderle dentro un’unica interpretazione, come un letto di Procuste, farebbe loro torto perché il valore sta nell’inquietudine che continueranno a suscitare, unita alle domande che incalzeranno la fede dei discepoli e la loro sequela, affinché siano continuamente spronate.
Gesù iniziò il racconto dicendo che c’era un uomo, un proprietario ― il termine oikodespotes(οἰκοδεσπότης) può significare anche un padre di famiglia, infatti la Vulgata tradusse: Homo erat pater familias ― che piantò una vigna e la dotò di tutto il necessario, quindi l’affidò a dei vignaioli e partì. Il verbo apodemeo(ἀποδημέω da cui ἀπεδήμησεν del v.33) indica qualcuno che va fuori della patria, all’estero, allontanandosi dalla propria abitazione. Quest’uomo partì portando con se il pensiero e il ricordo della vigna, così quando venne il tempo dei frutti mandò dei servi a richiederli, ma furono brutalmente trattati dagli affidatari. Evidentemente si erano convinti nell’animo che il padrone essendosene andato si fosse anche scordato della vigna e che questa ormai fosse loro, così se l’erano accaparrata sostituendosi al vero proprietario. Ma in fondo questi rivendicava solo i frutti, non stava pretendendo la proprietà. Con una pazienza che parrà incredibile se non fosse ascritta a Dio egli inviò di nuovo servi in numero maggiore e pure questi subirono la stessa sorte dei precedenti. I lettori del Vangelo che a questo punto già sentiranno montare la rabbia per il sopruso, speranzosi di vedere il ristabilimento della giustizia anche con l’uso della forza, si troveranno impreparati e spiazzati nel leggere che il padre starà per mettere a repentaglio la vita del suo proprio figlio. Ma il proprietario della vigna, ormai lo sappiamo, è un padre fuori dell’ordinario, come dirà la preghiera di colletta di questa domenica: Egli aggiunge «quello che la preghiera non osa sperare». Così non mandò altri emissari come rappresentanti, ma inviò direttamente suo figlio mosso da un’intima speranza: «Avranno rispetto per mio figlio!».
Sappiamo come le cose andarono a finire, è inutile ripeterlo. Il particolare dell’omicidio compiuto al di fuori della vigna rimase scolpito nella memoria degli autori del nuovo testamento e così lo menzionarono quando si trattò di raccontare la morte di Gesù (cfr. Mc 15,20; Mt 27,31, Eb 13,12) oppure quella di Stefano (cfr. At 7,58). Il figlio espulso dalla vigna fu il segno tangibile del rifiuto della volontà divina e della sostituzione che quei contadini vollero perseguire: «Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!».
Le successive parole di Gesù introdotte dalla domanda circa la sorte di quei vignaioli omicidi si prenderanno tutta l’attenzione e, come abbiamo più su riportato, anche quella della futura esegesi, facendo passare sotto silenzio un particolare non di poco conto a cui Gesù aveva accennato e che potrebbe rappresentare invece il cuore della parabola, quello che illuminandola le dà senso, ancor più della stessa eliminazione e sostituzione dei vignaioli malvagi. Questo particolare fa riferimento al pensiero del padrone della vigna che si aspettava rispetto verso il figlio inviato. Il verbo entrepo, εντρέπω del v. 37 nella forma attiva significa mutare, cambiare, tornare di senno e in quella passiva, come sta nel Vangelo: commuoversi, portare rispetto, esitare. La Vulgata scelse aver timore e riportò: “Verebuntur filium meum“. In qualsiasi modo si voglia tradurre quel desiderio esplicitato, è chiaro che il padrone della vigna non si attendeva la morte violenta del figlio. Quello era il suo sogno, il sogno di Dio. Nel Vangelo di Matteo già Giuseppe e poi i Magi (cfr. Mt 1,20; 2,12-13) prestando ascolto a un sogno poterono salvare Gesù. Avevano così compiuto la volontà di Dio. Cosa sarebbe accaduto se Pilato avesse ascoltato il sogno della moglie (cfr. Mt 27,19) narrato nel racconto della passione: egli avrebbe risparmiato Gesù dalla condanna? Quella frase della parabola, apparentemente innocente, mette in crisi alcune facili e inappropriate teologie della redenzione. In essa vi leggiamo non solo la speranza che Israele si converta, ma anche che il figlio venga risparmiato.
Naturalmente senza dimenticare che per tre volte Gesù mostrerà di salire volontariamente, liberamente e consapevolmente a Gerusalemme (cfr. Mt 16,21-23), dove vi avrebbe incontrato la morte che accetterà ancora più decisamente nel Getsemani: «avvenga la tua volontà» (Mt 26,42). Addirittura Matteo rilesse la sua consegna alla luce delle Scritture: «Tutto questo è avvenuto perché si compissero le Scritture dei profeti» (Mt 26,56). Non si potrebbe però pensare, sempre nella logica del racconto matteano, che il progetto iniziale non fosse questo, quanto piuttosto quello di cui parlerà lo stesso Gesù ― in verità dopo tutti e tre gli annunci della passione ― accennando a una palingenesi (cfr. Mt 19,282 e 25,31-46); che egli avrebbe voluto far avanzare restaurando l’Israele di Dio? Quando il piano però cominciò a deteriorarsi, allora Gesù, come il figlio della parabola, mostrerà di amare tanto la sua vigna al punto di morire per essa. Ci torna in mente il commento di Sant’Ambrogio: «Salve, vigna meritevole di un custode così grande: ti ha consacrato non il sangue del solo Nabot ma quello di innumerevoli profeti, e anzi quello, tanto più prezioso, versato dal Signore»3. La parabola, dunque, che insistette sulla misericordia del padrone, lasciò emergere anche sullo sfondo l’offerta gratuita del figlio.
Questa parabola risuona certamente come un giudizio di Dio, non però sul popolo d’Israele, ma su quei capi del popolo che hanno rigettato e condannato Gesù. Matteo, infatti, registrerà subito dopo la loro reazione; cercarono di catturarlo ma ebbero paura della folla e per questo rimandarono di qualche giorno il loro piano, attendendo una situazione più propizia (nella notte e nel Getsemani, dove non ci sarà la folla dei suoi seguaci; cfr. Mt 26,47-56). Avevano infatti compreso che quella parabola individuava proprio in loro i vignaioli omicidi. Ma la parabola dice che questo sarà pure il giudizio sulla Chiesa, soprattutto sui suoi capi. La vigna è stata tolta a quei capi di Israele e data una nuova collettività umana (éthnos, senza articolo del v.43): la comunità dei poveri nello spirito, dei miti che, secondo la promessa del Signore, erediteranno la terra (cf. Mt 5,5; Sal 37,11), a quel popolo umile e povero costituito erede per sempre dal Signore (cf. Sof 3,12-13; Is 60,21; Ger 30,3).
È molto importante sul piano teologico capire che la funzione della forma matteana della parabola non è quella di esaltare il cristianesimo rispetto al giudaismo, ma piuttosto di lasciare aperta la risposta alla rinnovata offerta di riconciliazione fatta dal Cristo innalzato. In un certo senso, la Chiesa si trova in una posizione analoga a quella d’Israele. In un altro senso, tuttavia, essa ha già fatto esperienza del miracoloso intervento di Dio. Lapietra scartatacostituisce ora la testata d’angolo. Sarà questa generazione di cristiani ad accogliere il regno di Dio e a produrre frutti di giustizia, oppure esso le sarà tolto per essere affidato ad un’altra? Il già citato Ambrogio di Milano vedeva che il pericolo di incorrere nel castigo è per tutti, anche per i cristiani: «Il vignaiolo è senza alcun dubbio il Padre onnipotente, la vite è Cristo, e noi siamo i tralci: ma se non portiamo frutto in Cristo veniamo recisi dalla falce del coltivatore eterno»4. Detto questo, è chiaro che la parabola è cristologica e teologica. Il figlio del padrone della vigna è caratterizzato con quegli attributi, come l’idea dell’eredità, che sono tipici del linguaggio di Gesù quando voleva parlare di sé e del suo rapporto col padre; la sua morte fuori delle mura della città ovviamente ricorderà la fine del Messia. Ma la parabola dice molto anche a proposito del Padre: il suo giudizio, stranamente, tarda ad arrivare; Dio è rappresentato addirittura come fin troppo paziente. Qualsiasi ascoltatore del racconto, ai tempi di Gesù, sarebbe rimasto colpito da quella che potrebbe sembrare una debolezza di carattere. Quel Dio invece sa aspettare e continua a sperare in un cambiamento dei suoi vignaioli che potrebbero addirittura «rispettare suo figlio» (cfr. Mt 21,37). Diversamente da quanto facciamo noi Dio non si lascia demoralizzare da un rifiuto, insiste nella sua proposta di salvezza, Egli non vuole mai la morte del peccatore, ma che questi si converta e viva.
Vorrei concludere ricordando che la pregnanza di questa parabola fu colta in modo particolare da Benedetto XVI, in un momento che immaginiamo fu carico di emozione e di grande timore per lui. Dalla loggia della Basilica di San Pietro la sera della sua elezione così parlò di se stesso:
«Hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare e agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere»5.
Buona domenica a tutti.
dall’Eremo, 8 ottobre 2023
1 Trilling W., Il vero Israele. Studi sulla teologia del Vangelo di Matteo, Piemme, 1992
2 «E Gesù disse loro: “«In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele”».
3 Sant’Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca, Città Nuova 1978.
Visitate la pagina del nostro negozio librario QUI e sostenete le nostre edizioni acquistando e diffondendo i nostri libri.
.
______________________
Cari Lettori, questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:
O se preferite potete usare il nostro Conto corrente bancario intestato a: Edizioni L’Isola di Patmos Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN: IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT: BAPPIT21D21
Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento: isoladipatmos@gmail.com
Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.
I Padri dell’Isola di Patmos
.
.
.
.
.
https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2023/06/monaco-eremita-piccolo-.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150monaco eremitahttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngmonaco eremita2023-10-08 01:49:272023-10-08 01:49:27Dall’homo Sapiens ai contadini assassini nella vigna del Signore
Babamın ikinci evliliğini yapmasıyla birlikte üvey kız kardeşe sahip oldum porno indir Yeni kız kardeşim tembelin teki porno izle ne okula gidiyor ne ders çalışıyor seks hikaye Bulduğu her fırsatta okulu ekiyor bedava porno aile bireyleri bu yüzden ona çok kızıyor brazzers porno Bugün evde kimsecikler yokken bahçede biraz spor yapayım dedim sex hikayeleri Şans eseri kız kardeşimi gördüm okula gitmemiş odasında saklanıyor rokettube Ona bağırdım ve zorla okula gitmesini sağladım türk porno Evden çıktığı vakit bahçede sporuma başladım porno Kısa bir süre sonra telefonuma evdeki alarmın devre dışı kaldığına dair bildirim geldi ensest hikayeler Karşımda çıplak durması ve tahrik edici konuşmalarıyla beni sekse ikna etti.
Manage consent
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. These cookies ensure basic functionalities and security features of the website, anonymously.
Cookie
Durata
Descrizione
cookielawinfo-checkbox-analytics
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Analytics".
cookielawinfo-checkbox-functional
11 months
The cookie is set by GDPR cookie consent to record the user consent for the cookies in the category "Functional".
cookielawinfo-checkbox-necessary
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookies is used to store the user consent for the cookies in the category "Necessary".
cookielawinfo-checkbox-others
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Other.
cookielawinfo-checkbox-performance
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Performance".
viewed_cookie_policy
11 months
The cookie is set by the GDPR Cookie Consent plugin and is used to store whether or not user has consented to the use of cookies. It does not store any personal data.
Functional cookies help to perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collect feedbacks, and other third-party features.
Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.
Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.
Advertisement cookies are used to provide visitors with relevant ads and marketing campaigns. These cookies track visitors across websites and collect information to provide customized ads.