Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

Sui “divorziati risposati”. L’Eucaristia, il peccato e la coscienza. Risposta a Padre Riccardo Barile

SUI “DIVORZIATI RISPOSATI “. L’EUCARISTIA, IL PECCATO E LA COSCIENZA. RISPOSTA A PADRE RICCARDO BARILE

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Il noto liturgista domenicano Padre Riccardo Barile ha pubblicato il 29 ottobre scorso sulla rivista telematica La Nuova Bussola Quotidiana [cf. QUI] un articolo con questo stesso titolo, nel quale mi rivolge alcune critiche, alle quali rispondo di seguito. Le sue obiezioni sono un corsivo. Le mie risposte e i miei passi che egli cita sono in tondo.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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Il noto liturgista domenicano Padre Riccardo Barile ha pubblicato il 29 ottobre scorso sulla rivista telematica La Nuova Bussola Quotidiana [cf. QUI] un articolo con questo stesso titolo, nel quale mi rivolge alcune critiche, alle quali rispondo di seguito. Le sue obiezioni sono un corsivo. Le mie risposte e i miei passi che egli cita sono in tondo.

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1. «Per un cattolico è assolutamente impensabile che un Sinodo sotto la presidenza del Papa possa compiere un attentato alla sostanza di qualunque sacramento» (nel nostro caso del Matrimonio e dell’Eucaristia concedendo la comunione ai divorziati risposati). No, è pensabile perché il Sinodo non è infallibile: deve solo dare consigli al Papa. D’altra parte ci furono oscillazioni dottrinali nei papi Liberio († 366), Onorio I († 638), Giovanni XXII († 1334), peraltro rientrate presto attraverso il successivo Magistero della Chiesa, che è la «casa di Dio, colonna e sostegno della verità» (1Tm 3,15). Certo, il presupposto è che ciò capiti rarissimamente ― di fatto con il Sinodo non è capitato! ―, ma non è “assolutamente impensabile”.

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È impensabile che un intero Sinodo mondiale dei Vescovi, sotto la presidenza del Romano Pontefice possa cadere nell’eresia. Questo potrà accadere per qualche vescovo o qualche cardinale, ma non per il Sinodo come tale, rappresentante dell’intera Chiesa, che, come tale, non può errare nella fede.

Lo sanno tutti che il Sinodo ha il compito di consigliare il Papa, ma questo non vuol dir niente. Lo consiglia non contro il dogma, ma sulla base del dogma e per applicare il dogma nella pastorale, nella formazione di nuove leggi e nell’amministrazione dei sacramenti. Potrà dare consigli sbagliati, che starà al Papa correggere. Ma non può errare nel dogma.

Quanto all’esempio dei tre Papi, in un serio trattato di apologetica si trova la soluzione di questi casi effettivamente non facili. Qui possiamo dire brevemente che questi Papi hanno effettivamente avuto qualche espressione ambigua o eterodossa. Ma risulta dalla storia che essi in quelle circostanze non esercitarono o liberamente (Liberio) o convenientemente (Onorio) o intenzionalmente (Giovanni XXII) il ministero petrino di maestri della fede. Il primo, perché abbattuto da una prostrazione morale, il secondo per trascuratezza, il terzo agì come dottore privato. I Papi posteriori chiarirono l’avvenuto e proclamarono la retta dottrina.

Ereticale può essere un conciliabolo contro il Papa e comunque un sinodo da lui non autorizzato, come fu per esempio il famoso sinodo di Pistoia del 1786, quasi a preludere la tempesta che si sarebbe scatenata contro la Chiesa e il Papa pochi anni dopo con la Rivoluzione Francese.

Di non piena ortodossia sono i sinodi delle Chiese ortodosse separate da Roma. Non danno piena garanzia di ortodossia i sinodi della Chiesa anglicana, indetti indipendentemente dal Sommo Pontefice. Possono essere ereticali le assemblee dei luterani, dei valdesi e di tutte le sette protestanti, non soggette alla guida del Successore di Pietro.

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2. «La disciplina dei sacramenti è un potere legislativo che Cristo ha affidato alla Chiesa», per cui «il concedere o non concedere la comunione entra nel potere della pastorale della Chiesa e nelle norme della liturgia». Dunque se «la Chiesa non può mutare la legge divina che istituisce e regola la sostanza dei sacramenti, può mutare le leggi da lei emanate», nel nostro caso «l’attuale regolamento sui divorziati risposati». Naturalmente bisognerà spiegare a tanti poveretti e poverette che per secoli e con sacrificio e sino a oggi hanno obbedito a queste norme, che si è trattato solo di determinazioni transitorie, le quali ora cambiano. Cioè bisognerà prenderli in giro. Ma per fortuna non è così. Infatti, se è vero che vi sono nei sacramenti determinazioni di consuetudine ecclesiastica di per sé modificabili, il Magistero soprattutto recente ha legato la norma della non comunione ai divorziati.

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Non si tratta di prendere in giro nessuno, ma di spiegare ai fedeli la differenza tra la legge divina e la legge ecclesiastica. Ripeto che non esiste nessun legame necessario o dogmatico, ma solo di convenienza, quindi solubile, tra il sacramento dell’Eucaristia e il divieto della Comunione ai divorziati risposati, benché si tratti di una tradizione millenaria. Non è Sacra Tradizione, ma è appunto soltanto una “consuetudine ecclesiastica”, come tale mutevole.

Il fatto stesso che al Sinodo sia emersa questa proposta, vuol dire che è ammissibile, altrimenti il Papa l’avrebbe esclusa. Come mai non è emersa una proposta ispirata all’Islamismo, magari in nome del dialogo interreligioso, di concedere quattro mogli?

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3. Seguendo il n. 84 della Familiaris consortio (22.11.1981) di Giovanni Paolo II, l’esortazione post sinodale Sacramentum caritatis (22.2.2007) ha confermato che la prassi di non ammettere alla comunione i conviventi e i divorziati risposati praticanti una attiva vita sessuale è «fondata sulla Sacra Scrittura (cf Mc 10,2.12)» e motivata dal fatto che «il vincolo coniugale è intrinsecamente connesso all’unità eucaristica tra Cristo sposo e la Chiesa sposa (cf Ef 5,31-32)», per cui la condizione dei divorziati risposati contraddice oggettivamente «quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell’Eucaristia» (nn. 27, 29). Dunque, dato il fondamento nella Scrittura e data la motivazione simbolica determinante, come si fa a parlare di una legge solo ecclesiastica e liturgica modificabile? E poi, se si trattasse solo di una legge ecclesiastica, perché fermarsi ai divorziati risposati? Perché non ammettere all’Eucaristia ortodossi e protestanti?

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Non c’è dubbio che la prassi attuale sia fondata sulla Scrittura, ma non come una deduzione dottrinale o dogmatica o teologica è fondata sul dato rivelato, bensì solo come lo è una prassi liturgica o sacramentale stabilita dal potere delle chiavi, ossia dal potere legislativo o giurisdizionale della Chiesa. Invece, una deduzione o esplicitazione dogmatica fatta dal Magistero della Chiesa, è fatta con procedimento logico rigoroso e necessario, e quindi con un nesso indissolubile, sulla base della Parola di Dio o partendo da premesse rivelate o da un dogma più fondamentale. Il negare questo nesso andrebbe contro il principio di non-contraddizione, cosa che non accade affatto quando la Chiesa muta una sua legge. Tutt’al più potrà essere una decisione imprudente.

Per esempio, il Concilio Lateranense del 649 deduce il dogma delle due volontà in Cristo dal dogma delle due nature di Cristo definite nel Concilio di Calcedonia del 451. Non sono possibili conclusioni diverse da quella tratta dal Concilio Lateranense. Infatti, le deduzioni dogmatiche partono bensì da premesse di fede; ma per giungere alla conclusione, seguono le regole della logica, per la quale da una sola premessa speculativa non può che seguire una sola conclusione parimenti speculativa, perché qui siamo nell’ordine delle essenze, le quali non possono essere diverse da quello che sono, ossia non possono perdere i lori caratteri essenziali, senza annullare se stesse.

Invece, quando la Chiesa entra nel campo della pastorale, abbandona la considerazione astratta, per quanto sacrosanta, delle essenze speculative dogmatiche immutabili, per entrare, sempre alla luce del dogma, nel campo complesso del concreto e del variare delle circostanze, dove non si tratta di dare delle definizioni, come avviene in campo dottrinale, ma di prendere delle decisioni pratiche.

Così, le deduzioni o applicazioni pratiche, sulla base della libera scelta, ammettono una molteplicità di conclusioni diverse, derivanti da un unico principio, che resta il medesimo. E questo perché, mentre la teoria, partendo da una premessa formale ed astratta, procede inflessibilmente per determinismo logico su di un unico binario, la prassi, scendendo da un unico principio attivo, che è la volontà, si apre a ventaglio su di una molteplicità di scelte. E mentre le conclusioni speculative e dogmatiche, una volta che sono fissate e ben fondate, come case costruite sulla roccia, non possono cambiare, quelle pratiche, invece, per il verificarsi di situazioni nuove, possono e devono mutare, sempre secondo quanto il principio dogmatico richiede.

La Chiesa non può mutare la sostanza o essenza dei sacramenti. Qui si esercita la sua funzione magisteriale infallibile. Essa però ha anche il compito di amministrare i sacramenti e di farli fruttare con saggezza, in modo tale, che essi producano il massimo di grazia possibile in ordine alla salvezza delle anime. Un conto è il sacramento come tale, istituito da Cristo: questo è legge divina e mistero di fede, immutabile e intangibile, assolutamente obbligatorio, pena la dannazione eterna. E un conto è l’uso dei sacramenti, ossia la pastorale sacramentaria, affidata da Cristo alla Chiesa. L’essenza dei sacramenti è oggetto della dogmatica e della teologia speculativa. L’uso dei sacramenti è regolato dalle leggi della Chiesa, dalla liturgia, dalla pastorale e del diritto canonico. Qui esiste il cambiamento, il miglioramento, la riforma e il rinnovamento. La Chiesa può curare la salvezza delle anime sia concedendo che negando il sacramento. Non ci si deve fissare su di una sola possibilità e vedere invece quale possibilità serve meglio, in una data situazione, alla salvezza.

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4. Se si trattasse solo di una legge ecclesiastica, perché fermarsi ai divorziati risposati? Perché non ammettere all’Eucaristia ortodossi e protestanti?

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Si suppone che i divorziati risposati siano cattolici e quindi credano nel valore sacramentale del matrimonio e dell’Eucaristia, condizione indispensabile per poterne fruire. Ora, è noto che i protestanti non credono al valore di questi due sacramenti. Per cui è incongruo paragonare la loro posizione in merito a quella dei divorziati risposati cattolici. Quanto agli ortodossi, che invece accettano i sacramenti, la Chiesa potrebbe stabilire una convenzione con loro nei matrimoni misti per risolvere la questione.

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5. «Non esistono “condizioni peccaminose”, perché il peccato è un atto, non è una condizione, né è uno stato permanente». Certo il peccato è un atto e non si prolunga indefinitamente nel tempo — per fortuna! —; esiste però un «comportamento esterno gravemente, manifestamente e “stabilmente” contrario alla norma morale», di fronte al quale la Chiesa «non può non sentirsi chiamata in causa», interdicendo la partecipazione ai sacramenti (Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia /17.4.2003/, n. 37; cf anche Can. 915). Così è per le persone delle quali si parla, ovviamente senza con ciò escluderle dalla partecipazione alla vita della Chiesa, anzi. Ma il nostro teologo sembra ignorare questa dimensione.

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È vero che il comportamento dei divorziati risposati, per quanto riguarda la loro convivenza, è un «comportamento esterno gravemente, manifestamente e “stabilmente” contrario alla norma morale». Certamente la Chiesa è fortemente preoccupata e dispiaciuta per tale comportamento, che mette in pericolo le anime dei conviventi e crea scandalo tra i fedeli. Ma essa è soprattutto preoccupata di indicar loro, se non possono interrompere la convivenza, come e con quali mezzi, umani e divini, giuridici o morali, possono mantenersi in grazia, nonostante il peccato, eventualmente o probabilmente frequente. La proposta emersa al Sinodo, presso alcuni Padri, di concedere la Comunione, va inquadrata in questo ambito di considerazioni.

Inoltre, la Chiesa è più preoccupata della situazione interiore delle anime, che del comportamento esterno, per quanto esso sia socialmente importante in foro esterno. Se non desse questo primato all’interiorità, cadrebbe nel farisaismo. È vero che la condotta esterna, in linea di massima, manifesta quella interna. Dai frutti si giudica l’albero. Ma non è sempre facile sapere se un atto oggettivamente cattivo o peccaminoso suppone la colpa nell’anima di chi lo ha commesso, o giudicare, come si dice, delle intenzioni.

È però possibile compiere un atto esterno in sè buono per il suo oggetto, ma con la malizia nel cuore o senza sincerità. Giuda ha dato un bacio a Cristo: ma con quale animo? Come pure è possibile che uno compia un atto oggettivamente cattivo, ma senza saperlo, e quindi egli resta privo di colpa davanti a Dio. Inoltre, occorre dare una valutazione complessiva della situazione della coppia, in tutti i suoi aspetti e non solo circa la sfera sessuale. Se infatti qui può esistere il peccato, in altri ambiti del loro vivere, i due possono avere buone qualità umane, civiche, educative, morali, lavorative, psicologiche, culturali, spirituali e religiose, delle quali si deve tener conto e sulle quali occorre far leva, per sopperire ai difetti morali della sfera sessuale.

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6. Un’annotazione sulla coscienza raschia però il fondo del barile: «Spesso mi vengono a trovare persone divorziate e risposate. La richiesta è sempre la stessa: perché non posso fare la comunione? Allora io invito questi fedeli a guardarsi dentro, a verificare la serenità della propria coscienza. Se in buona fede avvertono di essere in pace con se stesse, con le persone a cui vogliono bene e con Dio, dico loro di stare tranquille: hanno raggiunto, anche senza sacramenti, lo stato di grazia. Questo è un mistero bellissimo». Certo che, avendo il nostro teologo spiegato che «il problema dei divorziati risposati è che l’adulterio, con l’aggravante del concubinato, è peccato mortale», con premesse del genere non è tanto facile sentirsi la coscienza tranquilla …

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Io invito queste persone, a seconda delle loro diverse possibilità, a fare un cammino penitenziale, a chiedere perdono a Dio ogni volta che peccano, a chiedere l’aiuto divino, a rinnovare dopo ogni caduta il proposito di non più peccare, a cercare di evitare le occasioni, a lottare contro la tentazione, a non arrendersi né rassegnarsi alla sua forza, a controllare la fantasia, a custodire i sensi, ad aver chiarezza di idee sulla vera dignità del sesso e della famiglia, a esercitarsi nel dominio della passione e nella rinuncia necessaria, a tenersi in contatto con una guida spirituale, a frequentare la Chiesa e la Messa, a leggere la Scrittura e i buoni libri, a coltivare buone compagnie, a seguire gli insegnamenti della Chiesa, a darsi alle opere buone ed all’educazione dei figli, a dirottare l’attenzione e l’interesse verso obbiettivi leciti ed attraenti, a non perder la fiducia di potersi correggere e migliorare, a sopportarsi nella loro debolezza, a non perder la speranza di liberarsi dal peccato.
In sostanza, le informo che Dio può dare la grazia anche senza i sacramenti, per cui io non ho difficoltà ad applicare la normativa attuale, perchè vedo, che sapendo presentarla con carità e prudenza, queste persone si tranquillizzano, trovano pace e sono soddisfatte.

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7. Qui comunque casca l’asino, perché il Concilio di Trento, nel Decreto sulla giustificazione (13.1.1547), al capitolo IX scrive che: «Come nessun uomo religioso deve dubitare della misericordia di Dio, dei meriti di Cristo, del valore e dell’efficacia dei sacramenti, così ciascuno, riflettendo su se stesso, sulla propria debolezza e disordine, ha motivo di temere e paventare del suo stato di grazia (de sua gratia formidare et timere potest); infatti nessuno può sapere con certezza di fede, libera da ogni possibilità di errore, di avere ottenuto la grazia di Dio (cum nullus scire valeat … se gratiam Dei esse consecutum)» (D 1534).

Dunque, la valutazione di essere in grazia sarà una prudente e saggia probabilità che non può essere affidata alla sola riflessione della coscienza così come è descritto sopra. Perché se è vero che «il giudizio sullo stato di grazia … spetta soltanto all’interessato, trattandosi di una valutazione di coscienza» (Ecclesia de Eucharistia, n. 37), vige il dovere non solo di consultare la propria coscienza, ma di formarla. Giovanni Paolo II nella Veritatis splendor (6.8.1993) legge nelle parole di Gesù sull’occhio lucerna del corpo «un invito a formare la coscienza, a renderla oggetto di continua conversione alla verità e al bene … Un grande aiuto per la formazione della coscienza i cristiani l’hanno nella Chiesa e nel suo Magistero … la libertà della coscienza non è mai libertà “dalla” verità … il Magistero non porta alla coscienza cristiana verità ad essa estranee, bensì manifesta le verità che dovrebbe già possedere sviluppandole a partire dall’atto originario della fede» (n. 64).

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Non vedo perché debba cadere l’asino, dato che su tutto ciò sono d’accordo. Forse Padre Riccardo Barile mi hai frainteso.

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8. Se poi un prete incontra dei divorziati risposati che gli pongono delle domande, non può accontentarsi di rispondere: «Guardatevi dentro. La vostra coscienza è a posto? Allora siete a posto anche di fronte a Dio!». Un prete — un teologo emerito! — deve illuminare la coscienza e senza il timore di “entrare in camera da letto”. Nel Nuovo Testamento il Battista ha rimproverato Erode per ragioni matrimoniali (Mt 14,3-12; Mc 6,17-19; Lc 3,19-20); Gesù è intervenuto su matrimonio, divorzio e continenza (Mt 5,32; 19,1-12; Mc 10,1-12; Lc 16,18); gli scritti apostolici sono intervenuti su incesto (1Cor 5,1ss.), santità del matrimonio (Eb 3,4), relazioni anche intime tra i coniugi e morale domestica (1Cor 7,1-16; Ef 5,21-33; Fil 3,18-21; 1Pt 3,1-7), condizione delle vergini (1Cor 7,25ss.) e delle vedove (1Tm 5,11-14), proponendo non solo la parola autorevole del Signore, ma «un consiglio, come uno che ha ottenuto misericordia dal Signore e merita fiducia» o un «mio parere» perché «credo infatti di avere anch’io lo Spirito di Dio» (1Cor 7,25.40). Dopo aver ricevuto simili parole attualizzate all’oggi, la coscienza di conviventi “irregolari” non potrà sentirsi tranquilla e “in grazia”: piuttosto comincerà a sentirsi “nella verità”.

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Certamente si tratta di situazioni scabrose e pericolose, dove può esser facile peccare spesso e gravemente. Tuttavia, dato che Dio offre a tutti la grazia, dobbiamo pensare che anche per costoro ci sia la possibilità almeno intermittente di essere in grazia.

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9. Le proposte del teologo intervistato sembrano strade poco percorribili. Alla fine però, se possono sembrare normali evoluzioni e svolte del suo pensiero, è meno comprensibile come mai affermazioni del genere abbiano trovato ospitalità generosa e acritica su Avvenire. Non si può pensare a una distrazione, perché durante il Sinodo ciò che un giornale come Avvenire pubblica in argomento non può che essere attentamente vagliato. Bisogna dunque pensare a uno stile e a una scelta di parte abbastanza determinata, comportante disinvolte revisioni di un Magistero non solo antico, ma recente. Presupponendo poi una normale dose di prudenza (umana) per cui in genere non si rischia a vuoto, bisogna concludere che per ora chi opera tali scelte ha le spalle coperte. E a questo punto, sulle coperture e su quelli che ti aspettano per “farti fuori” quando qualcosa cambierà, viene in mente il consiglio dell’Imitazione di Cristo: «Non fare gran caso se uno è per te o contro di te, ma preoccupati piuttosto che Dio sia con te in tutto quel che fai» (II,2,1). Vero. Ma qui Dio da che parte sta?

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L’Avvenire, come è noto, è il quotidiano della CEI, supervisionato dalla Segreteria di Stato. La risposta alle perplessità di Padre Riccardo Barile è molto semplice: quanto sostengo non comporta nessuna “disinvolta revisione di un Magistero non solo antico, ma recente”, ma semplicemente presenta alcuni chiarimenti di teologia morale tradizionale, sulla quale mi sono basato per esporre alcune mie legittime opinioni, in piena sottomissione a quanto il Santo Padre deciderà per il bene della Chiesa.

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Varazze, 31 ottobre 2015

Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

Sui “divorziati risposati”: lefebvriani, modernisti e … “E le stelle stanno a guardare” …

— Lettere dei lettori dell’Isola di Patmos —

SUI “DIVOZIATI RISPOSATI: LEFEBVRIANI, MODERNISTI E … «E LE STELLE STANNO A GUARDARE» …

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Il “problema dello scisma” è duplice ed esiste da 50 anni: c’è quello dei quattro gatti lefevriani, che però graffiano parecchio, ufficialmente scismatici; e quello non ufficiale, ma ben più grave, sfrontato ed arrogante, dei modernisti e dei rahneriani, altrimenti detti “buonisti” — ma guai a toccarli! —, sfacciati adulatori del Papa, e sono legione.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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Reverendo Padre Giovanni Cavalcoli.

avevo già segnalato gli scritti sul tema di Padre Thomas Michelet, discorde nelle posizioni , ora Sandro Magister ne propone uno nuovo. «Sinodo discorde. Verso uno “scisma di fatto” nella Chiesa?» [cf. QUI]. Il teologo domenicano Thomas Michelet mette a nudo le ambiguità del testo sinodale. Che non ha fatto unità ma ha coperto le divisioni. Il conflitto tra “ermeneutica della continuità” ed “ermeneutica della rottura”. Il dilemma di Francesco …

Ettore

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Caro Lettore.

Che ci siano infiltrazioni modernistiche, filoprotestanti e rahneriane all’interno dell’episcopato e dello stesso collegio cardinalizio, sotto l’innocente e onorevole etichetta di “progressismo“, è ormai sempre più evidente, col suo irresponsabile buonismo e perdonismo, dove vien meno il senso del peccato e si cade in quella che il Concilio di Trento chiama “vana haereticorum fiducia“.

Ma, come se ciò non bastasse, quello che è circolato clandestinamente e trapelato al Sinodo, è anche un’infiltrazione lefevriana, apparsa chiara in un certo miope e duro conservatorismo, mascherato da zelo per l’ortodossia, e nella rigidezza farisaica, la quale, colpevolizzando i divorziati risposati quasi fossero anime dannate dell’inferno, si è assunta l’incarico di salvaguardare inflessiblimete la legge dell’esclusione dei divorziati risposati dai Sacramenti, quasi fosse un deposito della Sacra Tradizione, avvertendo altresì perentoriamente il Papa che, se un domani dovesse mutare questa legge, cadrebbe nell’eresia.

Queste losche idee in circolazione sotterranea o anche aperta, soprattutto fra teologi e teologastri improvvisati o prezzolati per l’occasione, naturalmente non vengono alla luce nella mozione finale del Sinodo, che non è affatto ambigua, ma è improntata a grande prudenza ed equilibrio, senza toccare esplicitamente, come era conveniente, il tema delicato, ma limitandosi saggiamenre ad offrire le basi dogmatiche, ecclesiologiche, morali e giuridiche, che serviranno al Santo Padre per entrare, se crede, nel merito e di prendere una eventuale decisione, che tutti attendiamo con fiducia, quale che essa sia. Mancando altresì la detta decisione, è chiaro che resta in vigore la legge attuale. Al riguardo, è esemplare la lettera dell’Arcivescovo di Ferrara-Comacchio Mons. Negri alla sua diocesi, che abbiamo pubblicato in questi ultimi giorni [cf. QUI, QUI].

Quanto al problema dello scisma, esso è duplice ed esiste da 50 anni: c’è quello dei quattro gatti lefevriani, che però graffiano parecchio, ufficialmente scismatici; e quello non ufficiale, ma ben più grave, sfrontato ed arrogante, dei modernisti e dei rahneriani, altrimenti detti “buonisti” — ma guai a toccarli! —, sfacciati adulatori del Papa, e sono legione.

Non pare che il Papa sia in grado di padroneggiare la stuazione caotica: bastonando duramente i lefevriani, non ha fatto che attizzare il loro orgoglio e il loro odio contro di lui, sicchè oggi il Papa è accusato apertamente di eresia, cosa che non avveniva dai tempi di Lutero.

Quanto ai modernisti, che, dopo una scalata al potere che dura da decenni, si sono ormai impossessati di una grossa fetta del potere ecclesiastico, dovrebbero essere loro stessi a riconoscersi — come minimo — scismatici e a pentirsi, dovrebbero punire i loro complici, ma, accecati dal potere conseguìto e “prendendo gloria gli uni dagli altri”, sono evidentemente lontanissmi dal farlo, considerandosi, al contrario, la punta avanzata del progresso ecclesiale, e perseguitando gli ortodossi e i fedeli al Papa e al Magistero della Chiesa.

L’atteggiamento del Papa nei loro confronti fa venire in mente il famoso romanzo di Kronin: “E le stelle stanno a guardare”.

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Asini in cattedra e accuse di eresia: uno spaccato di certi nostri censori

— Lettere dei lettori dell’Isola di Patmos

ASINI IN CATTEDRA E ACCUSE DI ERESIA: UNO SPACCATO DI CERTI NOSTRI CENSORI

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Più Vescovi di varie diocesi italiane, in camera caritatis mi hanno confidato di avere serie difficoltà a dare incarico agli insegnanti di religione, motivando le loro difficoltà con frasi di questo genere: «Abbiamo un tale campionario da non sapere dove pescare, in un mare nel quale i pesci risultano spesso uno peggio dell’altro».

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

 

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Padre Ariel.

Non entro nel merito di quanto lei e Padre Giovanni Cavalcoli avete scritto di errato in questi ultimi tempi sul matrimonio in occasione della chiusura del sinodo sulla famiglia. Prendo solo il suo ultimo articolo tra le cui righe [Ndr. QUI] lei nega che il Sacramento del Matrimonio amministrato dal sacerdote agli sposi imprime in essi (gli sposi) un nuovo carattere sacerdotale indelebile ed eterno, e per questo indissolubile, e questa, se mi consente, è eresia bella e buona. Mi stupisco di come lei venga lasciato libero di seminare simili pensieri, glielo dico con spirito di correzione fraterna, come laico e come modesto insegnante di religione nelle scuole in ruolo da 7 anni, e come catechista parrocchiale da 15 anni. Lei  è un sacerdote, e per questo può avere particolare credito, inducendo più di altri nell’errore i semplici.

Lettera Firmata

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Caro Lettore.

Da anni prego affinché lo Stato ci venga in soccorso abolendo l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole della Repubblica Italiana. Sia chiaro: non lo dico a lei in questa mia risposta e in questo particolare contesto, perché è un’idea che vado ripetendo da tempo e che ho espresso senza timore anche a più Vescovi, inclusi un paio di autorevoli membri della Conferenza Episcopale Italiana.

Non si tratta di generalizzare né di fare di tutta l’erba un fascio, perché ho toccato purtroppo con mano il livello desolante che serpeggia tra gli insegnanti di questa materia; e ciò non in particolari località o regioni del nostro Paese, ma in tutto il nostro territorio nazionale; fatti salvi docenti adeguatamente preparati che sono però pochi e purtroppo sempre di meno.

Più Vescovi di varie diocesi italiane, in camera caritatis mi hanno confidato di avere serie difficoltà a dare incarico agli insegnanti di religione, motivando le loro difficoltà con frasi di questo genere: «Abbiamo un tale campionario da non sapere dove pescare, in un mare nel quale i pesci risultano spesso uno peggio dell’altro».

Dopo questa premessa rispondo alla sua affermazione, che parte con una accusa di “eresia” e si conclude con una “correzione fraterna”.

Non so dove abbia studiato teologia e soprattutto come l’abbia studiata, perché lei dimostra di ignorare in modo drammatico i basilari fondamenti della disciplina dei Sacramenti, senza sfiorare neppure i settori complessi e articolati della dogmatica sacramentaria.

Il matrimonio dei cristiani è un’unione soprannaturale per la quale viene costituito un solo sacerdozio domestico attraverso due battezzati, un uomo e una donna, che attraverso il battesimo — il quale imprime un carattere — hanno ricevuto il sacerdozio regale di Cristo, detto anche sacerdozio comune dei battezzati.

L’unione matrimoniale non costituisce un “sacerdozio nuovo”, perché il Sacramento del matrimonio non imprime un carattere, meno che mai indelebile ed eterno, essendo l’unione di due sacerdozî in uno che dura solo quanto dura l’unione, vale a dire per quanto dura la vita dei coniugi, quindi non implica una inseparabilità perpetua.

Lei confonde la disciplina del Sacramento del matrimonio con quella del Sacro Ordine che imprime invece un carattere indelebile ed eterno, perché coloro che sono stati resi partecipi del Sacerdozio Ministeriale di Cristo, tali rimangono per sempre, avendo acquisito per mistero di grazia una dignità che rende i Sacerdoti superiori agli stessi Angeli di Dio, i quali Angeli si fanno da parte dinanzi ai Sacerdoti.

Gravissima è poi la sua affermazione riguardante il Sacramento del matrimonio amministrato dal Sacerdote agli sposi, perché questo Sacramento non è amministrato dal Sacerdote. Nella Chiesa Cattolica i ministri del Sacramento sono gli sposi, quindi sono loro che se lo amministrano. Se invece lei appartiene alla Chiesa Cristiana Ortodossa, in tal caso il ministro del matrimonio è il Vescovo, che conferisce potestà ai suoi Sacerdoti di amministrare questo Sacramento.

Che nella Chiesa Cattolica i celebranti del matrimonio siano gli sposi è considerata dalla Chiesa Cristiana Ortodossa cosa «derivante dal giuridismo teologico medioevale che giunse a considerare il matrimonio con le categorie giuridiche del contratto». Infatti, secondo i sacramentalisti ortodossi: «Da questo nacque la logica conclusione di considerare come figure centrali i “contraenti”, mentre l’Autorità che presiede — Vescovo, Presbitero o Diacono — si limita solo a ratificare la benedizione della Chiesa». Questo il motivo per il quale nella Chiesa Ortodossa, i Diaconi, non possono officiare le nozze, non avendo potestas sacerdotale. Al di là delle legittime opinioni dei fratelli ortodossi dobbiamo riconoscere che, al fine di evitare “confusione”, nelle Chiese Cattoliche di rito orientale è proibito ai nostri Diaconi di celebrare riti matrimoniali, cosa invece concessa a quelli di rito latino, in quanto semplici “assistenti” degli sposi-celebranti.

Se pensa che i miei pensieri conformi alla dottrina e alla disciplina dei Sacramenti siano ereticali, in tal caso si rivolga senza indugio alla Congregazione per la Dottrina della Fede e al Vescovo avente giurisdizione canonica su di me, mentre io, per quanto invece riguarda ciò che di grave lei ha affermato in sua veste di insegnante di religione in ruolo da 7 anni, non mi rivolgerò affatto al suo Ordinario Diocesano, sapendo quanto sia tempo perso rivolgersi ai Vescovi per questioni dinanzi alle quali, malgrado la loro oggettiva gravità, la risposta pronta e da essi spesso data è la seguente: «E che cosa ci posso fare?».

Il Signore la benedica.

Sui “divorziati risposati”. Il potere conferito da Cristo a Pietro di “legare” e di “sciogliere”

SUI “DIVORZIATI RISPOSATI“. IL POTERE CONFERITO DA CRISTO A PIETRO DI «LEGARE» E DI «SCIOGLIERE»

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Esistono casi di sacerdoti che senza cessare di essere tali ricevono la dispensa dall’esercizio attivo del sacro ministero e la dimissione dallo stato clericale, ottenuta la quale possono anche sposarsi e ricevere il Sacramento del matrimonio. In altri tempi ciò non era possibile né previsto dalle discipline ecclesiastiche, anzi era proprio impensabile.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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«A te [Pietro] darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» [Mt. 16,19]

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Ariel evangeliario

Ariel S. Levi di Gualdo che porta in processione l’Evangeliario durante una solenne celebrazione presieduta da un Vescovo

Nel 2011, in una sperduta cappella di campagna fuori Roma celebrai alle 7 del mattino di un lunedì le nozze di un uomo che in modo improprio potrebbe essere definito “ex prete“, per non parlare del termine popolare dispregiativo di “spretato“. Alla sacra celebrazione non erano presenti né amici né parenti, solo quattro testimoni e la bimba di cinque anni della coppia, nata da questa relazione clandestina due anni prima che il sacerdote — all’epoca parroco — avanzasse richiesta di rinuncia all’esercizio del sacro ministero sacerdotale, spinto in tal senso da me, appena divenuto suo confessore, in modo deciso e anche pressante.

Sorvolo sul modo “indecente nel quale ho visto nel corso degli anni diversi vescovi gestire situazioni più o meno analoghe. Prendo allora un esempio tra i tanti, quello del classico sacerdote mal formato, proveniente da una situazione di disagio e di povertà di un paese in via di sviluppo, ordinato ad appena 24 anni in Italia da uno dei nostri vescovi privo di aspiranti alla vita sacerdotale e per questo particolarmente “affamato di preti”. Tra una scappatella e l’altra il giovane prete finisce con l’instaurare una relazione stabile con una sua parrocchiana, che rimane appresso incinta e dà alla luce una creatura. La preoccupazione dell’allora vescovo diocesano, in seguito del suo successore, fu quella di allontanare il prete mandandolo in giro per il mondo, con risultati tutt’altro che positivi, perché se il prete non è stato “generato” prima, difficilmente può esserlo dopo, specie dinanzi al sopraggiungere di certi guai sempre parecchio difficili da gestire. Intanto, l’amante del sacerdote, si reca dal Vescovo e lo informa che la creatura venuta alla luce è di un suo prete e che lei ha bisogno dei necessari mezzi economici per mantenerla e crescerla. Appurato attraverso esame del DNA che la creatura era veramente del prete, la Diocesi se ne fece discretamente carico; spero non attraverso i fondi dell’Otto per Mille versato dai nostri fedeli per il sostentamento della Chiesa e dei suoi sacerdoti, non per quello delle amanti e della prole di taluni presbìteri. Se infatti qualcuno doveva provvedere di propria tasca a riparare i danni di quel prete, questi era il vescovo che lo aveva ordinato, che in quanto a riempirsi le tasche non c’era andato tra l’altro piano nel far man bassa. Il nuovo vescovo si accorda col vescovo di un’altra diocesi distante centinaia di chilometri e sistema il prete altrove. Perché questo è spesso il “prudente” e “sapiente” agire di molti nostri vescovi: non affrontare il problema alla radice ma “risolverlo” spostando il prete problematico da una parte all’altra. Tutt’altra storia rispetto al modo in cui io, mosso da diversa misericordia e comprensione, ma anche agendo su severi imperativi di coscienza, nella mia veste di confessore imposi al confratello poc’anzi narrato di lasciare quanto prima l’esercizio del sacro ministero sacerdotale e di assumersi tutte le sue responsabilità di genitore. Grazie a Dio io non sono però un vescovo “sapiente” e soprattutto “prudente” che parla dei supremi e intangibili valori politici della famiglia e dei figli in casa degli altri, salvo fare però disastri in casa propria.

Questi due esempi diversi per far notare come a volte la Chiesa risolva le situazioni di alcuni di coloro che sono stati segnati col carattere indelebile ed eterno del Sacro ordine sacerdotale, presupposto del quale è anche la solenne promessa di mantenersi celibi. Ma, al di là del celibato, resta il fatto che questo sacro ordine imprime un nuovo carattere dal quale ne consegue una trasformazione ontologica. E sia chiaro per inciso che il celibato non è, come certi pseudo-studiosi vanno cianciando da tempo in giro, una «mera legge ecclesiastica codificata solo dal Concilio di Trento» (!?), perché il celibato è una tradizione che affonda le proprie radici sin dalla prima epoca apostolica. Il primo esempio di celibato, o il farsi «eunuchi per il regno dei cieli» [cf. Mt 19, 11-12], ci viene dato da Verbo di Dio Incarnato. È vero che diversi degli apostoli, fatta eccezione per i giovani, erano sposati, ma è anche vero che per seguire il Signore Gesù lasciarono le proprie famiglie, le proprie ricchezze e il proprio passato; non a caso la svolta radicale di diversi di questi Apostoli fu segnata anche dal cambio del loro stesso nome, a partire da Pietro e Paolo, nati rispettivamente Shimon e Shaul. Coloro che come l’Apostolo Giovanni non erano sposati, non si sposarono mai. È vero che in passato, nei primi secoli di vita della Chiesa, c’erano sacerdoti detti impropriamente “sposati”, ma si dimentica che per ricevere il sacro ordine dovevano seguire l’esempio dei Beati Apostoli: «lasciato tutto lo seguirono» [cf. Lc 5, 1-11]. Quindi, questi uomini sposati, per divenire sacerdoti lasciavano le proprie famiglie, purché esse fossero munite dei necessari mezzi di sostentamento. E per ricevere il sacro ordine l’uomo sposato, oltre a lasciare la propria famiglia, doveva avere il consenso dato liberamente dalla moglie; proprio come avviene oggi quando la Chiesa ordina diaconi permanenti degli uomini sposati.

Esistono però casi di sacerdoti che senza cessar d’essere tali ricevono la dispensa dall’esercizio attivo del sacro ministero e la dimissione dallo stato clericale, ottenuta la quale possono anche sposarsi e ricevere il Sacramento del matrimonio. In altri tempi ciò non era possibile né previsto dalle discipline ecclesiastiche, anzi era proprio impensabile, perché solo uno era il modo per dimettere un sacerdote dall’esercizio del sacro ministero: la scomunica irrogata dall’Autorità Ecclesiastica per ragioni connesse a gravissimi motivi di ordine morale e dottrinale; e ai sacerdoti scomunicati e dimessi dallo stato clericale, in passato non era consentito sposarsi, a volte neppure civilmente. L’articolo n. 5 del testo del vecchio Concordato stipulato tra Stato e Chiesa nel 1929 [cf. QUI] prevedeva in accordo con l’Autorità Civile alcune limitazioni che parlano da se stesse e che sono proprio frutto di questo antico retaggio:

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«Nessun ecclesiastico può essere assunto o rimanere in un impiego od ufficio dello Stato italiano o di enti pubblici dipendenti dal medesimo senza il nulla osta dell’Ordinario diocesano. La revoca del nulla osta priva l’ecclesiastico della capacità di continuare ad esercitare l’impiego o l’ufficio assunto. In ogni caso i sacerdoti apostati o irretiti da censura non potranno essere assunti né conservati in un insegnamento, in un ufficio od in un impiego, nei quali siano a contatto immediato col pubblico».

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È presto detto quale misera fine era riservata a quei sacerdoti che abbandonavano il ministero senza avere alle loro spalle una famiglia in grado di sostenerli, o se con premeditato calcolo non avevano prima sottratto alle parrocchie a loro affidate il necessario danaro per potersi sostenere, sempre ammesso che fossero stati parroci o rettori di chiese dove circolava danaro. Questo il motivo per il quale in passato le situazioni di concubinato dei chierici erano in parte conosciute e in parte tollerate, perché un presbìtero non più in grado di sostenere gli impegni assunti attraverso la sacra ordinazione, o viveva in uno stato di grave irregolarità, oppure si sarebbe condannato alla morte civile e ad una vita miserabile, anche perché in certe situazioni passate di cosiddetto cesaropapismo, alla dura scomunica che avrebbe colpito il sacerdote fuggitivo avrebbe fatto seguito la durezza politica ancora maggiore del braccio secolare.

Qualcuno potrebbe obbiettare che il Sacramento dell’Ordine e il Sacramento del Matrimonio sono due Sacramenti diversi regolati come tali da due diverse discipline, ed è vero, basti solo pensare che il primo, imprime un carattere indelebile ed eterno che comporta una trasformazione ontologica; il secondo non imprime invece un nuovo carattere e non è eterno perché dura per tutta la durata della vita degli sposi.

Se secondo le discipline attuali un uomo sposato, con moglie e figli, non può essere ordinato sacerdote poiché privo del requisito dello stato celibatario, viceversa un sacerdote non può ricevere il Sacramento del Matrimonio, perché “non compatibile” — sempre secondo le attuali discipline canoniche — col Sacramento dell’Ordine, salvo dispensa data dalla Sede Apostolica e come tale regolamentata da precise leggi ecclesiastiche, l’ultima in ordine di serie la Costituzione Apostolica Anglicanorum Coetibus del Sommo Pontefice Benedetto XVI [cf. QUI]. Esistono infatti casi rari e molto particolari che come tali richiedono sempre di essere trattati a sé. Proprio quel concetto che oggi spaventa tanto certi rigoristi e legalisti quando viene fatto cenno al fatto che non esiste la casistica monolitica de “i divorziati risposati“, perché spesso, ciascuna di queste situazioni umane, è una situazione tutta quanta a sé, non trattabile come tale secondo gli schemi rigidi e ben definiti del “Codice della strada”. O come di recente ho risposto ad un nostro lettore: «Dinanzi a certi problemi, non si può installare l’autovelox e poi dire: il limite era 130, tu stavi andando a 140, quindi sei in torto, ti prendi la multa, la paghi e chiusa la questione. Nella morale cattolica e nella disciplina dei Sacramenti, le cose non funzionano propriamente così; e se così qualcuno pretende di farle funzionare, in tal caso va applicata la saggia massima che qualsiasi rigorismo applicato con rigore matematico rende disumana e immorale la morale e la legge».

Cos’è accaduto quando qualche sacerdote fuggitivo ha contratto matrimonio religioso cattolico senza avere ricevuto la prevista dispensa e nascondendo il proprio status di chierico? Il matrimonio è stato dichiarato invalido, come invalide sono state dichiarate le sacre ordinazioni sacerdotali ed episcopali di uomini sposati fatte da qualche vescovo uscito dalla Comunione ecclesiale, come nel recente caso di Emmanuel Milingo, già Arcivescovo di Lusaka; e ciò al di là della validità delle sue potestà apostoliche. Merita infatti ricordare che questo anziano vescovo scomunicato per le sue svariate “stravaganze”, rimane comunque un vescovo dotato di tutte le potestà sacramentali proprie dell’episcopato; potestà il cui esercizio gli è stato interdetto prima con la sospensione a divinis e poi con la scomunica, ma la sacramentale pienezza del sacerdozio apostolico ricevuta rimane un sigillo indelebile che nessuno gli può togliere.

La sacramentaria è da sempre uno dei rami più complessi e delicati delle discipline dogmatiche e chiunque desideri essere serio non si lancia in certi temi portando a suffragio delle proprie opinioni peregrine stralci del Catechismo e brandelli male intesi estrapolati dal Magistero della Chiesa, a partire dal pluri citato n. 84 della Familiaris consortio, meno che mai citando come verbum Dei articoli di giornalisti aventi come supremo merito un ferreo spirito “anti-bergogliano“, che li ha fatti ormai sprofondare nel più penoso e pietoso sedevacantismo, a difesa non si sa bene di quale fede e di quale Chiesa [cf. articolo di Giovanni Cavalcoli, QUI].

L’accademico pontificio Giovanni Cavalcoli, con tutta la sua autorevolezza, io con autorevolezza parecchio minore, abbiamo scritto e parlato di queste tematiche di straordinaria delicatezza dottrinale e disciplinare dalle colonne dell’Isola di Patmos, ottenendo due diversi risultati: le persone predisposte all’ascolto, hanno ragionato e trovato spesso risposta ai loro quesiti. Le persone chiuse all’ascolto, quindi alla possibilità di qualsiasi discussione, ci hanno invece bollati come eretici, modernisti e traditori, salvo poi lanciarsi in autentici sproloqui derivanti da una “fede” mutata in ideologia politica, o presumendo di poter praticare agevolmente dei “terreni minati” così delicati da spaventare anche teologi valenti ed esperti, ma non particolarmente addentro a queste specifiche e delicate questioni. E proprio dinanzi a complessi temi dottrinali e giuridici così delicati, lo stesso Pietro ha reputato opportuno convocare un apposito Sinodo sulla Famiglia, per ascoltare il parere di una congrua rappresentanza dell’episcopato mondiale.

In un’assemblea conciliare o sinodale, come da settimane vanno ripetendo i Padri dell’Isola di Patmos su queste colonne, devono essere vagliate ed esaminate tutte le possibilità, persino le più assurde; persino quelle rasenti l’eresia, perché discutere non vuol dire affatto “sancire”,”stabilire”, “modificare”, “negare” o “cancellare” in alcun modo delle discipline, meno che mai intaccare il dogma o la sostanza dei Sacramenti.

Noto invece con profondo e autentico dolore che un esercito di laici in vena di puri scontri politici portati avanti dietro falsi pretesti dottrinali, si muovono con incredibile sicumera come elefanti dentro una vetrina di cristalli, lanciando moniti, lezioni e richiami ai Vescovi, ma soprattutto al Romano Pontefice. Perché quando in uno scritto vergato da due stolte auto-elettesi supremi difensori della vera fede, si legge «Il Papa deve imparare che …» quindi «se non ha imparato è bene che impari», purtroppo il discorso è tristemente chiuso nel microcosmo di tutte le loro stoltezze pseudo-teologiche e psuedo-dottrinali. Non chiuso da me o da chicchessia, ma chiuso dalla volontà di persone che in nome di una non meglio precisata “fede” si rifiutano di ragionare, non cogliendo così il basilare elemento filosofico e metafisico di fides et ratio, ed appresso vantandosi pure di non voler usare alcuna ratio e anteponendo la frase: «Su questo non si discute!». E detta in termini sia teologici sia pastorali, il tutto costituisce una pericolosa chiusura alle azioni della grazia di Dio.

Cari cattolici e cattoliche in vena di scontri politici su pretesti dottrinali, vi rendete conto che se molti dei Padri riuniti a Nicea e appresso negli altri grandi concilî dogmatici della Chiesa, avessero detto: «Su questo non si discute!», agendo pertanto di conseguenza, oggi noi non avremmo, non dico l’evoluzione della disciplina dei Sacramenti avuta nel corso dei secoli, non avremmo manco avuta la corretta percezione dell’Incarnazione del Verbo, della natura umana e divina di Cristo Dio [ipostasi]? Ma c’è di più: non saremmo nemmeno cristiani, bensì solo una “sètta eretica” di ebreo-gesuani sviluppatasi nell’antica Giudea e poi diffusasi in giro per il mondo.

Di recente ho scritto un lungo articolo nel quale indico quelli che a mio parere sono certi difetti umani dell’uomo Jorge Mario Bergoglio [cf. QUI],  ma ribadendo che certi suoi difetti umani non intaccano in alcun modo quelle che per mistero di grazia sono le sue potestà di Romano Pontefice, di roccia sulla quale Cristo ha edificato la sua Chiesa, dando ad esso una gravosa funzione vicaria legata a uno degli elementi fondanti del depositum fidei. A Pietro, il Verbo di Dio ha dato potere di «legare» e di «sciogliere» [cf. Mt 16, 13-20], pertanto il problema non dovrebbe essere la ipotesi stolta, oltre che impossibile, del Sommo Pontefice che cade in eresia o in apostasia dalla fede; il problema dovrebbe essere invece la docilità delle pecore verso il Pastore, assieme alla certezza di fede che per quanto difettoso il Pastore possa essere, in certi suoi atti di magistero e di governo gode di una speciale assistenza dello Spirito Santo. Il problema dovrebbe esser quindi il rifuggire l’eresia da parte di certe pecore pompate da certi teologi rigoristi che non distinguono il dogma dalle leggi umane e dalle loro stesse opinioni, la sostanza inalterabile dei Sacramenti dalla disciplina dei Sacramenti ripetutamente modificata nel corso dei secoli. Sono quindi certi teologi e certe pecorelle smarrite che rischiano seriamente di scivolare in un’eresia generata peraltro dal primo dei peccati capitali, perché pensare superbamente di poter sindacare ciò che eventualmente Pietro potrà decidere di «legare» o di «sciogliere», oppure cosa lasciare legato e cosa non sciogliere mai, è in sé e di per sé empietà, ed a volte anche eresia, perché neppure l’opinione di un concilio ecumenico è superiore alla volontà e alle decisioni di Pietro, alla cui volontà e decisione l’assemblea conciliare o sinodale deve sempre sottostare, ed oggi, il nostro Pietro, è il Santo Padre Francesco.

È pertanto cosa penosa e stolta che certi rigoristi scrivano trionfanti: «Quella “frase ambigua” è passata al Sionodo per un solo voto!». E si noti bene, ad attaccarsi a “voti” e “maggioranze” sono proprio i rigoristi, quelli che in pectore risognano le glorie del vecchio Stato Pontificio, la tiara, la sedia gestatoria ed i flaubelli, il connubio trono e altare, ma pur malgrado ignorantemente dimentichi che Pietro ascolta chi vuole e se vuole, decidendo a prescindere dai voti e dalle maggioranze, perché lui ha una speciale grazia di stato derivante da un potere vicario che ad esso perviene da Cristo Dio in persona, non dai voti di maggioranza o di minoranza delle assemblee. Il Santo Padre potrebbe alzarsi domani mattina, prendere un tale che passa per la strada e consacrarlo vescovo e conferire poi la dignità cardinalizia a Sor Romoletto che vende cicoria in Campo dei Fiori. Potrebbe canonizzare seduta stante la defunta Sora Lella, ex venditrice di arachidi in Trastevere, senza seguire alcuna delle procedure fissate dal Codice di Diritto Canonico e senza chiedere conto alcuno alla Congregazione per le cause dei santi. E nessuno potrebbe invalidare il suo operato, perché il tutto rientra in quelle sue potestà non soggette come tali a sindacato alcuno. Ma tutto questo, i rigoristi, sembrano esserselo dimenticato.

Tutt’oggi taluni mi rimproverano di essere stato «irriverente» nei riguardi del Cardinale Raymond Leonard Burke. Sinceramente, più che irriverente sono stato severo, perché un porporato che si presta a essere strumentalizzato da certi circoli di “alabardieri tradizionalisti” che lanciano critiche inaccettabili all’operato del Sommo Pontefice, verso il quale mettono in scena persino illogici processi alle sue intenzioni, non è né prudente né sapiente; e come tale e in quanto tale non merita d’esser preso sul serio, ma solo d’esser preso allegramente, assieme a tutti i suoi sostenitori ed i suoi ricchi benefattori dell’ultra destra americana che urlano «all’eresia, all’eresia!», «allo scisma, allo scisma!». Non giriamo quindi le carte sul tavolo mutando gli offensori di professione in vergini vilipese, perché sono loro, scritto dietro scritto e conferenza dietro conferenza a mancare gravemente di rispetto alla Somma Autorità del Principe degli Apostoli, non sono certo io a mancare di rispetto a un Cardinale che lasciandosi invitare, intervistare ed elevare a vessillo dell’opposizione verso un Sommo Pontefice che starebbe niente meno «guidando la Chiesa verso la deriva dottrinale» — ed il tutto senza mai una sua chiara smentita in proposito riguardo certa gente che a tal fine lo usa in opposizione al Santo Padre —, si palesa di fatto per quello che è: un imprudente irresponsabile.

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Ubi Petrus, ibi Ecclesia.

Amen!

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Sui “divorziati risposati”. Nuova nota dei Padri dell’Isola di Patmos

SUI DIVORZIATI RISPOSATI. NUOVA NOTA DEI PADRI DELL’ISOLA DI PATMOS

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Il timore di alcuni, che se il Santo Padre dovesse concedere la Comunione ai divorziati risposati compirebbe un attentato all’indissolubilità del matrimonio, non ha alcun fondamento dogmatico; ed in questo modo viene confusa la legge civile con la legge ecclesiastica.

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Giovanni Cavalcoli, OP

Ariel S. Levi di Gualdo

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Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli [Mosè] scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto» [Mc. 10, 5-9]

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giovanni scrivania

Giovanni Cavalcoli, OP

Un punto che bisogna mettere in luce e sul quale forse non abbiamo insistito abbastanza nelle risposte e nei contradditori, è che l’espressione “divorziati risposati”, ormai entrata nell’uso, è un’espressione sbagliata dal punto di vista della morale cattolica, presa com’è dal linguaggio della legge civile, che ammette il divorzio, mentre sappiamo bene come il Vangelo lo proibisce.

Senza voler respingere questa espressione, cosa ormai impossibile, per illuminare tuttavia veramente alla luce della morale cattolica la questione, noi cattolici dovremmo dire, secondo il linguaggio tradizionale della Chiesa, che si tratta di adùlteri concubini. Se quindi essi hanno sciolto il precedente matrimonio dal punto di vista civile, e se questo matrimonio fu un Sacramento, è chiaro che tale matrimonio, se è valido, resta valido.

Il timore di alcuni, che se il Santo Padre dovesse concedere la Comunione ai divorziati risposati compirebbe quindi un attentato all’indissolubilità del matrimonio, non ha alcun fondamento dogmatico; ed in questo modo viene confusa la legge civile con la legge ecclesiastica.

L’eventuale concessione della Comunione, non supporrebbe affatto da parte della Chiesa che il precedente matrimonio religioso sia da considerarsi sciolto, anche se c’è stato il divorzio civile, mentre resta sempre validissimo per l’eternità, se è stato un autentico sacramento.

Ariel conferenza

Ariel S. Levi di Gualdo

È dunque questo il vero quadro nel quale, secondo la morale cattolica, va collocata in modo conveniente e fruttuoso questa grave questione dei divorziati risposati. Chi pertanto sostiene l’opportunità che sia loro concessa la Comunione, deve dimostrare che tale concessione non solo non comporta né suppone nessun vulnus, sacrilegio o pregiudizio nei confronti della validità del precedente matrimonio, ma che può armonizzarsi, nonostante tutto, con un conveniente rispetto di questo legame precedente, sì da trarre proprio da questo passato impegno, ormai non più praticabile, per quanto ciò possa apparire paradossale, forza per vivere in grazia la nuova convivenza.

Ciò che infatti può connettere e creare continuità tra l’unione di prima e quella attuale, per quanto oggettivamente in contrasto fra loro, è la coscienza, come si suppone, di essere vissuti in grazia nella precedente unione e di vivere in grazia in quella nuova, nonostante il passato peccato di adulterio, che però adesso si suppone perdonato da Dio.

La Chiesa potrebbe imporre ai conviventi l’obbligo di mantenere, se è possibile, buoni rapporti col coniuge precedente, di sostenerlo economicamente, se ha bisogno e, se è possibile, di prendersi cura di eventuali figli avuti nel precedente matrimonio.

Nel nuovo legame i risposati dovranno mantenere un ricordo oggettivo, sereno e amichevole del coniuge precedente, pronti a perdonare i torti ricevuti, anche se il coniuge conserva sentimenti ostili e non perdona.

Dunque nessuna damnatio memoriae; al contrario, anche se ciò può costare al loro orgoglio o al loro comprensibile risentimento, i due dovranno sempre ricordare a Dio il precedente coniuge e ringraziare Dio per tutto il bene e i doni da Dio ricevuti nel precedente matrimonio. Dovranno anche ricordare con gratitudine a Dio tutto il bene che si sono voluti, magari per lunghi anni, tutti gli eventi felici e tutte le esperienze positive.

Infatti, anche se gli uomini hanno tentato di dividere con vane e posticce “leggi civili” ciò che Dio aveva unito, il sacro vincolo liberamente contratto dalla coppia davanti a Dio al momento della celebrazione del sacramento, è assolutamente indissolubile, perchè nessuno può separare ciò che Dio ha voluto unire per l’eternità, tanto che i coniugi che si sono separati, per esser degni del premio celeste, devono sperare di riconciliarsi e ricongiungersi in cielo per sempre, rinnovando i sacri impegni calpestati in questo mondo.

Stoltissima, scandalosa, vergognosa, sapiens haeresim e indegna del nome cristiano è stata pertanto la proposta, in occasione del Sinodo, del teologo Giovanni Cereti, il quale ha osato fondare l’ammissione della coppia ai sacramenti su una da lui supposta facoltà della coppia di «annullare il segno sacramentale del matrimonio», una volta da lei constatata l’impossibilità di mantenere l’unione. Al contrario, è proprio in nome del rispetto della dignità dei sacramenti come mezzi ordinari di salvezza, che la Chiesa maternamente e provvidamente opera sempre tutto il possibile per assicurare la possibilità di salvezza anche nelle situazioni umane più degradate e disordinate, consapevole del fatto che Dio estende la sua misericordia ben al di là della limitata benchè preziosa prassi sacramentale della Chiesa.

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Dall’Isola di Patmos, 2 novembre 2015

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

“Disputationes theologicae” – Replica di Giovanni Cavalcoli alla critica di Antonio Livi

DISPUTATIONES THEOLOGICAE – REPLICA DI GIOVANNI CAVALCOLI ALLA CRITICA DI ANTONIO LIVI

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Ho detto e ripetuto in più occasioni che non sappiamo che cosa il Santo Padre deciderà e che dobbiamo essere disponibili sia al mantenimento della legge attuale che a qualche suo mutamento. Diciamo ai conservatori che la legge attuale non è intoccabile ed agli innovatori che il dogma non è mutevole. Come avviene nel mistero dell’Incarnazione, così avviene nella morale cristiana e della famiglia: dobbiamo calare l’eterno nel temporale, senza eternizzare il temporale e senza temporalizzare l’eterno.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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Giovanni Cavalcoli breviario

l’accademico pontificio Giovanni Cavalcoli

.Monsignor Antonio Livi ha pubblicato sul sito Unione apostolica Fides et Ratio [cf. QUI] un articolo dal titolo «In difesa della verità cattolica sul matrimonio», nel quale mi rivolge molte obiezioni. L’articolo è stato riportato anche dall’agenzia stampa Corrispondenza Romana [cf. QUI] e dalla rivista telematica Riscossa Cristiana [cf. QUI], e da vari altri siti e blog, diversi dei quali si sono limitati a riportare solo le critiche a me rivolte, guardandosi però dal riportare i miei testi pubblicati con le mie risposte date, tutte quante disponibili sull’Isola di Patmos, alla quale accedono ogni giorni migliaia di visitatori, e ciò mi lascia supporre che molti lettori sono andati sicuramente a leggere quel che io ho scritto realmente.

Esaminiamo dunque le quaestiones sollevate da Antonio Livi e diamo a ciascuna di esse risposta.

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1. Io ho subito replicato sostenendo che la considerazione pastorale e canonica dei divorziati risposati come di fedeli tenuti a uscire dal loro “stato di peccato” non può essere considerata contraria al Magistero e dunque teologicamente infondata.

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Ho già spiegato altrove che cosa si può intendere per “stato di peccato”. Comunque lo ripeto. Se per “stato di peccato” si intende che i conviventi, in forza della sola e semplice situazione, nella quale si trovano, sono permanentemente e necessariamente, ventiquattr’ore su ventiquattro su privi della grazia di Dio, come fossero anime dannate dell’inferno, quasi con la pretesa di scrutare l’intimo delle coscienze noto solo a Dio, ebbene, non c’è dubbio che questo sarebbe un giudizio temerario. Se invece con la detta espressione si intende la situazione stabile, che può essere indipendente dalla volontà dei due, nella quale essi sono portati facilmente a peccare, l’espressione può essere accettabile, però può apparire equivoca e può condurre a intenderla nel primo significato. Meglio parlare di “situazione pericolosa”, oppure usare il termine giuridico di “unione irregolare” o quello morale di “illecita” [cf. doc. CEI, 1979, su La pastorale matrimoniale dei divorziati risposati e di quanti vivono in situazioni irregolari o difficili, QUI, QUI].

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2. Secondo Cavalcoli, «il peccato è solo un singolo atto» che si esaurisce nel momento in cui viene commesso e non dà origine a uno “stato” o condizione permanente dell’anima: ma questa è una teoria infondata.

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Non ho mai detto che il peccato non dia origine a uno stato o condizione permanente nell’anima. Sostengo proprio il contrario, ossia quel che sostiene Antonio Livi. Ho detto semplicemente che il peccato non va confuso con la situazione conseguente al peccato stesso, situazione di colpa, che può essere più o meno durevole. I conviventi infatti possono e devono far cessare volontariamente in qualunque momento tale situazione interiore col pentimento, mentre si può dare l’impossibilità di interrompere la convivenza. Di fatto però uno dei due si può pentire e l’altro no.

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3. C’è una illogicità semantica contenuta nella definizione di peccato come «atto voluto, evitabile e vincibile» (perché quello che deve essere “vincibile” non è l’atto volontario, ma la passione disordinata che spinge ad esso il soggetto).

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La volontà non deve sempre e solo vincere la passione, ma anche se stessa negli atti che si esauriscono all’interno della stessa volontà e non comportano un rapporto con la passione. La volontà può essere cattiva in se stessa, senza rapporto con le passioni. In tal caso, la volontà deve vincere se stessa. Per esempio, un’intenzione ereticale, risiede esclusivamente nella volontà. Questa, per tornare all’intenzione ortodossa, deve vincere ed annullare quell’intenzione della volontà stessa.

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4. Cavalcoli pensa di poter poi affermare che le norme ivi contenute – a cominciare da quella per cui i divorziati risposati sono esclusi dalla comunione eucaristica – sono solo una possibile applicazione pastorale tra le tante possibili, il che rende perfettamente plausibile – dice lui – auspicare che effettivamente vengano adottate altre norme completamente diverse.

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Cristo ci comanda di nutrici del Suo corpo. Questa è legge divina. Ma ci sono tanti modi per poterla o non poterla applicare. Egli infatti ha affidato a Pietro [Mt 16, 19] il compito di regolamentare, determinare o stabilire in dettaglio chi, come, quando, dove, in quali circostanze, a quali condizioni e perché consentire o proibire alle varie categorie di fedeli l’accesso alla Comunione eucaristica. Non vedo che cosa ci sia di strano in questa prassi, che la Chiesa adotta da sempre a sua discrezione per mandato stesso del Signore.

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5. Cavalcoli ritiene perfettamente compatibile con il dogma una nuova legge in base alla quale, anche quando il perdono sacramentale è negato (perché il penitente non ha potuto manifestare al ministro della Penitenza la sua sincera ed efficace decisione di uscire dallo stato di peccato), il fedele può accedere alla Comunione se Dio lo perdona in altro modo. Ma come fa una legge della Chiesa a prevedere il verificarsi di questo evento di grazia? La Chiesa, a qualsiasi livello, non può mai venire a conoscenza di quando e come si può verificare la giustificazione del peccatore nel segreto della sua coscienza e in un modo extrasacramentale. Se la Chiesa, consapevole dei suoi limiti, nella nuova legge proposta da Cavalcoli, prescrivesse semplicemente al fedele di regolarsi secondo coscienza, in pratica si tornerebbe alla legge canonica tradizionale, sulla base di quanto stabilito dal Concilio di Trento: per accedere alla Comunione il fedele deve essere certo in coscienza di non essere in peccato mortale.

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La legge o meglio la concessione o permesso che può essere auspicato della Comunione ai divorziati risposati in casi speciali, lascia al fedele di riconoscere se egli si trova nello stato di grazia necessario per accedere alla Comunione. È ovvio che vale sempre quel precetto del Concilio di Trento, dato che si fonda addirittura sulle parole di San Paolo. Solo che nel nostro caso la Chiesa potrebbe permettere ai divorziati risposati di verificare ogni volta essi stessi, come deve fare ogni buon fedele, se sono o non sono nelle condizioni interiori adatte per poter fare la Comunione. A questo punto, è chiaro che la Chiesa potrebbe e dovrebbe conceder loro anche la confessione sacramentale.

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6. Ma come fa – allo stato attuale – un divorziato risposato ad avere la certezza che Dio gli ha concesso nel segreto della sua coscienza quel perdono e quel ritorno alla grazia che la Chiesa di Dio gli ha negato in sede di celebrazione del sacramento della Penitenza, in quanto mancano le condizioni richieste per dimostrare un autentico pentimento?

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Se la Chiesa nega ai divorziati risposati i Sacramenti, essa non ha potere sulla grazia extrasacramentale, che Dio riserva solo ai disegni misteriosi della sua misericordia. Non occorre che il divorziato risposato mostri al confessore il pentimento: basta che li manifesti a Dio. Tuttavia, nel caso che la Chiesa concedesse la Comunione, dovrebbe concedere anche la Confessione.

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7. Molti teologi (con i quali sembra concordare Cavalcoli) prospettano quello che il documento finale del Sinodo denomina, in maniera peraltro assai vaga, «accompagnamento e discernimento». Ma anche qui: che tipo di discernimento extrasacramentale può avere un sacerdote che funge da consigliere spirituale, un parroco o il vescovo della diocesi? E sulla base di quali conoscenze dell’azione della grazia nell’anima di quel singolo penitente e in base a quali strumenti di discernimento essi possono autorizzare il fedele ad accostarsi alla Comunione?

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È necessario e sufficiente che il sacerdote controlli se il soggetto è pentito, se vuol correggersi, se vuol migliorarsi, se segue le sue direttive, se vuol far penitenza, se partecipa alla vita ecclesiale e civile, se cura il lavoro, la famiglia e gli amici. Può quindi proporgli un cammino spirituale ad hoc, che utilizzi i doni che Dio gli ha dato e le sue qualità umane al servizio del prossimo e della Chiesa. Quanto al vescovo, può eventualmente approntare un prontuario che, applicando le leggi generali della Chiesa per queste situazioni, offra direttive e consigli, soprattutto per i casi più difficili, ai confessori, alle guide spirituali, ai docenti, agli educatori, alle parrocchie, alle famiglie, agli istituti della diocesi su come condursi con queste persone, come accogliere il loro contributo umano e di fede, come aiutarle e correggerle fraternamente.

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8. Quello che non è assolutamente possibile è proprio ciò che Cavalcoli pensa si debba fare e sia prevedibile che si faccia, ossia stabilire che alcune autorità locali (vescovo, parroco, cappellano) possano giudicare “da fuori” che una persona che non è in grado di ricevere l’assoluzione sacramentale è di nuovo in “stato di grazia” (e quindi può accostarsi alla Comunione) per via di un atto intimo di pentimento (che sarebbe però inefficace, ossia non tale da poter ottenere l’assoluzione sacramentale) ed una grazia assolutoria di tipo extrasacramentale.

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Il confessore ha d’ufficio la facoltà di discernere e giudicare se nel penitente esiste o no la buona volontà, in base al modo di accusarsi dei peccati ed ai segni che dà di pentimento e di fiducia nella misericordia divina. E il penitente stesso, illuminato dalla sua fede, dopo un opportuno esame di coscienza, in base alla testimonianza della buona coscienza, è qualificato a dichiarare a chiunque con parresia la propria innocenza davanti a Dio, rimettendosi, sull’esempio dell’Apostolo, al giudizio divino, che scruta i cuori. Quanto al pentimento, esso è efficace, anche senza l’assoluzione sacramentale, perché provvede Dio a perdonarlo. Si auspica pertanto che la Chiesa conceda anche la confessione sacramentale.

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9. Il discorso di Cavalcoli non va d’accordo con la logica. La legge della Chiesa che riguarda lo “stato di grazia” per essere ammessi alla Comunione fa appello al discernimento del soggetto stesso che è tenuto all’esame di coscienza (eventualmente, con il prudente consiglio del confessore “in foro interno”), come già stabilito dal Concilio di Trento quando insegna che il fedele deve discernere da sé, in coscienza, se si trova o no in peccato mortale. Ciò significa che, logicamente, una legge morale umana rinuncia a prevedere tutte le fattispecie dei casi concreti in cui un soggetto può avere la certezza di non essere tenuto a osservarla. Pertanto, se la nuova prassi pastorale chiesta da alcuni padri del Sinodo (e da padre Cavalcoli) si configura come una legge che preveda espressamente determinate fattispecie di eccezione alla regola, allora non si può parlare di una diversa applicazione possibile del medesimo criterio teologico della legge precedente. Insomma, la verità è che con questa proposta la Familiaris consortio viene abolita, in quanto la sua dottrina esplicita è sostanzialmente contraddetta da un’altra dottrina, sia pure implicita. L’andare ripetendo, come fa Cavalcoli, che si tratta solo di una diversa applicazione prudenziale di una medesima dottrina alla prassi è un mero artificio retorico.

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L’eventuale nuova legge non dovrebbe prevedere “tutte le fattispecie dei casi concreti in cui un soggetto può avere la certezza di non essere tenuto a osservarla”. Sarebbe una cosa effettivamente impossibile. E neppure dovrebbe “prevedere espressamente determinate fattispecie di eccezione alla regola”. La nuova legge, invece, potrebbe mantenere quella attuale dell’esclusione dai sacramenti, limitandosi a dare alcuni esempi di massima di possibili casi di eccezione alla legge, ma in una forma meramente indicativa, non precettiva, senza pretendere di esaurire tutti i casi possibili, ma dando spazio all’opera di prudente discernimento del confessore o del vescovo. Se una legge ecclesiastica ne contraddice un’altra, non c’è da allarmarsi. Si potrebbero indicare mille esempi di ciò nella storia della legislazione ecclesiastica. Si pensi solo alla proibizione fatta alla donna per millenni di servire all’altare, proibizione che è stata superata col concedere alla donna di proclamare le Letture della Messa o di distribuire la Comunione ai fedeli. Quindi non c’è da scandalizzarsi o da fare un dramma, se su questo punto la Familiaris consortio verrà mutata. Quante leggi la riforma attuata dal Concilio Vaticano II ha abolito o mutato, trattandosi di leggi ecclesiastiche e non divine. Ho già trattato della differenza tra questi due generi di leggi in recenti articoli sull’Isola di Patmos [cf. QUI, QUI, QUI], per cui non ci torno più sopra.

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10. La dottrina di Cavalcoli è erronea: consiste infatti nell’attribuire al Magistero la conoscenza a priori di casi nei quali la grazia divina supplisce in via straordinaria all’azione salvifica da essa garantita in via ordinaria mediante l’amministrazione dei sacramenti. Ma è proprio questa via ordinaria l’unica che il Magistero possa conoscere perché sa – non per scienza umana né per rivelazione privata ma solo per rivelazione pubblica – che Cristo glie l’ha affidata nell’istituire la sua Chiesa. Una nuova legge morale che abolisca l’indissolubilità?

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Neanche per sogno. Che cosa c’entra l’indissolubilità? Non si tratta, lo ripeto per l’ennesima volta, di “legge morale”, la quale, in quanto contenuta nella divina Rivelazione, è per noi cristiani legge divina: ma di legge della Chiesa, che in fin dei conti, per quanto dettata da somma prudenza e discendente dal dogma, resta pur sempre una legge positiva umana, mutevole come tutte le leggi umane. “Attribuire al Magistero la conoscenza a priori di casi nei quali la grazia divina supplisce in via straordinaria all’azione salvifica da essa garantita in via ordinaria mediante l’amministrazione dei sacramenti, una conoscenza a priori di casi nei quali la grazia divina supplisce in via straordinaria all’azione salvifica da essa garantita in via ordinaria mediante l’amministrazione dei sacramenti”? Non si tratta assolutamente di questo, come ho già detto, non si tratta di programmare la libertà dello Spirito Santo, ma di mettere in atto una prudenza duttile e soprannaturale, nonchè una carità illuminata, degne del cuore di Cristo, che ci mettano in ascolto dei bisogni delle anime e ci facciano valutare con saggio discernimento la diversità dei casi e delle situazioni, al fine di calare in essi la legge del Vangelo e il profumo della vita eterna.

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11. Cavalcoli fa intendere che le intenzioni di papa Francesco sono chiare e vincolanti, nel senso di desiderare proprio quello che lui va proponendo con tanta foga dialettica, ossia una norma “disciplinare” che rimette ai vescovi la facoltà di valutare “in foro interno” l’opportunità di concedere, caso per caso, l’accesso alla Comunione dei divorziati risposati. Il teologo domenicano non ne fa menzione, ma dovrebbe sapere che nel dibattito sulla famiglia in occasione del Sinodo molti avanzato la proposta di una nuova legge ecclesiastica che, sulla base di una nuova dottrina, abolisca la Familiaris consortio e con essa il principio dell’indissolubilità del matrimonio.

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Ho detto e ripetuto in più occasioni che non sappiamo che cosa il Santo Padre deciderà e che dobbiamo essere disponibili sia al mantenimento della legge attuale che a qualche suo mutamento. Diciamo ai conservatori che la legge attuale non è intoccabile ed agli innovatori che il dogma non è mutevole. Come avviene nel mistero dell’Incarnazione, così avviene nella morale cristiana e della famiglia: dobbiamo calare l’eterno nel temporale, senza eternizzare il temporale e senza temporalizzare l’eterno.

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Varazze, 29 ottobre 2015

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Sinodo sulla famiglia: “dunque le cose sono cambiate”? No, ce lo spiega l’Arcivescovo Luigi Negri

SINODO SULLA FAMIGLIA: «DUNQUE LE COSE SONO CAMBIATE»? NO, CE LO SPIEGA L’ARCIVESCOVO LUIGI NEGRI.

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[…] l’Arcivescovo di Ferrara-Comacchio Luigi Negri, ha espresso in poche righe, in modo breve ma chiaro, quella che è la situazione attuale e la linea che tutti i Vescovi ed i loro Sacerdoti sono tenuti per adesso a seguire.

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Autore Redazione dell'Isola di Patmos

Autore
Redazione
dell’Isola di Patmos

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Cari Lettori.

Luigi Negri 3

l’Arcivescovo Luigi Negri durante una celebrazione con il suo presbiterio

Dopo le ultime discussioni portate avanti dai Padri dell‘Isola di Patmos inerenti tematiche legate al Sinodo sulla famiglia, discussioni fatte anche di ipotesi e opinioni, scopo delle quali è rafforzare il deposito della fede, non certo indebolirlo, i Padri hanno dovuto rispondere a molte domande, notando anzitutto che non poche persone pongono quesiti ai quali essi hanno già risposto nei loro articoli in modo anche dettagliato. Ora, nessuno pretende che chicchessia legga scritti talvolta anche molto articolati, certo però sarebbe bene evitare di sollevare questioni basandosi su un titolo e un sottotitolo, specie quando si tratta di tematiche dottrinali parecchio complesse …

In questi giorni i Padri, nell’esercizio del loro sacro ministero sacerdotale, si sono ritrovati a dover ribadire a certi divorziati risposati che non potevano accedere alla Santa Comunione. Qualcuno ha replicato: «… ma i giornali hanno scritto»! E variamente essi hanno replicato che la Chiesa non ha mai scritto, tanto meno sancito ciò che invece hanno scritto e “sancito” certi giornali che non sono l’Autorità della Chiesa, né sono investiti dell’Autorità di cui è investito solo il Sommo Pontefice, al quale compete la stesura della Esortazione Apostolica post sinodale, nella quale potrà tenere o non tenere conto di quanto espresso dall’assemblea dei Padri Sinodali, dettando nuove norme e discipline, oppure lasciando inalterate quelle in vigore.

Luigi Negri 4

S.E. Mons. Luigi Negri durante la festa per i suoi 10 anni di episcopato

Mentre i Padri stavano per rispondere in proposito, la redazione dell’Isola di Patmos si è imbattuta in una lettera scritta dall’Arcivescovo di Ferrara-Comacchio Luigi Negri, che ha espresso in poche righe, in modo breve e chiaro, quella che è la situazione attuale e la linea che tutti i Vescovi ed i loro Sacerdoti sono tenuti per adesso a seguire, posto che — come afferma il Presule ferrarese —, certe facoltà esulano al momento non solo dal potere suo ma da quello di qualsiasi vescovo.

Come risposta ai quesiti di vari lettori, i Padri dell’Isola di Patmos hanno scelto di usare il messaggio inviato dall’Arcivescovo di Ferrara-Comacchio al suo Clero, al cui interno è racchiuso quello che avrebbero risposto ai numerosi quesiti a loro rivolti in tal senso.

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stemma Luigi Negri

 Luigi Negri
Arcivescovo di Ferrara-Comacchio
Abate di Pomposa

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Carissimi sacerdoti e fedeli della Diocesi di Ferrara-Comacchio.

per non farci condizionare da letture affrettate e spesso infondate circa gli esiti del recente Sinodo sulla famiglia, mi sento in dovere di intervenire per chiarire che il Sinodo è un organo esclusivamente consultivo, i cui lavori si sono conclusi con la presentazione a Papa Francesco di un documento che raccoglie le posizioni emerse e condivise dai padri sinodali.
Soltanto il Papa può, e in modo assolutamente autonomo, decidere se ad una o ad alcune di queste posizioni, potranno seguire indicazioni operative e normative. Restiamo quindi fiduciosamente in attesa delle decisioni che il Santo Padre vorrà o dovrà prendere.
In quel momento — e solo in esso, attraverso i modi opportuni — le decisioni del Papa in merito ai vari problemi che sono contenuti nel documento diventeranno operative; e la nostra Chiesa, abituata ad obbedire, obbedirà senza alcun problema, ed in modo assolutamente incondizionato, come abbiamo sempre fatto fino all’ultima richiesta del Santo Padre sull’ospitalità ai rifugiati.
Fino ad allora, perciò, non muta nulla ed in particolare è fatto divieto di concedere la comunione ai divorziati risposati [tranne i casi già ammessi dalla prassi cattolica*], con i quali certamente si deve intrattenere un cammino di dialogo e di recupero della propria identità; cammino che, al momento, non può avere come esito l’ammissione alla comunione eucaristica perché è una responsabilità che eccede quella dell’Arcivescovo di Ferrara-Comacchio.
Ogni iniziativa presa in disaccordo con questa mia disposizione sarebbe chiaramente illegittima e dunque illecita, e non potrebbe non essere sanzionata.
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+ Luigi Negri
Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Abate di Pomposa
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Testo ufficiale con le note di richiamo QUI