Elezioni 2022 — «Io sono Giorgia: sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana» … e considero l’aborto un «diritto» intoccabile

Elezioni 2022 — «IO SONO GIORGIA: SONO UNA DONNA, SONO UNA MADRE, SONO ITALIANA, SONO CRISTIANA … E CONSIDERO L’ABORTO UN «DIRITTO INVIOLABILE»

 

Un cattolico non può firmare un assegno in bianco senza data e senza importo a persone che dimostrano di avere un’idea del tutto stravolta del concetto stesso di vita umana, o che dinanzi al voto passano sopra al diritto alla vita parlando di diritto all’aborto.

— Attualità —

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È indubitabile che la On. Giorgia Meloni sia una donna, una madre e una italiana, ma dubito sia cristiana. Lo ha dimostrato nel corso della campagna elettorale ribadendo ai vari talk show che «Fratelli d’Italia non avrebbe mai messo in discussione il diritto all’aborto» [Rete4: Dritto e Rovescio, 15.09, Quarta Repubblica, 19.09].

Il carrozzone del PD nel quale bivaccano tanti cattolici adulti radical chic che amoreggiano con la Sinistra dei fricchettoni post-proletari coi superattici ai Parioli e le ville a Capalbio, raccoglie al proprio interno frange che lottano da anni per l’eutanasia e il matrimonio tra coppie dello stesso sesso, che lamentano il numero eccessivo di medici obiettori di coscienza colpevoli di impedire il “sacrosanto diritto” all’aborto. Di recente le frange piddine hanno tentato di far passare una legge che dietro il falso vessillo del reato di omotransfobia avrebbe di fatto punito il reato di opinione. E se quella legge fosse passata tal quale come era stata scritta, oggi noi preti saremmo trascinati da un tribunale all’altro per avere letto nelle nostre chiese i testi del Beato Apostolo Paolo o per avere trasmesso quel che insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica riguardo certe sfere della morale. Per adesso la proposta è naufragata, facendo passare i gay friendly piddini Dal Prozan al Prozac, come spiegammo Padre Ivano Liguori e io in un nostro libro.

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Per colpire Giorgia Meloni, donna dotata di indubbio talento politico, intuitiva e intelligente, caratterialmente amabile e grande comunicatrice, le Sinistre le hanno lanciato la ripetuta accusa che Fratelli d’Italia intendeva andare a colpire la Legge 194 che nel 1978 ha reso legale nel nostro Paese la peggiore forma di pena di morte: la soppressione dei bambini nel ventre materno. Salvo poi sventolare le bandiere arcobaleno al grido di peace and love e stracciarsi le vesti se negli Stati Uniti d’America è condannato alla sedia elettrica un serial killer. Il tutto in nome del «no alla pena di morte sempre e in ogni caso», fatta però eccezione per la pena di morte legalizzata dell’aborto comminata dalle madri ed eseguita dai serial killer che operano legalmente nei nostri ospedali.

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Un politico che di discorso in discorso, di talk show in talk show afferma che l’aborto è un diritto e che come tale non sarà toccato», il voto dei cattolici lo merita quanto lo può meritare il carrozzone del PD con tutti i suoi accaniti sostenitori dell’eutanasia, della lotta ai medici obiettori di coscienza, del matrimonio tra coppie dello stesso sesso, del tentativo di far passare una legge liberticida che dietro pretesti di tutela del mondo LGBT intendeva instaurare la dittatura delle minoranze attraverso Il golpe del politicamente corretto, come scrisse in un suo splendido libro il nostro autore Francesco Mangiacapra.

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Oggi noi cattolici non siamo neppure in grado di votare il cosiddetto meno peggio. E chi sarebbe il meno peggio, forse il Cav. Silvio Berlusconi affetto da narcisismo ipertrofico e delirio d’onnipotenza o il Sen. Matteo Salvini che cambia idea dalla sera alla mattina? Sorvoliamo sui grillini che avrebbero dovuto rifare nuovo un Paese intero, salvo diventare peggiori delle vecchie leve della D.C. e del P.S.I, che perlomeno erano formate da uomini di grande preparazione e cultura, o da autentici statisti di gran classe e razza come Bettino Craxi. Un cattolico non può firmare un assegno in bianco senza data e senza importo a persone che dimostrano di avere un’idea del tutto stravolta del concetto stesso di vita umana, o che dinanzi al voto passano sopra al diritto alla vita parlando di diritto all’aborto.

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Come il suono del pifferaio magico di Hamelin le elezioni finiscono sempre col far venire i topi allo scoperto, perché per vincerle occorrono i voti. E per avere voti bisogna non tanto piacere, ma compiacere il peggio di questo mondo. Un cristiano non può però compiacere ciò che è male, né può chiamare “diritto intangibile” la strage degli innocenti, con l’assordante silenzio della cattolicissima Elisabetta Gardini, anch’essa candidata in Fratelli d’Italia.

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Una persona che si è dichiarata cristiana in giro per tutta l’Europa, ma che prima delle elezioni si giustifica per amor di voto con ripetute confessioni pubbliche assicurando che «nessuno toccherà il diritto all’aborto», si è qualificata quanto basta per non ottenere il voto dei cattolici, costasse pure l’astensionismo o una scheda annullata dentro il seggio elettorale. Senza nulla togliere alle alte qualità e capacità della On. Giorgia Meloni, che indubbiamente è Giorgia, è una donna, è una madre e una italiana, ma dinanzi al voto ha dimostrato di non essere affatto cristiana. E di questo i cattolici sono tenuti in coscienza e tenere seriamente conto, se alcuni di loro avessero voluto scegliere il meno peggio.

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dall’Isola di Patmos, 23 settembre 2022

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I Padri dell’Isola di Patmos

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Gabriele

Elezioni politiche 2022. La verità vi renderà liberi e felici. Alla riscoperta della persona e del bene comune

ELEZIONI POLITICHE 2022. LA VERITÀ VI RENDERÀ LIBERI E FELICI. ALLA RISCOPERTA DELLA PERSONA E DEL BENE COMUNE

 

Il Bene Comune è tensione alla perfezione ci ricorda che la scelta politica è una scelta sempre e comunque in divenire. Le perfezioni, le condizioni di vita cambiano e si modificano, esattamente come i partiti: occorre un cuore e uno sguardo attento ai segni dei tempi e al prossimo che vive in stato di indigenza materiale, morale e spirituale.

— Attualità —

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Correva l’anno 2005. Da giovane studente universitario in filosofia presso l’università statale La Sapienza dovetti fare una delle prime scelte accademiche della mia vita. L’allora curriculum di studi mi richiedeva di operare una scelta di specializzazione, quindi scegliere quale materia specifica avrei approfondito all’interno delle branche filosofiche.

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Dopo attenta riflessione e preghiera, maturai con l’aiuto di Dio, la volontà di proseguire i miei studi nella specializzazione in filosofia politica. Questo implicava che i corsi e le ricerche che avrei sostenuto avrebbero anche sfiorato gli ambiti della filosofia morale e del diritto. Il tema più ricorrente in quegli anni fra noi giovani studenti e giovani filosofi era più o meno sempre quello: che rapporto c’è tra il cittadino e l’istituzione? Tra la totalità e la parte?

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Dopo l’ingresso nella vita religiosa questo tema ha continuato a interessarmi. Specialmente perché ho avuto bravi professori di teologia morale e di dottrina sociale della Chiesa che hanno saputo esporre in maniera rigorosa e sistematica il pensiero della Chiesa sui temi socio-politici. Ringrazio questi docenti, molti dei quali sono miei confratelli, perché con le loro lezioni oggi mi permettono di esprimere qualche riflessione sulle prossime elezioni politiche in cui tutti come cittadini avremo modo di partecipare.

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Il panorama politico attuale, come noto, si distingue in tre grandi partiti, con le dovute sfumature interne: Destra, Sinistra e Terzo Polo. Dunque, alla nomenclatura e divisione tipica della politica italiana all’inizio del Novecento, troviamo anche l’inserimento di un polo centrista. Questo è dunque il dato di realtà ciò che si presenterà nella scheda elettorale che l’elettore cattolico aprirà e sulla quale avrà diritto di votare. Già il Padre Ivano si è espresso in un altro articolo molto bello e profondo.

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Siamo dunque in un sistema democratico dove tutti siamo chiamati alla responsabilizzazione verso il Bene Comune.

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A proposito della democrazia, ho sempre amato, letto e meditato più volte le bellissime parole della Centesimus Annus, enciclica sociale che consiglio a tutti i cattolici di leggere e meditare profondamente:

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«La Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno. Essa, pertanto, non può favorire la formazione di gruppi dirigenti ristretti, i quali per interessi particolari o per fini ideologici usurpano il potere dello Stato [1]».

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Ora la democrazia, come già insegna Aristotele nella Politica, se male governata, per libera scelta o incompetenza, diventa facilmente demagogia. Non entro troppo nello specifico per non divagare, ma ricordo anche gli studi sulla democrazia, la quale può assumere facilmente anche forme dittatoriali o totalitarie [2]. In pratica quella che il Padre Ariel analizza in una sua opera come «il fenomeno della democrazia senza libertà». Qual è il fondamento democratico che evita allora queste derive? Lo spiega la stessa Centesimus Annus:

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«[…] Un’autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana. Essa esige che si verifichino le condizioni necessarie per la promozione sia delle singole persone mediante l’educazione e la formazione ai veri ideali, sia della «soggettività» della società mediante la creazione di strutture di partecipazione e di corresponsabilità [3]

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Il primo e vero pilastro della società è allora la persona umana. Sul concetto di persona sono stati scritti tanti libri, tanto inchiostro è stato versato in altrettante riflessioni, sulle quali non basterebbero forse mille pagine. Duque la persona è il centro propulsivo e intensivo di idee, azioni e valori per la società civile e per la Chiesa. Per cui ogni democrazia deve difenderla, promuoverla ed educarla ai valori civici e universali. Ogni Chiesa locale deve santificarla, insegnarle la retta dottrina e governarla in cammino verso la santità.

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L’invito a questa riscoperta dell’uomo nella sua libertà e vocazione alla socialità viene direttamente da Dio che ha creato l’uomo a propria immagine e somiglianza. Come il Dio Unitrino, è uno nella natura ma triplice nella persona, così creandoci ha donato a nostra volta la possibilità di essere persone e di vivere secondo libertà e relazione rispetto a un prossimo. Gesù chiede agli apostoli di essere luce del mondo. Di guidare ogni persona alla verità e al bene. Questo ci permette di introdurre il secondo grande pilastro della società e dello stato, secondo la Chiesa: il Bene Comune.

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Abbiamo visto che il documento di San Giovanni Paolo II parla di partecipazione e corresponsabilità alla scelta democratica. Questo perché alle spalle ha una grande tradizione e riflessione cattolica sul tema del Bene Comune, quale secondo grande pilastro della Società. Ogni persona è centro se sa anche decentrarsi. Se sa uscire da sé stesso per donarsi per ritrovarsi in una comunione collettiva che ne rispetti ad un tempo l’individualità ma che sappia anche elevarla. Ogni persona è relazionale ed è chiamata alla comunionalità sociale ed ecclesiale. È chiamata in un cammino di verità e bene. Cioè: il Signore ci invita alla verità che ci rende liberi di fare il Bene. Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui:

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«Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» [Gv 8, 31-32].

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Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa esprime in modo chiaro e sintetico il concetto di Bene Comune:

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«Dalla dignità, unità e uguaglianza di tutte le persone deriva innanzi tutto il principio del bene comune, al quale ogni aspetto della vita sociale deve riferirsi per trovare pienezza di senso. Secondo una prima e vasta accezione, per bene comune s’intende “l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente”. Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro. Come l’agire morale del singolo si realizza nel compiere il bene, così l’agire sociale giunge a pienezza realizzando il bene comune. Il bene comune, infatti, può essere inteso come la dimensione sociale e comunitaria del bene morale»[4].

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Il Bene Comune quale insieme di condizioni per il raggiungimento di una perfezione maggiore per la persona. Penso di non aver mai trovato una definizione più bella e più completa di Bene Comune, in tutti gli autori che ho studiato e su cui ho scritto negli anni universitari e anche dopo. Il Bene Comune come tensione al perfezionamento è in primo luogo, richiamo alla valorizzazione e riconoscimento del nostro prossimo ― con il nostro lavoro (fondamento della costituzione italiana), con il rispetto dei doveri civici ― il prossimo che è un tu che Dio ha posto nella nostra nazione italiana e con il quale dover coabitare responsabilmente.

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In secondo luogo, il Bene Comune è tensione alla perfezione ci ricorda che la scelta politica è una scelta sempre e comunque in divenire. Le perfezioni, le condizioni di vita cambiano e si modificano, esattamente come i partiti: occorre un cuore e uno sguardo attento ai segni dei tempi e al prossimo che vive in stato di indigenza materiale, morale e spirituale.

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Ecco, dunque, i due poli che ogni cattolico deve tenere presente quando si presenterà al seggio elettorale. E che ogni deputato o senatore cattolico deve avere sempre in mente, se sarà eletto, e si presenterà in Parlamento.

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Se forse questo ai teologi da tastiera e alle loro supercazzole esposte nelle cattedre dei social network sembrerà un discorso astratto e bello in teoria, ma in pratica assolutamente impraticabile, sarà ancora una volta prova di come questa generazione della Digital Age è forse una di quelle più ignoranti della storia ma che al contempo si crede la più intelligente di sempre. Perché è una di quelle generazioni digitali che pensa di scindere theoria e praxis, ma non conosce nulla né dell’una né dell’altra. Ciò detto, questo è il richiamo in coscienza ai principi morali e sociali che dovrebbero guidarci. Non ho nessuna intenzione di offrire suggerimenti elettorali e di partito. Il mio compito come sacerdote e teologo è solo dunque di fare memoria di quei valori portanti per tutti i fedeli e spronare a viverli coerentemente. Ad imitare coloro che in passato hanno incarnato questi valori. La loro attualizzazione sarà esplicitata anche dalle circostanze dal principio di epikeia che potrà suggerirlo ai lettori.

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Concludo domandandovi di pregare per la nostra Italia, perché riscopra anche i valori della laicità ― contro il laicismo imperante ― e sappia far dialogare fede, cultura e teologia, fra cattolici e uomini lontani della fede sempre con la buona volontà di servire la persona e il Bene Comune.

Gesù dolce Gesù amore (Santa Caterina da Siena)

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Roma, 23 settembre 2022

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NOTE

[1] Centesimus Annus, 46.

[2] Rimando a chi volesse approfondire il necessario J. Talmon, Alle origini della democrazia totalitaria, Il Mulino, Bologna, 1967.

[3] Centesimus Annus, 46.

[4] Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 164.

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Un Paese non si salva con i voti di protesta. Quale elettorato cattolico per le imminenti elezioni che rischiano di essere l’ennesimo “voto di pancia”?

UN PAESE NON SI SALVA CON I VOTI DI PROTESTA. QUALE ELETTORATO CATTOLICO PER LE IMMINENTI ELEZIONI CHE RISCHIANO DI ESSERE L’ENNESIMO “VOTO DI PANCIA”?

Della politica nostrana ci rimangono con ilare amarezza le boutade di alcuni personaggi-farsa, frasi iconiche più degne di un guitto d’avanspettacolo che di un uomo di stato chiamato a custodire il buono e il bello di un paese: «Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno […] Siam mica qui a smacchiare i giaguari». E tra una scatoletta di tonno e un giaguaro il 25 settembre si avvicina e i cattolici che cosa fanno, cosa pensano, dove sono?

— Attualità ecclesiale —

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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Temo che anche le elezioni politiche del 25 settembre saranno più l’espressione di un voto di pancia che non di un reale sentire democratico che tenga nel dovuto conto il bene del nostro Paese. Ragion per cui sono indeciso se andare a votare oppure no. Per un presbitero il voto è una seria questione di coscienza morale, non solo un dovere civico sancito dalla Costituzione.

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Un voto di pancia, come sarà quello del 25 settembre, adesso non ci serve, non è mai servito e mai servirà per costruire un futuro equilibrato e sensato. Chi ancora pensa che dalle prossime elezioni possa cambiare qualcosa si sbaglia di grosso, non cambierà proprio nulla, perché la politica ― quella vera, quella dei nostri padri greci ― era pensata non per cambiare il sistema ma per cambiare l’uomo dal di dentro. Come presbitero mi è concesso dire che l’uomo va convertito? Perché è questo il cuore del problema, lo sforzo pelagiano del volontarismo non basta. Difficilmente l’uomo si educa da sé, imparando dai propri errori e dalla sua storia, che il più delle volte non conosce e ignora. Se fosse così semplice, da tempo avremmo smesso di formulare e perseguire leggi e politiche antiumane, degne delle più spietate politiche totalitarie che volta per volta ciclicamente si ripropongono.   

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Se avessimo fatto più attenzione alla storia, avremmo capito che le realtà che migliorano veramente il mondo possiedono tutte la nota della gratuità e dell’investimento a fondo perduto. Penso, ad esempio, alla sanità pubblica, alla scuola e al mondo dell’educazione. Scuola e sanità sono quelle realtà magnifiche in cui bisogna investire in generosità senza aspettarsi nulla in cambio, perché i frutti non sono visibili nell’immediato ma nel tempo e la ricompensa non sarà certo quantificabile in cifre monetarie ma in uomini migliori, compassionevoli e sapienti.  

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Abbiamo voluto trarre profitto dagli ospedali tramutandoli in aziende dove è buono e bello risparmiare sulle infermità per far crescere in visibilità il dirigente di turno e dove le patologie sono categorizzate secondo una valenza politica e non certo clinica. Le scuole nel giro di cinquant’anni sono diventate i centri di una tolleranza ideologica in cui gli studenti ― sempre meno sapienti e fieri di esserlo ― non sono condotti a pensare con senso critico e libertà. Anzi si è arrivati a supporre che il troppo studio fosse finanche deleterio, per cui era necessario introdurre un po’ di alternanza con del lavoro, nell’illusione di programmare il posto fisso dopo la maturità. Ma anche in questo abbiamo fatto di peggio, arrivando a concepire il mirifico reddito di cittadinanza che conduce alla prova dei fatti a valutare lo studio e il lavoro come dei disvalori da cui guardarsi per cui è possibile vivere solo e soltanto accampando diritti anziché darsi da fare nei doveri.

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Sono stati proprio i diritti a costituire l’inceppamento del cardine di quella politica tutta italiana degli ultimi dieci anni. Diritti, puntiamo sui diritti, solo e soltanto diritti! Dimenticandosi del fatto che per crescere bene il seme di qualunque diritto si deve incontrare con il terreno dei doveri, terreno faticoso da lavorare che richiede il sacrificio di ognuno.

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Per questo motivo sono convinto, sia da credente che da presbitero, che le prossime elezioni scontenteranno ancora la maggior parte dell’Italia e di quell’elettorato cattolico che ancora v’è rimasto.

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Emblematica è stata l’intera gestione politica durante la pandemia da Covid-19 sia dell’ultimo governo Draghi che dei due governi Conte. Si è ben messo in evidenza quanto sia profondo l’oscuro barile dentro cui la politica italiana, ferita e feritrice, è chiamata a raschiare. Negli ultimi due anni abbiamo veramente sfiorato l’insurrezione popolare, come per i fatti di Trieste ― cosa che in un Paese più realista dell’Italia sarebbe accaduto per certo ― ma da noi no, noi siamo da sempre i campioni nello scollamento con il reale, così da mettere una pezza su tutto e farcela piacere, fino alla connivenza con il male.

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Anche davanti a questo importante distacco dalla realtà, sono convinto che in Italia ci siano ancora tante brave persone: ci sono, esistono ed esisteranno anche in futuro, ma sono sufficientemente assennate per non entrare nel vortice della politica che appare come quel Conte Ugolino che non lesina a divorare i suoi figli. Ben coscienti dei meccanismi del potere politico, si tengono socraticamente lontani dalle lusinghe dei tiranni, i quali declamano virtuosamente esempi di credibilità, onestà e incorruttibilità ma che alla fine si corrompono facendo la fine di quei famosi pifferi di montagna che andarono per suonare e furono suonati.

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Della politica nostrana ci rimangono con ilare amarezza le boutade di alcuni personaggi-farsa, frasi iconiche più degne di un guitto d’avanspettacolo che di un uomo di stato chiamato a custodire il buono e il bello di un paese: «Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno […] Siam mica qui a smacchiare i giaguari». E tra una scatoletta di tonno e un giaguaro il 25 settembre si avvicina e i cattolici che cosa fanno, cosa pensano, dove sono? Sì, dove sono? Non nel senso del loro peso politico che è inesistente (non c’è più un politico cattolico vero dai tempi di Giorgio La Pira) ma almeno come credenti dove sono? Quale direzione sono chiamati a scegliere per evitare di essere conniventi con certe strutture di peccato? Purtroppo, ne abbiamo già fatto esperienza, esiste il serio pericolo che la politica, svincolata da tutto e da tutti, possa corrompersi in una struttura di peccato, nemica di Dio e dell’uomo, e cadere in quel peccato originale in cui la verità e la virtù vengono estromesse. Davanti all’ossessiva preoccupazione di rendere laica la politica (e i politici) si è arrivati a dimenticare l’areté (ἀρετή), la virtù sacra per eccellenza che ogni politica e uomo politico dovrebbe perseguire.  

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San Tommaso Moro, politico cattolico anche lui, era ben cosciente del pericolo per un credente di vivere in uno Stato corrotto e dell’esigenza di resistere come credenti, in quanto il male dei governanti non colpisce solo una parte della nazione ma tutti i suoi membri e ciò che è oggettivamente male per una parte lo è anche per l’altra. Dice San Tommaso Moro:

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«se abbiamo vissuto in uno stato dove la virtù era proficua, il buonsenso ci avrebbe reso santi. Ma dato che vediamo che l’avarizia, la rabbia, l’orgoglio e la stupidità rendono comunemente molto più che la carità, la modestia, la giustizia e il senno, forse dobbiamo mantenerci un po’ saldi, anche a costo di essere degli eroi».

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Oggi avarizia, rabbia, orgoglio e stupidità sono le direttrici dentro le quali si tesseranno le trame di un voto di pancia che finirà per creare cittadini scontenti e ingannati. Non facciamoci illusioni, oggi anche quei partiti che si costruiscono attorno ai capisaldi del pensiero alternativo e dell’anti-sistema e che insistono sull’abolizione del GreenPass, sulla fine dell’obbligo vaccinale, sul reintegro dei sospesi dal lavoro, sulla posizione della guerra in Ucraina, sul caro bollette, si fermeranno davanti ai valori non negoziabili. E un cattolico cosa dovrà fare? Turarsi il naso e scegliere tra il peggio e il leggermente meno peggio? Ma anche no!

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È lapalissiano che nessun partito che conta (non quelli da zero virgola) oserà dire nulla sui valori non negoziabili essenziali per un credente, perché ben coscienti di assottigliare il proprio elettorato. Davanti a questioni importanti come l’aborto, il fine vita, il suicidio assistito, la legalizzazione delle droghe leggere, le tematiche LGBT quali partiti potranno dirsi veramente antisistema? Quali partiti sposeranno la carità, la modestia, la giustizia e il senno nel loro programma elettorale? Non certo l’attuale centro destra la cui attuale coalizione è tanto imbarazzante quanto quella del centro sinistra. Basta solo guardare qualche talk-show per udire in che modo molti politici uomini, ma soprattutto donne candidate in quei partiti che virtualmente si richiamerebbero persino ai valori cristiani, divengono morbidi come burro al sole su certi temi molto sensibili, mettono le mani avanti e giustificano prontamente in modo deciso e rassicurante che la Legge 194 non si tocca. Qualcuna si è lasciata persino sfuggire che è un «diritto acquisito», sottinteso: intangibile! E questi sarebbero i partiti e i loro rispettivi candidati che vorrebbero tentare di corteggiare lo smarrito, confuso e sfiduciato elettorato cattolico? E non aspettatevi la salvezza neanche dalle nuove coalizioni che sono nate dalla gestazione tormentata di un tempo di pandemia, in cui i Masanielli si sono sprecati, tempo qualche anno e saranno dei cloni del fu Movimento Cinque Stelle.

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Da cristiani non ci resta altra cosa sensata da fare se non quella di pregare, con quella stessa richiesta che il beato apostolo Paolo fece a Timoteo:

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«Ti raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità» (1Tm 2,1-2).

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Dobbiamo pregare ― così come facciamo nella preghiera universale del Venerdì Santo ― affinché coloro che sono chiamati a governare la comunità civile siano illuminati dal Signore nella loro mente e nel loro cuore affinché si giunga al bene comune, alla vera libertà e alla pace. Dobbiamo pregare, chiedendo al Signore la forza di promuovere una politica cristiana che cambi l’uomo dal suo interno e non il sistema. Una politica della virtù, in cui il bello, il buono e il vero ispirino i governanti a un qualcosa di più che una poltrona e un vitalizio. Non so se sarà possibile ma del resto abbiamo già toccato il fondo, quindi che dite, perlomeno ci proviamo?

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Laconi, 12 settembre 2022

 

 

 

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I Padri dell’Isola di Patmos

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Le parolacce del prete, i latinismi dei novelli catto-kaifani affetti da analfabetismo dottrinale e le risate del vecchio Cardinale disincantato

LE PAROLACCE DEL PRETE, I LATINISMI DEI NOVELLI CATTO-KAIFANI AFFETTI DA ANALFABETISMO DOTTRINALE E LE RISATE DEL VECCHIO CARDINALE DISINCANTATO

 

«Un bravo prete dal cuore veramente sacerdotale si riconosce persino dalle parolacce. Solo un autentico uomo di Dio può dire parolacce con schietta purezza di cuore senza mai essere volgare. Grazie per le risate che mi hai donato, di questi tempi ne abbiamo disperato bisogno».

— Attualità ecclesiale —

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Il tecnico che si occupa dei montaggi è fuori dall’Italia, la audio lettura degli articoli sarà inserita entro fine settembre

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A distanza di tempo un Cardinale con decenni di vita trascorsi nella Curia Romana mi ha confidato che anni fa giunse in Vaticano una lettera sottoscritta da diversi “cattolici integrali” che fece il giro di tutti gli uffici di quella sezione della Segreteria di Stato, facendo sganasciare dalle risate i monsignori che se la girarono tra di loro di scrivania in scrivania. Oggetto della protesta ero io, presentato come prete altamente indegno poiché colpevole di scandalizzare gli immacolati fedeli facendo talora uso di parole colorite non consone a un ministro in sacris. Per questo invocavano severe sanzioni canoniche a mio carico. Latori della petizione erano quei personaggi da sempre noti a noi preti, quelli dotati di una tal vocazione nello straccio delle vesti da far figurare Kaifa che s’incazza dinanzi al Sinedrio come un principiante alle prime armi.

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Questi personaggi si sentono anzitutto nobili soldati posti come alabardieri a difesa della vera tradizione cattolica e della più rigida morale sessuale applicata sempre e di rigore agli altri, giammai a sé stessi e meno che mai ai loro figli, figlie e nipoti, solo a figli e nipoti altrui. Per loro la Chiesa nasce improvvisamente nel 1570 con il Messale Romano promulgato dal Santo Pontefice Pio V, dal quale saltano direttamente agli inizi del Novecento, al pontificato del Santo Pontefice Pio X, colui che condannò quel tremebondo Modernismo che gli Alabardieri conoscono alla stessa stregua del latino del messale tridentino.

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Gli Alabardieri hanno tre fisse: il latino, San Tommaso d’Aquino e la lotta al Modernismo. Per quanto riguarda il latino mi limiterò a ricordare che anni fa, pigliando copiosamente per il culo i membri di un circolo di cosiddetti e impropriamente detti “tradizionalisti”, gli cantai sul metro del prefazio gregoriano la Poesia del Passero di Valerio Gaio Catullo dicendo infine: «Questa sì che è sacra liturgia, mica quel messalaccio di Annibale Bugnini approvato dall’improvvido Santo Pontefice Paolo VI!» [cfr. vedere QUI]. E tutti mi dettero ragione godendo dal settimo cielo. Ebbene, per quanto insolito possa apparire sappiate che persino io sono dotato di comune senso del pudore, per questo evitai di aggiungere il canto di qualche colletta prendendo dai carmina catulliani delle squisitezze del tipo:

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«Pedicabo ego vos et irrumabo, Aureli pathice et cinaede Furi, qui me ex versiculis meis putastis, quod sunt molliculi, parum pudicum»¹.

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Se però lo avessi fatto gli Alabardieri avrebbero ulteriormente confermato che quella sì, che era la lingua degli angeli che dalle panche oltre la balaustra dell’altare ti porta direttamente in Paradiso, mica grazie ai sacri misteri, ma grazie al magico latinorum fine a sé stesso. Per questo mi limitai alla Poesia del Passero spacciata per prefazio evitando di mutare in collette certi carmina lussuriosi, che ovviamente conosco a memoria sin dai tempi del liceo classico.

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Segue San Tommaso d’Aquino, che questi Alabardieri conoscono alla stregua del latino del Messale tridentino, incapaci a comprendere che il Doctor Angelicus e Doctor Communis parla dei misteri della fede e fornisce un efficace e tutt’oggi insuperato metodo speculativo, ma né il suo metodo né la sua straordinaria produzione in sé costituiscono verità immutabili della fede. Prendiamo un esempio tra i tanti: oggi la dottrina cattolica insegna che l’anima è insufflata nell’essere vivente sin dal momento del concepimento. L’Aquinate, che seguiva il metodo speculativo di Aristotele, sostiene che nel corso della crescita del feto si sviluppano in successione: prima un’anima vegetativa, poi un’anima sensitiva, infine, quando lo sviluppo sia adeguato a ricevere l’anima intellettiva, questa è infusa direttamente da Dio al terzo mese di gravidanza [cfr. Summa Theologiae Iª q. 118 a. 2 ad 2].

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Diversa idea aveva l’Aquinate anche riguardo la immacolata concezione della Beata Vergine Maria, ritenendo che non fosse nata senza peccato originale ma che subito dopo il suo concepimento ricevette una straordinaria santificazione nella sua anima che cancellò il peccato originale [cfr. Summa Theologiae IIIa, q. 27, a. 3 ad 3]. Capite bene che tra concezione senza peccato originale e cancellazione del peccato originale, la differenza non è meramente semantica, ma proprio sostanzialmente teologica.

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Altrettanto singolare il modo in cui gli Alabardieri giustificano il fatto che alla base del metodo speculativo dell’Aquinate vi sia il genio e la scienza del paganissimo Aristotele. Presto confezionata e data la risposta: Aristotele era di fatto cristiano, avendo percepito secoli prima, pur senza rendersene conto, il mistero della incarnazione del Verbo di Dio. Si tratta di una affermazione tanto cretina quanto illogica che prese a circolare negli ambiti della neoscolastica decadente di fine Ottocento. I pappagalli della non meglio precisata tradizione che oggi la ripetono e la propagano come una verità di fede, non si rendono neppure conto che a questo modo stanno definendo Aristotele “cristiano anonimo”, secondo la controversa e pericolosa teoria di Karl Rahner, altro loro nemico giurato, sebbene non conoscano neppure il titolo delle sue principali opere. Poco conta, perché la cultura cattolica e teologica dell’Alabardiere della vera e pura tradizione si basa su un castello di «si dice che …».

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Infine lo spettro diabolico del Modernismo, di cui gli Alabardieri parlano prendendo mossa da una mancanza totale di conoscenza, oltre che di spirito critico. Poi, se a loro supporto ci si mette un prete squinternato, scomunicato e dimesso dallo stato clericale, il danno irreparabile è presto fatto. Non tutti i provvedimenti che fecero seguito alla Enciclica Pascendi Dominici Gregis del Santo Pontefice Pio X furono affatto lungimiranti, anzi favorirono in parte lo sviluppo di un pericoloso Modernismo reattivo, dall’altra cristallizzarono la speculazione teologica in quattro formule stagnanti e rancide della neoscolastica decadente, impedendo di fatto ai teologi di speculare al di fuori di quelle quattro formule sclerotiche e intangibili. Questo mentre sull’altro versante, i Protestanti, portavano avanti studi molto approfonditi sulle scienze bibliche e la esegesi, ai quali decenni dopo fummo costretti a rifarci, dopo essere rimasti paralizzati per decenni in quelle quattro formule sclerotiche e intangibili che costituivano la fallimentare lotta del Santo Pontefice Pio X — o meglio di chi per lui — contro il Modernismo, che a posteriori possiamo affermare che andava sì condannato e contrastato, ma in tutt’altro modo, non nel modo gretto che spesso fu adottato.

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Tra i tanti studiosi protestanti cito a titolo di esempio il grande commento alla Lettera ai Romani del teologo Karl Barth, che rimane tutt’oggi insuperato nell’ambito della esegesi novo testamentaria e alla quale tutti noi dobbiamo di necessità rifarci.

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Non si può parlare del Modernismo se non si conosce e non si è mossi dalla consapevole onestà ch’esso nacque e si sviluppò come pensiero reattivo in seno a una Chiesa che nel corso di tutto l’Ottocento si era incartata in questioni di carattere puramente politico ― indubbiamente giustificate dalla storia e dagli eventi di quegli anni successivi alla Rivoluzione Francese ―, mentre la teologia cattolica languiva e ristagnava in forme di vera e propria ignoranza. Quindi non è possibile parlare del Modernismo se non partendo da un dato di fatto: il francese Alfred Firmin Loisy e l’italiano Ernesto Buonaiuti sono due figure da annoverare nella rosa dei più brillanti pensatori del Novecento. Solo dei bigotti illetterati o qualche prete squinternato possono trattarli con eretical sufficienza dall’alto della loro totale mancanza di conoscenza. E concludo precisando, a onor del vero, che da Santa Madre Chiesa Ernesto Buonaiuti fu trattato con una tale e feroce mancanza di carità cristiana che grida davvero al cielo, piaccia o meno agli Alabardieri in lotta contro lo spettro di quel Modernismo che non conoscono e di cui il Santo Pontefice Pio X, che giustamente e prudentemente lo condannò, al tempo stesso ne favorì lo sviluppo e la diffusione grazie a provvedimenti e azioni repressive tutt’altro che lungimiranti. Ma su questo tema molto complesso e articolato sto preparando un libro, se non crepo prima.

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Forse il Cardinale mio interlocutore aveva voglia di ridere ulteriormente, per questo l’ho esaudito cominciando col dire: È vero, Eminenza, dico parolacce, ahimè! A volte ne dico anche tante e qualche cattolico o cattolica da cupa sacrestia me lo rimprovera sui moderni social media, anzi prendo atto che hanno protestato scrivendo anche a voi, a quanto mi dice. Taluni di questi mi hanno persino detto che sono troppo esplicito, per esempio nei riferimenti ― a mio parere del tutto naturali e scientifici ― alla sessualità umana, perché a loro dire dovrei usare degli eufemismi, per esempio delle terminologie latine, non termini troppo espliciti. E, come risaputo, il latino piace terribilmente a tutti quelli che non lo conoscono, perché fa molto chic.

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Eminenza, il problema non è il latino, che io conosco. Il problema è chi il latino non lo conosce. Mi spiego: per quanto mi riguarda posso anche sbottare dicendo «Mentulam fregistis!». Se però poi non traduco che ciò significa alla lettera «avete rotto il cazzo», chi è che capisce questa aulica espressione ciceroniana in splendido latino?

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Il Cardinale si mette a ridere come non osò fare neppure all’epoca in cui, giovane monsignore di curia che era, negli anni Ottanta vide il film Il Marchese del Grillo assieme a Giovanni Paolo II e altri prelati. Il quale Giovanni Paolo II, a quanto il Cardinale stesso riferisce in camera caritatis, pare abbia commentato la pellicola dicendo che regista e sceneggiatore avevano capito proprio tutto della Roma papale.

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Lascio il Cardinale terminare le sue risate e proseguo: talvolta noi preti siamo come certi premurosi medici della mutua, che prescritta la ricetta dicono al povero ignorante illetterato: «Queste supposte devono essere assunte pro rectale via». Errore gravissimo! Perché a quel punto delle due l’una: o a quel paziente viene detto a chiare lettere che la supposta va spinta dentro il buco del culo, oppure finirà per essere portato al pronto soccorso dopo avere ingurgitato supposte per un mese ingoiandole con un bicchiere d’acqua.

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Perché certe pudibonde orecchie delicate anelano tanto quei latinismi che non capiscono? Forse perché vogliono che la Chiesa usi delle formule magiche che tanto più sono incomprensibili tanto più sarebbero efficaci? Ve lo spiego perché anelano latinismi: perché non hanno mai fatto i confessori, tanto per cominciare. O pensate che a dei Santi confessori come San Leopoldo Mandic e San Pio da Pietrelcina si presentassero, pentiti e pentite, libertini e donne di facili costumi a parlare di fellatio, cunnilingus, ani commercium, fornicationem contra naturam, irrumatio, cheiroerastia …

Si provi a immaginare un uomo che confessa di avere avuto un rapporto sessuale con un altro uomo, oggi va tanto di moda, anzi fa proprio tendenza, al punto che non è più peccato ma alta espressione d’amore (!?). Soprattutto si provi a immaginare me, confessore, che per adempiere a quanto esigono certi cattolici e cattoliche dalle orecchie delicate e per questo anelanti latinismi, mi metto a interloquire con il penitente così:

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«… in manum tuam veretrum alterius acciperes, et alter tuum in suam, et sic alternatim veretra manibus vestris commoveritis, ut sic per illam delectationem semen a te proiiceres? Si fecisti, triginta dies in pane et acqua poenitas!»².

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L’anziano Cardinale ha rischiato a questo punto di cadere dalla sedia disteso sotto il tavolo, mentre proseguivo: … insomma, Eminenza, posso fare anche felici coloro che anelano sentire latinismi, posso anche dirgli pro via rectale, salvo poi ingoiare le supposte per un mese intero anziché mettersele nel buco del culo. Posso anche rispondere a certi sedicenti cattolici altamente arroganti e irriverenti verso noi presbiteri sbottando «Tace. Maxima mentula demens!». Dopodiché, chi gli spiega che gli ho appena detto «stai zitto grandissima testa di cazzo»? O credono forse di poter tradurre le terminologie di una antica lingua morta con il motore di ricerca Google?

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Sorride il Cardinale dall’alto dei suoi ottant’anni da tempo passati, nel corso dei quali ha visto nella Chiesa di tutto e di più, compresi eserciti di farisei, pelagiani e puritani pieni di vizi privati e propagatori delle più rigide pubbliche virtù reclamate sempre e di rigore sulla pelle degli altri. Dicendomi infine con tono tenero e paterno:

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«Un bravo prete dal cuore veramente sacerdotale si riconosce persino dalle parolacce. Solo un autentico uomo di Dio può dire parolacce con schietta purezza di cuore senza mai essere volgare. Grazie per le risate che mi hai donato, di questi tempi ne abbiamo disperato bisogno».

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Sì, ne abbiamo bisogno, perché dovendo scegliere se piangere o se ridere, tutto sommato è sempre meglio ridere con la santa ironia della fede. E per concludere con una risata. Accadde che dei ragazzi toscani irridenti e irriverenti in vena di scherzi telefonano al Convento dei Frati Minori Cappuccini di Firenze esordendo:

«… pronto? Senta Padre e c’abbiamo sottomano du’ puttane e un si sà che fassene, le possiamo mandà a voi?».

Risponde serio il Cappuccino all’altro capo del telefono:

«… ’o Figliolo, noi qua siamo in sedici, con du’ sole puttane ‘i che voi che ci facciamo, un ci si po’ manco liscià i’ cazzo!».

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E stiamo a parlare dei miti e serafici Cappuccini, immaginate cosa gli avrebbero risposto se avessero chiamato il Convento di quei pitt-bull dei Domenicani. 

Dall’Isola di Patmos, 4 settembre 2022

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NOTE

¹ Cfr. Catullo (Carme 16) traduzione dal latino classico: «Io ve lo caccerò su per il culo e poi in bocca, Aurelio succhiacazzi e Furio finocchio sfondato, che per dei miei versi (poetici) teneri e gentili, avete pensato ch’io sia un rottinculo».

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² Da un’antica raccolta di Penitenze Tariffate, traduzione dal latino medioevale: «Hai preso in mano il cazzo di un altro uomo e lui il tuo, dopodiché, in questo modo, avete giocato con i rispettivi cazzi attraverso le vostre mani, fino a eiaculare di piacere? Se lo hai fatto, ti impongo trenta giorni a pane e acqua come penitenza».

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I Padri dell’Isola di Patmos

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Non tutto è perduto: l’Arcivescovo Metropolita di Milano dottore della Chiesa, subito!

NON TUTTO È PERDUTO: L’ARCIVESCOVO METROPOLITA DI MILANO DOTTORE DELLA CHIESA, SUBITO!

Prima o poi ci sarà un conclave. Forse sarebbe opportuno far recitare alla gran parte dei Cardinali elettori la formula di giuramento nelle loro lingue nazionali, dispensandoli dal pronunciarla in un latino che molti non conoscono. A questo modo eviteremo che i laicisti anticlericali, gli agnostici e gli atei dotati però di cultura e preparazione, possano prenderci in giro per i secoli avvenire.

— Attualità ecclesiale —

 

Autore
I Padri de L’Isola di Patmos

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Mai avremmo immaginato che un giorno, l’attore e regista Carlo Verdone entrasse nella letteratura dei Libri Sapienziali con la sua celebre frase: o’ famo strano, almeno fin quanto il Sommo Pontefice non ha cominciato a dare il meglio di sé nella scelta dei nuovi cardinali.

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Nel 2017 fu fatto cardinale il vescovo ausiliare di San Salvador S.E. Mons. Gregorio Rosa Chávez. L’arcivescovo di quella diocesi, S.E. Mons. José Luis Escobar Alas, si ritrovò così come ausiliare un cardinale. Il tutto sempre da leggere alla luce della grande sapienza di Carlo Verdone: …o famo strano!

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Senza cardinale sono rimaste tutte quelle diocesi italiane che storicamente sono sedi cardinalizie residenziali: Palermo, Napoli, Firenze, Bologna, Genova, Milano, Torino e Venezia. In tutte queste sedi storiche ci sono attualmente due cardinali, il mite ma deciso e determinato Giuseppe Betori a Firenze, creato cardinale da Benedetto XVI nel 2012 e il mite e basta Matteo Maria Zuppi, creato cardinale da Francesco e oggi Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

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Con una sottile ironia socratica che mai ci si sarebbe aspettati da un milanese ― tanto siamo abituati a pensare che sia quasi una prerogativa degli abitanti delle italiche zone della Magna Grecia che fu, l’essere ironici ―, S.E. Mons. Mario Delpini ha sferrato delle stilettate memorabili nel suo saluto ufficiale di augurio al neo-eletto Cardinale Oscar Cantoni, Vescovo di Como, Diocesi suffraganea di Milano.

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Siamo sinceri: ma chi sono ‘sti bauscia milanesi? In fondo Milano è solo una antichissima Diocesi che ha donato alla Cristianità santi, beati, dottori della Chiesa e Sommi Pontefici. È solo una Diocesi che con i suoi sacerdoti missionari o fidei donum ha contribuito in modo determinante a evangelizzare intere nazioni in giro per il mondo. Tutte cose banali e del tutto scontate. Vogliamo forse mettere a confronto questa Diocesi, la più grande d’Europa, storicamente ed ecclesialmente così insignificante, con il vicariato apostolico della Mongolia (1.300 cattolici battezzati) con la diocesi di Tonga (9.000 battezzati), con il Vicariato del Brunei, dove in tutto il Paese i cattolici battezzati sono appena 15.000, i cui vescovi sono stati creati cardinali? Cos’è Milano, dinanzi all’eccentrica stravaganza pontificia del … ‘o famo strano? Perché a questo siamo ridotti: al voler fare cose eccentriche che possano stupire, visto che nessuno pare riuscire più a stupire con Gesù Cristo.

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Un sommesso consiglio: prima o poi ci sarà un conclave. Forse sarebbe opportuno far recitare alla gran parte dei Cardinali elettori la formula di giuramento nelle loro lingue nazionali, dispensandoli dal pronunciarla in un latino che molti non conoscono. A questo modo eviteremo che i laicisti anticlericali, gli agnostici e gli atei dotati però di cultura e preparazione, possano prenderci in giro per i secoli avvenire. Non tutti possono infatti comprendere la profonda e grande sapienza mistagogica del … ‘o famo strano!

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dall’Isola di Patmos, 1° settembre 2022

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