L’Arcivescovo Vincenzo Paglia non è semplicemente il “fratello idiota” di Don Abbondio ma la meretrice di Babilonia genuflessa dinanzi al Principe di questo mondo
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L’ARCIVESCOVO VINCENZO PAGLIA NON È SEMPLICEMENTE IL FRATELLO IDIOTA DI DON ABBONDIO MA LA MERETRICE DI BABILONIA GENUFLESSA DINANZI AL PRINCIPE DI QUESTO MONDO
«La prima condizione per la fine della eclissi dei valori tradizionali e per l’uscita del Cattolicesimo dalla sua crisi è che la Chiesa riprenda la sua funzione, che non è conformarsi al mondo, ma contrastarlo» (Augusto Del Noce, 1971)
— Attualità —
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Dell’Arcivescovo Vincenzo Paglia mi sono già occupato epitetandolo fratello idiota di Don Abbondio, oggi merita il titolo di meretrice di Babilonia genuflessa al Principe di questo mondo [cfr. Gv 14, 30]
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«Sulla fronte aveva scritto un nome misterioso: “Babilonia la grande, madre delle prostitute e degli abomini della terra”» [Ap 17, 5].
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Le dichiarazioni fatte da questo idiota nel senso etimologico del termine ― dal greco ἰδιώτης (idiòtes) che significa “uomo privato” e indica la persona incompetente, inesperta e inetta ― sono di una gravità senza precedenti, tanto più ricoprendo il delicatissimo ruolo di Presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Partecipando di recente al programma Il tetto che scotta sulla sinistrissima e politicamente corretta Rai Tre ha magnificato la legge 194 del 1978 sull’aborto legalizzato affermando: «Io penso che ormai la Legge 194 sia un pilastro della nostra vita sociale». Dopo essersi arrampicato per 40 secondi sugli specchi, alla secca domanda dell’intervistatrice che lo ha incalzato: «Lei dice che non è in discussione la Legge 194?». L’Idiota ha replicato: «Ma no, assolutamente … assolutamente!».
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Parole di per sé nemmeno commentabili dinanzi alle quali torna alla mente una frase del filosofo Augusto Del Noce che dipinse la nostra situazione attuale scrivendo queste parole profetiche quattro decenni fa:
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«La prima condizione per la fine della eclissi dei valori tradizionali e per l’uscita del Cattolicesimo dalla sua crisi è che la Chiesa riprenda la sua funzione, che non è conformarsi al mondo, ma contrastarlo» [Tramonto o eclissi dei valori tradizionali? Rusconi Editore, Iª ed. 1971]
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Può un vescovo compiacere il mondo con simile piaggeria, anziché contrastare chi proclama l’aborto «diritto sacrosanto» e «grande conquista sociale»? A un vescovo legittimo successore degli Apostoli e membro del Sacro Collegio Apostolico va tributato rispetto, sempre, a prescindere dalle sue debolezze, fragilità e mancanze di meriti oggettivi che possono fare di lui un personaggio anche al di sotto della mediocrità. Come confessore e direttore spirituale di numerosi preti ho udito spesso i lamenti di diversi confratelli che mi spiegavano quanto il loro vescovo fosse un emerito idiota. E avevano ragione, perché tale era nei disastrosi fatti concreti. E a tutti loro ho sempre risposto:
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«… e a questo emerito idiota devi filiale rispetto e devota obbedienza, sempre e a prescindere. Pertanto cerca di vivere la oggettiva idiozia del tuo vescovo come una prova di fede. Puoi non stimarlo, perché la stima non gli è dovuta, se la vuole quella deve guadagnarsela. Ma il rispetto e l’obbedienza sì, gli è sempre dovuta e non può essere in alcun modo cancellata dai suoi demeriti di cui al momento opportuno dovrà rispondere a Dio come sta scritto: “A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più”» [Lc 12, 48].
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Da una parte raccolgo le lamentele dei preti verso i loro vescovi, dall’altra quelle di diversi vescovi che non ce la fanno più con certi preti. E hanno ragione gli uni e gli altri. Ormai da anni, a preti che si lamentavano dei loro vescovi non particolarmente amabili, paterni o dottrinalmente brillanti replico: «Tra non molto tempo tu e i tuoi confratelli rimpiangerete il vostro vescovo con le lacrime agli occhi». Frase ripetuta a decine di preti a partire dal 2017, quando i massimi vertici della Chiesa Cattolica superarono la soglia del non-ritorno festeggiando i 500 anni della pseudo-riforma di Martin Lutero, che non fu affatto un «riformatore», come lo dipinse La Civiltà Cattolica, né un soggetto sul quale si possa dire: «Credo che le intenzioni di Martin Lutero non fossero sbagliate. Era un riformatore». Perché così il Sommo Pontefice Francesco definì in un suo sproloquio a braccio in aereo ad alta quota questo diabolico eresiarca che dette vita a un drammatico scisma, non certo a una riforma. Quella la fece il Concilio di Trento, non Lutero. Oggi, gli stessi preti, mi scrivono, mi telefonano o a tu per tu mi dicono: «Avevi ragione, potessi riavere il precedente vescovo di cui tanto mi sono lamentato non gli bacerei la mano ma i piedi!».
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Stendo un velo pietoso sui criteri di selezione dei nostri nuovi vescovi sotto questo augusto pontificato, tutti col povero e il migrante sulla bocca, tanto che dopo averne udito uno si sono udite tutte le omelie episcopali pronunciate da nord a sud, da est a ovest dai vescovi italiani.
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Che i nostri non siano tempi di “aquile reali” è chiaro a chiunque abbia anche un minimo lume di ragione. Per questo merita delineare la differenza che corre tra un vescovo idiota al quale sono sempre dovuti filiale rispetto e devota obbedienza, da un vescovo ridotto a una meretrice di Babilonia genuflessa alle ginocchia del Principe di questo mondo. All’Arcivescovo Vincenzo Paglia deve essere pubblicamente tributato tutto quel santo sprezzo che qualsiasi credente è tenuto a riversare su ciò che è male e che come tale costituisce grave peccato, nel caso specifico il delitto di aborto, regolamentato nel nostro Paese da una Legge che non è affatto un «pilastro della nostra vita sociale» ma il peggiore dei crimini legalizzati perpetrati contro la vita. Ecco perché non bisogna prestare filiale rispetto e devota obbedienza all’Arcivescovo Vincenzo Paglia, perché abusando nel modo peggiore dell’episcopato ha espresso dei concetti che contraddicono l’impianto della nostra morale e della nostra etica che si reggono entrambe sui pilastri del deposito della fede cattolica. Rimane un vescovo legittimo rivestito di una importante e delicata carica ecclesiastica, questo è fuori discussione. Però, se la sua potestas che comporta anzitutto la suprema custodia della dottrina della fede la esercita per negare in modo sacrilego i fondamenti della morale e dell’etica cattolica, in tal caso non deve essere né ascoltato, né ubbidito né seguito e meno che mai rispettato, ma bensì reso oggetto di santo sprezzo cristiano.
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Vincenzo Paglia è una vergogna dell’episcopato appartenente a quella nefasta categoria di persone verso la quale tuonano le Sacre Scritture:
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«Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» [Ap 3, 15-16].
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Assieme a Vincenzo Paglia rischiano di essere vomitate dalla bocca dell’Onnipotente anche tutte le ambiguità e le doppiezze di questo pontificato al quale va il grave e oggettivo demerito di avere inserito in tutti i più delicati posti chiave soggetti immorali e palesemente eterodossi, correndo a questo modo il rischio di «[…] passare agli annali come un inseguimento eccentrico del nuovo e del sensazionale come surrogato della ricerca di senso, che ha finito col produrre una confusione dottrinale e pastorale mai verificatasi in precedenza nella storia della Chiesa».
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Parole quest’ultime con le quali apro il mio libro dedicato alla memoria del Cardinale Carlo Caffarra che entrerà in distribuzione i primi di settembre e che vi invito a leggere, non altro per risollevarvi un po’ d’animo, per acquisire fiducia sul fatto che non tutto è perduto e per poter toccare con mano che in mezzo a tanti pavidi conigli in carriera che stanno de-costruendo i fondamenti stessi della dottrina cattolica, esistono sempre anche i leoni che aspirano alla conquista del premio della vita eterna come loro unica ambizione di carriera. Leoni che è bene non andare a infastidire con la parolina di stizzoso rimprovero clericale, perché mordono e sbranano, come si deve e come si conviene ai Leoni di Dio posti a custodia della dottrina della fede e della salute delle anime dei Christi fideles a noi affidate dal Redentore.
Dall’Isola di Patmos, 28 agosto 2022
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L’atteggiamento e gli interventi di mons. Paglia sono fuori luogo e a tratti scandalosi (come questo sulla 194) e non da oggi. Concordo su quanto affermato in questo articolo sul monsignore in questione, aggiungendo che un simile giudizio tranciante andrebbe esteso anche a chi ha la responsabilità di averlo messo lì dov’è.
Sposo in toto anche la definizione di Lutero quale “diabolico eresiarca”.
Una battuta su Del Noce: bisogna intendersi su quale significato attribuisse alla parola “mondo”. Se lo intendeva in senso giovanneo, cioè come struttura di peccato, allora è vero che la chiesa deve contrastarlo. Se lo intendiamo invece come realtà in cui viviamo e quindi come umanità collocata in un tempo e in uno spazio, allora sarebbe più corretto dire che la Chiesa deve convertire il mondo (o almeno provarci).
Infine, per quanto riguarda i Leoni di Dio, mi fa piacere sapere che ce ne sono ancora, perchè purtroppo io al momento non riesco a scorgerne quasi nessuno…
Caro Antonello,
Augusto Del Noce si riferiva al concetto di “mondo immondo”, non ricordo in quale passo della sua opera, perché purtroppo non ricordo e dovrei fare una ricerca, fece riferimento alla Chiesa come elemento del mondo immondo. Quindi è evidente si riferisse al concetto giovanneo (Gv 15, 18-21).