Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

Ancora sui “divorziati risposati”, il terzo round con Antonio Livi

ANCORA SUI “DIVORZIATI RISPOSATI”, IL TERZO ROUND CON ANTONIO LIVI
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La Chiesa non dice da nessuna parte che queste persone siano costantemente prive della grazia di Dio, ossia in peccato mortale. Anzi, già il permesso attuale che esse hanno di fare la Comunione spirituale, suppone che esse possano essere in grazia, giacchè, come si potrebbe pensare di fare la Comunione spirituale in uno stato di peccato mortale?

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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Monsignor Antonio Livi mi ha rivolto nuove obiezioni sul suo sito Unione Apostolica Fides et Ratio [vedere QUI, QUI]; sito al quale potete accedere anche dalla home-page dell’Isola di Patmos scorrendo sulla destra sotto la voce “pubblicazioni e associazioni”. Ad esse rispondo. Le obiezioni sono numerate. A ciascuna faccio seguire la mia risposta.

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1. La Chiesa considera giustamente queste persone come in “stato di peccato”, ossia in una situazione oggettiva che li priva della grazia di Dio e che non consente loro di ricevere l’assoluzione sacramentale se non dopo aver mostrato al confessore segni concreti di conversione (pentimento interiore e riparazione esteriore), il che consentirebbe loro di tornare a uno“stato di grazia” e di potersi accostare alla Comunione.

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La Chiesa non dice da nessuna parte che queste persone siano costantemente prive della grazia di Dio, ossia in peccato mortale. Anzi, già il permesso attuale che esse hanno di fare la Comunione spirituale, suppone che esse possano essere in grazia, giacchè, come si potrebbe pensare di fare la Comunione spirituale in uno stato di peccato mortale?

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2. l teologo domenicano non vuol prendere atto della distinzione (che io gli ho già ricordato) tra “fattispecie” (evento ipotetico considerato in astratto) e “fatto” (evento concreto che può essere oggetto di esperienza soggettiva e intersoggettiva). Se egli avesse tenuto conto di questa logica distinzione, non continuerebbe ad accusare di “giudizi temerari” chi, come me, si limita a ricordare che, in base alla dottrina del Magistero, i battezzati che hanno divorziato e hanno istituito una pubblica convivenza adulterina sono oggettivamente (quanto all’oggetto morale dell’azione libera e responsabile) in stato di peccato mortale.

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Tutto quello che possiamo e dobbiamo dire o sapere in base alla dottrina della Chiesa, è che i due si trovano in uno stato di vita illecito, irregolare, assai pericoloso per le loro anime e sono di scandalo ai fedeli. Ma tra il sapere questo e il sostenere che essi si trovano incessantemente ed inesorabilmente in uno stato di colpa mortale, ci corre molto e sarebbe, come si dice in logica, una conseguenza più ampia delle premesse. Bisogna infatti distinguere lo stato di vita di una persona dagli atti morali di questa persona, ovvero dallo stato della volontà di questa persona. Lo stato di vita resta; la volontà può mutare da un momento all’altro dal bene al male e dal male al bene. Uno stato di vita può favorire od ostacolare il peccato o la grazia, ma non può causarli, perchè il peccato è causato dalla cattiva volontà, mentre la buona azione è causata dalla buona volontà mossa dall’azione divina della grazia, quella che i teologi hanno chiamato “premozione fisica”. Così, uno che si trova nello stato di divorziato risposato, può essere in grazia, mentre uno che ha abbracciato lo stato di Certosino, può essere in peccato mortale.

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3. Cavalcoli restringe indebitamente la fattispecie dello “stato di peccato” alla convivenza more uxorio (oggettivamente adulterina) tra persone che hanno divorziato dal legittimo coniuge. Con questa indebita restrizione della materia egli non tiene conto di tutte le altre gravissime responsabilità morali cui ho prima accennato, e poi finge di ignorare che la responsabilità morale è personale: non esiste una responsabilità di coppia, e quindi non esiste nemmeno la possibilità (prospettata, come abbiamo visto, dall’arcivescovo di Ancona) di “assolvere” la coppia come un unico soggetto morale.

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Purtroppo Antonio Livi mi fa dire quello che non ho detto. Primo, non ho mai detto che i due si limitino a compiere solo peccati contro la castità, ma, al contrario, ho accennato alla possibilità che compiano anche altri peccati. Secondo, non ho mai parlato di una “responsabilità di coppia”, perchè so benissimo che ognuno ha la sua responsabilità. Così uno dei due potrebbe essere in grazia e l’altro in peccato.

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4. Cavalcoli, che negli ultimi tempi, nella sua polemica contro i “lefebvriani” ha preteso che siano considerati «infallibili» gli insegnamenti del Vaticano II, che pure ha voluto presentarsi come un Concilio non-dogmatico (“pastorale”), adesso pretende che siano considerati «infallibili» anche tutti gli insegnamenti contenuti nel magistero ordinario, non dogmatico, ma meramente “pastorale”, di questo Papa. Allo stesso tempo, per giustificare i cambiamenti “disciplinari” (ma tali da implicare una radicale riforma dottrinale) che egli suppone e presuppone che il Papa voglia introdurre nella prassi pastorale sulla famiglia, Cavalcoli pretende che sia considerato meramente “pastorale”, e quindi riformabile, il magistero di san Giovanni Paolo II sul matrimonio: magistero che invece è indubbiamente dogmatico nelle intenzioni e nella materia, essendo questa già definita in termini teologico-morali irriformabili dalla Scrittura e dal Concilio di Trento. Si tratta insomma della legge di Dio, interpretata autorevolmente e proposta infallibilmente dalla Chiesa. Ciò nonostante, Cavalcoli, per quanto riguarda il sacramento del matrimonio e l’accesso ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia da parte di quei fedeli che vivono nel concubinato e non vogliono cambiare il loro stato di vita, insiste a dire che la Chiesa può e deve cambiare questa legge, considerandola di indole meramente “disciplinare”, quindi accidentale e provvisoria, quando invece si presenta come fondamentale e perenne.

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A seguito di quanto dichiarato dai Papi del postconcilio, dobbiamo invece dire anzitutto che il Vaticano II non è stato solo pastorale, ma anche dottrinale. E se per “infallibile” si intende semplicemente che le dottrine — si badi: le dottrine, non le direttive pastorali — del Concilio non contengono errori, che saranno sempre vere, e che non possono essere sbagliate nè adesso né in futuro, ebbene non vedo che problema ci sia a dire che sono infallibili, nel senso ovvio e corrente della parola, ossia “che non possono sbagliare”, anche se non ci sono nuove definizioni dogmatiche dichiaratamente infallibili. In secondo luogo, ho già spiegato sia sull’Isola di Patmos che in altre sedi che San Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio si è limitato semplicemente a ricordare, giustificare e raccomandare la legge ecclesiastica vigente, senza porre la questione se essa può essere mutata.

Ho già dimostrato in precedenti interventi sull’Isola di Patmos e altrove, che la norma attuale, per quanto conforme con la legge divina, non discende da essa in modo necessario ed unico, ma ne è un’applicazione pastorale tra altre possibili. Per questo, la Chiesa, in forza del suo potere giurisdizionale (il “potere delle chiavi”), per motivi che sta a lei giudicare, può mutarla.

Qui non c’è in gioco, come dice Antonio Livi, l’ “interpretazione”, ma l’applicazione della legge divina, la quale, nell’ampiezza delle sue possibili applicazioni, può ammetterne altre, diverse da quella attuale. Certo che l’interpretazione della legge divina è una questione dogmatica. E qui è chiaro che la verità è una sola. Ma qui invece si tratta di una questione pratica: come fare in modo che i sacramenti, nel rispetto della loro immutabile essenza, possano portare il massimo frutto di grazia possibile? Qui si aprono diverse soluzioni possibili. E qui si misura la sapienza pastorale della Chiesa.

In terzo luogo, vorrei chiedere ad Antonio Livi dov’è che io avrei dichiarato “infallibili” tutti gli insegnamenti del presente Pontefice. Semmai lo ho difeso da chi lo accusa di eresia. Ma questo penso di avere il diritto e il dovere di farlo.

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5. Cavalcoli si fa scudo delle pretesa intenzione di Papa Francesco di procedere in questa direzione.

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Al contrario, ho sempre detto che non presumo affatto di sapere ciò che il Santo Padre deciderà. Ho detto e dimostrato semplicemente che, se egli ritiene bene di concedere i sacramenti ai divorziati risposati, in casi speciali e a ben precise condizioni, ha la facoltà ed è libero di farlo, senza che lo si debba accusare, come fanno alcuni esaltati, di eresia.

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6. Cavalcoli vuole che la nuova disciplina sacramentale preveda che “in foro interno” si possa autorizzare un fedele a fare la Comunione «anche se non ha potuto ottenere l’assoluzione», proprio con la mancanza dei requisiti della vera contrizione e proposito di uscire dalla situazione illegittima. Di questi requisiti, come ho detto, è giudice il sacerdote confessore, il quale opera nel foro interno, ossia durante il colloquio al confessionale. Ma può egli, allo stesso tempo, negare al fedele l’assoluzione sacramentale – per oggettiva mancanza dei requisiti stabiliti dalla legge divina ed ecclesiastica sul sacramento della Penitenza – e “autorizzarlo” a fare ugualmente la Comunione in quanto soggettivamente convinto che tale penitente sia stato assolto da Dio “direttamente”, ossia per via extrasacramentale?

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Se il penitente si trova solo in stato di peccato veniale, non è privo della grazia. Per cui, dopo essersi purificato dai peccati con atti penitenziali personali, può fare la Comunione, anche senza confessarsi prima. Ma, come ho detto, è chiaro che, se il Papa concede ai due i sacramenti, anche costoro, se sono caduti in peccato mortale, dovranno confessarsi prima della Comunione, come fanno tutti gli altri fedeli.
Bisogna ricordare inoltre la dottrina della Chiesa, secondo la quale anche chi fosse caduto in peccato mortale e al momento non ha la possibilità di confessarsi, è perdonato da Dio in forza di un atto di contrizione o dolore perfetto, nella prospettiva di accedere al sacramento appena possibile e se sarà possibile.

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Varazze, 11 novembre 2015

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NOTA

Questo articolo è stato redatto dal teologo domenicano Giovanni Cavalcoli pochi giorni dopo l’uscita dell’articolo critico di Mons. Antonio Livi. Lo pubblichiamo solo adesso perché per una settimana il Padre Ariel S. Levi di Gualdo è stato impegnato nella predicazione degli esercizi spirituali al clero, mentre io, che in quei giorni mi trovavo con lui per assisterlo, non ho potuto a mia volta provvedere. Ultimato quell’impegno, abbiamo trattato vari argomenti legati a Cristianesimo e Islam in seguito agli attentati di Parigi. Questo il motivo per il quale abbiamo pubblicato questo articolo-risposta redatto l’11 novembre con diversi giorni di ritardo.

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Jorge A. Facio Lince

segretario di redazione

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Lo smarrimento del linguaggio teologico nell’arte sacra

– Arte&Fede –

LO SMARRIMENTO DEL LINGUAGGIO TEOLOGICO NELL’ARTE SACRA

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Quando la Chiesa cominciò a perdere nel XIX secolo la propria influenza sulle arti, l’artista fu inevitabilmente costretto a dedicarsi a forme artistiche più ristrette di natura effimera, quasi trascurando tutto ciò che per secoli era stato espressione del patrimonio della fede.

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Autore Licia Oddo *

Autore
Licia Oddo *

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Per troppi anni abbiamo dovuto subire le stravaganze e le pazzie di molte nullità nazionali e straniere; per troppi decenni abbiamo trasformato la vera arte in una moda effimera e vuota di ogni significato, tutto ciò solo per correre dietro a certe mode di oltre oceano, solo per apparire aggiornati, moderni di avanguardia.

Quirino De Ieso [Benevento 1926 – Noto 2006]

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Quirino De Ieso, il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio e della sua passione e morte, 2005

Le vicende artistiche del Novecento hanno inevitabilmente contrito il concetto di arte contribuendo spesso a infonderle un significato dissacrante della rappresentazione, perché scevro da ogni credibilità in quei valori umani e cristiani che un tempo ne decretarono il successo mediante il mecenatismo della Chiesa Cattolica ed il sensus fidei che animava gli artisti.

Quando la Chiesa cominciò a perdere nel XIX secolo la propria influenza sulle arti, l’artista fu inevitabilmente costretto a dedicarsi a forme artistiche più ristrette di natura effimera, quasi trascurando tutto ciò che per secoli era stato espressione del patrimonio della fede. Lo stile artistico del Novecento, pur essendo profondamente rivoluzionario è pur tuttavia detentore di quei cardini che hanno contrassegnato la storia dell’arte nei secoli, ne risentì molto. Del resto l’arte [1] ha sempre mostrato il medesimo processo evolutivo. Il nuovo è presto vecchio [2], l’innovazione diventa tradizione ed il presente diventa passato ma quest’ultimo è pur necessario a quello, che lo segue nel tempo per una prospettiva futura: muta la forma, alla base di ogni vicenda, come di ogni estetica.

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IL BATTESIMO DI GESU - CM. - 50 X 100

Quirino De Ieso, Battesimo di Gesù al fiume Giordano, 1995

A tutti noi è evidente che la nostra società, già da parecchi anni, si sta evolvendo verso la amoralità, non ultimo attraverso la distruzione delle proprie stesse radici cristiane, che sono anche patrimonio d’arte. Cosa è auspicabile dunque per provocare un’inversione di tendenza e frenare la caduta dei valori umani strappando al pericolo della superficialità la rappresentazione artistica che del sacro è la più fedele interprete? Per rispondere a questo quesito nel quale il pittorico diviene espressione di fede e l’arte una manifestazione del trascendente metafisico, è di gran lunga interessante lo studio, frutto della contemplazione dell’opera del pittore contemporaneo postumo Quirino De Ieso, nelle cui tele egli traduce il mistero dell’universale, ed il teologico in pittorico [3]. Secondo l’opinione di De Ieso, è pur evidente che l’arte presenta mille volti, dal sacro al profano, ma è pur vero che è il «concetto stesso di arte» che ha una derivazione squisitamente spirituale, divina, è una delle manifestazioni umane più devota dell’amore dell’uomo nei confronti del suo Creatore. Egli interpreta la Verità nell’aspetto spirituale e sacro, ma indagata all’interno del nostro animo, perché, come afferma il maestro: «il mistero dell’Arte è quello stesso dell’Universo, nell’una e nell’altro sono presenti la verità e l’amore cristiani». Nel momento in cui l’artista raggiunge la consapevolezza di tale Verità, solo allora il suo lavoro può elevarsi a dignità di opera d’arte, dando vita al capolavoro.

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Gesu pescatore di uomini particolare cappella funeraria Noto

Quirino De Ieso, Gesù che dice ai suoi discepoli «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini» [Mc 1, 14-20], particolare di una cappella funeraria di Noto, 1995-1996

De Ieso sostiene che solo una ricerca interiore è in grado di produrre un simile miracolo. Tale ricerca sta proprio nel mondo dell’Arte, la musica, la poesia, la pittura, la scultura. Arte dunque come ricerca interiore. Si pensi in tal senso al modo in cui Dante Alighieri traduce in rima poetica ed immagini, nel XXXIII Canto del Paradiso, i misteri della fede esposti da San Tommaso d’Aquino nella sua Summa Theologiae; immagini che in seguito, Sandro Botticelli, raffigurerà attraverso i suoi celebri disegni illustrativi della Divina Commedia [cf. QUI]. Ma è pur vero che molti valori determinanti per la nostra società sono stati svuotati del loro contenuto reale, contaminati da effimere grandezze, calpestati da una progressiva involuzione etica. E se l’Arte si riduce a tele vuote, bruciacchiate, tagliuzzate, a tele semplicemente imbrattate di colore, a pietre levigate solo dalle acque dei fiumi, a lamiere contorte e arrugginite, allora l’Arte è morta? No di certo. Per fortuna, ad ogni caduta segue sempre una risalita; pertanto, prima o poi, l’Arte autentica, intrisa di sentimento passionale, morale, sociale, cultuale, che morta non è, ritornerà a trionfare e, ancora una volta ci condurrà sulla via della bellezza, della purezza, della gioia e dell’amore.

Nelle opere di questo artista si percepisce quell’indagine spirituale che egli traduce in vere e proprie rappresentazioni mistiche, sia astratte, sia retinate (tecnica quest’ultima di sua mera invenzione) frutto delle sue meditazioni e che sfociano in una vera e propria dissertazione filosofica del significato della parola Arte, proferendo persino un attacco diretto nei confronti dell’arte contemporanea.

In questi anni gli interessi dei singoli e l’avidità dei traguardi economici hanno fatto dimenticare alla civiltà i suoi reali obiettivi per mostrarsi degna di essere definita tale. La fiducia nell’operato senza pregiudizi, la solidarietà del gruppo in funzione del raggiungimento di comuni traguardi, l’etica di una condotta scevra da ogni contaminazione egoistica sono stati sostituiti dal puro superficialismo della semplice apparenza, quale surrogato per rimpiazzare la realtà e condurre al risultato di distruzione di massa, addivenendo così ad una terra inquinata da non potere garantire la sopravvivenza dei suoi abitanti e negare la speranza del domani ai posteri. Commenta il maestro:

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«Per troppi anni abbiamo cercato la novità a tutti i costi, come se ciò fosse il fine principale dell’arte; e non abbiamo capito che la novità, l’originalità non sono conquiste che vengono dall’esterno ma dal nostro interiore, dal nostro cuore e dalla nostra mente; esse sono conquiste che si ottengono solo attraverso un lavoro serio, continuo, sofferto, lungamente meditato. Solo così si può arrivare a conquistare un linguaggio personalissimo ed efficace, sempre frutto, oltre che di talento, anche di lunghi anni di durissimo lavoro, durante i quali l’artista scava nel suo animo e si confronta col mondo esterno e con i problemi della società in cui egli vive».

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IL MISTERO DELLA CROCIFISSIONE DE IESO

Quirino De Ieso, Il mistero della crocifissione, 2001

Per rendere evidenti simili concetti non si può prescindere dai mezzi tecnici che della rappresentazione iconografica sono la più efficace espressione, quali la pittura o la scultura. In effetti secondo l’autorevole parere di questo grande maestro dell’epoca contemporanea, nella nozione di arte si dovrebbero distinguere due sensi o percezioni: uno generico o comune, ed uno puro o spirituale.

Fino a oggi nessun autore ha compiuto una netta distinzione delle due percezioni attribuendovi separatamente i dovuti significati specifici, ma ha mostrato l’arte come il frutto di questa combinazione, senza riflettere a ciò che vi sia dietro veramente. È risaputo infatti che tutti gli autori sono d’accordo nello stabilire che “Arte” significhi genericamente: lavoro dell’uomo risultante da studio, dalla pratica e dall’ingegno nel conseguire un determinato effetto; il complesso delle regole o precetti necessari a quello: astuzia; finezza; capacità di sapersi regolare per arrivare ad uno scopo, e tutto diventa quindi sinonimo di professione, mestiere, ufficio esaurendosi a tale definizione. Da queste prime interpretazioni si evince che mentre per il primo senso (generico) è abbastanza evidente per tutti un significato, non lo è così per il secondo (spirituale), o meglio quest’ultimo sembra non essere tanto comprensibile a tutti, ma solo a pochi, a coloro che appartengono a quella schiera di eletti capaci di leggere e di leggersi dentro. “Arte” intesa in senso puro e spirituale significa:

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«elevazione dell’anima a Dio, contemplazione della grandezza e della potenza di Dio chiaramente visibile nella meravigliosa Natura che ci circonda; ricerca della bellezza Divina nei suoi diversi aspetti trasfusi in tutto il creato; ricerca dell’armonia della perfezione del Signore nella sua opera; ricerca dell’Ordine della “Verità” universali; punto di contatto tra la materia e lo spirito, anello che congiunge gli uomini al Padre e alla Madre Celesti».

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Quirino De Ieso Il mistero della crocifissione, La Vergine Maria con Maddalena e l’Apostolo Giovanni sotto la croce, 2003

L’arte nasce col mistero della creazione dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio [cf. Gen 1,26]. Nell’uomo il Creatore infonde quel naturale spirito creativo che a poco a poco diverrà arte espressiva nelle sue varie forme. Da quel momento l’Arte nelle sue diverse manifestazioni è stata sempre la più intima compagna dell’uomo per se stesso ma anche per il suo rapporto con Dio, e lo sarà certamente fino all’eskaton, quando Dio darà vita a nuovi cieli e nuova terra.

L’uomo non si accontentò di cercare lo spirituale e mettersi in contatto con esso solo attraverso l’espressione figurativa ossia la rappresentazione iconografica del suo pensiero, cercò di arrivare ad esso anche con un mezzo più rapido: verbalmente, cioè con la preghiera intesa come strumento e mezzo di comunione con Dio, ed anch’essa arte, nelle sue varie forme espressive poetiche e musicali. Certo, la preghiera dei primi uomini non era comunque quella concepita da noi, poiché il loro modo di vedere e di pensare di uomini antichissimi era ben diverso dal nostro, ma non per questo dobbiamo pensare che la loro preghiera e il loro concetto di soprannaturale fossero sentiti con calore e sincerità minori di come li sentiamo oggi, perché lo spirito e il desiderio di elevazione e di slancio mistico verso una dimensione metafisica che alberga nell’animo umano è da sempre vivo, ma è certamente cambiato il modo di manifestarlo attraverso i secoli, rischiando talvolta di perdersi strada facendo.

È nota ai più, la lunga strada che l’arte ha percorso con le sue parabole ascendenti e discendenti. Ad ogni periodo di maggiore splendore è seguito sempre un periodo di declino. Ci si chiede: perché ci sono stati questi alti e bassi in campo artistico? Non si deve certo pensare ad una più o meno scarsa intelligenza dell’uomo come spesso la maggior parte dei critici di tutti i tempi ci ha voluto dimostrare con le loro più o meno profonde osservazioni. La vera ragione che secondo De Ieso ha sempre causato alti e bassi è di tutt’altra natura, è introspettiva. È risaputo infatti che in tutti i tempi gli artisti hanno sempre cercato un mezzo o una maniera efficacissima per astrarre la realtà delle cose e della natura, per far comprendere agli spettatori il contenuto delle loro opere, o meglio per mettere in rapido contatto lo spirito del contemplatore con lo stato d’animo contenuto nelle loro opere [4].

Crocifissione, 1954

Quirino De Ieso, il Cristo crocifisso in mezzo ai due ladroni, opera giovanile, 1954

Solo quando gli artisti riuscivano a trovare questo mezzo efficace di astrazione, l’arte si avviava per quella strada che l’avrebbe condotta alle più alte vette, ossia alle più sublimi realizzazioni artistiche. Solo dal dialogo interiore attraverso una netta introspezione dell’artista con se stesso elevando il suo spirito a Dio, poteva accadere questo. Quando questa maniera di astrarre fu sfruttata al massimo, gli artisti successivi per non ripetere la stessa strada dei loro predecessori furono costretti a cambiar via. Per fare ciò, dovevano trovare una nuova maniera di “astrarre” e che nello stesso tempo fosse altrettanto efficace quanto quella già universalmente accettata. Purtroppo, cercando al di fuori del loro essere, gli artisti sono riusciti a catturare quello che la realtà triste di questi ultimi scampoli di progresso tecnologico offre loro, restando mediocri e paralizzati nella rappresentazione, che non è scaturita dallo spirito di cui l’uomo è portavoce, ossia dalla consapevolezza dell’esistenza del divino, ma piuttosto dalla vuota esteriorità che prima di tutto è spesso vile apparenza senza sostanza.

Arte è prima di tutto esperienza di vita e come tale si sviluppa unitamente alle emozioni, al percorso sociale, culturale ma soprattutto spirituale che l’uomo-artista compie nella sua esistenza. Essa è indubbiamente fenomeno sociale ed espressione della vita stessa, cambia col mutare della società e delle esperienze dell’uomo. Ma in questo continuo “divenire” l’arte deve pur mantenere lo spirito essenziale della sua essenza, attraverso quella serie di interrogativi esistenziali che l’individuo si pone, e che non è il linguaggio dei segni che si modifica a seconda delle varie epoche, almeno non è solo quello, ma piuttosto è linguaggio universale, catechetico. Numerose sono infatti le pitture ― in particolare gli affreschi impressi in molte nelle chiese tra il XIII e XVI secolo ― che sono vere e proprie tavole illustrative del catechismo per il Popolo di Dio; basti citare, tra le numerose, quelle del Duomo di San Gimignano [vedere QUI].

Quirino 1

Quirino De Ieso, Il mistero della risurrezione del Cristo, 1996

La “Verità” pura nell’universo, nel suo duplice aspetto, materiale e spirituale, ma anche catechetico, si esprime attraverso l’arte, ancella della comunicazione universale e da secoli posta a servizio del divino, del sacro, attraverso un travagliato cammino per il raggiungimento di una catarsi dell’interiorità dal vizio, dal disordine morale per arrivare al recupero dei valori etici, obiettivi preposti e perduti a causa dell’esteriorità con cui oggi gli artisti si approcciano ad essa senza guardarsi dentro, secondo il monito evangelico: «Il regno di Dio è dentro di voi» [cf. Lc 17,21]. In questa interiorità alberga il seme di grazia della Verità, quindi lo spirito essenza della vera arte, quella capace di percepire il divino e manifestarlo attraverso i messaggi espressivi propri delle arti.

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Quirino De Ieso, La discesa dello Spirito Santo nel cenacolo sopra gli Apostoli e la Vergine Maria a Pentecoste. Affresco centrale, Chiesa del Sacro Cuore in Noto, 1999.

Particolarmente vicino alla teologia paolina, Quirino De Ieso soleva dire che senza la vittoria dell’uomo su se stesso (a causa della mancata analisi introspettiva) vi sarà la sconfitta universale, con l’infelice prospettiva di diventare l’uomo “dinosauro” del duemila, ossia specie destinata all’estinzione. Ma l’uomo, il solo granello pensante dell’universo, quali strade può percorrere per ritrovare se stesso? Solo dalla personale ricerca interiore può scaturire la nuova forza vitale capace di ricollocarlo al primo posto della scala degli esseri viventi. Chi prevale? La bestia o l’angelo, il compiacimento o il rimpianto, la concretezza o la fantasia, la dόxa o il logos, la fede o la scienza, la realtà o l’illusione, la vittoria o la sconfitta? Dove collochiamo il nostro io: in un turbine senza fine, oppure in un sereno romantico scorcio della nostra terra? Chi domina il nostro pensiero: incubi nati da antichi tormenti, o speranze di felici orizzonti? Ed è così che dall’intreccio di una rete intessuta con ardua impresa l’Altissimo scruta l’uomo in trepidante attesa nella risposta alla ricerca e scoperta della Verità.

Sia che ci scopriamo prosecutori di primordiali istinti, sia che ci valutiamo figli di una Creatura celestiale naufragata in un mondo dominato da discutibili passioni in seguito alla cacciata dell’uomo dal Paradiso terrestre [cf. Gen 3, 23-24], scopriremo comunque che la ricerca interiore che vivifica il mondo dell’Arte ci guida in una affascinante avventura nella Natura che ci circonda, e di cui facciamo parte integrante come il vento, i fiumi, le stelle, il sole, mirabili opere di Dio che, nonostante il rifiuto dell’uomo corrotto nella propria primordiale essenza dal peccato originale e abbandonato spesso alla grettezza prevaricante delle sue passioni, non ha mai cessato di venirci incontro e di amarci nel corso dell’intera storia della nostra esperienza umana, sino all’incarnazione del Verbo di Dio fatto uomo [cf. Gv. 1,1].

Il doppio interrogativo che De Ieso pone ed impone attraverso le sue opere ai suoi interlocutori sull’uomo e sulla Natura quale opera del Creato, non è dunque una fredda interrogazione filosofica, ma la domanda viva ed assillante di chi vuole additare i grandi problemi dell’oggi e collaborare nei rimedi per la salvezza dell’umanità e del suo naturale ambiente, mediante l’espressione più raffinata della produzione umana che è l’arte, testimonianza materiale ed immateriale avente valore storico di civiltà quale carta di identità di un popolo, procedente al recupero affannoso di quell’identità smarrita e forse perduta per sempre, dopo che l’uomo uscì dall’antico Giardino di Eden, verso il quale è stato nuovamente ricondotto dal Cristo Redentore, fattosi nuovo Adamo, perché «come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» [cf. I Cor 15,22].

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* storica dell’arte

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Per leggere la recensione tratta dalla rivista Le Sicilie cliccare sotto

Licia Oddo – Jorge A Facio Lince: «QUIRINO DE IESO TRA ARTE E KOINÉ»

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NOTE

[1] C.Vicari, Come l’800 fu la premessa all’arte contemporanea, in l’Arte italiana nella seconda metà del XX sec.: Tradizione e Avanguardia, Piacenza, 1980, p.5
[2] Ossani Silipo, Carattere Generale dell’Arte tra il nuovo e l’antico, in l’Arte italiana nella seconda metà del XX sec.: Tradizione e Avanguardia, Piacenza, 1980, p. 21
[3] Ariel S. Levi di Gualdo, Le Sicilie, pag. 96 [cf. QUI]
[4] Tale interpretazione è quella che nella comprensione dell’opera d’arte di Panofsky,corrisponde ad una terza ed ultima fase che fornisce il significato intrinseco dell’opera stessa: l’analisi iconologica. Coglie al di là dei motivi e al di là delle storie i valori simbolici, valutandone le tendenze politiche, religiose, filosofiche e sociali sia nella personalità dell’artista che nell’epoca in cui egli vive.

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Quirino Di Ieso

una delle ultime immagini del pittore Quirino De Ieso, 2006

 

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