Il Sommo Pontefice da Fabio Fazio e il dilemma del giorno dopo: tra i due, chi era il Vecchio Professore e chi l’Angelo Azzurro?

— Attualità —

IL SOMMO PONTEFICE DA FABIO FAZIO E IL DILEMMA DEL GIORNO DOPO: TRA I DUE, CHI ERA IL VECCHIO PROFESSORE E CHI L’ANGELO AZZURRO?

Non voglio indugiare più di tanto sull’immagine dell’anziano professore del film L’Angelo Azzurro con la mitica Marlene Dietrich nel ruolo della ballerina Lola, lascio valutare a chiunque conosca un po’ il vecchio cinema e la trama di quel capolavoro di film drammatico, chi tra i due ieri sera era il Professore e chi l’Angelo Azzurro, io non so rispondere e non voglio neppure rispondere, anzi: non ci voglio nemmeno pensare …

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Due giorni fa ho pubblicato un articolo duro e severo per commentare l’annunciata partecipazione del Romano Pontefice a un talk show noto da sempre per essere una bandiera della peggiore Sinistra fricchettona e politicamente corretta: Che tempo che fa, condotto da Fabio Fazio, al quale da anni fa da spalla Luciana Littizzetto che ha irriso in ogni modo la Chiesa Cattolica, la dottrina, la morale e la pastorale dei Vescovi d’Italia. Questo è il contenitore ― e nessuno lo può negare ― nel quale il Sommo Pontefice ha deciso di mettere i propri contenuti. Applicando il principio giustificatorio che la persona risponde dei contenuti espressi e non certo del contenitore in cui li ha espressi, in tal caso io potrei pubblicare tranquillamente un articolo sul mistero dello Spirito Santo sulla rivista Playboy, senza che nessuno possa osare dirmi niente, perché risponderei solo di ciò che scrivo, a prescindere dai primi piani delle splendide fotomodelle nude che riempiono le pagine di quel mensile. Esattamente come il Romano Pontefice ospite a Che tempo che fa risponde dei propri contenuti, non certo di un contenitore che per anni ha sbeffeggiato la Chiesa Cattolica attraverso il braccio armato di Luciana Littizzetto, o no?

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Quella di Fabio Fazio non è la Sinistra delle rivendicazioni o delle lotte operaie, politiche e sindacali del vecchio, glorioso e anche compianto Partito Comunista Italiano, a cui tanto l’Italia deve sin dai tempi dell’Assemblea Costituente e di cui fu ultimo leader quel gran galantuomo di Enrico Berlinguer. Quella di Fabio Fazio è la Sinistra ― come ho spiegato e come torno a ribadire ― con i super-attici ai Parioli e le ville a Capalbio. Una sinistra che nulla ha da spartire con quelle che sono le istanze del Sommo Pontefice, o come severamente le ho definite: nevrosi ossessivo-compulsive su poveri e migranti. Infatti, per noi, i veri poveri che per divino mandato ricevuto dobbiamo assistere sono i poveri di Cristo, i veri migranti da accogliere o da recuperare sono i lontani dalla Chiesa, o gli emigrati dalla Chiesa. In caso contrario rischia di risuonare il severo monito di Cristo Dio: «Non fanno così anche i pagani?» [Mt 5, 47].

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A mio modesto parere la presenza del Sommo Pontefice è stata inopportuna, introdotta, come immaginavo, dai commenti di una corte di sinistri laicisti capeggiata da Roberto Saviano che, come un teatrino d’avanspettacolo prima dell’apertura del grande sipario, hanno tentato di legittimare ― riuscendoci agli occhi di molti, ahimè! ― il loro non-essere-cattolici, avversi da sempre a tutto ciò che è il cattolico sentire sul piano della dottrina, della fede e della morale. Quella che io chiamo strategia Gianluigi Nuzzi, col quale ebbi a dibattere a una diretta televisiva nel 2020, anche se comprese subito nello spazio di pochi secondi che con me non attaccava e, da persona intelligente qual è, tirò subito i remi in barca.

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Semplice quanto pericolosa e terrificante la scissione operata da queste persone tra Jorge Mario Bergoglio, la Chiesa e il Papato. Solo gli incapaci di intendere e volere, o coloro che non vogliono intendere e volere, possono stracciarsi le vesti dinanzi alle mie parole e non accorgersi in che modo questi sinistri soggetti presentino da anni Jorge Mario Bergoglio come un «grande rivoluzionario», un uomo «solo e incompreso», ma soprattutto «ostacolato». E da chi, sarebbe incompreso e ostacolato? Presto detto: dalla Chiesa, dalla cattivissima Curia Romana e da non meglio precisati conservatori che non vogliono il grande «cambiamento epocale rivoluzionario». Presto detto: attraverso questo gioco finisce per essere trasmesso alle masse, incluso l’esercito di cattolici semplici e fragili, un terribile messaggio subliminale: Bergoglio sì, Chiesa no, Bergoglio sì, Papato no … Ci manca solo la ciliegina sulla torta del pasticcere: Bergoglio sì, Cristo no.

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Esattamente la strategia Gianluigi Nuzzi che sulla Chiesa e le malefatte vere e presunte del clero scrive da oltre un decennio di tutto e di più. Dal 2013 lo fa però con una strategia che ha in sé del diabolico: scinde Jorge Mario Bergoglio dal suo sacro ufficio, lo stacca dalla Chiesa e dal clero di cui egli è supremo capo per divino mandato, lo muta in un non meglio precisato “rivoluzionario incompreso”, lo innalza come vittima e poi come tale lo difende da un sistema corrotto e corruttore, ossia la Chiesa di Cristo. Fatto questo si sente così legittimato a scaricare su di noi tutto il peggior fango del mondo. Come se Jorge Mario Bergoglio fosse null’altro che un semplice Jorge Mario Bergoglio, mentre per noi è il Successore del Beato Apostolo Pietro e il legittimo Vicario di Cristo sulla terra al quale il Verbo di Dio ha dato il potere delle chiavi [cf. Mt 13, 16-19]. E come tale tutti noi presbiteri e fedeli cattolici lo veneriamo e ubbidiamo, sempre. A prescindere da certi suoi limiti e difetti sui quali non si è tenuti a tacere, tanto più in nome del più bieco e cieco clericalismo che avrebbe persino la comica pretesa di criticare il clericalismo, come dire: può forse uno scassinatore criticare e condannare il furto con scasso?

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Può essere che i soloni della Santa Sede e i responsabili dei Media Vaticani non si siano mai accorti di questo gioco pericoloso? Sì, che se ne sono accorti, ma il problema è che il Sommo Pontefice ha rifiutato la vecchia, consolidata e tutto sommato funzionale macchina della Curia Romana, che con tutti i suoi pregi e difetti ha sempre adempiuto al suo delicato compito primario: proteggere la figura dell’Augusto Pontefice e la sua immagine pubblica. Purtroppo il problema è noto: il Santo Padre non ascolta nessuno e agisce di testa propria, dopo avere allontanato numerosi servitori fedeli e di valore per circondarsi di soggetti mediocri e di ruffiani compiacenti, con i risultati che oggi abbiamo sotto gli occhi.

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Vogliamo poi parlare delle sue palesi incoerenze? Anche il Beato Apostolo Pietro, scelto da Cristo Dio in persona, si manifestò incoerente e fragile, è scritto nei Santi Vangeli, nelle Lettere Apostoliche e negli Atti degli Apostoli. Dunque spiegatemi, o novelli clericali che in modo ridicolo vi stracciate le vesti sul clericalismo: delle limitatezze del Beato Apostolo Pietro si può parlare, predicare e scrivere, mentre su quelle dell’uomo Jorge Mario Bergoglio no? Interessante, davvero interessante questa nuova ecclesiologia autenticamente anticlericale … e mentre da anni, di discorso in discorso il Santo Padre si struggeva il cuore per i migranti, quel grande uomo di Dio e fedele servitore della Chiesa del Cardinale Carlo Caffarra moriva senza mai essere ricevuto. Non pago di questo, poco tempo dopo il Santo Padre lasciava fuori dalla porta come un cane randagio l’anziano ed eroico cardinale cinese Giuseppe Zen, giunto ultra ottantenne da Hong Kong, che per una settimana attese inutilmente di essere ricevuto. In compenso, però, riceveva quell’ateo fiero e impenitente di Eugenio Scalfari, fondatore e direttore del quotidiano La Repubblica, che sul Sommo Pontefice Giovanni Paolo II ha scritto per anni editoriali e articoli rasenti spesso la più bieca infamia anti-cattolica. Qualcuno intende forse negarlo, o peggio darmi dell’inopportuno per avere osato riportare dati di fatto storici tanto pubblici quanto documentati? Da quando nella Chiesa la verità è diventata inopportuna? O qualcuno intende forse darmi addosso dicendo che bisogna valutare la forma, o meglio valutare come la verità si dice? In tal caso rispondo subito in anticipo: leggete i Santi Vangeli, perché queste erano le ragioni degli antichi farisei.

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Il Santo Padre ha parlato del chiacchiericcio delle malelingue e del clericalismo. Peccato non abbia però spiegato che il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica potrebbe essere tranquillamente chiuso e il suo grande stabile trasformato in un ostello per Rom, perché nella bella stagione da lui inaugurata la certezza del diritto, assieme a quella di un giudizio equo e imparziale, di una assoluzione o di una giusta condanna, nei concreti fatti non esistono più in questa Chiesa visibile ammantata di una non meglio precisata e identificata misericordia. Vi sono stati ecclesiastici estromessi dalla sera alla mattina dai loro uffici dopo avere servito fedelmente la Chiesa alcuni decenni all’interno della Curia Romana, senza mai conoscerne neppure il motivo. Alle loro legittime domande rimaste senza risposta si sono sentiti replicare: «L’ordine viene dall’alto, quindi è così e  basta!». Questioni di misericordia! Per non parlare poi dei numerosi procedimenti giudiziari canonici che sono stati chiusi con una perentoria telefonata giunta dalla Domus Sanctae Marthae perché l’indagato per gravissimi delitti era un amico degli amici del «cerchio magico» del Santo Padre, come ebbe a chiamarlo il Cardinale Gerhard Ludwig Müller, grande uomo e teologo e per questo defenestrato in modo indegno dalla Congregazione per la dottrina della fede. E a fronte di tutto questo e molto altro ancora, ci siamo dovuti sorbire persino il predicozzo sulle «malelingue» il «chiacchiericcio» e il «clericalismo» pronunciato dall’infelice pulpito del salotto di Fabio Fazio. Permettetemi dunque di dire che se ciò non fosse tragico sarebbe davvero comico.

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Tutto questo a chi giova? Non riesco proprio a trovare altri interrogativi che possano giustificare meglio la comparsata del Romano Pontefice al programma televisivo di ieri sera. Sicuramente ha giovato a quel talk show, al suo conduttore, a tutta quella pletora di intellettuali ideologizzati che amano la visibilità e che potranno finalmente annoverare il Santo Padre nel loro tiaso come un semplice primus Inter pares. Ma da semplice prete mi faccio una domanda: l’intervento di ieri sera gioverà ai fedeli cattolici, ai sacri pastori, ai sacerdoti, al popolo santo di Dio sempre più disorientato e bisognoso di certezze? Temo di no, perché a molti la serata di ieri sera ha lasciato un senso di vuoto che si concluderà con un interrogativo destinato a rimanere senza risposta: ce n’era proprio bisogno? No, non ce n’era certamente bisogno perché non abbiamo inteso cose diverse ― nella modalità e nella sostanza ― di quelle trite e ritrite pronunciate in modo ossessivo-compulsivo in nove anni di pontificato: migranti, migranti, ancora migranti, ecologismo, clericalismo, rigidità e misericordismo. Nulla che non si senta già abbondantemente a ogni benedizione Urbi et Orbi nei giorni di Natale o di Pasqua e che ha già stancato pure i più devoti cattolici papisti.

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Non poteva essere altrimenti, vista la linea editoriale del programma di Fabio Fazio che per bocca di Saviano investe il Sommo Pontefice del titolo di «ultimo socialista», cosa che farà sicuramente impazzire di gioia l’anima benedetta del Sommo Pontefice Leone XIII, di felice memoria, che nella parte prima della sua memorabile e profetica Enciclica Rerum novarum definì il Socialismo come «falso rimedio». Un Papa socialista che strappa un sorriso dicendo che da bambino voleva fare il macellaio e che davanti ai teleschermi non riesce ad argomentare un tema semplice di teodicea che tocca il mistero del dolore innocente e che ha in Cristo crocifisso il suo modello e nei Santi Innocenti martiri un cammino di santità reale che quotidianamente si ripete in milioni di aborti considerati come conquiste sociali dagli amici del fazioso Fazio, la cui frequentazione alla Comunità Nuovi Orizzonti dovrebbe perlomeno permettere qualche salutare crisi di coscienza, tra un Saviano e un altro. Mistero del dolore innocente e dei piccoli che il Santo Pontefice Giovanni Paolo II argomentò magistralmente nella sua Lettera Apostolica Salvifici doloris e che si lega inscindibilmente al misterium iniquitatis del peccato in cui il perdono non è certamente un «diritto» ― come ha affermato e ripetuto il Santo Padre facendo stramazzare a terra i teologi sotto lo schermo televisivo ― ma una grazia che Cristo ci ha offerto nel suo sangue e che a ogni confessione si rinnova.

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L’ospitata c’è stata, per qualche giorno ancora si parlerà di questo evento che poi cadrà nel dimenticatoio così come si è soliti fare il lunedì dopo una partita domenicale tra dilettanti. Tutto questo non lascerà nulla, non un desiderio di conversione, né una volontà di scoprire Cristo, neanche il desiderio di amare di più la Chiesa. Anzi i nostri nemici diranno più che mai «Bergoglio è dei nostri!», quindi prendiamo il Santo Padre e usiamolo come clava per bastonare la Chiesa di Cristo non rivoluzionaria, gli avversari politici e coloro che sposano le idee anti-sovraniste. Per questo sono preoccupato, più che per quello che non si è detto ieri sera e per quello che con abile senso manipolatorio si farà dire al Sommo Pontefice nei giorni a seguire di ciò che non ha mai detto.

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Dopo ieri sera il Papato è stato colpito e dissacrato, forse l’unico capo religioso ammantato di ineffabile dignità resta la Regina Elisabetta II d’Inghilterra, che come capo della Comunità Anglicana non si sognerebbe mai di andare da un Fazio qualunque a farsi intervistare, perché si sa: davanti al Re si aspetta di essere chiamati, si tiene la testa bassa e si risponde solo ed esclusivamente se lui ti rivolge parola e se ti pone delle domande. È il Re che interroga e che domanda, nessuno può interrogare e rivolgere domande al Re. Per questo dico che abbiamo assistito a un traumatico capovolgimento, a un terribile stravolgimento dei ruoli, uno dei quali, quello del Romano Pontefice, è un ruolo sacro per istituzione e mandato divino. E sinceramente non voglio indugiare più di tanto sull’immagine dell’Anziano Professore del film L’Angelo Azzurro con la mitica Marlene Dietrich nel ruolo della ballerina Lola, lascio valutare a chiunque conosca un po’ il vecchio cinema e la trama di quel capolavoro di film drammatico, chi tra i due ieri sera era il Professore e chi l’Angelo Azzurro, io non so rispondere e non voglio neppure rispondere, anzi: non ci voglio nemmeno pensare …

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dall’Isola di Patmos, 7 febbraio 2022

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Quando un tragico pontificato finisce in satira: il Romano Pontefice ospite al talk show della Sinistra fricchettona di Fabio Fazio che per anni ha preso per il culo la dottrina e la morale cattolica tramite il braccio armato di Luciana Littizzetto

— Attualità —

QUANDO UN TRAGICO PONTIFICATO FINISCE IN SATIRA: IL ROMANO PONTEFICE OSPITE AL TALK SHOW DELLA SINISTRA FRICCHETTONA DI FABIO FAZIO CHE PER ANNI HA PRESO PER IL CULO LA DOTTRINA E LA MORALE CATTOLICA TRAMITE IL BRACCIO ARMATO DI LUCIANA LITTIZZETTO

Come si può andare, o come si può essere presenti anche e solo con un collegamento esterno di pochi minuti non sappiamo infatti se sarà in studio o se sarà collegato in un salotto nel quale la velenosa Luciana Littizzetto tira da anni merda a palate sulla Chiesa Cattolica e sul clero, irridendo a ogni piè sospinto la dottrina, la morale cattolica e la pastorale dei Vescovi italiani?

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Mi rivolgerò al Santo Padre Francesco chiamandolo Jorge Mario Bergoglio per una logica tutta ecclesiologica che è bene spiegare. Nei miei scritti e discorsi, nelle mie omelie e conferenze mi sono rivolto sempre al Successore del Beato Apostolo Pietro chiamandolo: Sommo Pontefice, Romano Pontefice, oppure Santo Padre, perché tale al momento è Francesco I nella pienezza della sua legittima e indiscutibile autorità apostolica. E lo è per quella grazia di Dio, spesso intellegibile ai nostri occhi di cattolici che abbiamo vissuto molti momenti di questo pontificato come una autentica disgrazia. Occorreranno molti anni, forse decenni per riuscire a leggere e poi comprendere in che modo Dio ci ha colmato di grazia attraverso questo pontificato infelice e triste, specialmente oggi nei suoi ultimi e disperati colpi di coda. Spesso, nel corso della storia, la misericordia di Dio ha elargito le migliori grazie proprio attraverso delle disgrazie. Un esempio: dopo la grande pestilenza del 1348, indicata dagli storici come morte nera o grande peste nera, giunta in Europa dalla Cina ― tanto per cambiare! ― che sterminò metà della popolazione del nostro Continente, prese vita un secolo dopo la grande stagione del Rinascimento.

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Se quindi dico Jorge Mario Bergoglio è perché intendo operare una netta distinzione tra l’uomo e l’ufficio di Romano Pontefice, perfettamente consapevole che l’ufficio è conferito all’uomo e che nell’uomo che ne è rivestito sussiste la pienezza del ministero petrino. Cosa questa di cui noi presbiteri e teologi siamo consapevoli, ben sapendo che Simone figlio di Giona (cf. Mt 15, 17) cessò di essere tale per divenire Pietro, la pietra deposta sulla pietra angolare che è Cristo (cf. At 4, 11; Ef 2, 20) sulla quale il Verbo di Dio incarnato ha edificato la sua Chiesa (cf. Mt 16, 18-19).

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Se l’uomo Jorge Mario Bergoglio fosse anche uno tra i peggiori, o persino il peggiore pontefice dell’intera storia del Papato, tutti noi presbiteri e fedeli dobbiamo a lui devoto rispetto e filiale obbedienza, sempre e a prescindere. Degno o indegno che sia egli è il legittimo successore del Beato Apostolo Pietro, che ricevette il proprio mandato da Cristo in persona, trasferendolo a tutti i suoi Successori, di cui il Pontefice regnante è detentore in legittima linea di successione apostolica. Il Romano Pontefice, quando si esprime in materia di dottrina e di fede, gode di una speciale assistenza dello Spirito Santo al punto da pronunciarsi infallibilmente. Quando però agisce come uomo o come dottore privato può compiere azioni o lasciarsi andare a quelle espressioni inopportune, infelici e fuorvianti alle quali Jorge Mario Bergoglio ci ha ormai abituati da nove anni a questa parte. In tal caso è soggetto come tutti a critiche e rimproveri, perché né certi suoi ripetuti zibaldoni pronunciati in aereo ad alta quota né le sue infelici chiacchierate con Eugenio Scalfari possono essere per noi elementi di sommo magistero, tanto meno vincolante. Come infatti ebbe a dire a suo tempo il Santo vescovo e dottore della Chiesa Ambrogio di Milano:

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«Dite al Vescovo di Roma che dopo Gesù Cristo per noi viene lui, che noi lo veneriamo e rispettiamo, ma ditegli anche che la testa che Dio ci ha dato non intendiamo usarla soltanto per metterci un cappello sopra».

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Dopo questo chiarimento passiamo al cuore del problema: alla prova provata dei fatti il Pontefice regnante non ha mai cessato di essere Jorge Mario Bergoglio per diventare Pietro, ossia Francesco, come lui ha scelto di chiamarsi. Ostinato e imperterrito ha proseguito a essere Jorge Mario Bergoglio, un gesuita a monte mal formato sul piano teologico ed ecclesiologico tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta, palesemente sprezzante la romanità e incapace di comprendere che essa è sinonimo di universalità cattolica, infine sbarcato a Roma con tutti i peggiori pregiudizi anti-romani fomentati dai tedeschi in quell’America Latina da loro usata come incubatrice di tutte le peggiori derive teologiche ed ecclesiologiche. E così, per la prima volta, ci siamo ritrovati sulla Cattedra di Pietro un uomo intriso di sprezzo verso Roma e la romana universalità cattolica. E chi questo lo nega, o mente, o vive fuori dalla realtà, o più semplicemente rifiuta la realtà pur di non fare i conti con l’orrido vero di leopardiana memoria.

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Anni fa spiegai che l’uomo Jorge Mario Bergoglio non poteva essere definito neppure un provinciale, bensì un quartierale. L’analisi è contenuta in un mio articolo del 2017 al quale vi rimando e in cui spiego che il «quartieralismo» ― termine inesistente sul vocabolario perché coniato da me ― «è peggio del provincialismo, perché il quartierale è una persona legata a livello psico-sociale al quartiere di un preciso contesto cittadino o metropolitano». E adesso provate a immaginare un quartierale seduto sulla cattedra dalla quale Pietro deve governare la Chiesa universale, non certo giocare all’eccentrico egocentrico in un quartiere di Buenos Aires.

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L’uomo Jorge Mario Bergoglio si è manifestato da subito ammalato di originalità, anche in modo parecchio grave. Il tutto rientra nel suo impianto caratteriale, perché così è da sempre, strutturalmente. Lui deve fare l’opposto o l’esatto contrario di ciò che hanno fatto tutti gli altri suoi Predecessori, sino a mostrare, forse in modo del tutto inconsapevole, di non avere neppure la percezione della dignità di cui è stato rivestito. Dignità che peraltro non gli appartiene, ma che gli è stata data solamente in comodato d’uso e della quale dovrà seriamente e gravemente rispondere a Dio secondo il terribile monito di Gesù Cristo:

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«A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più» (Lc 12, 48).

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Parlando per il peccatore che sono, quindi come persona soggetta a cadere e ricadere nel peccato, confesso pubblicamente, soprattutto a voi silenti Vescovi e Cardinali, che non vorrei essere al posto dell’uomo Jorge Mario Bergoglio, perché stando a quanto riportano le Sacre Scritture, da Cristo rischia di sentirsi dire: “Io non ti avevo affidato il potere delle chiavi del regno dei cieli affinché «tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16, 19), perché tu trascinassi la mia Chiesa in un teatrino del ridicolo tra le risa dei giocolieri, dei nani e delle ballerine del circo equestre”. Neppure vorrei essere al posto dei silenti Vescovi e Cardinali, che dinanzi alla Santa Sposa di Cristo esposta alla vergogna del ridicolo, non trovano di meglio da fare che cimentarsi in quel peccato che tra di loro pare andare per la maggiore: il peccato di omissione, unito al distruttivo cinismo di coloro che con accidia restano in attesa che il vento cambi, senza dover muovere un dito, senza prendere alcuna iniziativa, senza assumersi una sola responsabilità, salvo saltare con scatto da atleti professionisti sul carretto del prossimo condottiero.

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Sono due giorni che sto ricevendo telefonate da confratelli sparsi per le diocesi di tutta Italia, sconvolti e smarriti dopo avere appreso la notizia che Sua Santità sarà ospite domenica sera a Che Tempo Fa il noto talk show condotto dal sinistrissimo Fabio Fazio, che incarna il più fazioso politicamente corretto della sinistra radical chic, quella dei fricchettoni con i super-attici ai Parioli e le ville a Capalbio, altro che i poveri, i migranti, le periferie esistenziali e i vari cavalli di battaglia dell’uomo Jorge Mario Bergoglio al quale questi sinistri plaudono da sempre a ogni picconata da lui inferta alla dignità e alla credibilità della Chiesa. E io che svolgo il ministero di confessore e di direttore spirituale principalmente con i sacerdoti, ho modo di tastare molto bene il polso del disagio, soprattutto della sofferenza, perché come più volte ho spiegato e come adesso torno a ripetere: in quella che Jorge Mario Bergoglio ha definito come «La Chiesa ospedale da campo», nel pronto soccorso ad accogliere i feriti ci siamo noi, non c’è lui, né i ruffiani impegnati ad adularlo nella sua corte dei miracoli fatta di poveri ideologici e di migranti onirici, frutto della sua nevrosi ossessivo-compulsiva. E sempre più di frequente, le croci rosse che arrivano a sirene spiegate nel reale pronto soccorso della nostra altrettanto reale Chiesa ospedale da campo, da sopra le barelle ci scaricano preti e fedeli a pezzi, dinanzi ai quali viene spesso da dire: e adesso, da che parte cominciare, per cucire i pezzi e chiudere le ferite?

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Come si può andare, o come si può essere presenti anche e solo con un collegamento esterno di pochi minuti ― non sappiamo infatti se sarà in studio o se sarà collegato ― in un salotto nel quale la velenosa Luciana Littizzetto tira da anni merda a palate sulla Chiesa Cattolica e sul clero, irridendo a ogni piè sospinto la dottrina, la morale cattolica e la pastorale dei Vescovi italiani? Come si può … come si può … questa la domanda a me rivolta in questi giorni da sacerdoti che mi hanno contattato da tutti Italia: come può il Sommo Pontefice cadere così in basso e quindi trascinarci tutti quanti in basso?

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A tutti questi confratelli ho risposto in vario modo, per esempio esprimendo che come presbiteri eravamo pronti, all’occorrenza, anche alle persecuzioni anti-cattoliche, anche a morire martiri per la fede, perché il nostro sacro ministero può comportare anche queste possibilità, a loro modo impresse nel nostro stesso DNA di preti. Certo, nessuno di noi era preparato a morire nel ridicolo, grazie a un Sommo Pontefice che ha deciso di mettersi a fare il giullare alla sinistra corte di Fabio Fazio e Luciana Littizzetto.

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Di calo in calo di popolarità nel quale da tempo è sprofondato questo pontificato, amato da tutto ciò che non è cattolico ma sofferto a lacrime di sangue da devoti sacerdoti e fedeli, che cosa ci riserverà in futuro l’originale ed eccentrico quartierale Jorge Mario Bergoglio? Dall’ottico a comprarsi gli occhiali c’è già stato, al negozio di articoli musicali per comprarsi un disco c’è andato di recente. Inutile a dirsi, anche se è bene ripeterlo: il tutto con tanta e tale casuale spontaneità al punto da essere seguito dal fotografo personale e atteso sul posto da altrettanti fotografi. E domani, che cosa farà, per far salire l’auditel? Si farà riprendere dalle televisioni internazionali mentre spazza con la ramazza il sagrato della Papale Arcibasilica di San Pietro, o mentre lava i piatti nella cucina della Domus Sanctae Marthae cantando «Una mattina, mi son svegliato, o bella ciao, bella ciao …»? Oppure chissà, dopo il dottrinalmente confuso ed eterodosso Vescovo Tonino Bello, farà proclamare anche le eroiche virtù super vitavirtutibus et fama sanctitatis di Ernesto Guevara detto el Che? Perché da Jorge Mario Bergoglio, qualora non lo aveste capito, o miei Eccellenti Vescovi ed Eminenti Signori Cardinali, al presente c’è da aspettarsi di tutto, specie a 85 anni d’età. Forse per la prima volta, nella storia della Chiesa, abbiamo un Sommo Pontefice equiparabile in tutto e per tutto a una mina vagante imprevedibile e incontrollabile.

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In questo mio articolo ho fatto quel doloroso lavoro sporco che non hanno il coraggio di fare certi membri della Curia Romana e dell’episcopato italiano, data la drammatica e serpeggiante carenza di virili attributi. Certo, lo sappiamo perfettamente che nel corso della storia abbiamo avuto Sommi Pontefici martiri, Sommi Pontefici santi, Sommi Pontefici politicanti, Sommi Pontefici simoniaci, Sommi Pontefici libertini, Sommi Pontefici teologi, Sommi Pontefici che conoscevano poco e male la dottrina cattolica … ne abbiamo avuti di ogni genere e di ogni sorta, ma tutti quanti legittimi successori del Beato Apostolo Pietro, sino a Francesco I incluso. Nella bimillenaria raccolta mancava solo il Sommo Pontefice giullare alla corte della sinistra politicamente corretta di Fabio Fazio e Luciana Littizzetto. Adesso avremo anche quello, mentre ci sono di amara consolazione le parole del Venerabile Vescovo Fulton Sheen:

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«Quando Dio vuole castigare l’umanità non dona il Papa di cui ha bisogno, ma lascia alla Chiesa il Papa che si merita» (cf. The priest is not his own, 1963).

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Concludo chiarendo che San Bernardo di Chiaravalle e Santa Caterina da Siena avrebbero usato toni molto più severi dei miei. Certo, qualche clericale velenoso potrebbe replicare che loro erano dei Santi dottori della Chiesa, mentre io no. È vero, ma in tal caso sarebbe bene ricordare che quando San Bernardo scriveva a Eugenio III queste parole:

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«Puoi mostrarmene uno soltanto che abbia salutato la tua elezione senza aver ricevuto denaro o senza la speranza di riceverne? E quanto più si sono professati tuoi servitori, tanto più vogliono spadroneggiare all’interno della Chiesa» (Trattato buono per ogni Papa, redatto per Eugenio III, al secolo Bernardo de’ Paganelli)

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o quando Santa Caterina da Siena, al Sommo Pontefice Gregorio XI che la invitò a visitarlo in Francia rispose scrivendo di non avere bisogno di visitare la Corte Papale di Avignone, perché la sua puzza aveva ormai raggiunto anche la sua città, ebbene: né l’uno né l’altra erano stati ancora proclamati Santi, meno che mai dottori della Chiesa. E con questo ho detto tutto, a certi velenosi clericali suscettibili pronti a cercare la pagliuzza nell’occhio mio pur di non vedere la trave che Jorge Mario Bergoglio porta conficcata nell’occhio proprio (cf. Lc 6, 41), a rischio, temo sempre più serio, della salute eterna della sua anima:

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«A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più» (Lc 12, 48).

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dall’Isola di Patmos, 4 febbraio 2022

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La delicatezza dell’antico scorpione: un lodevole commento ironico de L’Osservatore Romano sul Festival di Sanremo

— Attualità —

LA DELICATEZZA DELL’ANTICO SCORPIONE: UN LODEVOLE COMMENTO IRONICO DE L’OSSERVATORE ROMANO SUL FESTIVAL DI SANREMO

Un ironico insegnamento sulla trasgressione offerto dall’organo ufficiale della Santa Sede a dei piccoli principianti che tentano senza esito di trasgredire …

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Autore
Redazione de L’Isola di Patmos

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Fonte: L’Osservatore Romano

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I Padri dell’Isola di Patmos

 

Una nota precisa e decisa del Vescovo di San Remo-Ventimiglia sul Festival della Canzone ridotto ormai a una manifestazione porcina

— Attualità —

UNA NOTA PRECISA E DECISA DEL VESCOVO DI VENTIMIGLIA-SAN REMO SUL FESTIVAL DELLA CANZONE RIDOTTO ORMAI A UN EVENTO PORCINO

«La penosa esibizione del primo cantante ancora una volta ha deriso e profanato i segni sacri della fede cattolica evocando il gesto del Battesimo in un contesto insulso e dissacrante».

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Autore
Redazione de
L’Isola di Patmos

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S.E. Mons. Antonio Suetta, Vescovo di Ventimiglia-San Remo

S.E. Mons. Antonio Suetta interviene oggi sul Festival della Canzone ridotto ormai a un evento porcino. Ci limitiamo a introdurre il testo del Vescovo di Ventimiglia – San Remo con un quesito: se un comico avesse fatto una satira sul mondo LGBT, cosa sarebbe accaduto dal giorno successivo a seguire? Perché questi pseudo-artisti non fanno delle provocazioni, per esempio sul fondatore dell’Islam Maometto rappresentato in pose ambigue con un cammello? Sarebbe esilarante, come esilaranti sarebbero i colpi di Kalashnikov che la sera dopo colpirebbero con una mira perfetta il Teatro Ariston …        .

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Una triste apertura del Festival della Canzone Italiana 2022 ha purtroppo confermato la brutta piega, che, ormai da tempo, ha preso questo evento canoro e, in generale, il mondo dello spettacolo, servizio pubblico compreso.

La penosa esibizione del primo cantante ancora una volta ha deriso e profanato i segni sacri della fede cattolica evocando il gesto del Battesimo in un contesto insulso e dissacrante.

Il brano presentato, già nel titolo – Domenica – e nel contesto di un coro gospel, alludeva al giorno del Signore, celebrato dai cristiani come giorno della fede e della risurrezione, collocandolo in un ambiente di parole, di atteggiamento e di gesti, non soltanto offensivi per la religione, ma prima ancora per la dignità dell’uomo.

Non stupisce peraltro che la drammatica povertà artistica ricorra costantemente a mezzi di fortuna per far parlare del personaggio e della manifestazione nel suo complesso.

Indeciso se intervenire o meno, dapprima ho pensato che fosse conveniente non dare ulteriore evidenza a tanto indecoroso scempio, ma poi ho ritenuto che sia più necessario dare voce a tante persone credenti, umili e buone, offese nei valori più cari per protestare contro attacchi continui e ignobili alla fede; ho ritenuto doveroso denunciare ancora una volta come il servizio pubblico non possa e non debba permettere situazioni del genere, sperando ancora che, a livello istituzionale, qualcuno intervenga; ho ritenuto affermare con chiarezza che non ci si può dichiarare cattolici credenti e poi avallare ed organizzare simili esibizioni; ho ritenuto infine che sia importante e urgente arginare la grave deriva educativa che minaccia soprattutto i più giovani con l’ostentazione di modelli inadeguati.

Sono consapevole che la mia contestazione troverà scarsa eco nel mondo mediatico dominato dal pensiero unico, ma sono ancora più certo che raggiungerà cuori puliti e coraggiosi, capaci di reagire nella quotidianità della vita ad aggressioni così dilaganti e velenose. Soprattutto sono convinto di dover compiere il mio dovere di pastore affinché il popolo cristiano, affidato anche alla mia cura, non patisca scandalo da un silenzio interpretato come indifferenza o, peggio ancora, acquiescenza.

Vero è, come dice il proverbio, che raglio d’asino non sale al cielo, ma stimo opportuno sollecitare le coscienze ad una seria riflessione e i credenti al dovere della riparazione nella preghiera, nella buona testimonianza della vita e nella coraggiosa denuncia.

Sanremo, 2 febbraio 2022

    Antonio Suetta

Vescovo di Ventimiglia – San Remo

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Riflessioni sulla elezione del Presidente della Repubblica Italiana: dopo alcuni giorni di penoso teatro, alla fine hanno prevalso il rispetto e la responsabilità

Scuola, società, politica

RIFLESSIONI SULLA ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA: DOPO ALCUNI GIORNI DI PENOSO TEATRO, ALLA FINE HANNO PREVALSO IL RISPETTO E LA RESPONSABILITÀ

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So che saprete fare un’attenta analisi dell’accaduto e da essa ripartirete per cercare di ricucire quel rapporto con gli italiani che, dopo il teatrino di questi giorni, fanno fatica a riconoscersi in voi. Sappiate ripartire da qui e sappiate ritrovare in voi le ragioni del vostro impegno. Se non sarete in grado di ritrovarle, tornate a casa, perché gli italiani meritano il meglio. Meritano l’onestà.

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Autore
Anna Monia Alfieri, I.M.

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PDF  articolo formato stampa

 

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Il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella

Al termine di una settimana davvero impressionante per ciascuno di noi, durante la quale anche chi ha “la testa sulle spalle” si è sentito smarrito, penso a voi giovani in modo particolare. Forse anche voi siete disorientati, dispiaciuti, e pensate che, in fondo, serve a ben poco impegnarsi per la cosa pubblica. Io stessa ho vissuto un senso di profondo disorientamento, ma le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di ieri sera, così essenziali, lineari, senza alcuna rivendicazione, hanno comunicato una sensazione di armonia e di pace e forse ci hanno aiutati a recuperare certi elementi fondamentali.

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La reazione collettiva è stata positiva, cosi quella dell’Europa; non sono mancate le esultanze da cartellino giallo di alcuni politici che hanno cercato di ascriversi il successo e la salvezza del Paese, come non sono mancati i costituzionalisti improvvisati, ahimè! La non-conoscenza issata a sistema è intollerabile e nessuno pensi che i cittadini sono distratti, o che sono spettatori da prendere in giro, tanto dimenticano.

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Per riannodare i fili di una settimana delirante partiamo dalle parole del Presidente della Repubblica: «Rispetto» per le Istituzioni, «Responsabilità» per il Paese e i cittadini che avrà certamente percepito sconcertati e forse anche impressionati. Queste erano già state parole chiave nel modo di procedere del Presidente. Andiamo allora per ordine:

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  1. nel 2018 la difficoltà di comporre un Governo, non avendo vinto nessun partito in modo significativo le elezioni, gli era costata l’accusa di impeachment. Anche allora “rispetto” per le Istituzioni e senso di “responsabilità” verso i cittadini salvarono la situazione dal disastro. Viene varato prima il governo giallo verde poi giallo rosso;
  2. nel 2020 il covid come un cigno nero, mentre trascina il Paese in un baratro, rende evidente che occorre una Guida competente, credibile e coraggiosa. Sono ancora il «rispetto» e le «responsabilità» per le Istituzioni a tenere salda la democrazia e la credibilità all’esterno. Si arriva cosi ad un Governo di Unità Nazionale alla guida del Premier Draghi;
  3. nel 2021 si ha la riprova, con la bocciatura del Disegno di legge Zan in Parlamento, di quanto mancassero le due parole chiave, avendo lo stesso autore dichiarato nei giorni a seguire che quegli articoli così controversi potevano anche essere stralciati. Tempo perso e dichiarazione di incompetenza.

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In questi tre avvenimenti-simbolo si intravede quanto il rispetto e la responsabilità verso i cittadini siano fondamentali. Diversamente, ognuno di loro dovrebbe dire: «Io non ci sto», alla Scalfaro-maniera.

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una prima lezione ai sensi del diritto Italiano: il Presidente della Repubblica e le più alte cariche dello Stato nel diritto italiano sono figure che, nel momento in cui si instaurano, per il loro alto incarico, sono in una posizione al di sopra delle parti politiche. Invece, cosa è successo? Ecco, in sintesi l’accaduto:

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  1. Una parte, giovedì 27, accusa l’altra di comportarsi come bambini, ricorrendo all’astensione, tranne poi, per senso di rispetto verso le Istituzioni, fare altrettanto venerdì 28. Ma in che senso astensione per senso delle Istituzioni?
  2. E poi il circo del tocca a me e del tocca a te proporre i nomi. Ma scherziamo?

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Davanti a tutto questo è lecito pensare che non c’è nessuna frattura all’interno delle coalizioni, o presunte tali, nemmeno fra le parti avverse: c’era semplicemente il bisogno di conservare lo stipendio per altri sette mesi. Così, per dare una parvenza di credibilità, era necessario dimostrare che ci si stava provando, naturalmente a favor di telecamera, per parlare ai propri elettori. Pertanto, arrivando sino all’ottava seduta ― rigorosamente divenuta doppia il venerdì ― di modo che la domenica liberi tutti, l’allarme fosse chiaro: il Paese non tiene, siamo in tempi di crisi, il Presidente Mattarella non potrà sottrarsi, perché lui sì che ha rispetto e senso di responsabilità istituzionale. Infatti ecco che, con un enorme sacrificio, anche sotto il profilo umano e personale, il Presidente non si è tirato indietro e, ancora una volta, antepone il dovere a tutto.

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Nel discorso queste due parole sono davvero la chiave di lettura di questa farsa messa in piedi. E ora che si fa? Si va avanti, non potendo non ringraziare il Presidente Sergio Mattarella per aver nuovamente salvato il Paese dall’irresponsabilità, il Premier Draghi che ha dimostrato di essere un nonno al servizio del Paese. Due figure di alto calibro che però impongono alla classe politica una inversione a “U”.

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Detto questo vorrei congedarmi con una nota positiva e un insegnamento che mi dà tanto conforto. Nei momenti più drammatici della vita, occorre guardare al positivo che sempre si trova in ogni situazione: se non altro, sicuramente la consapevolezza della difficoltà è cosa sana. Il 28 gennaio 2022, per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana e democratica è stata proposta la candidatura di una donna alla presidenza della Repubblica e votata da oltre 380 Grandi Elettori (più di 400 astenuti).  Evidentemente il Paese ha espresso una sana maturità, nella linea della elezione della Onorevole Maria Elisabetta Alberti Casellati, quattro anni fa, alla Presidenza del Senato. Sicuramente questa candidatura è un buon messaggio per le giovani generazioni.

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Al di là di ogni considerazione partitica ― il ruolo di Alberti Casellati è super partes e tale resterà in ogni caso ― come si rileva l’apertura intelligente, così sono evidenti le gelosie e le ripicche interne che hanno miseramente prevalso, impedendo chiaramente la valorizzazione di una collega … Parafrasando: «Mulier mulieri lupa». Nonostante tutto, occorre andare avanti con coraggio. Nulla è perso di quanto avviene per un bene che ci supera.

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Un sincero ringraziamento, allora, va alla Presidente Alberti Casellati che ha accettato di prestare la propria figura super partes per offrirci la speranza che non è una questione di categorie ma di contenuti. Certamente tutta la vicenda ci ha permesso di misurarci con la fatica di molti uomini ad accogliere una donna leader, la reale difficoltà di molte donne a valorizzare le proprie colleghe. Battaglie di parità di genere in fondo nascondono una verità dolorosa che dobbiamo chiamare per nome: gli uomini e le donne sono più inclini a dare solidarietà e sostegno all’altro che si trova in una posizione di inferiorità ma sono ancora incapaci di valorizzarlo. Questo vale in politica come in tante realtà laiche ed ecclesiali, nemo profeta in patria, perché l’invidia uccide le risorse. Pertanto, dopo un primo momento di scoraggiamento, si guarda al positivo e si ringraziano queste tre persone che hanno ancora una volta salvato il Paese, dato a ciascuno di noi elementi per sperare che il bene vince. Io stessa, tutte le volte che nel fare il bene mi sentirò scoraggiata, delegittimata, attaccata e vorrei dire: “Arrangiatevi”, penserò a queste persone che hanno davvero restituito dignità a due parole importanti «rispetto» e «responsabilità». Chi vive mosso da questi valori non potrà mai tradirli anche se l’altro non lo merita perché il bene non è mai una reazione ma una azione, una scelta consapevole. Forse questo consente ai più di vivere da irresponsabili.

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Con Sergio Mattarella la storia del Quirinale prosegue il suo cammino glorioso, sulla scia del passato: il senso delle Istituzioni, la preparazione del Presidente hanno scongiurato il collasso nel nostro recente passato. In tutto questo vedo, con Padre Cristoforo, un «filo della Provvidenza» (I promessi sposi, cap. IV). Ma la Provvidenza non basta, o meglio, la Provvidenza ha bisogno di noi, degli uomini e delle donne che liberamente scelgono di compiere il loro dovere: «Siamo servi inutili, abbiamo fatto quello che dovevamo fare» (Lc 17, 10). Molto di più questa frase ha valore per coloro che dicono di porsi al servizio dei cittadini tramite la cosa pubblica. Uomini e donne della politica: lo sapete, ho grande fiducia in voi. Ma, ammetto, che oggi questa mia fiducia è messa a dura prova. So, d’altra parte, che saprete fare un’attenta analisi dell’accaduto e da essa ripartirete per cercare di ricucire quel rapporto con gli italiani che, dopo il teatrino di questi giorni, fanno fatica a riconoscersi in voi. Sappiate ripartire da qui e sappiate ritrovare in voi le ragioni del vostro impegno. Se non sarete in grado di ritrovarle, tornate a casa, perché gli italiani meritano il meglio. Meritano l’onestà. Oggi meritano Sergio Mattarella e Mario Draghi, come in passato hanno meritato Aldo Moro, Amintore Fanfani ed Enrico Berlinguer. Questi nomi sono scritti nel loro cuore, gli altri sono stati cancellati.

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Milano, 31 gennaio 2022

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