È IN DISTRIBUZIONE AMORIS TRISTITIA, ULTIMA OPERA EDITORIALE DI ARIEL S. LEVI di GUALDO DEDICATA ALLA MEMORIA DEL CARDINALE CARLO CAFFARRA
«Chi di noi si è formato in ambito teologico sulle pagine del recente sommo magistero dei Pontefici Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, facendo tesoro della grande omiletica di Benedetto XVI, degna dei sermoni del Santo Pontefice Gregorio Magno, nel leggere certi documenti recenti o udendo taluni predicozzi giornalieri da curato di campagna svaporato, può giungere ragionevolmente a dire che dalle aquile reali si è passati ai polli d’allevamento in batteria intensiva».
— Novità editoriali —
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Autore: Jorge Facio Lince Presidente delle Edizioni L’Isola di Patmos
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Il 6 settembre ricorre il V° anniversario della morte del Cardinale Carlo Caffarra che nel 1981 fu incaricato dal Santo Pontefice Giovanni Paolo II di fondare l’Istituto per studi su matrimonio e famiglia. L’opera di Padre Ariel S. Levi di Gualdo è una disamina critica della Amoris Laetitia in rapporto alla Humanae Vitae. Riguardo la Amoris Laetitia l’Autore scrive:
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«Dopo la chiusura del Sinodo sulla famiglia l’utero dell’elefantessa partorì il 19 marzo 2016 il topolino di campagna della Esortazione Apostolica post sinodale Amoris Laetitia, un marchingegno di ambiguità costruito sul detto e non detto, su frasi ambigue a doppio senso, sentimentalismi emotivi e tanti sociologismi che decretano di fatto la morte di quello che per secoli è stato il linguaggio preciso, deciso e non passibile di equivoci del Magistero della Chiesa sorretto sui più solidi e chiari principi della metafisica classica, da tempo messa in soffitta per lasciare spazio al romanticismo tedesco decadente e al cuoricino che palpita e che guarda all’immediato del proprio soggettivo “io” anziché al futuro e a Dio. Chi di noi si è formato in ambito teologico sulle pagine del recente sommo magistero dei Pontefici Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, facendo tesoro della grande omiletica di Benedetto XVI, degna dei sermoni del Santo Pontefice Gregorio Magno, nel leggere certi documenti recenti o udendo taluni predicozzi giornalieri da curato di campagna svaporato, può giungere ragionevolmente a dire che dalle aquile reali si è passati ai polli d’allevamento in batteria intensiva, come a volte è accaduto a intervalli ciclici nella storia della Chiesa, anche se mai ai livelli desolanti di questi nostri tempi […] Qualche superficiale potrebbe fraintendere, in buona o anche in mala fede, obiettando che in queste pagine ho rivolto severe critiche a una Esortazione Apostolica data dal Romano Pontefice. Chiunque mi accusi di ciò sarebbe in grave errore, perché non critico affatto una norma data, dinanzi alla quale tacerei ed eseguirei quanto disposto dal sommo magistero. Ciò che critico è una norma non data e delle domande alle quali non è mai stata data risposta, lasciando il tutto avvolto nell’ambiguità. Questo è l’oggetto della mia critica: la mancanza di una norma assieme alla mancanza di chiarezza e di risposta. Il fedele servitore della Chiesa ragiona, dibatte e critica fin quando è consentito. Dopo che la Chiesa ha parlato il suo compito è di eseguire e trasmettere gli insegnamenti e di osservare le norme date, salvo creare in caso contrario scandalo nel Popolo di Dio e fratture della comunione ecclesiale. Nessuno, sacerdote o laico cattolico che qualsivoglia, può dissentire e sostituire le proprie personali opinioni all’autorità della Chiesa, a questo ci pensano i teologi tedeschi, da sempre è loro prerogativa e privilegio pontificio».
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È cosa nota e risaputa quanto Padre Ariel sia un pensatore, un analista e un teologo che quando graffia lascia il segno. E chi il graffio lo riceve, in genere ha due possibilità: o tenerselo e curare la ferita, oppure ritrovarsi in gravi difficoltà a smentire ciò che di vero e incontestabile ha scritto. Questo il motivo per il quale è accaduto nel corso del tempo che più volte, varie persone che si sono sentite ferite dalle sue parole o dai suoi rimproveri, non potendolo smentire né volendo dibattere nel merito delle precise questioni sollevate si sono attaccate alla forma espressiva, che nel caso di questo scrittore è spesso ironica, talvolta persino colorita. Ma d’altronde è noto: a questo modo agivano già a suo tempo i farisei.
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Dibattendo sul delicato tema della Humanae Vitael’Autore si colloca nel mezzo in un punto di equilibrio tra coloro che vorrebbero relativizzarla e coloro che vorrebbe invece «dogmatizzare un preservativo rinchiudendo al suo interno la morale cattolica e l’intero mistero del male». A tal proposito precisa:
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«Desidero chiarire sin dall’inizio di questa mia esposizione che a certi generi di pensieri e giochi perversi non ci sono mai stato né intendo starci come uomo e come cattolico, come presbitero e come teologo. Questo libro intende esserne prova lucida e obiettiva in aperta critica rivolta sia a coloro che vorrebbero applicare alla Chiesa il carente senso morale del mondo e la sua sessualità disordinata e senza alcuna regola, sia a coloro che sono animati da quelle forme di cupo moralismo che niente ha da spartire con la sana e autentica morale cattolica, retta sulla più importante delle virtù teologali: la carità (cfr. I Cor 13), non certo sul principio della summa lex summa iniuria (la somma giustizia equivale spesso alla somma ingiustizia). E la verità si regge sulla carità, mentre la carità è tale se retta dalla verità (cfr. Caritas in veritate). Perché è sulla carità che saremo giudicati da Dio».
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https://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.png00Jorge Facio Lincehttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngJorge Facio Lince2022-08-30 15:24:122022-12-10 13:27:15È in distribuzione “Amoris Tristitia”, ultima opera editoriale di Ariel S. Levi di Gualdo dedicata alla memoria del Cardinale Carlo Caffarra
L’ARCIVESCOVO VINCENZO PAGLIA NON È SEMPLICEMENTE IL FRATELLO IDIOTA DI DON ABBONDIO MA LA MERETRICE DI BABILONIA GENUFLESSA DINANZI AL PRINCIPE DI QUESTO MONDO
«La prima condizione per la fine della eclissi dei valori tradizionali e per l’uscita del Cattolicesimo dalla sua crisi è che la Chiesa riprenda la sua funzione, che non è conformarsi al mondo, ma contrastarlo» (Augusto Del Noce, 1971)
le testuali parole di S.E. Mons. Vincenzo Paglia, cliccare sull’immagine per aprire il video
Dell’Arcivescovo Vincenzo Paglia mi sono già occupato epitetandolo fratello idiota di Don Abbondio, oggi merita il titolo di meretrice di Babilonia genuflessa al Principe di questo mondo [cfr. Gv 14, 30]
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«Sulla fronte aveva scritto un nome misterioso: “Babilonia la grande, madre delle prostitute e degli abomini della terra”» [Ap 17, 5].
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Le dichiarazioni fatte da questo idiota nel senso etimologico del termine ― dal greco ἰδιώτης (idiòtes) che significa “uomo privato” e indica la persona incompetente, inesperta e inetta ― sono di una gravità senza precedenti, tanto più ricoprendo il delicatissimo ruolo di Presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Partecipando di recente al programma Il tetto che scotta sulla sinistrissima e politicamente corretta Rai Tre ha magnificato la legge 194 del 1978 sull’aborto legalizzato affermando: «Io penso che ormai la Legge 194 sia un pilastro della nostra vita sociale». Dopo essersi arrampicato per 40 secondi sugli specchi, alla secca domanda dell’intervistatrice che lo ha incalzato: «Lei dice che non è in discussione la Legge 194?». L’Idiota ha replicato: «Ma no, assolutamente … assolutamente!».
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Parole di per sé nemmeno commentabili dinanzi alle quali torna alla mente una frase del filosofo Augusto Del Noce che dipinse la nostra situazione attuale scrivendo queste parole profetiche quattro decenni fa:
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«La prima condizione per la fine della eclissi dei valori tradizionali e per l’uscita del Cattolicesimo dalla sua crisi è che la Chiesa riprenda la sua funzione, che non è conformarsi al mondo, ma contrastarlo» [Tramonto o eclissi dei valori tradizionali? Rusconi Editore, Iª ed. 1971]
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Può un vescovo compiacere il mondocon simile piaggeria, anziché contrastare chi proclama l’aborto «diritto sacrosanto» e «grande conquista sociale»? A un vescovo legittimo successore degli Apostoli e membro del Sacro Collegio Apostolico va tributato rispetto, sempre, a prescindere dalle sue debolezze, fragilità e mancanze di meriti oggettivi che possono fare di lui un personaggio anche al di sotto della mediocrità. Come confessore e direttore spirituale di numerosi preti ho udito spesso i lamenti di diversi confratelli che mi spiegavano quanto il loro vescovo fosse un emerito idiota. E avevano ragione, perché tale era nei disastrosi fatti concreti. E a tutti loro ho sempre risposto:
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«… e a questo emerito idiota devi filiale rispetto e devota obbedienza, sempre e a prescindere. Pertanto cerca di vivere la oggettiva idiozia del tuo vescovo come una prova di fede. Puoi non stimarlo, perché la stima non gli è dovuta, se la vuole quella deve guadagnarsela. Ma il rispetto e l’obbedienza sì, gli è sempre dovuta e non può essere in alcun modo cancellata dai suoi demeriti di cui al momento opportuno dovrà rispondere a Dio come sta scritto: “A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più”» [Lc 12, 48].
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Da una parte raccolgo le lamentele dei pretiverso i loro vescovi, dall’altra quelle di diversi vescovi che non ce la fanno più con certi preti. E hanno ragione gli uni e gli altri. Ormai da anni, a preti che si lamentavano dei loro vescovi non particolarmente amabili, paterni o dottrinalmente brillanti replico: «Tra non molto tempo tu e i tuoi confratelli rimpiangerete il vostro vescovo con le lacrime agli occhi». Frase ripetuta a decine di preti a partire dal 2017, quando i massimi vertici della Chiesa Cattolica superarono la soglia del non-ritorno festeggiando i 500 anni della pseudo-riforma di Martin Lutero, che non fu affatto un «riformatore», come lo dipinse La Civiltà Cattolica, né un soggetto sul quale si possa dire: «Credo che le intenzioni di Martin Lutero non fossero sbagliate. Era un riformatore». Perché così il Sommo Pontefice Francesco definì in un suo sproloquio a braccio in aereo ad alta quota questo diabolico eresiarca che dette vita a un drammatico scisma, non certo a una riforma. Quella la fece il Concilio di Trento, non Lutero. Oggi, gli stessi preti, mi scrivono, mi telefonano o a tu per tu mi dicono: «Avevi ragione, potessi riavere il precedente vescovo di cui tanto mi sono lamentato non gli bacerei la mano ma i piedi!».
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Stendo un velo pietososui criteri di selezione dei nostri nuovi vescovi sotto questo augusto pontificato, tutti col povero e il migrante sulla bocca, tanto che dopo averne udito uno si sono udite tutte le omelie episcopali pronunciate da nord a sud, da est a ovest dai vescovi italiani.
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Che i nostri non siano tempi di “aquile reali”è chiaro a chiunque abbia anche un minimo lume di ragione. Per questo merita delineare la differenza che corre tra un vescovo idiota al quale sono sempre dovuti filiale rispetto e devota obbedienza, da un vescovo ridotto a una meretrice di Babilonia genuflessa alle ginocchia del Principe di questo mondo. All’Arcivescovo Vincenzo Paglia deve essere pubblicamente tributato tutto quel santo sprezzo che qualsiasi credente è tenuto a riversare su ciò che è male e che come tale costituisce grave peccato, nel caso specifico il delitto di aborto, regolamentato nel nostro Paese da una Legge che non è affatto un «pilastro della nostra vita sociale» ma il peggiore dei crimini legalizzati perpetrati contro la vita. Ecco perché non bisogna prestare filiale rispetto e devota obbedienza all’Arcivescovo Vincenzo Paglia, perché abusando nel modo peggiore dell’episcopato ha espresso dei concetti che contraddicono l’impianto della nostra morale e della nostra etica che si reggono entrambe sui pilastri del deposito della fede cattolica. Rimane un vescovo legittimo rivestito di una importante e delicata carica ecclesiastica, questo è fuori discussione. Però, se la sua potestas che comporta anzitutto la suprema custodia della dottrina della fede la esercita per negare in modo sacrilego i fondamenti della morale e dell’etica cattolica, in tal caso non deve essere né ascoltato, né ubbidito né seguito e meno che mai rispettato, ma bensì reso oggetto di santo sprezzo cristiano.
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Vincenzo Paglia è una vergogna dell’episcopato appartenente a quella nefasta categoria di persone verso la quale tuonano le Sacre Scritture:
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«Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» [Ap 3, 15-16].
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Assieme a Vincenzo Pagliarischiano di essere vomitate dalla bocca dell’Onnipotente anche tutte le ambiguità e le doppiezze di questo pontificato al quale va il grave e oggettivo demerito di avere inserito in tutti i più delicati posti chiave soggetti immorali e palesemente eterodossi, correndo a questo modo il rischio di «[…] passare agli annali come un inseguimento eccentrico del nuovo e del sensazionale come surrogato della ricerca di senso, che ha finito col produrre una confusione dottrinale e pastorale mai verificatasi in precedenza nella storia della Chiesa».
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Parole quest’ultimecon le quali apro il mio libro dedicato alla memoria del Cardinale Carlo Caffarra che entrerà in distribuzione i primi di settembre e che vi invito a leggere, non altro per risollevarvi un po’ d’animo, per acquisire fiducia sul fatto che non tutto è perduto e per poter toccare con mano che in mezzo a tanti pavidi conigli in carriera che stanno de-costruendo i fondamenti stessi della dottrina cattolica, esistono sempre anche i leoni che aspirano alla conquista del premio della vita eterna come loro unica ambizione di carriera. Leoni che è bene non andare a infastidire con la parolina di stizzoso rimprovero clericale, perché mordono e sbranano, come si deve e come si conviene ai Leoni di Dio posti a custodia della dottrina della fede e della salute delle anime dei Christi fideles a noi affidate dal Redentore.
Dall’Isola di Patmos, 28 agosto 2022
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https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2019/01/padre-Aiel-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Arielhttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Ariel2022-08-28 17:56:212022-08-30 09:41:03L’Arcivescovo Vincenzo Paglia non è semplicemente il “fratello idiota” di Don Abbondio ma la meretrice di Babilonia genuflessa dinanzi al Principe di questo mondo
LA CHIESA CATTOLICA NON PRENDE ORDINI DA NESSUNO TANTO MENO DAGLI UCRAINI CHE HANNO PERDUTO IL CONTATTO COL REALE IN UN TRIONFO DI ARROGANZA CHE PRODURRÀ GRAVI DANNI A TUTTE LE POPOLAZIONI DELL’EUROPA
Alla Chiesa Cattolica nessuno può impedire di pregare per la redenzione e la salute dell’anima di Hitler come per la redenzione e la salute dell’anima di Stalin, perché ha il dovere di farlo. Cosa che fece al momento opportuno proprio mentre certi personaggi perpetravano i loro peggiori crimini contro l’umanità. La Chiesa non segue le direttive emotivo-distruttive di un ex comico eletto Presidente dell’Ucraina ma il Vangelo di Gesù Cristo.
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Nel mio libro pubblicato un paio di mesi fa: Guerra e propaganda ideologica,ho anticipato fatti e problemi che stanno venendo alla luce adesso nella loro drammatica gravità politica ed economica.
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Ricordate la scorsa stagione televisiva, dove di talk showin talk show si inneggiava slava Ucraini (gloria all’Ucraina)? Ricordate le voci critiche tacitate? Ricordate in che modo un esperto storico come Franco Cardini — autore di Ucraina, la guerra e la storia — non potendo essere zittito né dichiarato non autorevole, era tacitato con la inderogabile pubblicità da mandare in onda, facendolo poi sparire dallo schermo a stacco pubblicitario terminato? Ma soprattutto: ricordate gli ucraini invitati negli studi televisivi che con arroganza memorabile puntavano il dito verso l’Italia e gli italiani affermando di sera in sera: «Non dovete comprare il gas dalla Russia, dovete fare sacrifici per noi, perché noi lottiamo anche per la vostra libertà»?
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Sotto gli occhi dei conduttori silenziosi,assaliti dalla necessità di mandare in onda la inderogabile pubblicità solo quando parlavano Franco Cardini o altri studiosi e qualificati esperti di storia e geopolitica, abbiamo dovuto sorbirci senza possibilità di replica dei soggetti emotivi drogati dalla propaganda di Vlodimir Zelenski ― che alle droghe pare non sia stato estraneo ― che senza possibilità di replica affermavano in prima serata che noi italiani eravamo obbligati a sacrificare i nostri figli per i figli degli altri che avevano deciso di lottare come dei cerbiatti contro una leonessa, convinti di vincere. Che la leonessa – nel caso specifico la Russia – li abbia aggrediti, è indubbio. Altrettanto indubbio che da una parte c’è un aggressore e un aggredito, in un contesto geopolitico molto complesso, vecchio e delicato nel quale non si può risolvere il problema sentenziando in modo superficiale e inappellabile chi è il buono e chi il cattivo, perché nelle guerre quando si ammazza tutti sono vittime e carnefici.
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I governanti ucrainie buona parte della popolazione, inclusa quella cattolica e purtroppo anche alcuni vescovi di quel Paese, hanno già attaccato in passato la Santa Sede e il Sommo Pontefice dichiarandosi indignati per l’idea di far portare la croce a una donna russa e a una donna ucraina nel corso della Via Crucis durante i riti della Settimana Santa, al punto da oscurarla sulle reti televisive della libera Ucraina, che al contrario della cattiva Russia sarebbe una democrazia, non un regime dittatoriale (!?). In questi giorni ha fatto seguito analoga dura protesta perché il Sommo Pontefice ha osato rivolgere un pensiero e una preghiera a Darya Dygin, figlia di Alexander, famoso e discutibile ideologo russo, uccisa in un attentato:
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«Penso a una povera ragazza volata in aria per una bomba che era sotto il sedile della macchina a Mosca. Gli innocenti pagano la guerra» [cfr. QUI]
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Il Governo Ucraino ha reagito con una protesta diplomatica attraverso il proprio ambasciatore e convocando il Nunzio Apostolico della Santa Sede a Kiev.
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Siamo al delirio di onnipotenza al quale si aggiungono cieca ignoranza e arroganza. Alla Chiesa Cattolica nessuno può impedire di pregare per la redenzione e la salute dell’anima di Hitler come per la redenzione e la salute dell’anima di Stalin, perché ha il dovere di farlo. Cosa che fece al momento opportuno proprio mentre certi personaggi perpetravano i loro peggiori crimini contro l’umanità. La Chiesa non segue le direttive emotivo-distruttive di un ex comico eletto Presidente dell’Ucraina ma il Vangelo di Gesù Cristo sul quale sta scritto:
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«Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati […] infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» [Mt 9, 12-13].
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Ciò che dovevo analizzare ed esprimere sul conflitto russo-ucraino l’ho scritto in un libro al quale vi rimando.
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Dopo la pausa estivastanno riprendendo i vari talk show alle porte di un autunno che si sta delineando molto critico. Questi vari programmi hanno riaperto mandando in onda i lamenti di imprenditori, commercianti e privati che stanno ricevendo delle bollette della luce salite ormai alle stelle e che non riescono a pagare, mentre nessuno sembra avere i virili attributi politici per dire che la guerra è stata un fallimento e peggio ancora l’invio di armi all’Ucraina, dove non si è armato un esercito ma una popolazione civile. Salvo poi mandare in onda sui nostri telegiornali notizie sui brutali soldati russi che uccidevano civili inermi. Anche in questo caso la domanda è rimasta senza risposta: un cosiddetto civile inermeche imbraccia un Kalashnikove che apre il fuoco sul nemico, siamo davvero sicuri che sia un civile inerme?
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Tra poco, all’arrivo del freddo,ci sarà il problema del gas per gli impianti di riscaldamento. Riusciranno i nostri eroici uomini-azienda che conducono i vari talk show a riportare nuovamente negli studi televisivi gli ucraini per puntare il dito sugli italiani e dir loro che devono sacrificare i propri figli, le proprie famiglie e le proprie aziende per sostenere l’Ucraina nella propria arrogante politica suicida? Sarà interessante udire quel che diranno agli inizi del prossimo inverno i vari conduttori che nella scorsa stagione televisiva inneggiavano slava Ucraini(gloria all’Ucraina), dinanzi agli italiani che in modo molto inglorioso rischiano di ritrovarsi veramente alla canna del gas, mentre già da adesso, i gestori delle case di riposo per anziani e degli asili nido stanno dicendo in toni allarmati che non saranno in grado di pagare le bollette della luce ormai triplicate e quelle del gas che tra non molto arriveranno, ma che al tempo stesso non possono certo triplicare le rette mensili dei loro ospiti.
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Tutto il resto è scritto nel mio libro, con buona pace di chi ha inneggiato per mesi di talk showin talk show: slava Ucraini! Vediamo se lo stesso grido gli uomini-azienda avranno il coraggio di ripeterlo anche questo inverno con gli ucraini in studio che puntano il dito e che di sera in sera ripetono agli italiani ridotti alla canna del gas: «Voi dovete fare dei sacrifici per noi».
Dall’Isola di Patmos, 26 agosto 2022
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https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2019/01/padre-Aiel-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Arielhttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Ariel2022-08-26 13:49:342022-08-27 14:03:56La Chiesa Cattolica non prende ordini da nessuno tanto meno dagli ucraini che hanno perduto il contatto col reale in un trionfo di arroganza che produrrà gravi danni a tutte le popolazione dell’Europa
«IL GIOCO DEL LOTTO È LA TASSA DEI FESSI». STIAMO LEGALIZZANDO TUTTO: ABORTO, EUTANASIA, DROGA, PROSTITUZIONE, GIOCO D’AZZARDO … PERCHÉ NON LEGALIZZARE ANCHE IL FEMMINICIDIO?
Vi pare giusto che un fuori di testa che ammazza una donna debba finire in galera come una volta ci finivano donne e ginecologi che ammazzavano i bambini con l’aborto illegale? Se in galera non ci finisce una madre che uccide il proprio figlio e un ginecologo che come un killer esegue l’assassinio, perché deve finirci un uomo che uccide una donna? Al massimo affidiamolo a una istituzione benefica e facciamogli svolgere qualche lavoretto socialmente utile.
Emma Bonino promotrice di varie campagne contro gli obbiettori di coscienza
Nel suo cabaret yiddish il Maestro Moni Ovadia ironizza sulla macchietta di un vecchio ebreo tirchio che pregava con insistenza il Signore di farlo vincere alla lotteria. Dopo assillanti preghiere risuona sul cielo di quello shtetluna voce scocciata: «Shlomo, io ti faccio anche vincere, ma tu spendi due soldi e acquista perlomeno un biglietto!».
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Molti anni fa, quand’ero studente universitario, il montepremi della vecchia lotteria di capodanno era giunto a cinque miliardi delle vecchie lire. Tutti i miei compagni avevano acquistato almeno un biglietto, ad eccezione mia. Un’amica mi domandò perché non ne avessi acquistato uno per il costo di poche lire, meno di quanto costasse un pacchetto di sigarette. Risposi: «Le possibilità di vincita sono talmente remote che se proprio dovessi vincere sarò a tal punto fortunato da trovare il biglietto vincente a terra mentre cammino per strada».
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Il gioco d’azzardo ha sempre costituito un grande giro d’affari per la malavita, in particolare per le associazioni mafiose presenti nel nostro Paese: la Camorra, la ‘ndragheta e Cosa Nostra. Il 27 giugno 1998 entra in vigore la legge che rende legale il gioco d’azzardo nel nostro Paese, regolato e gestito dai Monopoli dello Stato. Negli anni a seguire il Legislatore è intervenuto con altre leggi: nel 2005 promulga la legge n. 266 che definisce il ruolo dell’Azienda Autonoma dei Monopoli di Stato che si occupa dei giochi che prevedono vincite in denaro e del contrasto della giungla di siti illegali privi di autorizzazione statale per operare in Italia, in particolare quelli del video-poker online, con domiciliazione in un paradiso fiscale e il server providerin qualche sperduto Paese asiatico svincolati da tutte le regole dei vari Stati nazionali. Tra il 2009 e il 2011 il Legislatore si occupa della tutela dei minori di 18 anni, ai quali è vietato giocare d’azzardo ai sensi delle leggi 88/2009 e 98/2011. Queste leggi hanno aumentato le pene nei confronti di coloro che non rispettano le necessarie misure sui divieti imposti per i minorenni, in particolare per i siti internet e i centri di gioco e scommesse. Nel 2012 un decreto legge che prende nome da Renato Balduzzi, all’epoca ministro della salute, si è occupato della dipendenza dal gioco d’azzardo, nota come ludopatia, un disturbo che rientra nella delicata sfera delle competenze psichiatriche.
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Due sono le correnti di pensiero: le persone favorevoli al gioco d’azzardo legale sostengono che vietandolo sarebbe favorita la diffusione di siti non autorizzati e delle sale da gioco clandestine gestite perlopiù dalla criminalità organizzata. I contrari sostengono che la piaga della dipendenza, la ludopatia, può portare alla rovina interi nuclei familiari, al tutto vanno aggiunte le spese non indifferenti a carico del Servizio Sanitario Nazionale per la cura dei giocatori compulsivi.
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È ormai pensiero diffuso che per evitare un male bisogna ricorrere al male dicendo che il male è bene. Chiariamo: la «grande italiana» Senatore Emma Bonino, secondo la infelice definizione pontificia oltre a chiamare l’aborto «grande conquista sociale» e a lamentare al Parlamento Europeo e alla Corte Internazionale di Giustizia la eccessiva presenza di medici obiettori di coscienza nel nostro Paese ― cosa questa che la rende, appunto, una “grande italiana” degna come tale di encomio pontificio ―, sostiene tutt’oggi che l’aborto legalizzato ha debellato quello clandestino, ponendo fine alla piaga delle poverelle che morivano una tantumdi setticemia sotto i ferri delle mammane, mentre le ricche andavano nelle cliniche svizzere ad abortire in tutta sicurezza. Perché non applicare la stessa identica logica e affermare che andrebbe legalizzato il femminicidio, o perlomeno depenalizzarlo? Vi pare giusto che un fuori di testa che ammazza una donna debba finire in galera come una volta ci finivano donne e ginecologi che ammazzavano i bambini con l’aborto illegale? Se in galera non ci finisce una madre che uccide il proprio figlio e un ginecologo che come un killeresegue l’assassinio su richiesta, perché deve finirci un uomo che uccide una donna? Al massimo affidiamolo a una istituzione benefica e facciamogli svolgere qualche lavoretto socialmente utile.
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La iperbole è evidente, solo dei ciechi emotivi e degli analfabeti digitali possono non coglierne il senso del tutto provocatorio, paradossale e non ultimo pure grottesco, fraintendendo il chiaro senso e infine accusandomi di avere istigato al femminicidio. E vi posso garantire che non mancheranno questo genere di webeti che leggono solo il titolo e forse il sottotitolo. Non solo perché i webetinon muoiono mai, ma perché se gli fosse anche sparato un colpo di pistola sulla fronte, potete stare certi che il proiettile rimbalzerebbe per andare a uccidere un povero innocente che passava per la strada.
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Questa è però la logica con la quale da decenni, a partire dalla legge sulla legalizzazione dell’aborto, gli italiani sono stati drogati da quel partitino mefistofelico noto come Partito Radicale, la cui logica emotiva è nota: perché costringere una poverella a rischiare la vita sotto i ferri di una mammana, mentre le ricche signore vanno ad abortire in Svizzera? Sì, ma i membri del partitino mefistofelico, in testa a tutti Marco Pannella ed Emma Bonino grande italiana pontificia, non hanno mai risposto a un quesito fondamentale: e chi sarebbe che costringe sia la poverella che la ricca signora a uccidere un essere umano innocente? È forse moralmente lecito, nonché obbligatorio, uccidere le creature innocenti e indifese?
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Fatto passare questo pensierone seguiranno di conseguenza altri. Si sa per esempio che uno dei mestieri più antichi del mondo è la prostituzione. Considerando che non può essere debellata, in tal caso legalizziamola. Altrettanto vale per il consumo delle droghe leggere o pesanti. Una volta legalizzate prostituzione e droga, non avremmo forse tolto alle varie mafie e associazioni criminali un grande giro di affari, sempre secondo il principio dell’aborto legale che avrebbe sconfitto quello clandestino? In fondo è semplice a farsi, basta che lo Stato ― già divenuto ormai infanticida con la legge n. 194 del 1978 ― diventi anche sterminatore di malati terminali, pappone di prostitute, spacciatore di droga e via dicendo a seguire. Altrimenti che genere di Stato civile, che genere di Stato di diritto sarebbe il nostro, qualora negasse il “diritto” a suicidarsi, prostituirsi, drogarsi? In tal modo il male cesserà di essere tale e sarà legalizzato divenendo lecito. Anzi, alle mignotte imporremo l’obbligo di regolare licenza commerciale, daremo loro una partita Iva con aliquota al 22%, l’obbligo di emettere ricevute fiscali cliente dietro cliente e di presentare infine la denuncia dei redditi annuale. Già me le immagino le ricevute delle mignotte con il dettaglio delle prestazioni e relativi prezzi varianti dai rapporti anali sino a quelli sadomaso. Volendo posso immaginare anche la faccia del commercialista, sia della mignotta che del cliente, al quale queste ricevute saranno presentate per la dichiarazione fiscale annuale e da inserire sotto chissà quale voce di deducibilità per il cliente.
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Sarà quindi bene darsi una mossa, in questa italica società cattofobica semi-schiava del Vaticano e per questo lontana dal giungere ai livelli di grande civiltà dei Paesi scandinavi, che da alcuni decenni si disputano col Giappone il felice primato mondiale dei suicidi e del più alto tasso di affetti da sindromi depressive acute.
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Mentre si pensa di ovviare certi problemi con le legalizzazioni, pochi pensano a sostituire il danaro contante con la moneta elettronica, che potrebbe sì portare beneficio fungendo da grande deterrente in un Paese nel quale i dati dell’Istat del 2018 parlano di 110 miliardi di evasione fiscale all’anno, di una economia sommersa pari a 192 miliardi e di attività illegali pari a 19 miliardi. Ovviamente, quello sulle attività illegali è un dato molto approssimativo, perché il giro di affari della criminalità è di parecchio superiore. Con la moneta elettronica che comporta la tracciabilità, come farebbe un puttaniere a pagare una mignotta? Presto detto: o la signora si dota di un improbabile meccanismo per strisciare carte di credito e bancomat tra i seni o tra le natiche, oppure il pagamento sarebbe a dir poco arduo. Altrettanto difficile per un imprenditore delinquente pagare in nero dei lavoratori privi di contribuzioni e coperture assicurative, in un Paese come il nostro dove si registrano di media 3 morti al giorno sul lavoro, secondo i dati statistici del 2019. Altrettanto varrebbe per l’elevato numero di artigiani che nel Meridione d’Italia in modo particolare svolgono attività di muratori, idraulici, elettricisti, antennisti, tecnici informatici … senza risultare in alcun dove come ditte individuali o lavoratori autonomi. E non sono pochi quelli che attualmente stanno pure beneficiando del reddito grillino di cittadinanza, pur mettendosi in tasca alcune migliaia di euro al mese in nero totale senza pagare neppure l’ombra di una tassa o di un contributo. Con la moneta elettronica tracciabile, in che modo il cittadino li potrebbe pagare? Cosa che vale per l’idraulico come per il libero professionista dalle parcelle salate che sorridente domanda al cliente: «Con o senza fattura?».
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Fatta la legge trovato l’inganno, recita uno dei più noti modi di dire del nostro patrio suol italico. Cosa indubbiamente vera, nella quale noi italiani siamo maestri da sempre. Ci sono però dei limiti anche alla maestria più geniale e fantasiosa: è infatti vero che l’estro truffaldino della macchietta napoletana impersonata da Totò, può anche riuscire a vendere persino la Fontana di Trevi a un turista italo-americano, però neppure il più estroso degli imbroglioni può riuscire a raggirare certe leggi anti-truffa, perché sarebbe come pretendere di riuscire a sfidare le leggi naturali della fisica. Ne sono prova ― per fare un esempio ― gli attuali test per la patente di guida o quelli per l’ammissione alla facoltà di medicina e chirurgia, impossibili da manipolare, perché centralizzati e blindati da un sistema elettronico impenetrabile che rende impossibile poter individuare la persona da favorire per opera del padrino di turno.
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Con la moneta elettronica tracciabile, in che modo uno spacciatore di droga o un ricettatore di merci rubate potrebbe darsi al commercio criminale? Qualcuno pensa che potrebbe rivolgersi all’amico macellaio o al tabaccaio compiacente per farsi strisciare delle transazioni inesistenti con bancomat o carta di credito? E se anche lo facesse, in che modo, il macellaio o l’amico tabaccaio potrebbero dargli poi in cambio moneta contante, stile raggiri sul reddito di cittadinanza, se la carta moneta non c’è e tutto procede unicamente per circuiti elettronici tracciabili?
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Siamo stati capaci a legalizzare l’aborto, siamo in procinto di legalizzare l’eutanasia, abbiamo reso il gioco d’azzardo Monopolio di Stato e non siamo capaci a stroncare evasione fiscale, prostituzione, spacci di droga e giri criminali di vario genere perché a dire di alcuni la moneta elettronica sarebbe una lesione delle libertà individuali e un controllo esercitato sui cittadini molto peggiore di quello del Grande Fratello di George Orwell? Ma siamo veramente una società di schizofrenici borderline!
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Un soggetto contrario alla moneta elettronica mi disse in tono stupidamente provocatorio: «E voi preti, come fareste a prendere le offerte per le chiese, per le attività caritative, per la celebrazione delle Sante Messe e via dicendo?». Risposi: «Semplice, con la moneta elettronica. Anzi, sarebbe più comoda e pratica degli spiccioli che quei grandi pidocchi di molti fedeli mettono nel cesto delle offerte, obbligandoci a dover cambiare in pochi pezzi di carta qualche chilo di monetine da 5, 10, 20 centesimi». E seguitai spiegando che per noi preti, membri di una aggregazione religiosa riconosciuta dallo Stato come istituzione di diritto pubblico, la moneta elettronica, per le offerte e altro, non sarebbe affatto un problema, piuttosto una grande e pratica comodità. Un problema lo sarebbe semmai per i Casamonica che nella Capitale d’Italia gestiscono anche il giro dell’accattonaggio. O qualcuno riesce a immaginare una petulante zingara ― o se preferiamo il linguaggio politicamente corretto una rom ― che scoccia i passanti chiedendo soldi con il posa portata di mano per le transazioni con bancomat e carta di credito? Nelle nostre chiese potremmo tranquillamente installare un meccanismo elettronico per il versamento e la raccolta delle offerte, come quelli che si trovano in tutti i centri e luoghi in cui si può fare pagamenti self-service. Ma noi siamo un ente di diritto pubblico, non il circuito dell’accattonaggio gestito dal clan dei Casamonica, né siamo dei ricettatori né siamo dei trafficanti di droga.
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Eppure la nostra gloriosa Repubblica il sistema per far pagare le tasse lo ha trovato. Tutto sommato è un sistema più vecchio di quanto si possa immaginare: il gioco del lotto, che agli albori dell’Unità d’Italia un grande statista, il Conte Camillo Benso di Cavour, definì «la tassa dei fessi». Stando infatti ai dati riportati in un libro molto interessante edito nel 2017 e scritto da Giulia Migneco e Claudio Forleo, al quale ne seguì un secondo scritto dagli stessi Autori durante il lockdownda Covid-19, con il gioco d’azzardo legalizzato lo Stato ha incassato nel 2018 l’importo di 105 miliardi di euro. Un importo che per ironia della sorte corrisponde a ciò che l’Istat indica come il volume di evasione fiscale nel nostro Paese, pari a 110 miliardi di euro. Aveva quindi ragione il grande statista dell’Ottocento quando indicò il lotto come «la tassa dei fessi». A posteriori aggiungo: l’italiano si sente così furbo e legittimato a evadere le tasse, sino a non pagare quelle imposte utili a tenere in piedi l’impianto del nostro Stato sociale. Però al tempo stesso è così idiota da correre alla ricevitoria del lotto per pagare la «tassa dei fessi», mettendosi davanti a tutti sul tavolo del bar con la monetina in mano a raschiare un biglietto dietro l’altro di gratta&vinci.
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Alla ludopatia in rapporto alla morale cattolicadedicai anni fa una conferenza su richiesta e invito degli amici del Lions Club. Non ho da aggiungere molto a quanto dissi all’epoca, rimando quindi alla registrazione di questa mia conferenza che potete trovare sul Canale YouTube de L’Isola di Patmos.
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Nelle nostre parrocchie e centri Caritas non poche sono le persone che vengono a chiedere aiuto per generi di prima necessità, o perché in procinto di vedersi staccare la luce o il gas, dopo avere dilapidato stipendi e pensioni nel gioco d’azzardo legalizzato. A molti dei miei confratelli dal cuoricino tenero che più volte mi hanno detto «come si fa a non aiutarli?», ho risposto che dare qualsiasi genere di aiuto a un affetto da ludopatia è come comprare droga a un tossico in crisi di astinenza, come pagare le prestazioni di una prostituta a un sessuomane. Non è carità, ma pura incoscienza. Soprattutto è male che si aggiunge al tanto male che questi soggetti recano a sé stessi e alle proprie famiglie. All’affetto da ludopatia, dopo essersi dissanguato per avere pagato «la tassa dei fessi», bisogna dire in tono severo e quasi sempre a brutto muso: che ti stacchino pure la luce o il gas, che tu abbia pure difficoltà a fare la spesa e a mangiare, non m’interessa e non deve interessarmi, meno che mai impietosirmi. L’unico aiuto che posso darti e che in coscienza sono tenuto a darti, è quello di indirizzarti presso un bravo psichiatra in grado di curarti da questa pericolosa dipendenza.
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È una tristezza immane vedere anziani pensionati uscire dalle tabaccherie con file di gratta&vinci e andare poi poco dopo al centro della Caritas a chiedere un po’ di spesa. Altrettanto triste vedere file di persone, giovani e meno giovani, tra i quali tanti padri e madri di famiglia, bruciare somme di danaro per improbabili sistemi numerici, mentre il mega cartellone riporta scritta a caratteri cubitali la stratosferica somma del monte premi, che alla data odierna è pari a 259.600.000 euro. Cifra di fronte alla quale gli evasori fiscali affetti da ludopatia che giustificano le loro frodi allo Stato riparandosi dietro al dito del «non pago lo stipendio ai politici con le mie tasse», non si rendono neppure conto che le tasse le stanno pagando nel modo peggiore, come dei perfetti fessi, schedina dietro schedina, gratta&vinci dietro gratta&vinci. Oltre al fatto che il tanto recriminato stipendio dei politici, nelle tasche del bilancio generale dello Stato equivale a pochi euro nelle tasche nostre, benché da sempre sia la scusa e il risibile dito dietro il quale si riparano piccoli e grandi evasori fiscali.
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Se il monte premi ha raggiunto quella cifra, qualcuno si è chiesto a quanto ammonta la somma di gran lunga superiore raccolta con le giocate dai Monopoli dello Stato? Non è facile vivere in un Paese nel quale l’aborto è considerato «un diritto acquisito» e una «grande conquista sociale», dove si ritiene che l’eutanasia sia «un atto di umanità verso un povero malato terminale», dove lo Stato lucra sul gioco d’azzardo, al quale da una parte istiga, dall’altra invita a essere cauti perché «il gioco può creare dipendenza». Però, una moneta elettronica tracciabile che darebbe un colpo mortale alla criminalità organizzata, allo spaccio di droga, alla prostituzione, al lavoro nero, all’evasione fiscale e via dicendo a seguire, quella no, perché sarebbe una grave lesione delle libertà personali.
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Il Popolo Italiano ha un concetto molto strano di “diritto” e di “libertà”, istigato com’è a grattare nella speranza di vincere, con uno Stato che si pone la coscienza in pace avvisando che «il gioco può creare dipendenza» e che tra non molto ci regalerà l’eutanasia, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, la possibilità dell’adozione dei bimbi alle coppie di gay e di lesbiche, la droga libera e tanti altri meravigliosi diritti legati ad autentiche aberrazioni mutate in bene ai sensi di legge.
Ardizzi e P. Giucca, Il costo sociale degli strumenti di pagamento in Italia, Temi Istituzionali, Banca d’Italia, 2012.
Grazzini, Verso la moneta digitale pubblica: l’audacia di Christine Lagarde e la prudenza di Mario Draghi, Economia e Politica, 2019.
Mandrone, La banda degli onesti che vuole il denaro elettronico, lavoce.info, 2015.
Mandrone, Il ruolo sociale dell’educazione economica, INAPP, 2017.
Realfonzo, 100 miliardi di sotto-investimento pubblico e deficit di competitività. L’Italia ha bisogno di politiche industriali, Economia e Politica, 2019.
K.S. Rogoff, La fine dei soldi. Una proposta per limitare i danni del denaro contante, Il saggiatore, 2017.
Vellutini, G. Casamatta, L. Bousquet, G. Poniatowski, Estimating International Tax Evasion by Individuals, WP No 76, European Commission, 2019.
Anni 2013-2016 l’economia non osservata nei conti nazionali, Statistiche Report, ISTAT, 2018
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https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2019/01/padre-Aiel-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Arielhttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Ariel2022-08-25 15:56:022022-08-25 23:02:32«Il gioco del lotto è la tassa dei fessi». Stiamo legalizzando tutto: aborto, eutanasia, droga, prostituzione, gioco d’azzardo … perché non legalizzare anche il femminicidio?
LA CHIESA E LA CRISI DEL SACRO: L’EUCARISTIA È PRESENZA REALE DEL CRISTO E LA SANTA MESSA MEMORIALE INCRUENTO DEL SACRIFICIO DEL CALVARIO
Nella lettera del 7 aprile 1913, Padre Pio da Pietrelcina scriveva al suo direttore spirituale Padre Agostino da San Marco in Lamis descrivendo l’esperienza mistica di cui era stato spettatore, dove il Signore Gesù piangente si lamenta dei suoi sacerdoti definendoli «macellai» proprio in relazione alla celebrazione del divino sacrificio e delle disposizioni con cui esso veniva celebrato.
La vicenda del sacerdote ambrosiano Mattia Bernasconi e della sua trovata di celebrare la santa messa in mare, come già ho trattato in passato in miei precedenti articoli [vedere qui, qui, qui], ha messo molto bene in evidenza il livello di debolezza del Sensum Fideiche circola oggi tra il clero e tra i fedeli. Anzi, proprio perché il clero è il primo a essere carente di Sensum Fidei, di Tradizione e di conoscenza del Magistero, i fedeli si sentono legittimati a comportarsi di conseguenza, distillando la loro fede all’interno di un credo che è il risultante tra una spinta emotiva e il solidarismo corporativo.
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Per grazia di Dio, dopo diverso tempo di inspiegabile silenzio, l’Arcivescovo di Milano dice la sua e la dice con l’autorevolezza del pastore il cui scopo è quello di difendere il Popolo di Dio a lui affidato contro i naufragi della fede e della sana dottrina. In barba a tutte quelle anime belle che per diverso tempo hanno difeso a spada tratta l’orrenda pagliacciata della messa in mare, tacciando di rigidità, ignoranza e giudizio tutti coloro che – noi sacerdoti compresi – hanno avuto da ridire e hanno reagito… perché si sa, nella Chiesa i problemi sono altri, le cose importanti non sono certamente queste. Poveri noi!
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Basta solo prendere uno stralcio del comunicato del presule ambrosiano [vedere qui] per capire quanto questo Confratello abbia sbagliato, tanto da aver costretto il suo vescovo a tali espressioni:
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«Io ritengo che il modo di celebrare scelto da Don Mattia sia una sciocchezza senza giustificazioni […] Sarà doveroso per Don Mattia riprendere con serietà una formazione liturgica che consenta di capire come sia stato possibile questo comportamento ed evitare che si ripeta».
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Come sempre il punctum dolensè dato dalla formazione del clero, da curare sempre e da verificare periodicamente nel corso degli anni. Clero ignorante porta alla conseguenza di un laicato ignorante, nel senso etimologico del termine. Non è solo un problema di teologia dogmatica che informa la teologia liturgica e pastorale ma anzitutto di una immersione in quella dimensione di mistero che tocca il cuore stesso di Dio e ne costituisce la trama spirituale.
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Tutti i sacri misteri,in primisla Santa Messa, consentono all’uomo di toccare l’azione dello Spirito Santo nella propria creaturalità, operando la salvezza. Se non permettiamo allo Spirito Santo di parlarci attraverso i sacri misteri, nessuno lo farà. Lo spirito del mondo non è capace di rinvigorire le ossa inaridite di una vita dimentica di Dio [cfr. Ez 37,1-14], esso tutto stravolge in emotività disordinata, in fai-da-te compulsivo e solidarismo settario, cose tutte che non possono trovare una giustificazione nella Chiesa, specie quando ci si spinge fino al limite del sacrilegio.
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Penso sia utile e costruttivo rileggere alcuni tra i tanti commenti dei “fedeli” apparsi sul profilo Facebook di Mattia Bernasconi, così come in quello di altri presbiteri. Per esempio Giovanni Berti, il prete vignettista del clericalmente corretto che è corso subito in difesa del confratello milanese confezionando disegnini ad hoc. Ecco alcuni tra i più interessanti commenti:
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«Io sono dalla parte del prete che ha fatto la messa sul materassino. E lo difendo. Dio si può incontrare ovunque, anche in mare […] totale solidarietà a Don Mattia e alla sua autentica testimonianza […] Don Mattia è stato ed è autentico anche nel chiedere scusa. A me terrorizzano i preti giovani nostalgici del concilio di Trento e che celebrano in latino […] Mattia non hai fatto nulla di male! Spero che il sostegno di chi ti vuole bene ti dia forza e ti rincuori! […] Don Mattia la vera parola di Dio si pratica in questo modo semplice ed umile, siamo tutti con te […] Ma Gesù sarà stato contento di essere celebrato in un simile contesto e poi magari qualcuno che non andava a messa da tanto, ha avuto la possibilità di ricordare a quelli che hanno criticato è solo per invidia, per non avere il coraggio o la fantasia di farlo loro! Quanta ipocrisia… quanti talebani abbiamo nella chiesa […] Grazie Don Mattia per l’ennesimo insegnamento che mi hai dato. L’essenza […] Ma chiedere scusa di cosa??? Offeso chi? Delle persone zotiche? Non mi pare che Gesù andasse a predicare in giro la fede in giacca e cravatta avesse un altare tutto d’oro!
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Circola anche una lettera di un certo Don Paolo, intitolata: «Il materassino dello scandalo e i dinosauri cattolici», i cui contenuti sono equiparabili a quelli appresi durante un corso onlinein teologia, il cui docente di dogmatica è il mago Oronzo. Non sono qui per aprire alcun dibattito su queste espressioni che si commentano da sole e che, come ho detto precedentemente, sono solo un misto di emotività e di solidarismo corporativo. Eppure, è evidente e balza agli occhi la tragicità di una fede eucaristica inesistente, la non comprensione per la violazione del mistero del Santissimo Corpo e Sangue del Signore unita a una luciferina negazione del peccato che vanifica ogni possibilità di recupero del reo e di riconoscimento ed espiazione della colpa. Insomma, a sentire queste testimonianze è più devoto dell’Eucaristia Mattia Bernasconi che San Pasquale Baylon, patrono dei congressi eucaristici.
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Il mio intento con questo ulteriore articolo sul tema è quello di ribadire pubblicamente ai Confratelli Presbiteri e ai Venerabili Vescovi che i nostri fedeli hanno completamente perso il senso della presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. Così come hanno smarrito il significato della celebrazione eucaristica della Messa come memoriale incruento del sacrificio del Calvario. E questo per colpa di noi preti! In definitiva, se vogliamo ancora salvare il minimo che può essere ancora salvato dobbiamo ripartire dall’Eucaristia, sia come mistero rivelato dal Signore Gesù che come comprensione e riflessione teologica dentro il Magistero della Chiesa. Ripartire dalle basi, iniziando dai bambini, educando il loro cuore a saper vedere Gesù, a stare con lui nel Sacramento. La mia esperienza di presbitero dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, per anni cappellano in un grande polo ospedaliero, oggi parroco di una parrocchia annessa al nostro convento sardo di Laconi, è quella che mi dice che i bambini si innamorano facilmente del Sacramento dell’altare se noi adulti sappiamo fornire loro il minimo indispensabile per capirne il mistero e la dignità della grandezza. A mio avviso non si dovrebbero appesantire e moltiplicare i concetti di fede nei fedeli cristiani se questi non sono ancora in grado di assimilarne l’essenziale. La presenza eucaristica di Cristo adorata e proclamata reale nella celebrazione della Santa Messa diventa il trait d’union che mi permette, in un secondo momento, di avere uno sguardo più dilatato e puro, quasi mistico, per vedere il Signore presente nei poveri, negli ammalati e in tutti i fratelli che incontrerò.
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Le ore di adorazione eucaristica, che nelle parrocchie stanno sempre più sparendo, rappresentano la vera palestra in cui riconoscere Gesù vivo. Un cristiano che non adora e non loda è un cristiano debole. Un sacerdote che nella sua vita spirituale non sente l’esigenza di stare davanti a Gesù sacramentato è un burocrate e se è anche in cura d’anime e non si sbuccia le ginocchia davanti al tabernacolo mette in pericolo la sua missione apostolica, la sua salute spirituale e indebolisce il gregge a lui affidato.
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Se dovessimo osservarela consapevolezza della presenza del Signore nella maggior parte dei fedeli che varcano l’ingresso di una chiesa, ne vedremo delle belle: quanti di essi entrano con abiti decorosi e non succinti? Quanti spengono il cellulare o lo silenziano per rispetto verso la Santissima Eucaristia e per rispetto dei presenti che sono già in preghiera? Quanti cercano la lampada rossa che segnala che la chiesa è abitata dalla presenza eucaristica di Cristo vivo? Quanti si inginocchiano, una volta arrivati al banco, e recitano le orazioni di lode e di riverenza alla Santissima Eucaristia come quelle insegnate dal santo dottore Alfonso Maria de’ Liguori o dicono di cuore un «Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento» terminando il tutto con una dossologia? Quanti di coloro che entrano in chiesa, si affrettano a cercare il conforto della persona di Cristo nel tabernacolo anziché affrettarsi a cercare la statua lignea o di gesso del santo di turno, non capendo la differenza sostanziale che passa tra simulacro e presenza reale, tra il culto di latria, dulia e iperdulia?
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E questo potrebbe essere solo l’iniziodi un lungo esame di coscienza collettivo che interessa fedeli e sacerdoti insieme. Possiamo andare ancora avanti analizzando la Santa Messa: quanti arrivano puntuali affinché si possa iniziare la celebrazione con il canto di ingresso e terminarla al canto finale? Quanti sono i fedeli ancora convinti che la Santa Messa sia valida se si è arrivati almeno prima della proclamazione del Santo Vangelo? Quanti, durante la consacrazione e l’elevazione, sanno guardare il Corpo di Cristo nell’ostia candida e il calice con vino, Sangue del Signore? Quanti ancora sostengono con fermezza che per fare la comunione alla Santa Messa basta un Atto di Dolore senza bisogno di alcuna confessione sacramentale previa, anche se si ha la coscienza di aver mancato a qualche comandamento? Quanti sono convinti che per fare la Comunione sacramentale basti il solo desiderio passionale che fa dire «mi sono sentito di prendere l’Eucaristia» dimenticando una vita cristiana che escluda il peccato abituale, le condizioni di disordine morale e gli impedimenti di coscienza che avrebbero bisogno di una profonda sanazione? Quanti sono i fedeli che si presentano a ricevere la Comunione dal sacerdote solo per i battesimi, i matrimoni i funerali, pensando che quella comunione buttata là sia doverosa per etichetta e non già come risposta di fede? Quanti ancora vanno a fare la Comunione con in bocca la caramella o la gomma da masticare? Quanti ancora si accostano con atteggiamento sprezzante e derisorio, con nessuna consapevolezza di chi si sta andando a ricevere? Quanti sfidano la Chiesa e il sacerdote che distribuisce l’Eucaristia reputando la Comunione un diritto proprio acquisito? Quanti propugnatori pubblici o difensori di posizioni quali l’aborto, l’eutanasia, il divorzio, la convivenza, il consumo di droghe, i matrimoni fuori dalla legge naturale, la guerra e tutti quei casi in cui abbonda divisione, ostilità e vessazione del più debole oggi si accostano alla Comunione con evidente sacrilegio?
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Vi sembra normaleaffermare che, dopo tutte queste incongruenze, si possa ancora credere in maniera seria e matura alla presenza reale di Cristo nell’Eucaristia? La messa marinadi Crotone è la punta dell’icebergdi un patologico malessere sacramentale che sta intaccando tutti.
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E quando fai notare questa incompatibilità,anche con forza, subito diventi uno che giudica, un Giuda che tradisce oppure un anacronistico «dinosauro» cattolico. Oggi queste accuse diventano il modo più immediato per screditare l’avversario e disinnescare il pungolo verso la santità che si richiede a chi vuole attraversare la porta stretta [Lc 13,24]. Con questo antidoto, l’accusa di giudizio, ci si toglie di mezzo qualunque bigotto, così come in politica si usa la parola fascista e nella comunità LGBT la parola omofobia per tacitare il dissenso avversario.
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Da frate cappuccino avrei buon gioco nel ricordare a tutti la posizione, in relazione alla Santa Messa, di Padre Pio da Pietrelcina. Lui, sacerdote stigmatizzato, a ogni Eucaristia che celebrava o che assisteva riviveva sulla sua carne e nel suo animo gli spasimi terribili della passione del Signore Gesù con vivido realismo. Nella lettera del 7 aprile 1913, Padre Pio scriveva al suo direttore spirituale Padre Agostino da San Marco in Lamis descrivendo l’esperienza mistica di cui era stato spettatore, dove il Signore Gesù piangente si lamenta dei suoi sacerdoti definendoli «macellai» proprio in relazione alla celebrazione del divino sacrificio e delle disposizioni con cui esso veniva celebrato. Ho voluto citare un esempio a me caro e vicino, ma potrei continuare ad elencare altri santi come il Beato Carlo Acutis, ad esempio, e altre memorabili pagine della storia della Chiesa in cui si ribadisce l’importanza della celebrazione dell’Eucaristia e del Corpo del Signore.
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Non faccio questo per suscitare un linciaggio verso nessuno,cosa che mi guarderei bene dal fare essendo un peccatore più degli altri ma, ahimè, mi è stata attribuita anche questa intenzione da qualcuno che ha letto i miei ultimi articoli, non solo interpretandoli male, ma proprio stravolgendoli completamente.
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Carissimi Confratelli nel sacerdozio e Venerabili Vescovi,reputo vero e giusto il dovere ministeriale di affermare che quando si sorpassa il limite della decenza in una maniera così palese nei riguardi della Santissima Eucaristia e della Santa Messa, come accaduto a Crotone, ci vuole il giusto sdegno, la dovuta riparazione e il coraggio della paternità. Sì, saper utilizzare con immediatezza e autorevolezza la virile paternità, che né l’Arcivescovo di Milano né quello di Crotone hanno saputo fare nell’immediato. Come disse nel 1972 il Venerabile Padre Divo Barsotti predicando gli esercizi spirituali alla Curia Romana sotto l’invito di Paolo VI:
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«La Chiesa è stata dotata da Dio di un potere coercitivo che all’occorrenza deve esercitare perché se non lo esercita viene meno sia la carità che il mandato che Cristo le ha dato».
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E quale padre davanti al figlio che sbaglianon si prodiga con fermezza e misericordia, come leggiamo in Ebrei [cfr. 12,5-11], affinché questo si ravveda e non si perda? Perché è dalla correzione che sottolinea l’errore che nasce quella carità che recupera colui che sbaglia e lo circonda di misericordia. Per questo motivo non dobbiamo avere paura di affermare con le parole del Catechismo della Chiesa Cattolica che:
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«Il nostro Salvatore nell’ultima Cena, la notte in cui veniva tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, col quale perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e per affidare così alla sua diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l’anima viene ricolmata di grazia e viene dato il pegno della gloria futura » (Cfr. CCC n.1323).
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Chi ci aiuta in questa comprensione del mistero eucaristico sono i nostri sacerdoti che non da padroni ma da servi senza secondi fini:
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«esercitano la loro funzione sacra nel culto o assemblea eucaristica, dove, agendo in persona di Cristo e proclamando il suo mistero, uniscono i voti dei fedeli al sacrificio del loro Capo e nel sacrificio della Messa rendono presente e applicano, fino alla venuta del Signore, l’unico sacrificio del Nuovo Testamento, il sacrificio cioè di Cristo, che una volta per tutte si offre al Padre quale vittima immacolata. Da questo unico sacrificio tutto il loro ministero sacerdotale trae la sua forza» [cfr. CCC n.1566].
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Nella quotidiana diaconia liturgica a servizio dell’altare fatta di gesti, riti, segni e simboli, i sacerdoti, celebrano l’Eucaristia in cui il Signore rinnova la sua redenzione pasquale dal peccato e dalla morte in favore dell’uomo. Questo linguaggio rituale ha bisogno di uno spazio appropriato, che sia degno della grandezza del mistero che in esso viene celebrato. Pertanto la Santa Messa:
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«Venga compiuta nel luogo sacro, a meno che in un caso particolare la necessità non richieda altro; nel qual caso, la celebrazione deve essere compiuta in un luogo decoroso» [cfr. Redemptionis Sacramentumn. 108 e Codice di Diritto Canonico, Can. 932§ 1; cfr. S. Congr. per il Culto Div., Istr., Liturgicae instaurationes, n. 9: AAS 62 (1970) p. 701].
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Così, celebrando con viva fede e in modo degno la Santa Messa, il sacerdote e con lui la Chiesa, realizza quanto Sant’Ambrogio vescovo di Milano dice a riguardo della presenza reale del Corpo del Signore:
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«Questo pane è pane prima delle parole sacramentali; ma, intervenendo la consacrazione, il pane diventa carne di Cristo […] Da quali parole è operata la consacrazione e di chi sono tali parole? Del Signore Gesù! Tutte le cose che si dicono prima di quel momento sono dette dal sacerdote che loda Dio, prega per il popolo, per i re e per gli altri; ma quando si arriva al momento di realizzare il venerabile sacramento, il sacerdote non usa più parole sue, ma di Cristo. È dunque la parola che opera (conficit) il sacramento […] Vedi quanto è efficace (operatorius) il parlare di Cristo? Prima della consacrazione non c’era il Corpo di Cristo, ma dopo la consacrazione, io ti dico che c’è ormai il corpo di Cristo. Egli ha detto ed è stato fatto, ha comandato ed è stato creato (cf Sal 33, 9)» [Cfr. Ambrogio, De sacramentis, IV, 14-16 (PL 16, 439 ss].
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Con l’ultima e definitiva parola dell’Arcivescovo di Milano,sulla vicenda della Messa di Crotone, ci avviamo al termine dell’estate 2022. L’estate sta finendo, cantavano i Fratelli Righeira nel 1985, per noi basterebbe che a finire fossero queste bizzarrie liturgiche e dogmatiche, con la speranza che in questo periodo i vescovi stiano un po’ più vicino ai preti e un po’ meno alle urne e ai politici, visto che reputiamo ancora che Cristo sia il solo e unico Redentore dell’umanità.
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I Padri dell’Isola di Patmos
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https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2019/01/Padre-Ivano-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Ivanohttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Ivano2022-08-23 19:49:382022-10-28 21:42:14La Chiesa e la crisi del sacro: l’Eucaristia è presenza reale del Cristo e la Santa Messa memoriale incruento del sacrificio del Calvario
https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2019/07/jorge2-150.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Jorge Facio Lincehttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngJorge Facio Lince2022-08-21 17:18:382022-08-21 17:18:38Anticipazione: è in uscita «Amoris Tristitia» il nuovo libro dedicato dal Padre Ariel S. Levi di Gualdo alla grande figura del Cardinale Carlo Caffarra
CI SONO SACERDOTI CHE PROPAGANDANO E RACCOMANDANO LA LETTURA DELL’OPERA DI MARIA VALTORTA, IGNORANDO CHE LA CHIESA L’HA DICHIARATA FUORVIANTE E PERICOLOSA
L’Opera della Valtorta «fu posta all’Indice il 16 Dicembre 1959 e definita “Vita di Gesù malamente romanzata”. Le disposizioni del Decreto del Sant’Offizio vennero ripubblicate con nota esplicativa il 1° Dicembre 1961. Dopo l’avvenuta abrogazione dell’Indice si fece presente quanto pubblicato su Acta Apostolicae Sedis (1966) che, benché abolito, l’Index conservava “tutto il suo valore morale” per cui non si ritiene opportuna la diffusione e raccomandazione di un’Opera la cui condanna non fu data alla leggera ma dopo ponderate motivazioni al fine di neutralizzare i danni che può arrecare ai fedeli più sprovveduti»
(Cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede)
il celebre film di fantascienza degli anni Ottanta: E.T. l’extraterrestre, di Steven Spielberg
Molte persone semplici e in buona fede si sono rivolte ai Padri de L’Isola di Patmos per chiedere notizie sull’opera di Maria Valtorta e per informarci che è stata consigliata loro in lettura da diversi sacerdoti, alcuni dei quali usano i testi di questa fantasiosa Autrice nelle loro catechesi. Cosa molto grave, perché un pastore in cura d’anime non può ignorare che si tratta di scritti ripetutamente condannati e sconsigliati dalla Chiesa. Qualsiasi sacerdote che ne fa uso o che li consiglia in lettura si grava della responsabilità di somministrare veleno al Popolo di Dio.
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Il mio libero giudizio di studioso su Maria Valtorta è pessimo da sempre. Per poco possa valere considero questa Autrice affetta da misticismo strampalato e da megalomania narcisistica. Un libero giudizio basato sulle assurdità di quello che oggi è conosciuto e indicato in modo gravemente improprio come «Il Vangelo di Maria Valtorta».
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Contrariamente a quanti elevano le proprie opinioni e il soggettivo sentire a verità intangibili della fede, per mia impostazione e formazione teologica, giuridica ed ecclesiale, quando esprimo libere opinioni preciso sempre che sono tali e che come tali lasciano il tempo che trovano. A meno che non annunci delle verità di fede, facendomi voce e fedele strumento della Chiesa che mi ha conferito per Sacramento di grazia il mandato a farlo, adempiendo a questo modo a un dovere al quale non posso né devo sottrarmi. In tal caso, al “cattolico d’arrembaggio” che esordisce dicendo «… non sono d’accordo, perché secondo me … io credo che …» sono tenuto a replicare che è in grave errore, non perché abbia ragione io, ma perché ho annunciato ciò che insegna la Chiesa, chiarendo quelli che sono i suoi giudizi dati, dinanzi ai quali nessun credente che sia veramente tale può replicare: «… non sono d’accordo, perché secondo me … io credo che …». Nessun singolo sacerdote e nessun fedele cattolico può né mai dovrebbe osare arrogarsi di dichiarare autentico ciò che la Chiesa ha dichiarato falso o dire impudentemente di credere in ciò al quale la Chiesa ha chiaramente detto che non bisogna credere né prestare fede. Pertanto ribadisco: è gravissimo che dei sacerdoti diffondano e trasmettano gli scritti di Maria Valtorta in aperta disobbedienza a quelli che sono i giudizi decisi e negativi dati dalla Chiesa su questa opera di fantasia, presentandoli come autentici e come opere edificanti per lo spirito dei credenti.
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Piaccia o meno a certi passionari, dichiarare ai fedeli cattolici che quella di Maria Valtorta non è un’opera di mistica e spiritualità ma una colossale bufala contenente gravi deviazioni dottrinali che danno della fede, della Divina Rivelazione e della mariologia una visione a tratti persino grottesca, non è una libera e soggettiva opinione personale, ma il giudizio della Chiesa, al quale sono tenuto a prestare obbediente ossequio e che come presbitero e teologo sono tenuto a trasmettere al Popolo di Dio, invitandolo a prestare ascolto e ossequio al giudizio che l’Autorità Ecclesiastica ha dato.
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Chiaritiquesti fondamentali elementi, non sempre facili da far comprendere a coloro che vivono l’esperienza di fede in modo immaturo, soggettivo ed emozionale, lascio adesso parlare i documenti attraverso i quali l’Autorità Ecclesiastica si è espressa nel corso del tempo sull’opera di Maria Valtorta. Pareri chiari e precisi dinanzi ai quali nessun credente, ma soprattutto nessun pastore preposto alla cura e alla guida delle anime, può replicare: «… non sono d’accordo, perché secondo me … io credo che …».
In altra parte del nostro Giornale è riportato il Decreto del Sant’Offizio con cui viene messa all’Indice un’Opera in quattro volumi, di autore anonimo (almeno in questa stampa) edita all’Isola del Liri. Pur trattando esclusivamente di argomenti religiosi, detti volumi non hanno alcun imprimatur, come richiede il Can. 1385, 1 n.2 del Codex Iuris Canonici. L’Editore, in cui una breve prefazione, scrive che l’Autore «a somiglianza di Dante ci ha dato un’opera in cui, incorniciati da splendide descrizioni di tempi e di luoghi, si presentano innumerevoli personaggi i quali si rivolgono e ci rivolgono la loro dolce, o forte, o ammonitrice parola. Ne è risultata un’Opera umile ed imponente: l’omaggio letterario di un dolorante infermo al Grande Consolatore Gesù». Invece, a un attento lettore questi volumi appaiono nient’altro che una lunga prolissa vita romanzata di Gesù.
A parte la vanità dell’accostamento a Dante e nonostante che illustri personalità (la cui indubbia buona fede è stata sorpresa) abbiano dato il loro appoggio alla pubblicazione, il Sant’Offizio ha creduto necessario metterla nell’Indice dei Libri proibiti. I motivi sono facilmente individuabili da chi abbia la certosina pazienza di leggere le quasi quattromila pagine di fitta stampa. Anzitutto il lettore viene colpito dalla lunghezza dei discorsi attribuiti a Gesù e alla Vergine Santissima; dagli interminabili dialoghi tra i molteplici personaggi che popolano quelle pagine.
I quattro Vangeli ci presentano Gesù umile, riservato; i suoi discorsi sono scarni, incisivi, ma della massima efficacia. Invece, in questa specie di storia romanzata, Gesù è loquace al massimo, quasi reclamistico, sempre pronto a proclamarsi Messia e Figlio di Dio e a impartire lezioni di teologia con gli stessi termini che userebbe un professore dei nostri giorni. Nel racconto dei Vangeli noi ammiriamo l’umiltà e il silenzio della Madre di Gesù; invece per l’autore (o l’autrice) di quest’opera la Vergine Santissima ha la facondia di una moderna propagandista, è sempre presente dappertutto, è sempre pronta a impartire lezioni di teologia mariana, aggiornatissima fino agli ultimissimi studi degli attuali specialisti in materia.
Il racconto si svolge lento, quasi pettegolo; vi troviamo nuovi fatti, nuove parabole, nuovi personaggi e tante, tante, donne al seguito di Gesù. Alcune pagine, poi, sono piuttosto scabrose e ricordano certe descrizioni e certe scene di romanzi moderni, come, per portare solo qualche esempio, la confessione fatta a Maria da una certa Aglae, donna di cattivi costumi (cfr. vol. I, p. 790 ss.), il racconto poco edificante a p. 887 ss. del I vol., un balletto eseguito, non certo pudicamente, davanti a Pilato, nel Pretorio (cfr. vol. IV, p. 75), etc…
A questo punto viene, spontanea una particolare riflessione: L’Opera per la sua natura e in conformità con le intenzioni dell’Autore e dell’Editore, potrebbe facilmente pervenire nelle mani delle religiose e delle alunne dei loro collegi. In questo caso, la lettura di brani del genere, come quelli citati, difficilmente potrebbe essere compiuta senza pericolo o danno spirituale. Gli specialisti di studi biblici vi troveranno certamente molti svarioni storici, geografici e simili. Ma trattandosi di un … romanzo, queste invenzioni evidentemente aumentano il pittoresco e il fantastico del libro. Ma, in mezzo a tanta ostentata cultura teologica, si possono prendere alcune … perle che non brillano certo per l’ortodossia cattolica. Qua e là si esprime, circa il peccato di Adamo ed Eva, un’opinione piuttosto peregrina e inesatta. Nel vol. I a pag. 63 si legge questo titolo: «Maria può essere chiamata la secondogenita del Padre». Affermazione ripetuta nel testo alla pagina seguente. La spiegazione ne limita il significato, evitando un’autentica eresia; ma non toglie la fondata impressione che si voglia costruire una nuova mariologia, che passa facilmente i limiti della convenienza.
Nel II vol. a pag. 772 si legge: «Il Paradiso è Luce, profumo e armonia. Ma se in esso non si beasse il Padre, nel contemplare la Tutta Bella che fa della Terra un paradiso, ma se il Paradiso dovesse in futuro non avere il Giglio vivo nel cui seno sono i Tre pistilli di fuoco della divina Trinità, luce, profumo, armonia, letizia del Paradiso sarebbero menomati della metà». Qui si esprime un concetto ermetico e quanto mai confuso, per fortuna; perché se si dovesse prendere alla lettera, non si salverebbe da severa censura.
Per finire, accenno a un’altra affermazione strana e imprecisa, in cui si dice della Madonna: «Tu, nel tempo che resterai sulla Terra, seconda a Pietro come gerarchia ecclesiastica …».
L’Opera, dunque, avrebbe meritato una condanna anche se si fosse trattato soltanto di un romanzo, se non altro per motivi di irriverenza. Ma in realtà l’intenzione dell’autore pretende di più. Scorrendo i volumi, qua e là si leggono le parole «Gesù dice…», «Maria dice…»; oppure: «Io vedo…» e simili. Anzi, verso la fine del IV volume (pag. 839) l’autore si rivela un’autrice e scrive di essere testimone di tutto il tempo messianico e di chiamarsi Maria. Queste parole fanno ricordare che, circa dieci anni fa, giravano alcuni voluminosi dattiloscritti, che contenevano pretese visioni e rivelazioni. Consta che allora la competente Autorità Ecclesiastica aveva proibito la stampa di questi dattiloscritti e aveva ordinato che fossero ritirati dalla circolazione. Ora li vediamo riprodotti quasi del tutto nella presente Opera. Perciò questa pubblica condanna della Suprema Sacra Congregazione è tanto più opportuna, a motivo della grave disobbedienza.
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RISPOSTA DEL PREFETTO DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE A UNA RICHIESTA DI PARERE SULL’OPERA DI MARIA VALTORTA
il Cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede
Con lettera del 18 maggio, il Reverendo Padre Umberto Losacco, Cappuccino, chiedeva a questa Sacra Congregazione una chiarificazione circa gli scritti di Maria Valtorta, raccolti sotto il titolo: Il Poema dell’Uomo-Dio e se esisteva una valutazione del Magistero della Chiesa sulla pubblicazione in questione con il riferimento bibliografico. In merito mi pregio significare all’Eminenza Vostra – la quale valuterà l’opportunità di informare il Reverendo Padre – che effettivamente l’Opera in parola fu posta all’Indice il 16 Dicembre 1959 e definita da L’Osservatore Romanodel 6 gennaio 1960 «Vita di Gesù malamente romanzata». Le disposizioni del Decreto vennero ripubblicate con nota esplicativa ancora su L’Osservatore Romano del 1° Dicembre 1961, come rilevabile dalla documentazione qui allegata. Avendo poi alcuni ritenuto lecita la stampa e la diffusione dell’Opera in oggetto, dopo l’avvenuta abrogazione dell’Indice, sempre su L’Osservatore Romano (15 giugno 1966) si fece presente quanto pubblicato su Acta Apostolicae Sedis (1966) che, benché abolito, l’Index conservava «tutto il suo valore morale» per cui non si ritiene opportuna la diffusione e raccomandazione di un’Opera la cui condanna non fu decisa alla leggera ma dopo ponderate motivazioni al fine di neutralizzare i danni che tale pubblicazione può arrecare ai fedeli più sprovveduti.
Grato di ogni Sua cortese disposizione in proposito, profitto dell’occasione per confermarmi con sensi di profonda stima dell’Eminenza vostra reverendissima.
Dev.mo
XJoseph Cardinale Ratzinger
Prefetto
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MESSAGGIO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA ALL’EDITORE DELL’OPERA DI MARIA VALTORTA
Roma, 6 Maggio 1992 – Prot. N. 324/92
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All’Attenzione del
Centro Editoriale Valtortiano
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Stimatissimo Editore,
il Cardinale Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo metropolita di Milano, all’epoca Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana
in seguito a frequenti richieste, che giungono anche a questa Segreteria, di un parere circa l’atteggiamento dell’Autorità Ecclesiastica sugli scritti di Maria Valtorta, attualmente pubblicati dal Centro Editoriale Valtortiano, rispondo rimandando al chiarimento offerto dalle Notepubblicate daL’Osservatore Romanoil 6 gennaio 1960 e il 15 giugno 1966.
Proprio per il vero bene dei lettori e nello spirito di un autentico servizio alla fede della Chiesa, sono a chiederLe che, in un’eventuale ristampa dei volumi, si dica con chiarezza fin dalle prime pagine che le visionie i dettati in essi riferiti non possono essere ritenuti di origine soprannaturale, ma devono essere considerati semplicemente forme letterarie di cui si è servita l’Autrice per narrare, a suo modo, la vita di Gesù.
Grato per questa collaborazione, Le esprimo la mia stima e Le porgo i miei rispettosi e cordiali saluti.
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XDionigi Tettamanzi, vescovo
Segretario Generale della C.E.I.
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Chiarito e documentato il tutto concludo ribadendo che dinanzi a questi chiari, precisi e decisi pareri dati dall’Autorità Ecclesiastica, nessun fedele cattolico, ma soprattutto nessun presbitero preposto alla cura e alla guida delle anime, dovrebbe mai osare replicare: «… non sono d’accordo, perché secondo me … io credo che …».
Dall’Isola di Patmos, 20 agosto 2022
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Cari Lettori,
vi prego di leggere questo articolo [vedere QUI] e di essere sensibili e premurosi per quanto vi è possibile
Vi ringrazio
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https://i0.wp.com/isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2019/01/padre-Aiel-piccola.jpg?fit=150%2C150&ssl=1150150Padre Arielhttps://isoladipatmos.com/wp-content/uploads/2022/01/logo724c.pngPadre Ariel2022-08-19 10:21:002022-08-19 10:21:00Ci sono sacerdoti che propagandano e raccomandano la lettura dell’opera di Maria Valtorta, ignorando che la Chiesa l’ha dichiara fuorviante e pericolosa
PROCLAMARE NUOVI DOGMI È PIÙ GRAVE CHE DE-COSTRUIRE I DOGMI DI FEDE. MARIA CORREDENTRICE? UNA IDIOZIA TEOLOGICA SOSTENUTA DA CHI IGNORA LE BASI DELLA CRISTOLOGIA
La Beata Vergine Maria avrebbe chiesto di essere proclamata corredentrice con un quinto dogma mariano? Sorridiamo per non piangere su certe stupidaggini. Qualcuno è disposto a credere veramente che la Beata Vergine che si è definita umile serva, la donna dell’amore donato, del silenzio e della riservatezza, che come finalità ha quella di guidare a Cristo, possa domandare a dei veggenti o a dei visionari svalvolati di essere proclamata corredentrice e messa quasi al pari del Divino Redentore?
«Pertanto, dopo avere innalzato ancora a Dio supplici istanze e avere invocato la luce dello Spirito di Verità, a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato in Maria vergine la sua speciale benevolenza a onore del suo Figlio, Re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua augusta Madre e a gioia ed esultanza di tutta la Chiesa, per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo». Perciò, se alcuno, che Dio non voglia, osasse negare o porre in dubbio volontariamente ciò che da Noi è stato definito, sappia che è venuto meno alla fede divina e cattolica» (Bolla dogmatica Munificentissimus Deus, 1° novembre 1950)
Con la bolla dogmaticaMunificentissimus Deusil Pontefice Pio XII proclamò il 1° novembre 1950 il dogma della assunzione al cielo della Beata Vergine Maria, la cui festa solenne è celebrata il 15 agosto. Con l’occasione offro una riflessione teologica a tutti coloro che strepitano per la proclamazione del dogma di Maria corredentrice, partendo da una domanda: è più grave mettere in discussione e de-costruire i dogmi della Santa Fede Cattolica, o più grave proclamare dei nuovi dogmi? Indubbiamente è più grave la seconda cosa, chi sbagliando e seminando confusione tra il Popolo di Dio mette in discussione i dogmi attraverso la rilettura e la reinterpretazione, sino a giungere alla loro de-costruzione, non è detto sia animato da intenzioni maligne, il tutto può essere anche frutto di quella cattiva formazione teologica trasmessa ormai da oltre mezzo secolo a generazioni di presbiteri e teologi. Molti sono i miei confratelli che usciti preti dai nostri disastrati seminari e abbeveratisi al meglio delle eterodossie insegnate dentro le università ecclesiastiche, sono realmente convinti che il male sia bene, che il vizio sia virtù, che l’eresia sia ortodossia e che l’ortodossia sia eresia. Non pochi, indotti a ragionare, sono giunti ad ammettere di avere ricevuto una pessima formazione teologica e una pessima formazione al sacerdozio, cercando quasi sempre con fatica e sacrificio di porvi rimedio. Coloro che invece nulla di questo ammetterebbero mai, malgrado le loro inquietanti lacune, li stiamo vedendo diventare vescovi uno dietro l’altro.
Chi proclama dogmi che non esistonocompie un errore maggiore, perché agisce ponendosi al di sopra dell’autorità stessa della Santa Chiesa mater et magistra, detentrice di un’autorità che le deriva da Cristo in persona. E quest’ultimo sì, che è un dogma della Fede Cattolica, al quale non si è giunti per logica deduzione, ma sulla base di chiare e precise parole pronunciate dal Verbo di Dio fatto Uomo (cfr. Mt 13, 16-20). E quando si proclamano dogmi che non esistono e non possono esistere, in quel caso siamo nel diabolico, perché entra in scena la superbia nella sua manifestazione peggiore: la superbia intellettuale. L’ho scritto e spiegato in precedenza ma merita ripeterlo nuovamente: nella cosiddetta scala dei peccati capitali il Catechismo della Chiesa Cattolica indica la superbia al primo posto, con penosa pace di quanti si ostinano a concentrare nella lussuria – che ricordiamo non figura affatto al primo posto, ma neppure al secondo, al terzo e al quarto – l’intero mistero del male, incuranti del fatto che i peggiori peccati vanno tutti quanti e di rigore dalla cintura a salire, non invece dalla cintura a scendere, come in tono ironico ma teologicamente molto serio scrissi anni fa [Vedere Catechismo n. 1866].
Parto quindi con un esempio avente per oggetto i cosiddetti Soliti Noti, coloro che appena sentono il suono del magico latinorumperdono ogni senso della ragione e ogni genere di senso critico, col conseguente totale stravolgimento della realtà oggettiva. Ecco allora che S.E. Mons. Mario Oliveri, Vescovo emerito di Albenga, a loro difensivo dire non è stato affatto rimosso dalla sua sede episcopale in quanto responsabile ― in parte anche involontario ―, per avere ridotta una diocesi a un autentico lupanare, a un centro di raccolta per omosessuali palesi sbattuti fuori per gravi problemi morali da uno o anche da più seminari, sino a ritrovarsi con un numero considerevole di preti incontrollabili dediti a ogni genere di vizio e a raggiri patrimoniali utili al mantenimento dei loro vizi. Nulla di tutto questo salta minimamente agli occhi dei Soliti Noti, che imperterriti e ostinati proseguono ad affermare e scrivere che il povero Presule è stato perseguitato dalla «Chiesa modernista» perché amava il Vetus Ordo Missae, usava mitrie gemmate alte settanta centimetri e distribuiva la Santa Comunione all’inginocchiatoio sotto il baldacchino sorretto dai cavalieri in frac.
Altrettanto è accaduto ― affermano i Soliti Noti ―, ai membri della Congregazione dei Frati Francescani dell’Immacolata, non solo puniti a loro dire per avere organizzato convegni in critica a Karl Rahner, per avere indicata la pericolosità del Modernismo e della Massoneria; ma perseguitati soprattutto perché celebravano anch’essi ― manco a dirsi ― col Vetus Ordo Missae.
Sulle colonne della nostra rivista L’Isola di Patmosl’accademico pontificio domenicano Giovanni Cavalcoli e io, in seguito il teologo cappuccino Ivano Liguori e il teologo domenicano Gabriele Giordano M. Scardocci abbiamo scritto nel corso degli anni su Karl Rahner, sul Modernismo e i Modernisti, sulla Massoneria e via dicendo, in toni molto critici e duri. Non ci siamo neppure limitati a sparare a raffica, abbiamo proprio esploso ripetuti colpi di mortaio pesante, con una severità assai superiore rispetto a quella usata nei passati convegni promossi dai Francescani dell’Immacolata. Dovreste pertanto domandarvi: perché non ci hanno ancora commissariati? Perché, pur avendo accusato duramente Karl Rahner indicandolo come la fonte originante tutte le eresie di ritorno che invadono oggi la Chiesa, i seminari e le università pontificie, nessuna Autorità Ecclesiastica ci ha mai rivolto alcun sospiro e meno che mai richiami?
Quando alcuni anni fa ebbi a parlare con uno tra i più insigni mariologi dei Frati Francescani dell’Immacolata, rimasi molto colpito dal suo fanatismo madonnolatrico, a seguire dalla sua superbia, perché egli dava già per proclamato il dogma di Maria Corredentrice. Di conseguenza, all’interno di quella Congregazione, il mai proclamato dogma di Maria Corredentrice era di fatto già iscritto nel depositumfidei con tanto di teologia e di culto promosso e diffuso. Il tutto nella completa indifferenza che tutti i Pontefici del Novecento, inclusi quelli particolarmente devoti alla Beata Vergine Maria, pure se supplicati più volte in tal senso non vollero mai prendere in considerazione la possibile proclamazione di questo nuovo dogma mariano. Tra costoro basti citare il Santo Pontefice Pio X, il Venerabile Pontefice Pio XII, il Santo Pontefice Paolo VI e il Santo Pontefice Giovanni Paolo II che l’emblema della Beata Vergine lo aveva voluto inciso sul proprio stemma pontificio, tanto era devoto alla Mater Dei, infine il Venerabile Pontefice Benedetto XVI, che in sua veste di teologo spiegò e chiarì con la timida mitezza ― forse anche eccessiva ― che lo ha sempre caratterizzato, che già il solo termine “corredentrice” creava problemi sul piano teologico con la cristologia.
Il Pontefice regnante ― che timido e mite non lo è ― si è espresso per tre volte [1] su questo tema ribadendo un secco e deciso no:
«La Madonna non ha voluto togliere a Gesù alcun titolo; ha ricevuto il dono di essere Madre di Lui e il dovere di accompagnare noi come Madre, di essere nostra Madre. Non ha chiesto per sé di essere quasi-redentrice o di essere co-redentrice: no. Il Redentore è uno solo e questo titolo non si raddoppia» [2].
La reazione dei Soliti Noti più radicalinon si è fatta attendere: hanno accusato il Sommo Pontefice di essere un blasfemo e un bestemmiatore (!?). A maggior ragione è bene chiarire: se porre in discussione il dogma della immacolata concezione e della assunzione al cielo della Beata Vergine Maria è sbagliato ed eretico, per altro verso, promulgare il dogma di Maria corredentrice e agire di conseguenza, sino a diffonderne in modo impudente la teologia, è cosa di gran lunga più grave. Poi, se a fronte di queste e altre cose interviene a un certo punto la Santa Sede, inutile gridare «alla persecuzione del Vetus Ordo Missae!». Perché se vogliamo essere obbiettivi e applicare anzitutto criteri di aequitasunitamente al senso delle proporzioni, in modo del tutto ragionevole possiamo affermare che prima di calare la scure sui poveri Francescani dell’Immacolata andavano duramente colpiti i Gesuiti e assieme a loro svariati altri ordini storici e congregazioni con problemi interni assai più gravi, ma soprattutto responsabili di diffondere da decenni in modo pericoloso ― come nel caso dei Gesuiti ―, un pensiero palesemente non cattolico. Cosa questa di cui non possono essere accusati i Francescani dell’Immacolata. Se infatti questi giovani e semplici fratacchioniallevati da Padre Stefano Maria Manelli hanno errato, ciò è avvenuto per gran parte in buonafede e anche per non poca ignoranza, animati indubbiamente da tutte le migliori intenzioni interiori ed esteriori, da amore per la verità e da autentica venerazione alla Santa Chiesa di Cristo.
I Gesuiti e i membri di altre aggregazioni religiose che diffondono le peggiori teologie distruttive, possono essere duramente criticati per il modo in cui de-costruiscono o aggiornano i dogmi della fede, ma i Francescani dell’Immacolata che hanno proclamato nei concreti fatti un dogma mariano dandolo per esistente e istituendo il culto a Maria corredentrice, sul piano teologico hanno commesso un errore parecchio più grave, sostituendosi a questo modo alla più alta e suprema Autorità della Chiesa. E non si obbietti, come fanno i digiuni totali di teologia che presumono per questo di poter dissertare nelle più delicate sfere della dogmatica: «… ma San Luigi Maria Grignion de Montfort nel suo Trattato sulla vera devozione ha scritto che … ma la Madonna di Amsterdam in una rivelazione privata ha chiesto che … la tal mistica e la tal veggente hanno detto che in una rivelazione privata la Madonna gli ha chiesto che …».
La Beata Vergine Maria avrebbe chiesto di essere proclamata corredentrice con un quinto dogma mariano? Sorridiamo per non piangere su certe stupidaggini che rendono taluni soggetti parecchio arroganti e difficilmente gestibili per noi preti e per noi teologi, proprio perché la loro arroganza va di pari passo con la loro ignoranza. Eppure la risposta è semplice: qualcuno è disposto a credere che la Beata Vergine che si è definita umile serva, la donna dell’amore donato, del silenzio e della riservatezza, colei che come finalità ha quella di guidare a Cristo, possa veramente domandare a dei veggenti o a dei visionari svalvolati di essere proclamata corredentrice e messa quasi al pari del Divino Redentore?
Il termine stesso di corredentrice è in sé e di per sé una solenne idiozia teologica che crea enormi conflitti con la cristologia e il mistero della redenzione operata unicamente da Dio Verbo incarnato, che non necessita di co-redentori e co-redentrici. Il mistero della redenzione è un tutt’uno con il mistero della croce, sulla quale è morto come agnello immolato Dio fatto uomo. Sulla croce non è morta inchiodata come agnello immolato la Beata Vergine Maria, che alla fine della sua vita si è addormentata ed è stata assunta in cielo, non è morta e risorta il terzo giorno sconfiggendo la morte. La Beata Vergine, prima creatura dell’intero creato al di sopra di tutti i Santi per sua immacolata purezza, non perdona i nostri peccati e non ci redime, intercede per la remissione dei nostri peccati e per la nostra redenzione. Quando ci rivolgiamo a lei attraverso la preghiera, sia nella Ave Maria che nel Salve Regina da sempre, nell’intera storia e tradizione della Chiesa, la invochiamo dicendo «prega per noi peccatori», non le chiediamo di rimettere i nostri peccati né di salvarci.
Già questo dovrebbe bastare a chiudere un discorso del tutto improponibile sul piano teologico come quello di Maria corredentrice. Una autentica idiozia teologica di cui possono nutrirsi soltanto gli ignoranti arroganti e i madonnolatri ignari di che cosa sia la vera devozione alla Beata Vergine, ma soprattutto quale è il vero ruolo affidato da Dio alla Piena di Grazia nella economia della salvezza.
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dall’Isola di Patmos, 15 agosto 2022
Assunzione al cielo della Beata Vergine Maria
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Note
[1] Cfr. 12 dicembre 2019 omelia alla Santa Messa nella festa della Madonna di Guadalupe; 30 aprile 2020, Santa Messa nella cappella della Domus Sancthae Marthae; 24 marzo 2021, nel discorso durante l’udienza generale.
[2] Cfr. Santa Messa nella cappella della Domus Sancthae Marthae.
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