Dal diritto di critica all’umiltà di Francesco d’Assisi: forse non ci verrà chiesto di piantare i cavoli al contrario ma almeno lasciate liberi di dire quello che pensiamo, non tanto per noi ma per chi vorrebbe farlo e non lo può fare

DAL DIRITTO DI CRITICA ALL’UMILTÀ DI FRANCESCO D’ASSISI: FORSE NON CI VERRA’ CHIESTO DI PIANTARE I CAVOLI AL CONTRARIO MA ALMENO LASCIATECI LIBERI DI DIRE QUELLO CHE PENSIAMO, NON TANTO PER NOI MA PER CHI VORREBBE FARLO E NON LO PUÒ FARE

— Attualità ecclesiale — Il mio precedente articolo sui pretini trendy nel quale ho citato una poesiola del presbitero Luigi Maria Epicoco, può essere criticato o irriso con tutta libertà. Ma è fuori da qualunque ragionevole dubbio che in esso si possa trovare solo e soltanto una chiara critica a un ben determinato stile sacerdotale che oggi sta prendendo piede nella Chiesa, un modo di essere prete che gareggia con il mondo e non contrapposto ad esso, non certo un attacco alle singole persone di certi “preti immagine”.

.

Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

.

PDF  articolo formato stampa

 

.

.

San Giovanni Maria Vianney, patrono dei presbíteri e parroci

Normalmente non uso fare appendici di chiarimento in merito agli articoli che scrivo. E questo per un motivo molto semplice, tengo molto alla precisione espositiva e cerco di usare le parole nel giusto contesto e con il giusto senso, evitando di lasciare al fraintendimento selvaggio e all’interpretazione personale conclusioni che non mi rappresentano e che mai ho anche minimamente pensato. Del resto, come ogni redattore sa perfettamente, si è responsabili solo per quello che si scrive, non per quello che gli altri vogliono capire o equivocare.

.

Chiarito questo, sebbene non reputi necessario aggiungere chiarimenti superflui a quanto scritto e firmato da me sulle colonne de L’Isola di Patmos sia nell’oggi così come nel passato, desidero prendere spunto dal mio ultimo articolo sui pretini trendy per sottolineare e approfondire certe tematiche che sembrano turbare alcuni nostri amici lettori che si sentono feriti, o addirittura offesi da una sana critica che è giusto e doveroso introdurre anche e soprattutto all’interno degli ambienti ecclesiastici in cui spesso vige la strana convinzione che lo Spirito Santo sia presente come magico agente attraverso il quale è possibile aggiustare tutto e salvare tutto.

.

Che sia giusto e doveroso operare una sana critica ce lo dice anzitutto la libertà che abbiamo ricevuto in dono da Dio insieme a quella capacità di esseri senzienti a cui è stata data una testa non solo per spartire le orecchie o appoggiarci il cappello ma anche per esercitare il ragionamento critico attraverso il quale si arriva alla conoscenza delle cose, quindi per ultimo alla verità incorrendo anche in fisiologici errori. Quello alla critica è quindi un diritto sacrosanto, anche quando viene esercitato da un cristiano battezzato, ed è giusto esercitarlo proprio per ridimensionare, contestualizzare o de-mitizzare certe situazioni o persone che rischierebbero altrimenti di procedere a briglia sciolta. Tutto questo, nella traditio catholica e nella ecclesiologia ha un nome ben preciso, si chiama: libertà dei figli di Dio.

.

Anzitutto una domanda: esercitare la libertà dei figli di Dio e con essa il diritto alla critica significa fare del male al prossimo? Assolutamente no. Nel diritto alla critica si pone quell’attenzione che si astiene dal giudizio personale attenendosi ai soli fatti. Infatti, le tante anime belle che oggi leggono i nostri articoli de L’Isola di Patmos, confondono ancora il diritto di critica che tocca le idee, le scelte, gli scritti, le posizioni pubbliche di individui pubblici con il giudizio sprezzante sulla persona. E questo è pericoloso quanto sbagliato, perché così facendo si impedisce alla critica di generare quel tocco gentile ― a volte pungente ― che è indispensabile al miglioramento personale dell’individuo. La critica è un fattore indispensabile alla crescita umana ― la Sacra Scrittura stessa opera una critica nei riguardi dell’uomo ― essa conduce a una salutare umiltà così da preservare l’individuo da insidiose derive e trasformare le difficoltà in opportunità di crescita.  

.

Ai nostri Lettori desidero ricordare che non c’è nulla di male nell’esprimere la propria opinione di critica verso una qualunque persona e che tutti siamo passibili di critica, ivi compreso lo scrivente. Al contrario, il giudicare qualcuno è sempre e solo male perché vi si esprime una posizione che non è critica ma che è lesiva sulla vita dell’altro, cosa che Cristo ha espressamente vietato nel Vangelo [cfr. Mt 7,1; Lc 6,37] e che è stata riservata al Padre, che è il solo ad avere una conoscenza piena e intima del cuore di ognuno.

.

Se qualcuno afferma: «gli articoli di padre Ivano non mi piacciono perché sono banali e per nulla in linea con la teologia della Chiesa in uscita voluta da Papa Francesco», come Autore non posso e non devo sentirmi offeso, perché so che è nel pieno diritto del lettore criticare quanto ho scritto e non essere d’accordo con quanto ho espresso. La cosa più opportuna sarebbe portare le evidenze delle critiche che sono state fatte affinché l’Autore si possa confrontare con esse e decidere se questi rilievi critici sono fondati e possono aiutarlo a fare meglio.

.

Se invece uno afferma: «Gli articoli di Padre Ivano non mi piacciono perché esprimono la cattiveria d’animo propria di un represso che si è fatto frate per sfuggire alla fatica del mondo e vivere alle spalle della società», questo è un giudizio malizioso e malevolo sulla mia persona che pretende di avere una conoscenza intima del cuore e delle sue intenzionalità.  

.

In più di vent’anni di convento ho conosciuto personalmente religiosi che non brillavano certo per l’igiene personale, convinti che anche la poca cura della propria persona fosse indice di povertà e di aderenza alla semplicità evangelica. Muovere a quei frati una critica del tipo: «tu trascuri la tua igiene personale tanto da arrivare a far puzzare il tuo abito» non è l’equivalente di dirgli «sei uno sporco e lurido barbone».

.

Ugualmente ho conosciuto pretini che si profumavano esageratamente tanto da impregnare le particole consacrate di Hugo Boss e di Acqua di Giò mentre distribuivano la Comunione ai fedeli che neanche una prostituta portoricana di fine Ottocento sarebbe riuscita a fare di meglio. Ebbene, un conto è dirgli «amico fai schifo come una prostituta» equiparandolo a una donna di facili costumi, altro è dire «cerca di non esagerare con la cura di te stesso perché risulti esageratamente vanesio». Insomma, gli esempi sono ben chiari e non c’è nulla da aggiungere.

.

Nel mio precedente articolo di qualche giorno fa [vedere QUI], ho preso spunto da una riflessione fatta del presbitero Luigi Maria Epicoco sulla figura del prete. Tale mio scritto non è nato principalmente come articolo ma come parere di critica personale dato a un caro Lettore de L’Isola di Patmos che mi ha chiesto lumi su questa riflessione sul sacerdozio che, a dire di questo stesso Lettore, veniva considerata valida anche se con troppe ridondanti frasi retoriche di circostanza. Per questo motivo mi sono sentito in dovere di esercitare il mio diritto di critica e rispondere in merito al quesito, andandomi a leggere il testo di Luigi Maria Epicoco e quindi trarne delle conclusioni in merito.  

.

Dopo neanche due ore dalla pubblicazione del mio articolo sono fioccati i commenti risentiti e dispiaciuti sulla pagina Facebook del Padre Ariel in cui si esprimevano le rimostranze per il mio articolo che, a detta di alcuni, prendeva gratuitamente di mira il confratello esponendolo alla pubblica berlina in modo impietoso. Questo mi ha ricordato gli anni del liceo classico, quando da ragazzo vedevo i miei compagni lamentarsi perché avevano ricevuto un’insufficienza dall’insegnante di lettere al tema di italiano giustificandosi col dire: «lo ha fatto perché non approva la mia persona, ce l’ha con me».

.

Badate bene, nel mio articolo ho risposto nel merito di quel testo sul sacerdozio di Luigi Maria Epicoco, per il suo contenuto, per la sua valenza ecclesiologica e sociale e per quello che un testo come quello oggi può significare, in un contesto di Chiesa e di laicato gravato molto spesso dal conformismo e da quella onnipresente patina di clericalmente corretto che altro non è se non quell’atteggiamento che, in salsa laica, viene ripresentato dentro la vita politica del Paese, nelle realtà sociali che stiamo vivendo e dentro le relazioni interpersonali post pandemia. Nessun accenno, dunque, di attacco personale verso la persona del confratello o iniziativa volta a screditare la sua buona fama.

.

Dopo aver avuto modo di rispondere al nostro Lettore che mi aveva chiesto lumi riguardo a quei pensieri sparsi sul sacerdozio ho anche avuto l’occasione di ragionare su una nuova categoria ecclesiale che è quella del pretino trendy ― aggettivo che non costituisce materia di offesa penale o canonica e che quindi è esente da qualunque sanzione ― dentro la quale oggi molti confratelli sacerdoti, a torto o ragione, hanno incentrato il loro stile ministeriale per rilanciare con un certo successo il messaggio evangelico.

.

A tutt’oggi, nell’era massmediatica del Grande Fratello, tutto può essere ricondotto al trendy, al sentire modaiolo: qualunque pretino immagine con la faccia pulita che indossa impeccabilmente il suo bel clergyman sartoriale così come l’ex tronista discotecaro che dal cubo e dalla palla glitter passa alla canonica. Spesso veniamo solleticati da storie ammalianti in cui un ex conduttore televisivo entra in seminario, oppure affascinati dalle vicende di un ex tossicodipendente convertito al monachesimo che, dalla pace del chiostro, diventa un virale evangelizzatore di grido attraverso YouTube o TikTok. Insomma, personaggi ricercati, alla moda, in una parola trendy.

.

Mi si dirà, meno male che c’è qualcuno così, abbiamo bisogno di questi esempi di speranza. Sì e no. Non sarei così entusiasmato, in realtà si è visto che nel tempo molti di questi soggetti restano intrappolati all’interno delle loro vite precedenti, in quello che è stato il loro passato e che diventa il contapassi per segnare e valutare la condizione presente anche quando questa coincide con la scelta sacerdote o consacrata.

.

Ma non è tutto, si può essere trendy anche all’interno della Chiesa Cattolica. È ad esempio il caso di quei sacerdoti che subito dopo la sacra ordinazione iniziano la scalata che li porterà verso un dottorato dentro una prestigiosa accademia pontificia, quindi verso una carriera folgorante che potrebbe iniziare come rettore nei seminari o negli istituti di scienze religiose, come animatore di cappellanie universitarie importanti tipo il Gemelli di Roma o la Cattolica di Milano per poi proseguire come scrittore, conferenziere e infine relatore di esercizi spirituali con qualche ospitata in trasmissioni cult ― l’episcopale TV2000 ― e tutto questo appena varcata la soglia canonica dei quarant’anni. Non so voi, ma per me tutto questo rasenta l’esagerazione.

.

Questo stile sacerdotale è oggi più che mai presente in molte diocesi dove vediamo il vescovo chiedere di tutto e di più a questi presbiteri enfant prodige ritenuti il non plus ultra del presbiterale ordine. E proprio in nome di questa valitudine intellettuale, il povero sacerdote si vede gravato da incarichi diocesani sempre più fitti, dalla formazione dei diaconi permanenti fino alle conferenze al ritiro mensile del clero. Ovviamente, anche il pretino trendy enfant prodige, che resta come tutti gravato dalla ferita del peccato originale e dalla concupiscenza, si sentirà ben presto come Romeo er mejo gatto der Colosseo. Arriverà a giustificarsi in coscienza per quello che è diventato, fatto e ottenuto, riconoscendo il proprio merito personale e la propria abnegazione agli studi. La stima che avrà di sé stesso sarà da ascriversi soprattutto al suo mentore, a quel buon diavolo che lo ha saputo portare a certi traguardi instillando in lui la velata illusione che dentro a tutto questo ci sia la permissione di Dio che ha posto attorno al pretino trendy una siepe di protezione così come vediamo accadere nella vita del buon vecchio Giobbe prima delle sue sciagure [cfr. Gb 1,10].

.

Recuperiamo a questo punto il discorso sul diritto di critica e associamolo all’immagine del pretino trendy che ho appena descritto. Se io dico che forse questo confratello sta bruciando un po’ troppo in fretta le sue tappe e che forse necessita di una ridimensionata, anche attraverso serene critiche su come si presenta, sull’immagine che trasmette di sé agli altri e sulle cose che egli dice e pensa, questo ― a mio modo di vedere ― non può che giovare al pretino trendy perché lo costringerà a buttare un occhio sullo stile della sua vita sacerdotale e a prendere in giusta considerazione le critiche che gli sono state mosse. In altre parole, è questo lo stile dell’umiltà dei santi che siamo soliti magnificare, salvo poi imitare e comprendere perché un tale esempio di umiltà si raggiunge anche attraverso le critiche, cosa che noi poveri peccatori quasi sempre fatichiamo ad accettare, scambiando la critica con il giudizio.

.

Nei Fioretti viene narrato l’episodio in cui San Francesco d’Assisi chiede a frate Leone di dire l’ufficio divino in una maniera singolare. Poiché si trovavano sprovvisti del breviario, Francesco ordina a frate Leone di ripetere delle preghiere che altro non sono che il riconoscimento della propria povertà e miseria presentate a Dio come inni di umiltà e richiesta di soccorso:

.

«O frate Francesco, tu facesti tanti mali e tanti peccati nel secolo, che tu se’ degno dello ’nferno; e tu, frate Lione, risponderai: Vera cosa è che tu meriti lo ’nferno profondissimo» [cfr. FF 1837].

.

Questo episodio precede la domanda di frate Masseo che chiede al Serafico Padre il segreto del suo successo:

.

«[…] perché a te tutto il mondo viene dirieto, e ogni persona pare che desideri di vederti e d’udirti e d’ubbidirti? Tu non se ’bello uomo del corpo tu non se’ di grande scienza, tu non se’ nobile; onde, dunque, a te che tutto il mondo ti venga dietro?» [cfr. FF 1838].

.

Francesco non disdegna di rispondere a frate Masseo che Dio non ha veduto fra i peccatori nessuno più vile, più insufficiente e più grande peccatore di lui.  Non ha problemi a confessare la sua inadeguatezza umana, né ad affermare la propria povertà intellettuale né a fuggire al contempo quello che per lui potrebbe costituire un motivo di vanto, perché ha vissuto l’esperienza pasquale del Cristo risorto che lo ha trasformato togliendolo dalla condizione di figlio trendy di Pietro di Bernardone e rendendolo un piccolo e umile discepolo del Crocifisso.

.

Io che non sono San Francesco posso essere toccato nell’orgoglio da una critica, anche offeso da un giudizio ma questo avrà in me il solo buon merito di farmi avere la consapevolezza che sono ancora lontano dall’essere umile come Cristo mi comanda.  

.

Nella storia dell’Ordine Cappuccino ho sentito raccontare dai frati anziani della prova del cavolo. Alcuni novizi venivano sottoposti dal maestro di noviziato alla prova dei cavoli piantati a testa in giù per saggiarne l’umiltà e l’obbedienza. Questa prova richiama quanto fatto da San Francesco all’eremo di Montecasale che si trova in quel di Sansepolcro nella provincia di Arezzo. Narra frate Bartolomeo da Pisa:

.

«Una volta, due giovani vennero al beato Francesco, pregandolo d’essere ricevuti all’Ordine. Il beato Francesco, volendo provare se fossero veramente ubbidienti e preparati a rinnegare la propria volontà, li condusse nell’orto dicendo: “Venite, piantiamo dei cavoli e come vedete fare a me, così a quel modo piantate anche voi”. Mentre il beato Francesco, piantando, poneva le radici all’insù verso il cielo, e le foglie sotto terra, uno di loro fece tutto come il beato Francesco, l’altro non lo imitò, ma disse: “Non così, Padre, si piantano i cavoli, ma all’incontrario”. E il beato Francesco gli rispose: “Figliolo, voglio che tu faccia come me”. Ma non volendolo egli fare, perché gli sembrava sbagliato, a lui disse il beato Francesco: “Fratello, vedo che sei un gran maestro, vai per la tua via, perché non sei adatto per il mio Ordine”».

.

La prova è sicuramente singolare ma ha un suo significato profondo e meritorio. S. Francesco non ha intenzione di irridere l’intelligenza del giovane comandandogli una cosa senza senso, ne vuole contraddire la ragionevolezza della realtà agricola che prevede di piantare un ortaggio secondo il giusto verso. Il Serafico Padre vuole solo abituare quel giovane a rinnegare la sua mentalità modaiola ― trendy ―, che è retaggio di quel modo di agire mondano che necessariamente bisogna lasciarsi alle spalle per seguire da sacerdoti o da consacrati il Cristo crocifisso.

.

Concludo dicendo che il mio articolo sui pretini trendy può essere criticato o irriso con tutta libertà. Ma è fuori da qualunque ragionevole dubbio che in esso si possa trovare solo e soltanto una chiara critica a un ben determinato stile sacerdotale che oggi sta prendendo piede nella Chiesa, un modo di essere prete che gareggia con il mondo e non contrapposto ad esso.

.

Nessun attacco personale quindi verso il confratello Luigi Maria Epicoco che resta amabile come un cantante nazional popolare a cui tutti vogliono bene, una sorta di Gianni Morandi insomma. Ma se per qualcuno il riferimento ai sacerdoti con la faccia pulita e instagrammabili o alle poesiole da Baci Perugina potrebbe costituire offesa infamante da perseguire, ebbene costoro non potranno che restare delusi perché tutto ciò è solo un modo per veicolare un messaggio, uno stile, che mi auguro produrrà nel futuro qualche bene. Perché vedete, forse a noi Padri de L’Isola di Patmos non ci sarà chiesto di piantare i cavoli con le radici in aria e le foglie interrate ma sicuramento ci sarà richiesto di continuare a fare critica, ad usare il ragionamento e di inseguire la verità per dare voce a coloro che pensano le stesse cose che pensiamo noi e che per mille motivi o per ragioni di alto ufficio ecclesiale ed ecclesiastico, purtroppo non possono dirle.

 

dall’Isola di Patmos, 22 febbraio 2022

.

.

.

L’ultimo libro di Padre Ivano è in vendita nel negozio on-line de L’Isola di Patmos

per andare al negozio cliccare sopra l’immagine

.

.

______________________

Cari Lettori,
questa rivista richiede costi di gestione che affrontiamo da sempre unicamente con le vostre libere offerte. Chi desidera sostenere la nostra opera apostolica può farci pervenire il proprio contributo mediante il comodo e sicuro Paypal cliccando sotto:

O se preferite potete usare il nostro
Conto corrente bancario intestato a:
Edizioni L’Isola di Patmos

Agenzia n. 59 di Roma
Codice IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Per i bonifici internazionali:
Codice SWIFT:
BAPPIT21D21

Se fate un bonifico inviate una email di avviso alla redazione, la banca non fornisce la vostra email e noi non potremmo inviarvi un messaggio di ringraziamento:
isoladipatmos@gmail.com

Vi ringraziamo per il sostegno che vorrete offrire al nostro servizio apostolico.

I Padri dell’Isola di Patmos

.

.