«Se em algum lugar não te acolheram e não te ouviram, vá embora e sacuda a poeira sob seus pés"

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

«SE EM ALGUM LUGAR NÃO TE DERAM AS BOAS-VINDAS E NÃO TE ESCUTARAM, ANDATEVENE E SCUOTETE LA POLVERE SOTTO I VOSTRI PIEDI»

Nessun idealismo romantico dunque o nessun pauperismo leggendario, mas um estilo que permite que você olhe não tanto para si mesmo, mas para modelos que precisam chamar a atenção, ma che piuttosto indirizzi verso l’unico Signore, Jesus. Il centro non è il missionario, ma il Vangelo che egli annuncia, qual é: «Potenza di Dio». E segno particolare di questo stile è la fraternità.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Negli ultimi passati decenni in molteplici convegni, sui libri, negli articoli sfornati a iosa su riviste di pastorale la Chiesa si è molto interrogata sull’evangelizzazione, definita come missione o addirittura come nuova evangelizzazione. Un grande impegno è stato profuso nella ricerca di nuovi linguaggi o nello studio degli elementi della comunicazione e dello stile, sul come si predica o si possono rinnovare i contenuti della Parola. I risultati di questo sforzo sono ad oggi scoraggianti. È probabile che gli attori della pastorale nella Chiesa si siano troppo concentrati sul «cosa», il contenuto del messaggio, a discapito del «come», e cioè lasciando in ombra la testimonianza di vita? Ad ogni buon conto ben venga la pagina del Vangelo di questa XV domenica por um ano. Qui Gesù non si sofferma sui contenuti o da suggerimenti di tipo dottrinale, ma si concentra piuttosto sul «come» devono presentarsi gli inviati ad annunciare la Parola. Ecco la pericope evangelica:

"Naquela época, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». E eles, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano» (MC 6,7-13).

Arriva il tempo per il quale non si può solo ascoltare o imparare, ma si deve restituire quanto si è ricevuto. Jesus, che pure aveva subito una grossa sconfitta proprio fra i suoi compaesani e correligionari (MC 6,1-6), patendo la loro incredulità tanto da non poter operare alcun segno di potenza, non ha paura di affidare ai Dodici tutto quello che ha e che ha caratterizzato la sua missione fino a quel momento. Tutto ciò che è suo, ogni suo potere, passa ora di mano e viene affidato gratuitamente ai Dodici. Così si comprende l’insistenza di Marco nel dire che Gesù «incominciò, prese l’iniziativa» (ἤρξατο di MC 6,7) di mandare i Dodici a due a due. La novità di quanto accade nel Vangelo di oggi sta proprio in questo semplice gesto, ma tanto complicato, perché comporta, in un certo modo anche per Gesù, un distaccarsi dal proprio potere esclusivo.

é a primeira vez che Gesù coinvolge alcuni dei suoi nella missione, caricandoli di importanti responsabilità. Ha chiamato i discepoli per farli diventare pescatori di uomini (Mc 1,16ss.), ha percorso con loro diverse strade della Galilea; li ha difesi davanti ai farisei che li accusavano (MC 2,23-28) e infine tra questi ne ha scelti Dodici perché «stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni» (MC 3,13-19). Questi hanno sentito molti suoi insegnamenti, soprattutto le parabole sul Regno che Gesù annunciava e hanno visto molti atti di potenza da lui compiuti. Non hanno ancora dato prova di una grande fede (cf.. MC 4,40), ma Gesù deve comunque averli ritenuti pronti per la missione.

Ed Egli affida loro tre compiti precisi. Il primo è annunciare la conversione, ovvero il Vangelo del Regno. Ai discepoli viene così affidato lo stesso compito che Gesù ha svolto appena dopo aver preso la parola. I Dodici «predicavano che la gente si convertisse» (MC 6,12); in effetti come Gesù che all’inizio del suo ministero diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo» (MC 1,15). Il secondo compito dei discepoli è l’esercizio di autorità sugli spiriti impuri. E anche in questo caso assistiamo allo stesso schema dell’inizio della missione del Messia. Jesus, appena annunciata la conversione al Regno e chiamati i primi discepoli, compie proprio l’esorcismo su uno spirito impuro nella sinagoga di Cafarnao (MC 1,23). Infine sono inviati per guarire gli infermi. Gesù l’ha fatto varie volte all’inizio del suo ministero, partendo proprio dalla cerchia dei discepoli, guarendo la suocera di Pietro (MC 1,29-30). Agora, anche i Dodici possono ungere i malati e guarirli (MC 6,13).

Da questo si evince che nelle parole e nei gesti dei Dodici si riproduce esattamente e nell’ordine la missione che il Cristo ha portato avanti fino a quel momento. Le cose che Gesù diceva e faceva sono ora compiute e proferite dagli Apostoli. Si tratta del mistero della continuità tra la persona di Gesù Cristo e quello della Chiesa da questi fondata. Se Gesù non avesse voluto comunicare il dono che egli aveva o non fosse stato capace di farlo sarebbe stato ricordato come un grande predicatore o un terapeuta e la sua figura sarebbe stata probabilmente assimilata a quella dei vari profeti itineranti che percorrevano la Palestina di quel tempo. Ma non è stato così, poiché tutto quello che Egli aveva, a exousia (MC 6,7; cf.. 1,22.27; 2,10) di liberare dal male, guarire e predicare, da allora e ancora oggi circola nelle vene della comunità che porta il suo nome: a Igreja.

Come anche l’amara esperienza del rifiuto che ha caratterizzato il ministero del Messia. Può accadere anche ai Dodici, ai discepoli, di trovare la porta chiusa. Estes, che devono andare a due a due come prescritto dalla Legge, che richiedeva la testimonianza di almeno due persone (cf.. Dt 17,6), sanno sin dall’inizio della loro missione che qualcuno non li riceverà o non li ascolterà. La risposta sarà l’andarsene scuotendo la polvere dai calzari, a testimonianza per loro (MC 6,11). Scuotere il fango o la polvere da sotto i piedi era un gesto simbolico che ogni israelita compiva quando lasciava la terra pagana. Adesso diventa il gesto del discepolo non accolto, non un dispetto o un’offesa, ma un monito che sarà testimonianza di accusa nel giorno del giudizio. Il rifiuto, Mas, non ferma la Chiesa che annuncia. Dopo la Pasqua essa sarà capace di portare la Parola fino ai confini estremi della terra, annunciando non solo che il Regno è vicino, ma anche che Cristo è risorto.

E quanto alle direttive date da Gesù diciamo subito che esse non devono essere riprodotte tali e quali. Ci ricordano che la predicazione di Gesù ha come motivo conduttore una fede e un’opzione escatologica. Nel Nuovo Testamento queste indicazioni mutano a seconda del luogo geografico, del clima e della cultura in cui i missionari sono immersi. Possiamo immaginare che l’Apostolo Paolo avesse pagato le sue traversate in mare per annunciare il Vangelo (No 13,13) o che tenesse al suo mantello dimenticato a Troade in casa di Carpo, se lo richiese, insieme ai libri e alle pergamene (2Tim 4,13).

Nessun idealismo romantico dunque o nessun pauperismo leggendario, mas um estilo que permite que você olhe não tanto para si mesmo, mas para modelos que precisam chamar a atenção, ma che piuttosto indirizzi verso l’unico Signore, Jesus. Il centro non è il missionario, ma il Vangelo che egli annuncia, qual é: «Potenza di Dio» (RM 1,16). E segno particolare di questo stile è la fraternità.

Qoelet suggeriva che è «meglio essere in due che uno solo» (Qo 4,9). Essere in due dona saldezza alla parola detta, poiché nell’Antico Testamento, come già riferito, una testimonianza, per essere valida, si deve basare almeno su due testimoni (nm 35,30; Dt 17,6; 19,15). Andare insieme e non da soli è importante perché così si può vivere la relazione, la comunione e la carità. Lo stile comunitario, una relazione intessuta d’amore reciproco, è la migliore testimonianza che certifica la bontà del messaggio che si vuole comunicare e produce un cambiamento, sia nei missionari che annunciano, che forse sono chiamati a sopportarsi, ad accogliersi reciprocamente e a rispettarsi, sia in coloro che ricevono il messaggio. este, no fondo, è stato uno dei lasciti più significativi che il Signore Gesù ha dato ai suoi: «Disto todos saberão que sois meus discípulos: se você tem amor um pelo outro" (GV 13,35).

Do Eremitério, 13 julho 2024

 

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Caverna de Sant'Angelo em Maduro (Civitella del Tronto)

 

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Os Padres da Ilha de Patmos

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História e Evangelho. Quem não acredita em Deus e zomba dele acaba sempre acreditando em tudo

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

HISTÓRIA E EVANGELHO. QUEM NÃO ACREDITA EM DEUS E O FAZ SEMPRE ACABA ACREDITANDO EM TUDO

Quantas vezes nós, sacerdotes e teólogos, especialmente após o advento dos vários Códigos Da Vinci, mas acima de todos os deuses mídia social onde qualquer um pode ter um pódio para dissecar e divulgar os maiores absurdos, nós nos ouvimos dizer: «Você não é o narrador certo sobre Jesus Cristo e Nossa Senhora, visto que ela tinha outros filhos, tanto que o próprio Evangelho fala claramente de irmãos e irmãs?».

 

 

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Em poucos dias será lembrado com toda a retórica do caso a queda da Bastilha (14 julho 1789). Quando certos acontecimentos históricos se transformam em lendas, o fantástico substitui o real, esquecendo como a Revolução Francesa marcou o maior e mais violento banho de sangue da modernidade. Porém, se a lenda substitui a história, surge a imagem bucólica de um povo clamando por liberdade, igualdade, a fraternidade dá vida à grande Era do Iluminismo.

Qual conexão é executada entre a página do Santo Evangelho deste Décimo Quarto Domingo do Tempo Comum e certas páginas da história? Leiamos primeiro a perícope deste Evangelho:

"Naquela época, Jesus veio para sua terra natal e seus discípulos o seguiram. Sábado chegou, ele começou a ensinar na sinagoga. E muitos, audição, eles ficaram surpresos e disseram: “De onde vêm essas coisas?? E que sabedoria foi dada a ele? E as maravilhas como aquelas realizadas por suas mãos? Este não é o carpinteiro, filho de Maria, Irmão de Giacomo, de jesus, de Judas e Simão? E suas irmãs, eles não ficam aqui conosco?”. E foi uma fonte de escândalo para eles. Mas Jesus disse-lhes: “Um profeta não é desprezado exceto em seu próprio país, entre seus parentes e em sua casa”. E lá ele não poderia fazer nenhum milagre, mas ele apenas impôs as mãos sobre alguns enfermos e os curou. E ele ficou maravilhado com a incredulidade deles. Jesus caminhou pelas aldeias vizinhas, ensino" (MC 6, 1-6).

A encarnação da Palavra de Deus e o anúncio do Evangelho eles entram na história da humanidade, do qual faço parte. Sem perspectiva e conhecimento histórico não é possível compreender o acontecimento cristológico de Jesus, verdadeiro Deus e verdadeiro homem, portanto, os grandes mistérios da fé, nem será possível distinguir o verdadeiro do falso e compreender por que certas falsidades ganharam vida na forma das chamadas lendas negras.

A Revolução não foi feito pelo povo, que foi explorado, usado e abusado naquela e em outras ocasiões históricas; foi a nobreza quem fez isso, especialmente as classes da nova burguesia. Assim, depois de ter cortado a cabeça de um rei que, para o bem ou para o mal, vinha de uma dinastia milenar, os acontecimentos obrigaram os franceses a colocar a coroa imperial na cabeça de um cabo corso nascido em uma família de origem italiana; que, além disso, colocou ele mesmo na cabeça, depois de tirá-lo das mãos do Sumo Pontífice Pio VII, forçado, por razões políticas e em prol da paz prestar-se como figurante do drama egocêntrico encenado na catedral de Notrê Dame em 2 dezembro 1804, antes de acabar capturado em Roma em 1809 e se exilou em Fontainebleau até 1815. Napoleão já havia feito capturar o Sumo Pontífice Pio VI, deportado para Valence-sur-Rhône em 1798, onde ele morreu 1799.

No espaço de apenas dez anos, entre o final do século XVIII e o início do século XIX, dois Sumos Pontífices foram capturados e deportados para o exílio. São páginas da nossa história moderna, Mas ainda, se trocarmos algumas palavras com o público em geral, descobriremos que certos eventos são desconhecidos das massas, incluindo os nossos fiéis católicos. O que é mais do que compreensível, se considerarmos que nos últimos dias os exames finais terminaram com a promoção de alunos que afirmaram que a Divina Comédia foi escrita por Giuseppe Garibaldi e que Roma foi fundada por Cristóvão Colombo.

Antes, durante e depois da Revolução uma fúria destrutiva foi desencadeada contra tudo o que era cristão e sagrado. A religiosidade foi relegada a um conjunto de ritos irracionais e supersticiosos usados ​​pelos sacerdotes em suas mesas de conjuração para manter o povo admirado.. Estruturas religiosas inteiras foram saqueadas e um património extraordinário de arte e cultura foi irreparavelmente perdido, com cabeças decepadas sob a fúria revolucionária jacobina..

Os resultados de tudo esta não demoraram muito para se fazerem ouvir e nos anos imediatamente seguintes a esse acontecimento houve um grande aumento de analfabetos em França, de superstições e práticas esotéricas como nunca antes visto. Na verdade, quando o homem deixa de acreditar em Deus e o rejeita, às vezes de forma zombeteira, outros até violentos, ele então acaba acreditando em tudo. Algo de que a Revolução foi um paradigma eloquente e trágico na nossa modernidade.

No período revolucionário, seguido pelo napoleônico, a fim de erradicar a religiosidade e o sentimento religioso das populações, um exército de pseudo-estudiosos começou a fazer estudos críticos sobre as Sagradas Escrituras, com os resultados bem conhecidos que pessoas arrogantes e ignorantes podem produzir: entender mal devido à falta parcial ou muitas vezes total de conhecimento. Data desses anos a circulação de muitas lendas negras anticristãs e anticatólicas, com as quais se pretendia desmascarar as falsidades dos padres e da Igreja.. Portanto, se por um lado havia estudiosos autoproclamados que, independentemente da existência de fontes históricas judaicas e romanas detalhadas, afirmavam que Jesus Cristo nunca existiu e que a sua era uma figura inventada, por outro lado, houve aqueles que tentaram usar os próprios Evangelhos para espalhar falsidades sensacionais, uma delas era que ele tinha irmãos e irmãs, nada além da imaculada concepção de Maria! Tudo - afirmaram em tom triunfal - foi testemunhado pelos próprios Evangelhos, embora o canalha clerical sempre tenha trabalhado para manter as pessoas nas trevas da ignorância e esconder essas verdades inconvenientes, antes que as guilhotinas operando 24 horas por dia finalmente trouxessem as luzes da razão, porque quem não pensasse de acordo com a luz de certas luzes tinha a cabeça decepada na praça.

Quantas vezes nós, sacerdotes e teólogos, especialmente após o advento dos vários Códigos Da Vinci, mas acima de todos os deuses mídia social onde qualquer um pode ter um pódio para dissecar e divulgar os maiores absurdos, nós nos ouvimos dizer:

«Você não é o narrador certo sobre Jesus Cristo e Nossa Senhora, visto que ela tinha outros filhos, tanto que o próprio Evangelho fala claramente de irmãos e irmãs».

Aqueles que conhecem a língua hebraica e a cultura da antiga Judéia, dentro do qual Jesus nasceu, ele sabe que naquele mundo o conceito de pertencer a uma família ou tribo era tão forte que todos faziam parte dela: primo, Tio, Neto, cunhado... era considerado um “irmão/irmã” de todos os outros membros e indicado como tal. Na cultura e na língua da época não existiam termos que indicassem primos dos diversos graus. Portanto, João Batista, filho de Zacarias e Isabel, quem era primo materno de Jesus, pode ser chamado de irmão.

Diante dessa explicação alguns objetaram que Elizabeth é indicada como prima de Maria. sim, mas na tradição e no Pietas popular, não nas crônicas históricas dos Santos Evangelhos que confiam a história da "visitação" ao Beato Evangelista Lucas (LC 1,39-56). Portanto, diga que Jesus tinha irmãos e irmãs, isso não indica de forma alguma descendência trazida ao mundo pela mesma mãe, com todo o respeito aos vários blogueiros que garantem a revelação dessas terríveis verdades mantidas escondidas pela Igreja para 2000 anos, isto é, que o filho de Maria tinha outros irmãos e irmãs. Tudo isto prova que quando o homem deixa de acreditar em Deus e o rejeita, às vezes de forma zombeteira, outros até violentos, ele então acaba acreditando em tudo e em todos, pelos autores dos fantasmas Códigos até o último blogueiro anônimo que publica bobagens na Internet.

Também não faltaram estudiosos que se autodenominavam e nem é preciso dizer que descobridores e divulgadores de verdades mantidas escondidas pelos padres e pela Igreja, que destacou que Jesus também era chamado de “Primogênito”, prova e prova de que ele seria o primeiro, mas não o único filho. Neste caso, bem como a cultura judaica, A arqueologia egípcia também chega até nós: num antigo túmulo foi descoberta a inscrição comemorativa de uma mulher falecida que «morreu durante o parto ao dar à luz o seu filho primogénito». Se ela tivesse morrido ao dar à luz seu primogênito, é evidente que ela não conseguiu dar à luz qualquer outro segundo filho. Talvez fosse uma inscrição com um esclarecimento absurdo e sem sentido? Não, o esclarecimento foi sensato e a primogenitura foi indicada porque o primogênito gozava de direitos e tantos deveres, incluindo a autoridade que ele herdaria de seus pais. É o primogênito quem tem direito ao título e autoridade que lhe foram transmitidos pelos pais.

Assim como as pessoas que rejeitam a Deus eles então acabam acreditando em tudo, até cair na superstição e no ocultismo, esta página do Santo Evangelho também retrata aqueles que só acreditam nas coisas superficiais que seus olhos veem, sem a capacidade de ir mais longe para ver mais profundamente com os olhos da alma. Tudo está resumido nessas frases:

«“De onde vêm estas coisas?? E que sabedoria foi dada a ele? E as maravilhas como aquelas realizadas por suas mãos? Este não é o carpinteiro, filho de Maria, Irmão de Giacomo, de jesus, de Judas e Simão? E suas irmãs, eles não ficam aqui conosco?”. E foi uma fonte de escândalo para eles." (MC 6, 1-6).

Estas são perguntas típicas de quem fecha toda possibilidade de diálogo e de encontro com o novo que Deus sempre nos reservou com a frase: «Sempre foi feito assim!». Isso é importante para as mentes mesquinhas de ontem e de hoje, Não se trata de “fazer bem”, mas de “sempre foi feito assim”. Esta atitude impede-nos de compreender e mergulhar na dimensão do extraordinário, do transcendente e do metafísico escondido na aparência do comum. Por esta razão “ele não poderia fazer nenhum milagre ali”, porque na base de cada um dos seus sinais está o milagre da fé do homem que os realiza através do livre exercício da sua vontade, que é o dom supremo de Deus. Não Aleatório, milagres realizados, Jesus dispensou as pessoas que ele curou com a sentença: "Ir, a tua fé te salvou ". Porque esse foi o verdadeiro milagre: o milagre da fé que nasce da abertura a Cristo e que nos cura da lepra e da cegueira daquele pecado que nos torna aleijados, se não pior: morto-vivo.

A frase "Um profeta não é desprezado exceto em seu próprio país" é um paradigma que vai além da dimensão geográfica de Nazaré, local de nascimento de Jesus, cuja pátria é o mundo inteiro, da qual ele é a luz. Este é o mesmo mundo que não o reconheceu e não o acolheu, conforme narrado no Prólogo do Evangelho do Beato João Evangelista:

Ele estava no mundo,

e o mundo foi feito através dele,

mas o mundo não o reconheceu.

Ele veio entre seu povo,

mas seu povo não o acolheu.

Mas para aqueles que o acolheram,

deu poder para se tornarem filhos de Deus:

para aqueles que acreditam em seu nome,

que não dão sangue,

nem por desejo de carne,

nem pela vontade do homem,

mas eles foram gerados por Deus.

E a Palavra se fez carne

e ele habitou entre nós;

e vimos a sua glória,

glória como do unigênito do Pai,

cheio de graça e verdade (GV 1, 10-14).

A partir disso deve-se entender que o Santo Evangelho é um texto harmonioso do qual não é possível extrapolar meias frases e depois manipulá-las para dizer o que a Sagrada Escritura não diz. O Santo Evangelho não é letra morta, mas Palavra viva de Deus inserida na história do homem, na qual nasceu neste mundo o Verbo de Deus feito homem.. E Jesus Cristo foi um fenômeno histórico tão extraordinário que hoje o calendário divide os anos das eras históricas indicando-os como: antes de Cristo e depois de Cristo. É muito perigoso não conhecer ou eliminar o elemento histórico da experiência cristã de dois mil anos, abrindo assim as portas à ignorância e correndo o sério risco de não ter nenhuma experiência de fé, caindo, se tudo correr bem, no mais esquálido fideísmo.

No século XIV tivemos um gigante como São Bernardino de Siena que não hesitou em lançar trovões e relâmpagos contra os crédulos que veneravam a relíquia da ampola contendo o leite da Bem-Aventurada Virgem Maria:

"É que você quer, Eu digo que você não gosta destas coisas a Deus estes. Como leite da Virgem Maria. Ou mulheres, onde você está? E da mesma forma que você, homens capazes, vedesene mai? Você sabe que deveria estar mostrando relíquias: v'aviate não fé [...] Talvez ela era uma vaca da Virgem Maria, ela teve seu lassato leite, como solta as feras, você lassano mugnare? Eu tenho essa opinião: isto é, que ela tinha tanto leite, nem mais nem menos, o suficiente para que Bochina Jesu Cristo abençoado " (San Bernardino de Siena Devoções hipócritas, dentro: Baldi. Romances e exemplos morais de S. Bernardino de Siena, Florença, 1916).

Hoje, porém, temos uma Gospa que se autodenomina que há quarenta anos fala banalidades a um pequeno grupo de empreendedores astutos que fingem ser videntes. E, enquanto tudo está acontecendo, em nosso circo equestre não temos mais a sombra de um São Bernardino de Siena pronto para lançar trovões e relâmpagos contra os simples ingênuos, mas sobretudo contra aqueles que se sentem autorizados a enganá-los. E se existisse entre nós um San Bernardino da Siena capaz de gritar a verdade, na melhor das hipóteses, nós o acusaríamos de ser agressivo e divisivo, porque afinal... «sempre foi feito assim!». Assim como se Cristo tivesse vindo a este mundo para agradá-lo e agradá-lo, em vez de lutar contra isso:

«Não penseis que vim trazer a paz na terra; não vim trazer paz, mas a espada " (MT 10, 34).

A perícope do Santo Evangelho deste domingo contém muito mais do que você imagina, nas linhas e atrás das linhas. Por causa disso, no final da leitura, Digamos: «Palavra de Deus», e damos graças a Deus!

 

Da ilha de Patmos, 6 julho 2024

 

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Os Padres da Ilha de Patmos

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«O vento está assobiando e a tempestade está forte …» e enquanto isso Jesus estava dormindo

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

«O VENTO ASSOBIA E A TEMPESTADE SE AUMENTA … » E ENQUANTO JESUS ​​​​estava dormindo

«Porque você está com medo? Ainda não tendes fé?». Para aqueles que acreditam, Não há nada a temer, porque tudo funciona para o bem, se você ama a Deus; até as tempestades da vida. Apenas, o medo muitas vezes prevalece e quando isso acontece todos nós nos descobrimos como pessoas desanimadas.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Eu conheci um bom padre que quando alguém, por ocasião de uma morte, pedia-lhe uma frase para gravar numa lápide ou colocar num cartão de memória, sempre sugeria esta do Evangelho de hoje: «A noite chegou, Jesus disse: Vamos para a outra margem". Muitos recordam a meditação do Papa sobre esta passagem evangélica durante a pandemia, a 27 marchar 2020, em uma Roma deserta e na Praça de São Pedro. Ou as palavras do antecessor, Papa Bento XVI, anúncio Auschwitz:

«Onde estava Deus naqueles dias? Porque Ele ficou em silêncio? Como ele poderia tolerar esse excesso de destruição, este triunfo do mal?».

De fato existem momentos na vida de pessoas, ou história, em que Deus parece ausente e descuidado com os homens. Isto é o que acontece no Evangelho de hoje, quando os discípulos, com medo da tempestade, eles disseram a Jesus: "Maestro, nós não importa?» (MC 4,38). Aqui está a passagem do Evangelho deste domingo:

"Naquele dia, a noite chegou, Jesus disse aos seus discípulos: “Vamos para a outra margem”. E, a multidão dispensou, eles o levaram com eles, como era, No barco. Havia também outros barcos com ele. Houve uma grande tempestade de vento e as ondas estavam rolando para dentro do barco, tanto que agora estava cheio. Ele estava parado na popa, no travesseiro, e dormi. Então eles o acordaram e disseram a ele: "Maestro, você não se importa que estejamos perdidos?”. Ele acordou, ele ameaçou o vento e disse ao mar: "Ela chorou, calma!”. O vento parou e houve uma grande calmaria. Então ele disse-lhes:: “Porque você está com medo? Ainda não tendes fé?”. E eles ficaram cheios de grande medo e falaram uns com os outros: “Quem então é esse?, que até o vento e o mar lhe obedecem?"» (MC 4,35-41).

O episódio evangélico Acontece no final de um dia que Jesus dedicou à pregação, enquanto está sentado em um barco perto da costa (cf.. MC 4,1-34). Mas quando chega a noite ele decide atravessar para a outra margem do Mar da Galiléia, deixando a terra de Israel, ir em direção a uma região habitada por pagãos, os gerasenos. Ele provavelmente quer anunciar a misericórdia de Deus também ao povo, ele quer lutar contra Satanás e tirar seu terreno mesmo naquela terra estrangeira e profana. Esta é a razão que move Jesus. Muitos comentaristas viram as semelhanças entre este episódio e a história de Jonas.: chamado por Deus para ir a Nínive, símbolo da cidade do povo pagão, ele foge e caminha na direção oposta (Gião 1,1-3). Jesus, em vez de, enviado por Deus, ele vai entre os pagãos. Ele, portanto, aparece como um Jonas ao contrário: não relutante, mas missionário para com os pagãos e obediente a Deus. Em qualquer caso, Jonas e Jesus são dois missionários da misericórdia divina, e ambos pregam isso com grande custo: descendo no vórtice das águas e enfrentando a tempestade (Gião 2,1-11), pois só atravessando-o o mal pode ser vencido. E Jesus dirá que somente o sinal de Jonas será dado à sua geração (cf.. MT 12,39-41; 16,4; LC 11,29-32), desde que os pagãos se converteram ouvindo-o. Mas Nele também há “mais do que Jonas” (MT 12,41), antecipando assim que após sua descida às águas escuras e profundas da morte ele seria ressuscitado para viver para sempre.

Os discípulos, assim, eles começam a travessia do lago, «levando Jesus consigo». Esta é uma expressão estranha, porque geralmente é Jesus quem leva consigo os discípulos (cf.. MC 9,2; 10,32; 14,33). Mas pelo que dissemos antes, é possível que no fundo esteja também a situação de uma comunidade cristã à qual Marcos se dirige, talvez a própria igreja de Roma, a pequena comunidade cristã na capital do império, que teme a tempestade e permanece contido pelo medo, tanto a ponto de impedir esses cristãos de missões aos pagãos. Então Marcos os convida a não temerem a saída missionária, ele os encoraja a compreender as provações que os aguardam conforme necessário; provações e perseguições em que Jesus, a vida, não dorme: "Em verdade vos digo:: não há ninguém que tenha abandonado casa, ou irmãos, ou irmãs, ou mãe, ou pai, ou filhos, ou campos, por minha causa e por causa do Evangelho, que ele ainda não recebeu agora, Neste momento, cem vezes mais em lares e irmãos e irmãs e mães e filhos e campos, junto com perseguições, e a vida eterna no futuro" (MC 10, 29-30).

É assim também que o sono de Jesus pode ser entendido. Sabemos que seu dia de pregação foi longo e provavelmente tão cansativo que ele sentiu necessidade de descansar e adormeceu.. Esta intenção é frustrada pelo despertar abrupto por parte dos discípulos, não muito gracioso na versão marciana, porque entretanto surgiu uma tempestade que, ao agitar as ondas que atingiam o barco, arriscava afogá-lo. Além disso, é noite, a hora da escuridão que inspira medo. E depois há o mar que na Bíblia representa o grande inimigo, o reino do grande abismo (cf.. Vontade 107,23-27); somente Deus o derrotou quando tirou seu povo do Egito (cf.. É 14,15-31).

"Maestro, Você não se importa que estejamos perdidos?». Essa forma de se expressar já é eloquente: eles o chamam de mestre (didáskalos), com palavras contundentes eles contestam sua inércia e seu sono. Palavras que na versão de Mateus se tornarão uma oração: «Senhor (Kyrios) selvagem, estamos perdidos!» (MT 8,25); e em Luca é uma ligação: "Maestro, maestro (epistatistas), estamos perdidos!» (LC 8,24).

Até de Deus, Pode parecer estranho, na Bíblia diz que ele dorme: "Acordar, por que você está dormindo, homem? Acordar, Não nos rejeite para sempre" (Vontade 44,24), são as palavras do salmista, quando ele se encontra em sofrimento e provação. Isaías também clama ao Senhor «Acorda, acordar, revestido de força, Ó braço do Senhor. Acorde como nos velhos tempos, como entre as gerações passadas" (É 51,9). Como é possível que Deus durma?

Há um antigo ditado dos filósofos chegou até nós através da formulação de Erasmo de Rotterdam: Eu fiz um naufrágio, você navegou bem, Eu naufraguei, mas naveguei bem. Isso nos lembra que a crise, em forma de tempestade, alcança qualquer um, qualquer navegador passando pela vida; e pode aproveitar inesperadamente e surpreender, às vezes não há como contornar isso.

Voltando por um momento parae semelhanças mas também às disparidades entre o episódio evangélico e a história de Jonas, notamos que o profeta hesitante não se importa com os habitantes de Nínive. Jesus, pelo contrário, com um milagre ele responde às palavras sinceras dos discípulos: «Você não se importa que morramos?». Ele clama ao mar e os salva. Tem um comentário lindo, muito profundo, a este episódio evangélico de Santo Atanásio: «Eles despertaram a Palavra, quem estava no barco com eles, e imediatamente o mar se acalmou" (Carta 19.6). O mundo foi criado com a Palavra: «Deus disse: «as águas que estão sob o céu, deixe-os se reunir em um só lugar e deixe a secura aparecer" (Geração 1,9), e agora Jesus com a sua palavra recompõe esse equilíbrio entre o mar e a terra. Ele repete o milagre narrado no salmo: «Você dividiu o mar com poder, você esmagou as cabeças dos dragões nas águas" (Vontade 74,13). «Despertaram a Palavra», aquele que eles ouviram o dia todo e agora, na hora escura, ela parece cochilando e silenciosa. Mas a palavra de Jesus é um poder ativo, ouvimos isso no Evangelho do domingo passado: «Durma ou acorde, à noite ou durante o dia, a semente germina e cresce". Deus se importa conosco.

A cena termina com o convite de Jesus à fé: «Porque você está com medo? Ainda não tendes fé?». Para aqueles que acreditam, Não há nada a temer, porque tudo funciona para o bem, se você ama a Deus; até as tempestades da vida (RM 8,28). Apenas, o medo muitas vezes prevalece e quando isso acontece todos nós nos descobrimos como pessoas desanimadas. Mas o espanto prevalece sobre o perigo que foi escapado e os discípulos se perguntam quem é Jesus. As palavras que ele disse até agora no evangelho de Marcos, os milagres que ele realizou ao curar e libertar os possuídos, Não sou nada comparado a um milagre tão grande envolvendo a natureza, a própria criação. Teremos que esperar, Mas, o fim do Evangelho para saber quem é Jesus. Mas também sabemos agora que Ele é o Cristo ressuscitado e glorioso que nos fala através do Evangelho. Por que então o medo? Santo Agostinho escreveu:

«Se houver fé em nós, Cristo está em nós [...] A presença de Cristo em seu coração está ligada à fé que você tem nele. Este é o significado de ele dormir no barco: os discípulos estando em perigo, agora à beira de afundar, eles se aproximaram dele e o acordaram. Cristo surgiu, ele comandou os ventos e as ondas, e houve uma grande calma. E’ o que acontece dentro de você: enquanto você navega, enquanto você atravessa o mar tempestuoso e perigoso desta vida, os ventos te penetram; os ventos sopram, as ondas sobem e balançam o barco. Quais ventos? Você recebeu um insulto e ficou com raiva; o insulto é o vento, raiva é a onda; você está em perigo porque está prestes a reagir, você está prestes a devolver ferimento por ferimento e o barco está prestes a afundar. Desperte Cristo que dorme… Desperte Cristo que dorme no barco está, assim, abalar a fé..." (Santo Agostinho, Comentário ao Evangelho de João, 49/19).

Trata-se então de despertar aquela fé que nos permite fazer nossas as palavras do salmista: «O Senhor é minha luz e minha salvação, quem vou temer? O Senhor é a defesa da minha vida, de quem terei medo??» (Vontade 27,1); não sucumbir ao medo: «Na hora do medo eu confio em você» (Vontade 56,4).

«Em perigo clamei ao Senhor: ele me respondeu, o senhor, e me salvou. O Senhor é por mim, Eu não tenho medo: o que um homem pode fazer comigo? O Senhor é por mim, ele é minha ajuda, e desprezarei meus inimigos" (Vontade 118, 5-7); não temer nenhum mal: «Mesmo que eu passe por um vale escuro, Eu não temo o mal, porque você está comigo" (Vontade 23,4).

Do Eremitério, 23 junho 2024

 

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Os Padres da Ilha de Patmos

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Aquela Palavra de Deus que liberta o homem da ansiedade mundana da conversa estéril e da busca frenética pelo sucesso

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

QUELLA PAROLA DI DIO CHE SOTTRAE L’UOMO ALL’ANSIA MONDANA DELLE STERILI CHIACCHIERE E DELLA SPASMODICA RICERCA DEL SUCCESSO

Il disegno di Dio si compie sempre, muito além das nossas previsões e da nossa impaciência, como ele já havia declarado através do profeta: «La Parola uscita dalla mia bocca non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata»

 

 

 

 

 

 

 

 

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No santo evangelho di questa XI domenica del tempo ordinario (ano B) Gesù pronuncia un lungo discorso in parabole che rivolge sia ai discepoli che alle folle richiamate dalla sua predicazione sul Regno veniente:

"Naquela época, Gesù diceva [alla folla]: “Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, à noite ou durante o dia, il seme germoglia e cresce. Venha, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, então a orelha, então o grão cheio na espiga; e quando a fruta está madura, imediatamente ele envia a foice, perché è arrivata la mietitura”. Ele disse: “A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando semeado no solo, é a menor de todas as sementes que estão no solo; mãe, quando é semeado, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”. Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, em privado, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa» (MC 4,26-34).

All’apparenza enigmatico, il linguaggio metaforico delle parabole adoperato da Gesù è il suo modo privilegiato di rivolgersi a tutti, di seminare quel seme della Parola (MC 4, 14) che può diventare «mistero» per alcuni, coloro che lo seguono più da vicino, che usufruiscono delle sue spiegazioni. Ma altri, che pure «potevano intendere», sono destinati a rimanerne fuori (cf.. «exo», dentro MC 3,31-32; 4,11), perfino i parenti più stretti di Gesù: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole».

Gesù parla in parabole perché gli ascoltatori modifichino il loro modo di pensare e diventino capaci di accogliere il nuovo che Egli sta annunciando, in termini di cambiamento del modo di vivere, di sentire, giudicare e operare. Lo fa cogliendo esempi alla portata di tutti o insospettabili paragoni, manifestando una non comune capacità di osservazione del reale e una conoscenza dell’uditorio che solo a tratti si meraviglia della incredulità o incapacità di cogliere l’aspetto nascosto del suo predicare. Nella pericope evangelica di questa domenica, dopo aver pronunciato la parabola del seminatore, spiegata in seguito ai soli discepoli come semina della Parola di Dio (MC 4,1-20), e i due brevi detti, uno sulla lampada «che viene» per essere vista e l’altro sulla misura dell’ascolto (MC 4,21-25), Gesù narra due ultime parabole che vogliono attestare l’efficacia della Parola seminata. O primeiro, presente solo in Marco, afferma che:

«Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, à noite ou durante o dia, il seme germoglia e cresce. Venha, egli stesso non lo sa».

Gesù parla nuovamente del seme, un elemento che lo intrigava e sul quale aveva molto meditato. Il seme è sempre qualcosa che rimane dal raccolto precedente: è il frutto di una pianta che, coletado, secca e sembra morto. Ma se viene piantato, allora nella terra marcisce, si disfa e scompare; em realtà, Mas, genera vita, che diventa un germoglio, poi una pianta, e alla fine apparirà nei suoi frutti abbondanti, addirittura come una moltiplicazione e una trasformazione dell’originario singolo seme. Per questo motivo la vicenda del seme, nelle parole di Gesù, è adatta ad esprimere il mistero del Regno.

La venuta del regno di Dio, il suo apparire, è infatti paragonata da Gesù al processo agricolo che ogni contadino conosce bene e che vive con attenzione e premura: semina, nascita del grano, crescimento, formazione della spiga e maturazione. Di fronte a tale sviluppo, occorre meravigliarsi, rimirando la virtualità celata in quel piccolo seme seccato, che appare addirittura morto. Così è il regno di Dio: piccola realtà, con in sé una potenza misteriosa, silencioso, irresistibile ed efficace, che si dilata senza che noi facciamo nulla. Seminato il seme il contadino non ne ha un controllo speciale, sia che dorma o vegli per andare a controllare ciò che accade, la crescita non dipende più da lui. Pelo contrário, se il contadino volesse misurare la crescita e andasse a verificare cosa accade al seme sotto terra, minaccerebbe fortemente la nascita e la vita del germoglio.

Ecco allora l’insegnamento: occorre meravigliarsi del Regno che si dilata sempre di più, anche quando noi non ce ne accorgiamo e di conseguenza occorre avere fiducia in esso e nella sua forza. E il seme è la Parola che, seminata dall’annunciatore, darà frutto anche se lui non se ne accorge, né può verificare il processo: di questo deve essere certo. Sem ansiedade, ma solo sollecitudine e attesa; nessuna angoscia di essere sterili nel predicare: se il seme è buono, se la parola predicata è Parola di Dio essa darà frutto in modo insospettato.

Di seguito Gesù propone un’altra parabola, ancora su un seme, ma questa volta di senape:

“É como um grão de mostarda que, quando semeado no solo, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno».

Il Regno è una realtà piccolissima, così come piccolissima era la presenza di Dio tra gli uomini in quell’uomo che era Gesù, da quel minuscolo villaggio di Nazareth Egli percorre le strade di una porzione terra, con un limitato gruppo di discepoli. Eppure questo piccolo seme donato alla nostra umanità diventa un albero grandissimo. Tutto questo in un modo misterioso che chiede semplicemente di accogliere il seme, di custodirlo in un cuore che attende. Non a caso Gesù parla in questa sua parabola solo della semina, mentre tace su tutto il lavoro che viene dopo per far crescere il seme. Tralascia tutto questo non perché non sia importante, ma vuole offrirci la lezione precisa sul fatto che il Regno cresce comunque e non sono gli uomini a dare forza alla sua Parola, né possono fermare la vita che porta in sé. Di nuovo richiama i discepoli a lasciare ogni ansietà per abbandonarsi a questo dono:

«…Viene seminato, ela cresce e se torna maior do que todas as plantas do jardim e faz galhos tão grandes que os pássaros do céu podem fazer seus ninhos em sua sombra ".

Così l’idea efficace di Gesù che paragona il Regno al seme, la quale aveva già le sue radici bibliche in quell’albero intravisto da Daniele, simbolo del regno universale di Dio (cf.. Dn 4,6-9.17-19), permane nell’immaginario dei futuri missionari della primissima generazione cristiana. Paolo ricorda che la Parola di Dio può sembrare piccola cosa, rivestita com’è di parola umana, fragile e debole, messa in bocca a uomini e donne semplici, non intellettuali, non saggi secondo il mondo (cf.. 1CR 1,26). Eppure essa è: «Potenza di Dio» (RM 1,16). Ma di un’efficacia non mondana, non misurabile in termini quantitativi, perché la Parola del Signore è: «Parola della croce» (1CR 1,18).

L’Apostolo Pietro sottolinea nel suo scritto che quella stessa Parola diventa un seme di vita immortale e fonte di amore:

«Amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, rigenerati non da un seme corruttibile ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio viva ed eterna» (1PT 1,23).

La rivelazione dell’efficacia della Parola di Dio è decisiva per cristiani, perché li sottrae alle ansie mondane del risultato e del successo. Il disegno di Dio si compie sempre, muito além das nossas previsões e da nossa impaciência, como ele já havia declarado através do profeta:

«La Parola uscita dalla mia bocca non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (É 55,11).

 

Do Eremitério, 15 junho 2024

 

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Caverna de Sant'Angelo em Maduro (Civitella del Tronto)

 

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Os Padres da Ilha de Patmos

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O Pentecostes dos “chamados ao lado” como defensores, salvador e consolador

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

O PENTECOSTES DO «CHAMADO AO LADO» COMO DEFENSOR, SALVADOR, CONFORTO

Os Evangelhos Sinópticos dizem que Jesus falou do Espírito Santo, desceu sobre ele no batismo, ele então prometeu isso como um presente aos discípulos, em particular para a hora da perseguição, quando o Espírito será sua verdadeira defesa: falando com eles e ensinando-lhes o que precisa ser dito.

 

 

 

 

 

 

 

 

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O lecionário da Igreja italiana presentes para neste Domingo de Pentecostes duas passagens tiradas do Quarto Evangelho que na verdade são construções um tanto artificiais, pois são compostos de versos pertencentes a diferentes contextos. Neste ano B o texto é composto por dois versículos onde Jesus promete aos discípulos o Espírito Santo (GV 15,26-27) e por outros quatro nos quais especifica a ação do mesmo Espírito nos tempos da Igreja (GV 16,12-15). Jesus pronuncia estas palavras enquanto ainda está à mesa com seus discípulos depois de lhes lavar os pés (cf.. GV 13,1-20) e comunica palavras de despedida, porque “chegou a hora de passar deste mundo para o Pai” (GV 13,1). Aqui está a passagem evangélica da Solenidade:

Pentecostes, afresco de Quirino De Ieso (1999)

"Naquela época, Jesus disse aos seus discípulos: «Quando o Paráclito vier, que eu vos enviarei da parte do Pai, o Espírito da verdade que procede do Pai, ele dará testemunho de mim; e você também testemunha, porque você está comigo desde o começo. Eu ainda tenho muitas coisas para te contar, mas no momento você é incapaz de suportar o fardo. Quando ele vem, o Espírito da verdade, ele irá guiá-lo para toda a verdade, porque ele não vai falar por si mesmo, mas ele falará tudo o que ouvir e lhe contará as coisas que estão por vir. Ele vai me glorificar, porque ele tirará do que é meu e vo-lo declarará. Tudo o que o Pai tem é meu; por isso eu disse que ele tirará do que é meu e anunciará a você" (GV 15,26-27; 16,12-15).

Os Evangelhos Sinópticos eles dizem que Jesus falou sobre o Espírito Santo, desceu sobre ele no batismo (cf.. MC 1,10), ele então prometeu isso como um presente aos discípulos, em particular para a hora da perseguição (cf.. MC 13,11 e par.), quando o Espírito será sua verdadeira defesa: falando com eles e ensinando-lhes o que precisa ser dito. Encontramos a mesma promessa no Evangelho segundo João (cf.. GV 14,26-27). Virá Paráclito (suplicante) um termo que não é imediatamente compreensível, o significado do que é: «o próximo chamado» como defensor, salvador e consolador. O Espírito santificador que Jesus, ascendeu ao Pai, enviará. Então o Espírito dará testemunho de Jesus, assim como os próprios discípulos farão, que estão com ele desde o início de sua missão. Esta é a função decisiva do Espírito Santo que, como ele foi o "companheiro inseparável de Jesus" (Basílio de Cesaréia), depois que Jesus o enviou da sua glória para o Pai, torna-se o companheiro inseparável de todo cristão.

Ele é aquele sopro de Deus que Jesus sopra sobre os discípulos depois da ressurreição e a própria vida de Deus, que é também de Jesus, torna-se vida nos discípulos e torna-os suas testemunhas. Produzir-se-á uma sinergia entre o testemunho do Espírito e o dos discípulos. E isso em relação a Cristo. Mesmo quando os homens sentem que os cristãos são estranhos, nas perseguições ou hostilidades sofridas pelo mundo, no poder do Espírito, os cristãos continuarão a dar testemunho de Jesus.

Pentecostes então é a plenitude da Páscoa. Com ela a Igreja celebra o dom do Espírito, por um lado recorda o que Deus já fez em Jesus de Nazaré e por outro invoca o que ainda não aconteceu, isto é, a extensão universal e cósmica das energias de vida e salvação implantadas pelo próprio Deus na ressurreição de Jesus. Pentecostes é simultaneamente celebração e invocação. A primeira leitura da solenidade de hoje (No 2,1-11) mostra o Espírito em seu aspecto de dom do alto que torna os discípulos capazes de comunicar as grandes ações de Deus nas línguas dos homens. É uma abertura às línguas e habilidades de comunicação de outras pessoas. O Espírito está, portanto, na origem de uma missão que é ao mesmo tempo de inculturação, para chegar ao outro onde ele está; e deculturação correspondente, para não anunciar como Evangelho o que é simplesmente cultura. Assim como diz a Escritura:

«O espírito do Senhor enche o universo e, abraçando tudo, conhece todas as vozes" (cf.. Seiva, 1,7).

A segunda leitura apresenta os frutos do Espírito. Aquele que é invisível torna-se reconhecível pelos frutos que produz no homem se acolhe a sua presença. O Espírito com a sua “habitação” faz com que o homem deixe de ser uma individualidade fechada e autorreferencial, Paulo alude a isso quando fala de “satisfazer os desejos da carne” (Garota 5, 16-21); estar aberto ao relacionamento com os outros e com Deus. Paulo afirma: «O fruto do Espírito, porém, é o amor, gioia, ritmo, magnanimidade, benevolência, bondade, fidelidade, suavidade, autocontrole… Portanto, se vivermos pelo Espírito, andemos também segundo o Espírito" (Garota 5, 22.25). Assim o Espírito molda o rosto do crente à imagem do rosto de Cristo, guiando-o no caminho da santidade: fruto do Espírito é o homem santo.

Na segunda parte da passagem evangélica de hoje Jesus diz mais algumas palavras sobre este sopro divino que é o Espírito. Ele tem consciência de ser o revelador do Pai, como afirma o prólogo joanino: "Deu, ninguém o viu: Filho único, que é Deus e está no Pai, é ele que O deu a conhecer " (cf.. exegese Do GV 1,18, o grego explicador). Fê-lo com acontecimentos e palavras e sobretudo amando o seu povo até ao fim (cf.. GV 13,1), mas ele também sabe que poderia ter dito muito mais coisas. Jesus nos alerta que há uma iniciação progressiva no conhecimento de Deus, um crescimento neste mesmo conhecimento, que não pode ser dado de uma vez por todas. Desta forma o discípulo aprende a conhecer o Senhor todos os dias da sua vida, «do começo ao começo, para começos que nunca terminam" (cf.. Gregório de Nissa). A vida do discípulo se abre para uma compreensão cada vez maior e para tudo o que a pessoa vivencia, graças à ação do Espírito Santo, adquire um novo significado em Deus. Cada um de nós experimenta isso; quanto mais avançamos na vida pessoal e na resposta ao chamado do Senhor na história, quanto mais o conhecemos: «Na iluminação do Espírito, veremos a verdadeira luz que ilumina todo homem que vem ao mundo" (cf.. São Basílio).

“Jesus Cristo é o mesmo ontem e hoje e para sempre” (EB 13,8), não muda, mas o Espírito nos guiará para toda a verdade. Estes, enviado aos discípulos, lembrá-los de suas palavras (cf.. GV 14,26), aprofunda-os e novos acontecimentos e realidades são iluminados e compreendidos precisamente graças à presença do Espírito Santo. Cristo não é sucedido pelo Espírito Santo, a idade do Filho não é seguida pela do Espírito, porque o Espírito que procede do Pai é também o Espírito do Filho: “Tudo o que o Pai tem é meu”. Onde há Cristo há o Espírito e onde há o Espírito há Cristo. Ele é a fonte perene do Espírito que nunca se esgota e sempre renova a Igreja, como o próprio João nos lembra: "No último dia, o grande dia da festa, Jesus, pés do bloco de descanso, ele gritou: «Se alguém tiver sede, venha até mim, e deixe aquele que acredita em mim beber. Como diz a Escritura: Do seu ventre fluirão rios de água viva. Isto ele disse do Espírito que aqueles que nele crêem receberiam: na verdade ainda não existia o Espírito, porque Jesus ainda não havia sido glorificado" (GV 7, 37-39).

Por isso a Igreja invoca continuamente esta água, o Espírito do Pai e do Filho, que é também o sopro de vida sempre criador, de acordo com as palavras do Salmo: «Envie o seu Espírito, tudo será criado e você renovará a face da terra" (Vontade 104, 30).

 

Do Eremitério, 19 Posso 2024

 

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A Igreja é filha dos primeiros discípulos hesitantes

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

LA CHIESA È FIGLIA DEI PRIMI DISCEPOLI TITUBANTI

Le persone possono apprezzare molto la religione, mas então eles raramente chegam à fé. Por ocasião da Páscoa vimos, moltiplicate dai social, manifestazioni religiose della tradizione popolare che chiamiamo “sacre” e che giocano molto sul filo dell’emozione e del sentimento, ma approdano poi davvero a Gesù Cristo e alla sua Parola?

 

 

 

 

 

 

 

 

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.HTTPS://youtu.be/4fP7neCJapw.

Il Vangelo di questa Terza Domenica di Pasqua racconta l’ultima apparizione di Gesù Risorto, secondo il piano narrativo del Vangelo di Luca. Siamo tra la scena di Emmaus e quella dell’ascensione e Gesù si mostra ai discepoli che hanno appena ascoltato ciò che due viandanti hanno riferito loro. Ecco il brano:

Risurrezione, opera di Quirino De Ieso, 1996

"Naquela época, [os dois discípulos que voltaram de Emaús] Narravano [para os Onze e para aqueles que estavam com eles] o que aconteceu ao longo do caminho e como eles reconheceram [Jesus] nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: "Que a paz esteja com você!”. Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: “Porque você está chateado, e porque dúvidas surgem em seu coração? Olhe para minhas mãos e meus pés: Sou eu mesmo! Me toque e veja; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho”. Dizendo isso, ele mostrou a eles suas mãos e pés. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: “Você tem aqui algo para comer?”. Eles lhe ofereceram uma porção de peixe assado; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: “Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”. Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: “Então está escrito: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, partindo de Jerusalém. De Vós sois as testemunhas ". (LC 24,35-48).

Sempre nel medesimo giorno, «il primo della settimana» (LC 24,1), ma stavolta di sera, due discepoli tornati a Gerusalemme sono nella camera alta (cf.. LC 22,12; MC 14,15), a raccontare agli Undici e agli altri «come hanno riconosciuto Gesù nello spezzare il pane» (LC 24,35). Ed ecco che, de repente, si accorgono che Gesù è in mezzo a loro e fa udire la sua voce. Non rivolge loro parole di rimprovero per come si sono comportati nelle ore della sua passione. Il fatto di menzionare che adesso sono in undici e non più dodici, come quando li aveva scelti, dice molto del loro stato d’animo. Piuttosto si rivolge loro così: «εἰρήνη ὑμῖν! (Que a paz esteja com você!)»; un saluto all’apparenza abituale fra ebrei, ma che quella sera, rivolto a discepoli profondamente scossi e turbati dagli eventi della passione e morte di Gesù, significa innanzitutto: «Não tenha medo!».

Le cose sembrano tornate alla normalità, ma è così davvero? La resurrezione ha radicalmente trasformato Gesù, l’ha trasfigurato, reso «altro» nell’aspetto, perché egli ormai è «entrato nella sua gloria» (LC 24,26) e può solo essere riconosciuto dai discepoli attraverso un atto di fede. Quest’atto di fede è però difficile, faticoso: gli Undici stentano a viverlo e a metterlo in pratica. Non a caso Luca annota che i discepoli «sconvolti e pieni di paura, credono di vedere uno spirito» (πνεῦμα θεωρεῖν), allo stesso modo che i discepoli di Emmaus credevano di vedere un pellegrino o Maddalena un giardiniere. In particolare il corpo di Gesù è cambiato, è ormai risorto, Glorioso. Ci potremmo chiedere, na verdade, come mai con un evento tanto grande come una risurrezione da morte il corpo del Signore non sia uscito dal sepolcro riparato, ma conservi i segni evidenti della passione. Gesù interroga i discepoli:

«Perché siete turbati, e porque dúvidas surgem em seu coração? Olhe para minhas mãos e meus pés: Sou eu mesmo! Me toque e veja; uno spirito non ha carne e ossa, come vedete che io ho».

Nel dire questo, mostra loro le mani e i piedi con i segni della crocifissione. Il Risorto non è altro che colui che è stato crocifisso. Questa ostensione da parte di Gesù delle sue mani e dei suoi piedi trafitti per la crocifissione è un gesto che secondo alcuni sta a significare che ormai è possibile incontrare il Signore nei sofferenti, nei poveri e nei disprezzati che subiscono ingiustizie. Isto é verdade, ma è anche innanzitutto una domanda di fede che si basa su segni evidenti che rimandano a tutto quello che Gesù è stato e al significato di quello che ha subito: la resurrezione di Gesù non è un mito religioso, è un fatto reale, físico.

Por causa disso, paradoxalmente, dobbiamo essere grati alla ritrosia dei discepoli conservata nei Vangeli. Nonostante le parole e il gesto di Gesù i discepoli non arrivano a credere, malgrado l’emozione gioiosa non giungono alla fede. Non è forse l’esperienza che ancora si perpetua nelle nostre comunità? Le persone possono apprezzare molto la religione, mas então eles raramente chegam à fé. Por ocasião da Páscoa vimos, moltiplicate dai social, manifestazioni religiose della tradizione popolare che chiamiamo “sacre” e che giocano molto sul filo dell’emozione e del sentimento, ma approdano poi davvero a Gesù Cristo e alla sua Parola? In ciò che accadde agli Undici possiamo leggere la vicenda delle nostre comunità, nelle quali si vive la fede e la si confessa, ma si manifesta anche l’incredulità. Eppure il Risorto ha grande pazienza, per questo offre alla sua comunità una seconda parola e un secondo gesto.

Egli non risponde ai dubbi ― «perché sorgono dubbi nel vostro cuore?», LC 24,38 ― nel modo che ci aspetteremmo, ma si pone piuttosto su un altro piano, quello dell’incontro, e, cosa ancor più significativa, nella forma della convivialità. Gesù mangia coi suoi, come aveva abitualmente fatto nella sua vita terrena. Pelo contrário, questa volta è lui stesso a dire: «Avete qualcosa da mangiare?» (LC 24,41). Ci sorprende un gesto così semplice, quotidiano e normale, che tante volte Gesù ha compiuto. Pelo contrário, sembra proprio il gesto del mendicante che chiede del cibo e lo cerca umilmente entrando in casa, proprio mentre gli altri sono già a tavola. Con la medesima discrezione che avevamo visto nell’episodio di Emmaus. Jesus, si dirà nel libro dell’Apocalisse, è colui che sta alla porta e bussa: «Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, Virei, I sup com ele e ele comigo " (Ap 3,20).

Ma evidentemente c’è di più. Gesù mangia davanti a loro non perché ci sia una causa da continuare e il pasto diventa, come in occasione dei funerali, un modo per attenuare il dolore del distacco e rinsaldare la memoria di chi non c’è più. Gesù offre dei segni e compie dei gesti perché si creda che egli è veramente Risorto e che il suo corpo crocifisso è ora un corpo vivente, «un corpo spirituale» (1CR 15,44), cioè vivente nello Spirito, dirà l’Apostolo Paolo. È per questo che ancora oggi la Chiesa incontra il Risorto nei Sacramenti e in particolare nella celebrazione eucaristica.

Os discípulos, narra il Vangelo, restano in silenzio, muti, sopraffatti dalle emozioni della gioia e del timore, che insieme non ce la fanno ad accendere la luce della fede pasquale. Luca scriverà in seguito, all’inizio degli Atti degli apostoli, che Gesù «si presentò vivente ai suoi discepoli… con molte prove» (No 1,3). Allora Gesù, per renderli finalmente credenti chiede di ricordare le parole dette mentre era con loro e soprattutto come doveva trovare compimento tutto ciò che era stato scritto su di lui, o Messias, nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi, cioè nelle sante Scritture dell’Antica Alleanza. Quest’azione ermeneutica compiuta dal Risorto che noi riviviamo ogni domenica nell’Eucarestia è descritta dalle parole: «Aprì loro la mente (diénoixen autôn tòn noûn) per comprendere le Scritture».

Il verbo qui utilizzato (dianoígo) nei Vangeli ha il senso di «aprire e mettere in comunicazione». Così sono aperti gli orecchi dei sordi, la bocca dei muti (cf.. MC 7,34) e gli occhi ciechi dei discepoli di Emmaus (LC 24,31). In questa circostanza indica l’operazione compiuta dal Risorto che come un esegeta aiuta i discepoli a capire che le Scritture parlavano di lui. Non aveva forse conversato con Mosè ed Elia proprio su quell’esodo pasquale che doveva compiersi a Gerusalemme (LC 9,30-31)?

La Chiesa è figlia di quei primi discepoli titubanti ai quali Gesù subito fa questa promessa: "E eis, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto» (LC 24,49). Grazie al dono e alla forza dello Spirito del Risorto ancora oggi i discepoli ascoltano la Scrittura, sommamente nella Liturgia, che parla di Lui, si nutrono di Lui nell’Eucarestia e Lui testimoniano invitando alla conversione e al perdono che da Gerusalemme prese l’abbrivio. Da quel primo giorno i cristiani non hanno cessato di professare e poi testimoniare la loro fede condensata nel Simbolo: «Morì e fu sepolto. No terceiro dia ressuscitou, de acordo com as escrituras (resurrexit tertia die secundum Scripturas)» (cf.. 1CR 15,3-4).

bom domingo a todos!

Do Eremitério, 14 abril 2024

 

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Caverna de Sant'Angelo em Maduro (Civitella del Tronto)

 

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Os Padres da Ilha de Patmos

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“Abençoados somos nós” que apesar de não termos visto, acreditamos em Cristo, verdadeiro Deus e verdadeiro homem

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

“BEATI NOI” CHE PUR NON AVENDO VISTO ABBIAMO CREDUTO A CRISTO VERO DIO E VERO UOMO

Ciò che viene rimproverato a Tommaso non è di aver visto Gesù. Il rimprovero cade piuttosto sul fatto che all’inizio Tommaso si è chiuso e non ha dato credito alla testimonianza di coloro che gli dicevano di aver visto il Signore vivo. Sarebbe stato meglio per lui dare un credito iniziale ai suoi amici, nell’attesa di rifare di persona l’esperienza che loro avevano già fatto. Invece Tommaso ha quasi preteso di dettare lui le condizioni della fede.

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Il brano di questa Seconda Domenica di Pasqua, o detta anche della Divina Misericordia, è l’ultimo dei componimenti narrativi che terminano con la «prima» finale del Vangelo di Giovanni (vv. 30-31) e sono divisibili in quattro piccoli quadri: Maria Maddalena che si reca al sepolcro; dopo di che sono Pietro e l’altro discepolo che vanno alla tomba; quindi Maria Maddalena incontra il Signore e crede sia il giardiniere; no fim, l’ultimo quadro, vede come protagonisti i discepoli e Tommaso.

Incredulità di San Tommaso, opera di Michelangelo Merisi detto Caravaggio, Bildegalerie

Il testo evangelico è il seguente:

«La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, Jesus veio, stette in mezzo e disse loro: "Que a paz esteja com você!”. Disse isto, mostrò loro le mani e il fianco. E os discípulos se alegraram em ver o Senhor. Jesus disse a eles novamente: "Que a paz esteja com você! Como o Pai me enviou, te mando também". Disse isto, ele soprou e disse a eles: “Receba o Espírito Santo. Para aqueles a quem você perdoará pecados, será perdoado; para aqueles que você não perdoará, non saranno perdonati”. Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, atrás de portas fechadas, stette in mezzo e disse: "Que a paz esteja com você!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”. Gli rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Jesus lhe disse: “Perché mi hai veduto, Você acreditava; abençoados são aqueles que não viram e acreditaram!”. Jesus, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, o Filho de Deus, e porque, acreditando, tenha vida em seu nome" (GV 20,19-31).

Anche un lettore disattento si accorge che in questo testo sono assemblate così tante tematiche che sarebbe veramente pretenzioso raccoglierle in un unico e breve commento. Si pensi all’indicazione temporale, quel primo giorno della settimana che scandirà per sempre la memoria liturgica della Risurrezione di Gesù per i cristiani. Ci sono poi i tre doni della pace, della missione e del perdono che scaturiscono dal Risorto che sta «in mezzo» ai discepoli e ne provano gioia. Si pensi al tema del «vedere» che diviene sinonimo di credere, nella sequenza che ha come protagonista Tommaso.

C’è anche il dono dello Spirito da parte di Gesù. Il modo in cui il Quarto Vangelo ne parla è unico in tutto il Nuovo Testamento. Solo Giovanni, na verdade, e solo qui al versetto 22, dice che Gesù «soffiò» sui discepoli. Viene usato un verbo, emphysao, «insufflare, alitare», utilizzato per la prima volta nel libro della Genesi, durante il racconto della creazione dell’uomo. Tutta la realtà creata, si racconta lì, viene dalla parola di Dio, ma per fare l’uomo questa non basta: Dio deve alitare dentro le sue narici. A guardar bene, Mas, l’azione di Gesù non è solo quella di «soffiare sopra», ma indica anche il «respirare» di Gesù: perché Egli è di nuovo vivo! È la prova che non è un fantasma e infatti a lui non basta mostrare le mani e il costato: Gesù respira. Questo verbo emphysao si trova ancora altre volte nella Bibbia, ad esempio in 1Ré 17,21 e em este 37,9. Nel testo di Ezechiele il popolo può risorgere solo se lo Spirito dai quattro venti viene a «soffiare» la vita sui morti.

Emerge dall’uso veterotestamentario del nostro verbo una costante che si può riallacciare al racconto di Giovanni. Questi «proclama simbolicamente che, proprio come nella prima creazione Dio alitò nell’uomo uno spirito vitale, così adesso, nel momento della nuova creazione, Gesù alita il suo proprio Spirito Santo nei discepoli, dando loro la vita eterna. Nel simbolismo battesimale di Giovanni 3,5, ai lettori del Vangelo viene detto che da acqua e Spirito essi nascono come figli di Dio; la scena presente serve da battesimo per gli immediati discepoli di Gesù e da pegno di nascita divina per tutti i credenti del futuro, rappresentati dai discepoli. C’è poco da meravigliarsi che l’usanza di alitare sopra le persone da battezzare sia entrata nel rito del battesimo. Ora essi sono veramente fratelli di Gesù e possono chiamare suo Padre loro Padre (20,17). Il dono dello Spirito è l’acme finale delle relazioni personali fra Gesù e i suoi discepoli» (R. Castanho).

Vi è poi l’episodio di Tommaso che è importantissimo e non a caso ha segnato non solo un modo di tradurre il Vangelo, ma soprattutto la maniera di intendere la frase di Gesù a Tommaso, in particolare nel confronto fra i cattolici e i riformati. Notiamo subito che nell’originale greco il verbo è all’aoristo (πιστεύσαντες) e anche nella versione latina era messo al passato (crediderunt): «Tu hai creduto perché hai visto» ― dice Gesù a Tommaso ― «beati coloro che senza aver visto [ossia che senza aver visto me, direttamente] hanno creduto». E l’allusione non è ai fedeli che vengono dopo, che dovrebbero «credere senza vedere», ma agli apostoli e ai discepoli che per primi hanno riconosciuto che Gesù era risorto, pur nell’esiguità dei segni visibili che lo testimoniavano. In particolare il riferimento è a Giovanni, l’altro discepolo che con Pietro era corso al sepolcro per primo (Vangelo del giorno di Pasqua). Giovanni, entrato dopo Pietro, aveva visto degli indizi, la tomba vuota e le bende rimaste vuote del corpo di Gesù senza essere sciolte e, pur nell’esiguità di tali indizi, aveva cominciato a credere. La frase di Gesù «beati quelli che pur senza aver visto [mim] hanno creduto» rinvia proprio al «vidit et credidit» riferito a Giovanni al momento del suo ingresso nel sepolcro vuoto. Riproponendo l’esempio di Giovanni a Tommaso, Gesù vuole dire che è ragionevole credere alla testimonianza di coloro che hanno visto dei segni, degli indizi della sua presenza viva. Non è dunque la richiesta di una fede cieca, ma la beatitudine promessa a coloro che in umiltà riconoscono la sua presenza a partire da segni anche esigui e danno credito alla parola di testimoni credibili. Ciò che viene rimproverato a Tommaso non è di aver visto Gesù. Il rimprovero cade piuttosto sul fatto che all’inizio Tommaso si è chiuso e non ha dato credito alla testimonianza di coloro che gli dicevano di aver visto il Signore vivo. Sarebbe stato meglio per lui dare un credito iniziale ai suoi amici, nell’attesa di rifare di persona l’esperienza che loro avevano già fatto. Invece Tommaso ha quasi preteso di dettare lui le condizioni della fede. Vi è un errore di traduzione nella versione della CEI. Quando Gesù sottopone le sue ferite alla prova empirica richiesta da Tommaso, accompagna questa offerta con un’esortazione: «E non diventare incredulo, ma diventa (γίνου) credente». Significa che Tommaso non è ancora né l’uno né l’altro. Non è ancora incredulo, ma non è nemmeno ancora un credente. La versione CEI, come molte altre, traduce invece: “E não fique incrédulo, ma credente». Agora, nel testo originale, il verbo «diventare» suggerisce l’idea di dinamismo e di un cambiamento provocato dall’incontro col Signore vivo. Senza l’incontro con una realtà vivente non si può cominciare a credere. Solo dopo che ha visto Gesù vivo Tommaso può cominciare a diventare «credente». Invece la versione inesatta, che va per la maggiore, sostituendo il verbo essere al verbo diventare, elimina la percezione di tale movimento e sembra quasi sottintendere che la fede consista in una decisione da prendere a priori, un moto originario dello spirito umano. È un totale rovesciamento. Tommaso vede Gesù e sulla base di questa esperienza è invitato a rompere gli indugi e a diventare credente. Se al diventare si sostituisce l’essere, sembra quasi che a Tommaso sia richiesta una fede preliminare, che sola gli permetterebbe di «vedere» il Signore e accostarsi alle sue piaghe. Come vorrebbe l’idealismo, per cui è la fede a creare la realtà da credere, ma ciò è in contraddizione con tutto quello che insegnano le Scritture e la Tradizione della Chiesa. Le apparizioni a Maria di Magdala, ai discepoli e a Tommaso sono l’immagine normativa di un’esperienza che ogni credente è chiamato a fare nella Chiesa; come l’apostolo Giovanni, anche per noi il «vedere» può essere una via d’accesso al «credere». Proprio per questo continuiamo a leggere i racconti del Vangelo; per rifare l’esperienza di coloro che dal «vedere» sono passati al «credere»: si pensi alla contemplazione delle scene evangeliche e all’applicazione dei sensi a esse, secondo una lunga tradizione spirituale. Il Vangelo di Marco si chiude testimoniando che la predicazione degli apostoli non era solo un semplice racconto, ma era accompagnata da miracoli, affinché potessero confermare le loro parole con questi segni: «Allora essi partirono e annunciarono il Vangelo dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la parola con i segni che la accompagnavano» (MC 16,20). Molti Padri della Chiesa, dall’occidentale Agostino fino all’orientale Atanasio, hanno insistito su questa permanenza dei segni visibili esteriori che accompagnano la predicazione, che non sono una concessione alla debolezza umana, ma sono connessi con la realtà stessa dell’incarnazione. Se Dio si è fatto uomo, risorto col suo vero corpo, rimane uomo per sempre e continua ad agire. Ora non vediamo il corpo glorioso del Risorto, ma possiamo vedere le opere e i segni che compie. «In manibus nostris codices, in oculis facta», dice Agostino: «nelle nostre mani i codici dei Vangeli, nei nostri occhi i fatti» (WHO). Mentre leggiamo i Vangeli, vediamo di nuovo i fatti che accadono. E Atanasio scrive nella Incarnazione del Verbo:

«Come, essendo invisibile, si conosce in base alle opere della creazione, assim, una volta divenuto uomo, anche se non si vede nel corpo, dalle opere si può riconoscere che chi compie queste opere non è un uomo ma il Verbo di Dio. Se una volta morti non si è più capaci di far nulla ma la gratitudine per il defunto giunge fino alla tomba e poi cessa ― solo i vivi, na verdade, agiscono e operano nei confronti degli altri uomini ― veda chi vuole e giudichi confessando la verità in base a ciò che si vede». Tutta la Tradizione conserva con fermezza il dato che la fede non si basa solo sull’ascolto, ma anche sull’esperienza di prove esteriori, come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica, citando le definizioni dogmatiche del Concilio ecumenico Vaticano I: «Nondimeno, perché l’ossequio della nostra fede fosse conforme alla ragione, Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito Santo si accompagnassero anche prove esteriori della sua rivelazione» (CCC, não 156).

 

Do Eremitério, 07 Março 2024

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Os Padres da Ilha de Patmos

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O medo das mulheres: “Tiraram o Senhor do túmulo e não sabemos onde o colocaram”

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

O susto das mulheres: «TIRARAM O SENHOR DO TÚMULO E NÃO SABEMOS ONDE O COLOCARAM»

Santo Agostinho, com a acuidade que o distingue, lê honestamente o que dizem estas palavras: «Ele entrou e não encontrou. Ele deveria ter acreditado que foi ressuscitado, não que tenha sido roubado"

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Enquanto na noite de Páscoa lemos a história mais antiga do evangelho sobre a ressurreição de Jesus, Marcos, hoje é proclamado o início do capítulo vinte de João, provavelmente o último texto dos Evangelhos sobre a ressurreição de Jesus a ser escrito. Nós somos, assim, diante de uma parábola que parte do que é contido e retomado por Marcos, isto é, um relato "pré-Marc" da paixão e ressurreição de Jesus e vai até a última história, o joanino, que remonta ao final do primeiro século. A Liturgia, no espaço de uma única noite, da Vigília Pascal à missa do dia de Páscoa, recolhe fontes e tradições que se estabeleceram ao longo de algumas décadas e permite-nos desfrutar das diferentes perspectivas dos evangelistas. Este é o texto proclamado:

Salvador Dali, O amanhecer, 1948

«O primeiro dia da semana, Maria Madalena foi ao túmulo pela manhã, quando ainda estava escuro, e ele viu que a pedra havia sido removida do túmulo. Ele então correu e foi até Simão Pedro e o outro discípulo, o que Jesus amava, e disse a eles: "Levaram o Senhor do sepulcro e não sabemos onde o puseram!». Pedro então saiu junto com o outro discípulo e eles foram ao túmulo. Os dois correram juntos, mas o outro discípulo correu mais rápido que Pedro e chegou primeiro ao túmulo. Ele se abaixou, ele viu os lençóis colocados ali, mas ele não entrou. Enquanto isso, Simon Pietro também chegou, quem o seguiu, e ele entrou no túmulo e observou os panos ali colocados, e a mortalha - que estava em sua cabeça - não foi colocada ali com os panos, mas embrulhado em um lugar à parte. Então o outro discípulo também entrou, que chegou primeiro ao túmulo, e ele viu e acreditou. Na verdade, eles ainda não tinham entendido a Escritura, isto é, ele teve que ressuscitar dos mortos" (GV 20,1-9)

Lendo esta passagem uma emoção profunda toma conta de nós, o mesmo vivido pelas primeiras testemunhas da Ressurreição, uma mulher e dois discípulos. Esta parece ser a intenção do evangelista. Nós esperaríamos, na verdade, uma confissão madura e convencida sobre o evento, porém em nosso texto ainda não temos o anúncio da Páscoa, em vez de, o que Maria Madalena corre contar aos dois discípulos é: “Tiraram o Senhor do túmulo e não sabemos onde o colocaram”. Maria, presa do medo e do desânimo, ele dá como certo que o corpo de Jesus foi roubado e sua preocupação se concentra em “onde” o corpo pode agora ser encontrado. A história evangélica mostra, portanto, a génese da fé pascal, apresentando o seu momento incoativo, a liberação da faísca que logo se tornará fogo. O caminho interno que conduzirá ao grito e ao anúncio “Ressuscitou” passa pela consciência da evidência da morte constituída pelas ligaduras e pela mortalha que envolveram o corpo e o túmulo onde foi colocado.. O Santo Evangelho faz com que estes discípulos se sintam muito próximos de nós, ao nosso caminho gradual rumo a uma fé firme na Ressurreição de Jesus. A fé plena será a de Tomé que diz: "Meu Senhor e meu Deus" (GV 20,28); mas não sem ter passado também pela tentação de não acreditar e desconfiar.

A ausência de fé na Ressurreição é simbolicamente antecipado pela nota de que "ainda estava escuro lá fora" (GV 20,1) quando Maria Madalena foi ao túmulo. E a “escuridão” no simbolismo joanino refere-se àquilo que se opõe à luz (GV 1,5; 3,19), designa a situação problemática dos discípulos na ausência de Jesus (GV 6,17), é a condição de incerteza e confusão em que aqueles que não seguem Jesus se encontram vagando (GV 8,12), quem não acredita nele (GV 12,46). Resumidamente, estamos no "primeiro dia da semana" (GV 20,1), mas o amanhecer ainda não quebrou, ainda estamos no escuro.

Neste contexto o evangelista apresenta as reações de três discípulos diante do túmulo vazio e em particular a fé incoativa do discípulo amado que, tendo visto as bandagens no chão e entrado no túmulo vazio, "acreditava" (GV 20,8), ou melhor, "ele começou a acreditar" (cf.. o aoristo ingressivo: o epistemológico e ele acreditou). Só assim podemos explicar a nota que o evangelista faz para comentário imediato: “Porque ainda não tinham compreendido a Escritura que dizia que era necessário que ele ressuscitasse dentre os mortos” (GV 20,9). Santo Agostinho, com a acuidade que o distingue, lê honestamente o que dizem estas palavras: «Ele entrou e não encontrou. Ele deveria ter acreditado que foi ressuscitado, não que tenha sido roubado" (cf.. WHO). A fé pascal não nasce da mera observação de um túmulo vazio: isso também pode levar à hipótese de roubo do corpo. Os fatos devem ser comparados com as palavras das Escrituras e iluminados por elas. Só então darão vida à fé pascal. Fé que encontrará a sua plenitude com o dom do Espírito que ilumina as mentes, abrindo-as à compreensão das Escrituras, como aconteceu com os discípulos de Emaús (cf.. LC 24,45), Por que: «Quando ele vier, o Espírito da verdade, irá guiá-lo para toda a verdade” (GV 16, 13).

Na verdade, a ressurreição é um evento inédito, impensável e desconcertante. Paulo saberá algo sobre isso quando tentar anunciá-lo aos atenienses (No 17, 32). É uma novidade absoluta de Deus e os discípulos estão totalmente despreparados para o evento. Somente o discípulo amado, precisamente por causa daquele conhecimento íntimo que o liga a Jesus, ele começa a compreender e a abrir espaço em sua alma para a novidade realizada por Deus.

Contudo, está presente nestes três discípulos o aspecto emocional que na época os levou a deixar tudo para seguir Jesus. Em Madalena que teme não poder mais ver e tocar o seu Senhor e por isso corre. Ele corre em direção a Pedro e ao discípulo amado, os dois pontos de referência do grupo de discípulos. E por sua vez eles correm também, desta vez ao contrário, de volta ao túmulo. No momento em que o nível emocional é liberado, todos se expressam sem fazer cumprir as regras do grupo.. Porém, ao chegar ao túmulo, o discípulo amado espera por Pedro e o deixa entrar primeiro, respeitando a primazia estabelecida pelo Senhor. Nível emocional e afetivo de Maria (correndo para os dois discípulos) e do discípulo amado (que espera por Pedro e o deixa entrar primeiro no túmulo) eles permanecem ordenados e submetidos à objetividade da comunidade. Mas para guiar a emoção e a afetividade à fé plena, será necessária a inteligência das Escrituras e a fé nela., que é o fundamento ineliminável e objetivante da fé pascal e da vida eclesial.

Nós hoje que ouvimos estas palavras mais uma vez do Santo Evangelho proclamado, expressamos gratidão a estes importantes discípulos que quiseram manter a hesitação diante de um acontecimento tão incomum. Nós os sentimos perto, gratos pelo testemunho de fé que nos transmitiram nas Escrituras. Ensinaram-nos a procurar o Ressuscitado já não no túmulo (mnemônico em grego: letão. "memorial"; GV 20 1.2.3.4.6) que é a memória do cemitério, morto. Mas agora vivendo em sua glória e presente quando nos amamos, quando testemunhamos isso nos lugares de nossa existência, quando encontramos sofrimento ou quando trazemos esperança. Como nos reunimos todos os domingos, Páscoa da semana, sem o qual não podemos mais viver. Porque lá confessamos não só os nossos pecados, mas ouvimos novamente a Escritura que nos fala sobre Ele e nos alimentamos Dele, esperando que Ele venha.

Termino com estas palavras do poeta florentino Mario Luzi (1914 – 2005). O Papa João Paulo II pediu-lhe que comentasse as estações do Via Sacra no Coliseu na Sexta-Feira Santa 1999. E foi assim que terminou:

«Do túmulo a vida explodiu. / A morte perdeu sua dura batalha. / Uma nova era começa: o homem reconciliado na nova aliança sancionada pelo seu sangue / ele tem o caminho diante dele. / É difícil permanecer nesse caminho. / A porta do seu reino é estreita. / Agora sim, ou Redentor, que precisamos da sua ajuda, / agora pedimos sua ajuda, / tu, orientação e supervisão, não negue isso para nós. / A ofensa ao mundo foi enorme. / Seu amor foi infinitamente maior. / Te pedimos amor com amor. / Amém". (Mário Luzi, Via Sacra no Coliseu, 1999)

Vere Surrexit Christus SPEs MEA Dominus..., e ele apareceu a Simão, Aleluia!

Feliz Páscoa a todos.

 

Do Eremitério, 31 Março 2024

Santa Páscoa da Ressurreição

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Os Padres da Ilha de Patmos

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É melhor morrer um único homem do que perecer uma nação inteira

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

MEGLIO MUOIA UN SOLO UOMO CHE PERISCA LA NAZIONE INTERA

Per Gesù la vera morte non è quella fisica che gli uomini possono dare, mas reside na recusa de dar a vida pelos outros, o fechamento estéril sobre si mesmo; ao contrário, a verdadeira vida é o culminar de um processo de doação.

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Fraintendere, ovvero prendere una cosa per un’altra. Questa attività che si è diffusa ai giorni nostri contrassegnati dall’uso consistente dei social, per l’autore del Quarto Vangelo diventa un espediente letterario per mezzo del quale, utilizzando la momentanea incomprensione, il lettore è guidato verso una conoscenza ulteriore, spesso più profonda, della realtà, del mistero che vive in Gesù. Lo abbiamo visto nell’incontro fra Lui e la samaritana e prima ancora con Nicodemo, nel Vangelo di domenica scorsa. Lo ritroviamo ancora qui, nel brano evangelico di questa quinta Domenica di Quaresima. Cosa c’è di più semplice e naturale del desiderio di vedere Gesù? Non sarebbe una richiesta che anche noi porremmo ogni giorno? Eppure l’Evangelista ci dice che Egli sembra, aparentemente, non prenderla in considerazione; distratto o, melhor dizer, concentrato su una prova imminente, su ciò che potrebbe distoglierlo e dunque su una presentazione di sé che la semplice curiosità di vederlo potrebbe non capire. Che cosa o chi dobbiamo guardare quando desideriamo vedere Gesù?

Secondo Tempio di Gerusalemme, modello di ricostruzione, Museo dello Stato d’Israele

"Naquela época, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: “homem, vogliamo vedere Gesù”. Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. Em verdade, em verdade te digo: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, só resta; mas se morrer, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Pai, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Pai, glorifica il tuo nome”. Venne allora una voce dal cielo: “L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!”. La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: “Un angelo gli ha parlato”. Disse Gesù: “Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E eu, quando sou levantado do chão, attirerò tutti a me”. Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire» (GV 12, 20-33).

Per comprendere la pericope appena letta occorre far riferimento alla montante ostilità verso Gesù segnalata dalle seguenti parole che precedono il brano appena riportato:

«”Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione”. Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, ele disse-lhes: “Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!”. Questo però non lo disse da se stesso, mãe, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo» (GV 11, 48-53).

Nelle parole delle oppositori vi è anche la constatazione che: «Il mondo (ho kósmos) gli è andato dietro» (GV 12,19). Neste contexto, nel quale le decisioni degli avversari sono già prese, alcuni greci vogliono vedere Gesù. È un primo passo, non ancora quel vedere perfetto che fa contemplare con lo sguardo trasformato dallo Spirito il senso delle cose, tutta la profondità della realtà che farà proferire a Gesù: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (GV 14,9). Questo desiderio però è positivo, di tutt’altro tenore dell’aspirazione omicida degli avversari di Gesù. Ma i greci, presenti per la Pasqua a Gerusalemme, forse simpatizzanti del monoteismo ebraico o addirittura già circoncisi, non possono entrare nella parte più interna del tempio dove probabilmente Gesù si trovava: il recinto riservato agli ebrei. A segnare questo spazio vi era infatti una balaustra di cui ci parla anche lo storico Giuseppe Flavio che riportava delle scritte, ancora oggi conservate a Gerusalemme e Istanbul, le quali recitavano in lingua greca, per essere comprese dai non ebrei:

«Nessun straniero penetri al di là della balaustra e della cinta che circonda lo hierón (la zona del Tempio riservata, n.d.r.); chi venisse preso in flagrante sarà causa a se stesso della morte che ne seguirà».

Questi che vogliono vedere Gesù si rivolgono al discepolo che porta un nome greco, Filippo, che era di una città abitata anche da molti greci e forse lui stesso parlava la loro lingua. La richiesta doveva essere singolare se lo stesso Filippo si fa aiutare ed accompagnare da uno dei primi due discepoli di Gesù, anch’egli con un nome greco: Andréa.

Ricevuta la notizia Gesù coglie il momento come un altro segnale che la sua «ora» è venuta (Venit hora), quella della sua glorificazione nella sua Pasqua (GV 17,1). A Cana di Galilea, quando si era nella fase iniziale, Gesù ne fa menzione a sua Madre, adesso qui, em vez de, si dice espressamente che l’ora: «È giunta». E come allora gli sposi delle nozze di Cana spariscono dalla scena, anche qui i greci paiono scortesemente messi da parte, affinché emerga una rivelazione su Gesù. Stavolta non un segno, ma le sue stesse parole la palesano. La sua morte sarà feconda come accade al chicco di grano che per moltiplicarsi e dare frutto deve cadere a terra e quindi marcire, morrer, altrimenti resta sterile e solo. Accettando di marcire e morire, il chicco moltiplica la sua vita e dunque attraversa la morte e giunge alla resurrezione.

Ritorna il paradosso delle parabole che Gesù sente il bisogno di chiarire:

«Chi ama la propria vita, la perde, e chi odia la propria vita in questo mondo, la custodisce per la vita eterna».

Per Gesù la vera morte non è quella fisica che gli uomini possono dare, mas reside na recusa de dar a vida pelos outros, o fechamento estéril sobre si mesmo; ao contrário, a verdadeira vida é o culminar de um processo de doação. La vicenda del chicco di grano è la vicenda di Gesù ma anche quella di ogni suo servo, Who, seguendo Gesù, conoscerà la passione e la morte come il suo Signore, ma anche la resurrezione e la vita per sempre. Non sarà solo Gesù a essere glorificato dal Padre ma anche il discepolo, il servitore che, seguendo il suo Signore, diventa suo amico (GV 15,15).

Che cosa, assim, Gesù promette di vedere? La sua passione, morte e resurrezione, la sua glorificazione, la croce come rivelazione dell’amore vissuto fino alla fine (cf.. GV 13,1). A ogni discepolo, proveniente da Israele o dalle genti, è dato di contemplare nella sua morte ignominiosa la gloria di chi dà la vita per amore. L’Evangelista ci permette anche di gettare uno sguardo sui sentimenti più intimi vissuti da Gesù e sulla sua coscienza filiale. Come i sinottici racconteranno l’angoscia di Gesù al Getsemani (cf.. MC 14,32-42 e par.), nel momento che precede la sua cattura, Giovanni riporta la sua confessione: «Ora l’anima mia è turbata». Egli è turbato per quel che sta per accadere, come già si era turbato e aveva pianto alla morte dell’amico Lazzaro (cf.. GV 11,33-35). Ma questa angoscia umanissima non diventa un inciampo posto sul suo cammino: Gesù è si tentato, ma vince radicalmente la tentazione con l’adesione alla volontà del Padre. In modo diverso dai sinottici, ma concorde con loro, per Giovanni Gesù non ha voluto salvarsi da quell’ora, né esserne esentato, ma rimane fedele alla sua missione compiendo la volontà del Padre, in unione profonda con Lui, tanto che la gloria è fra loro condivisa: "Pai, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora». Ritornano alla mente le parole della Lettera agli Ebrei:

«Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui (sua reverentia), venne esaudito» (EB 5,7).

Ma l’ora di Gesù corrisponde anche al giudizio sul mondo che non conosce l’amore del Cristo e vi si oppone:

«Ora avviene il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo è gettato fuori. E eu, quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me»

un rimando a quel serpente innalzato da Mosè (cf.. nm 21,4-9; GV 3,14) che salvava gli israeliti. L’«ora» messianica di Gesù espelle il principe del mondo che preferisce le tenebre del male e lascerà spazio all’autentico Re che, anche se governa da una croce, attrae tutti per amore e verso il quale bisogna rivolgere uno sguardo di fede. Ecco la vera risposta a quanti volevano, e ancora oggi vogliono, «vedere Gesù».

La pagina odierna del Vangelo è la buona notizia soprattutto per tutti quei discepoli che conoscono la dinamica del cadere a terra, del «marcire» nella sofferenza, nella solitudine e nel nascondimento. In alcune ore della vita sembra che tutta la sequela si riduca solo alla passione e alla desolazione, all’abbandono e al rinnegamento da parte degli altri, ma allora più che mai occorre guardare all’immagine del chicco di grano consegnataci da Gesù; più che mai occorre rinnovare lo sguardo della fede: «Eles olharão para aquele que perfuraram» (GV 19,37).

Secondo un’antica tradizione il Vescovo Ignazio di Antiochia (35 circa – Roma, 107 cerca de) conobbe l’apostolo San Giovanni. Non sorprende perciò ritrovare in una sua lettera indirizzata ai cristiani di Roma, dove troverà il martirio, una concordanza di termini e di vedute con il Vangelo che oggi abbiamo letto:

«Sono frumento di Dio e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo… È meglio per me morire per Gesù Cristo che estendere il mio impero fino ai confini della terra… Il principe di questo mondo vuole portarmi via e soffocare la mia aspirazione verso Dio. Ogni mio desiderio terreno é crocifisso e non c’é più in me nessuna aspirazione per le realtà materiali, ma un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: “Vieni al Padre”».

Do Eremitério, 17 Março 2024

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Os Padres da Ilha de Patmos

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Se alguém não nasce de cima, ele não pode ver o Reino de Deus

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

SE NÃO NASCE DE CIMA, ELE NÃO PODE VER O REINO DE DEUS

A moral joanina é uma moral da verdade: «Em vez disso, quem pratica a verdade caminha para a luz, de modo que fica claro que suas obras foram feitas em Deus ". Na crescente consciência de que “sem mim você não pode fazer nada”, as consequências de ser cristão, também a nível moral, eles estão ligados em Giovanni ao tema do permanecer. Permanecer com Jesus implica um dever em nível de coerência, mas antes de tudo como consequência ao nível do ser, viva como Jesus: «Aquele que diz que permanece nele, ele também deve se comportar como se comportou".

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artigo em formato de impressão PDF

.HTTPS://youtu.be/4fP7neCJapw.

 

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Visto que o Evangelho de Marcos é mais curto que os outros, algumas passagens do Evangelho de João ajudam a cobrir todos os domingos do ano litúrgico, especialmente durante Lent. São textos que ajudam a compreender aquele mistério pascal que será celebrado em particular nos dias do “Tríduo”. Eles antecipam temas importantes, como a da ressurreição do "Filho do homem", referida na seguinte passagem evangélica, proclamada no quarto domingo da Quaresma.

Henry Ossawa Tanner: Jesus e Nicodemos, óleo sobre tela, 1899, Academia de Belas Artes da Pensilvânia (EUA)

"Naquela época, Jesus disse a Nicodemos: “Como Moisés levantou a serpente no deserto, então o Filho do homem deve ser levantado, para que todo aquele que nele crê tenha a vida eterna. Na verdade, Deus amou o mundo de tal maneira que deu o Filho unigênito para que todo aquele que nele crê não se perca, mas tenha a vida eterna. Deu, na verdade, ele não enviou o Filho ao mundo para condenar o mundo, mas para que o mundo seja salvo por ele. Quem acredita nele não está condenado; mas quem não acredita já foi condenado, porque ele não acreditou no nome do Filho unigênito de Deus. E este é o veredicto: a luz veio ao mundo, mas os homens amavam as trevas mais do que a luz, porque suas obras eram más. Qualquer um de fato faz o mal, odeia a luz, e não vem à luz para que suas obras não sejam reprovadas. Em vez disso, quem faz a verdade vem em direção à luz, para que pareça claramente que suas obras foram feitas em Deus"" (GV 3,14-21)

Nos Sinópticos, Jesus prevê que ele terá que sofrer muito; anuncia que «ele será ridicularizado, açoitado e crucificado" (MT 20,19) e que no terceiro dia ele ressuscitará. Giovanni, em vez de, anunciar a paixão de Jesus apresenta-a como uma “exaltação”. Ele faz isso nos capítulos 3 (vv. 14-15), 8 (v. 28) e 12 (v. 32). A última é a música mais explícita: «Quando eu for levantado [exaltado] do chão atrairei todos para mim". No versículo anterior Jesus havia dito: «Agora é o julgamento deste mundo, agora o príncipe deste mundo [Satanás] ele será expulso". Jesus, levantado do chão, tomará o lugar dele, se tornando rei e atraindo todos para ele. Mas a exaltação de Jesus não acontecerá no Céu, mas na cruz. Muitos interpretaram, na verdade, a ressurreição de Jesus como uma antecipação joanina de sua ascensão, enquanto aqui há uma referência explícita à morte do Senhor. Tudo isto pode parecer desconcertante porque na nossa passagem, O outro irmão, estamos no início do Evangelho e não no fim, mas Jesus já fala de sua morte. Além disso, também lemos no prólogo que: «Seus pais não o acolheram» (GV 1,11). E não esqueçamos que também é domingo «Em alegria» como proclama a antífona de entrada da liturgia eucarística. Então, onde encontrar motivos para se alegrar? Evidentemente nesta verticalidade evangélica que te deixa tonto.

O primeiro a ficar desconcertado é Nicodemos, O interlocutor de Jesus, a quem é pedido um renascimento do alto (de cima), isto é, pelo Espírito derramado do alto. A reação de espanto de Nicodemos - «Como pode isso acontecer?» - encontra uma resposta de Jesus que também nos desconcerta:

«Se você não acredita quando eu falei com você sobre as coisas da terra, como você acreditará se eu falar com você sobre coisas do céu?» (GV 3,12).

De acordo com o contexto as coisas terrenas consistem precisamente na dinâmica do renascimento espiritual que deve ocorrer na vida, aqui na terra, na humanidade da pessoa que, graças à fé, abre-se à ação do Espírito. Enquanto as coisas celestiais são o paradoxo de uma ressurreição que coincide com uma sentença de morte e uma crucificação que, segundo João, é exaltação e glorificação. Encontramos o eco das palavras do profeta Isaías: «Quem vai acreditar na nossa revelação?» (53,1); que seguem o anúncio de que o "servo do Senhor será exaltado" (É 52,13). O verbo grego, dentro versão da Septuaginta (LXX), ypsóo, também será usado por João em nosso texto para indicar a ressurreição do Filho do homem. Assim, no coração da fé cristã há algo surpreendente especificado imediatamente depois: a ressurreição do Filho do homem é o acontecimento que realiza e realiza plenamente o dom que o Pai concedeu à humanidade: o dom do Filho. A elevação na cruz que parece ser o ponto mais baixo da vida de Jesus, para o olhar da fé é o momento em que se nasce do alto, como Nicodemos foi questionado: "Verdadeiramente, verdadeiramente eu te digo, se alguém não nasceu de cima, não pode ver o reino de Deus"; graças ao dom do Espírito que o crucifixo derrama. Aqui está o motivo para se alegrar, pois se "ninguém jamais subiu ao céu, exceto aquele que desceu do céu" (GV 3,13), o evento que poderíamos ler como o mais baixo na vida de Jesus, sua cruz, Segundo John, torna-se o momento mais alto para ele e para nós: ocasião de um dom que revela todo o amor de Deus. Um amor que, Como tal, não pretende condenar nem um pouco, mas apenas salve. Um amor livre e incondicional que pode difundir e manifestar as suas energias naqueles que lhe abrem espaço, acolhendo-o em si através da fé: «Deus amou tanto o mundo que deu o seu Filho unigênito». Um presente vertical e assimétrico porque não busca reciprocidade: «Como o Pai me amou, então eu te amei. Fique no meu amor" (GV 15,9); "Como eu te amei, então vocês se amam" (GV 13,34).

Aqui devemos insistir na absoluta novidade de uma afirmação. Em outras religiões, por exemplo, falamos da profundidade do mistério de Deus, da sua grandeza, da sua eternidade, da sua justiça, etc.. Mas só o Cristianismo nos ensina:

«Porque Deus amou tanto o mundo que deu o seu Filho unigênito, porque todo mundo acredita nele […] tenha vida eterna" (GV 3, 16).

Tal revelação transforma a moral cristã. Jesus nos deixou apenas um mandamento, que é um novo mandamento, o de amar um ao outro, como ele nos amou (GV 13, 34). Esta é a única maneira de explicar o fato, paradoxal à primeira vista, que toda a moral joanina é praticamente uma moral da verdade. Está resumido em dois preceitos fundamentais: a fé que nos abre ao Mistério e o amor que nos faz viver no mistério da revelação. Por outro lado, Giovanni parece saber, na sua riquíssima essencialidade e simplicidade, apenas dois pecados: a rejeição da fé em Jesus e o ódio ao irmão.

Assim, a moral joanina é uma moral da verdade: «Em vez disso, quem pratica a verdade caminha para a luz, de modo que fica claro que suas obras foram feitas em Deus ". Na crescente consciência de que “sem mim você não pode fazer nada”, as consequências de ser cristão, também a nível moral, eles estão ligados em Giovanni ao tema do permanecer. Permanecer com Jesus implica um dever em nível de coerência, mas antes de tudo como consequência ao nível do ser, viva como Jesus: «Aquele que diz que permanece nele, ele também deve se comportar como se comportou" (1 GV 2,6). «Quem permanece Nele não peca; todo aquele que peca não o viu nem o conheceu" (1GV 3,6). Se o cristão, como Giovanni, ele fica surpreso ao olhar para isso, na verdade, se realmente permanece Nele, então ele não peca mais. Pois quem permanece nesse espanto e nessa graça não pode pecar. É lindo, em sua concisão, Comentário de Agostinho sobre este versículo: «Na medida em que permanece nele, na medida em que ele não peca». Uma percepção comum, especialmente entre os Padres da Igreja Oriental. Ecumênio também, um teólogo da tradição antioquina de Crisóstomo, em seu comentário à Primeira Carta de João, escreve:

«Quando aquele que nasceu de Deus se entregou completamente a Cristo que nele habita através da filiação, ele permanece fora do alcance do pecado".

Vamos nos tornar perfeitos à medida que nos abandonamos totalmente a Jesus Cristo, enquanto permanecemos Nele.

Para concluir e resumir, se algum dia fosse possível, temas de tão grande densidade teológica que se extraem do trecho evangélico deste domingo, Relato uma passagem da constituição dogmática A luz:

«Cristo, na verdade, levantado do chão, ele atraiu todos para ele; ressuscitado dos mortos, ele enviou seu Espírito vivificante sobre os discípulos e através dele constituiu seu corpo, a Igreja, como sacramento universal de salvação; sentado à direita do Pai, trabalha incessantemente no mundo para conduzir os homens à Igreja e, através dela, uni-los mais intimamente a si mesmo e torná-los participantes de sua vida gloriosa, nutrindo-os com seu corpo e seu sangue”..

Do Eremitério, 10 Março 2024

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