Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

“Disputationes theologicae” – Replica di Giovanni Cavalcoli alla critica di Antonio Livi

DISPUTATIONES THEOLOGICAE – REPLICA DI GIOVANNI CAVALCOLI ALLA CRITICA DI ANTONIO LIVI

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Ho detto e ripetuto in più occasioni che non sappiamo che cosa il Santo Padre deciderà e che dobbiamo essere disponibili sia al mantenimento della legge attuale che a qualche suo mutamento. Diciamo ai conservatori che la legge attuale non è intoccabile ed agli innovatori che il dogma non è mutevole. Come avviene nel mistero dell’Incarnazione, così avviene nella morale cristiana e della famiglia: dobbiamo calare l’eterno nel temporale, senza eternizzare il temporale e senza temporalizzare l’eterno.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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Giovanni Cavalcoli breviario

l’accademico pontificio Giovanni Cavalcoli

.Monsignor Antonio Livi ha pubblicato sul sito Unione apostolica Fides et Ratio [cf. QUI] un articolo dal titolo «In difesa della verità cattolica sul matrimonio», nel quale mi rivolge molte obiezioni. L’articolo è stato riportato anche dall’agenzia stampa Corrispondenza Romana [cf. QUI] e dalla rivista telematica Riscossa Cristiana [cf. QUI], e da vari altri siti e blog, diversi dei quali si sono limitati a riportare solo le critiche a me rivolte, guardandosi però dal riportare i miei testi pubblicati con le mie risposte date, tutte quante disponibili sull’Isola di Patmos, alla quale accedono ogni giorni migliaia di visitatori, e ciò mi lascia supporre che molti lettori sono andati sicuramente a leggere quel che io ho scritto realmente.

Esaminiamo dunque le quaestiones sollevate da Antonio Livi e diamo a ciascuna di esse risposta.

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1. Io ho subito replicato sostenendo che la considerazione pastorale e canonica dei divorziati risposati come di fedeli tenuti a uscire dal loro “stato di peccato” non può essere considerata contraria al Magistero e dunque teologicamente infondata.

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Ho già spiegato altrove che cosa si può intendere per “stato di peccato”. Comunque lo ripeto. Se per “stato di peccato” si intende che i conviventi, in forza della sola e semplice situazione, nella quale si trovano, sono permanentemente e necessariamente, ventiquattr’ore su ventiquattro su privi della grazia di Dio, come fossero anime dannate dell’inferno, quasi con la pretesa di scrutare l’intimo delle coscienze noto solo a Dio, ebbene, non c’è dubbio che questo sarebbe un giudizio temerario. Se invece con la detta espressione si intende la situazione stabile, che può essere indipendente dalla volontà dei due, nella quale essi sono portati facilmente a peccare, l’espressione può essere accettabile, però può apparire equivoca e può condurre a intenderla nel primo significato. Meglio parlare di “situazione pericolosa”, oppure usare il termine giuridico di “unione irregolare” o quello morale di “illecita” [cf. doc. CEI, 1979, su La pastorale matrimoniale dei divorziati risposati e di quanti vivono in situazioni irregolari o difficili, QUI, QUI].

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2. Secondo Cavalcoli, «il peccato è solo un singolo atto» che si esaurisce nel momento in cui viene commesso e non dà origine a uno “stato” o condizione permanente dell’anima: ma questa è una teoria infondata.

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Non ho mai detto che il peccato non dia origine a uno stato o condizione permanente nell’anima. Sostengo proprio il contrario, ossia quel che sostiene Antonio Livi. Ho detto semplicemente che il peccato non va confuso con la situazione conseguente al peccato stesso, situazione di colpa, che può essere più o meno durevole. I conviventi infatti possono e devono far cessare volontariamente in qualunque momento tale situazione interiore col pentimento, mentre si può dare l’impossibilità di interrompere la convivenza. Di fatto però uno dei due si può pentire e l’altro no.

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3. C’è una illogicità semantica contenuta nella definizione di peccato come «atto voluto, evitabile e vincibile» (perché quello che deve essere “vincibile” non è l’atto volontario, ma la passione disordinata che spinge ad esso il soggetto).

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La volontà non deve sempre e solo vincere la passione, ma anche se stessa negli atti che si esauriscono all’interno della stessa volontà e non comportano un rapporto con la passione. La volontà può essere cattiva in se stessa, senza rapporto con le passioni. In tal caso, la volontà deve vincere se stessa. Per esempio, un’intenzione ereticale, risiede esclusivamente nella volontà. Questa, per tornare all’intenzione ortodossa, deve vincere ed annullare quell’intenzione della volontà stessa.

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4. Cavalcoli pensa di poter poi affermare che le norme ivi contenute – a cominciare da quella per cui i divorziati risposati sono esclusi dalla comunione eucaristica – sono solo una possibile applicazione pastorale tra le tante possibili, il che rende perfettamente plausibile – dice lui – auspicare che effettivamente vengano adottate altre norme completamente diverse.

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Cristo ci comanda di nutrici del Suo corpo. Questa è legge divina. Ma ci sono tanti modi per poterla o non poterla applicare. Egli infatti ha affidato a Pietro [Mt 16, 19] il compito di regolamentare, determinare o stabilire in dettaglio chi, come, quando, dove, in quali circostanze, a quali condizioni e perché consentire o proibire alle varie categorie di fedeli l’accesso alla Comunione eucaristica. Non vedo che cosa ci sia di strano in questa prassi, che la Chiesa adotta da sempre a sua discrezione per mandato stesso del Signore.

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5. Cavalcoli ritiene perfettamente compatibile con il dogma una nuova legge in base alla quale, anche quando il perdono sacramentale è negato (perché il penitente non ha potuto manifestare al ministro della Penitenza la sua sincera ed efficace decisione di uscire dallo stato di peccato), il fedele può accedere alla Comunione se Dio lo perdona in altro modo. Ma come fa una legge della Chiesa a prevedere il verificarsi di questo evento di grazia? La Chiesa, a qualsiasi livello, non può mai venire a conoscenza di quando e come si può verificare la giustificazione del peccatore nel segreto della sua coscienza e in un modo extrasacramentale. Se la Chiesa, consapevole dei suoi limiti, nella nuova legge proposta da Cavalcoli, prescrivesse semplicemente al fedele di regolarsi secondo coscienza, in pratica si tornerebbe alla legge canonica tradizionale, sulla base di quanto stabilito dal Concilio di Trento: per accedere alla Comunione il fedele deve essere certo in coscienza di non essere in peccato mortale.

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La legge o meglio la concessione o permesso che può essere auspicato della Comunione ai divorziati risposati in casi speciali, lascia al fedele di riconoscere se egli si trova nello stato di grazia necessario per accedere alla Comunione. È ovvio che vale sempre quel precetto del Concilio di Trento, dato che si fonda addirittura sulle parole di San Paolo. Solo che nel nostro caso la Chiesa potrebbe permettere ai divorziati risposati di verificare ogni volta essi stessi, come deve fare ogni buon fedele, se sono o non sono nelle condizioni interiori adatte per poter fare la Comunione. A questo punto, è chiaro che la Chiesa potrebbe e dovrebbe conceder loro anche la confessione sacramentale.

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6. Ma come fa – allo stato attuale – un divorziato risposato ad avere la certezza che Dio gli ha concesso nel segreto della sua coscienza quel perdono e quel ritorno alla grazia che la Chiesa di Dio gli ha negato in sede di celebrazione del sacramento della Penitenza, in quanto mancano le condizioni richieste per dimostrare un autentico pentimento?

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Se la Chiesa nega ai divorziati risposati i Sacramenti, essa non ha potere sulla grazia extrasacramentale, che Dio riserva solo ai disegni misteriosi della sua misericordia. Non occorre che il divorziato risposato mostri al confessore il pentimento: basta che li manifesti a Dio. Tuttavia, nel caso che la Chiesa concedesse la Comunione, dovrebbe concedere anche la Confessione.

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7. Molti teologi (con i quali sembra concordare Cavalcoli) prospettano quello che il documento finale del Sinodo denomina, in maniera peraltro assai vaga, «accompagnamento e discernimento». Ma anche qui: che tipo di discernimento extrasacramentale può avere un sacerdote che funge da consigliere spirituale, un parroco o il vescovo della diocesi? E sulla base di quali conoscenze dell’azione della grazia nell’anima di quel singolo penitente e in base a quali strumenti di discernimento essi possono autorizzare il fedele ad accostarsi alla Comunione?

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È necessario e sufficiente che il sacerdote controlli se il soggetto è pentito, se vuol correggersi, se vuol migliorarsi, se segue le sue direttive, se vuol far penitenza, se partecipa alla vita ecclesiale e civile, se cura il lavoro, la famiglia e gli amici. Può quindi proporgli un cammino spirituale ad hoc, che utilizzi i doni che Dio gli ha dato e le sue qualità umane al servizio del prossimo e della Chiesa. Quanto al vescovo, può eventualmente approntare un prontuario che, applicando le leggi generali della Chiesa per queste situazioni, offra direttive e consigli, soprattutto per i casi più difficili, ai confessori, alle guide spirituali, ai docenti, agli educatori, alle parrocchie, alle famiglie, agli istituti della diocesi su come condursi con queste persone, come accogliere il loro contributo umano e di fede, come aiutarle e correggerle fraternamente.

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8. Quello che non è assolutamente possibile è proprio ciò che Cavalcoli pensa si debba fare e sia prevedibile che si faccia, ossia stabilire che alcune autorità locali (vescovo, parroco, cappellano) possano giudicare “da fuori” che una persona che non è in grado di ricevere l’assoluzione sacramentale è di nuovo in “stato di grazia” (e quindi può accostarsi alla Comunione) per via di un atto intimo di pentimento (che sarebbe però inefficace, ossia non tale da poter ottenere l’assoluzione sacramentale) ed una grazia assolutoria di tipo extrasacramentale.

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Il confessore ha d’ufficio la facoltà di discernere e giudicare se nel penitente esiste o no la buona volontà, in base al modo di accusarsi dei peccati ed ai segni che dà di pentimento e di fiducia nella misericordia divina. E il penitente stesso, illuminato dalla sua fede, dopo un opportuno esame di coscienza, in base alla testimonianza della buona coscienza, è qualificato a dichiarare a chiunque con parresia la propria innocenza davanti a Dio, rimettendosi, sull’esempio dell’Apostolo, al giudizio divino, che scruta i cuori. Quanto al pentimento, esso è efficace, anche senza l’assoluzione sacramentale, perché provvede Dio a perdonarlo. Si auspica pertanto che la Chiesa conceda anche la confessione sacramentale.

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9. Il discorso di Cavalcoli non va d’accordo con la logica. La legge della Chiesa che riguarda lo “stato di grazia” per essere ammessi alla Comunione fa appello al discernimento del soggetto stesso che è tenuto all’esame di coscienza (eventualmente, con il prudente consiglio del confessore “in foro interno”), come già stabilito dal Concilio di Trento quando insegna che il fedele deve discernere da sé, in coscienza, se si trova o no in peccato mortale. Ciò significa che, logicamente, una legge morale umana rinuncia a prevedere tutte le fattispecie dei casi concreti in cui un soggetto può avere la certezza di non essere tenuto a osservarla. Pertanto, se la nuova prassi pastorale chiesta da alcuni padri del Sinodo (e da padre Cavalcoli) si configura come una legge che preveda espressamente determinate fattispecie di eccezione alla regola, allora non si può parlare di una diversa applicazione possibile del medesimo criterio teologico della legge precedente. Insomma, la verità è che con questa proposta la Familiaris consortio viene abolita, in quanto la sua dottrina esplicita è sostanzialmente contraddetta da un’altra dottrina, sia pure implicita. L’andare ripetendo, come fa Cavalcoli, che si tratta solo di una diversa applicazione prudenziale di una medesima dottrina alla prassi è un mero artificio retorico.

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L’eventuale nuova legge non dovrebbe prevedere “tutte le fattispecie dei casi concreti in cui un soggetto può avere la certezza di non essere tenuto a osservarla”. Sarebbe una cosa effettivamente impossibile. E neppure dovrebbe “prevedere espressamente determinate fattispecie di eccezione alla regola”. La nuova legge, invece, potrebbe mantenere quella attuale dell’esclusione dai sacramenti, limitandosi a dare alcuni esempi di massima di possibili casi di eccezione alla legge, ma in una forma meramente indicativa, non precettiva, senza pretendere di esaurire tutti i casi possibili, ma dando spazio all’opera di prudente discernimento del confessore o del vescovo. Se una legge ecclesiastica ne contraddice un’altra, non c’è da allarmarsi. Si potrebbero indicare mille esempi di ciò nella storia della legislazione ecclesiastica. Si pensi solo alla proibizione fatta alla donna per millenni di servire all’altare, proibizione che è stata superata col concedere alla donna di proclamare le Letture della Messa o di distribuire la Comunione ai fedeli. Quindi non c’è da scandalizzarsi o da fare un dramma, se su questo punto la Familiaris consortio verrà mutata. Quante leggi la riforma attuata dal Concilio Vaticano II ha abolito o mutato, trattandosi di leggi ecclesiastiche e non divine. Ho già trattato della differenza tra questi due generi di leggi in recenti articoli sull’Isola di Patmos [cf. QUI, QUI, QUI], per cui non ci torno più sopra.

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10. La dottrina di Cavalcoli è erronea: consiste infatti nell’attribuire al Magistero la conoscenza a priori di casi nei quali la grazia divina supplisce in via straordinaria all’azione salvifica da essa garantita in via ordinaria mediante l’amministrazione dei sacramenti. Ma è proprio questa via ordinaria l’unica che il Magistero possa conoscere perché sa – non per scienza umana né per rivelazione privata ma solo per rivelazione pubblica – che Cristo glie l’ha affidata nell’istituire la sua Chiesa. Una nuova legge morale che abolisca l’indissolubilità?

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Neanche per sogno. Che cosa c’entra l’indissolubilità? Non si tratta, lo ripeto per l’ennesima volta, di “legge morale”, la quale, in quanto contenuta nella divina Rivelazione, è per noi cristiani legge divina: ma di legge della Chiesa, che in fin dei conti, per quanto dettata da somma prudenza e discendente dal dogma, resta pur sempre una legge positiva umana, mutevole come tutte le leggi umane. “Attribuire al Magistero la conoscenza a priori di casi nei quali la grazia divina supplisce in via straordinaria all’azione salvifica da essa garantita in via ordinaria mediante l’amministrazione dei sacramenti, una conoscenza a priori di casi nei quali la grazia divina supplisce in via straordinaria all’azione salvifica da essa garantita in via ordinaria mediante l’amministrazione dei sacramenti”? Non si tratta assolutamente di questo, come ho già detto, non si tratta di programmare la libertà dello Spirito Santo, ma di mettere in atto una prudenza duttile e soprannaturale, nonchè una carità illuminata, degne del cuore di Cristo, che ci mettano in ascolto dei bisogni delle anime e ci facciano valutare con saggio discernimento la diversità dei casi e delle situazioni, al fine di calare in essi la legge del Vangelo e il profumo della vita eterna.

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11. Cavalcoli fa intendere che le intenzioni di papa Francesco sono chiare e vincolanti, nel senso di desiderare proprio quello che lui va proponendo con tanta foga dialettica, ossia una norma “disciplinare” che rimette ai vescovi la facoltà di valutare “in foro interno” l’opportunità di concedere, caso per caso, l’accesso alla Comunione dei divorziati risposati. Il teologo domenicano non ne fa menzione, ma dovrebbe sapere che nel dibattito sulla famiglia in occasione del Sinodo molti avanzato la proposta di una nuova legge ecclesiastica che, sulla base di una nuova dottrina, abolisca la Familiaris consortio e con essa il principio dell’indissolubilità del matrimonio.

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Ho detto e ripetuto in più occasioni che non sappiamo che cosa il Santo Padre deciderà e che dobbiamo essere disponibili sia al mantenimento della legge attuale che a qualche suo mutamento. Diciamo ai conservatori che la legge attuale non è intoccabile ed agli innovatori che il dogma non è mutevole. Come avviene nel mistero dell’Incarnazione, così avviene nella morale cristiana e della famiglia: dobbiamo calare l’eterno nel temporale, senza eternizzare il temporale e senza temporalizzare l’eterno.

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Varazze, 29 ottobre 2015

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Sinodo sulla famiglia: “dunque le cose sono cambiate”? No, ce lo spiega l’Arcivescovo Luigi Negri

SINODO SULLA FAMIGLIA: «DUNQUE LE COSE SONO CAMBIATE»? NO, CE LO SPIEGA L’ARCIVESCOVO LUIGI NEGRI.

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[…] l’Arcivescovo di Ferrara-Comacchio Luigi Negri, ha espresso in poche righe, in modo breve ma chiaro, quella che è la situazione attuale e la linea che tutti i Vescovi ed i loro Sacerdoti sono tenuti per adesso a seguire.

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Autore Redazione dell'Isola di Patmos

Autore
Redazione
dell’Isola di Patmos

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Cari Lettori.

Luigi Negri 3

l’Arcivescovo Luigi Negri durante una celebrazione con il suo presbiterio

Dopo le ultime discussioni portate avanti dai Padri dell‘Isola di Patmos inerenti tematiche legate al Sinodo sulla famiglia, discussioni fatte anche di ipotesi e opinioni, scopo delle quali è rafforzare il deposito della fede, non certo indebolirlo, i Padri hanno dovuto rispondere a molte domande, notando anzitutto che non poche persone pongono quesiti ai quali essi hanno già risposto nei loro articoli in modo anche dettagliato. Ora, nessuno pretende che chicchessia legga scritti talvolta anche molto articolati, certo però sarebbe bene evitare di sollevare questioni basandosi su un titolo e un sottotitolo, specie quando si tratta di tematiche dottrinali parecchio complesse …

In questi giorni i Padri, nell’esercizio del loro sacro ministero sacerdotale, si sono ritrovati a dover ribadire a certi divorziati risposati che non potevano accedere alla Santa Comunione. Qualcuno ha replicato: «… ma i giornali hanno scritto»! E variamente essi hanno replicato che la Chiesa non ha mai scritto, tanto meno sancito ciò che invece hanno scritto e “sancito” certi giornali che non sono l’Autorità della Chiesa, né sono investiti dell’Autorità di cui è investito solo il Sommo Pontefice, al quale compete la stesura della Esortazione Apostolica post sinodale, nella quale potrà tenere o non tenere conto di quanto espresso dall’assemblea dei Padri Sinodali, dettando nuove norme e discipline, oppure lasciando inalterate quelle in vigore.

Luigi Negri 4

S.E. Mons. Luigi Negri durante la festa per i suoi 10 anni di episcopato

Mentre i Padri stavano per rispondere in proposito, la redazione dell’Isola di Patmos si è imbattuta in una lettera scritta dall’Arcivescovo di Ferrara-Comacchio Luigi Negri, che ha espresso in poche righe, in modo breve e chiaro, quella che è la situazione attuale e la linea che tutti i Vescovi ed i loro Sacerdoti sono tenuti per adesso a seguire, posto che — come afferma il Presule ferrarese —, certe facoltà esulano al momento non solo dal potere suo ma da quello di qualsiasi vescovo.

Come risposta ai quesiti di vari lettori, i Padri dell’Isola di Patmos hanno scelto di usare il messaggio inviato dall’Arcivescovo di Ferrara-Comacchio al suo Clero, al cui interno è racchiuso quello che avrebbero risposto ai numerosi quesiti a loro rivolti in tal senso.

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stemma Luigi Negri

 Luigi Negri
Arcivescovo di Ferrara-Comacchio
Abate di Pomposa

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Carissimi sacerdoti e fedeli della Diocesi di Ferrara-Comacchio.

per non farci condizionare da letture affrettate e spesso infondate circa gli esiti del recente Sinodo sulla famiglia, mi sento in dovere di intervenire per chiarire che il Sinodo è un organo esclusivamente consultivo, i cui lavori si sono conclusi con la presentazione a Papa Francesco di un documento che raccoglie le posizioni emerse e condivise dai padri sinodali.
Soltanto il Papa può, e in modo assolutamente autonomo, decidere se ad una o ad alcune di queste posizioni, potranno seguire indicazioni operative e normative. Restiamo quindi fiduciosamente in attesa delle decisioni che il Santo Padre vorrà o dovrà prendere.
In quel momento — e solo in esso, attraverso i modi opportuni — le decisioni del Papa in merito ai vari problemi che sono contenuti nel documento diventeranno operative; e la nostra Chiesa, abituata ad obbedire, obbedirà senza alcun problema, ed in modo assolutamente incondizionato, come abbiamo sempre fatto fino all’ultima richiesta del Santo Padre sull’ospitalità ai rifugiati.
Fino ad allora, perciò, non muta nulla ed in particolare è fatto divieto di concedere la comunione ai divorziati risposati [tranne i casi già ammessi dalla prassi cattolica*], con i quali certamente si deve intrattenere un cammino di dialogo e di recupero della propria identità; cammino che, al momento, non può avere come esito l’ammissione alla comunione eucaristica perché è una responsabilità che eccede quella dell’Arcivescovo di Ferrara-Comacchio.
Ogni iniziativa presa in disaccordo con questa mia disposizione sarebbe chiaramente illegittima e dunque illecita, e non potrebbe non essere sanzionata.
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+ Luigi Negri
Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Abate di Pomposa
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Testo ufficiale con le note di richiamo QUI