Quel disastro del “reddito di cittadinanza” visto e vissuto da noi preti a giornaliero contatto con il mondo del reale

QUEL DISASTRO DEL “REDDITO DI CITTADINANZA” VISTO E VISSUTO DA NOI PRETI A GIORNALIERO CONTATTO CON IL MONDO DEL REALE 

È pensabile e sostenibile che una parte produttiva del Paese mantenga con la propria contribuzione e il proprio gettito fiscale una parte palesemente parassitaria che dinanzi a forme di esagerato assistenzialismo a puro scopo di serbatoio elettorale, non ti dice neppure grazie, perché agisce e reagisce come se ciò gli fosse dovuto, salvo lamentare che il tutto non è mai abbastanza? 

— Attualità ecclesiale —

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tratta da Salerno Today del 15 ottobre 2018 [vedere QUI]

l’Italia è popolata da un gran numero di vili pronti ad applaudire il potente all’apice del potere, poi ad accanirsi sul suo cadavere. È la italica psicologia di Piazzale Loreto, angolo di Milano dove la folla si accanì sul cadavere di Benito Mussolini, Clara Petacci, Nicola Bombacci, Alessandro Pavolini. Dinanzi a quello scempio Sandro Pertini, partigiano socialista e futuro Presidente della Repubblica dichiarò: «Con quel gesto l’insurrezione si è disonorata» [cfr. QUI].

Sorvolo su Carl Gustav Jung che definì la struttura dell’inconscio collettivo, perché complesso sarebbe il discorso e mi limiterò a ricordare l’ovvio: ogni popolazione è condizionata e animata da una propria peculiare psicologia sociale che le deriva dalla sua storia e dal suo vissuto. È in questo senso che possiamo parlare di “carattere sociale” o “socio-psicologia collettiva”.

Il carattere italico è stato raffigurato in modo plastico e realistico nel mondo del giornalismo e in quello della cinematografia da due grandi figure del Novecento italiano: il giornalista Indro Montanelli e l’attore Alberto Sordi che i vizi dell’italiano li tradusse in cinematografia. Tra le sue opere resta memorabile Polvere di stelle, con la straordinaria Monica Vitti.  

Mentre tutto taceva e nessuno osava sospirare dinanzi ai potenti di maggioranza al potere, dal canto mio non esitai ad affermare, nel 2019 e nel 2020, che il reddito di cittadinanza è stato il più scandaloso acquisto di voti mai verificatosi prima nella storia della Repubblica Italiana [vedere mio articolo QUI]. È un dato storico: tutti i vecchi partiti della cosiddetta prima Repubblica presero per anni e anni finanziamenti illeciti da industrie, aziende e grandi imprese. Il vecchio Partito Comunista Italiano prendeva finanziamenti illeciti persino peggiori, perché il danaro gli giungeva dall’Unione Sovietica, che era un Paese nemico del Patto Atlantico. Nessun Partito era immune da questi finanziamenti. Eppure nessuno di loro si sognò mai di comprarsi i voti usando il danaro dei pubblici contribuenti, come ha fatto invece quel movimento di grandi moralizzatori noto come Cinque Stelle, che da subito non ha mai parlato all’intelligenza degli italiani, o del poco che ne resta, ma alla loro emotività e alla loro pancia. Voti palesemente acquistati con il reddito di cittadinanza, come provano le preferenze elettorali che hanno toccato delle autentiche maggioranze bulgare in quelle circoscrizioni elettorali del Meridione d’Italia dove sono stati erogati i più numerosi sussidi. Due sole regioni, la Campania e la Sicilia, detengono il 48% dei redditi di cittadinanza tra quelli erogati in tutta Italia. La conseguenza è stata che in alcuni collegi elettorali il Movimento Cinque Stelle ha superato il 70% delle preferenze elettorali. Non sono illazioni, ma dati statistici che lo dicono, per quant’è vero che le elezioni si vincono con i numeri di maggioranza, o no? E i numeri parlano.

Tutto questo lo scrivevo anni fa, in pieno potere cinquestellino, al contrario dei tanti, anzi dei troppi che questa realtà l’hanno vista solo quando i grandi moralizzatori del Paese sono caduti in una farsesca riedizione de La Fattoria degli Animali di George Orwell. E questo dopo averci regalato di tutto e di più: dai monopattini dai quali oggi rischiamo di essere travolti sui marciapiedi, per seguire con i banchi a rotelle che solo una scienziata della caratura di Lucia Azzolina poteva inventare. Su Luigi Di Maio ministro per gli affari esteri stendiamo invece direttamente un velo pietoso.

Chiariamo da subito a scanso di qualsiasi equivoco: un Paese che sia veramente civile ha il dovere politico, sociale e morale di sostenere tutti quei cittadini che non sono in grado di lavorare o che non riescono a trovare lavoro. Come sempre cerchiamo di chiarire il tutto con alcuni esempi concreti: un lavoratore che ha svolto per venti o trent’anni un lavoro usurante, per esempio un muratore o un manovale, se a cinquant’anni si ritrova senza lavoro e per di più con qualche problema di salute, dove lo trova un altro lavoro? Se un lavoratore di analoga età, ma anche un quarantenne che per quasi vent’anni ha fatto il camionista, non può stare più seduto per dieci ore al giorno alla guida di un camion per il sopraggiungere di problemi fisici che glielo impediscono, ma che al tempo stesso non può essere però considerato invalido, perché non lo è, un altro lavoro dove lo trova? Per l’uno e per l’altro, come per molti altri ancora, trovare un nuovo lavoro può essere anche possibile, ma sicuramente non è facile e meno che mai potranno trovarlo su due piedi. Ovvio che sostenere queste persone è un dovere di civiltà. Ma il reddito di cittadinanza, siamo sicuri che è andato a questo genere di persone e a tutti coloro che si trovano senza lavoro per motivi del tutto indipendenti dalla loro volontà?

Posto che stiamo a parlare degli italiani, non dei tedeschi o dei francesi che, piaccia o meno, sono dei popoli con un profondo senso di nazione e di identità nazionale, il reddito di cittadinanza ha segnato anzitutto, nella nefasta psicologia italica, una corsa immediata alla truffa ai danni dello Stato e dell’intera collettività nazionale dei pubblici contribuenti. Solo a dei politici onirici come i cinquestelle poteva passare per la mente, in un Paese come il nostro, di erogare questo sussidio basando il tutto sulla veridicità e la buonafede della auto-certificazione, senza alcun genere di rigoroso controllo, evitando che il tutto finisse a beneficio di quei furbi di cui l’Italia è madre partoriente a getto continuo. E i furbi truffatori, stando alle indagini che con enorme ritardo sono state fatte dagli organi amministrativi e giudiziari preposti, non sono stati affatto “alcuni casi”, ma decine e decine di migliaia, molti dei quali veramente eclatanti. Perché appena si sono messi a fare i controlli, hanno scoperto in breve l’incredibile e l’inverosimile. Purtroppo, i controlli, sono scattati solo quando è cambiato governo e dopo che il governo precedente aveva potuto lucrare voti sul reddito sia alle elezioni politiche sia alle elezioni amministrative.

Ho parlato a lungo e con numerosi percettori di questo devastante reddito, che non è certo tale in quanto tale ma per il modo in cui è stato congegnato. Dalle loro bocche ho potuto udire solo la parola «io ho il diritto di … ho il diritto di … ho il diritto di …». Dinanzi al quesito se mai si erano posti il problema che percepire un sussidio implica che dall’altra parte ci siano dei pubblici contribuenti che glielo paghino, la risposta data ― e non una volta, ma pressoché di prassi ― è stata a dir poco desolante: «Ah, ma è lo Stato che lo paga …». A seguire la precisazione ulteriore: «… perché lo Stato deve …».  Ogni commento, dinanzi a simili convinzioni, sarebbe a dir poco superfluo.

Un amico imprenditore tempo fa mi narrò che aveva versato allo Stato, in suoi contributi personali all’INPS, oltre 400.000 euro in 40 anni di lavoro, ricevendo in cambio, una volta giunto al pensionamento, una pensione di 650 euro mensili. Detto questo si dichiarò scandalizzato ― e vorrei vedere come dargli torto ― all’idea che dei ventenni fisicamente in grado di lavorare non si premurassero neppure di cercare lavoro e che riscuotessero 780 euro mensili di reddito di cittadinanza. Mentre altri riscuotevano da una parte il reddito e dall’altra lavoravano in nero, mettendosi in tasca 1.500 / 1.600 euro al mese. Perché queste sono le persone che pagano il reddito a un esercito di nullafacenti che non ne avrebbero alcun diritto e che, ripeto, non sono affatto casi sporadici e isolati, sempre stando a quanto emerso dai controlli effettuati dopo che le stalle erano state aperte e i buoi fuggiti allo stato brado.

Il celebre giornalista italiano Bruno Vespa ha dato di recente questa testimonianza a un programma televisivo Mediaset:

«Ho una masseria in Puglia. Ho trovato una ragazza che lavorava in nero in un locale. Brava, motivata, voleva crescere: le ho offerto 1.300 euro per fare la cameriera. La giovane ha accettato ma poi è tornata a casa e il suo compagno le ha detto: “tu sei pazza, sommando al reddito il lavoro in nero sei molto più libera e fai quello che vuoi”. Di queste situazioni ce n’è un’infinità in Italia» [cfr. QUI].

Presto detto: siamo dinanzi a un numero tanto elevato quanto inquietante di egoisti ignoranti che non hanno neppure la pallida idea di che cosa sia uno Stato. Ma c’è di peggio: in modo più o meno lamentoso o arrogante, antepongono sempre e solo di rigore la parola «io ho il diritto di … ho il diritto di … ho il diritto di …», senza essere mai sfiorati neppure di lontano che i diritti dovuti o acquisiti si basano di necessità sui doveri. Così, ogni volta che ho ricordato a questi soggetti ― molti dei quali purtroppo socialmente irrecuperabili nel loro modo di pensare ― che uno Stato si regge sul rapporto tra doveri e diritti dei cittadini e che dello Stato si beneficia nella misura in cui allo Stato si dà, per tutta risposta mi sono sentito dire: «Ah, ma lo stipendio dei politici …». E questo è l’altro elemento devastante della psicologia italica: «l’altro è peggiore e fa molto peggio di me». Oppure: «… sì, evado il fisco e faccio bene ad evaderlo perché il direttore della Banca d’Italia prende 40.000 euro al mese di stipendio». Da ragionamenti di questo genere può nascere solamente il peggio del peggio. Anche in questo caso diciamolo con degli esempi: ecco allora la mamma napoletana che dinanzi al figlio colto in flagrante mentre stava rapinando un tabaccaio, se la prende con il giudice che lo condanna affermando: «Ci sono politici e industriali che rubano ma non gli fanno niente». Per seguire con la madre dei due criminali che il 6 settembre 2020 uccisero brutalmente a Colleferro il giovane Willy Monteiro Duarte, anch’essi per inciso percettori di reddito di cittadinanza concesso previa auto-certificazione, la quale reagì irridendo il povero giovane ucciso e affermando: «L’hanno messo in prima pagina manco se fosse morta la regina» [cfr. QUI].  

La triste verità è che in Italia abbiamo cresciuto e allevato nel corso dell’ultimo mezzo secolo delle generazioni di pigri smidollati, per la gran parte figli unici viziati di mammà e papà, convinti veramente che tutto gli sia dovuto e che la parola “diritto” sia del tutto priva del suffisso “dovere”. E sorvoliamo poi sulla psicologia che segna la generazione ancora peggiore dei figli unici partoriti da madri ultraquarantenni, perché lì siamo veramente nella tragedia …

Per il genere di ministero che svolgo ho rapporti giornalieri con confratelli che vivono sparsi per le diocesi di tutta Italia, a contatto giorno dietro giorno con il materiale umano. In particolare coloro che vivono in Campania, Calabria e Sicilia mi hanno narrato episodi e situazioni di truffe e ruberie fatte in modo sfacciato alla pubblica luce del sole. Diversi presbiteri napoletani mi hanno riferito di non conoscere un solo percettore di reddito di cittadinanza che non lavorasse in nero. Dei presbiteri siciliani mi hanno riferito che erano gli impiegati stessi dei vari uffici della pubblica amministrazione a suggerire come fare cambi di residenza o crearsi residenze fittizie per poter percepire più redditi di cittadinanza all’interno dello stesso nucleo familiare, dopodiché, pochi giorni dopo, giungeva loro su WhatsApp la pubblicità dei candidati dei Cinque Stelle in quel collegio elettorale.

Più parroci di queste regioni mi hanno narrato casi in cui dei giovani sono andati a chiedere se potevano sposarsi in chiesa senza che però fossero trasmessi gli atti al Comune perché in tal caso avrebbero costituito un nucleo familiare e perduto i loro due rispettivi redditi di cittadinanza che sarebbero stati ridotti a un unico reddito per famiglia. Siccome erano percettori di reddito individuale, intendevano seguitare a percepire ciascuno il proprio reddito e a lavorare tranquillamente in nero alla luce del sole. Alla mia domanda rivolta a questi confratelli: «Sono casi sporadici?». Sia dalla Campania che dalla Sicilia mi è stato risposto: «Sporadici? È la prassi diffusa, ma c’è di peggio: il tutto avviene alla luce del sole e sotto gli occhi degli stessi amministratori che non solo evitano di vigilare, ma che favoriscono proprio questo sistema per loro interessi elettorali. Tutti vedono e sanno, ma per le elezioni politiche prima e quelle amministrative dopo, a nessuno sarebbe passato per la mente di mettersi contro questo appetitoso serbatoio elettorale di percettori di reddito, dietro ai quali non ci sono solo i singoli percettori, perché dietro c’è la “dovuta riconoscenza” di intere famiglie e di numerosi amici».

Ma c’è di peggio ancora: confratelli che vivono a giornaliero contatto col disagio sociale mi hanno lamentato ripetutamente di toccare ogni giorno con mano la realtà dei redditi distribuiti a pioggia a un esercito di furbi che non ne avevano di per sé diritto, mentre diverse persone veramente bisognose non erano riuscite a ottenere questo sussidio. Mi hanno raccontato, ma io stesso ho visto con i miei occhi artigiani, idraulici, elettricisti, antennisti, muratori che incassano di media 3.000/4.000 euro al mese in nero totale al quale hanno aggiunto la percezione del reddito di cittadinanza senza alcun pudore e vergogna. E non sono casi isolati sporadici, perché in certe zone del nostro Paese risultano essere invece la prassi. Il tutto, ripeto, alla pubblica luce del sole.

È pensabile e sostenibile che una parte produttiva del Paese mantenga con la propria contribuzione e il proprio gettito fiscale una parte palesemente parassitaria che dinanzi a forme di esagerato assistenzialismo a puro scopo di serbatoio elettorale, non ti dice neppure grazie, perché agisce e reagisce come se ciò gli fosse dovuto, salvo lamentare che il tutto non è mai abbastanza? Si può pensare, specie nell’attuale situazione geopolitica ed economica, di poter seguitare a mantenere buono e caro questo gran portafoglio di voti a spese del Paese che lavora, produce e paga tasse? Non è assolutamente vero che certe cose accadono in tutta Italia, falso! In varie zone del Meridione d’Italia ho visto persone lavorare in nero in bar e ristoranti, dove si recano a prendere il caffè o a cenare anche le Forze dell’Ordine, i militi della Guardia di Finanza, gli ispettori dell’Ufficio del Lavoro. E quando a questi ultimi ho fatto presente che in nessun’altra parte d’Italia è possibile vedere in certi locali una media di otto persone su dieci che lavorano in nero, per tutta risposta hanno fatto mezzo sorriso malinconico e mi hanno detto: «Meglio il lavoro nero della disoccupazione». A chi non fosse chiaro ripeto: risposta data da ispettori dell’Ufficio del Lavoro, non so se mi spiego.

A dei percettori palermitani di reddito furono proposti lavori in altre zone del Paese, dove c’è penuria di manodopera in molti settori. Le migliori giustificazioni date ai vari talk show televisivi non si sono fatte attendere: «Non posso lasciare la famiglia … con lo stipendio che mi darebbero la metà andrebbe per pagare l’affitto …». Infine la perla più splendida del percettore che per più sere, da un talk show televisivo all’altro ha detto: «Perché gli imprenditori del Nord non vengono qua a Palermo a creare lavoro?». E di talk show in talk show tutti hanno taciuto. Peccato che tra gli ospiti in quei parterre non c’ero anch’io, perché gli avrei ricordato all’istante che in passato, con tanto di incentivi da parte dello Stato e dell’Unione Europea, più imprese ci provarono eccome, ad andare a creare posti di lavoro. Il problema fu che appena cercarono di impiantare delle aziende si ritrovarono con tre diverse realtà: con una burocrazia spaventosa, con degli amministratori corrotti che se non pretendevano tangenti in danaro pretendevano l’assunzione di loro protetti, infine e non ultimo con i mafiosi che pretendevano il pizzo. Perché in città come Palermo e Catania, il pizzo, lo pagano anche quelli che vendono le panelle e i bruscolini al mercato. Ma forse, a questo percettore invitato a dire idiozie da un talk show televisivo all’altro, è stata data la possibilità di presentare la realtà complessa e delicata di Palermo ― senza pena alcuna di ridicolo ― come se il Capoluogo della Sicilia fosse un cantone della Confederazione Elvetica, abitato, come notoriamente risaputo, da soggetti zelanti e precisi come gli svizzeri. O ignora forse, questo soggetto e soprattutto chi lo ha invitato a pontificare, che quando ad Agrigento decisero infine di abbattere a scopo dimostrativo alcune ville abusive costruite dentro la Valle dei Templi, le demolizioni furono effettuate da ditte del Triveneto controllate e scortate da Polizia di Stato, Esercito e Carabinieri? Chissà perché nessuna ditta del luogo si presentò ai bandi d’asta andati più volte deserti … ma chissà perché?

I dati statistici confermano che con il reddito di cittadinanza la disoccupazione, dal 2019 alla fine del 2022 è aumentata e le aziende e le piccole imprese, specie quelle che operano nel settore turistico italiano, hanno avuto enormi difficoltà a trovare personale. Amici che gestiscono alberghi, ristoranti e stabilimenti balneari mi hanno riferito e dimostrato che in piena stagione hanno pagato tra i 1.800 sino ai 2.200 euro mensili dei lavoratori del Bangladesh e dello Sri Lanka perché non trovavano nessun piangente disoccupato italiano disposto a fare il lavapiatti. A partire soprattutto dai giovani, l’aspirazione di molti dei quali spazia tra il desiderio di diventare influencer pieni di followers a quella di poter entrare in un reality show. Perché queste, sono le generazioni di disadattati che abbiamo creato, il conceder loro anche il reddito di cittadinanza, è stata la ciliegina messa sulla panna sopra la torta.

Vogliamo parlare poi delle mamme, specie di quelle meridionali ipertrofico-protettive, che non vogliono proprio, che i loro figli facciano certi mestieri, anche se qualcuno di loro sarebbe semmai disposto a farli? Le ho sentite con le mie orecchie dire: «… mio figlio lavapiatti … mi figlio raccoglitore di pomodori …? No, mio figlio non lo deve fare!».

Quando ero bimbo di dieci anni ― quindi stiamo parlando ormai di cinque decenni fa ― ho visto lavorare giovani ventenni, perlopiù studenti universitari, nelle strutture turistiche dei miei familiari materni. Nei decenni successivi sono divenuti liberi professionisti, alti funzionari nella amministrazione dello Stato, medici specialisti, alcuni sono divenuti a loro volta imprenditori dopo avere imparato dai miei zii l’arte dell’imprenditoria. Uno di questi, divenuto poi medico specialista, fu particolarmente vicino a mio padre durante la malattia che lo portò alla morte ad appena 56 anni. Durante il corso dei suoi studi universitari in medicina, d’estate, per tutta la stagione, faceva il cameriere per pagarsi gli studi, perché la sua famiglia non poteva permettersi di sostenerlo più di tanto a studiare fuori sede.  

Il mio amico Paolo Del Debbio, al talk show da lui condotto stroncò un Tizio dicendo: «… guardi, che lei sta parlando con un ex cameriere. Perché quando studiavo mi mantenevo facendo il cameriere». Se però diamo ai nostri giovani un divano, una playstation e un reddito di cittadinanza, semmai facendogli anche credere che possa durare per tutta la vita e che tanto a pagarlo è quella non meglio precisata entità astratta chiamata Stato, non ne potremo tirare fuori né un medico specialista né un Paolo Del Debbio, né un bravo e ordinario cittadino della Repubblica Italiana. Il tutto sempre ribadendo che un Paese veramente democratico, liberale e civile, ha il dovere di aiutare e sostenere tutte le persone che non hanno lavoro o che hanno perduto il lavoro. Non però coloro che non vogliono trovare lavoro o che lavorano in nero per avere uno stipendio doppio, mentre chi ha lavorato per una vita intera e contribuito con il proprio gettito al nostro Stato sociale, oggi prende 680 euro al mese di pensione e, oltre alla beffa deve sentire anche non poche persone, che di lavorare non hanno voglia e di trovare lavoro meno ancora, strepitare: «… io ho il diritto di … ho il diritto di … ho il diritto di …».

Dall’Isola di Patmos, 18 dicembre 2022

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Gabriele

Un sogno dal quale prende vita la divina realtà della redenzione dell’uomo

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

UN SOGNO DAL QUALE PRENDE VITA LA DIVINA REALTÀ DELLA REDENZIONE DELL’UOMO 

Nel sogno di Giuseppe l’Angelo può parlare con serenità e tranquillità in nome di Dio. Perché Giuseppe, che ha il cuore già predisposto ad accogliere Dio, adesso può comprendere i dettagli del piano divino alla luce della fede.

 

Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Cari Lettori e amici de L’Isola di Patmos,

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tutti abbiamo dei sogni. Siamo uomini e tendiamo sempre ad accogliere i nostri desideri e le nostre aspirazioni più profonde. Dunque abbiamo un fine, uno scopo più grande e ben preciso che orienta tutte le altre scelte più piccole e quotidiane. Tutti i nostri sogni tendono a umanizzarci e renderci migliori perché attraverso di essi riflettiamo, ci mettiamo alla prova e siamo disponibili a metterci in gioco.

Anche Giuseppe aveva il suo sogno. Sposare la sua fidanzata, Maria. Gli mancava poco al passo della celebrazione rituale delle nozze. Ma Giuseppe si rende conto che Maria è incinta. Così, improvvisamente, si trova dentro un dramma. Il suo sogno si spezza. Quello che tanto aveva desiderato e atteso non potrà più avverarsi. Maria non potrà essere sua sposa. Superato però lo scoramento iniziale, Giuseppe non si perde d’animo. Con giustizia verso Dio e verso la stessa Maria, si pone in obbedienza alla legge del Deuteronomio: per evitare la lapidazione decide di scrivere una lettera per rompere il fidanzamento in modo discreto e riservato. Dio va in aiuto a Giuseppe e in sogno gli manda un Angelo. Ecco allora che Giuseppe può abbandonare il suo sogno per entrare nel sogno di Dio.  Nel sogno di Giuseppe l’Angelo può parlare con serenità e tranquillità in nome di Dio. Perché Giuseppe, che ha il cuore già predisposto ad accogliere Dio, adesso può comprendere i dettagli del piano divino alla luce della fede.

Giuseppe viene a sapere dall’Angelo che deve dare il nome al figlio di Dio. A quel figlio così speciale, voluto dall’Eterno Padre, prima persona della Trinità, Giuseppe è chiamato a dare il nome. Il dare nome implica avere la patria potestà e offrire la paternità legale. E Gesù è figlio di Giuseppe per via legale. Dare il nome vuol dire che Dio affida a Giuseppe un compito importantissimo: annunciare al mondo che Gesù, quel bambino giunto così misteriosamente nella sua vita, è Dio che salva il mondo intero. Giuseppe diviene così il primo annunciatore del nome di Dio che offre l’annuncio di salvezza. Finalmente si adempie e realizza il sogno di Dio preannunciato in Isaia [cfr. 7,14]. Quando Giuseppe si sveglia ha nel cuore la chiave di volta di quel sogno spezzato. Ha guadagnato tutto centuplicato, nel sogno di Dio che si realizza in lui. Così prende Maria con sé, come marito fedele, sposo affettuoso e uomo attento e preciso nel suo lavoro e custodisce la sua sposa. Insieme a Maria si prende cura e custodisce quel bambino così misterioso. Con Maria gli insegna le pratiche della fede ebraica. Giuseppe nella sua leale castità è padre fecondo e autentico per questo figlio così misterioso.

Il sogno di Dio supera quello umano di Giuseppe. Ed è ancora più bello e inatteso. Scrive la biblista Rosalba Manes:

«Con Giuseppe l’uomo torna ad essere come la Genesi ce lo presenta prima del peccato: cultore e custode dei doni di Dio»

Questo può avvenire nelle nostre vite. Quante volte dobbiamo abbandonare progetti e sogni. Con fatica ci riusciamo. Ma se lasciamo tutti i progetti entrando nel sogno di Dio, non perderemo niente ma avremo tutto centuplicato.

Chiediamo al Signore di far entrare le nostre vite nel Suo Sogno, per diventare tutti dei piccoli Giuseppe e Maria, e con la grazia che abbiamo ricevuto, donare al mondo la salvezza di Dio.

Così sia.

Santa Maria Novella in Firenze, 18 dicembre 2022

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